Sorge la sapienza dalle fonti zampillanti del divino e affonda le sue radici nelle acque impetuose di una vita sacra, dove gli dei si mostrano, nella loro sfolgorante bellezza, in ogni elemento, azione, gesto, istituzione politica. Le...
moreSorge la sapienza dalle fonti zampillanti del divino e affonda le sue radici nelle acque impetuose di una vita sacra, dove gli dei si mostrano, nella loro sfolgorante bellezza, in ogni elemento, azione, gesto, istituzione politica. Le vallate, i boschi, le montagne bagnate dal sole cretese, sono santuari dove gli uomini vivono a contatto con la divinità, dove la danza guida i mortali sulla strada degli immortali, dove il distacco tra le due sfere dell’essere si fa sottile e gli uomini divengono dèi.
Nel corso dei secoli, questa sensibilità si fa più labile, non riesce più un contatto duraturo, inizia a sentirsi come incolmabile una differenza che, pur sempre presente, poteva, in passato, essere facilmente superata. Nei poemi omerici, restano bagliori di questa vita divina e gli eroi, pur sofferenti, pur meschini a volte, pur umani, troppo umani, ancora vivono con gli dei, ancora ne sentono la permanente presenza, senza però riuscirne più ad esperire in modo duraturo l’essenza.
Il mondo degli eroi tramonta, nuove forze corrono attraverso la Grecia, la distanza si fa sempre più ampia ed ecco che quel che a Creta avveniva in modo spontaneo ha bisogno di istituzioni più elitarie, di forme più intime rispetto al culto esteriore, il quale non riesce, ormai, a rispondere in modo pienamente soddisfacente alle esigenze di una società sempre più complessa: nascono i Misteri, Dioniso irrompe come fuoco distruttore delle singole individualità, nasce la tragedia, che porta in luce il non senso di una realtà violenta ed atroce nella sua sete di vendetta, nel suo bisogno ancestrale di giustizia, nel suo dolore, che, se affrontato, porta, però, il singolo spettatore a liberarsi di ogni passione, per poter contemplare il giocoso alternarsi di vita e morte.
Orfeo traduce in canto il tragico sentire dionisiaco, Eleusi diviene centro iniziatico fondamentale per poter raggiungere, al termine di un tortuoso sentiero, la visione beatifica, la quale libera dagli stretti vincoli sensibili, per far rilucere, nell’attimo, il sovrasensibile.
L’iniziazione collettiva però non basta, un nuovo linguaggio si fa strada, il logos poetico prende il posto del mito ed ecco che dalle radici della visione, si sviluppa la sapienza dei primi filosofi.
Eraclito, sdegnoso, addita ai mortali la via del fuoco, mette in luce l’ambivalente essenza della realtà, che è allo stesso tempo violenta contesa e fanciullesco gioco, conduce gli uomini attraverso l’ardua via che dal mutevole divenire deve portare all’eterna sorgente scintillante, dove ogni molteplicità si mostra nella sua unità, dove ogni lotta si trasforma in danza gioiosa, dove ogni singolo, seguendo la trama del comune logos, può superare la propria inadeguata umanità per divenire sovrumano, finalmente capace di vedere il flusso come un fuoco, che con misura si dispiega nel manifesto e con misura si ritrae nel suo intimo.
A Elea, poi, nasce un medico-legislatore, che con la sua azione politica dà leggi giuste ad una città accerchiata da nemici, che con le sue cure guarisce un’umanità segnata dal dolore, che con la sua sapienza illumina una mente obnubilata dall’opinione. L’apparente astrattezza del suo poetare vibra di un amore per la verità, che lo fa correre fino alla soglia della notte e del giorno, fino alla contemplazione del cuore non tremante della verità, per poi ridiscendere e portare ai concittadini la parola della dea, la quale, sola, può indicare la stretta via della conoscenza.
Il rigore del logos parmenideo si stempera nella visione artistica di Empedocle, che, dio tra gli uomini, sente nel profondo del cuore il divino insito in ogni aspetto della natura e non può accontentarsi degli stretti vincoli dell’Essere eleatico, in quanto tutta la realtà è degna di essere cantata e ogni aspetto del mondo non è altro che un pensiero di dio, lo Sfero, che, con la sua inquieta stasi, tiene in sé il germe di tutte le radici del cosmo. Amore e Odio guidano l’alternarsi tra unità e molteplicità e la sofferenza del distacco è superata dalla consapevolezza dell’inevitabilità dell’unione.
Il grande albero della sapienza, che nei tre σοφοί presentati espande la sua ampia chioma, fiorisce nel mare del Bello platonico e porta alla luce i suoi frutti più succosi: le idee e l’amore guidano l’uomo del IV secolo, ormai completamente disorientato da un logos che si è fatto capzioso gioco sofistico, da una città che si è fatta strumento delle più abiette passioni umane, da una religione che si è degradata a spregevole culto popolare. Platone mostra alla πόλις un nuovo modo di pensare la virtù, la conoscenza, la realtà. La risalita dal buio della caverna può avvenire solo grazie ad un amore per la bellezza che sia guidato dalla dialettica e la contemplazione del Bene giunge al termine di un tortuoso sentiero in salita, che dall’amore dei corpi deve giungere fino all’amore del Bello in sé. L’eroismo solitario si affianca alla necessità politica della condivisione e la filosofia platonica si fa pratica di vita dove conoscenza, virtù e agire politico sono indissolubilmente legati