Strutture Prefabbricate - Bozza Delle Dispense PDF
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INDICE
INDICE 1
1 INTRODUZIONE 3
1.1 INTRODUZIONE 3
1.2 DEFINIZIONI E CARATTERISTICHE DEL PRODOTTO PREFABBRICATO 7
INDICE 1/102
Appunti di Strutture Prefabbricate - BOZZA 04/06/2010
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Appunti di Strutture Prefabbricate - BOZZA 04/06/2010
1 INTRODUZIONE
Altri elementi complementari del sistema costruttivo di cui si parla sono i lucernari:
non sono oggetti di calcestruzzo, quindi atti alla prefabbricazione, ma che completano il
sistema costruttivo.
Nell’istante in cui applichiamo queste forze si deve avere un gran rispetto, mai avere
confidenza ed essere a conoscenza del dominio globale dell’operazione. Quella della
prefabbricazione è una tecnologia in cui vi sono punti in cui non è possibile sbagliare.
1.1 INTRODUZIONE
INTRODUZIONE 3/102
Appunti di Strutture Prefabbricate - BOZZA 04/06/2010
INTRODUZIONE 4/102
Appunti di Strutture Prefabbricate - BOZZA 04/06/2010
Per quanto riguarda il corso, ci sono vari punti di vista che possono essere assunti per
sviluppare le caratteristiche fondamentali delle strutture prefabbricate.
Noi abbiamo scelto il punto di vista dell'ingegnere che opera all'esterno di uno
stabilimento di produzione/fabbricazione e che ha l'opportunità e necessità di progettare
edifici prefabbricati. Si cercherà nel corso quindi di dare quelle informazioni che servono
alla formazioni di questa tipologia di cultura: è l'utilizzatore. Questo soggetto deve
conoscere i componenti che possono essere utilizzati, come vengono assemblati, deve
sapere i vantaggi, gli svantaggi, i punti critici e le “regole” da rispettare.
Ci sono altri punti di vista più specifici, ovvero quello dell'ingegnere che lavora
all'interno dello stabilimento di progettazione che può avere in generale due attività
principali: la progettazione e la direzione lavori.
Se si realizza un edificio in opera, le dimensioni degli elementi gli giudicate dai
calcoli, successivamente l'impresa esegue delle casserature specifiche in opera. Un
progetto di strutture prefabbricate, al contrario, non ha questa caratteristica, cioè di poter
essere nella forma e nelle dimensioni esterne stabilite dal progettista a libero arbitrio. Le
strutture prefabbricate hanno delle dimensioni standard che chiaramente hanno dei campi
di variabilità, ma che non possono essere scelte al di fuori di quelle che sono le leggi di
modulazione e dimensionali alla base di quel sistema costruttivo. Quindi la progettazione
del prefabbricato da parte di un ingegnere che lavora all'interno dello stabilimento si
esplica nella scelta di diverse forme che possono essere usate per la realizzazione di una
determinato oggetto, e lascia buona libertà all'ingegnere utilizzatore di dimensionare le
armature. Le armature di precompressione possono essere inserite nei manufatti con
prefissate maschere, quindi dimensioni che fissano le distanze reciproche tra i trefoli e i
contorni dell'elemento da costruire. Il trefolo è l'armatura di precompressione
maggiormente utilizzata nel prefabbricato. Progettare una struttura prefabbricata è diverso
dalla progettazione di una struttura in opera, perché la libertà dimensionale e della
disposizione dell'armatura è sicuramente inferiore.
L'ingegnere all'interno dello stabilimento che si occupa della direzione lavori deve
avere una ottima conoscenza tecnologica, impiantistica e dei materiali piuttosto
significativa. Nella sua attività risulta essere fondamentale l'attività di controllo da parte un
sistema di qualità. Una caratteristica ed un vantaggio delle strutture prefabbricate è evitare
che alcuni operazioni critiche del processo produttivo possono essere fatte in maniera
superficiale, lasciando dei varchi eccessivi di errore. La prefabbricazione si contrappone
alla possibilità di errore, dovuta anche da una serie di situazioni ambientali, che si possono
verificare nelle strutture realizzate in opera. La direzione dei lavori in uno stabilimento di
produzione delle strutture prefabbricate è collegate all'attività di controllo di qualità.
L'ultima categoria di ingegneri che si occupa della prefabbricazione è quell'ingegnere
che fa il sistema costruttivo. Mentre il soggetto all'interno dello stabilimento sceglie le
forme e calcola le armature, quest'ultimo si colloca a monte di questa attività e definisce le
scelte sul sistema costruttivo. Il campo di validità dimensionale di una struttura coinvolge
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Appunti di Strutture Prefabbricate - BOZZA 04/06/2010
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Appunti di Strutture Prefabbricate - BOZZA 04/06/2010
Innanzitutto vengono date alcune definizioni, dalle quali risultano chiare i primi
concetti legati alla prefabbricazione.
Per prefabbricazione intendiamo la fabbricazione di strutture fuori dal luogo in cui
vengono messe in opera. Si considerano quindi due concetti molto importanti: la
progettazione e la tecnologia. Non si può assolutamente calcolare una struttura
prefabbricata se non si conoscono le tecnologie che servono per realizzare la struttura
stessa. Molte delle verifiche che si effettuano sono assolutamente legate alla tecnologia e
alle fasi di vita della struttura. Il legame tecnologia-progettazione vuol dire necessità di
conoscere le tecnologie di produzione per poter progettare correttamente.
Un elemento prefabbricato è elemento di calcestruzzo gettato e maturato in un luogo
diverso dalla posizione finale nell'opera; il prodotto prefabbricato è elemento prefabbricato
progettato e prodotto in conformità ad una norma di prodotto o alla presente norma.
Per dare una definizione più corretta, bisognerebbe anche specificare che il ciclo
industriale sia immutato ai cambiamenti atmosferici, quindi che abbia una ben determinata
qualità e un rigoroso controllo.
I vantaggi e le limitazione della prefabbricazione possono essere così riassunte:
Vantaggi:
rapidità nella realizzazione degli edifici
- il ciclo produttivo degli elementi prefabbricati di regola, utilizza tecnologie che
rendono rapida la realizzazione
- sono possibili lavorazioni contemporaneamente in stabilimento che nel cantiere
- vantaggi nella correlazione fra fasi di realizzazione dell'edificio
- uso ottimale dei materiali
- i materiali sono utilizzati nell'ambito di cicli produttivi industrializzati e, di regola,
sono oggetto di ottimizzazioni
- sono presenti controlli di processo
- il calcestruzzo viene prodotto in impianti automatizzati
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Queste tipologie di componenti strutturali sono comuni alla maggior parte degli
edifici. Dalla combinazione di questi elementi si realizza un edificio che però ha come
specificità e peculiarità una serie di oggetti complementari che invece non sono
intercambiabili con altri sistemi costruttivi, in quanto fanno parte di quei dettagli propri del
singolo prefabbricatore e che determinano la qualità dell’insieme.
In questo capitolo si analizzeranno quindi gli elementi strutturali quali pilastri, travi
(orditura principale, direttamente collegati ai pilastri), tegoli (orditura secondaria, i quali si
appoggiano sulle travi), elementi di orditura terziaria (se presenti), denominate anche
“piastrine”, le quali rappresentano un’evoluzione in ambito topologico degli ultimi anni e
che è la frontiera sulla quale oggi si ragiona. Si analizzeranno inoltre elementi esterni quali
i pannelli, e le loro peculiarità.
Per esemplificare quanto detto fino ad ora, si consideri l’elemento di finitura che
serve per realizzare lo spigolo esterno dell’edificio. Possono essere utilizzati modi diversi:
- si può effettuare un taglio a 45° nei pannelli d’angolo, che risulta molto bello dal
punto di vista architettonico, impegnativo da realizzare. Se si ha un paramento curato in un
pannello, tale paramento risulta essere continuo a parte la fessura (interruzione) dei 2 cm
che dividono i pannelli.
Ogni volta che si realizza una struttura prefabbricata, bisogna creare una casseratura
o stampo entro cui gettare il calcestruzzo. Questa può anche essere molto complesso ed
articolato, in quanto viene creato una volta sola e serve a produrre migliaia di pezzi. Si può
quindi spendere energie per studiare l’elemento in ogni dettaglio, in modo da migliorarne
le prestazioni di resistenza, di forma, peso e creare così elementi che sfruttino al massimo
il materiale.
Prefabbricare significa produrre pezzi in modo industriale, quindi la ripetitività è
indice che si può risparmiare un po’ di calcestruzzo, eliminando una parte inerte, che non
lavora staticamente più di tanto. Questo comporta un risparmio di materiale, per il
trasporto e per l’assemblaggio. Il costo quindi vi è nell’articolazione del cassero iniziale,
che però viene facilmente assorbito nell’economia del sistema. Il plinto prefabbricato ha
una serie di elementi la cui riproduzione se fosse fatto in opera non sarebbe possibile, per
problemi di costo e anche di possibilità.
Oltre al risparmio del materiale e al trasporto, un terzo fattore importante da
considerare è l'assemblaggio: il peso di un oggetto deve essere correlato ai mezzi che si
avranno in opera. Il peso, infatti, pone dei vincoli sul mezzo di sollevamento e può
accadere che è necessario cambiare il mezzo di sollevamento solo per pochi elementi, con
conseguente forte incremento sul costo complessivo. Quando si progetterà un edifico si
deve avere cura di evitare che ci siano per esempio pochi pezzi che hanno bisogno di gru di
150 ton mentre per tutti gli altri è sufficiente una gru di 30 ton. Queste considerazioni sono
fatte sulla base di una corretta progettazione, della conoscenza delle tecnologie, del
valutare le fasi transitorie fondamentali, perché questo serve per massimizzare i costi. Una
gru deve essere trasportata a pezzi e necessita una complessa opera per la messa in
funzione; quindi si deve evitare di progettare un edificio i cui pezzi siano montati da una
gru che deve fare solo 3 tiri (in gergo vari). Una scorretta valutazione di questo transitorio
implica un costo aggiuntivo per esempio di 30.000 €.
Il progettista deve effettuare delle scelte, e valutare se conviene fare un struttura a
conci oppure intera. Trasportare una struttura significa chiedere permessi, avere la polizia
che effettua la scorta, spostare i segnali momentaneamente i segnali stradali, si devono
verificare i ponti su cui passano i camion, …. Valutare un transitorio di questo tipo è molto
importante come quanto la progettazione. Bisogna quindi avere una visione della
tecnologia globale per fare delle scelte.
2.2.1 Geometria
Il plinto interamente prefabbricato è caratterizzato dal fatto che tutte le parti di cui è
composto vengono realizzati in stabilimento e poi posati in opera.
Il plinto è formato da una ciabatta di base, dalla quale sporge il pozzetto con un foro
al cui interno viene posizionato il pilastro. Il pozzetto può essere costruito insieme alla
ciabatta (in modo prefabbricato), quindi vi è la possibilità di eliminare del materiale ed
introdurre dei ribs (irrigidimenti), senza perdere del braccio di coppia e che quindi
permettono di minimizzare la quantità di materiale a parità di prestazioni statiche.
Per quanto riguarda la forma del bicchiere, la parete interna è presente una rastrema
tura.. Questa è presente a causa dalla tecnologie costruttiva, infatti si deve creare un vuoto
grazie ad un tampone il quale viene inserito durante il colaggio del calcestruzzo e poi
stappato prima del completo indurimento. L’operazione di “stappo” non è possibile se non
si ha un’inclinazione che è mediamente pari al 5% (ma può variare da 3% al 7%). Se non si
ha la pendenza si rischia di non riuscire più a sfilare il “tappo”, a causa delle tensioni di
aderenza e attrito che agiscono tra le pareti di pilastro e collare del plinto. Quando si
creano dei vuoti, come nel caso del foro pel l’alloggiamento del pilastro in un plinto a
bicchiere, si deve stappare il tampone in un lasso di tempo limitato; se questa operazione
viene effettuata troppo presto, il calcestruzzo non si è ancora indurito e perde la forma; se
viene effettuato troppo tardi, c’è il rischio che aumenti l’aderenza tra calcestruzzo e
tampone, con la conseguenza di non essere più in grado di effettuare lo stappo. Nel caso di
elementi molto grandi, tipo le travi da ponte, si ha una superficie bagnata moto estesa (e
quindi una aderenza potenzialmente molto elevata): se sbaglia il tempo dello stappaggio, si
deve gettare la trave, si ha perso un’attrezzatura che deve essere rifatta e che toglie tempo
alla realizzazione dell’opera, e ciò può portare al non completamento dell’opera entro la
data stabilita dalla commessa perché si ritardano tutti i tempi. Si creano danni
incommensurabili. [nota: essendo il peso specifico del calcestruzzo pari a 2500 kg/m3, la
pressione che è esercitata dal sistema di bloccaggio del tappo è pari 2.5 volte quella
idrostatica].
Quando si va a posizionare il pilastro si devono scontare degli errori di tracciamento
e di produzione sia del plinto che del pilastro, errori di verticalizzazione, …, quindi si
devono tenere conto di tolleranze per far fluire la malta al momento dell’inghisaggio,
perché se se non fluisce bene, progettualmente non può essere accettato.
La misura è dettata da due parametri:
Una tecnologia tale da poter creare il pozzetto con le pareti verticali e non inclinate
proviene da come si realizzano i casseri degli ascensori i quali non possono essere svasati.
I casseri sono realizzati in modo che i tamponi in mezzo siano verticali, quindi chiamati ad
abbattimento di forma. Vi è un cinematismo per cui lo stacco si ha anche negli spigoli, di
conseguenza viene sfilato.
Parlando della ciabatta inferiore, essa è caratterizzata dalle dimensioni di base e dalla
sua altezza.
Per determinare l’altezza si devono considerare 2 fattori. Il primo è quello della
verifica del punzonamento del pilastro (effetto locale) ed il secondo è quello della
rigidezza. Per evitare momenti toppo elevati, il rapporto tra l’altezza e lo sbalzo orizzontale
deve essere indicativamente pari a 1,5.
Per quanto riguarda la profondità del piano di posa del plinto, si deve considerare che
dalla sommità del bicchiere del plinto alla pavimentazione reale dell’edificio è bene avere
circa 50 cm (devo avere lo spazio per potere mettere il pacchetto di pavimentazione
formato dalla pavimentazione industriale, lo stabilizzato, della ghiaia con determinata
granulometria).
hanno le boccole di riscontro bisogna essere molto più precisi e considerare tolleranze
altimetriche e planimetriche.
Il pilastro viene quindi infilato dentro al pozzetto; tra le facce del pilastro e l’interno
del pozzetto vi è uno spazio nel viene inserito un materiale fluido, malta cementizia a ritiro
compensato, che, indurendo, non ritira e ha l’effetto di inghisaggio del pilastro.
Per tenere fermo il pilastro in sicurezza, quindi vengono messe delle tagliole che
bloccano il pilastro nella posizione predefinita. In questo momento serve che il bicchiere
sia alto così l’effetto di contenimento e di stabilizzazione è efficace. Nella maggior parte
dei casi nel momento in cui l’oggetto è stato fissato una determinata posizione, fermo
restando che prima faccio il getto meglio è, a meno di condizioni particolari l’oggetto di
norma può essere lasciato libero dalla gru. L’inghisaggio è efficace ai livelli di auto
stabilizzazione transitoria. Ma questo metodo può cambiare al variare delle dimensioni e
delle condizioni che si verificano. E’ possibile anche che vengano messi dei puntelli
provvisori fino a quando il materiale di inghisaggio abbia fatto presa. E’ per questo che
viene usata della malta a ritiro compensato. Le condizioni transitorie sono sempre
soggettive, perché non sono quelle dello stato finale.
2.3 PILASTRI
Alette
questa faccia, questa mensola deve essere prodotta successivamente al getto del pilastro;
questo comporta una discontinuità di getto che è preferibile non avere. Ancora più delicata
è la produzione della mensola posta sulla quarta faccia (ovvero la faccia rivolta verso il
fondo cassero). La quarta mensola può essere eseguita solo se è presente una rientranza del
fondo del cassero entro la quale prende forma la mensola. Il problema principale legato
alla presenza del foro nel fondo cassero è dovuto alla flessibilità del posizionamento della
mensola stessa.
I pilastri a sezione decrescente verso l'alto, cioè con riseghe, non creano particolari
problemi di produzione in quanto vengono gettati sdraiati, e quindi la variazione di sezione
può essere fatta modificando il fondo cassero e la distanza mutua delle sponde laterali.
In Italia si tende a voler nascondere i pluviali, ed è per questo motivo che esistono
pilastri con sezioni appositamente studiate per soddisfare questa esigenza. Il pluviale lo si
mette al centro della sezione in quanto è la posizione meno sensibile per le sollecitazioni di
momento flettente. Il problema principale rimane invece la zona di uscita del pluviale, alla
base, in prossimità del plinto. In questa zona infatti si ha una riduzione della sezione del
pilastro (si noti che il foro in cui passerà il tubo del pluviale ha un diametro di 120/180mm)
– vedi figura. Essendo i momenti spesso alti alle basi il progettista è costretto a fare pilastri
che resistano anche se con un foro alla base lo spazio per il collocamento dell'armatura è
ridotto.
Aletta d'incastro
Lo smusso è a 45°(1,5*1,5cm) si fa quando metto il cassero installandovi all'interno
un elemento metallico.
I pilastri vengono smussati agli angoli perché sono punti deboli e sottili che si
possono rompere facilmente. Per smussare il pilastro si inseriscono degli elementi appositi
direttamente nel cassero, prima del getto, che possono essere di gomma o metallo. Nei
prefabbricati non sono fatti in legno (tipico delle strutture in opera) perché si vuole
riutilizzare la casseratura più volte. Inoltre, la presenza dello smusso serve per evitare che
la boiacca si insinui nelle discontinuità presenti tra i due casseri (fondo cassero e sponda).
le travi che vi si poggeranno dovranno avere una sezione particolare come si evince
dalla figura seguente:
Trave a sezione complessa
Lo scolo alla base del pilastro che “attraversa” la sezione del pilastro da grossi
problemi in casi di flessione infatti:
Giunzione di tipo
metallico trave-pilastro trave
a
b=50cm
P
Oggetto che si posa sulla trave, se questo oggetto
viene posato male di 2 cm si ha che il carico agisce su
un punto diverso, quindi interviene nei miei calcoli
solo (25-2)*2=46 cm e non 50cm come avrei voluto.
La mensola viene allora calcolata con una risultante
40cm posizionata in una sezione simmetrica. Ho una
manomissione di 46/50.
comunque una tolleranza nel posizionamento dei ferri d'armatura dell’ordine del 10% per
l’armatura tesa.
A differenza dei pilastri, che hanno sezioni poco differenziate, le travi prefabbricate
possono essere utilizzate per coprire luci che variano dai 4 ai 30-40 metri e di conseguenza
esistono sezioni molto differenti tra loro. In particolare le tipologie più utilizzate sono le
seguenti:
✔ Travi a sezione rettangolare;
✔ Travi ad “ I ”;
✔ Travi a “ T ” rovescio;
✔ Travi ad “ L ”;
✔ Travi ad “omega“;
✔ Travi ad “ H ”;
È chiaro che produrre travi con sezioni di questo tipo in opera risulta piuttosto
difficile e comporterebbe un maggior costo di manodopera. Per questo motivo, in opera, si
fanno quasi sempre travi con sezione rettangolare, si accetta di utilizzare più materiale ma
per risparmiare complessivamente. Nel prefabbricato invece si fa esattamente l’opposto: si
tende ad ottimizzare le sezioni; infatti una volta fatta la casseratura si fanno delle
produzioni in serie che permettono di risparmiare una quantità non trascurabile di materiale
con la possibilità di riutilizzare la casseratura. Dalle precedenti considerazioni si deduce
che difficilmente vengono prodotte travi prefabbricate a sezione rettangolare.
Disegno:
Disegno
Si esaminina ora quali sono le funzioni di ognuna delle tre parti costituenti, cioè le due
flange e l'anima.
La larghezza della flangia è strettamente legata alla luce della trave, infatti se
utilizzassimo la stessa sezione per una trave di luce 20 metri e per una di luce 5 metri
la prima risulterebbe essere fortemente instabile. Per aumentare la rigidezza, sia
flessionale che torsionale, e necessario aumentare la larghezza della flangia senza
diminuire in alcun modo la resistenza a compressione poiché quest'ultima dipende
esclusivamente dall'area della sezione, che rimane costante.
Si è visto come la sezione trasversale della trave corrente può variare presentando dei
ringrossi in corrispondenza delle estremità. I vantaggi del ringrosso sono, dal punto di vista
statico per le sollecitazioni di taglio, per effetti localizzati nella zona di appoggio
(ancoraggio trefoli), relativamente agli ingombri nella testa del pilastro. Lo svantaggio è
rappresentato dalle complicazioni che la trave con ringrossi presenta dal punto di vista
produttivo.
Queste travi vengono prodotte nella pista di precompressione. Se ad esempio su una
pista di 100 m si ha un cassero unico (cassero filante) è molto difficile realizzare il
ringrosso. Presenta già meno difficoltà se sono presenti più casseri divisi.
Per questi motivi tecnologici si può scegliere di fare un'anima più grossa rispetto a
quanto necessario per tutta la lunghezza della trave, evitando così le complicazioni
produttive della variazione di sezione.
Carroponte: ci può essere una trave a I sulla cui flangia inferiore sono poste le rotaie
del carroponte, mentre la flangia superiore sorregge la copertura. Una stessa trave lavora
quindi a due altezze diverse. Per poter fare ciò le vie di corsa del carroponte devono essere
parallele all'orditura. L'altezza di tale trave deve però essere compatibile con il carroponte.
Ci possono essere carroponti che dalle rotaie necessitano di 2,5 m di altezza (per questioni
di ingombro del carrello e di menutenzione); in questo caso non potrei fare una trave unica
perché richiederebbe una trave troppo alta. La fattibilità di questa soluzione dipende anche
dalla larghezza della flangia inferiore (minima 35 cm).
Altra possibile soluzione per le vie di corsa del carroponte sono l’utilizzo di una
trave con sezione a C (mostrata in figura) che presenta una sella in corrispondenza del
pilastro. Questa trave viene realizzata mediante 2 getti separati: prima si gettano le due
parti laterali poi si fa il getto che le unisce. Se per esempio a causa della luce che deve
coprire la trave necessita di una sezione alta un metro in corrispondenza del pilastro può
essere di 50 cm.
Il carroponte trasla ortogonalmente al foglio lungo la trave appena illustrata poi il
carrello si muove in orizzontale nel piano del foglio. Nelle due mensole del pilastro si
appoggiano le due travi, che vengono rese solidali mediante una soletta per resistere al
carico orizzontale dato dal carrello che frena. La trave che regge il carroponte è verticale
quindi fornisce buone prestazioni per i carichi verticali ma non per quelli orizzontali
(azione che si deve tenere in conto a causa della frenata del carrello). Allora le due travi
vengono unite così presentano un'inerzia maggiore in orizzontale.
ESEMPIO: trave a T rovescio di altezza 2,20 m relativa a una maglia molto elevata
ad esempio di 25x20 m.
In questo caso si usa una trave così alta dove sopra si ha una copertura che nasconde
la sporgenza della trave. Il problema è che serviranno 2 gronde per raccogliere le acque che
convergono alla trave a causa dell'inclinazione della copertura. L'ingombro sarà notevole
perché le gronde devono essere percorribili per le emergenze e necessitano anche uno
spazio per il passaggio degli impianti di almeno 10 cm. La trave sporgente dovrà essere
tutta impermeabilizzata con metri di lamiera. Questa operazione comporta un elevato
costo. Inoltre, in corrispondenza dell'appoggio della trave sul pilastro il pilastro avrà una
dimensione maggiore per problemi funzionali. Dovranno passarci i due tubi che portano
l'acqua al pluviale che attraversa il pilastro.
Le travi a L sono tipicamente travi di estremità. Per tale motivo è possibile avere
anche “variazioni” di sezione per poter fungere anche da parapetto e/o da pensilina esterna.
Esistono anche travi a Ω con dimensioni più ridotte. Nascono come travi a T
rovescio svuotate. Infatti, la trave a T rovescio comporta un peso notevole e la possibilità
di alleggerirla risulta importante, riuscendo così ad aumentare le dimensioni della base
inferiore senza significativi incrementi di peso. D’altra parte il problema di questa trave è
la difficoltà nella variazione della dimensione. Infatti non si hanno molte possibilità di
variare le dimensioni del tampone che si usa per produrle. Con una trave a T rovescio è più
facile variare le dimensioni ed è quindi più flessibile. Le travi a Ω devono hanno
dimensioni meno flessibili ma, a causa del loro peso limitato, sono più idonee per grandi
luci.
Se invece il tegolo si abbassa creando un incavo per scolare l'acqua sarà sufficiente
una trave a Ω.
Sono travi a sezione chiusa con un nucleo cavo all’interno del quale sono presenti dei
blocchi di polistirene espanso. Vengono usate in situazioni di particolare impegno.
Forniscono performance statiche ottimali. Infatti, hanno una elevata rigidezza verticale a
causa della lunghezza delle flange, presentano una elevata rigidezza flessionale nel piano
orizzontale, grazie alle dimensioni verticali inclinate (flangia + soletta superiore) oltre ad
una elevata rigidezza torsionale alla Bredt (sezione chiusa).
spinta idrostatica dal basso verso l’alto che il calcestruzzo esercita sul polistirolo è molto
elevata (di nuovo si rammenti che il calcestruzzo ha peso specifico pari a 2,5 kN/m3). Sarà
necessario creare quindi una struttura che tenga fermo il polistirolo opponendosi alla spinta
del getto. Solitamente si usa il polistirolo per blocchi piccoli. Si deve infine far attenzione
al fatto che, se nella fase di getto il polistirolo si sposta, nascono delle asimmetrie nella
trave che possono modificare signficativamente le caratteristiche statiche della trave.
Quindi, per concludere, anche se queste travi sono efficientissime dal punto di vista statico,
la produzione di queste travi coinvolge tecnologie complesse e costose.
architettonici sono scuri e sfaccettati possono arrivare a una temperatura esterna di 70°-
80°. [ nota: Secondo l'NTC l'incremento di temperature per superfici scure esposte a sud è
di 46° (è la variazione rispetto all'incremento classico)]. Il colore può portare a
immagazzinamento di temperature significativo, questo crea problemi ad esempio per le
deformate termiche.
2.5.1 Classificazioni
È possibile distinguere i pannelli di tamponamento prefabbricati in riferimento alla
geometria esterna:
piani: parallelepipedo spesso 30 cm
nervati: presentano nervature a vista
sagomati: creati ad hoc per progetti particolari.
in riferimento alla loro sezione e all'isolamento termico:
monolitici: pannello pieno con spessore 22-24 cm. Oggi si tendono ad aumentare gli
spessori per ridurre le deformazioni. Si usano per parti interne o pareti tagliafuoco. I
pannelli possono essere monolitici: sono costituiti nella totalità da una struttura piena
che porta a diversi problemi nell’impiego come tamponamento esterno in quanto non
sono dotati di buon isolamento termico; presenta problemi di trasporto in quanto
risulta molto pesante.
alleggeriti: son costituiti da due strati di calcestruzzo che avvolgono uno strato di
materiale isolante; presentano 2 croste di calcestruzzo di 6-7 cm poi dei blocchi di
polistirene di circa 12 cm di spessore. L’alleggerimento infatti è molto importante
perché riduce il peso e quindi gli sforzi nelle fasi di spostamento e di trasporto.
Hanno un discreto isolamento acustico in quanto per quest’ultimo è molto importante
la densità (“legge di massa”) fornita dai due strati di calcestruzzo.
a taglio termico: eliminano molti ponti termici che quelli alleggeriti mantengono e
quindi migliorano l’isolamento; le due croste di calcestruzzo non sono a contatto se
non puntualmente nelle zone di collegamento. Lo strato di isolante è passante in tutto
lo spessore del pannello. Lo strato isolante è in polistirene estruso o espanso. Infine
si possono trovare anche pannelli a taglio termico ulteriormente alleggeriti che
uniscono le qualità di entrambi e risultano particolarmente funzionali
a taglio termico alleggerito: presentano sia i blocchi di alleggerimento che lo strato
passante di isolante.
Un’altra tipologia (di uso limitato) sono i pannelli aerati i quali non sono utilizzati in
genere nelle strutture industriali, ma in quelle in cui i particolari sono più curati (esempio
edifici direzionali). In tali pannelli sono presenti dei fori alla base in cui viene fatta passare
dell’aria la quale va a sostituire l’aria calda che è formata nell’intercapedine se la parete
esterna è a contatto con alte temperature; questi tipi di pannelli permettono di limitare il
riscaldamento delle pareti interne e quindi degli ambienti.
Infine sono presenti anche pannelli compositi i quali hanno una struttura particolare
che gli permette di resistere al momento flettente diversamente da quelli a taglio termico;
questi sono formati da due strati portanti che collaborano tra loro per sopportare le azioni
orizzontali a cui è soggetto il pannello. La flessione sul pannello si divide idealmente tra i
due strati della parete in sforzi di trazione e compressione; in questo modo si aumenta la
rigidezza ed è possibile ridurre gli spessori, quindi il peso e perciò i costi. I due strati per
funzionare bene devono essere perfettamente collegati e ben armati; sui sistemi di
collegamento di questi pannelli si sono sviluppati diversi brevetti, ma il problema
principale rimane nel dimostrare che la connessione deve essere sufficientemente rigida
per poter essere efficiente e la decisione deve essere presa in seguito a prove sperimentali.
Nonostante presentino notevoli qualità sono ancora maggiormente impiegati e preferiti gli
altri tipi di pannelli.
Analizzando diagrammi di utilizzo impiegati dai fabbricatori (nei quali sono indicati
in funzione dell’altezza dell’elemento prefabbricato lo spessore minimo in grado di
garantire una sicurezza strutturale) si nota che per i pannelli alleggeriti siano caratterizzati
quasi sempre da spessori maggiori a parità di tensione rispetto ai pannelli monolitici;
Indicativamente, per pannelli monolitici lo spessore deve essere maggiore di un
sessantesimo dell’altezza e in quelli alleggeriti un cinquantesimo rispetto alla stessa
grandezza.
Altre distinzioni nei pannelli vengono fatte sulla base della geometria, della
posizione rispetto alle grandi aperture come le porte e rispetto alle finiture superficiali.
2.5.2 Dettagli
I pannelli posseggono in genere delle armature alle estremità circondate da staffe
oppure vengono anche impiegati dei tralicci metallici. Queste armature sono in ogni caso
integrate da reti elettrosaldate poste sulle facce di calcestruzzo. Nei punti di sollevamento
sono necessarie armature ulteriori: in questi punti dove sono presenti i ganci si vengono a
creare delle tensioni localizzate molto elevate quindi sono necessarie armature ad hoc per
potere sopportare le sollecitazioni “locali”.
Nei pannelli alleggeriti sono presenti ferri in sommità e alla base per evitare che lo
strato portato oltre l’isolante si stacchi dalla parete portante; questi elementi sono di due
tipi: elementi più robusti, posti alla base, devono reggere il peso proprio della parte portata
del pannello; una seconda tipologia, presente nella parte superiore del pannello, sono solo
tesi in quanto devono evitare solo il ribaltamento della parte portata del pannello. In base al
produttore le forme di questi ferri sono diverse, ma hanno una forma idonea all’ancoraggio
(per trazione) nelle porzioni di calcestruzzo.
Gli spigoli sono un altro problema nella realizzazione dei tamponamenti; questi
possono essere costituiti da elementi ad hoc oppure avere gli angoli smussati a 45° oppure
presentare all’esterno una parete fino in fondo anche se quest’ultima soluzione risulta di
minor pregio (vedi le immagini delle dispense).
2.5.3 Finiture
Come precedentemente detto i pannelli hanno un’importante funzione estetica quindi
è fondamentale parlare delle finiture esterne. Ne esistono di tre tipi:
Le finiture a cassero: sono caratterizzate dall’assenza di lavorazioni in seguito alla
scasseratura; è la tipologia di finitura più semplice in quanto consiste solo
nell’aggiungere all’impasto di cemento pigmenti colorati per ottenere colori più chiari
o più scuri. Sono possibili in tale ambito però dei trattamenti a “fresco”: la graffiatura
consiste nel far passare sotto un rastrello il calcestruzzo scasserato in modo tale che
rimangano i graffi oppure possono essere messi degli elementi in fondo al cassero in
rilievo al fine di ottenere una faccia esterna particolare.
Le finiture fuori cassero possono essere di diverso tipo: si può mettere della graniglia in
fondo al cassero prima del getto, una volta gettato il calcestruzzo avvolge la graniglia,
ma prima che si raggiunga la completa maturazione si effettua una lavatura in modo
tale da eliminare lo strato superficiale di calcestruzzo e con conseguente emersione
superficiale della graniglia la quale crea un piacevole risultato estetico. In questi casi si
fa uso spesso di un ritardante in modo tale da poter lavare via il calcestruzzo non
ancora indurito. Altre finiture citate sono la bocciardatura: consiste nell’impiego di una
sorta di martello che porta a creare un effetto di parete rovinata; ed infine la sabbiatura.
Finiture che consistono nell’applicazione di materiali diversi dopo la posa in opera del
pannello: un esempio molto diffuso è quello dell’impiego dei marmi o dei laterizi
anche se questi sono spessi solo un paio di centimetri e sono solo incollati sul pannello.
2.5.4 Collegamenti
Nella messa in posa del pannello sono presenti altri problemi e uno di questi è di
sicuro quello dei collegamenti; bisogna considerare che il bloccaggio del pannello deve
avvenire in modo pressoché immediato e devono essere garantite le deformazioni dei
pannelli a causa delle variazioni termiche. I collegamenti, di qualunque tipologia siano,
devono essere durabili e devono consentire una regolazione nella messa in opera in quanto
non è facile disporre il pannello con precisione millimetrica; devono essere presenti
collegamenti progettati per poter recuperare le tolleranze; questi elementi sono in acciaio
inox oppure zincato al fine di aumentarne la durabilità.
I collegamenti sono realizzati con profili metallici che collegano travi e pannelli e
consentono una buona velocità di aggancio; questi sono caratterizzati da guide a forma “c”
che garantiscono l’ancoraggio e queste sono poste in genere una in verticale e una in
orizzontale (vedi immagine) per garantire spostamenti degli agganci che sono costituiti da
bulloni.
I pannelli orizzontali sono sempre appoggiati al bicchiere dei plinti di fondazione per
mezzo di due appoggi che consentono un migliore allineamento e sono caratterizzati da
una certa distanza in quanto tra questi due deve passare sempre il pluviale. I pannelli
verticali presentano la problematica del fatto che non possono appoggiarsi tutti ai plinti
quindi è posto alla loro base una “trave portapannello” che ha quindi lo scopo di reggere i
pannelli centrali che non possono appoggiare direttamente sui plinti. Questa soluzione
presenta il problema del possibile cedimento differenziale tra plinto e trave di fondazione;
il tutto può essere risolto per mezzo dell’utilizzo di un plinto nervato su cui poggia
direttamente la trave portapannello (non più sul terreno); in questo modo il cedimento del
plinto non crea spostamenti differenziali tra struttura e tamponamenti.
Nei pannelli orizzontali sono inoltre sempre presenti delle mensole in calcestruzzo o
in metallo in quanto bisognerebbe evitare che il pannello superiore appoggi direttamente su
quello inferiore e così via.
Infine si è detto che nel mondo anglosassone sono impiegati pannelli che fanno
anche da trave in quanto si appoggiano sui pilastri laterali e hanno grande capacità portante
(in Italia sono in genere portati) e addirittura in alcuni casi rari sono completamente
autoportanti e si appoggiano direttamente in fondazione: non necessitano né di travi né di
pilastri.
Gli elementi di orditura secondari sono elementi strutturali che si appoggiano sulle
travi formando gli impalcati. Si possono classificare, a scopo didattico, in:
elementi nervati a sezione filante;
elementi di solai piani;
elementi speciali di copertura.
Quest'ultimi verranno trattati successivamente perché connessi ai sistemi costruttivi
della tipologia delle coperture a pseudo-piano.
Dimensioni
Geometricamente, il tegolo TT è caratterizzato da una larghezza della piattabanda
superiore fissa a 2,50 m (per problemi di trasporto). Dal punto di vista tecnologico non ci
sono problemi a ridurre, tagliando le ali, la larghezza superiore. Questa operazione può
essere necessaria per ottenere una misura prefissata nel progetto architettonico o per
questioni di portata, perché chi ha il ruolo centrale sono le armature e quindi la frequenza
delle nervature. Per esempio, un tegolo largo 2,20 m (con una zona compressa, quindi,
comunque molto larga) avendo un carico relativo a 220 cm porta di più di un tegolo largo
2,50 m con le stesso nervature.
Dal decreto dell'87 lo spessore della piattabanda superiore è di 5 cm (2 pollici).
Dovendo applicare determinate regole sulle dimensioni del copriferro per assicurare la
durabilità del copriferro, soprattutto in classi di esposizioni quali ambiente marine questo
spessore va aumentato.
L'interasse tra le nervature è di 125 cm, con lo scopo architettonico di avere
regolarità dell'intradosso. La nervatura ha altezza che va da un minimo di 30 cm fino a 95
cm, cioè dimensioni complessive del tegolo da 35 a 100 cm. E' caratterizzata dalla
larghezza inferiore e dalla pendenza necessaria per lo scassero.
La larghezza inferiore dipende da fatti geometrici inderogabili, quali la possibilità di
mettere una staffa o una rete di staffe le quali devono essere protette dal copriferro (20-35
mm). Le dimensioni del copriferro dipendono dalla classe di esposizione al fuoco, dai
livelli di durabilità che si vogliono ottenere quindi dalla vita utile della struttura e dai
controlli di qualità che si fanno quindi se la misura è garantita oppure no e un’altra serie di
fattori. (vedi cap. 4 dell'Eurocodice 2 “durabilità e copriferri”).
proporzionale alle superfici di contatto (la dimensione della nervatura più 30 cm per
ognuna delle 4 facce) che, in quanto piccole, non ostacolano la auto-scasseratura.
Aumentando l'altezza del tegolo deve essere aumentata la pendenza per avere la certezza
che sia vinta l'aderenza al cassero (che ovviamente aumenta con l'altezza delle nervature).
Conseguenza di questo è la variabilità della pendenza anche se, come detto prima, è
dell’ordine di 5-6 %.
Il raggio di curvatura, non dettato da problemi statici, può essere sostituito da una
rastremazione ma la prima soluzione favorisce meglio il getto all'interno della nervatura.
Come per tutti gli altri elementi prefabbricati è richiesto allo stesso cassero una certa
possibilità di variare le dimensioni, in questo caso per esempio passare da una lunghezza
della nervatura da 40 a 35 cm. Ci deve essere la possibilità di inserire un elemento
orizzontale che blocchi il getto nella nervatura all'altezza desiderata. Considerata una
pendenza del 6%, se la base inferiore è di 12 cm, quella superiore risulterà essere
approssimativamente di 24 cm. Diminuendo l'altezza delle nervature si passa da una base
“b” di 12 cm a una di 20 cm; più il tegolo diventa basso più la larghezza aumenta a causa
della pendenza. Staticamente parlando, la larghezza della nervatura e altezza del tegolo
sono due misure indipendenti ma diventano dipendenti per problemi tecnologici nel caso di
cassero fisso.
Il cassero fisso per tegolo TT presenta innumerevoli vantaggi, tra i quali il fatto che
la soluzione tecnologica è di facile applicabilità, non si deve fare altro che gettare e
scasserare, non c'è nessuna movimentazione del cassero, se non nel caso di cambiamento
dell'altezza del tegolo. Per contro, se si deve fare una gamma molto divaricata di altezze,
per esempio il classico 135 cm vuol dire che quando passo all'altezza di 100 cm ho un
sovraccarico di peso dovuto alla sezione, che contribuisce solo alla pendenza, di 12 x 95
cm2, cioè 70 kg di calcestruzzo per ogni nervatura in eccesso solo per problemi tecnologici
(in parte questa sezione contribuisce ad aumentare W e J ma solo in piccolo parte essendo
estrema)
Per evitare questo sovraccarico si è pensato a progettare nervature con facce piane
parallele verticali ma è evidente la difficoltà in tal caso nel togliere il cassero compreso tra
le due nervature. La soluzione introdotta è, allora, quella della nervature a facce piane e
parallele ma non verticali; la faccia interna della nervatura va lasciata comunque con
pendenza verso l'esterno, per i motivi già detti, mentre la faccia esterna può essere presa ad
essa parallela. Sono inclinazioni molto ridotte, intorno ai 3 gradi.
Nella soluzione di nervatura a doppia pendenza non è semplice posizionare
l'elemento orizzontale per cambiare l'altezza, posizionare e muovere per la manutenzione
ordinaria le guaine agli angoli. Nell'ultima soluzione presentata invece risulta più semplice.
I vantaggi di questa soluzione sono legati al fatto che non si trasporta peso inutile
dovuto alla pendenza; la larghezza delle nervatura è indipendente dall'altezza del tegolo;
inoltre vi è la possibilità di dosare pesi e dimensioni in maniera ottimale. Lo svantaggio
principale è legato all’aspetto estetico non ottimale per la non simmetria degli elementi
inferiori.
L'ultimo difetto del tegolo a “TT” è quello di avere tanta massa centrifugata nella
soletta sopra ma poca sotto. Problema ovviato con una soluzione di forma che presenta un
ringrosso inferiore, come riportato nella figura seguente:
Considerando che comunque il cassero esterno alle due nervature va tolto durante le
operazioni di scassero, lo si può fare di questa forma guadagnando massa inferiore. Con
questa soluzione si può quindi aumentare significativamente la capacità portante; c’è la
possibilità di inserire anche tre trefoli appaiati; inoltre, in esercizio, lo stato tensionale
viene ampiamente abbattuto da questa larghezza perché c’è un aumento dell'inerzia; infine,
tecnologicamente non si creano problemi rispetto alla nervatura a spessore costante.
Per variare l'altezza del bulbo inferiore ci sono due possibilità: o si ha la sponda base
come in figura a, quindi si ha un ringrosso eccessivo oppure sulla sponda base si monta un
tampone interno che ricostruisce la sagoma desiderata (figura b.). Quale delle due
tecnologie scegliere dipende dal numero di elementi da fare con lo stesso cassero, si tratta
di valutazioni economiche.
Lo svantaggio del ringrosso inferiore è legato al maggior numero di staffe da mettere
(occorre staffare anche il ringrosso)
Se ho tegoli prodotti con il cassero fisso, il baricentro delle nervature sta sempre sulla
linea verticale centrale della nervatura, per cui la distanza tra i due assi del baricentro è 125
cm qualunque sia l'altezza del tegolo. Se ho un tegolo a facce parallele o una variante della
prima specie, con un'intermedia difficoltà tecnologica, che permette di avere movimenti
reciproci tra la sponda inferiore e laterale esterna della nervatura, si può realizzare un
tegolo con doppia pendenza ma con parziale movimentabilità dell'oggetto. Conseguenza è
lo spostamento dell'asse della nervatura. Fenomeno evidente anche con la terza tipologia di
forma dei tegoli a “TT”, si sposta l'ascissa x del baricentro. Nel primo caso l'interasse si
considera 125 cm e non da problemi, negli altri casi in cui variando l'altezza del tegolo si
ha una traslazione orizzontale dell'asse (l'interasse è funzione dell'altezza) il progettista
decide qual è il tegolo di riferimento (per esempio tra 30 e 100 cm di dimensioni comuni si
prende 60-70 cm) e a questo assegna 125 cm di interasse, questa dimensione poi diventerà
più piccola quando si farà il tegolo più basso e aumenterà quando si farà il tegolo più alto.
3 SISTEMI COSTRUTTIVI
I sistemi costruttivi sono dati dalla combinazione degli elementi base illustrati finora,
tra cui si ricordano pilastri, plinti, travi, tegoli e pannelli. In particolare per quanto riguarda
i sistemi costruttivi per coperture si ha la seguente suddivisione:
1) sistemi costruttivi per coperture a doppia pendenza;
2) sistemi costruttivi per coperture piane,
3) sistemi costruttivi per coperture pseudo-piane;
4) sistemi costruttivi per coperture a shed.
La pendenza fa in modo che per trovare la sezione della trave più sollecitata si deve
cercare quella sezione abbastanza vicino all'appoggio da far si che l'incremento di altezza
rispetto alla base non sia grandissimo; inoltre si deve cercare il giusto equilibrio con la
distanza dalla mezzeria per non allontanarsi troppo dal momento sollecitante massimo di
una trave semplicemente appoggiata.
La trave si appoggia inserendosi in due pilastri posti alle estremità di essa. In
particolare sono possibili tre possibili tipologie di teste di pilastri che permettono
l'appoggio della trave: a forcella classica che dà la possibilità di inserire due travi contigue,
a forcella chiusa per i pilastri di bordo in cui si può inserire una sola trave ed infine una
testa che permetta di inserire oltre alle travi altri elementi posti ortogonalmente a queste.
I seguenti disegni illustrano una sezione trasversale delle tre differenti tipologie.
La sezione di una trave a doppia pendenza può essere considerata come quella di una
trave ad “I” stando lontani dall'appoggio, mentre nella zona prossima a quest'ultimo
l'anima tende mediante una rastrematura a ringrossarsi. Il seguente disegno risulta
esplicativo.
Valutando le sezioni della trave a doppia pendenza non è lecito parlare di sezione filante in
quanto l'altezza di questa si innalza procedendo verso la mezzeria. Esiste la possibilità di
realizzare travi a sezione ringrossate dove si fa fronte a problemi di natura geometrica, di
calcolo poiché si deve fare in modo che la trave resista al taglio ed infine a problemi legati
alle forze di precompressione.
Un'altra problematica legata alla particolare geometria della trave in questione è di
riuscire a contenere l'altezza di colmo: raggiungendo luci elevate che possono arrivare
anche fino a 29 metri , essendo la pendenza obbligata si ha infatti un progressivo aumento
dell'altezza della trave come è indicato in figura, pertanto l'unico modo per non fare travi
troppo alte è quello di contenere l'altezza di queste all'appoggio.
Per fare in modo che non si veda la pendenza della copertura stando all'esterno
dell'edificio si usa fare sporgere i pannelli laterali di tamponamento al di sopra dell'altezza
di gronda della copertura superando di solito l'altezza di colmo di venti centimetri. In
questo modo si ottiene in prospetto l'effetto di una copertura piana. Naturalmente andando
ad incrementare l'altezza del pannello si va incontro ad un problema di costi che
aumentano, ecco perché risulta a maggior ragione ragionevole cercare di ridurre l'altezza
della trave all'appoggio.
Risulta a questo punto utile avere un’idea sull'ordine di grandezza di una trave. Si
può fare riferimento alle seguenti misure:
- altezza della sezione all'appoggio: da 70 a 100 cm;
- spessore dell'anima nella zona non ringrossata: 10-12 cm;
- spessore dell'anima all'appoggio: 40 cm;
- larghezza del bulbo inferiore: da 35 a 50 cm;
- larghezza bulbo superiore: circa 70 cm;
- lunghezza della trave: da 18-20 m fino a 30-34m; lunghezze superiori creano
problemi di trasporto ma si sono realizzate anche travi di 40 m che raggiungono
altezze di colmo di 3,05 m; un tempo si creavano travi più corte di 12-13 m di
lunghezza non precompresse.
Travi molto lunghe si possono realizzare in due conci, ognuno che corrisponde ad
una metà trave. Questi conci vengono accostati in opera fino a creare una fuga di circa 30
cm, inoltre vengono attraversati da cavi di post-tensione che li uniscono. Si inietta una
resina tra i due pezzi in modo da dare loro continuità. I cavi di post-tensione si trovano in
una guaina, che dopo l'unione definitiva delle due parti mediante martinetti, viene iniettata.
potere realizzare travi a luce via via sempre maggiore, pertanto si adotta la tecnica dei
casseri a conci. In particolare, supponendo di volere realizzare una trave lunga 10 m che
necessita di una zona ringrossata di 150 cm a ciascuna delle due estremità, si adottano due
conci lunghi ciascuno 5 m che vengono collegati nella zona di mezzeria. Fino ad una luce
di 11 m si procede aggiungendo conci alle estremità, che possono pertanto arrivare fino a
50 cm l'uno. Questo fa in modo che la zona ringrossata procedendo da 10 m ad 11 m risulta
sempre più lunga, pertanto si accetta un extra di 50 cm che possono risultare non necessari
dal punto di vista statico, ma che permetteno di non dovere tagliare modificando la
casseratura ogni volta.
Si osservi che la lunghezza dei conci è fissa, per potere mantenere limitata la loro
tipologia; pertanto una lunghezza di 3 m è realizzata giustapponendo due conci
rispettivamente di 1 e 2 metri.
Naturalmente maggior numero di conci affiancati significano anche più bullonature
per poterli unire e più segni che determinano discontinuità nel getto di calcestruzzo, quindi
minor pregio estetico. Poiché il calcestruzzo nella casseratura viene vibrato, si ottiene
l’inconveniente della rumorosità che si amplifica salendo col numero di conci.
Le travi a doppia pendenza sono idonee anche per creare sbalzi e pensiline verso
l'estradosso dell'edificio. Grazie al fenomeno del fluage il calcestruzzo col passare del
tempo tende a perdere di resistenza di conseguenza la pensilina tende ad abbassarsi. Per
ovviare a questo problema e per curare maggiormente l'effetto visivo della pensilina si
tende a realizzare la parte intradossata dello sbalzo nella parte di estremità inclinata verso
l'alto. L'occhio umano tende a percepire questa particolare inclinazione come piana.
La copertura si realizza solitamente con tegoli a “Π” che vengono posti sopra alle
travi e costituiscono l'orditura secondaria. Sul colmo ci possono essere anche particolari
tegoli che seguono l'andamento delle due falde. Essi si possono anche trovare a “doppio
Π”. I tegoli a “Π” non sono l'unica tipologia che si può trovare ma vengono usati anche
tegoli grecati od alveolari. Sopra ai tegoli si trova uno strato di materiale isolante, che se
risulta significativo ha bisogno di maggior spazio pertanto risulta compresente ad un
sistema di copertura a doppia listellatura; infine completano la copertura dei laminati
Tutti i laminati vengono fissati tra loro mediante viti con guarnizione. A volte queste
coperture possono essere camminabili, pertanto è necessaria la presenza di un parapetto
prima del laminato lucido oppure in alternativa si può installare sotto questo una rete di
sicurezza che funga da anticaduta.
Infine un velario sotto il lucernario fa si che la luce venga sparsa più uniformemente.
Per garantire l'illuminazione all'interno del fabbricato si può anche inserire un
timpano in sommità della copertura che grazie alla possibilità di realizzare infissi apribili si
può garantire il circolo dell'aria fra interno ed esterno.
Infine è comune anche la presenza di shed in copertura che garantiscono sia ricambi
d'aria che l'aumento delle prestazioni illuminometriche.
I successivi disegni illustrano questi ultime due tipologie di illuminazione.
Infine è opportuno ricordare una categora particolare di travi a doppia pendenza dette
travi a “Boomerang”. Esse grazie ad una pendenza del 33% vengono utilizzate soprattutto
in edifici adibiti all'allevamento di bestiame poiché garantiscono l'evacuazione dei vapori
caldi dovuti all'allevamento stesso.
Questa tipologia di trave non è precompressa e non raggiunge luci significative.
Lucernari a raso
Necessari alla illuminazione dei locali interni, si possono realizzare sia in coperture
piane che in pendenza. In quest’ultimo caso si realizzano posando i tegoli ad una certa
distanza reciproca, lasciando un vuoto nella copertura. Si posano poi all’estradosso dei
tegoli, in corrispondenza del vuoto, lastre ondulate traslucide (in genere di policarbonato)
che permettono il passaggio dei raggi solari. All’intradosso si pone in genere una seconda
lastra lucida munita di una rete di sicurezza anticaduta nel caso in cui la copertura sia
accessibile.
Mentre la lastra di intradosso viene fissata direttamente al tegolo, con chiodature
metalliche, quelle di copertura (lucide e non) vengono chiodate a listelli di legno applicati
a loro volta ai tegoli. Il listello dovrà essere ovviamente trattato ma realizza anche oggi
l’interfaccia ottimale tra le lastre di copertura e gli elementi portanti “duri” della copertura.
Esistono diverse tipologie di fissaggio e di posa, a seconda del tegolo utilizzato, ma il
chiodo viene sempre posto in corrispondenza della monta della lastra per evitare
infiltrazioni di acqua.
completamento della copertura non si utilizzano più lastre ondulate bensì un classico
pacchetto isolante e impermeabilizzante con barriera vapore, materiale di coibentazione e
guaina (anche doppia) bitumata.
La tecnica delle coperture piane permette di realizzare le cosiddette “grandi maglie”
in cui gli elementi di copertura realizzano un’orditura terziaria. In genere, infatti, si
utilizzano travi principali molto performanti, ad esempio scatolari, su cui posano travi
secondarie più esili (ad W ad esempio) a passo costante su cui poi poggia il solaio. In tal
modo si realizzano maglie quadratoidi di dimensioni anche molto elevate (30x30 m)
permettendo l’eliminazione, quindi il diradamento, di alcuni pilastri e la creazione di spazi
aperti molto ampi.
Il problema principale delle coperture piane riguarda la possibilità di
impermeabilizzazione (ora risolto con le moderne guaine bitumate) nonché la realizzazione
di lucernari a raso. Questi si ottengono o scostando due tegoli consecutivi oppure bucando,
quando possibile, il tegolo stesso. In ogni caso sarà necessario realizzare un bordo rialzato
attorno al lucernario (alto anche 40 cm) per evitare infiltrazioni di acqua. Tale rialzo potrà
essere realizzato in opera una volta posata la copertura (ad esempio in muratura), oppure
modificando il tegolo in fase di produzione, oppure ancora utilizzando profili leggeri in
lamiera. La soluzione migliore resta quella della completa prefabbricazione, occorre però
che la parete aggiunta non modifichi il comportamento statico del tegolo stesso, ovvero
dovrà essere non reagente alle sollecitazioni affinché i tegoli accostati in copertura, forati e
non, si comportino allo stesso modo presentando la medesima deformazione: per questo si
pone, in fase di realizzazione, una lastra di scollegamento in polistirene tra il corpo del
tegolo e la parete aggiunta. In questo modo le pareti del pozzetto non contribuiscono in
alcun modo alla rigidezza flessionale del tegolo.
Per realizzare il lucernario si utilizzano lastre in genere non piane, bensì voltate
oppure a timpano, posate sulle pareti del pozzetto e fissate solitamente a profili di legno.
Come visto prima si rende necessaria una rete anticaduta all’intradosso nel caso di
coperture accessibili.
La CNR 10025 classifica gli elementi speciali di copertura in funzione della forma
nonché dello schema statico. A livello di forma (sezione) si parla di :
A. profili alari semplici
B. profili nervati
C. profili con doppia nervatura
D. profili con sezione scatolare chiusa
E. profili con sezione scatolare aperta
F. profili a micro-shed
G. profili paraboloidici (a doppia curvatura)
Tutti questi elementi sono di regola larghi 250 cm, presentano le sezioni più diverse,
ma sempre costanti tranne gli elementi paraboloidici. Alcuni di questi necessitano di un
timpano alle estremità che garantisca una corretta superficie di appoggio.
Il comportamento di questi elementi è piuttosto complesso per le particolari
geometrie delle sezioni, che possono essere anche asimmetriche. Per molti ad esempio è
scorretto utilizzare la “teoria della trave”, data la deformabilità della sezione trasversale, a
livelli di forte sollecitazione, nonché la sua non necessaria planarità durante l’inflessione. Il
collasso di alcuni può ad esempio presentarsi per perdita di forma.
Per questo nella progettazione nonché nella verifica si utilizzano metodi di calcolo
più raffinati, che tengano conto ad esempio della deformabilità della sezione, come metodi
non lineari agli elementi finiti.
Ad ogni modo le norme del CEN (Comitato Europeo di Normalizzazione)
prevedono, per alcuni elementi speciali di copertura e per pannelli alveolari, ad inizio
produzione quello che viene chiamato ITT (Initial Type Testing) ovvero una serie di prove
iniziali che dimostrino la validità del metodo di calcolo utilizzato per la progettazione
dell’elemento stesso. In particolare si effettuano prove di carico differenti su un modello
prototipo per valutare la corrispondenza tra il comportamento presunto dai calcoli e quello
reale dell’elemento.
Per altri elementi, per i quali in genere è corretto utilizzare la teoria tecnica della
trave, è previsto invece un ITC (Initial Type Computation) che dimostri la bontà del
modello di calcolo semplicemente con analisi computazionali.
A livello geometrico sono caratterizzati da ali laterali rialzate o comunque pendenti
verso l’interno per garantire lo sgrondo delle acque meteoriche, raccolte dalle voltine,
verso l’asse del tegolo che si comporterà a sua volta da canale di gronda. Molti elementi
possono per questo essere pre-impermeabilizzati in stabilimento. Il rialzo comporta inoltre
l’aumento dell’inerzia del tegolo e la sua capacità portante. È evidente questa caratteristica
negli elementi binervati o scatolari nei quali si cercherà di ingrossare le estremità delle ali
laterali per garantire una certa superficie resistente alle compressioni.
Per il peso derivato dalle voltine gli elementi sono spesso soggetti a carichi
asimmetrici che creano sollecitazione torsionali piuttosto pericolosi per elementi in genere
snelli. Gli elementi scatolari, dotati di nucleo di Bredt, sono i più indicati per resistere a tali
sollecitazioni mentre la cosa si complica nel caso di micro-shed dove lo scivolamento della
neve può aumentare la asimmetria dei carichi trasversali.
E' la prima tipologia di copertura utilizzata, capostipite dei sistemi macro-shed, shed
compositi e micro-shed, ormai caduta in disuso a causa di difficoltà di montaggio ed
impermeabilizzazione. La trave viene ordita sulla luce lunga, lo shed su quella corta e
montato tipicamente su un elemento reticolare in acciaio.
Una sua evoluzione è il sistema a shed con travi canale, scompare l'elemento
reticolare portante per lasciare posto unicamente alla trave principale e ci si avvicina
concettualmente al macro-shed.
Un’altra tipologia prevede l'utilizzo di travi a cavalletto con inversione della
direzione di orditura del solaio che diviene ora parallela all'elemento shed.
4.1.1 MICRO-SHED
Tra tutti gli elementi speciali il micro-shed presenta le maggiori difficoltà inerenti la
progettazione nonché la verifica e la realizzazione, allo stesso tempo però garantisce la
soluzione ottimale ai problemi di illuminazione degli ambienti.
I micro-shed vengono accostati gli uni gli altri di modo che il ricoprimento dello
spazio sia pressoché totale. In realtà tra elementi consecutivi si lascia uno spazio che va dai
15 cm fino ai 50 cm circa ponendo a chiusura un infisso, generalmente inclinato, che
unisce la coda di un elemento con l’ala dell’elemento precedente. In tal modo l’infisso
risulta apribile permettendo un certo ricambio d’aria. L'interasse varia quindi da 2,70 a
2,90m e dipende dall'inclinazione del vetro a seconda dell'edificio, in più tale inclinazione
favorisce una autopulizia del vetro con la pioggia a battente.
Per quanto riguarda il problema dello scolo delle acque, la soluzione più usuale è
quello di costruire la pilastrata centrale leggermente più alta per permettere lo scolo
dell'acqua e porre quindi gli elementi a microshed semplicemente accostati. L'inclinazione
che si dovrebbe dare per lo sgrondo dell'acqua è di un 2-3%.
Se abbiamo una struttura in cls che si deforma sotto carico per esempio da neve,
allora si formano delle buche e si ha il ponding (formazione di pozze d'acqua). Escluso
questo fenomeno che per strutture in calcestruzzo è del tutto trascurabile, all'acqua bastano
pendenze minimali per scendere soprattutto per quando riguarda le guaine che se sono lisce
basta una pendenza dell'1,5%, c'è comunque da verificare che il contromonte non dia
fastidio. Se ho dei tegoli quali quelli illustrati in figura, e ho un contromonte del genere,
devo alzare la pilastrata affinché l'acqua scorra ad ogni modo.
Se c'è un abbassamento del muro c'è da prestare attenzione ai problemi di
controfreccia viscosa,dunque nel tempo, alle tolleranze e a tutta una serie di problemi.
L'1,5% di pendenza, su 20 m, sono 30cm e sono completamente invisibili dall'interno
dell'edificio. È un modo corretto ed è quello che in pratica si fa, ma è meglio comunque
pensare a un po' di più perché l'uso di tali numeri deve essere assolutamente consapevole,
con un calcolo delle frecce viscose, tolleranze ecc. L'acqua deve arrivare in fondo, tutto è
impermeabilizzato ma le stagnazioni sono comunque da evitare.
Nota: Esistono anche, tra gli elementi speciali di copertura, degli elementi poco
larghi, teoricamente accostati almeno a coppie, sui 125cm l'uno. Di solito gli elementi
erano tutti larghi 2,50 m (il massimo trasportabile) e venivano semplicemente accostati.
Con elementi più compatti si cerca invece di guadagnare sull'interasse il più possibile, che
può essere anche pari a 5 m. Automaticamente tali elementi speciali tendono ad uscire
dalla classificazione degli elementi speciali di copertura in quanto hanno un nucleo alla
Bredt, con comportamento assimilabile a quello della trave per quanto riguarda una logica
di tipo longitudinale e trasversale. Tali oggetti assumono sostanzialmente due
configurazioni: con la classica lastrina cieca oppure a shed composito (vedi figure)
4.2 ELEMENTI AD Y
L'altezza varia tra i 60cm e gli 85cm e larghezza minore di 125 cm. E' una struttura
molto economica per coperture; è caratterizzata dalla forma a Y più una flangia sotto che
serve per alloggiare i trefoli che le conferiscono la necessaria resistenza. Inoltre permette di
appoggiare l’elemento nelle fasi di posa oltre a poterci appoggiare lastre in modo tale da
permette la realizzazione di un intradosso piano. Con queste lastre si formano inoltre
camere d'aria sulla quale vengono posti uno strato isolante e materassini vari, oltre alla
possibilità del passaggio di impianti. L'isolante mantiene con le lastre inferiori isolato
termicamente l'edificio sotto abitabile.
Guardando tale edificio dall'alto si vedono travi, pilastri, tegoli ed è molto importante
come questi ultimi sono vincolati alla struttura.
In zona sismica c'è da mantenere l'impalcato rigido il più possibile (infinitamente
purtroppo non si riesce) e ho degli elementi rigidi accompagnati a vuoti per creare un
vincolo che sia davvero efficace e dunque tale da contrastare lo spostamento in controfase
dei telai. C'è la possibilità allora per tali strutture di mettere due vincoli, due spinotti, sulla
larghezza del tegolo per creare una coppia per fare funzionare tali elementi come trave nel
piano orizzontale che contrasta il moto avanti e indietro dei pilastri creando un
meccanismo a biella. Oggi è fondamentale che i tegoli siano fatti con delle basi molto alte
per dare un'opportuna coppia. Nella realtà se questi sono tenuti molto stretti sono poco
efficaci ed il momento che l'impalcato conferisce al tegolo consiste in due forze orizzontali
con un braccio molto piccolo e gestibile con molta difficoltà.
Ho degli oggetti dove la possibilità fisica di vincolo è limitata e dunque si è
penalizzati dal punto di vista della rigidezza dell'impalcato. Se l'impalcato non risulta
essere rigido allora è necessaria una verifica di compatibilità geometrica del sistema. Se
anche è slegato ma i conti tornano allora può funzionare solo se ogni compatibilità
geometrica con gli spostamenti sismici agli stati limite ultimi, che sono per altro dell'ordine
di decimetri, sono rispettate.
Sono degli elementi speciali di copertura che possono avere delle luci diverse. Le ali
sono ricurvate verso l'alto per raccogliere l'acqua come per diversi tipi di trave che
funzionano da gronda, ma questi sono tegoli e dunque appoggiano sulle travi.
Viene messa una vite sul vertice in modo tale che con l'impermeabilizzazione si ha la
certezza che se anche ci sono piccoli difetti l'acqua non entra nelle nervature delle lamiere.
Esiste poi la possibilità di avere delle zone opache o con lucernario e poi
impermeabilizzato con delle lamiere.
C'è poi la possibilità di avere un lucernario in policarbonato con il dettaglio della
impermeabilizzazione:
Il problema è il medesimo se si parla delle coperture piane: c'è la necessità di un
muretto nei tegoli per mettere il lucernario. L'impermeabilizzazione deve arrivare fino
sotto il lucernario e sopra viene posta la guaina.
Come già precedentemente detto, è molto importante il dettaglio in testa e coda
dell'infisso. C'è una parte di vuoto per consentire le deformazioni senza danneggiamenti,
dall'altra parte c'è la scossalina con una tasca dove si mette l'infisso e la guaina viene
impaccata sulla scossalina in una certa e determinata posizione. Quello però è un ponte
termico che fa soffrire non poco. Lo shed composito è formato da una lastra piana,
nervature, isolante e un sistema di scossaline con lunghezza tale da permettere all'altro
battente di sovrapporsi e dall'altra parte si ingrandisce per permettere di ospitare l'infisso e
la possibilità di scorrere del policarbonato. Il 33% fino al 50% dei vetri degli shed è
apribile con motorini elettrici.
Ci sono tegoli con luci di 20 m e spessore al massimo 8 cm, con un massimo nella
zona di testata pari a 11cm. È soggetta ad un regime di flessione locale al quale deve
resistere per appoggiare al vincolo oltre ad azioni taglianti globali.
Il regime di membrana fa sì che la resistenza a forze di tipo distribuito sulla
membrana sia altissima, per contro se sollecitata con forze di tipo puntuale allora la
resistenza a tale tipo di sollecitazione è molto bassa. Nasce allora la necessità di selle per
distribuire meglio le reazioni di appoggio.
Sono elementi dalla forma particolare, aventi intradosso piano, caratterizzati da avere
sezione variabile. Questa è uguale alle due estremità, in forma di U molto allargata, e più
alta e stretta in mezzeria dove di modo da aumentare il braccio della coppia interna.
L’andamento è ovviamente rettilineo e la forma del tegolo è generata dalla superficie rigata
che unisce le sezioni di estremità e quella centrale. La forma è tale da ottimizzare le
prestazioni del tegolo che risulta piuttosto performante e anche di un certo pregio estetico.
Grande difetto sta nella difficoltà di realizzazione legata alla particolarità del cassero
nonché alla necessità di ottenere la modularità di dimensioni trasversali e luci.
Esistono poi dei tegoli che sono anche preisolati e impermeabilizzati: una volta
poggiati è dunque finito il montaggio.
Esistono degli altri sistemi per lo smaltimento delle acque. La volontà è quella di
mantenere l'acqua fuori dall'edificio, dunque i sistemi a due pendenze per edifici a due
campate che raccolgono l'acqua in due punti esterni ma inevitabilmente anche in un punto
interno dell'edificio sono decisamente sfavoriti. Ogni qual volta ci sia più di una campata
l'acqua in qualche modo è interna allo stabilimento.
Questo problema viene ben risolto dalla soluzione a copertura piana dove nel caso
delle due campate si ha una piccola inclinazione funzione:
- della controfreccia e della deformata della trave;
- della impermeabilizzazione, ricordando che le guaine abbisognano di pendenze
minime;
- in riferimento al primo punto (visto che controfreccia e deformata hanno valori
trascurabili per le strutture prefabbricate in cls questo fenomeno in realtà per noi è
trascurabile ma per altre strutture non lo è assolutamente) ci sono da evitare
fenomeni di tipo incrementale di freccia e dunque accumulo delle acque in zone
depresse e di avvallamento, detto effetto ponding.
modelli analitici” dunque se si dispone di un campo di utilizzo del tegolo ben preciso è
lecito utilizzare metodi di calcolo tipici del modello trave essendo protetti dagli I.T.C
(Initial Type Computation) che garantiscono la correlazione fra il modello utilizzato ed il
risultato reale. Accanto agli I.T.C c'è l'esigenza di attuare anche gli I.T.T (Initial Type
Test), la coerenza dei risultati forniti da questi due studi iniziali garantisce un margine di
sicurezza nello studio semplificato a trave degli elementi speciali di copertura.
Se ho un tegolo usato in condizioni di carico e luce non così variabili, l'interasse è
quello, ho da rispettare un determinato equilibrio tra economia e statica, l'unica grandezza
sulla quale posso giocare è la luce del tegolo: tra i 18m e la luce massima, salvo casi
straordinari. Ci si rende conto dal punto di vista metodologico che è conveniente effettuare
accurate analisi preliminari, valutando la differenza tra le sollecitazioni “di riferimento”
(ottenute con i modelli accurati” e qulle semplificate. Ci si accorge quindi che se fai
calcolo a trave, si sopravaluta il momento resistente del 15%. Dopo avere sperimentato
tutto il range delle possibili variazioni dimensionali (tipicamente ottenendo funzioni
monotone) si verifica quale è il gap tra il calcolato e il calcolo di riferimento più accurato e
di termina di quando il mio calcolo semplice sottostima/sovrastima le sollecitazioni. Una
volta messi a punto questi incrementi (es, 15%), durante la normale progettazione farò il
calcolo semplificato e moltiplicherò i risultati ottenuti per 0,85 riducendo dunque di quanto
consigliato dalle CNR. Occorre prestare attenzione ad estrapolare i dati al di fuori del
campo di variabilità considerata originariamente.
In ogni caso per tali categorie di elementi i modelli analitici o quelli semplificati a
trave devono essere verificati con prove sperimentali. Le CNR forniscono delle grosse
indicazioni che però non ci esimono dalla pratica sperimentale; ecco perché è necessario
che i modelli siano validati con gli ITT o con gli ITC..
Carichi sull'elemento
La CNR non coglie il problema dei carichi da neve nelle coperture corrugate,
valutando tale carico solo come semplice proiezione verticale con una uniforme
distribuzione senza considerare gli eventuali apporti dovuti al trasporto causato dal vento.
La copertura corrugata viene quindi considerata dalla CNR come piana, mettendo in
difficoltà il progettista che coglie questa palese semplificazione a sfavore di sicurezza.
Se si tiene in conto l’accumulo di neve, invece, si possono avere carichi asimmetrici
su ogni elemento di copertura. Dovranno quindi essere verificate due condizioni di carico
(carico uniforme o asimmetrico) sia per gli S.L.U che S.L.E col fine di valutare ogni
possibile effetto differenziale degli stessi:
Il carico totale (che massimizza il momento flettente)
Il carico eccentrico (che massimizza il momento torcente)
Tolleranze
Lo spessore minimo assoluto di qualunque sezione delle parti strutturali non può
esssre inferiore a . La norma fornisce opportune tabelle di controllo qualità per rispettare le
tolleranze, (spessori, copriferri...), realizzate con due controlli iniziali su almeno due
prototipi all'inizio della produzione.
Per esempio per quanto riguarda la grandezza del nucleo di Bredt, non ci vengono
fornite delle dimensioni che ci dicono fino a che punto il comportamento è assimilabile alla
trave e quando invece è necessario fermarsi.
Per le sezioni di tipo c) a comportamento scatolare iperstatico è prevista una
completa analisi del sistema di lastre inclusiva degli stati flessionali e trasversali dovuti ai
carichi e alla deformazione riferita a modello elastico che convenga il comportamento
flessionale ed estensionale della lastra. In genere ci si rivolge al metodo più generale degli
elementi finiti.
I risultati ottenuti con i modelli analitici sopra citati definiscono la distribuzione delle
azioni interne in termini delle autocomponenti di sforzo della lastra. Indicativamente le
verifiche possono condursi localmente adottando opportunamente i criteri delle piastre
presso e tensioinflesse. Per forme regolari si possono predisporre le formule per il calcolo
del comportamento a trave aggiustandole con i risultati di preventive analisi fatte su
situazioni viste coi precisi modelli analitici. Questa è una procedura che viene spesso usata.
Dal momento che i sistemi di tipo d) (a stella) possono avere elevate deformabilità
torsionali, particolare attenzione deve essere riservata alle verifiche a compatibilità del
modello di calcolo adottato.
La CNR stabilisce che le parti di completamento dei sistemi integrati di tipo f)
necessitano di una sistematica adeguata resistenza di affidabilità e durabilità almeno
comparabile a quella delle parti strutturali.
I sistemi singolari devono contare su apposite indagini analitiche combinate con
prove iniziali su prototipi.
a) Elementi a nucleo. Hanno un nucleo chiuso con dimensione significativa, cioè più
grande rispetto alle dimensioni delle alette. Non hanno grandi problemi nel calcolo.
Il nucleo centrale può essere pieno o scatolare chiuso. Il deflusso delle tensioni
tangenziali si sviluppa per dare resistenza a torsione circolatoria.
a)
Posso indicare t = τ·s, dove s è lo spessore in cui sono presenti le tensioni tangenziali
τ che conferiscono la resistenza ].
b) Anche una sezione di tipo b) ha una certa resistenza: la componente torcente sulla
trave si scompone in una distribuzione tensionale con un verso su un’anima e con
verso opposto sull’altra anima (Biflessione).
b)
Bisogna considerare il fatto che il carico possa essere asimmetrico. Le azioni torcenti
possono essere scomposte in due contrapposte flessioni applicate alle nervature al
fine di avere una resistenza torsionale significativa (in quanto il braccio tra le due
forze che si hanno nelle due nervature è importante). In quel caso sfrutto la
sovrapposizione di 2 carichi che come somma dia quello asimmetrico:
b)
Sistemi scatolari aperti composti da tre o più lastre non convergenti dove gli elementi
scomposti in lastre danno una complessa resistenza alla torsione. Studi di elementi di
tale genere vengono fatti su elementi scomposti in lastre di cui molte sono anche
precompresse. Viene dunque fatto uno studio a lastra e uno studio deformativo
numerico in modo da considerare questo fenomeno.
c)
In questo modo, per l’elemento c), mi nasce un problema di flessione lungo due
piani. Logitudinalmente l’elemento tende a inarcarsi, mentre trasversalmente il carico
fa flettere le alette:
La CNR ci dice che le categorie a), b) e c) possono essere studiate come normali
travi. Nella realtà il comportamento dell'elemento è ragionevolmente simile alla trave. Il
carico asimmentrico dà sollecitazioni di tipo torcente. Un elemento di copertura può essere
pensato come semplicemente appoggiato.
Alla quale può essere applicata la teoria della trave e quindi, ad esempio, la formula
di Navier: σ = N/A ± M/W
La formula di Navier vale in realtà per sezioni compatte ed interamente reagenti.
Questi elementi speciali in c.a. e sottili hanno una sezione che non è compatta ed è noto
che il comportamento del c.a. è non resistente a trazione. Bisogna però dire che queste
sezioni son in c.a. precompresso e che quindi in realtà sono interamente reagenti.
Questo vale anche per la categoria b) nonostante la sezione non sia compatta:
Però, per poter usare Navier, devo anche avere una sezione compatta, quindi
conservazione della sezione piana. Se nei nostri elementi le alette non sono troppo grandi,
allora non si hanno grandi distorsioni della sezione e posso ragionare come se avessi una
sezione compatta quindi posso utilizzare Navier come nel caso di travi classiche: i risultati
andranno confrontati con quelli ottenuti dagli ITT o ITC.
Il tasto dolente è però la torsione. Per gli elementi di tipo a) e b), il problema è
limitato. In c) è un po’ più significativo. Diventa invece un problema preoccupante per la
tipologia d):
d)
Questa è la tipica sezione a stella dove tutte le parti dell’elemento convergono nello
stesso punto.
Per equilibrare un Momento Torcente (Mt) molto elevato c’è necessità o di valori
elevati di t, o di braccio elevato tra le due forze. La tipologia b) era caratterizzata da
una elevata resistenza proprio perché il braccio (B) era grande. Nella tipologia d)
invece, il braccio (b) è ridotto e quindi, per equilibrio, devo avere elevate tensioni
specifiche t. Questo fa capire come questa tipologia non abbia buona resistenza a
torsione ed è da evitare soprattutto elevati valori di carico asimmetrico.
Tipologia b) Tipologia d)
Poi ci sono degli elementi di forme speciali e cioè delle soluzioni singolari non
comprese come le voltine sottili quali le seguenti ultime categorie:
f) Sistemi integrati dove la resistenza della parte strutturale è potenziata dalle parti di
completamento degli elementi non strutturali. È una situazione imbarazzante: è
strutturale ciò che è strutturale alla luce dell’NTC. Tali materiali strutturali sono
catalogati, mentre l'introduzione di un materiale non strutturale prevede uno studio
dettagliato e sperimentale e se mi dicono che è accettabile allora vado avanti. Se non
è presente un attestato che per altro è molto difficile da ottenere allora non lo puoi
considerare nei calcoli.
f)
[ Nota: per le tipologie con sezioni tipo c) e d) possiamo eseguire un’analisi anche
sfruttando il sistema “a lastra”. Lastra = sezione piana con due dimensioni
paragonabili tra loro e spessore molto piccolo.
Pensiamo quindi ad una sezione compatta con sollecitazioni alle estremità:
In una lastra ho due Sforzi Normali, tre Tagli e tre Momenti, quindi 8 componenti. In
ogni faccia ho tre Forze e due Momenti; le forze sono una di Sforzo normale (Nx o
Ny) e due di Taglio: una è il taglio verticale t e l’altra è txy, direzionata lungo lo
spessore della lastra, uguale in tutte le facce per la reciprocità delle tensioni
tangenziali. I momenti flettenti sono Mx e My ed il Momento Torcente Mxy , comune
a tutte le facce.
Pensando al solido di De Saint Venant bisognerebbe vedere cosa succede alla lastra
nel caso di ogni sollecitazione; per risalire al comportamento della lastra dovremmo
risolvere equazioni differenziali fino al quarto grado:
q
4v
B
Eh 3
essendo B
12(1 2 )
T Sx T Sx
t s
Ixs Ix
Adesso è possibile calcolare il Momento trasversale My, partendo dal carico p e dai
tagli specifici t. Si noti che le t equilibrano il carico (sezione è auto equilibrata).
Il comportamento dei due Momenti è del tutto indipendente (in realtà non sarebbe
così, però è una buona approssimazione).
I Momenti trasversali (My) sono molto inferiori rispetto a quelli longitudinali (Mx).
Questo perché Mx = q L2 8 è un valore molto elevato, essendo l compreso tra i 20 e i 30
metri. My è piccolo, ma anche lo spessore della sezione trasversale è piccolo, quindi ho un
braccio della coppia interna piccolo: ecco di solito son costretto a posizionare uno strato di
armatura significativa in grado di reggere a tensioni elevate.
σx = fcd · K
5 PROGETTAZIONE
PROGETTAZIONE 93/102
Appunti di Strutture Prefabbricate - BOZZA 04/06/2010
PROGETTAZIONE 94/102
Appunti di Strutture Prefabbricate - BOZZA 04/06/2010
5.1.1 Conclusione
I parametri progettuali sono talmente interconnessi fra loro da rendere la traduzione
architettonica in realtà costruibile molto complessa, spesso insolubile se si tenta di
massimizzare ogni singolo parametro, è dunque necessario giungere ad un compromesso
progettuale, analizzando l'edificio nella sua totalità ed adottando la combinazione più
vantaggiosa. Il processo di traduzione, per quanto detto, non può che essere iterativo ma
anche interattivo, per via della pluralità dei soggetti coinvolti).
PROGETTAZIONE 95/102
Appunti di Strutture Prefabbricate - BOZZA 04/06/2010
metro di giudizio). Il controllo degli elaborati grafici, matrici sulle quali verrà
“stampato” l'edificio è di importanza cruciale.
PROGETTAZIONE 96/102
Appunti di Strutture Prefabbricate - BOZZA 04/06/2010
6 FASI TRANSITORIE
Esempio di reazione mutua: mensola tozza con carico centrato q, tolleranze connesse
alla produzione o al montaggio. Può essere che la mensola tozza non risulti verificata,
anche se prima lo era per il carico centrato.
se il pilastro fosse stato posto anche di soli 2 cm più indietro, R sarebbe spostata
Esiste una prescrizione degli USA, presente oggi anche nelle CNR italiane, per cui è
stata introdotta una forza H orizzontale minima per il carico q, per problemi di ritiro.
Trave, vincolo, forza verticale V e problemi di ritiro che fanno nascere azioni che
considero pari al 10 % di V ( negli USA H = 20 % V ) .
2- il getto viene realizzato come nel metodo precedente, tuttavia il banco è dotato di
un sistema di cilindri, pistoni e cannocchiale che lo ruotano e lo alzano.
Scassero.
Fase fondamentale, delicata in cui il progettista deve indicare le resistenze minime
che vuole dal calcestruzzo. Il progettista di prefabbricati non si limita a dire la resistenza a
compressione del calcestruzzo dopo 28 gg, ma deve dire anche le resistenze tra getto e
scassero. Il pannello nasce orizzontale poi lo si appende per due punti, così che risulti
fortemente sollecitato. Se è precompresso, vengono su di esso scaricate tonnellate di
precompressione.
Esistono dei DM che prevedono precise verifiche per la precompressione, poiché è il
momento in cui l'oggetto potrebbe stare peggio.
CNR 10025/98 in vigore: “le casseforme non dovranno essere rimosse fino a quando
la resistenza del calcestruzzo non sarà adeguata in modo tale da:
- evitare danni alle superfici e il distacco delle parti più fragili del calcestruzzo, come
spigoli e sporgenze (esempio del tegolo precompresso a TT: quando la
precompressione agisce, il manufatto tende ad inarcarsi verso l'alto e si appoggia sul
cassero in due punti. In questi due punti, se non sono presenti dei particolari
accorgimenti, il calcestruzzo si danneggia
CNR 10025/84 vecchia norma: aggiungeva, rispetto quella attualmente cogente, che
le forze di aderenza allo stampo potessero raggiungere i 4 kN/mq (valore elevatissimo) .
Montaggio, assemblaggio
Bisogna verificare il pezzo per tutte le posizioni possibili; il progettista deve quindi
prevedere le condizioni peggiori per dominare a statica dell'elemento prefabbricato.
DM 1987: posa e regolazione degli elementi prefabbricati:
- bisogna ridurre le sollecitazioni dinamiche conseguenti al movimento degli elementi
(quel prima citato 1.15 può risultare un valore troppo piccolo )
- i dispositivi di regolazione devono consentire il rispetto delle tolleranze del progetto,
sia di quelle di produzione dei singoli elementi che di quelle di esecuzione delle
unioni.
Dispositivi di regolazione :dispositivi di cui sono dotate ad esempio le mensole, che
permettono di regolarne la giusta posizione.
NTC ( DM 14/01/2008 ) : sono norme più concise, è maggiore il grado di sintesi
il componente prefabbricato deve garantire sicurezza e prestazione sia come singolo
nelle fasi transitorie, sia come più complesso elemento strutturale una volta installato in
opera
le verifiche del componente vanno fatte con riferimento al livello di maturazione e di
resistenza raggiunto
Questi due concetti riassumono quanto più dettagliatamente trattato dalle vecchie
normative.