Giovanni Mascia
Giovanni Mascia (Toro 1952), studioso di storia, letteratura, dialetto e tradizioni popolari del Molise, ha firmato articoli e saggi su periodici e riviste specializzate. Insieme a Michele Tuono nel 1998 ha fondato e animato la rivista «Sannitica».
Ha pubblicato i seguenti volumi:
- la versione italiana del saggio storico di Evelyn Jamison, L’amministrazione della contea del Molise nel XII e XIII secolo, «Samnium» Gen. - Dic. 1991, Benevento 1992;
- 'A tavele de Ture (La tavola di Toro) - reperti dialettali di una comunità molisana, Editrice Lampo, Campobasso 1994.
- La chiesa del Santissimo Salvatore a Toro, Editrice Lampo, Campobasso 1997.
- Le tenebre nel Molise. Liturgia, lessico e folclore di un antico rituale di Pasqua, Palladino editore, Campobasso 2001.
- Affreschi per il papa. Arte, fede e storia nel chiostro e nel convento di Toro, Palladino Editore, Campobasso 2008.
- Tra Oratino e Arcadia. Giorgio Gizzarone, poeta del Seicento, Regia Edizioni, Campobasso 2012 [in collaborazione con Dante Gentile Lorusso].
- Appunti d'arte e di storia a San Giovanni in Galdo. Sulle tracce de cardinale Orsini, abate di Santa Sofia, Arcivescovo di Benevento e Papa Benedetto XIII Palladino Editore, Campobasso 2017
- Toro in cartolina. Quando saluti e baci viaggiavano per Posta, Editrice Lampo, Ripalimosani 2021 [in collaborazione con Stefano Vannozzi]
- Il Poeta del Molise. Vita e opere di Nicola Iacobacci, Editrice Lampo, Ripalimosani 2021 [in collaborazione con Michele Castelli]
- Il vescovo ritrovato. P. Beniamino da San Giovanni in Galdo vicario apostolico in Cina (1843-1888), Palladino editore. Ripalimosani 2022
Ha curato:
- l’edizione scolastica del romanzo di Nicola Iacobacci, Hàmichel , Marinelli, Isernia 1995; tradotta in spagnolo e pubblicata in Venezuela a cura di Michele Castelli, Once Editorial, Caracas 2007.
- la ristampa del romanzo di Felice Del Vecchio, La chiesa di Canneto, Edizioni Enne, Campobasso 1997 (1^ edizione Einaudi 1957, Premio Viareggio Opera Prima).
- la versione italiana del romanzo di Michele Castelli, C’era una volte... Giuseppe, in AA.VV., In nome del padre, Iannone Editore, Isernia 2000.
- la versione italiana dell’autobiografia di Michele Castelli, Cuentos de mi vida, in corso di stampa.
Ha collaborato inoltre a:
- Michele Castelli, Il lessico santacrocese (dialetto molisano), Once Editorial, Caracas 1996 (ristampa Edizioni Enne, Campobasso 1999), e ne ha redatto la Prefazione.
Ha pubblicato i seguenti volumi:
- la versione italiana del saggio storico di Evelyn Jamison, L’amministrazione della contea del Molise nel XII e XIII secolo, «Samnium» Gen. - Dic. 1991, Benevento 1992;
- 'A tavele de Ture (La tavola di Toro) - reperti dialettali di una comunità molisana, Editrice Lampo, Campobasso 1994.
- La chiesa del Santissimo Salvatore a Toro, Editrice Lampo, Campobasso 1997.
- Le tenebre nel Molise. Liturgia, lessico e folclore di un antico rituale di Pasqua, Palladino editore, Campobasso 2001.
- Affreschi per il papa. Arte, fede e storia nel chiostro e nel convento di Toro, Palladino Editore, Campobasso 2008.
- Tra Oratino e Arcadia. Giorgio Gizzarone, poeta del Seicento, Regia Edizioni, Campobasso 2012 [in collaborazione con Dante Gentile Lorusso].
- Appunti d'arte e di storia a San Giovanni in Galdo. Sulle tracce de cardinale Orsini, abate di Santa Sofia, Arcivescovo di Benevento e Papa Benedetto XIII Palladino Editore, Campobasso 2017
- Toro in cartolina. Quando saluti e baci viaggiavano per Posta, Editrice Lampo, Ripalimosani 2021 [in collaborazione con Stefano Vannozzi]
- Il Poeta del Molise. Vita e opere di Nicola Iacobacci, Editrice Lampo, Ripalimosani 2021 [in collaborazione con Michele Castelli]
- Il vescovo ritrovato. P. Beniamino da San Giovanni in Galdo vicario apostolico in Cina (1843-1888), Palladino editore. Ripalimosani 2022
Ha curato:
- l’edizione scolastica del romanzo di Nicola Iacobacci, Hàmichel , Marinelli, Isernia 1995; tradotta in spagnolo e pubblicata in Venezuela a cura di Michele Castelli, Once Editorial, Caracas 2007.
- la ristampa del romanzo di Felice Del Vecchio, La chiesa di Canneto, Edizioni Enne, Campobasso 1997 (1^ edizione Einaudi 1957, Premio Viareggio Opera Prima).
- la versione italiana del romanzo di Michele Castelli, C’era una volte... Giuseppe, in AA.VV., In nome del padre, Iannone Editore, Isernia 2000.
- la versione italiana dell’autobiografia di Michele Castelli, Cuentos de mi vida, in corso di stampa.
Ha collaborato inoltre a:
- Michele Castelli, Il lessico santacrocese (dialetto molisano), Once Editorial, Caracas 1996 (ristampa Edizioni Enne, Campobasso 1999), e ne ha redatto la Prefazione.
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Papers by Giovanni Mascia
Con particolari riferimenti alla nascita e all’infanzia nel paese di origine, alla frequentazione dell'Istituto d'Arte di Napoli (docenti: Carlo Striccoli olio, Alberto Chiancone affresco, Guido Casciaro decorazioni pittoriche, Franco Girosi decorazioni pittoriche; storia dell’arte: Vasco Pratolini, poi Raffaele Mormone), al diploma e all'insegnamento nelle scuole medie molisane, alle mostre e all'attività artistica dagli Anni Cinquanta ad oggi (frequentazioni: Giovanni Manocchio, Domenico Raucci, Walter Genua, Gino Marotta, Amedeo Trivisonno, Antonio Pettinicchi, Marcello Scarano, Franco Cerino, Leo Paglione, Michele Paternuosto, Dante Gentile Lorusso…).
E ancora, la prima commessa pubblica: il San Rocco a Toro (1957), le nozze travagliate, l’esperienza di sindaco dal 1960 al 1964, il ciclo delle sei lunette dell’Annunziata a San Giovanni in Galdo. ecc.
La biografia è inserita nel volume catalogo "Annunziato De Rubertis", edito a cura di Claudio Neri e Massimo Ursillo da Palladino Editore nel 2022, con contributi di Giuseppe De Rubertis e Alessandro Alfonso.
Nicola Maria, Vescovo di Usula e Vicario Apostolico della provincia cinese dello Shandong
settentrionale, nato a San Giovanni in Galdo (CB) il 29 marzo 1843, morto prematuramente il 29
dicembre 1888 nella sua residenza di Tsi-nan-fu (oggi Jinan), capitale dello Shandong.
Grazie a una copiosa messe di materiale d’archivio inedito, conservato presso l’Archivio Segreto
presso il Palazzo Apostolico Vaticano, presso l’Archivio Storico di Propaganda FIDE – Università
Urbaniana, Città del Vaticano, e presso l’Archivio storico dei Frati Minori della Provincia
Monastica di Puglia e Molise, è stato possibile riconsegnare alla storia la figura e l’opera di un
missionario francescano che ha operato per circa un ventennio in Cina, in condizioni di vita
durissime, sia per la popolazione contadina vittima di inondazioni, fame, epidemie, sia per i
missionari che “a pane e acqua e bastonate” erano mal visti e peggio tollerati dal ceto
amministrativo cinese.
Sottraendola alla incerta mitologia di famiglia, dalla quale comunque ha preso le mosse, e al
silenzio generale calato dal 1888 sul suo nome, la monografia restituisce la memoria di un figlio di
cui compiacersi alla terra natia e ignara, San Giovanni in Galdo e il Molise. Un degno seguace di
san Francesco riaffidato alla Provincia monastica dei Frati Minori di Molise e Puglia. Un servo
devoto e operoso per il quale tornare a implorare la benedizione della Chiesa.
Introdotta da un capitolo sulle peculiarità e l’importanza della cartolina illustrata in Italia, nel Molise e a Toro, la raccolta si snoda lungo l’arco di oltre un secolo, dal 1902 al 2011, con immagini suggestive in bianco e nero e a colori del paese di ieri e di oggi. Una carrellata accattivante, grazie alla scelta di riprodurre in dimensioni reali le cartoline, alcune della quali rare. Ed ecco allora l’inconfondibile profilo dell’abitato, ripreso dal lato orientale e dal lato occidentale, il convento con i santi venerati, la chiesa, il campanile, il patrono San Mercurio, il Monumento ai Caduti, Piazza del Piano, la minuscola cappella di San Rocco, gli scorci caratteristici di Via Borgo (ora via Roma), via del Convento (Viale San Francesco), il costume tradizionale…
Un piacere per gli occhi e l’occasione di conoscere meglio il nostro mondo, grazie ai raffronti tra ieri e oggi, ai rimandi, agli indici e alle didascalie che, di volta in volta, si soffermano sui fotografi, gli editori, i corrispondenti e, naturalmente, sulle fotografie riprodotte, proponendo notizie sulla vita degli abitanti, gli intrecci sociali e la millenaria storia del paese. Insomma, Toro in cartolina: un volume che non deve mancare nello scaffale di ogni torese doc.
I fuochi di San Giuseppe nel Molise
Una tradizione popolare non meno significativa delle tavole e dei conviti rituali
Dai favure di Venafro ai marauasce di S. Croce, ai falò di Montecilfone e S. Martino
I fuochi di San Giuseppe nel Molise
Una tradizione popolare non meno significativa delle tavole e dei conviti rituali
I fuochi di San Giuseppe nel Molise
Dai favure di Venafro ai marauasce di S. Croce, ai falò di Montecilfone e S. Martino. Una tradizione popolare non meno significativa delle tavole e dei conviti rituali
L’obiettivo, o la scommessa, era di provare a delineare un Dante molisano, che parla con il lessico
limitato e i semplici modi espressivi di un contadino, tra l’altro perfettamente a suo agio con la
similitudine delle lucciole, il seme gentile dei romani, il considerare la nostra semenza di uomini.
Molisano e contadino anche Ulisse. Raccontando "du vule pazze" della sua barca, che affonda con lui,
non ricorda il legno inanimato ma la “feruccia” prediletta, che gli è stata compagna di vita. Gli
ultimi istanti non fissano la prora e la poppa che s’inabissano, ma il muso solito a strofinarsi contro
le sue ginocchia e la coda a scodinzolargli attorno.
Giusto quattro secoli fa, infatti, i1 12 marzo 1622, per la prima volta la Chiesa provvide a proclamare cinque santi contemporaneamente. dando vita a un avvenimento che fece epoca e sarà di certo degnamente rievocato fra qualche mese in occasione del prossimo centenario, che vedrà sul trono di San Pietro papa Francesco, il primo papa gesuita della storia, devoto e assai legato ai “maggiori sui” della Compagnia di Gesù: Ignazio e Francesco Saverio, fondatore il primo e grande evangelizzatore e patrono delle Missioni il secondo, entrambi canonizzati da Gregorio XV, che a sua volta è stato il primo papa ad avere studiato presso i gesuiti.
Di quel trionfo della cattolicità che destò molta eco, non sono rimaste molte tracce artistiche, almeno in Italia. Di qui l’interesse per la tela torese dei Cinque Santi, che si torna a segnalare proprio per le peculiarità ricordate, dopo essere stata più sommariamente segnalata sette anni fa, nella primavera del 2014, in occasione della festività di sant’Isidoro l’Agricoltore, patrono dei contadini e in questa veste non del tutto sconosciuto in Molise (cfr. Toroweb online,15 maggio 2014, Un santo dimenticato nel convento di Toro: Isidoro l’Agricoltore).
Del sacerdote G. P. Massari, personaggio di rilievo nella Napoli spagnola della prima metà del Seicento, si era persa ogni traccia.
Incerto l'anno di nascita, probabilmente 1580 circa. Nessun dubbio, invece, sulla patria di origine, Oratino, rivendicata in ogni sua opera: componimenti encomiastici: apologie, elogi ed epigrammi quasi tutti in latino, pubblicati in opuscoli rari e nei prologhi anteposti a tutta una serie di volumi che furono stampati a Napoli dal 1632 al 1656 (ma anche a Roma, Trani, Avellino e Venezia).
Un corpus che attende di essere investigato più a fondo. Qui ci si limita a riconoscere al sacerdote, professore di teologia, protonotario apostolico, giureconsulto oratinese, l’erudizione, la perizia del grammatico e del latinista, la venerazione per il mondo classico: qualità che ne fecero un punto di riferimento. Ma non un poeta. Gli nocque la convinzione che la poesia sia nel rituale, in formule codificate, nei brani dei poeti del passato, e quindi nella riproposizione dei miti e degli eroi classici, con il metro, le sonorità, i versi memorabili o almeno gli emistichi più incisivi di sempre. Per non parlare degli stereotipi che lo portavano a scomodare Giove per lodare ogni monarca, viceré, principe, duca; e Marte per ogni cavaliere, Minerva per ogni magistrato o giurisperito, Mercurio per ogni avvocato, Venere per ogni gentildonna… Senza disdegnare, in alcuni ma assai significativi casi, non encomiabili, l’uso della produzione altrui riconvertita in propria.
Ma com'è strutturato questo genitivo altrimenti detto apreposizionale? Quando si usa e quando no? Quali i casi più ricorrenti?
Sono le domande a cui si è inteso dare risposta, attingendo ad esempi ispirati ai cibi tradizionali alla toponomastica dell'abitato e dell'agro comunale, ai patronimici e ai matronimici, ai soprannomi e, infine, ai detti e alle locuzioni proverbiale e antonomastiche. .
Frank che non ha mai reciso il cordone ombelicale con il paese natale, che torna a visitare, anno dopo anno, dall'estate del 1961 in poi, racconta della miseria che affliggeva il paese, delle rue, dove giocavano con la palla di pezza e si divertivano ad ubriacare le galline che razzolavano per via, delle veglie contadine, delle prime automobili. del maestro. Dei genitori inflessibili e della educazione rigida di una volta, dei rapporti inesistenti tra ragazzi e ragazze, delle feste estive, della scuola. E ancora della cultura salvaguardata dai frati del convento e dalle botteghe degli artigiani. Del tempo passato al caldo dei frantoi, tra gli artigiani grandi affabulatori e finanche declamatori di Dante: Delle botteghe artigiane che supplirono alla chiusura delle scuole durante gli anni di guerra. Della cultura e umanità dei confinati antifascisti. Degli italo americani derisi e insultati dai fascisti.
Della prima ginnasiale a Campobasso, le sigarette, le istruzioni del sabato fascista, le angherie delle autorità ai danni della povera gente, Gli allarmi, la corsa ai rifugi antiaerei, i bombardamenti. La caduta del fascismo, i soldati italiani sbandati che tornano nel paese occupato dai tedeschi. Del soldato torese che nasconde in campagna, pezzo per pezzo, il camion rubato ai tedeschi. Il coprifuoco. La popolazione che cerca scampo nelle masserie in campagna. I cannoneggiamenti alleati. I tedeschi in fuga. Le truppe alleate: canadesi, inglesi e polacchi a Toro. I canadesi insidiano le donne. Il contrabbando e la miseria.
Fine della guerra. Ancora miseria e disoccupazione. Dall'America arrivano i pacchi spediti dagli emigrati, tra cui il padre dell'autore. 2 giugno, referendum Monarchia o Repubblica. Partenza di Frank per gli Usa dove raggiungerà il padre e inizio di una nuova vita.
Purtroppo nell'inventario stilato dall'Archivio di Stato non c'è traccia del manoscritto De Martino, sebbene non pare essere scomparso.
Infatti, alcuni brani tratti dal manoscritto sono affiorati di tanto in tanto e dati alla stampa. In particolare sono riportati in un libro di Nicoletta Pietravalle, pubblicato negli anni Ottanta del secolo scorso con il titolo "Cara Italia, tuo Molise". Il libro è incentrato proprio sulle figure e le corrispondenze epistolari dei Trotta, ma del tutto a sorpresa l'autrice cade in errore. Non riconosce al De Martino la paternità delle memorie trascritte. Le attribuisce invece al notaio Diego Ciaccia, anche lui di Toro, affidando la titolarità del documento al discendente del notaio, Diomede Ciaccia.
Onorato a Roma con il Largo Raffaello De Rensis.
Dimenticato (o meglio ignorato) nella sua regione natale, dove non è registrata una via o una istituzione a lui dedicata, neppure nella natia Casacalenda, nonostante la fama internazionale di chi, tra l'altro, ha il merito di aver pubblicato il corpus delle opere di Pierluigi da Palestrina.
L'opera, a cura del figlio del poeta, il noto antropologo Alberto Mario Cirese, destinata a diventare un classico, fu pubblicata da Marinelli Editore, Isernia.
L'articolo che risale a 25 anni fa è basato sulle testimonianze dei reduci: Ermanno Izzi di Cerro al Volturno, Leo Pilloni di Campobasso, Domenico De Rensis di Campobasso, Giovanni Giannone di Colletorto, Guido Madonna di Campobasso, Aldo Ciaccia di Toro, Nicolangelo Mastropaolo di Campobasso, Giuseppe Lupacchino di Sepino, Tonino Polisena di Campobasso, Pasquale Di Tommaso di Campolieto. E sul contributo dei familiari del caduto Sergio Sammartino di Agnone, del caduto Elio di Domenico di Termoli e del caduto R. F. di Tufara.
Ė stato possibile stilare la lista delle spoglie dei caduti molisani rientrate dal 1992 alla data di pubblicazione dell'articolo grazie alla cortesia del capitano Cuozzo e del Maggiore Santangelo del Distretto Militare di Campobasso.
Foto a colori di Nicola Paolantonio.
Le foto del cimitero di Zeithain sono state messe a disposizione del caduto Elio di Domenico di Termoli.
Con particolari riferimenti alla nascita e all’infanzia nel paese di origine, alla frequentazione dell'Istituto d'Arte di Napoli (docenti: Carlo Striccoli olio, Alberto Chiancone affresco, Guido Casciaro decorazioni pittoriche, Franco Girosi decorazioni pittoriche; storia dell’arte: Vasco Pratolini, poi Raffaele Mormone), al diploma e all'insegnamento nelle scuole medie molisane, alle mostre e all'attività artistica dagli Anni Cinquanta ad oggi (frequentazioni: Giovanni Manocchio, Domenico Raucci, Walter Genua, Gino Marotta, Amedeo Trivisonno, Antonio Pettinicchi, Marcello Scarano, Franco Cerino, Leo Paglione, Michele Paternuosto, Dante Gentile Lorusso…).
E ancora, la prima commessa pubblica: il San Rocco a Toro (1957), le nozze travagliate, l’esperienza di sindaco dal 1960 al 1964, il ciclo delle sei lunette dell’Annunziata a San Giovanni in Galdo. ecc.
La biografia è inserita nel volume catalogo "Annunziato De Rubertis", edito a cura di Claudio Neri e Massimo Ursillo da Palladino Editore nel 2022, con contributi di Giuseppe De Rubertis e Alessandro Alfonso.
Nicola Maria, Vescovo di Usula e Vicario Apostolico della provincia cinese dello Shandong
settentrionale, nato a San Giovanni in Galdo (CB) il 29 marzo 1843, morto prematuramente il 29
dicembre 1888 nella sua residenza di Tsi-nan-fu (oggi Jinan), capitale dello Shandong.
Grazie a una copiosa messe di materiale d’archivio inedito, conservato presso l’Archivio Segreto
presso il Palazzo Apostolico Vaticano, presso l’Archivio Storico di Propaganda FIDE – Università
Urbaniana, Città del Vaticano, e presso l’Archivio storico dei Frati Minori della Provincia
Monastica di Puglia e Molise, è stato possibile riconsegnare alla storia la figura e l’opera di un
missionario francescano che ha operato per circa un ventennio in Cina, in condizioni di vita
durissime, sia per la popolazione contadina vittima di inondazioni, fame, epidemie, sia per i
missionari che “a pane e acqua e bastonate” erano mal visti e peggio tollerati dal ceto
amministrativo cinese.
Sottraendola alla incerta mitologia di famiglia, dalla quale comunque ha preso le mosse, e al
silenzio generale calato dal 1888 sul suo nome, la monografia restituisce la memoria di un figlio di
cui compiacersi alla terra natia e ignara, San Giovanni in Galdo e il Molise. Un degno seguace di
san Francesco riaffidato alla Provincia monastica dei Frati Minori di Molise e Puglia. Un servo
devoto e operoso per il quale tornare a implorare la benedizione della Chiesa.
Introdotta da un capitolo sulle peculiarità e l’importanza della cartolina illustrata in Italia, nel Molise e a Toro, la raccolta si snoda lungo l’arco di oltre un secolo, dal 1902 al 2011, con immagini suggestive in bianco e nero e a colori del paese di ieri e di oggi. Una carrellata accattivante, grazie alla scelta di riprodurre in dimensioni reali le cartoline, alcune della quali rare. Ed ecco allora l’inconfondibile profilo dell’abitato, ripreso dal lato orientale e dal lato occidentale, il convento con i santi venerati, la chiesa, il campanile, il patrono San Mercurio, il Monumento ai Caduti, Piazza del Piano, la minuscola cappella di San Rocco, gli scorci caratteristici di Via Borgo (ora via Roma), via del Convento (Viale San Francesco), il costume tradizionale…
Un piacere per gli occhi e l’occasione di conoscere meglio il nostro mondo, grazie ai raffronti tra ieri e oggi, ai rimandi, agli indici e alle didascalie che, di volta in volta, si soffermano sui fotografi, gli editori, i corrispondenti e, naturalmente, sulle fotografie riprodotte, proponendo notizie sulla vita degli abitanti, gli intrecci sociali e la millenaria storia del paese. Insomma, Toro in cartolina: un volume che non deve mancare nello scaffale di ogni torese doc.
I fuochi di San Giuseppe nel Molise
Una tradizione popolare non meno significativa delle tavole e dei conviti rituali
Dai favure di Venafro ai marauasce di S. Croce, ai falò di Montecilfone e S. Martino
I fuochi di San Giuseppe nel Molise
Una tradizione popolare non meno significativa delle tavole e dei conviti rituali
I fuochi di San Giuseppe nel Molise
Dai favure di Venafro ai marauasce di S. Croce, ai falò di Montecilfone e S. Martino. Una tradizione popolare non meno significativa delle tavole e dei conviti rituali
L’obiettivo, o la scommessa, era di provare a delineare un Dante molisano, che parla con il lessico
limitato e i semplici modi espressivi di un contadino, tra l’altro perfettamente a suo agio con la
similitudine delle lucciole, il seme gentile dei romani, il considerare la nostra semenza di uomini.
Molisano e contadino anche Ulisse. Raccontando "du vule pazze" della sua barca, che affonda con lui,
non ricorda il legno inanimato ma la “feruccia” prediletta, che gli è stata compagna di vita. Gli
ultimi istanti non fissano la prora e la poppa che s’inabissano, ma il muso solito a strofinarsi contro
le sue ginocchia e la coda a scodinzolargli attorno.
Giusto quattro secoli fa, infatti, i1 12 marzo 1622, per la prima volta la Chiesa provvide a proclamare cinque santi contemporaneamente. dando vita a un avvenimento che fece epoca e sarà di certo degnamente rievocato fra qualche mese in occasione del prossimo centenario, che vedrà sul trono di San Pietro papa Francesco, il primo papa gesuita della storia, devoto e assai legato ai “maggiori sui” della Compagnia di Gesù: Ignazio e Francesco Saverio, fondatore il primo e grande evangelizzatore e patrono delle Missioni il secondo, entrambi canonizzati da Gregorio XV, che a sua volta è stato il primo papa ad avere studiato presso i gesuiti.
Di quel trionfo della cattolicità che destò molta eco, non sono rimaste molte tracce artistiche, almeno in Italia. Di qui l’interesse per la tela torese dei Cinque Santi, che si torna a segnalare proprio per le peculiarità ricordate, dopo essere stata più sommariamente segnalata sette anni fa, nella primavera del 2014, in occasione della festività di sant’Isidoro l’Agricoltore, patrono dei contadini e in questa veste non del tutto sconosciuto in Molise (cfr. Toroweb online,15 maggio 2014, Un santo dimenticato nel convento di Toro: Isidoro l’Agricoltore).
Del sacerdote G. P. Massari, personaggio di rilievo nella Napoli spagnola della prima metà del Seicento, si era persa ogni traccia.
Incerto l'anno di nascita, probabilmente 1580 circa. Nessun dubbio, invece, sulla patria di origine, Oratino, rivendicata in ogni sua opera: componimenti encomiastici: apologie, elogi ed epigrammi quasi tutti in latino, pubblicati in opuscoli rari e nei prologhi anteposti a tutta una serie di volumi che furono stampati a Napoli dal 1632 al 1656 (ma anche a Roma, Trani, Avellino e Venezia).
Un corpus che attende di essere investigato più a fondo. Qui ci si limita a riconoscere al sacerdote, professore di teologia, protonotario apostolico, giureconsulto oratinese, l’erudizione, la perizia del grammatico e del latinista, la venerazione per il mondo classico: qualità che ne fecero un punto di riferimento. Ma non un poeta. Gli nocque la convinzione che la poesia sia nel rituale, in formule codificate, nei brani dei poeti del passato, e quindi nella riproposizione dei miti e degli eroi classici, con il metro, le sonorità, i versi memorabili o almeno gli emistichi più incisivi di sempre. Per non parlare degli stereotipi che lo portavano a scomodare Giove per lodare ogni monarca, viceré, principe, duca; e Marte per ogni cavaliere, Minerva per ogni magistrato o giurisperito, Mercurio per ogni avvocato, Venere per ogni gentildonna… Senza disdegnare, in alcuni ma assai significativi casi, non encomiabili, l’uso della produzione altrui riconvertita in propria.
Ma com'è strutturato questo genitivo altrimenti detto apreposizionale? Quando si usa e quando no? Quali i casi più ricorrenti?
Sono le domande a cui si è inteso dare risposta, attingendo ad esempi ispirati ai cibi tradizionali alla toponomastica dell'abitato e dell'agro comunale, ai patronimici e ai matronimici, ai soprannomi e, infine, ai detti e alle locuzioni proverbiale e antonomastiche. .
Frank che non ha mai reciso il cordone ombelicale con il paese natale, che torna a visitare, anno dopo anno, dall'estate del 1961 in poi, racconta della miseria che affliggeva il paese, delle rue, dove giocavano con la palla di pezza e si divertivano ad ubriacare le galline che razzolavano per via, delle veglie contadine, delle prime automobili. del maestro. Dei genitori inflessibili e della educazione rigida di una volta, dei rapporti inesistenti tra ragazzi e ragazze, delle feste estive, della scuola. E ancora della cultura salvaguardata dai frati del convento e dalle botteghe degli artigiani. Del tempo passato al caldo dei frantoi, tra gli artigiani grandi affabulatori e finanche declamatori di Dante: Delle botteghe artigiane che supplirono alla chiusura delle scuole durante gli anni di guerra. Della cultura e umanità dei confinati antifascisti. Degli italo americani derisi e insultati dai fascisti.
Della prima ginnasiale a Campobasso, le sigarette, le istruzioni del sabato fascista, le angherie delle autorità ai danni della povera gente, Gli allarmi, la corsa ai rifugi antiaerei, i bombardamenti. La caduta del fascismo, i soldati italiani sbandati che tornano nel paese occupato dai tedeschi. Del soldato torese che nasconde in campagna, pezzo per pezzo, il camion rubato ai tedeschi. Il coprifuoco. La popolazione che cerca scampo nelle masserie in campagna. I cannoneggiamenti alleati. I tedeschi in fuga. Le truppe alleate: canadesi, inglesi e polacchi a Toro. I canadesi insidiano le donne. Il contrabbando e la miseria.
Fine della guerra. Ancora miseria e disoccupazione. Dall'America arrivano i pacchi spediti dagli emigrati, tra cui il padre dell'autore. 2 giugno, referendum Monarchia o Repubblica. Partenza di Frank per gli Usa dove raggiungerà il padre e inizio di una nuova vita.
Purtroppo nell'inventario stilato dall'Archivio di Stato non c'è traccia del manoscritto De Martino, sebbene non pare essere scomparso.
Infatti, alcuni brani tratti dal manoscritto sono affiorati di tanto in tanto e dati alla stampa. In particolare sono riportati in un libro di Nicoletta Pietravalle, pubblicato negli anni Ottanta del secolo scorso con il titolo "Cara Italia, tuo Molise". Il libro è incentrato proprio sulle figure e le corrispondenze epistolari dei Trotta, ma del tutto a sorpresa l'autrice cade in errore. Non riconosce al De Martino la paternità delle memorie trascritte. Le attribuisce invece al notaio Diego Ciaccia, anche lui di Toro, affidando la titolarità del documento al discendente del notaio, Diomede Ciaccia.
Onorato a Roma con il Largo Raffaello De Rensis.
Dimenticato (o meglio ignorato) nella sua regione natale, dove non è registrata una via o una istituzione a lui dedicata, neppure nella natia Casacalenda, nonostante la fama internazionale di chi, tra l'altro, ha il merito di aver pubblicato il corpus delle opere di Pierluigi da Palestrina.
L'opera, a cura del figlio del poeta, il noto antropologo Alberto Mario Cirese, destinata a diventare un classico, fu pubblicata da Marinelli Editore, Isernia.
L'articolo che risale a 25 anni fa è basato sulle testimonianze dei reduci: Ermanno Izzi di Cerro al Volturno, Leo Pilloni di Campobasso, Domenico De Rensis di Campobasso, Giovanni Giannone di Colletorto, Guido Madonna di Campobasso, Aldo Ciaccia di Toro, Nicolangelo Mastropaolo di Campobasso, Giuseppe Lupacchino di Sepino, Tonino Polisena di Campobasso, Pasquale Di Tommaso di Campolieto. E sul contributo dei familiari del caduto Sergio Sammartino di Agnone, del caduto Elio di Domenico di Termoli e del caduto R. F. di Tufara.
Ė stato possibile stilare la lista delle spoglie dei caduti molisani rientrate dal 1992 alla data di pubblicazione dell'articolo grazie alla cortesia del capitano Cuozzo e del Maggiore Santangelo del Distretto Militare di Campobasso.
Foto a colori di Nicola Paolantonio.
Le foto del cimitero di Zeithain sono state messe a disposizione del caduto Elio di Domenico di Termoli.
Nove anni fa, il panorama culturale molisano venne ad arricchirsi delle opere d’arte e dei documenti lasciati a Toro dallo stesso cardinale Orsini, tra le quali, di particolare interesse, il ciclo delle diciannove lunette del chiostro francescano, affrescate attorno al 1725 dal pittore di Cercemaggiore, Bartolomeo Mastropietro, e oggi finalmente in fase di radicale restauro.
E a San Giovanni? Quali le tracce lasciate dall’Orsini a San Giovanni in Galdo, che per sette secoli ha condiviso la sorte di Toro, come feudi di Santa Sofia, ricompresi entrambi nei confini dell’arcidiocesi beneventana da sempre, fino al 1983, quando i due comuni contigui sono stati assegnati all’arcidiocesi campobassana?
È questa la domanda alla quale sono state date risposte assai interessanti in questa nuova pubblicazione, riccamente illustrata e di grande formato, che certifica anche a San Giovanni la presenza di testimonianze artistiche riconducibili a una presenza benevola e costante. Tra l’altro sono orsiniani: il palazzo abbaziale, caratterizzato dallo stemma cardinalizio e da un affresco tipico, le lapidi delle diverse chiese e dei rispettivi altari da lui consacrati non solo nella Chiesa Madre diruta, le pregiate colonne in travertino della chiesa di San Germano, i monumentali stucchi della chiesa conventuale di Santa Maria del Carmine, e soprattutto tre pregevoli pale d’altare, firmate da Giuseppe Castellano, pittore orsiniano per eccellenza, due in convento e uno nella Chiesa dell’Annunziata…
La speranza è che le amministrazioni civili e religiose dei due centri limitrofi di Toro e San Giovanni, accomunati da secoli di storia e vicende parallele, dalla figura prestigiosa del cardinale, e dalle opere da lui commissionate, individuassero iniziative condivise per rivendicare le peculiarità dei due abitati, da identificare come mete complementari di un unico e assai caratteristico percorso di storia e di arte. E di santità, visto lo scorso febbraio 2017 si è conclusa la fase istruttoria del processo che con ogni probabilità porterà finalmente alla beatificazione di papa Benedetto XIII, a quasi trecento anni dalla morte.
Testo: Giovanni MASCIA.
Foto: Antonio BARATÈ, Dante GENTILE LORUSSO, Valentina MARINO,
Giovanni MASCIA, Vincenzo MASCIA, Pino RAMACCIATO,
Antonio ROSSODIVITA, Franco VALENTE, Stefano VANNOZZI.
Disegni: Stefano VANNOZZI.
Impaginazione e grafica: Valentina MARINO.
Stampa: Palladino Editore
via Colle delle Api, 170
86100 Campobasso (CB).
Patrocinio: Associazione “Amici del Morrutto” di San Giovanni in Galdo.
Copyright © 2017: Giovanni MASCIA.
Un lavoro “particolarmente interessante ed encomiabile” – scrive Sebastiano Martelli nella Introduzione al volume ‑ con il quale i due autori hanno recuperato un personaggio, Giorgio Gizzarone, di cui restava traccia solo in repertori sia pure importanti come quelli del Crescimbeni e del Gimma. E lo hanno fatto in un contesto, come quello molisano, dove molto si è indagato dal secondo Settecento in poi e dove molto scarsa è stata invece l’attenzione fino ad oggi rivolta alla cultura letteraria dal Rinascimento alla prima metà del Settecento, giustificata anche dalla scarsità e dal difficile reperimento di materiale documentario ma anche dalla ritenuta assenza di protagonisti degni di rilievo.
Attraverso un accurato scavo archivistico e bibliografico i due autori hanno fatto riemergere dal silenzio una figura che tra fine Seicento e primi anni del Settecento, aveva avuto una certa notorietà come letterato, soprattutto grazie alla sua affiliazione alla Accademia dell’Arcadia, che a partire dal 1690, anno della sua fondazione, elabora un nuovo gusto letterario destinato ad emarginare il barocco e ad aprire nuove strade alla pratica letteraria.
Pregio particolare dell’opera la scoperta e la puntigliosa illustrazione di un fascicolo di composizioni inedite, scritte in un vernacolo napoletano gustoso e divertente, che rendono assai simpatico l’abate Gizzarone, il protagonista dimenticato della vita letteraria della Roma del tempo che fu, nel terzo centenario della morte prematura avvenuta nel “natio borgo selvaggio”, a Oratino, il 15 agosto 1712.
"Affreschi per il Papa.
Arte, fede e storia nel chiostro e nel convento di Toro",
Palladino editore, Campobasso 2008.
Foto: Vincenzo Mascia, Sandro Nazzario, Archivio di Dante Gentile Lorusso.
Consulenza artistica: Dante Gentile Lorusso
Consulenza storico -letteraria: Michele Tuono
Progetto grafico e impaginazione: Tonino Iannarella
"La sensibilità di Giovanni Mascia verso i segni della memoria e la loro tutela ci consegna un approfondito e appassionato lavoro di ricerca storica.
Attraverso una attenta ricostruzione del tessuto sociale settecentesco, il volume ricorda il rapporto che legava il cardinale Orsini, poi papa Benedetto XIII, a Toro e al convento francescano, per poi soffermarsi sul valore artistico e documentario degli affreschi del chiostro, commissionati per la visita di papa Orsini a Toro, nel 1727.
Le numerose illustrazioni testimoniano lo stato di avanzato degrado in cui versano le opere di un ciclo pittorico unico nel suo genere; e l'attenzione, la scrupolosità, l'estrema cura adoperata dall'Autore, nel trattare una materia così fina, vengono a rappresentare una forte sollecitazione per enti, studiosi, associazioni, affinché un interesse rinnovato, e più consapevole, porti al restauro e alla salvaguardia di uno dei più singolari documenti di pittura religiosa, nel patrimonio artistico della regione".
(Nota in quarta di copertina)
INDICE
• Presentazione di Mariantonietta Bove p. 7
• Il cardinale Orsini e Toro p. 9
• La “prediletta stanza”: il convento p. 19
• Affreschi e versi per Benedetto XIII p. 41
• Schede delle lunette: p. 55
I cinque protomartiri p. 56
I sette campioni siciliani p. 62
Un francescano lapidato p. 66
Un francescano straziato da donne malvagie p. 72
Un francescano con il cranio squarciato p. 76
San Francesco p. 80
Un francescano mutilato e sbudellato p. 84
Santa Rosa p. 90
Sant’Antonio, il miracolo della mula p. 94
Santa Chiara p. 98
San Pasquale p. 104
San Giacomo della Marca p. 108
San Francesco, pellegrino sul Gargano p. 114
Duns Scoto p. 118
San Francesco e San Domenico p. 122
San Francesco Solano p. 126
Sant’Antonio da Padova, due miracoli p.132
San Bonaventura p. 138
Un francescano scuoiato vivo p. 142
• Un’identità per il pittore (Bartolomeo Mastropietro) p. 149
• Note p. 157
• Fonti d’archivio e bibliografiche p. 175
ANTICHE LASTRE FOTOGRAFICHE
(A cura di Giovanni Mascia)
PRESENTAZIONE
Le foto inedite che presentiamo sono arrivate fino a noi, in maniera rocambolesca. Impresse in negativo su lastra di vetro, fissano aspetti del panorama, cerimonie, figure e ritratti toresi. La datazione è variabile e, comunque, non sempre agevole da fissare in un arco che presumibilmente copre un quarto di secolo. Riferimenti sicuri sono il panorama dell’abitato torese, con via Pozzillo in primo piano (mese di gennaio), riconducibile a fine Ottocento, e la foto della solenne cerimonia di inaugurazione del monumento ai Caduti del 25 agosto 1920.
Le lastre erano destinate a veder la luce sul sito internet dedicato a Toro (ToroWeb, http://www.toro.molise.it); ma preferiamo anticiparne la pubblicazione scegliendo la più domestica strada cartacea: non ci sembrava giusto, infatti, sottrarle all’attenzione di chi non ha pratica con il computer.
Ci anima la certezza che la pubblicazione risulterà gradita ai concittadini, che apprezzeranno l’iniziativa di mettere a fattore comune alcuni tasselli significativi del nostro passato.
I ringraziamenti più sentiti vanno al
- Museo della Civiltà Contadina di Vincenzo Colledanchise,
- ai responsabili del sito ToroWeb (Carmine Felice, Giovanni Mascia, Sandro Nazzario e Enzo Mascia)
- all’Amministrazione Comunale e al sindaco dott. Salvatore Cofelice.
Toro, 2002
Le tenebre nel Molise. Liturgia, lessico e folclore di un antico rituale di Pasqua
Palladino editore, Campobasso 2001
INDICE GENERALE
Le tenebre nel Molise
7 L'alone della leggenda
11 Un nome a triplo senso
15 Mattutino al calar della sera
21 Il salutevole orrore
25 Il triangolo di luce
31 Il piccolo strepito
35 Passaggi di truppe, e di diavoli
43 Gli istrumenti di legno
59 Le tenebre nel quotidiano
63 Il perché dello strepito
87 Prospetto riepilogativo
Appendice
91 L'uffizio delle tenebre
di Raffaele Capriglione
111 Abbreviazioni bibliografiche
117 Indice dei nomi
121 Indice delle località molisane
Sono alla base del volume il desiderio della conoscenza e l’impulso a tirar fuori dalle secche della nostalgia aspetti liturgici, lessicali e folcloristici di un rituale della Settimana Santa ormai scomparso, ma ancora ben vivo fino a pochi decenni addietro: l’Ufficio delle tenebre (in Molise: " ‘a scurdate " o " ‘a scurdie " o espressioni equivalenti, che rimandano all’oscurità).
Sulla scia di Raffaele Capriglione, che giusto un secolo fa diede sistemazione letteraria al rito di Santa Croce di Magliano, si allineano aspetti tipici delle "Tenebre" di Agnone, Venafro, Isernia, Boiano, Riccia e di decine e decine di altri centri minori.
La speranza è di ricondurre nel solco della realtà, non importa se passata, le permanenti suggestioni di una cerimonia che la sera del mercoledì, giovedì e venerdì santo aveva il fascino di coinvolgere anche emotivamente intere popolazioni di anziani, giovani e ragazzi.
"La chiesa del Santissimo Salvatore a Toro",
Editrice Lampo, Campobasso 1997
Indice
- Premessa
I - Le origini
Un passo dell'Inventario "Orsini" con notizie sommarie. Chiesa coeva all'abitato, Anno Mille circa. Falsa l'ipotesi popolare di un precedente castello. Argomentazioni in proposito. Falsa l'ipotesi popolare di una chiesa parrocchiale posizionata in altro sito. Altre antiche chiese di Toro, tutte fuori mura.
II - Sommario di notizie
Capitelli medievali. Campana del 1015. Una pergamena del 1378. Il terremoto del 1456. Chiesa dedicata a San Salvatore nel 1500. Peste 1656. Terremoto del 1688: danni alla chiesa. Restauro sollecitamente eseguito: relazione visita 1694. Consacrazione 1696. Fulmine sul campanile: vi uccide un giovane nel 1699. Altro fulmine provoca ingenti danni alla chiesa nel 1707.
III - Descrizione settecentesca della chiesa
La chiesa si manteneva con le decime. Era a tre navate, descrizione. Sei sepolture sotto il pavimento. Il cimitero. Pulpito di legno. Reliquie. Le porte della chiesa. La facciata. Acquasantiere e fonte battesimale. Diversi quadri e stucchi. Il coro con organo. L'archivio e il campanile. La sacrestia. Oratorio di Santa Maria della Pace con tavola del Rosario. Gli altari laterali. Due importanti quadri: Il Rosario di Giuseppe Castellano e la Madonna di Costantinopoli.
IV - Clero e amministrazione
La parrocchia di Toro e suoi antichi arcipreti. Significato di chiesa ricettizia. I preti partecipanti nell'anno 1713 e in prosieguo. Entrate della chiesa. Le decime, secolare motivo di attrito con la popolazione. Diverse convenzioni e provvedimenti amministrativi. I preti esentati dalla contribuzione locale. Attriti per la nomina del predicatore quaresimale. Rapporti tra popolazione e clero in generale. Preti e frati toresi. Adriano De Santis. Decreto 1983 che assegna la parrocchia di Toro all'arcidiocesi di Campobasso. Presa di possesso di mons. Santoro, arcivescovo di Campobasso. Consacrazione Via Crucis.
V - Il terremoto del 1805. Dalla lenta ricostruzione a oggi
Sacra insigne conferita alla chiesa. Il terremoto del 1805. Crollo della chiesa. Danni ingenti a Toro: trecento vittime. Rapporto Intendente del 1814 sullo stato ricostruzione chiesa. Lavori appaltati a Francesco Fagnani. Lungaggini per mancanza di mezzi. Polemiche. Iniziativa dell'arciprete Carusella. Ricostruito il rustico nel 1828. Lapide. Crisi sanitaria per mancanza camposanto. Scalinata esterna realizzata nel 1839 e sostituita da una più efficiente nel 1885. Contatti con Isaia Salati per le pitture. Difficoltà per realizzazione intonaco e addobbi interni. Iniziative decurionato. Polemiche. Lavori interni terminati nel 1849. L'arcivescovo di Benevento dà ordine di incendiare statue e quadri non decorosi nel 1846. Altari di marmo e ulteriori cappelloni. Il campanile completato nel 1893. Il terremoto del 1913. Il terremoto del 1980. Lavori di restauro.
VI - Descrizione della chiesa attuale
La facciata, la scalinata, le porte d'accesso. Dimensioni della chiesa. Statue Madonna con Bambino, San Biagio e l'Ecce Homo, San Giovanni Battista, San Giuseppe, San Nicola; quadro del Rosario, tondo di S. Gaetano, tavola della Madonna di Costantinopoli, tondo di San Pasquale, statua e reliquia di San Mercurio. Sagrestia con lavabo in pietra. Statue del Rosario e di San Francesco Saverio. Fonte battesimale. Ufficio parrocchiale con tela di San Mercurio a cavallo. Campanile. Le tre campane. Il tetto a terrazzo, rovinato da un fulmine nel Ferragosto del 1995. Dispositivo elettrico per azionare le campane.
Appendice
Elenco degli arcipreti di Toro.
Documentazione fotografica
"'A tavele de Ture (La tavola di Toro). Reperti dialettali di una comunità molisana",
Editrice Lampo. Campobasso 1994.
INDICE
7 - LE RAGIONI DELLA MEMORIA, (Introduzione)
16 - ANNOTAZIONI FONETICHE
23 - NINNE NANNE
29 - CANZENCELLE
37 - PAZZJE E PAZZIARILLE
46 - INDOVINELLI
54 - PREGHIERE
65 - PAURE E MAGJE
73 - CANZUNE
94 - STRAPAESE
107 - MASCHERE
122 - FATTARILLE
131 - PROVERBI
158 - APPENDICE, (Vocabolarietto)
'A tavele de Ture (La tavola di Toro): nel paese e nel circondario, l' espressione proverbiale è passata a designare la tavola imbandita e, però, sprovvista di pane. Perduta per sempre nel mare dell'oblio la motivazione originaria, resta la locuzione nuda e cruda alla quale ancorare ipotesi più o meno ragionevoli: la povertà, ovvero l'indole sparagnina della padrona di casa o, piuttosto, il suo domestico pressappochismo. Senza escluderne altre, magari in connessione tra di loro.
Sia come sia. Non è poca la suggestione. E più ne promana dall'accezione di tavola come scrittura, in origine su lastra di pietra o bronzo o legno. La speranza tenta così d'impigliare, nelle coordinate fonetiche e lessicali di 'A tavele de Ture, aspetti e sensazioni e personaggi di un mondo scomparso (ma non del tutto finché ne restano i suoni), detto con enfasi della civiltà contadina per non dirlo della fame e della miseria.
Nessuna spinta nostalgica; solo l'impulso della conoscenza e il consapevole bisogno di vivificare l'anelito alla condivisione e alla solidarietà, proprio dei contadini, che rischia di spegnersi con lo sparire del loro mondo. Il cerchio si chiude con il simbolo del convito (l'agape fraterna di Jovine) che, a Toro e nel Molise tutto, è pure detto la tavola di San Giuseppe.