Pasolini In America

Partendo dal dialogo internazionale che si è sviluppato sull'opera di Pier Paolo Pasolini, nonché dall'intenzione di valorizzare l'opera tenendola separata dai clamori e dai traumi associati alla biografia dell'autore ma senza allontanarla dalla stessa, questo libro investiga le modalità con cui nel decennio 1966-75 Pasolini ha riflettuto sulla paternità e i rapporti tra padre e figlio che stavano cambiando radicalmente, ridisegnando l'assetto della famiglia e la società italiana nel suo insieme.

In un contesto che accosta letteratura, impegno, resistenza e ideologia è quasi spontaneo chiamare in causa Pier Paolo Pasolini. Se, a quarant'anni dalla morte dell'autore, la ricezione della sua opera continua a essere sospesa tra accettazione e rifiuto, nonostante sia stata almeno formalmente inclusa nel canone letterario, diverso è il discorso relativo al suo spessore di intellettuale, che appare incontestabile perfino ad appartenenti di fazioni politiche opposte. Al di là delle questioni estetiche legate all'opera, dunque, in un'epoca in cui gli scrittori tornano a confrontarsi con l'impegno, non sorprende che Pasolini sia sempre tra i primi a essere evocati, com'è confermato dagli esempi di Roberto Saviano, di Walter Siti e del collettivo Wu Ming, che lo menzionano di frequente. Hanno fatto riferimento a Pasolini numerosi critici che si sono dedicati alla riscoperta dell'impegno negli scrittori italiani nel nuovo millennio, quali Romano Luperini (1998 e Pier Paolo Antonello (2013), rivendicandone l'ingombrante eredità, se non addirittura esprimendo polemicamente il bisogno di liberarsene. In questo momento storico, in cui riconosciamo il prodotto di quel fenomeno che, con una delle sue fortunate espressioni più fortunate, Pasolini aveva definito "genocidio culturale", la ricerca di una nuova etica, di nuove responsabilità, di nuovo impegno sembra non poter prescindere da chi, tra gli anni Sessanta e Settanta, ha restituito allo scrittore la missione andata smarrita nel decennio precedente, che

"Von Pasolinis Arbeit in den
1960er Jahren bis zu Salò, den frühen Filmen Farockis
und den Ernsten Spielen hat sich der kritische Brennpunkt
aber von einer Theorie des zensurierten Subjekts
zunehmend auf Beobachtungstechniken der gesellschaftlichen
Überwachung verschoben. Wenn man sich
diesen Übergang vergegenwärtigt, lassen sich die
Filme von Pasolini und Farocki erhellend aufeinander
beziehen. Michele Mancinis und
Giuseppe Perrellas "Corpi e Luoghi" (1981) kann uns auf einmalige Weise
an Farockis Blickschule (mit "Pasolini vor Augen") erinnern,
der wir nicht nur Einsichten, sondern mehr noch,
Ausblicke verdanken."

La produzione della premiere americana di Pylade è nata dall'incontro tra due pionieri del teatro sperimentale contemporaneo : Ellen Stewart, fondatrice del La MaMa Experimental Theatre Club a New York, e Ivica Buljan, fondatore del Mini Teater a Lubiana. Estimatrice del lavoro di Pasolini, che aveva conosciuto di persona al Festival internazionale del teatro studentesco di Zagabria nel 1969, Stewart condivise con Buljan il suo interesse per il teatro pasoliniano fin dal loro primo incontro e successivamente propose di lavorare alla produzione di Pylade al regista croato, il quale portò a compimento il suo impegno cinque anni dopo la morte di lei.

Busca-se examinar a coexistência de estilos, tomada como traço do cinema moderno, partindo de sua definição entre a teoria literária e a teoria cinematográfica e passando ao exame das particularidades de tal fenômeno na produção cinematográfica do italiano Pier Paolo Pasolini, em particular no filme Accattone (1961), e na obra do brasileiro
Ozualdo Candeias, com ênfase ao seu primeiro longa A margem (1967).