Via Crucis

La obra impresa "Crucificatur", integración de gráfica y poesía, del artista italo-costarricense Alvaro Bracci (n. 1948), inspirada en su conocida serie de quince pinturas de gran formato sobre el vía crucis, de 1987, ha visto la luz coincidentemente con una pandemia global que ha llevado a la humanidad a reconocer su vulnerabilidad y dependencia.
El crítico de arte, Juan Carlos Flores Zúñiga, ofrece una lectura estética alternativa a esta innovadora publicación, en la nueva edición de Ars Kriterion E-Zine, sobre lo que significa la encarnación de Dios hecho hombre mediante Jesús en un contexto plástico y poético como el que ofrece Bracci y el cambio de paradigma crítico hacia una teología de la producción artística.

Two manuscripts from the late 15th or early 16th centuries, now at the convent's archive, Hss. 85 and 86, lead the nun of Wienhausen through a route of eleven circuit-stations, starting and ending at the Nuns’ Choir.
The presentation first discussed these texts, and then described the circuits together with related artworks from the convent such as Christ Bearing the Cross, Christ's Sarcophagus and Effigy, Pilgrims’ Tokens of the Holy Face and others.
The manuscripts of the circuits at Wienhausen are of crucial importance, and may indicate the customs practiced in other convents in the area. This line of study can be pursued based on analysis of similar artwork in other convents.

Between Jerusalem and Europe: Essays in Honour of Bianca Kühnel analyses how Jerusalem is translated into the visual and material culture of medieval, early modern and contemporary Europe, and in what ways European encounters with the city have shaped its holy sites. The volume also demonstrates methodological shifts in the study of Jerusalem in Western art by mapping the diversity of concepts that underlie imaginations of the city as an earthly presence and a heavenly realization, as a physical and a mental space, and as a unique location which is multiplied and re-imagined in numerous copies elsewhere.
Contributors are Lily Arad, Pnina Arad, Barbara Baert, Neta B. Bodner, Iris Gerlitz, Anastasia Keshman Wasserman, Katrin Kogman-Appel, Ora Limor, Galit Noga-Banai, Robert Ousterhout, Yamit Rachman-Schrire, Bruno Reudenbach, Alessandro Scafi, Tsafra Siew, and Victor I. Stoichita.

Considerazioni, corredate dalle immagini di Carmine Marinaro, sull’avvenimento più toccante della religiosità popolare a Campobasso: l'imponente processione del Venerdì Santo, che si snoda sulle note del “Teco vorrei, o Signore”, l’inno di Michele De Nigris su versi del Metastasio, cantato da un coro di circa settecento elementi. La composizione struggente, di rara potenza, ha forte impatto emotivo sia sui coristi che sulla cittadinanza, soggiogata dai toni drammatici della introduzione eseguita dalla banda, dal vigore del canto, dal lugubre corteo dei cantori, maschi e femmine, tutti rigorosamente vestiti di nero...

El presente libro compila una serie de trabajos inéditos que, como se explica en su prólogo, fue objeto de un arbitraje ciego externo, llevado a cabo a través del Comité científico del Congreso Calle de la Amargura © Reservados todos los derechos. Este libro no puede ser reproducido ni total ni parcialmente sin permiso escrito. Copyright de los textos y de las fotos: sus autores, a no ser que se indique.

En Quebrada de Humahuaca (Jujuy, Argentina), se conoce con el nombre de ermitas a los objetos plásticos de carácter efímero que se crean cada año en localidades como Tilcara o Maimará, para oficiar como las catorce estaciones del Vía Crucis que conmemora el camino de Cristo con la cruz. En el caso tilcareño, las ermitas son elaboradas artesanalmente y de manera colectiva por distintas familias e instituciones locales  con elementos de la naturaleza como flores, semillas, arcillas, cortezas de árboles.
En este artículo abordamos el estudio de estos objetos plásticos y devocionales a partir de tres nodos. En el primer apartado caracterizamos su devenir, deteniéndonos en los principales cambios formales y técnicos acontecidos desde su aparición en 1885 hasta la actualidad. En el segundo apartado analizamos el rol de las ermitas en los procesos de construcción de memoria e identidad, a partir de dos casos de estudio en los que los motivos representados en ellas se corren de la iconografía pasionaria para poner en escena devociones locales, como la Virgen del Abra de Punta Corral y el Cristo guerrillero. Por último, en el tercer apartado inscribimos la celebración del Vía Crucis en el calendario productivo de la región para estudiar la integración de las liturgias cristiana y andina, y el modo en que se expresa en la materialidad de las ermitas.

This paper focuses on the Via Crucis tradition and its artworks in the Philippines, during the Spanish, American and post-war years. The paper starts with a history of the Via Crucis tradition in Philippine context, followed by its different typologies applied across several geographical locations, as well as highlights on several unique and interesting features and histories on select collections. The paper also briefly states a few observations of the changes of the Via Crucis tradition in recent times, and makes a number of recommendations for further research and documentation of the Via Crucis as an artform and as a practice.

• Nel mio lavoro di tesi ho preso in esame il Camin de la Crous, meditazione poetica sulla via crucis del poeta provenzale Mas–Felipe Delavouët (Marsiglia 1920 – Grans 1990).
Terminato nel 1964 venne messo alle stampe nel 1966 a tiratura limitata (115 copie) per la collezione del Bayle–Vert, curata dal poeta stesso.
Successivamente venne ristampato, nel 1971, all’interno del secondo dei cinque volumi che formano Pouèmo, unica e organica collezione poetica (o, potremmo dire, poema unico di vita) in cui l’autore tra il 1971 e il 1991 raccolse molti testi elaborati e pubblicati precedentemente affiancati da nuove opere.

• All’interno della ristampa di Pouèmo II, il Camin de la Crous si inserisce dentro una sottostruttura più articolata intitolata Triptyque dòu marrit tems (Trittico del cattivo tempo), un trittico letterario di cui il Camin occupa la prima parte (seguito da Pèiro escricho de la Roso – Pietra scritta della Rosa – e dall’Istòri dóu Rèi mort qu’anavo à la desciso – Storia del Re morto che discese il fiume).
Lo studioso William Calin, in una rilettura di Pouèmo, ha avanzato l’ipotesi che questo trittico, cuore pulsante dell’intera opera di Delavouët, prenda spunto dalla vita di Gesù. Infatti il Camin, prima parte del trittico, rappresenterebbe l’autunno narrando le vicende del Re-Cristo sulla croce; la seconda parte coinciderebbe quindi con l’inverno, trattando della morte del Re; la terza sezione infine simboleggerebbe la Pasqua e la rinascita, quindi la primavera, riportando l’immagine del re che discende in una notte il fiume. Tuttavia la figura del Re protagonista del Camin e di questo trittico rimane per volontà dell’autore, ambigua, lasciando spalancata al lettore ogni possibilità di interpretazione.

• A introdurre un’analisi e un commento approfonditi del testo dell’opera di cui si offre, in questa sede, una prima proposta di traduzione in italiano, è un breve capitolo di sintesi sulla presenza dei motivi della Passione di Cristo nella letteratura occitana (e nell’area romanza), dal Medioevo al Novecento di Sola Deitas, complesso esordio poetico del 1962 del sacerdote e poeta mistico e rivoluzionario Joan Larzac, nonché primo esemplare rinvenuto di via crucis poetica Novecentesca in occitano, qui tradotta per la prima volta.


• L’analisi del Camin de la Crous è risultata arricchita dal confronto con il Camin de la Crous de Gardian, un’analoga via crucis, ma concettualmente più semplice, scritta sempre da Delavouët nel 1979 per assecondare le richieste di Daniel Campiano, parroco di Salin–de–Giraud, che desiderava realizzare per i gardians (i noti mandriani della Camargue) della sua parrocchia una via crucis per il Venerdì Santo.
Pur presentando somiglianze con l’opera maggiore, il Camin di Gardian, di cui si propone la prima traduzione integrale, si caratterizza necessariamente per una maggiore immediatezza, per temi e lessico semplici, comuni e legati all’orbe bucolico dei gardian, per una forma poetica breve che si adatti alla semplicità e alla spontaneità dei mandriani anche perché il testo, destinato a essere letto in processione, doveva essere più pragmatico e armonizzarsi con l’ambientazione rurale circostante della Camargue.

• Ritornando al Camin de la Crous, l’opera, in quattordici stazioni di tre strofe da sei versi [i primi quattro alessandrini (ABAB) il quinto un ottasillabo (C) e il sesto nuovamente alessandrino], ripercorre, con un’implicita voce narrativa, le vicende della condanna e della morte del Re-Cristo in un testo dal tono solenne e asciutto che, se da un lato lascia poco spazio all’emozione o a artifici retorici, dall’altro si carica di un forte simbolismo testimoniato dalla costellazione di immagini che popolano gli alessandrini e in cui è stato possibile rinvenire anche molteplici riferimenti biblici, patristici e mitologici.

• In questa selva di simboli metaforici e allegorici l’immagine dell’albero riveste un’importanza simbolica e una presenza (29 occorrenze) particolare rispetto alle altre.
Nella poetica di Delavouët l’albero, sintesi del mondo vegetale, simboleggia, nell’intreccio delle sue radici e dei suoi rami, tutte le genealogie umane e, dando a vedere la successione delle stagioni, permette all’uomo di comprendere il ciclo dell’esistenza universale.
Il tronco è per Delavouët un ponte vivente tra forze solari e terra sottostante, un vettore di comunicazione cosmica cielo–terra che coinvolge l’umanità fin da Adamo e che proprio con quest’ultimo si è compromessa.
Il senso e il culmine del Camin doloroso sta allora nella progressiva identificazione e poi simbiotica trasformazione del Re-Cristo morente e della croce, rispettivamente da albero vivo a legna e viceversa, ricomponendo, in questa metamorfosi, la frattura creatasi tra cosmo-cielo e terra con Adamo e l’albero della conoscenza.

The essay presents an unknown Via Crucis preserved in the Church of Saint Francis in Sarnano, one of the most ancient settlements of the Order of the Franciscans in the Marche Region, which became the property of the Order of the Philippines in 1820. The series is composed of 14 small paintings on canvas and they are attributed to the painter Cristoforo Unterperger (Cavalese/Tn, 1732 – Rome, 1798) through the analogy that we can see between two of his paintings, the Flagellation of Christ and the Agony in the garden, now in the Civic Art Gallery “Fortunato Duranti” in Montefortino. In the text is examined the series Via Crucis in correlation with the other works by Cristoforo Unterperger, artist who was mainly active in Rome, and also identify some important people perhaps implicated in the acquisition, Ignazio Cantalamessa (Ascoli Piceno, 1796 – 1855), the architect who restored the church of Saint Francis, and the artist and collector Fortunato Duranti (Montefortino, 1787-1863).

El Vía Crucis es el recorrido de Cristo hacia el Monte Calvario cargado de su cruz. La recreación de este camino tenía como propósito recordar a los fieles los últimos momentos de la vida de Cristo y su significado. En la ciudad de México, a finales del siglo XVII, se construyeron capillas del Vía Crucis a modo de peregrinaje de sustitución, pues los viajes a Tierra Santa suponían varias dificultades.
A través de una reconstrucción visual y documental, "Las capillas del Vía Crucis de la ciudad de México", tiene por objetivo recrear el contexto en que nacieron, existieron y desaparecieron estas edificaciones, cubriendo desde finales del siglo XVII hasta mediados del siglo XIX. Este libro contribuye a un mejor entendimiento no sólo de la devoción, sino del patrocinio del Vía Crucis en Nueva España, pues examina la labor de la tercera orden de San Francisco como actor fundamental para este ejercicio piadoso en la ciudad de México.

Se entiende, tradicionalmente, por Vía Crucis el camino recorrido por Cristo después de la sentencia de Pilatos, hasta llegar al Monte Calvario, donde ocurrió su crucifixión, muerte y sepultura. Este trayecto lo hizo Cristo cargando su cruz y literalmente es lo que Vía Crucis significa: el camino de la Cruz. En este ensayo pretendo dar un esbozo de lo que implicaba para el devoto de la Nueva España andar o hacer el Vía Crucis, a través de una revisión de devocionarios, tanto europeos como novohispanos. También estudiaré el ejemplo de las capillas que se levantaron en la ciudad de México a finales del siglo XVII, para detenerme en un mecenas particular que participó en esta empresa: Domingo Ferral, mercader de origen español, comerciante con Filipinas. Con la ayuda de los documentos de primera mano, pude elaborar sobre su motivación al aportar recursos para la construcción y ornamentación de las capillas. Si bien no fue el único mecenas del Vía Crucis, su participación fue ejemplar por las cantidades aportadas y proyectadas.

This article studies the Passion series of New Spanish painter José de Alcíbar (active 1751-1803), which is now preserved in the Museo de Arte Sacro, Chihuahua, Mexico. Signed and dated in 1776, the series is constituted of 14 large canvases. However, from an inventory of 1801 of the goods belonging to the parish church of Chihuahua (now the cathedral), it is believed this series originally had 15 canvases, and was hung in the nave of the church. The series is quite singular for different reasons. First of all, in the less glorious moment of the city was the series patronized to one of the most famous painter in the Viceroyalty. Also, the iconography of the paintings is quite complex. Although one canvas seems to be missing from the original series, all of the remaining canvases have two, and sometimes three, secondary scenes. The purpose of the article is to analyze this important series and try to understand how it functioned from the inside and the outside: how it should be read and how it is related to some pious exercises realized within the church.

Este volumen habla de cómo en 1651 una idea produjo un libro, las "Estaciones del Ermitaño de Cristo", el cual contenía un grabado. Luego esa misma idea -ya en forma de libro-, llegó al Convento de Carmelitas Descalzos del Desierto de Las Palmas (Benicàssim, Castellón) a inicios del s. XVIII y debió gustar tanto a los religiosos que produjo lo que el autor ha denominado una «cadena temática» y, así, a lo largo de la primera mitad del s. XVIII, fueron apareciendo diversos elementos artísticos y arquitectónicos: un segundo grabado, unos cuadros (7+1), unas cerámicas (7+1) producidas en la Real Fábrica de Alcora, del Conde de Aranda, que fueron colocadas en unos pilares (7+1) devocionales y una capilla, construidos para tal fin e insertados en un muro, a la derecha del camino de entrada al convento antiguo del Desierto.
La labor del autor ha sido investigar y recopilar todos los datos disponibles respecto del patrimonio de las Estaciones del Ermitaño de Cristo, localizar lo que se hallaba perdido e interpretar todo el conjunto, estableciendo un diálogo interdisciplinar entre la espiritualidad, la literatura, el arte y la arquitectura, en clave de relatos históricos, de descripciones del presente y de propuestas de futuro.

Montoro, localidad de la provincia de Córdoba, ha sido uno de los pueblos cuya identidad permaneció prácticamente inalterable hasta la década de los noventa del siglo XX, donde grandes inversores avaros y políticos sin ningún tipo de apego al Conjunto Histórico Artístico hicieron que se perdieran, se expoliaran y destrozaran grandes complejos de casas señoriales, escudos heráldicos y lugares de gran interés arqueológico. No obstante en el entramado urbano aún se pueden contemplar retazos de lo que un día impregnó de religiosidad la sociedad pasada, observándose en la localidad algunas tallas y reminiscencias artísticas que nos remontan a otras épocas.

carlo pulsoni • enrico pulsoni • matteo sommacal mortis humana via aguaplano isbn/ean: 978-88-905726-2-3 Per questa edizione: copyright © 2011 by aguaplano-Officina del libro, Passignano s.T., Perugia. Tutti i diritti riservati. La riproduzione dell'opera è possibile nei limiti fissati nell'accordo del 18 dicembre 2000 fra s.i.a.e., a.i.e., s.n.s. e c.n.a., confartigianato, c.a.s.a., confcommercio, ora integrato dall'accordo del novembre 2005, per la riproduzione a pagamento, a uso personale, dei libri fino a un massimo del 15%, nell'ambito dell'art. 69, co. 4 legge cit. Finito di stampare nel mese di febbraio 2011 da Grafiche VD, città di castello (Perugia). www.aguaplano.eu / [email protected] Proprietà letteraria e artistica degli autori. Progetto grafico del libro: Raffaele Marciano Stampato su carta «Arcoprint Edizioni» 140 g Composto in caratteri Bodoni, Helvetica, Times Chiuso in redazione il giorno di san Tarasio patriarca di Costantinopoli m • h • v 10

TABLE OF CONTENTS

1. HANDEL – MALGOIRE – AGRIPPINA – ENGLISH
2. HANDEL – MALGOIRE – AGRIPPINA – FRENCH/FRANÇAIS
3. PHILIPPE JAROUSSKY – STABAT MATER, MOTETS TO THE VIRGIN MARY
4. PHLIPPE JAROUSSKY – CALDARA IN VIENNA – FORGOTTEN CASTRATO ARIAS
5. PHILIPPE JAROUSSKY – NURIA RIAL – BARBARY FURTUNA – L’ARPEGGIATA – CHRISTINA PLUHAR – VIA CRUCIS
6. PHILIPPE JAROUSSKY, FOR THOSE WHO LIKE ALTO VOICES, PROBABLY ONE OF THE BEST EVER
by Jacques Coulardeau on Thursday, September 22, 2011 at 9:18pm
Your note has been created on https://www.facebook.com/jacques.coulardeau
7. PHILIPPE JAROUSSKY – JEAN-CHRISTOPHE SPINOSI – VIVALDI – HEROES
8. PHILIPPE JARROUSKY – VIVALDI – VIRTUOSO CANTATAS
9. PHILIPPE JAROUSSKY – UN CONCERT POUR MAZARIN
10. PAAVO JÄRVI – GABRIEL FAuRÉ – REQUIEM & AL
11. PHILIPPE JAROUSSKY – JEAN-CHRISTOPHE SPINOSI – VIVALDI – NISI DOMINUS & STABAT MATER
12. VIVALDI – LA FIDA NINFA – SANDRINE PIAU – PHILIPPE JAROUSSKY
13. VIVALDI – JAROUSSKY – LEMIEUX – ORLANDO FURIOSO
14. VIVALDI – SPINOSI – MATHEUS
15. PHILIPPE JAROUSSKY - OPIUM
16. JOHANN CHRISTIAN BACH – PHILIPPE JAROUSSKY
17. https://www.facebook.com/note.php?note_id=10150499239365278
VIVALDI MEETS JAROUSSKY AND A FEW OTHERS. ALL IN ITALIAN AND THE NOTE IN FRANÇAIS
by Jacques Coulardeau on Sunday, October 23, 2011 at 11:23pm
18. VIVALDI – CONCERTI PER FLAUTINO E ARCHI
19. VIVALDI – ERCOLE SUL TERMODONTE – PHILIPPE JAROUSSKY
20. LE CONCERT D’ASTRÉE – EMMANUELLE HAÏM – UNE FËTE BAROQUE
21. PHILIPPE JAROUSSKY - MAX EMMANUEL CENCIC – DUETTI
22. L’ARPEGGIATA – PHILIPPE JAROUSSKY – LOS PAJAROS PERDIDOS
23. HANDEL – FARAMONDO – MAX EMMANUEL CENCIC (FARAMONDO) – PHILIPPE JAROUSSKY (ADOLFO) – XAVIER SABATA (GERNANDO) – TERRY WEY (CHILDERICO) – LUGANO RADIO SVIZZERA 2008

Traduzione a cura di Danielle Rossi dell’ articolo “Living the Stations of the Cross,” Pastoral Liturgy¸ (January/February 2015), 9-10.
Si trova in Filo Amigo Marzo 2018 della Fraternità Francescana Secolare di Baccanello- Piazza San Francesco- Calusco d’Adda Bg

The Sanctuary of the Via Crucis of Cerveno is a devotional ensemble built from the second half of the eighteenth century onwards. The last station the XIV was only transformed and completed between 1869-1870. Various studies have been conducted on the sanctuary, but mostly are on the statues in the chapels. There is no comprehensive analysis of the decorative complex apparatus of the sanctuary. The present study tries to propose a synthesis of the historiographical issues with the intention of laying the foundation for a more specific and comprehensive analysis. This text focuses mainly on the images painted by Giuliano Volpi in the last station. Some general reflections on the Sanctuary and clarifications compared to previous studies are presented.

Traduzione ed edizione italiana di: «Uma Via-sacra da pandemia»

Questa meditazione del teologo portoghese Alexandre Palma è, allo stesso tempo, un testo letterario e un piccolo saggio teologico in cui Gesù percorre una dopo l’altra le tappe della Via Crucis di un malato di Covid-19. La forza delle parole è accompagnata dalla potenza di immagini scabre, opera dell'artista Adrian Paci, che ci restituiscono l'umano, soprattutto quando si rivela nella sua fragilità. Uno sguardo cristiano sul cammino di sofferenza affrontato da tanti malati. Una meditazione che ci avvicina al lutto di quanti hanno perso i propri cari in questi giorni e che esprime, in modo efficace, come la solidarietà redentrice di Gesù accompagni l’essere umano, qualunque sia la situazione in cui si trova.

PONENCIA.
[Introducción], p. 35.
1. Los Carmelitas Descalzos en Tortosa (desde 1590 a 1835), p. 36.
2. Demarcaciones: diócesis de Tortosa, provincia de Castellón (1789, 1833), baronía de Benicasim (1790), pp. 36-40.
3. El Convento de Carmelitas Descalzos del Desierto de Las Palmas (1694), pp. 40-46.
4. Los frailes del Desierto ante el cólera de Tortosa (1821), pp. 47-54.
4.1. El P. Mariano de Santa Teresa (1745-1821), pp. 47-54.
a) Necrológica del P. Mariano de Santa Teresa, pp. 48-52.
b) Necrológica del P. Manuel de la Santísima Trinidad, compañero del P. Mariano en Tortosa, pp. 52-54.
5. Los frailes del Desierto ante el cólera en Castellón y Benicasim (1834-92), pp. 54-55.
6. Las no-desamortizaciones del Desierto de Las Palmas, pp. 56-65.
6.1. Causas, pp. 56-57.
6.2. Situación, pp. 57-65.
7. Enrique de Ossó conoce el Desierto de Las Palmas (1859-60), pp. 65-78.
7.1. San Enrique de Ossó y el Desierto de Las Palmas (1860-1895). 1ª parte, pp. 66-78.
8. La Casa de Ejercicios del Desierto de Las Palmas, pp. 79-85.
9. Unión de las Congregaciones Española e Italiana OCD y el Desierto (1876), pp. 86-134.
9.1. San Enrique de Ossó y el Desierto de Las Palmas (1860-1895). 2ª parte, pp. 101-126.
9.2. Enrique de Ossó y el Desierto de Las Palmas (1860-1895). 3ª parte, pp. 127-134.

Este volumen habla de cómo en 1651 una idea produjo un libro, las "Estaciones del Ermitaño de Cristo", el cual contenía un grabado. Luego esa misma idea -ya en forma de libro-, llegó al Convento de Carmelitas Descalzos del Desierto de Las Palmas (Benicàssim, Castellón) a inicios del s. XVIII y debió gustar tanto a los religiosos que produjo lo que el autor ha denominado una «cadena temática» y, así, a lo largo de la primera mitad del s. XVIII, fueron apareciendo diversos elementos artísticos y arquitectónicos: un segundo grabado, unos cuadros (7+1), unas cerámicas (7+1) producidas en la Real Fábrica de Alcora, del Conde de Aranda, que fueron colocadas en unos pilares (7+1) devocionales y una capilla, construidos para tal fin e insertados en un muro, a la derecha del camino de entrada al convento antiguo del Desierto.
La labor del autor ha sido investigar y recopilar todos los datos disponibles respecto del patrimonio de las Estaciones del Ermitaño de Cristo, localizar lo que se hallaba perdido e interpretar todo el conjunto, estableciendo un diálogo interdisciplinar entre la espiritualidad, la literatura, el arte y la arquitectura, en clave de relatos históricos, de descripciones del presente y de propuestas de futuro.

Uno Stato può arrivare al punto da soffocare l'individuo. Uno stato può trasformarsi in una dittatura tanto oppressiva da spingere l'uomo alla ribellione. Ma la vera ribellione ha una sua strada da percorrere prima di affiorare. Una ribellione ha bisogno di una forma nuova di coscienza, che può prendere la forma di un sentiero di foresta da percorrere fino in fondo per arrivare al cuore della foresta. Ecco che allora nasce questa forma interiore di ribellione in un individuo isolato e dislocato in una parte del mondo in cui non può contare appoggi e aiuto alla sua resistenza ma può solo dar seguito alla sua ribellione pensandola come  una via crucis, che si snoda in XIV Stationes e lo porta a una definitiva resurrezione "come tigre che sbuchi dal nulla".

L’articolo mira a ricostruire il legame più che trentennale tra il giornalista e pittore genovese Paolo de Gaufridy e la Via Crucis di Gaetano Previati, nato dalla convinzione che l’opera potesse essere considerata il principale veicolo di una nuova arte religiosa moderna. Grazie allo spoglio del carteggio tra lo scrittore genovese e il critico d’arte Ugo Ojetti conservato presso la Galleria Nazionale di Roma, è stato possibile ricostruire le vicende di un progetto per l’acquisto delle 14 tele da parte della municipalità di Genova, per il quale De Gaufridy giunse a stipulare un contratto personale con il gallerista Alberto Grubicy al fine di ottenere l’esclusiva sulla vendita dell’opera. Nonostante il fallimento delle trattative, de Gaufridy continuò ad interessarsi alle esposizioni della Via Crucis sino agli anni ’50, promuovendo incessantemente la conoscenza e la visibilità dell’opera tra Genova e Milano.

This contribution aims at reconstructing the thirty-year link between Paolo de Gaufridy, journalist and art critic of Genoese adoption, and the Via Crucis by Gaetano Previati. A relationship formed around 1907 which continued until at least 1947, springing from the conviction that the work could be considered the principal vehicle of a new period of modern religious art, not only in Geneva, but nationally. Thanks to examination of the exchange of correspondence between the Genoese journalist and the art critic, Ugo Ojetti, now conserved in the Historic Archive of the National Gallery in Rome, it has been possible to detail clearly the circumstances of a project for the purchase of the fourteen Stations of the Via Crucis by the Municipality of Genova, for which De Gaufridy reached the stipulation of a personal contract with the gallery owner, Alberto Grubicy, aimed at obtaining exclusive intermediation on the sale of the work. Notwithstanding the failure of the deal, de Gaufridy continued to interest himself in the destiny and exhibition of the Via Crucis, as well as writing about it extensively in the Press throughout his career, promoting incessantly knowledge of where it was to be seen. The case also appears to have been an interesting episode in relation to the development of the early 19th century debate concerning a renewal of religious art.

Il saggio prende in analisi Baal (1918), l’opera prima del giovanissimo Bertolt Brecht che, seppur cronologicamente identificabile con l’espressionismo tedesco, o con la fine dello stesso, è vera e propria cesura con l’avanguardia stessa. Focalizzando l'interesse verso la genesi dell'opera che appare strutturata attraverso un intreccio di rimandi letterari e non, dai quali fuoriesce un nuovo tipo di individuo, in bilico tra il mondo spazzato via dalla guerra, che mai più ritornerà, e il mondo del capitalismo che si insinua nel ventre della vita tedesca ed europea, il percorso che Brecht fa percorrere alla sua prima creatura teatrale è, quindi, una vera e propria via crucis sempre tendente a quell’asocialità caratterizzante la biografia drammatica di un uomo che ha vissuto veramente e che è pervaso da un atteggiamento nichilista.

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I Stazione.
Iniquum iudicium ille subiit. Fu un attimo. La testa girò. La luce si spense. Fu inconsapevole. Cadde per terra. Provò a rialzarsi. Qualcosa non lo permetteva. Lo teneva inchiodato a terra. La gamba non si muoveva. Era morta. Alzò gli occhi verso l'acquaio dove prima lavava i piatti. Dal pavimento ove era disteso, guardandolo, gli sembrò così lontano e inarrivabile. Seppe. Seppe, che da quel giorno la vita non sarebbe più vita. Seppe, che le gambe non lo avrebbero più portato. Seppe, che non sarebbe più stato Silvano. Qualcosa di simile, forse, ma non più Silvano. Silvano era finito. E per sempre.
Domine, clamor meus ad te veniat.

II Stazione
Ave Rex noster. Fu posto su un alto letto ut agnus mansuetus. Dopo l'ictus, attaccato alla cannula di una flebo. Un tubo di plastica fuoriusciva dalla punta del pene e terminava in una sacca, dove confluivano i liquidi torbi delle urine.
Domine, clamor meus ad te veniat.

III Stazione
Veniva pulito, rivoltato. Nettato degli escrementi che produceva. Veniva invaso pubblicamente da mani estranee che si occupavano del suo corpo, che fino a quel giorno era stato suo e solo suo. Che fino a quel giorno aveva mantenuto privato e suo.
Domine, clamor meus ad te veniat.

IV Stazione
Davanti a quel talamo alto, circondato da sponde laterali protettive, si rivelarono i molti pensieri dei cuori di chi innanzi vi passava e a lui si appressava. Al suo cospetto si rivelava il mondo come mai prima. E conobbe Silvano il cuore della gente. Quello vero. E conturbate furono le viscera sue.
Domine, clamor meus ad te veniat.

V Stazione
Fu coatto allora al suo servizio il figlio. Il Caino. L'abietto. E lo puliva imprecando. Lo nutriva urlando. Gli sedeva vicino disperando. Ma Silvano conosceva i cuori dall'alto di quel letto che lo aveva reso immacolato, e ora divenuto la croce che quel figlio aiutava a portare. E nei pochi momenti di lucida follia, amò quel figlio, che mai dormiva, che mai riposava, che viveva votato ai bisogni senza fine del suo corpo infermo.
Domine, clamor meus ad te veniat.