Padova

L’Italia viene spesso considerata come un paese che ospita o riceve migranti poco qualificati (per lo più illegali), così nel corso degli anni mi sono trovata a spiegare in più occasioni che anche migranti altamente qualificati sono attratti dall’Italia, e che addirittura vi giungono grazie ad accordi internazionali stipulati da paesi che sono tra loro in competizione ‘soft power’ per la ricerca di talenti, con lo scopo di aumentare il proprio potere a livello globale, ovviamente attraverso vie legali. Gli studenti internazionali costituiscono una categoria di migranti che fino agli anni duemila non ha ricevuto molta attenzione in ambito accademico [Piguet et al., 2017]. Tuttavia, la migrazione per motivi di studio si può far risalire al 1190, e, forse ancora più precisamente, al periodo coloniale tra il XVII e il XIX secolo [Leucci et al., 2018]. A questo proposito, la presente tesi ha evidenziato come il flusso di studenti indiani verso l’Italia sia largamente incoraggiato da politiche internazionali che rimangono per lo più sconosciute. Tra queste politiche figurano vari accordi bilaterali firmati dal Governo italiano per attirare studenti indiani di livello universitario che vogliano “investire il proprio talento” nelle Università italiane. La tesi riesce a coniugare, attraverso un case study sulla città di Padova – città di ‘media’ dimensione che sta guadagnando importanza nel panorama internazionale grazie alla sua Università, fondata 800 anni fa - due livelli di analisi (locale e globale) in un’unica discussione sulle interdipendenze tra l’andamento e la struttura dei flussi migratori degli studenti indiani e la loro spazializzazione in Italia quale nazione di destinazione. La tesi presentata contribuisce quindi ad evidenziare un flusso migratorio rilevante ma inesplorato dalla letteratura accademica in Italia: la migrazione degli studenti internazionali. Allo stesso tempo, un focus sugli studenti universitari indiani, considerati come studenti-migranti dotati di conoscenze e capacità intellettuali, aiuterà a delineare il variegato mosaico dell’attuale migrazione indiana in Italia. In effetti, l’analisi della migrazione degli indiani in Italia resta attualmente limitata a migranti con bassi o medi livelli di specializzazione come, ad esempio, gli indiani Sikh impiegati in agricoltura. In linea generale, la migrazione di lavoratori altamente qualificati e con alti livelli di istruzione non è stata studiata in modo approfondito né in Italia, né in altri paesi europei [Piguet, 2016; McGuill, 2013; King and Raghuram, 2013]. Pertanto, richiamo la necessità di definire un diverso modo di pensare, interpretare e agire che superi l’approccio limitante alla migrazione generalmente associato ai soli irregolari [Ambrosini, 2011, 2017; Panichella & Ambrosini, 2018]. La tesi colma inoltre un’importante lacuna, valutando gli impatti negativi del processo di studentificazione di una città come Padova che ricerca il proprio riconoscimento a livello internazionale, aldilà del suo patrimonio storico noto globalmente per la basilica di Sant’Antonio. In questo contesto, ci tengo a sottolineare come il ruolo illustre dell’Università e il suo spazio fisico fungano da “ponte”, o da crocevia e punto di convergenza dell’interculturalità della città. Nel complesso, la presente tesi di ricerca fornisce un quadro dettagliato e ricco di sfumature sui vari profili degli studenti indiani presenti in uno stesso territorio, cioè la città di Padova. Questa ricerca mira invece a portare il lettore ad una nuova visione di co-abitazione in uno spazio locale limitato, grazie all’esempio della città di Padova e del suo interessante desiderio di internazionalizzazione che coinvolge l’Università nel processo.  ​
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The thesis is interdisciplinary as the outcome of three years of Ph.D. with three different coordinators, each of those having a different ‘cut‘ in apprehending our program in Regional Planning and Urban Policies -namely: politics, sociology, urbanism. Considering this, my approach and theoretical frameworks have inevitably dived their roots in what was familiar to me: a political-sociological frame of analysis which apprehends the city as a space of social interactions where people are the co-protagonists of the city’s changes and evolution. Indeed, the purpose of my research was to show the link between migration and urban transformation in terms of urban policies and social practices within a specific local territory: the city of Padova.
The thesis analyses the question of Indian students-migrants in Padova through different angles generally difficult to tie together while keeping a strong sociological base.
In that regard, it should be also noted that the argument presented here has been treated according to the methods of urban sociology’s literature of the traditional ‘School of Chicago’ (Part 1). Furthermore, the thesis‘ analysis is bridging the international mobility policies between Italy and India, examining the educational policies which attract Indians to Italian Universities (Part 2). Lastly, the thesis assesses the sociological effects of a continuous flow of foreign students into a local territory, exploring the urban and social spaces of the city of Padova (Italy), a space of places working on the promotion of internationalization (Part3).
Therefore, coherently with my social-studies background and my major source of inspiration – R.E Park’s works (the 1930s)- the thesis has an ‘ethnographic cut’ which narrates the experiences of some Indian students in Italy and Padova, rather than a traditional academic one.  Indeed, I believe that the true output of a Ph.D. thesis is to produce knowledge – scientific first, of course- but in my view, that knowledge should also open a window to everybody interested in the topic, beyond the academic niche only.

Finally, I hope this work will be understood by future readers such as the participants to my research who helped me (re)constructing a scarcely explored story of migration by giving their time and their trust to a stranger who eventually has sealed forever their memories of the Paduan-experience along with the following pages: आपनी कहानिय.

-La cappella degli Scrovegni protetta con il sistema della difesa a cassoni (da: La protezione del patrimonio artistico 1942) Padova Elisabetta Scungio Presentazione della città La "città del Santo", dal legame con Sant'Antonio che vi morì nel 1231, si staglia all'estremità orientale della Pianura Padana. Sorta in un territorio pianeggiante percorso da vari corsi d'acqua, in particolare il Brenta e il Bacchiglione, che ne hanno influenzato il tessuto urbano, è stata da sempre importante snodo viario: in quanto municipio romano, era collegata da numerosi assi stradali, tra i quali la via Annia e la via Aurelia, con i principali centri della zona. Più volte conquistata dalle popolazioni barbariche in età tardoantica, la città fiorì particolarmente nel Basso Medioevo, quando, una volta costituitasi libero comune , partecipò alla Lega Veronese e alla Lega Lombarda contro Federico Barbarossa, per poi lottare ancora contro Federico II e abbattere la tirannide di Ezzelino da Romano (1237-1256). Sede di un'antica e prestigiosa università, fondata nel 1222, raggiungerà il suo acme nel periodo repubblicano (1256-1318) e sotto la signoria dei Carraresi (1318-1405), divenendo uno dei centri della rinascita umanistica. È alla tarda età medievale e rinascimentale che risale il tes-È alla tarda età medievale e rinascimentale che risale il tes-età medievale e rinascimentale che risale il tessuto urbano cittadino (si pensi alle piazze delle Erbe, dei Frutti e dei Signori), così come gli edifici civili che più ne caratterizzano la fisionomia (il Palazzo della Ragione, il Palazzo del Capitanio con la Torre dell'Orologio, la loggia della Gran Guardia) e gli edifici di culto (la chiesa degli Eremitani, la cappella degli Scrovegni, la basilica del Santo). Entrata nell'orbita della Repubblica di Venezia nel 1405, a seguito della sottomissione nella guerra di Padova, la città perderà definitivamente il prestigio politico, ma nei secoli seguenti continuerà a godere dei privilegi economici e culturali che le verranno dalla protezione della Serenissima. Centro delle forze militari italiane nella Prima Guerra Mondiale, nel corso della Seconda rappresenterà un baluardo della lotta partigiana al nazifascismo (Toffanin, Puppi 1991).

Con questo contributo l’Autore intende ricostruire l’andamento demografico della comunità metodista di Padova dal momento della sua fondazione ai primi anni del Novecento (1866-1904). I dati sono stati ricavati da quattro Registri anagrafici – conservati nell’Archivio locale – di cui si è dotata la Chiesa, quello battesimale, quello matrimoniale, quello mortuario e quello dei membri della comunità: l’Autore si è concentrato in particolare su quest’ultimo, compilato e modificato a più riprese dai pastori e dai ministri di culto, poiché è il documento che con più evidenza mette in luce il dinamismo della prima missione metodista nel territorio. Oltre all’analisi quantitativa l’Autore ha ricavato informazioni storiche relative al protestantesimo veneto di fine Ottocento, segnato tanto dal Risorgimento italiano quanto dai movimenti migratori dell’Europa centrale, secondo la prospettiva della prima comunità evangelica sorta nel tessuto socio-religioso padovano tradizionalmente cattolico.
In this article the Author intends to reconstruct the demographic trend of the Paduan Methodist Community since its foundation to the first years of the 20th century (1866-1904). The data were obtained from four Registers used by the community: the baptism, the marriages, the mortuary and the community members one: the Author has considered particularly the latter – completed and amended several times by the reverends and the ministers – because it is the document that most clearly underlines the dynamism of the first Methodist Mission in the territory. In addition to the quantitative analysis, the Author has obtained some historical informations related to the Venetian Protestantism of the late 19th century, marked by both the Italian Risorgimento and the migratory movements of Central Europe, from the first evangelical community perspective in a traditionally Catholic society.

This essay aims to investigate the lost ‘Uomini Illustri’ cycles in Napoli, Milano
and Padova, traditionally linked to Giotto, Petrarch and to the ‘Proto-Humanistic’
culture. The author offers some research ideas and hypothesis on the iconography
of the lost frescoes and their cultural contexts, considering the most recent critical
literature, with particular attention to Petrarchan studies, the circulation of ideas,
books and images, and the surviving transformations of classical, artistic and literary
models in Europe during the Middle Ages.

A short work about the towers and the castle built along the river Brenta between Padua and Venice from 11th to 15th century. The papers include a short digression about the archaeological risks connected to the remains of this medieval structure.

I teatini a differenza dei gesuiti preferirono insediarsi per ragioni di economia in edifici religiosi esistenti. Ne mantennero le intitolazioni originali aggiungendo quella a san Gaetano. Un riuso che si accordava all’idea di rigore e di modestia, espressione del rinnovamento della vita ecclesiastica segnato dalla riforma cattolica antecedente il concilio di Trento con lo scopo di restaurare nella Chiesa la regola primitiva di vita apostolica. Presto però, con l’affermarsi dell’ordine e con l’appoggio di papi, principi e nobili italiani ed europei, avviarono importanti cantieri. Alcuni  teatini furono architetti spesso fedeli ai modelli della controriforma, ma spesso ben più liberi dai canoni tridentini dei gesuiti. A volte furono ortodossi nel ripetere lo schema di sant’Andrea della Valle: aula unica con cappelle laterali, cupola transetto e coro; ma il teatino Francesco Grimaldi difese fino all’ultimo la sua idea a pianta centrale quincunx (cinque cupole) contro Maderno che aveva trasformato San Pietro a croce latina tradendo Michelangelo. Altre volte in importanti edifici come san Giuseppe a Palermo, San Vincenzo a Piacenza, Santa Cristina a Parma o san Siro a Genova seguirono la tipologia basilicale a tre navate delle origini, oppure sperimentarono le audaci spazialità barocche di Borromini in chiese a pianta centrale, nonostante la loro scarsa funzionalità liturgica, o ancora si ottennero impianti longitudinali attraverso l’intersezione di ellissi. Guarino Guarini, teatino, portò l’architettura teatina, se così si può dire o di committenza teatina,  a risultati originalissimi, fondamentali per il rococò europeo. Seppe rappresentare il regno di Dio in terra. Ciò avvenne anche con il contributo della musica. Organi e cantorie sono infatti sempre presenti nelle chiese teatine.

Alla Beinecke Library della Yale University si conserva il primo volume di un esemplare della prima edizione delle Vite di Giorgio Vasari (1550) contenente annotazioni manoscritte finora sconosciute. 1 Scritte da due anonimi lettori nel sedicesimo secolo, queste postille sono le prime mai apposte alle Vite fra quelle finora note. Seppur concentrate su di un numero ridotto di biografie, e per lo più redatte al fine di indicizzare il testo a stampa, le annotazioni offrono alcune preziose informazioni inedite sull'arte veneta del Quattro e Cinquecento. Fra queste è l'attribuzione a Donatello di un 'Crocifisso' nella chiesa padovana di Santa Maria dei Servi, in un'annotazione alla biografia dedicata allo scultore fiorentino: "Ha [Donatello] ancor fato il Crucifixo quale hora è in chiesa di Servi di Padoa". 2 Redatta al margine della menzione della scultura lignea di un 'San Sebastiano', quasi al termine del resoconto sul soggiorno dell'artista a Padova, la postilla integra il breve catalogo vasariano delle opere eseguite dallo scultore nella città veneta (figg. 2-3). Il 'Crocifisso' segnalato dalla postilla si trova tuttora all'interno della chiesa servita (figg. 4-5), nella cappella a sinistra del coro guardando verso l'altare maggiore, fissato a parete dietro e al di sopra di un suo proprio altare (figg. 6, 1). È una scultura monumentale, di 183 centimetri di altezza, in legno di pioppo, di qualità straordinaria solo parzialmente compromessa da elementi spuri, primo fra tutti una pesante verniciatura passata a più riprese per simulare l'effetto del bronzo (figg. 1, 27). 3 Nonostante la qualità dell'opera, le sue dimensioni e la sua continuata presenza nella chiesa (almeno a partire dalla seconda decade del sedicesimo secolo), essa è quasi un inedito per la storia dell'arte. Il 'Crocifisso' è straordinariamen-te assente dagli studi sulla scultura padovana del Quattrocento e da quelli specialistici sul maestro fiorentino, con l'unica eccezione a me nota di una breve menzione da parte di Hans Kauffmann nella sua monografia donatelliana del 1935. 4 Assente anche dalle "guide rosse" del Touring Club Italiano, l'opera si ritrova invece nelle fonti ecclesiastiche, nelle compilazioni storiche locali, e in un breve articolo del 2002 nel periodico 'Padova e il suo territorio' (autrice Silvia Gullì), che ne offre un'analisi storico-documentaria senza tuttavia entrare nel merito della sua paternità. 5 Quei pochi, fra gli storici locali, che hanno invece affrontato la questione si sono limitati a segnalare la straordinaria somiglianza della scultura servita col 'Crocifisso' bronzeo eseguito da Donatello per la basilica del Santo fra il 1443-44 e il 1449. Sulla base di questo confronto essi hanno attribuito l'immagine, in modo generico e senz'altro provvisorio, ad un anonimo scultore quattrocentesco emulo del fiorentino. Questo vale anche per Kauffmann, che considerava l'opera una copia del celebre bronzo eseguita nella seconda metà del Quattrocento. Ciò detto, può forse sembrare superfluo introdurre ulteriormente l'argomento di questo articolo, e forse anche anticipare il conclusivo convincimento che l'attribuzione del 'Crocifisso' servita a Donatello sia degna di fede. È invece importante far presente sin da ora che a questo articolo segue un'analisi tecnico-stilistica dell'opera condotta da Francesco Caglioti, il quale giunge per tale via e con ulteriori materiali e argomenti a una piena restituzione al grande maestro. Devo anche rilevare che tenterò di limitare qui le mie osservazioni sul documento a quelle necessarie per affrontare la questione donatelliana. Per una trascrizione delle postille e una dimostrazione della loro importanza, sia per la prima ricezione delle Vite in Veneto, sia per le altre novità che esse contengono, specialmente una nota biografica su Tiziano redatta sul recto del primo foglio del duerno interposto fra l'edizione e la coperta posteriore del volume, rimando a un mio secondo articolo che uscirà in altra sede.

Esposizione internazionale d’arte sacra cristiana moderna – allestita a Padova dal giugno del 1931 al giugno del 1932, in occasione del VII Centenario dalla morte di sant’Antonio, patrono della citta` , manifestazione che e` stata gia` oggetto di studio da parte dell’autrice – viene ricostruita a partire dalla sua organizzazione e allestimento, fino all’analisi di alcune delle opere ivi esposte. Nel presente elaborato si fa riferimento al dibattito fra Chiesa ed avanguardie nel ’900 e agli effetti che esso sortı` nell’allestimento dell’Esposizione. In seguito l’analisi si concentra sulla descrizione del padiglione espositivo, allestito ex novo in stile razionalista dagli architetti Francesco Mansutti, Gino Miozzo e Nino Gallimberti.
Data la mancanza di un catalogo illustrato, si presenta parte del repertorio iconografico della mostra, accompagnandolo con l’analisi di alcune opere rintracciate grazie allo spoglio di riviste dell’epoca e alla consultazione di archivi come quello del Mart di Rovereto, l’Archivio di Stato di Roma e l’Archivio Generale del Comune di Padova. Poiche´ la presenza piu` discussa fu quella dei futuristi, il testo si concentra sul dibattito tra costoro e le gerarchie ecclesiastiche che ritenevano il modernismo non conforme, talvolta addirittura capace di minare la dottrina della Chiesa. L’oblio e la svalutazione cui questa rassegna e` stata a lungo ed e` tuttora soggetta nei manuali di storia dell’arte, ha indotto l’Autrice a dimostrare che, al contrario, essa gioco` un ruolo tutt’altro che trascurabile, non solo in ambito padovano ma anche nazionale, aprendo nuove prospettive all’arte sacra italiana ed europe

L’articolo tratta delle Storie della vita della Vergine post mortem Christi dipinte dall’anonimo pittore denominato Maestro del coro Scrovegni, cui spettò il compito di concludere nella zona absidale la decorazione giottesca della navata della cappella dell’Arena
Il ciclo del Maestro del Coro viene in questa sede considerato all’interno della problematica della costruzione e della cronologia della parte absidale della cappella, ovvero in stretta correlazione con il suo arredo scultoreo e il suo utilizzo in funzione sepolcrale.

• Nel mio lavoro di tesi ho preso in esame il discorso “Delle eccellenze e prerogative della musica”, pronunciato da Alfonso Goretti il 23 novembre 1606 presso l’Accademia degli Intrepidi di Ferrara e successivamente dato alle stampe sempre in Ferrara nel 1612 dallo stampatore Vittorio Baldini.
In tale discorso l’autore propone una dotta esaltazione della musica, illustrandone le origini, gli inventori, gli effetti e i benefici.

• Fratello del ben più noto musicofilo Antonio Goretti, Alfonso (seconda metà XVI sec. – 1613, chiesa di S. Paolo) fu dottore in legge e accademico intrepido. Esercitò la docenza presso l’Università di Ferrara nel 1609 e venne eletto al Consiglio Dei Savi (organo di governo della città) di Ferrara tra il 1606 e il 1610.
La sua biografia, sinora poco nota, è stata arricchita in questo lavoro grazie al rinvenimento e alla trascrizione di documenti sinora inediti, fra cui il testamento dell’autore e la memoria di un suo contemporaneo, Domenico Zanetti (che ci riporta una vicenda controversa legata alla moglie e all’eredità dell’autore).

• Una breve sintesi sul contesto socio-politico, culturale e musicale che caratterizzava Ferrara fra la fine del ‘500 e l’inizio del ‘600 (periodo delle Legazioni – Clemente VIII e Pietro Aldobrandini), alcuni dati biografici sull’autore e un breve approfondimento sui personaggi (il dedicatario: il marchese Enzo Bentivoglio; lo stampatore Vittorio Baldini) e sulle istituzioni (l’Accademia degli Intrepidi) che costituirono lo sfondo entro cui si collocò il discorso introducono un’analisi più approfondita del testo, di cui si propone in questa sede una trascrizione integrale nuova e riveduta rispetto alle precedenti.
I risultati di questa analisi sono stati riportati in appendice e inseriti in un database di cui parlerò in seguito.

• L’analisi del testo è risultata arricchita dal confronto con il Capitolo in lode della musica, un analogo discorso pronunciato a Padova nel 1607 dal musicista Gaspare Torelli presso l’Accademia degli Avveduti, di cui si propone in questa sede una prima trascrizione integrale. Il Capitolo presenta numerose somiglianze con il discorso di Goretti (quali l’approfondimento di temi come le origini e gli effetti della musica - argomenti abusati dalla trattatistica musicale antecedente), cosicché il confronto fra i due testi — vista la loro contemporaneità, la loro vicinanza geografica e la medesima destinazione accademica — si è rivelato particolarmente interessante.

• Il discorso Delle Eccellenze e prerogative della musica si situa cronologicamente in un periodo di notevole interesse per la storia della musica (nei primi anni del ‘600 si iniziano infatti a intravedere le prime innovazioni in campo musicale che poi apriranno alla grande stagione del Barocco). L’ambiente ferrarese inoltre, fin dalla dominazione estense, si era caratterizzato come particolarmente ricettivo nei confronti delle innovazioni musicali.
Tuttavia, data la sua natura eminentemente occasionale e celebrativa, il discorso di Alfonso Goretti non accenna neppure alle tendenze musicali innovative dell’epoca.
Per Goretti, sicuramente, sarebbe risultato piuttosto irrituale, malgrado la militanza dell’accademia (1600-1774 – Francesco Saraceni) a favore della ‘musica nuova’ (nel dibattito con l’Artusi) di Monteverdi – che fra l’altro fece ascoltare per la prima volta dei madrigali che si stavano muovendo verso uno stile nuovo, quello della cosiddetta seconda prattica- , dibattere di questioni teorico-compositive in una sede accademica (e quindi davanti a un pubblico di “non addetto ai lavori”) e in un discorso in lode della musica. (poi concretizzata nei libri VI-VII-VIII e caratterizzata da una scrittura più verticalizzata, dall’uso del cromatismo, di settime non preparate e non risolte -> deviazioni intenzionali delle regole per mettere in luce i contenuti del testo e garantire la massima aderenza della musica al testo).

• Il Discorso Delle eccellenze e prerogative della musica di Alfonso Goretti si presenta come una trattazione encomiastica della musica in cui l’autore attinge ad una vasta quantità di topoi e di auctoritates ereditate della speculazione teorico-musicale occidentale tradizionale.
Il discorso include, infatti, - anche per volontà dell’autore di dare dimostrazione della sua cultura classica e umanistica - numerosissime citazioni di teorici musicali antichi (Pitagora), medioevali (S. Agostino, Guido D’Arezzo) e moderni (Vanneo, Zacconi, Pietro Aaron), di grandi poeti e filosofi dell’antichità (Omero, Virgilio, Orazio), di personaggi mitologici (Orfeo) e biblici (Jubal) ereditate dagli scritti teorici-musicali occidentali dei secoli precedenti, realizzando un efficace sommario delle certezze condivise ed approfondendo argomenti convenzionali.

• Di particolare interesse è risultato verificare se, ed eventualmente in quale misura, il corpus delle fonti citate da Goretti fosse presente nella trattatistica musicale cronologicamente e geograficamente vicina all’autore. Per effettuare tale ricerca ho circoscritto il campo di indagine al periodo dal 1550 al 1650 e mi sono avvalso del database ITMI (Indici della trattatistica musicale italiana), un repertorio che raccoglie sistematicamente le citazioni presenti nei testi di trattati musicali di autori italiani dal 1300 al 1700 e al quale ho a mia volta contribuito inserendo le citazioni dei due testi da me trascritti.

• I risultati, riportati nella tabella all’appendice e derivati da un confronto con la letteratura coeva, hanno fornito numerosi spunti di riflessione sui riferimenti presenti nel discorso di Goretti che pare rispecchiare solo in parte la cultura musicale dell’ambiente musicale ferrarese, in quanto fornisce un’immagine parziale delle disquisizioni musicali che potevano essere state discusse in quelle sedi.

Nel luglio del 1721 il conte padovano Girolamo Frigimelica Roberti, letterato, librettista e "Dilettante di architettura" come si definiva, si stabilì a Modena presso la corte estense su invito del duca Rinaldo. Si apriva così l'ultimo ma fecondo capitolo della vita di una singolare e affascinante personalità, che a Modena legherà il suo nome alla progettazione della chiesa di San Giovanni decollato.

The death of Rizzardo VI da Camino (+1335), marks a significant turning point, not only for the history of Cenedese or Veneto.
Without a male descent, a long litigation followed between the Rizzardo VII brothers and Gherardo V da Camino, distant cousins of the deceased and lawful heirs, the Dalla Scala, the Patriarch of Aquieleia and, above all, Venice and the bishop of Ceneda. The two Da Camino instructed a trial among Roman Court, suing Francesco Ramponi, bishop of Ceneda, who, through false deeds, tried to get the properties of the late Rizzardo VI to be recognized.
The details of the intricate affair, after the meticulous and still very wise essay by Gerolamo Biscaro, were considered by now all to be known. In truth, a document of fundamental importance for the trial held at the Roman Court was found: the sentence of the papal delegate Nordio da Grava, abbot of Follina, who, as the subsequent documentation shows, was totally ignored.
The motivations that led to this, and ultimately to the "victory" of the Bishop and the Republic, are the object of the investigation of this article.

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La morte di Rizzardo VI da Camino (+1335) segna un punto di svolta notevole, di interesse non solo per la storia del Cenedese o del Veneto.
Privo di discendenza maschile, alla sua dipartita seguì un lungo contenzioso tra i fratelli Rizzardo VII e Gherardo V da Camino, lontani cugini del defunto e legittimi eredi, gli Scaligeri, il Patriarca di Aquieleia e, soprattutto, Venezia ed il Vescovo di Ceneda. I due fratelli Caminesi istruirono un processo presso il Papa, citando in giudizio Francesco Ramponi, vescovo di Ceneda il quale, con atti falsi, cercò di farsi riconoscere la proprietà dei beni del defunto Rizzardo VI.
I particolari dell'intricata vicenda, dopo il minuzioso ed ancor validissimo saggio di Gerolamo Biscaro, si ritenevano ormai tutti noti. In realtà è stato ritrovato un documento di fondamentale importanza nello svolgimento del processo tenutosi presso la Corte Romana: la sentenza del delegato papale Nordio da Grava, abate della Follina la quale, come dimostra la documentazione successiva, fu inverità totalmente ignorata.
Le motivazioni che portarono a questo, ed in ultima analisi alla “vittoria” del Vescovo e della Repubblica, sono oggetto dell’indagine del presente articolo.

The contrast between Venetia on the mainland, dotted with ancient cities linked to the kingdom of Italy and the Ottonian Empire, and a coastal and insular Venetia, which was urbanized later and then developed in the political and cultural orbit of the Byzantine Empire, has left a special imprint on the history, culture, and art of the region. If Romanesque architecture differs from one diocese to another, the dialogue between the Adriatic coast and the inland region on the one hand, and the expansion of building activity in Venice on the other, resulted in a subtle type of relationship between the two poles. Venice and Verona stand apart by virtue of the wealth of architectural and decorative patrimony they have preserved, characterized by a precocious revival of classical and late-antique models. The prestigious worksite of San Marco in Venice (1063-1071) imposed a new architectural vocabulary that spread to the mainland. The first Romanesque churches in Verona, which belong to a larger context of European relations, lay the groundwork for the emblematic buildings in the middle Po Valley, traditionally associated with Milan and Modena. Elsewhere, the architectural landscape of Venetia is more difficult to grasp, but is not lacking in important monuments, such as the sanctuary of Santi Vittore e Corona at Feltre, where Byzantine solutions meld with those of occidental Romanesque art, and the abbey of Sant'Eustachio at Nervesa in the province of Treviso, where the spatial organization is linked to the monastic reform in Germanic regions.
PROVIDED FOR NON-COMMERCIAL RESEARCH AND EDUCATIONAL USE ONLY. NOT FOR REPRODUCTION OR DISTRIBUTION OR COMMERCIAL USE.

Se rendre depuis Venise à Padoue pour visiter sa basilique, jusque là l'affaire est banale et le voyage fait parti du séjour touristique de celui qui a cédé à l'amour de l'Italie. Mais lorsqu'il s'agit de François Mitterrand qui n'avait pas de croyance particulière mais se disait lui-même « un peu druide », conduit à se demander s'il s'agissait pour lui de capter les énergies du lieu dont il avait alors besoin?

This essay aims to investigate around the lost Uomini Illustri cycles in Napoli,
Milano and Padova, traditionally linked to Giotto, Petrarch and to the “Proto-Humanistic”
culture. The author proposes some research ideas and hypotheses about
the iconography of the lost frescoes and their cultural contexts, considering the most
recent critical literature, with particular attention to Petrarchan studies, the circulation
of ideas, books and images, the surviving and transformations of classical artistic
and literary models in Europe during the Middle Ages.

Da Spalato, Salona, Šolta a Venezia e Padova, tra una costa e l’altra dell’Adriatico: questa è la proposta di Iter marulianum, un viaggio speciale sulle tracce dello spalatino Marko Marulić (1450-1524), umanista cristiano di fama mondiale, considerato in Croazia “padre della letteratura” nazionale. Il percorso compiuto lungo questa ricerca si snoda perciò attraverso luoghi e scritti della formazione di Marulić, altrettante testimonianze della vitale ricchezza di rapporti intrattenuti dall’umanista sull’una e sull’altra sponda, dell’importanza del centro e della periferia in cui si collocano, della felice simbiosi tra otium e negotium, patrio e universale, che ne caratterizzano l’opera.

Nel 1519 Bartolomeo Campolongo promosse la realizzazione di un ciclo pittorico dedicato a sant'Antonio nell'antisagrestia della basilica a lui intitolata a Padova 1 . All'interno di questo nuovo apparato decorativo, forse sollecitato dai frati, egli fece conservare l'antica lunetta dipinta che si trovava sopra la porta d'accesso alla sagrestia (Tav. 92), dove sant'Antonio era raffigurato, insieme a san Francesco, a lato della Madonna con il Bambino 2 . Tale scelta era coerente al pervicace impegno già dimostrato da Bartolomeo nel salvaguardare le memorie antoniane che, in precedenza, lo aveva portato a commissionare un prezioso reliquiario per i capelli del Santo 3 , e poi a comprare le colonne dismesse dalla cappella dove era con-1 M. LUCCO, Il Cinquecento (parte prima), in Le pitture del Santo di Padova, a cura di C. Semenzato, Vicenza 1984 (Fonti e studi per la storia del Santo a Padova, IX. Studi, 5), pp. 145-163, in part. 154-155. Su Bartolomeo Campolongo, che fu massaro dell'arca, e sul significato del ciclo pittorico da lui commissionato, raffigurante miracoli di sant'Antonio, come «perfetta introduzione al sacrario delle sue reliquie» nella sacrestia, si veda G. BALDISSIN MOLLI, La sacrestia del Santo e il suo tesoro nell 'inventario del 1396. Artigiani d'arte al tempo dei carraresi, Padova 2002 La lunetta è citata da P. BRANDOLESE, Pitture, sculture, architetture, ed altre cose notabili di Padova, Padova 1795, p. 30; A. BIGONI, Il forestiere istruito delle meraviglie e delle cose più belle che si ammirano internamente ed esternamente nella basilica del gran taumaturgo S.

When Domenico Bedini sang “Deh per questo istante solo” in La clemenza di Tito in September 1791, it was the 30th Rondò written for him in the course of 18 years of a steady career as primo uomo at all the major opera houses in Italy. The paper tries to reconstruct his career as a Rondò singer, which started in 1777 and continued through a spectacular series of compositions by Mortellari, Ottani, Myslivecek, Schuster, Alessandri, Rust, Martín y Soler, Sarti, Cherubini, Cimarosa and others right into the early 1790s with its new generation of composers (Nasolini). Bedini preferred to sing in a limited range mostly in A major, using special chromatic motives and melodic turns, which recur in Mozart’s Rondò, as do certain harmonic and formal features of his Rondò arias. He was a favorite of the Florentine court, which explains for his being chosen for Prague in 1791. There are no signs of a decline of his voice or career prior to the Prague coronation. In quoting extensively from Italian newspaper reports on the singer, from poems, from the correspondence of Padre Martini, who was Bedini’s mentor and from other sources the paper tries to convey a vivid picture of the singer and his success. Music examples from 11 of his Rondòs and an analysis of typical examples try to describe the specific features of Bedini’s “Rondò style”.

The cult of the past is a very common topos not only in the humanistic Quattrocento but also in the Middle
Ages, and it represents a strong propaganda tool in profane art associated with astronomical and moralistic
allegories, frequent in the fourteenth and fifteenth centuries. This essay investigates some profane
themes - linked with contemporary literature - in court art between the late Middle Ages and early Renaissance.
In particular, it deals with secular cycles of Illustrious Men and Triumphs, following continuity and
transformations from older evidence (often lost) to their presence in proto-humanistic contexts in Italy before
the Quattrocento, when these typical themes are documented everywhere. Furthermore, it discusses
the relationships between images, words and memory; and the propagation of Illustrious Genealogies in
the late Trecento.

Una panoramica generale che prende in considerazione lo stato attuale della ricerca sulla Riforma a Padova, nella società laica ed ecclesiastica, secola e regolare. Alcuni esempi.

An overview that considers the current state of research on the Reformation in Padua, among the laity and the Church,  secular and regular clergy. Some studied cases.

https://doktori.hu/index.php?menuid=193&lang=HU&vid=23181

különösen:
http://doktori.btk.elte.hu/folk/paalzsuzsanna/tezis.pdf

IN ENGLISH:
Short summary
of the PhD. thesis from Mrs. Zsuzsanna Paál:
“A rural society on its way to urbanisation?"
The thesis follows with attention the process of cultural changes in a (non-Hungarian) European
region. As a consequence of the European unification and under the pressure of the accelerating
modernisation Italian peasant families have gone through a radical change in their way of life.
This thesis reveals through case studies the life of a micro-region of northern Italy perhaps last in
the urbanisation proceses - the villages in the vicinity of Padova.
The five chapters of the thesis give the reader an insight into the rural economy and social life of
the "proper peasants" in the Padova region.
Certain social, historical statistical and demographical phenomena are also discussed from the
viewpoint of the north - south comparison (second chapter) in order to put the problems of the
Padova micro-region into broader context. The thesis follows life histories of whole families
throughout the 20th century (first chapter) by using the family history method widely accepted in
social sciences. The ethnographical collection - which serves as a basis for further examination -
consists of a series of in situ collected an later edited oral presentations of family stories (third
chapter). The interviewees speak about a sinking world in which they spent the majority of their
lives and which is on the brink of disappearence against their will. However they are able to
speak about it in a rich and undistorted way. During the reading of citations from these persons -
frequent in he thesis - one can feel their sublime spirit. The author presents in the fourth chapter
the atmosphere of the traditional kinship families and the many divergent transitional ways of life
after its decay while the subjects of household and its surroundings, foodstuff, kitchen, trousseau
and clothing are discussed in the fifth chapter.
The author wishes to express and emphasize her view - even by putting a question mark into the
title of the present thesis - that the changes are uneven: the traditional (kinship) attitude to life
and the material culture which manifests itself in economy and in everyday objects fade away at
very different speed. Although one can still find a few examples of surviving material culture and
gastronomy (like home-made cheese) the case studies point to the conclusion that changes in
attitude and mentality are much slower than those related to material culture. As a consequence
of this we are witnesses of a change which is vitually fast but in fact it is much slower than it
seems to be.
The thesis offers the possibility of comparison to other European regions in many fields of
interest. Such question for example is a private life issue which fundametally affects one`s whole
life: male peasant youngsters from well-to-do families face difficulties in finding proper partner
for marriage in the 20th century. An another issue can be the appearance of "leading a double
life" in different European regions.
In the summary of the thesis Paál tries to define the relative position of the Padova region rural
society compared to other European ones, and gives a more flexible interpretation for the terms
of "eastern" and "western" types of rural communities.

Budapest, 2003

INDICE INTRODUZIONE 1 CAPITOLO I da San Francisco a Konopiště: sulle orme di Tiziano 4 CAPITOLO II il trionfo di Raffaello in terra veneta 11 CONCLUSIONI 18 TAVOLE 21 BIBLIOGRAFIA 29 1 INTRODUZIONE Descrivere in poche parole la figura di Marco Mantova Benavides non è cosa facile, tanto quanto riuscire ad encomiarla per intero e in maniera soddisfacente. Fortunatamente disponiamo di studi approfonditi ed esaustivi sulla personalità del giureconsulto padovano e sul suo spirito da affamato collezionista 1 , pertanto il mio umile contributo vuole essenzialmente concentrarsi su alcuni pezzi della sua ricca collezione a mio giudizio tra i più curiosi, visti anche i recenti studi in merito, che ci illuminano sul bisogno di continue ricerche e sulla complessità di questa raccolta. Marco, figlio di Giampietro e Lucrezia, nacque nel 1489 a Padova e sempre qui morì quasi cento anni dopo 2 . Dedicò la sua vita agli studi giuridici, una forte passione che lo condusse ad una carriera felice e fruttuosa tanto da essere invitato nel 1517 dal Senato veneto ad insegnare, per la seconda volta, allo Studio di Padova Istituzioni 3 , mantenendo la cattedra fino a poco prima della sua morte. Un giurista e non solo, Marco fu anche uno scrittore, infatti molto ricca è la sua produzione letteraria sulla quale volontariamente decido di non soffermarmi, poiché meritevole di una relazione a parte vista la sua natura eterogenea che va dagli aforismi alla novellistica, non ignorando anche la critica letteraria 4 . La collezione di Marco prima di subire diversi smantellamenti, era distribuita all'interno del Palazzo Mantova Benavides in Via Porciglia, fatto costruire alle spalle della chiesa degli Eremitani a Padova, dove il giurista si trasferì attorno al 1540 5 . Eppure, la sua collezione non nacque tra le mura di questo raccolto e distinto Palazzo, bensì qualche anno prima, quando Marco alloggiava ancora presso la casa dei suoi genitori: nel 1537 infatti Marcantonio Michiel registrò la sua visita presso la famiglia ebrea padovana, elencando i pezzi della collezione di Marco già presenti a quella data. Sappiamo quindi che ancor prima del suo trasferimento, Marco era già riuscito a raccogliere marmi antichi, medaglie d'oro e d'argento, bronzetti, un San Girolamo nel deserto di Raffaello, un ritratto della 1 Per uno studio dettagliato sulla vita e sulla collezione di Marco Mantova Benavides, cito alcune opere di riferimento: L. Puppi in S. Bettini L. Puppi, La Chiesa degli Eremitani, 1970, P.II, pp.98-100; I. Favaretto, Andrea Mantova Benavides Inventario delle antichità di casa Mantova Benavides 1695, 1978; A. Menegazzi I. Favaretto, Un museo di antichità nella Padova del Cinquecento: la raccolta di Marco Mantova Benavides all'Università di Padova, Museo di scienze archeologiche e d'arte, 2013; 2 Per la data di morte e di nascita, altro importante documento è il suo monumento funebre realizzato dall'amico scultore Bartolomeo Ammannati e conservato all'interno della Chiesa degli Eremitani a Padova 3 C. Zendri, Mantova Benavides Marco, in Dizionario Biografico degli Italiani, Vol. 69, 2007 4 La sua opera letteraria piú conosciuta è illustrium jurisconsultorum imagines, quae inveniri potuerunt, ad vivam effigem expressae, ex musaeo M. Mantuae Benavidi, Romae 1566 -Venetiis 1569 5 A. Menegazzi -I. Favaretto, op. cit., 2013, p.5 2 Vergine del Montagna e altro ancora 6 . Con il passare del tempo alla collezione si aggiunsero preziosi oggetti, talvolta provenienti da scambi avvenuti con altri collezionisti di area veneta: è il caso del busto rinascimentale "all'antica" di Adriano Imperatore che Marco ricevette nel 1533 da un Luigi Querini 7 , oggi conservato al Museo Archeologico di Venezia 8 . Per riuscire ad avere un'immagine nitida della collezione Mantova Benavides e del suo mutamento nel corso dei secoli, nonché della disposizione dei pezzi, bisogna avvalersi di due importanti documenti: la già nominata Notizia d'opere di disegno, ossia quella raccolta di annotazioni sulle collezioni veneziane e dell'Italia settentrionale, e il manoscritto Inventario delle antichitá di casa Mantova Benavides del 1695. I pezzi della collezione Mantova Benavides registrati dal Michiel sono parziali e per questo la sua lettura va accompagnata a quella dell'inventario steso nel 1695 da Andrea, un pronipote di Marco, molto affezionato alla collezione giuntagli per via testamentaria 9 . È tramite questo elenco dettagliato dei pezzi da collezione, numerati progressivamente, che possiamo infatti immaginarci una raccolta variopinta e di un intenso respiro europeo: non mancavano stampe provenienti dalla Germania, come quelle di Albrecht Dürer e di Luca da Leida, rispondendo ai gusti collezionistici del tempo 10 . Si trattava di una stupefacente collezione che metteva in convivenza i naturalia (un coccodrillo imbalsamato, alcuni fossili, molte conchiglie e due scheletri di gatto) con gli artificialia (stampe, disegni, calchi e statue antiche e all'antica). Proprio basandoci sulle modalità cinquecentesche di raccolta dei pezzi da collezione, ci viene più facile intuire che anche la raccolta di Marco non era suddivisa per tipologia di oggetti, ma tutto veniva collocato in maniera casuale all'interno delle stanze del Palazzo, concepito come «casa-museo» 11 . A tal proposito nell'inventario si trovano informazioni circa la collocazione degli oggetti all'interno della casa, infatti sappiamo che i pezzi da collezione erano distribuiti in ben tre stanze diverse, alle quali però bisogna aggiungere lo studiolo, luogo di raccoglimento per Marco. Seppur gli oggetti non avevano alcuna suddivisione di genere, la loro collocazione rispondeva a una chiara esigenza di 6 M. Michiel, Notizia d'opere di Disegno nella prima metà del secolo XVI: esistenti in Padova, Cremona, Milano, Pavia, Bergamo, Crema e Venezia, ed. Jacopo Morelli, 1800, pp.24-25 7 Biblioteca Antica del Seminario Vescovile di Padova, ms. 619, 6, n. 215, in I. Favaretto, Op. cit., 1978, p.16 8 G. Traversari, Museo Archeologico di Venezia: i ritratti, 1968, p. 105; il bronzo veneziano sarebbe una derivazione, rielaborata secondo il gusto rinascimentale, del busto marmoreo conservato al Museo Vaticano. La produzione di statue, bronzetti e busti pseudoantichi fu caratteristica dell'ambiente artistico padovano, come verrá ricordato qui nel Capitolo II 9 Per la consultazione dell'inventario e una sua scrupolosa analisi, tutto si deve a I. Favaretto, Op. cit.

L'anonimo autore del Diario o sia giornale del 1762 traccia un'accurata descrizione della chiesa degli Eremitani di Padova, di cui elenca arredi, altari e pitture con dovizia di particolari; accanto alla cappella Cortellieri, sul fianco destro dell'edificio, vede una "Cappella chiusa da tavole, dove [i frati] ripongono quanto loro occorre" 1 . Ancora nel 1930 la cappella era ridotta a deposito di legna e carbone; in quell'anno Vittorio Lazzarini notava al suo interno "tracce su di una parete di una decorazione ornamentale che inquadra i resti di alcune teste con aureola" 2 . Attribuiti dubitativamente dal Lazzarini a Giusto de' Menabuoi, gli affreschi furono ricondotti alla mano di Guariento da Lucio Grossato 3 , che per primo se ne occupò dopo che la cappella fu riaperta e i dipinti restaurati, nel contesto del vasto intervento di risanamento post-bellico diretto da Ferdinando Forlati 4 . Ad oltre due secoli dalla sua chiusura, che ne aveva causato il completo oblio 5 , la cappella tornò quindi fruibile e gli affreschi 1 Descrizione della chiesa degli Eremitani, in Diario o sia giornale per l'anno 1762, Conzatti, Padova 1762, pp. 98-111, in partic. p. 104. 2 V. Lazzarini, Un'altra cappella di Giusto pittore agli Eremitani di Padova, in «Archivio Veneto», V, 1930, 8, p. 81. In quell'occasione lo studioso ipotizzava si trattasse della decorazione affrescata da Giusto de' Menabuoi a corredo della sepoltura di Enrico Spisser, su cui si veda: S. Bettini, Giusto de' Menabuoi e l'arte del Trecento, Le Tre Venezie, Padova 1944, p. 63-65. 3 Lucio Grossato fu il primo ad interessarsi agli affreschi, proponendo un'attribuzione a Guariento per le figure del sottarco; L. Grossato, La chiesa degli Eremitani, in «L'Orologio», LI, 1956, s.i.p.; Id., Il Guariento agli Eremitani, in Per l'inaugurazione della Sagrestia degli Eremitani in Padova, a cura di D. Bertizzolo, Tipografia Antoniana, Padova 1971, pp. 83-92. 4 F. Forlati, Restauro della chiesa degli Eremitani a Padova, in «Bollettino d'Arte», XXXIII, 1948, p. 80-84: 80. 5 La cappella è infatti ignota a tutte le fonti padovane, in genere molto attente ai fatti artistici locali; tale circostanza pare aver pesato anche sulla critica moderna, al punto che gli affreschi, pur notevolmente interessanti dal punto iconografico, non vengono citati nell'approfondito studio di George Kaftal: G. Kaftal, s.v. St. Anthony the Great, in Iconography of the Saints in the painting of North East Italy, with the