ORIZZONTI DI LETTURA
LEADERSHIP E TERZO SETTORE
di Matteo Orlandini
«Devi finire quello che hai iniziato…»
«Perché?»
«Perché un leader non è un leader se non sa dove andare»
Lost 1° serie, 5° episodio
«La pista è dritta come un’autostrada...Sembra
uno che sa dove va. E tu? Sai dove stai andando?»
«Come?»
Lost 2° serie, 11° episodio
Borzaga C. e Fazzi L. (a cura di), Governo e organizzazione per l’impresa sociale,
Carocci editore, Roma, 2008. Colozzi I e Prandini R. (a cura di), I leader del Terzo
settore. Percorsi biografici, culture e stili di leadership, FrancoAngeli, Milano, 2008.
Dym B. e Hutson H., Alla guida di un’impresa sociale. La leadership nel Terzo settore, Erickson, Trento, 2008. Hansefeld Y. (eds.), Human Services as Complex Organizations, Sage, Los Angeles, 2009.
1.
Premessa: un leader non è un leader se non sa dove andare
Il grande successo del telefilm americano Lost, che in Italia è uscito alla quinta serie, si gioca molto sui tratti, fisici e caratteriali, dei personaggi principali. A differenza
di altri tv-series non è il ritmo incandescente (come nei formato thriller, tipo CSI o
NCIS), la trama a mò di giallo (come in Numb3rs o Alias), la straordinarietà di un
singolo protagonista (come in Eli Stone, Ally Mc Bean o Chuck) ad attirare
l’attenzione dello spettatore. La storia, inizialmente1, è semplice: il volo 815 della
1
La ABC ha iniziato la produzione di Lost nel 2004; l’ultima serie, la sesta, è in programma
per il 2010 negli Usa. Gli autori, soprattutto dopo la seconda stagione, presentano una storia, il
Sociologia e Politiche Sociali, vol. 13, 2/2010, pp. 119-138.
1
Oceanic-Air, partito da Sidney e diretto a Los Angeles, precipita su un’isola tropicale
del Pacifico del sud. I sopravvissuti chiedono aiuto, si organizzano, cercano un riparo
sicuro, cacciano, esplorano l’isola, costruiscono una zattera, s’innamorano: in poche
parole iniziano a formare una nuova comunità2. Gli episodi, o almeno la stragrande
maggioranza, narrano due storie distinte: una principale e continua, che presenta gli
eventi sull’isola, e una secondaria e discreta, grazie all’uso di flashback e flashforward con cui l’appassionato ricostruisce il passato di Jack, Locke, Kate, Sawyer,
Charlie, Claire, Hurley, Sayid, Walter e tutti i vari personaggi che nelle serie compaiono (e ogni tanto scompaiono). Ciò che può interessare uno studioso di sociologia
è il modo in cui gli autori, in special modo il grande J.J. Abrams, hanno costruito due
elementi: il passaggio dal singolo al gruppo e la formazione dei ruoli in questa nuova
comunità. Qui possiamo prendere spunto da Lost per avvicinarci al tema della leadership. Infatti, sin dalle prime puntate il gruppo segue le indicazioni di Jack Shephard (il
cognome riprende volutamente la somiglianza al termine inglese sheperd, ossia pastore), ex medico neurochirurgo a Los Angeles, ossessionato dall’aiutare le persone e dal
mettere tutte le cose al loro posto. Jack, dopo lo schianto, ha un ruolo determinante
nel prestare i soccorsi agli altri sopravvissuti, nel guidarli alle grotte, nuove e sicure
abitazioni, nell’usare le armi di difesa, nel trattare con gli Altri, nel decidere di tornare
all’isola dopo averla lasciata. Jack è un leader carismatico, con tratti e caratteristiche
innate; è un uomo di scienza; si sa adattare alle situazioni; ha una capacità elevata di
ascolto e di conciliazione delle parti avverse; ciononostante è una figura umana: ha le
sue debolezze, soprattutto legate al passato rapporto con il padre, ha bisogno di altri
per chiarire le sue aspettative e la sua visione delle cose. Altro punto di riferimento
per i sopravvissuti è John Locke (il nome anche per questo personaggio è
un’imitazione: copia del filosofo inglese John Locke, nella quinta serie si servirà dello
pseudonimo Jeremy Bentham). Nei quattro anni precedenti lo schianto Locke è vissuto su una sedia a rotelle. Quando l’aereo precipita, guarisce miracolosamente: così
inizia a credere di avere un legame speciale con l’isola. In meno di tre mesi diventerà
il leader degli Altri. John è un leader idealista, ma concreto e affidabile; è un uomo di
fede, per il quale la conoscenza deriva dai sensi; sa vivere nella foresta, allevare i
bambini, cacciare; nelle prime due serie, nonostante gli screzi, sarà buon consigliere
di Jack; è un uomo sicuro di sé, capace di ascolto, ma deciso nella visione del gruppo
e dell’isola. Il confronto tra questi due leader dividerà il gruppo e porterà a esiti della
storia diversi per chi seguirà l’uno o l’altro.
Gli autori di Lost, per descrivere i due leader, hanno attinto dalla letteratura scientifica sull’argomento e ne hanno fatto una sintesi ragionata. Jack è un leader “naturale”: ha doti carismatiche; John è un leader “situazionale”: è il suo attaccamento
all’isola che lo spinge ad agire e a cercare consensi. La costruzione della figura di
una “guida” nelle serie tv dice come, ormai, il tema della leadership stia diventando
cui finale è ancora da scoprire, molto complicata: l’isola si è sganciata dal continuum temporale
e salta da un’epoca all’altra. Per i curiosi si veda la pagina di Wikipedia dedicata a Lost
(http://it.wikipedia.org/wiki/Lost) e il sito (http://it.lostpedia.wikia.com).
2
Nella prospettiva di osservare le dinamiche di un gruppo e la costruzione della leadership per
una recente sperimentazione si veda Tomelleri S. e Doni M., Quando la leadership è una costruzione sociale, in Animazione Sociale, n.8/9, 2009.
Sociologia e Politiche Sociali, vol. 13, 2/2010, pp. 119-138.
2
centrale nello studio della società. Il focus, in questo breve scritto, sarà puntato sulle
organizzazioni emergenti di Terzo Settore (d’ora in poi, TS). Attraverso quattro contributi si cercherà di delineare il panorama teorico sulla leadership (par. 2), si analizzeranno le peculiarità di ogni autore (par. 3) e si coglieranno alcune possibilità di ricerca per la sociologia in questo campo (conclusioni).
2. Alcune precisazioni intorno al termine leader alle sue teorizzazioni
L’Italia ha visto, a partire dagli anni Ottanta, un forte sviluppo del TS. Se gli studi
sociologici, economici ed organizzativi hanno saputo sostenerne l’avvio, spesso claudicante, ciò non si può dire per quanto riguarda la teoria sulla leadership.
L’argomento pare, almeno nel nostro paese, come nuovo3.
Borzaga e Fazzi
Definizione
Leadership
Excursus
Teorie Leadership
Approccio
Teorico
Ricerca
empirica
Flussi di potere
e di influenzamento dei comportamenti e
delle scelte di
singoli o gruppi, collegati ai
ruoli formali o
informali e ai
contesti
Ripresa di Anheier (2005):
stili di leadership (autocratico, laissezfaire, democratico, carismatico)
Leadership situazionale: preferenza per il
modello democratico
Case studies
Colozzi e Prandini
Capacità di influenzare qualcuno in qualche
modo per il
raggiungimento
di obiettivi
Dym e Hutson
Schimd
Processo dinamico in un sistema complesso
di interrelazioni
che mira
all’allineamento
tra organizzazione, leader e ambiente
Creazione e trasmissione di una
vision
Excursus comparativo: le teorie
della leadership e
l’allineamento
Excursusu storico: dalla teoria
dei grandi uomini agli stili;
dalle teorie della contingenza a
quelle neocarismatiche
Leadership mix
transazionale
(interno) e trasformazionale
(esterno)
Case studies
Leadership situazionale
Teoria
dell’allineamento
Survey con 230
interviste
Case studies
Tab. 1 – Principali tematiche della studio sulla leadership
3
Un’aggiornata bibliografia sull’argomento è reperibile su AED, Center for Leadership Development, http://cld.aed.org/PDF/Leadership_Bibliography%5B1%5D.pdf.
Sociologia e Politiche Sociali, vol. 13, 2/2010, pp. 119-138.
3
Una forte accelerazione è avvenuta nel 2008 con la pubblicazione di due libri
(Dym e Hutson 2008; Colozzi e Prandini 2008) e due contributi in una curatela (Borzaga e Fazzi 2008)4. L’altro testo preso qui in considerazione è di Hillel Schmid, uno
dei più recenti usciti in lingua inglese e paradigmatico del nuovo corso degli studi sulla leadership5. Nella tabella 1 si può trovare una sintesi dei quattro studi secondo gli
argomenti ricorrenti in letteratura.
Due dei testi proposti, quelli italiani, cercano all’inizio della loro esposizione di
chiarire il significato del termine leadership. La letteratura sull’argomento di stampo
anglosassone ha, infatti, ormai chiaro cosa sia un leader e cosa lo differenzi da un
manager. Più complessa, anche per gli anglofoni, sembra essere la discussione sulle
teorie della leadership. La posta in gioco non è di poco conto. Ci si chiede: la leadership è un tratto umano innato oppure può essere sviluppata attraverso apprendimento?
Dipende dall’ambiente in cui viene esercita, comprese le relazioni umane afferenti,
oppure è totalmente carismatica? E se dipendente dall’esterno, è solo contingenza o è
anche sostanza?
2.1. Il termine leader
La parola leader deriva dal verbo inglese to lead: in italiano condurre, guidare, dirigere. Sia Acler sia Colozzi rileggono la capacità di un singolo di guidare un gruppo
in termini di influenza:
Leadership quindi fa riferimento ai flussi di potere e di influenzamento dei comportamenti e
delle scelte di singoli o di gruppi, collegati ai ruoli formali o informali e ai contesti (Acler
2008, 176).
Questa parola indica, al livello minimo, la capacità di influenzare qualcuno in qualche modo
(Colozzi 2008, 11).
Il leader è tale se, avendo una posizione preminente all’interno di un sistema di relazioni, dovuta alla situazione e/o alle sue doti, la sfrutta per influenzare i comportamenti dei seguaci (followers). Si possono delineare tre posizioni di dominio: informativa, il leader è al centro della rete di scambio di comunicazioni interne
all’organizzazione; decisionale, la strategia e il problem-solving dipendono dalle ca4
Piuttosto attiva è la filiera inglese, soprattutto dal punto di vista della consulenza organizzativa. Intrecci di potere hanno, ultimamente, affossato la bella esperienza del Third Sector Leadership Center, il cui sito (www.thirdsectorleadership.org) è ancora visitabile; da qui è possibile
scaricare un buon numero di articoli, libri e case studies sulla leadership di terzo settore e sul
suo sviluppo. La culla della leadership di TS sono sicuramente gli Stati Uniti, dove diverse università hanno centri studi sull’argomento. Uno dei più conosciuti è The Mandel Center for
Nonprofit Organizations at Case Western Reserve University in Cleveland, Ohio che pubblica
la rivista Nonprofit Manager and Leadership, una risorsa fondamentale per gli studi sul campo.
5
Schmid ha pubblicato recentemente un altro saggio sulla leadership, che può essere letto come
introduzione al pezzo preso qui in esame, The Contingencies of Non-Profit Leadership (Schimd
2009b).
Sociologia e Politiche Sociali, vol. 13, 2/2010, pp. 119-138.
4
pacità del leader; relazionale, il leader è il nodo centrale per cui passano la maggior
parte dei rapporti che l’organizzazione intrattiene verso l’interno e l’esterno. Il leader,
quindi, è colui che influenza il gruppo a cui appartiene per raggiungere determinati
obiettivi, sapendo sfruttare le opportunità, personali o organizzative, che si presentano.
2.2. Le teorie della leadership
Dym e Hutson, Schmid e Acler propongono, seppur in vesti diverse, una parte cospicua della letteratura scientifica sul tema della leadership. Qui utilizzerò
l’abbondanza di fonti citate da Dym e Hutson e la periodizzazione storica di Schmid
per far emergere in modo sintetico e analitico, ossia attraverso una specifica chiave di
lettura, i diversi approcci. Due sono i grandi poli attorno a cui gli autori hanno costruito le principali teorizzazioni: la figura del leader e la situazione da affrontare. Il
primo fattore dà origine a un pluriverso di teorie, la prima delle quali è l’ormai classica “teoria dei tratti”6. Essa si basa sugli attributi personali del leader ed è volta ad individuarne le capacità, le caratteristiche, le qualità innate. La supposizione di fondo è:
“datemi una persona con certe caratteristiche e otterrò un vero leader”. I leader sono
descritti come persone intelligenti, coraggiose, carismatiche, persuasive, tenaci, sicure
di sé, socievoli. Sulla stessa scia della teoria dei tratti si è sviluppata l’idea che i leader siano “grandi uomini”, che sorgono in momenti di forte bisogno. Un secondo tentativo di concentrare sulla figura del leader la dominanza del rapporto sistemaambiente avviene con l’approccio comportamentale7. L’attenzione si sposta dalla variabile interiore del carattere al comportamento esteriore del leader. Qualunque sia
l’autore di riferimento per gli stili di leadership, due sono le conseguenze per assumere tale approccio. In primo luogo, se la leadership ha a che fare con i comportamenti,
sarà possibile modificarla a seconda della situazione, grazie all’esperienza e alla formazione. La leadership diviene, quindi, oggetto di apprendimento. Inoltre, essa si lega
molto di più alle circostanze: in base al contesto vissuto, il leader cambia la propria
posizione, il proprio modo di comunicare e di relazionarsi.
Molti autori hanno letto gli approcci precedenti in termini di rigetto del portato
contingente e situazionale dell’ambiente, principalmente dovuto all’interpretazione
del successo organizzativo come singola abnegazione del grande uomo. Così, pur
mantenendo l’ineludibile aggancio agli stili di leadership, le teorizzazioni a partire
6
La “teoria dei tratti” prevale in letteratura tra gli anni ’30 e ’50 del secolo scorso. Per una recente esposizione delle tesi di Mann e Gibb, che già negli anni ’40 confutavano le ipotesi personologiche, si veda Andersen (2006).
7
Alla fine degli anni ’40 e sino a tutti gli anni ’60 gli studi enfatizzano i comportamenti e gli
stili di leadership. Il leader può assumere uno stile: autocratico, democratico o di laissez faire
(Lewin, Lippit and White 1939). Oppure potrebbe avere un comportamento autoritario, paternalistico, consultivo, partecipativo o di delega (Likert 1961, 1967). Il leader può essere “servitore”, incoraggiando la collaborazione, la fiducia, l’ascolto degli altri (Greenleaf 1977). Il leader per essere buono dovrebbe creare risonanza, usando l’intelligenza emotiva (Goleman et al.
2002).
Sociologia e Politiche Sociali, vol. 13, 2/2010, pp. 119-138.
5
dagli anni ‘70 si svilupparono intorno ai concetti di processo (House 1971)8; di risultato; di contingenza (Fiedler 1967)9; di situazione (Blanchard et al. 1990)10; ditrasformazione (Burns 1978; Bass 1995)11. In tanti di questi autori il rapporto studiato è
quello tra leader e seguaci. Il leader adatta le proprie caratteristiche a quelle dei propri
sottoposti. L’incontro tra le doti necessarie per essere un leader e i fattori presenti
nell’ambiente fanno emergere una notevole quantità di ricerche e di approcci teorici,
che trovano un terreno di confronto e di discussione sugli stili che può assumere una
guida per avere successo. L’efficacia della leadership appare
determinata
dall’interazione tra stile di leadership e contesto.
2.
I singoli apporti
8
La teoria del percorso in vista di uno scopo (path-goal theory) di House sottolinea la congruità
tra stili di leadership e profilo emotivo-cognitivo dei propri dipendenti: la scelta dello stile dipende dalle persone con le quali si lavora. La leadership direttiva fornisce indicazioni specifiche, e si coniuga con subalterni che hanno bisogno di un’organizzazione precisa e controllata.
La direzione supportativa è amichevole e si dimostra preoccupata per i dipendenti; si adatta ad
un ambiente di gruppo che si attende un’affiliazione. La leadership partecipativa permette di
lavorare in sintonia con il leader e di considerare i suggerimenti dei subalterni. La leadership
orientata alla realizzazione cerca di ottenere performance di alto livello, ponendosi scopi e finalità alti.
9
Per Fiedler l’efficacia della leadership dipende dalla corrispondenza tra lo stile di leadership e
il suo contenuto. Una corrispondenza mediata da tre fattori: il rapporto tra il leader e le altre
persone; la struttura del compito; la posizione di potere, con i relativi premi e sanzioni. La teoria della contingenza analizza la situazione in sé. La selezione del leader parte dall’analisi del
contesto di riferimento: gli individui che lo comprendono meglio, avranno maggior successo
come leader.
10
Un buon leader, per risultare efficace, dev’essere prima di tutto flessibile: deve saper adattare
il proprio stile alle diverse sfide che emergono nelle varie situazioni che incontra. Per Blanchard la variabile più importante da considerare è il livello di maturità dei collaboratori o del
gruppo. In base a questo egli potrà assumere quattro stili di leadership diversi, letti come un
continuum. Prescrivere, vendere, coinvolgere, delegare: il minimo di maturità dei sottoposti
corrisponde con il massimo di direzionalità del leader (prescrivere); il massimo di maturità dei
colleghi con il minimo di comportamento direttivo (delegare).
11
McGregor Burns propone una versione mitigata della visione dei «grandi uomini», partendo
dal legame che si crea tra leader e seguaci. L’autore distingue tra leadership «transazionale» e
«trasformativa». La prima risulta centrata sugli scambi e le transazioni esistenti tra leader e sottoposti: il leader, concedendo qualcosa ai seguaci, ottiene dei vantaggi. La seconda riguarda
quei leader che sanno ricavare dai propri seguaci qualche cosa di nuovo, rendendoli più consapevoli dell’importanza del lavoro che svolgono; convincendoli a ridimensionare i propri interessi personali, per il bene dell’organizzazione o per la sua missione. La centralità del leader
crea dei circuiti di allineamento: il leader propone azioni capaci di colpire l’immaginario dei
seguaci. Man mano che questi si riconoscono in lui, egli aumenta l’importanza delle proposte,
innescando un ciclo di affiliazione crescente leader-seguaci.
Sociologia e Politiche Sociali, vol. 13, 2/2010, pp. 119-138.
6
Dopo aver analizzato le parti comuni dei testi, occorre ora vedere i singoli apporti.
Acler, con un’ottica consulenziale, definisce la leadership nell’impresa sociale come
democratica e partecipativa; Schmid sottolinea la potenzialità situazionale e allo stesso tempo visionaria della leadership. Colozzi e Prandini, con il loro contributo empirico, colgono gli aspetti caratteristici della leadership italiana di TS. Il testo di Dym e
Hutson delinea una teoria sintetica dell’allineamento tra sistema, persona e ambiente.
3.1. La leadership come esito di un processo: l’ottica psicologica e consulenziale.
Per ottica consulenziale si può intendere la posizione, all’interno delle teorie sulla
leadership, degli studiosi che fanno del leader una caratteristica posizionale, assumibile in un ruolo organizzativo, che può essere appreso, affinato, trasmesso ad altri. Lo
scopo è quello di garantire ad imprese, profit e non profit, la presenza di leaderfacilitatori: con loro si può influenzare l’azione dei followers, mantenendo i costi entro paramentri di efficacia ed efficienza. Il contributo di Acler è sicuramente di questo
spessore. Esso si articola come segue: dopo aver delineato il panorama teorico attinente alla leadership (definizione e stili), si addentra in alcune questioni di carattere
organizzativo12, non prima però di avere risposto a due interrogativi: quale stile di
leadership è proprio dell’impresa sociale e quali sono le caratteristiche del suo leader.
In riferimento alle organizzazioni no profit, Acler propone la tradizionale tipologia di
Anheier (2005) sui quattro stili di leadership, sintetizzata in tabella 2. Lo stile autoritario è «tipico del leader che impone le proprie scelte senza discuterle» (Acler 2008,
182): i seguaci sono fortemente dipendenti dal capo, la cui presenza deve essere costante e risolutiva. Lo stile laissez-faire «si basa sul principio di delega» (Ibidem): sono i collaboratori ad avere in mano l’iniziativa, la presenza del leader è impercettibile.
Lo stile democratico partecipativo è imperniato sul coinvolgimento attivo dei collaboratori sia nella rappresentazione che nella soluzione dei problemi: le opinioni diverse
sono incentivate, tutti sono inclusi nella consultazione organizzativa. Lo stile carismatico «fa leva sui sentimenti piuttosto che sulla razionalità» (Ibidem, 183): esso si adatta alle fasi iniziali o ai grandi cambiamenti in seno ad un’organizzazione. Secondo
l’autrice sarebbero tre i motivi per cui lo stile democratico partecipativo si sposa con
l’impresa sociale: la complessità e la dinamicità dei problemi a cui sono sottoposti gli
enti di TS diminuiscono «le possibilità di accentrare il potere nelle mani di uno o pochi individui» (Acler 2008, 185); la congruenza di stile tra leadership partecipative e
valori delle organizzazioni no profit; la richiesta di coinvolgimento di chi opera nelle
imprese sociali. L’autrice passa poi in rassegna le caratteristiche di un leader di impresa sociale: coscienza di sé, credibilità, empatia, onestà, capacità comunicativa, capacità di far riflettere e promuovere l’apprendimento, l’ascolto attivo e la capacità di
12
Nello stesso volume in cui è contenuto il pezzo di Acler è presente un testo di Nacamulli
(2008). Questi ha osservato che nelle imprese sociali prevalgono i leader e le buone volontà,
piuttosto che sistemi efficienti e manageriali; anche se le OTS adottassero questi ultimi i ruoli
di leadership e di management si sovrapporrebbero in una forma che l’autore chiama management by values.
Sociologia e Politiche Sociali, vol. 13, 2/2010, pp. 119-138.
7
Autoritario
Laissez-faire
Caratteristiche
del leader
Comandante
Supervisore
Distribuzione di potere
Punti di
forza
Verticale
Orizzontale
Velocità
delle
decisioni,
efficienza economica
Responsabilizzazione dei
membri
dell’organizza
zione
Punti di
debolezza
Tutta la responsabilità su una persona; scarsa motivazione dei collaboratori, richiesta di presenza
costante del leader, necessità di
grandi competenze da parte del
leader
In situazioni di
crisi o emergenza;
di fronte a problemi organizzativi routinari e
relativamente
semplici; in presenza di strutture
di conoscenza e
informazioni centralizzate (e centralizzabili)
Rischio
di
scarso
controllo e basso
coordinamento
Quando
stile è
adatto
lo
In presenza di
organizzazioni a rete con
elevato grado
di autonomia;
in presenza di
conoscenze
decentralizzate e con sistemi di potere centralizzato molto deboli
Democratico
partecipativo
Influenzatore, facilitatore, ascoltatore, risolutore di
problemi, ispiratore
Verticale e orizzontale
Elevata soddisfazione, elevato impegno, maggiore
fluidità dei flussi
comunicativi,
maggiore condivisione della mission,
maggiore
coordinamento tacito
Lentezza
delle
decisioni; costi di
coordinamento
In situazioni di
cambiamento incrementale;
di
fronte a problemi
complessi e caratterizzati da elevate
asimmetrie informative; in presenza
di esigenze di
coordinamento non
interamente risolvibili attraverso la
standardizzazione
degli output e dei
processi
Carismatico
Carismatico
Verticale
Forte capacità
di guida e aggregazione
anche rispetto
a obiettivi difficili da raggiungere
Tutta la responsabilità su
una persona;
difficoltà
a
gestire la complessità; incentivazione alla
remissività dei
collaboratori
Nella fase di
nascita
di
un’organizzazi
one; di fronte a
problemi che
richiedono la
enfatizzazione
di forti elementi ideali e
di spirito di
gruppo
Tab. 2 – Stili di leadership e problemi organizzativi (Acler 2008, 184)
Sociologia e Politiche Sociali, vol. 13, 2/2010, pp. 119-138.
8
trasmettere una visione.
L’ultimo punto toccato dalla Acler è “la leadership come problema organizzativo”. Nell’ottica del ciclo di vita organizzativo, la fase iniziale è sicuramente quella in
cui il leader corrisponde a colui che ha fondato l’impresa sociale: ha avuto
un’intuizione e l’ha portata avanti coinvolgendo altre persone, influenzandole e dirigendole. Il consolidamento e lo sviluppo sono periodi totalmente diversi: il fondatore
può essere inadeguato o non desideroso di veder crescere la propria creatura. Allora
l’impresa sociale deve avere una cura particolare per tre aspetti: la selezione, la formazione, il sostegno in itinere dei leader. L’idea di fondo che regge la teoria è: occorre «prevedere in anticipo l’osservazione e la costruzione on the job delle capacità ritenute indispensabili per ricoprire un determinato ruolo» (Ibidem). Acler riporta
l’esempio della cooperativa sociale Nuova Luce: una volta al mese per due mezze
giornate la dirigenza organizza dei momenti comuni di scambio e confronto sulle
esperienze lavorativa quotidiane. Ciascun responsabile di struttura (anziani, disabili,
minori…) presenta un problema emerso e come è stato affrontato. Gli altri responsabili partecipano indicando nuovi punti di vista, in base alle loro esperienze pregresse.
La tecnica è peer-to-peer: argomentare le proprie azioni e condividere emozioni e decisioni, al fine di migliorare le capacità sul campo.
Nell’approcciarsi alla leadership, l’autrice adotta un punto di vista psicologico e
consulenziale: i leader possono essere selezionati, cresciuti e sostenuti da
un’organizzazione; essi si devono relazionare al contesto, che per le imprese sociali
ha uno sfondo democratico e partecipativo, adattando le proprie conoscenze e aumentando le capacità connesse a queste richieste: ascolto, empatia, empowerment, condivisione. Ne emerge la figura di un leader attento alle componenti relazionali, organizzative e soprattutto psicologiche del suo ambiente.
3.2. La leadership situazionale: differenziare interno/esterno, compito/persone.
Hillel Schmid propone un modello teorico ancorato al contesto, sia ambientale sia organizzativo, delle realtà di TS. Lo schema consiste di due assi principali, entrambi
relativi all’orientamento del leader: verso il compito (task oriented) o verso le persone
(people oriented) il primo asse, verso l’interno (internal orientation) o verso l’esterno
(external orientation) il secondo. Da un lato del primo asse, l’orientamento al compito
è correlato all’enfasi che il leader pone su: «planning, organizzazione, implementazione, budget, comunicazione amministrativa, coordinamento, decision making, e le
funzioni che sono percepite come aspetti strumentali del ruolo di leader e che gli consentono di focalizzarsi sul raggiungimento dell’obiettivo senza la minima considerazione del fattore umano» (Schmid 2009a, 198). Dall’altro, l’orientamento verso le
persone riguarda le capacità del leader di motivare i lavoratori: «formazione e sviluppo, ascolto ed empatia, comunicazione interpersonale, costruzione della squadra amministrativa, fiducia, e istituzione di relazioni umane stabili» (Ibidem). Il secondo asse esprime l’importanza dell’ambiente esterno nell’influenzare l’organizzazione e la
struttura delle imprese sociali contro la propensione del leader verso gli affari interni.
Sociologia e Politiche Sociali, vol. 13, 2/2010, pp. 119-138.
9
Task Oriented
I. Orientato al compito – Interno
III. Orientato al compito – Esterno
Enfasi sul raggiungimento degli obiettivi organizzativi, prendendo in considerazione le
strutture organizzative e le procedure interne
di lavoro.
Comportamento del leader concentrato sul
raggiungimento degli obiettivi organizzativi,
delle risorse e della legittimazione
dall’ambiente esterno.
Enfasi sui ruoli del planning, coordinamento,
comunicazione amministrativa, budget e decision making
Lo stile di leadership è autoritario, centralizzato, direttivo e focalizzato sull’ottenimento
di risorse, sulla stabilizzazione e espansione
del dominio organizzativo, sul perfezionamento delle capacità competitive nel tentativo di accumulare un vantaggio organizzativo
e personale sulle altre organizzazioni.
Lo stile di leadership è autoritario, centralizzato, senza delega di autorità e senza coinvolgimento dei membri dell’organizzazione
nel processo decisionale.
Controllo duro e supervisione, strettamente
correlato ai processi e ai risultati.
Il leader è orientato al compito, senza considerazione per il fattore umano. Il fattore
umano è un mezzo per il raggiungimento
degli scopi.
Il leader non tollera deviazioni dai ruoli e dai
processi che regolano la vita
dell’organizzazione. Bassa tolleranza per
l’ambiguità.
I processi di decision making e di problem
solving sono basati sull’autorità formale del
leader.
Internal Orientation
External Orientation
II. Orientato alle persone – Interno
IV. Orientato alle persone – Esterno
Il focus principale del leader è sulle persone.
Li motiva, provvede incentivi, delega autorità, dà potere, consulta e coinvolge gli altri.
Enfasi sulla gestione dell’ambiente esterno,
riducendo la dipendenza dell’organizzazione
dall’ambiente e incrementando la subordinazione degli altri dall’organizzazione.
Gli sforzi sono focalizzati sulla selezione,
sullo sviluppo, sulla costruzione e sulla guida
dello staff e lo coopta per il raggiungimento
degli scopi dell’organizzazione.
L’enfasi è sulla divisione del lavoro e sui
ruoli, includendo l’ampliamento e
l’arrichimento.
Il leader motiva i lavoratori a cercare la propria realizzazione, pone obiettivi stimolanti e
incoraggia lo sviluppo personale.
Il leader sviluppa strumenti, meccanismi,
metodi e tecnologie per la risoluzione di problemi e conflitti.
Investimenti considerevoli sullo sviluppo
delle risorse umane, sulla formazione e sulla
preparazione dello staff per far fronte alle
costrizioni imposte all’organizzazione
dall’ambiente esterno.
Il leader e lo staff amministrativo prendono
parte all’attività politica e formano alleanze e
coalizioni con vari elementi dell’ambiente.
Alleviare la pressione di gruppi di interesse e
delle constituencies; screening dell’ambiente
per identificare opportunità, rischi e minacce.
Accento sull’importanza e sul contributo del
fattore umano; investimenti sullo sviluppo del
funzionamento e delle competenze professionali dello staff per permettere il rafforzamento di relazioni con l’ambiente esterno e il management by exception.
People Oriented
Fig. 2 – Tipi di leadership e modelli di management (Schmid 2009a, 199)
Sociologia e Politiche Sociali, vol. 13, 2/2010, pp. 119-138.
10
Nel tentativo di mantenere la stabilità dell’organizzazione, il leader ha bisogno di
controllare l’ambiente esterno, in esso risiedono i competitori, le risorse, le norme che
influenzano la sua organizzazione. Contrariamente ad Acler, Schmid non propone un
modello di leadership unico per tutte le imprese sociali. Nel quadrante I l’autore pone
il leader transazionale, tipico di un’istituzione residenziale per bambini o anziani. Qui
lo staff determina in larga parte lo stile di vita e la routine degli ospiti, prende decisioni per loro e fa da intermediario con l’ambiente esterno. Gli stessi operatori percepiscono il livello di formalizzazione in questo settore come elevato. «È stato anche
trovato che la combinazione di un alto livello di formalizzazione, di uno stretto coordinamento e supervisione, e di una limitata autonomia dello staff sono condizioni per
il raggiungimento dell’efficacia organizzativa e per la soddisfazione dei membri dello
staff e dei residenti» (Schmid 2009a, 196). Il leader transazionale assicura stabilità, si
attiene alle regole, ai processi già esistenti, produce cambiamenti moderati e graduali.
Poiché la sua organizzazione dipende in buona parte da fondi governativi si conforma
a standard e criteri dettati dalle norme statali. In cambio ottiene dai suoi lavoratori un
servizio solido e adeguato. Simile è il caso di organizzazioni home care che provvedono servizi agli anziani, in cui l’orientamento del leader è, per l’autore, quello presentato nel quadrante III. Il leader è attento al proprio compito più che alle persone,
soprattutto perché i membri dello staff sono lavoratori con un livello basso di specializzazione. Essi ricevono poca formazione e le opportunità di avanzamento sono minime. Lo staff, quindi, non sarà chiamato a partecipare ai processi decisionali. Il leader dovrà però guardare all’esterno dell’organizzazione: è da lì che arrivano le maggiori entrate come pure la grande concorrenza del settore privato.
I quadranti II e IV descrivono, per Schmid, l’evoluzione del ciclo di vita organizzativo di una community service organization. In questi servizi, differenziati per età e
aree di specializzazione, la variabile più significativa è il decentramento dell’autorità.
Nelle prime fasi, il modello di attività è caratterizzato da una struttura informale: organica, primitiva e informale. Il leader è il fondatore dell’impresa, è un “one-person
show”. Schmid parla, in un altro testo, di “entrepreneurial leadership” (Schmid
2009b, 201). Lo staff è minimo e i lavoratori hanno più compiti, senza alcuna specializzazione. Il leader, nel momento in cui decide di dare una veste formale
all’organizzazione, negozia con le agenzie governative per ottenere una legittimazione formale e per assicurare risorse economiche. È quindi spiccatamente orientato
all’ambiente (passaggio al quadrante IV). Il suo compito è ora quello di far crescere,
professionalmente e burocraticamente, lo staff. L’organizzazione ha bisogno, allora,
di una divisione del lavoro basata sulla delega dei compiti, con specializzazioni in
ogni area. Un cambiamento nella leadership è, quindi, atteso. Il quadrante IV mostra
le caratteristiche di un leader trasformazionale: la sua visione, la sua determinazione e
la sua abilità riescono a mobilitare il supporto dei followers. Egli riesce a giocare una
partita a somma maggiore di zero: ottiene dai membri del gruppo più di quanto essi
stessi prevedano, influenzandoli in maniera tale da far loro superare i propri interessi
personali per renderli capaci di perseguire l'obiettivo collettivo. I seguaci diventano
agenti del cambiamento. Lo stile appropriato, in questa fase, è la collaborazione e la
delega di autorità e di potere.
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Il modello proposto da Schmid è situazionale: si accorda con l’evoluzione organizzativa del TS e ne vede la differenziazione interna, legandola più ai servizi svolti
che alla cultura di cui sono portatrici le OTS (operazione che vedremo in opera in Colozzi e Prandini). È un tentativo di connettere consulenza sugli stili e visione sociale
della leadership: la differenziazione tra interno ed esterno e tra compito e persone fa
da ponte tra queste due prospettive, consulenziale e sociologica13. Inoltre integra i due
aspetti centrali dello studio sulla leadership: i tratti personali e le situazioni organizzative. Il legame è possibile partendo dalla capacità umana di adattare i propri modelli
di leadership – siano essi autoritari, democratici, carismatici, centrati sul compito o
sulle persone – per essere efficaci e ottenere i propri obiettivi.
3.2. La differenziazione del terzo settore e la leadership: una strada per gli
studi sociologici.
Il testo a cura di Colozzi e Prandini, I Leader del Terzo settore. Percorsi biografici, culture e stili di leadership, si inserisce nel programma di ricerche che l’équipe del
prof. Donati da anni porta avanti, con l’aspirazione di verificare, in chiave relazionale,
due ipotesi sul TS. La prima riguardava la sua origine: il TS è un fenomeno funzionale a superare i “fallimenti dello Stato o del mercato”? Oppure è il prodotto emergente
«di un processo di morfogenesi che ha portato un certo numero di individui, famiglie
e gruppi a costruire e\o rafforzare forme di risposta ai bisogni del vivere quotidiano
che fossero capaci di esprimere il senso di vita buona o di qualità della vita da loro
condiviso» (Colozzi 2008, 7)? La seconda ipotesi sosteneva che il TS fosse un luogo
privilegiato di «produzione del capitale sociale (CS), cioè di relazioni di fiducia e reciprocità o di aiuto reciproco» (Ibidem, 8), non solo all’interno, ma anche verso
l’esterno.
Per ciò che riguarda la prima ipotesi, ossia l’idea di un TS originale e originario, le
ricerche sinora condotte (Donati e Colozzi (a cura di) 2004a; Donati e Colozzi (a cura
di) 2004b) hanno mostrato la presenza di tre culture diverse nelle organizzazioni di
TS. Una cultura mercantile, attenta ai problemi della libertà individuale e
dell’efficienza economica nelle risposte ai bisogni. Una cultura civica, che concepisce
il TS, luogo di diritti sociali di cittadinanza, come sussidiario allo stato. Una cultura
societaria, che collega la solidarietà con la responsabilità e l’autonomia personale. Secondo Colozzi, estensore del primo capitolo, «tra i meccanismi che consentono la
conservazione, la trasmissione e l’adattamento dell’identità culturale dei gruppi si può
ipotizzare che abbia un rilievo significativo la leadership» (Colozzi 2008, 10). La ricerca non offre, però, alcun tipo di risposta a questo prima osservazione, in quanto
approfondisce l’identità, i percorsi biografici e gli orientamenti dei leader del TS, non
collegandoli all’organizzazione di appartenenza.
13
Lo stesso Schmid (2009b) ha rivisto questa modelizzazione, non costruendola a partire dalle
caratteristiche del leader ma da quelle delle organizzazioni. Gli assi da interno/esterno passano
a informale/formale; da compito/ persone a servizio/società civile: l’esito è una riscoperta delle
parti informali della leadership (democratico-partecipativa e attivista-diplomatica) e una inclusione di nuove OTS (advocacy organizations, gruppi di interesse, organizzaizoni informali di
società civile).
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Per quanto riguarda il capitale sociale, l’ipotesi iniziale sosteneva che il TS «riesce
ad incrementare la dotazione complessiva di CS delle persone che vi si coinvolgono
creando relazioni di fiducia, collaborazione e reciprocità fra gli associati e, più in
generale, nei confronti del TS» (Ibidem). Il Cs specifico del privato sociale venne
definito come “CS associativo”. Questo aveva il compito di mediare tra CS di
vicinato (CS familiare\parentale e CS comunitario\di prossimità) e CS generalizzato
(fiducia nell’altro generalizzato e nelle istituzioni). I risultati della ricerca (Donati e
Colozzi (a cura di) 2007) hanno mostrato «che il fatto di associarsi, o comunque di
impegnarsi in reti associative, non produce automaticamente CS associativo, mentre
ha un incidenza significativa sull’impegno civico, inteso come impegno a firmare
petizioni o a partecipare a riunioni in cui si discutono problemi di quartiere o della
città o dell’intera comunità nazionale. La capacità del TS di produrre o incrementare
CS, quindi, esiste, ma non è generalizzata e interessa solo il 30% circa delle OTS»
(Colozzi 2008, 10). Una variabile che potrebbe essere correlata con la capacità di
produrre CS associativo è lo “stile di leadership”. Anche qui vale l’appunto
precedente: nell’indagine non è presente lo studio dell’incidenza della variabile leader
sulla cultura dell’organizzazione. O meglio, quando gli autori ci presentano una
visione altamente differenziata del TS (il volontariato ha carattere associativo, la
cooperazione sociale lavoristico e le associazioni di promozione sociale pubblicistico)
non è tanto l’organizzazione di TS che assume queste caratteristiche, bensì il leader.
Che queste caratteristiche siano correlabili anche alle associazioni di appartenenza
non è possibile coglierlo nell’indagine. Questo dato critico dice da subito uno dei temi
forti della ricerca su privato sociale e leadership: quale correlazione hanno il carattere,
le abilità, gli obiettivi e i valori dell’OTS con il carattere, le abilità, gli obiettivi e i
valori dei loro leader? Un ultimo punto sarebbe da sollevare: l’indagine ha effettuato
230 interviste nella maggior parte a presidenti, vice-presidenti o consiglieri di OTS.
Gli studi sulla leadership peccano nell’attenzione ai leader informali: come gli stessi
autori sottolineano la leadership può sorgere in modo “sotterraneo”; può avere più
capacità di influenzare e di guidare un gruppo di persone un semplice direttore di
struttura che un presidente. Lo strumento della survey in questo è limitante: non
permette di conoscere e osservare i flussi di potere e di influenza in un gruppo, cosa
che si potrebbe invece ottenere con la network analisys.
Oltre il dato critico, la ricerca ci può aiutare, innanzitutto, ad avere una prima
fotografia della leadership nel privato sociale, nel contesto italiano; in secondo luogo,
da essa possiamo cogliere alcuni linee di ricerca per il futuro.
La dirigenza del TS è prevalentemente maschile (66,5%, ossia 153 uomini contro
33,5%, ossia 77 donne): all’interno del privato sociale fa meglio la cooperazione
sociale (55% uomini vs 45% donne), mentre le associazioni e il volontariato sovra
rappresentano i dirigenti maschili. l leader, almeno in Italia, hanno un’età piuttosto
“matura”: la media è di quasi 49 anni. Anche in questo caso i dirigenti di cooperative
sociali sono più giovani dei colleghi di altre sigle di TS. Lo status socioeconomico,
misura del grado di istruzione e della condizione professionale, risulta più elevato di
quello medio della popolazione italiana. Dal punto di vista politico i leader di TS
coprono tutto l’arco costituzionale: sotto rappresentano le posizioni estreme, sovra
rappresentano il centro. Il mondo del volontariato deriva i suoi dirigenti dall’ambito
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ecclesiale, da quello di società civile e dal politico. La cooperazione sociale sviluppa
la propria leadership da esperienze di società civile, mentre le associazioni di
promozione sociale dai movimenti sociali e dal mercato economico. Per quanto
riguarda la misura del CS associativo sono i leader del volontariato ad aver il livello
più elevato, seguiti da quelli delle cooperative sociali e, per ultimi, quelli
dell’associazionismo di promozione sociale. La stessa graduatoria si riscontra per ciò
che concerne la misura del CS generalizzato. I leader del volontariato e della
cooperazione hanno una concezione capacitante della sussidiarietà, che si esplicita
soprattutto nei confronti del proprio territorio; mentre nelle associazioni i dirigenti
pensano ad un capovolgimento di tale principio: si sussidia l’ente pubblico e si
aiutano direttamente le persone. Anche per quanto riguarda le domande relative al
futuro del TS, i leader delle associazioni di promozione sociale sostengono una
visione pubblica: il TS somiglierà sempre di più agli enti statali, e chi vi entrerà lo
farà per esigenze concrete, di beni e servizi. Per i leader del volontariato, il privato
sociale diverrà un luogo autonomo dove poter realizzare forme di vita comunitaria, e
chi vi entrerà lo farà soprattutto per costruire pratiche di solidarietà. I dirigenti delle
cooperative sociali si concentrano di più su logiche di mercato: il TS somiglierà alle
imprese di mercato e i nuovi soci o volontari diverranno tali per motivi occupazionali.
Prandini coglie in questi dati una differenziazione sostanziale del TS: «non sembra
più esistere un solo TS, bensì un vero e proprio pluriverso di organizzazioni che
tendono verso configurazioni organizzative, culturali e funzionali molto diverse, se
non reciprocamente quasi incompatibili, o comunque in forte tensione reciproca»
(Ibidem, 144).
Per lo studio sulla leadership nel terzo settore, questa fotografia delle
caratteristiche dei dirigenti può portare ad alcune note significative: due potrebbero
essere le linee di ricerca per il futuro. Da un lato studiare «l’interazione tra le capacità
reali di leadership dei dirigenti (quali nuovi carismi emergono, se emergono? quali
utopie si stanno elaborando? con quali capacità tecniche e umane i leader guidano le
loro organizzazioni?) e la loro base associativa» (Ibidem, 148). Per fare questo
occorre, secondo gli stessi autori, capire da che contesto socioculturale provengono i
leader, con chi interagiscono, con quali risorse, con quali obiettivi. Dall’altra parte si
potrebbe indagare come le culture organizzative (donativa, lavoristica o pubblica) si
associno a contesti strutturali diversi e come si intersechino alla capacità riflessiva dei
leader.
3.4. La teoria dell’allineamento: la congruità leader-organizzazioneambiente.
L’idea che muove studiosi, come Dym e Hutson, è quella di «congruità». La congruità si esprime in una relazione triangolare tra leader, organizzazione e ambiente
(fig. 3). La congruità è il «saper mettere la persona giusta al posto giusto, nel momento giusto» (Dym e Hutson, p. 19). La persona giusta è il leader che ha dalla sua,
apprese o innate, alcune caratteristiche (abilità, obiettivi, carattere, valori); queste si
debbono conciliare con le qualità (abilità, obiettivi, carattere, valori)
dell’organizzazione a cui appartiene. Terzo termine di questa relazione è l’ambiente
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in cui cresce e si sviluppa il rapporto tra leader e organizzazione: anche il task environment ha proprie abilità, obiettivi, carattere e valori. Infine, dopo aver tenuto insieme persona, struttura e ambiente occorre saper leggere il tempo, il “momento giusto”.
Le organizzazioni corrono per cicli di nascita, crescita, riduzione dell’impegno, tradimento delle aspettative e sintesi; così, il momento che l’organizzazione vive è fondamentale per capire che leadership approntare. La visione della leadership di Dym e
Hutson è legata alla dinamica dell’allineamento, inteso come un sistema di interrelazioni (leader-organizzazione-ambiente) che comprende cicli di somiglianza e differenza, di convergenza e divergenza, così come momenti di cooperazione. Il rapporto
tra i tre sistemi è dialettico: l’allineamento avviene sulla base delle caratteristiche comuni, con la preminenza nella prima fase del leader, nella seconda
dell’organizzazione (con cicli di alternanza) e come sottofondo la componente territoriale-ambientale.
Dym e Hutson presentano diversi esempi di associazioni di TS che hanno attuato
un buon allineamento. Il caso paradigmatico è quello di Casa Myrna. Casa Myrna è
stata fondata nel 1977, come struttura protetta per vittime di violenza domestica. Sin
dall’inizio ha offerto servizi di tipo educativo, giuridico, terapeutico. Inizialmente era
destinata alle donne latinoamericane di Boston. I fondatori avevano dato vita a
un’organizzazione collettiva, egualitaria, imperniata sulle relazioni interpersonali.
Non vi era alcun ruolo formale: i responsabili di progetto avevano uno stile di leadership indiretto, più da servitori e stimolatori che da capi. A Casa Myrna tutto era personalizzato e non esisteva una netta distinzione tra privato e lavoro. Dym e Hutson
definiscono questi leader “di stoffa imprenditoriale”: vision, impegno lavorativo incessante, impulsività, grande passione e ostinazione. Queste caratteristiche si sarebbero rivelate incompatibili con l’ulteriore sviluppo di Casa Myrna: l’ambiente esterno
richiedeva professionalità, contatti costanti, rendicontazione. Negli anni ’80 l’arrivo
di alcune figure competenti nei ruoli dirigenziali avrebbe portato a superare questa
crisi di sviluppo. Carmen Rivera, «una persona schietta e sincera, dotata di grandi capacità persuasive» (Ibidem, 37), permise di andare oltre l’impronta organizzativa collettivista e costituì un trait d’union con i principali addetti ai lavori (fondazioni economiche, enti sovvenzionatori, altri gruppi comunitari). Jossie Fossas, in veste di responsabile amministrativa, costituì i primi sistemi di raccolta dati, le schede con gli
orari di lavoro, i bilanci annuali. Su questa scia avvenne l’ingresso di Shiela Moore in
consiglio direttivo: non proveniva dal movimento delle donne vittime di violenza e
questo provocò una diffidenza marcata nei suoi confronti. Sheila Moore aveva le caratteristiche di una leader: ambizione personale, abilità di project management, sistema di valori coerente con il suo mandato. Inoltre aveva condiviso appieno la mission,
la vision e il piano strategico dell’organizzazione. Questo breve scritto mostra la pratica dell’allineamento: il ruolo del leader si inserisce in un contesto organizzativo dato, che a sua volta si rapporta con un ambiente esterno con proprie peculiarità. Le organizzazioni sono pronte a cambiamenti radicali nel momento in cui questi sono supportati da dinamiche che spingono in quella direzione. Laddove questo avviene un
leader è chiamato a comprendere la dinamica in corso, così da guidarne l’evoluzione.
«Moore ha saputo cogliere le opportunità offerte dalla nuova composizione del consiglio direttivo, ma anche dal piano strategico appena approvato, e dalla potenziale diSociologia e Politiche Sociali, vol. 13, 2/2010, pp. 119-138.
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sponibilità di nuovi soggetti finanziatori. Grazie alla graduale “professionalizzazione”
di Casa Myrna, sotto la guida di Moore, tutte queste potenzialità si sono trasformate
in risorse concrete per il cambiamento organizzativo» (Ibidem, 53).
Obiettivi personali
Abilità
individuali
Mission e strategia
Carattere
e stile
Risorse
organizzative
Valori personali
LEADER
Tipo
organizzativo
Cultura organizzativa
ORGANIZZAZIONE
ORGANIZZAZIONE
Bisogni della comunità e domanda di mercato
Sistema
economico
e produttivo
Modelli e
norme di
riferimento
Cultura generale
AMBIENTE
Fig. 3 – Mappatura dell’allineamento (rielaborazione da Dym e Hutson 2008, 126)
Conclusioni
La verifica fondamentale, a cui è necessario sottoporre i nostri autori per cogliere
la significatività del loro approccio, consta di una domanda prima14 della disciplina:
che differenza c’è tra un leader e un semplice manager? Oggi è difficile pensare che
la capacità di gestire (managing) includa tout court quella di guidare (leading). Infatti
se il management è un ruolo specifico negli organigrammi aziendali, così non si può
dire per la leadership. Essa non risiede in un ruolo statico, ma in un mix tra posizione
all’interno di un’organizzazione e caratteristiche personali. Quindi riferirsi alla leadership come ad un ruolo può essere vero solo se teniamo in conto alcune caratteristiche: posizione, influenza e personalità. Già l’idea, sviluppata in letteratura (Pescoso14
La differenza che intercorre tra manager e leader è una delle questioni fondanti la disciplina
che qui viene presentata. Se la figura del leader fosse semplicemente sovrapponibile a quella
del manager negli ultimi cent’anni sarebbe stata sprecata una marea di tempo, ingegno e carta
per delineare una figura (leader) che non è più che un attributo di una posizione (capacità di
guida del manager). Diversi autori hanno cercato di dare una risposta esaustiva al dilemma, ricordiamo su tutti Abraham Zaleznik (1977), Warren Bennis (1989), John Kotter (1990).
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lido 2001), della leadership informale contraddirebbe la completa sovrapposizione tra
i due termini. Di contro, se rileggessimo oggi il classico testo di Zaleznik (2004, ed.
orig. 1977), Managers and Leaders: Are They Different?, ci stupiremmo
nell’osservare la netta distinzione posta tra i due termini: l’autore attribuisce ogni
elemento di rigidità al manager, e ogni capacità creativa e immaginativa al leader15.
Questa prospettiva sfocia nella famosa formula di Bennis: «The manager does things
right, the leader does the right thing» (1989, 45) . “Fare le cose bene” significherebbe
impegnare una competenza tecnica; “fare le cose giuste” implicherebbe mettere in
gioco visione, creatività, innovazione. È in questo filone in cui si inscrive Hillel Schmid. Egli propone un’idea di leadership come creazione di vision: la visione è definita
«come la capacità di creare e comunicare un quadro convincente di uno stato desiderato di eventi» (Schmid 2006, 181), compromettendosi con esso. La vision propone
una veduta realistica, credibile e attrattive del futuro di un’organizzazione. Per il leader non è sufficiente creare tale vision. Il test reale della capacità di leadership è dato
dalla trasmissione di questa vision ai followers. La leadership, allora, non è mera gestione, perché incorpora una vision e recupera la dimensione del desiderio.
Il leader si pone degli obiettivi, se questi coincidono o si armonizzano con quelli
organizzativi e ambientali allora egli potrà assumere anche la posizione di manager,
in misura diversa ci saranno attriti e divisioni. Se il ruolo manageriale è formale e sostanziale e la leadership informale e influenzante, allora nella teoria che le studia ci
deve essere posto per un’analisi approfondita del loro conflitto: se questo interesse è
presente manager e leader possono coesistere e alcune volte coincidere; se non si lascia spazio al conflitto la leadership è ridotta a una skill manageriale.
Teniamo allora collegati, seppur distinti, le due posizioni: non ogni manager è
leader; né ogni leader è manager. Questa differenziazione è difficile da chiarire se si
assume, come ha fatto la stragrande maggioranza della letteratura scientifica, un approccio business-centered. Ciò che in fondo conterebbe è solo la produzione di una
migliore efficienza, abbinata ad una più ampia efficacia, pur mantenendo un buon
clima all’interno dell’organizzazione16. Così la caratteristica di leadership diviene solamente una facilitazione del ruolo manageriale. Nella letteratura, l’idea della leadership ha servito “due padroni”: da una parte, ha colto la capacità manipolativa presente
15
Per Zaleznik, il manager ha scopi impersonali, che dipendono dalla storia
dell’organizzazione; le sue idee vogliono rispondere ai gusti e alle preferenze dei consumatori;
nei processi interni all’organizzazione è un mediatore; ha un istinto di sopravvivenza; ama lavorare con le persone, ma non coinvolgersi emotivamente con loro; si sofferma principalmente
sulle procedure e sul modo di prendere le decisioni; manda segnali, generali e difficilmente interpretabili, più che messaggi. È, per dirla in breve, un conservatore e un regolatore dell’ordine
interno. Per Zaleznik, il leader, invece, è attivo; ha un proprio modo di fare; trasforma le proprie idee in immagini, le immagini esaltano le persone, e da quelle immagini sviluppa i processi
organizzativi; rischia; è implicato emotivamente; si chiede cosa significhino gli eventi e le decisioni per i partecipanti; è cresciuto, in un rapporto one-to-one, grazie a un maestro che è riuscito a far emergere le sue doti.
16
Controprova paradossale di questa affermazione sono i già citati studi sulla leadership informale, in due sensi: essi si sono soffermati principalmente sull’efficacia di tale forma di guida e
allo stesso tempo sono stati scarsi dal punto di vista numerico.
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nei rapporti lavorativi, rilanciandola in termini positivi come possibilità di ottenere
consenso per il cambiamento; dall’altra, è servita per pulire la coscienza al manager,
che si osservava come puro-esecutore-efficientista, dando spazio alla tensione ideale e
valoriale anche all’interno dello studio di business. Una tensione riletta in chiave economicista: come vision e come coinvolgimento dei followers.
Queste poche righe permettono di giungere ad un’adeguata conclusione: la teoria
dell’allineamento di Dym e Hutson e la leadership situazionale di Schmid rispettano
la natura della leadership. Ossia tengono compresenti i suoi due aspetti fondanti: personalità e relazione con l’ambiente. Il leader può essere introdotto in
un’organizzazione già funzionante o essere cresciuto all’interno dei ruoli storici di
una OTS, quello che lo caratterizza è la capacità di influenzare i processi ivi presenti.
L’influenza è il mezzo con cui il leader cerca di portare la propria organizzazione alla
realizzazione della vision, propria o condivisa.
Il limite di una tale trattazione giace nella sua funzione: oltre al già ricordato interesse di business, un difetto degli approcci main strem è la forma esclusivamente consulenziale. La leadership è studiata per comprenderne le logiche adattive e da lì impostare un processo di sviluppo: educare i manager a essere leader, utilizzando alcuni
accorgimenti democratici e partecipativi. Niente di scandaloso, si intenda, in fin dei
conti il compito di chi fa consulenza è proprio quello di suggerire nuove vie alla produttività. In questo campo, però, un apporto sociologico potrebbe cogliere una componente non ancora esplorata, e quindi essere di aiuto anche ai consulenti. Vorrei indicare solo alcuni filoni d’indagine all’interno della teoria relazionale. Innanzitutto si
potrebbe studiare la leadership come fenomeno emergente: non la sommatoria delle
componenti caratteriali, organizzative e ambientali, ma la novità che nasce dalla relazioni tra le parti di questi sistemi. Lo sfondo potrebbe essere una teoria realista della
leadership, che approfondisca l’intuizione weberiana del carisma, sul motivo a causa
e al fine del quale le persone tendono a seguire un individuo e cerca di capire quali
sono le sue relazione con il potere. Inoltre si potrebbe ancorare la figura del leader
alla propria organizzazione: se ho un dato leader come si struttura la mia OTS? E farne una comparazione in imprese sociali simili. La stessa ricerca può essere svolta invertendo variabile dipendente ed indipendente, così da approfondire i meccanismi
causali che generano alcuni output. Aumentare, attraverso la network analisys, la conoscenza sulle leadership informali, accentuando la definizione di leadership come
capacità di influenzare gli altri, andando ad analizzare i flussi di relazioni, di informazioni e di decisioni presenti in contesti organizzativi di TS. Allo stesso tempo scopo
dello studio potrebbe essere comprendere in che modo si assumono i ruoli in contesti
poco formalizzati come sono quelli di TS.
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