Numero 4 / 2021
Alessandro Riccobono
Il lavoro autonomo e il terzo settore
Alessandro Riccobono, Il lavoro autonomo e il terzo settore
Il lavoro autonomo e il terzo settore
Alessandro Riccobono
Professore Associato di Diritto del lavoro nell'Università degli Studi di Palermo
SOMMARIO: 1. 1. Terzo settore, professionalizzazione e lavoro autonomo: un breve
quadro di insieme. 2. –Lavoro autonomo e divieto di distribuzione indiretta degli
utili. – 3. Lavoro autonomo e diritto al compenso minimo. – 4. L’accordo quadro
nazionale per la regolamentazione delle collaborazioni coordi-nate e continuative
nelle ONG: un modello virtuoso.
1. Terzo settore, professionalizzazione e lavoro autonomo: un breve quadro di insieme
La dialettica «lavoro autonomo-terzo settore» può essere inquadrata attraverso
molteplici chiavi di lettura, che corrispondo alle diverse concezioni del fenomeno
solidaristico presenti all’interno del d.lgs. 3 luglio 2017, n. 117 (da ora anche CTS).
Il terzo settore viene considerato, ormai da diversi anni, un bacino occupazionale
in perenne sviluppo. Il volontariato rimane ancora oggi la sua componente trainante,
ma accanto al movimento altruistico, che peraltro è oggetto di una profonda
riorganizzazione culturale1, è aumentato in modo significativo il ricorso a forme di
impiego remunerato, secondo una dinamica che lega l’incremento della domanda di
servizi sociali alla ricerca di risorse dotate di competenze specialistiche, non di rado
appartenenti al variegato mondo del lavoro indipendente.
Per conseguire gli scopi statutari gli operatori del non profit chiamano in causa il
lavoro autonomo in tutte le sue vesti giuridiche: dai contratti d’opera alle prestazioni
libero professionali, dalle collaborazioni coordinate e continuative al lavoro
occasionale, passando per il modello ibrido dei voucher per lavoro accessorio 2.
Questa tendenza verso la professionalizzazione delle risorse umane conferma il
processo trasformativo che sta vivendo il terzo settore, all’insegna dell’intreccio,
ormai endemico, tra la dimensione sociale e quella economica: lo spontaneismo, che
ne costituiva la cifra concettuale caratterizzante, convive con la neo-vocazione
imprenditoriale dei suoi protagonisti, che avvertono la spinta del mercato e delle sue
regole di ingaggio, mimandone le logiche competitive 3.
1
U. ASCOLI, E. PAVOLINI, Volontariato e innovazione sociale oggi in Italia, Bologna, 2017; R. GUIDI,
K. FONOVIĆ, T. CAPPADOZZI, Volontari e attività volontarie in Italia. Antecedenti, impatti, esplorazioni,
Bologna, 2016.
2
L’insieme di questi rapporti viene raggruppato dall’Istat nella voce “lavoratori esterni”, quantificati,
all’ultima rilevazione disponibile, in 173.558 unità. Va detto però che all’interno di tale voce confluiscono
tutte le categorie di rapporti non dipendente (ad es. titolari di cariche sociali, lavoratori temporanei e altri
atipici), sicché il dato non si riferisce soltanto ai lavoratori autonomi. Cfr. ISTAT, Annuario statistico
italiano. Istituzioni pubbliche e istituzioni non profit, 201, n. 23, 739 ss.
3
G.P. BARBETTA, G. ECCHIA, N. ZAMARO, Le istituzioni non profit in Italia. Dieci anni dopo, Bologna,
2016; M. LORI, E. PAVOLINI, Cambiamenti organizzativi e ruolo societario delle organizzazioni di Terzo
settore, in Pol. sociali, 2016, 41; M. CAMPEDELLI, G.B. SGRITTA, Il non profit: conoscenza e cambiamento,
ivi, 21 ss.
2
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I modelli di azione sono più flessibili e orientati al risultato, e in questa cornice il
lavoro autonomo fornisce indiscutibili opportunità per coniugare la dimensione etica
e l’efficienza gestionale all’interno di un rinnovato equilibrio, capace di tener conto
della rottura degli schemi classici della socialità e del dono.
L’approccio regolativo del Codice del Terzo Settore riflette questi cambiamenti e
cerca di coglierne le implicazioni.
Il CTS sostiene e promuove il lavoro all’interno degli enti che perseguono attività
di natura civica, solidaristica o di utilità sociale, ma allo stesso tempo assume nei suoi
confronti un approccio molto sorvegliato.
Riconosce nelle relazioni umane il motore della solidarietà organizzata, ma è
altrettanto cosciente del fatto che la professionalizzazione degli operatori non profit
evoca le medesime criticità che si registrano nel mercato degli agenti che forniscono
beni e servizi per ragioni di profitto, dove tradizionalmente attecchiscono fenomeni
di sfruttamento legati alle condizioni di bisogno e alla debolezza contrattuale di chi è
in cerca di un’occupazione.
Questa doppia sensibilità, che chiama in causa la dimensione fisiologica e quella
patologica nell’utilizzo del fattore lavoro, si coglie chiaramente nelle due disposizioni
che il CTS dedica alle condizioni di impiego negli enti del terzo settore.
Ci si riferisce agli artt. 8, c. 3 e 16, le cui regole esprimono contestualmente la
vocazione promozionale e quella antielusiva del Codice, che vengono declinate
all’interno di un orizzonte attuativo comune, costituito dal lavoro prestato in tutte le
sue forme e applicazioni: salvo che sia diversamente indicato, tali previsioni operano
negli stessi termini per i rapporti autonomi e subordinati, muovendosi all’insegna di
un approccio regolativo inclusivo e universalistico, che rimane indifferente tipologia
contrattuale utilizzata per dedurre un’attività di facere nell’interesse altrui.
L’impiego di questa tecnica costituisce uno degli elementi maggiormente
qualificanti del d.lgs. n. 117/2017, poiché parifica le due categorie dogmatiche
dell’autonomia e della subordinazione ai fini della disciplina ivi prevista, calibrando
l’intervento normativo sul bisogno da soddisfare, più che sul tipo negoziale: si tratta
di un segnale, invero non isolato, del tentativo di superare lo stretto ancoraggio del
diritto del lavoro alla subordinazione, a favore di un nuovo orientamento assiologico
della disciplina e del suo campo di applicazione, che si va lentamente estendendo al
di là dei suoi confini tradizionali4.
In questo scritto si concentrerà l’attenzione sulle due disposizioni sopra citate, allo
scopo di coglierne le implicazioni nell’area del lavoro autonomo.
2. Lavoro autonomo e divieto di distribuzione indiretta degli utili
L’art. 8, c. 3 del CTS si inserisce nel più ampio contesto del divieto di distribuzione
degli utili che grava su tutti gli enti del terzo settore (da ora anche ETS).
Esso va letto unitamente al c. 2, secondo cui è «vietata la distribuzione, anche
indiretta, di utili ed avanzi di gestione, fondi e riserve comunque denominate a
fondatori, associati, lavoratori e collaboratori, amministratori ed altri componenti
degli organi sociali che nel caso di recesso o di ogni altra ipotesi di scioglimento
individuale del rapporto associativo».
A. ALAIMO, Lo “statuto dei lavoratori autonomi”: dalla tendenza espansiva del diritto del lavoro
subordinato al diritto dei lavori. Verso una ulteriore diversificazione delle tutele? (1. 22 maggio 2017, n.
81), in Nuove leggi civ. comm., 2018, 589 ss.
4
3
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La ratio della previsione consiste nell’esigenza di preservare l’assenza di finalità
lucrative che caratterizza l’attività degli enti del terzo settore, ai quali è imposto
l’obbligo di destinare le risorse finanziarie esclusivamente al perseguimento degli scopi
istituzionali5.
Per questo motivo si considera indiretta distribuzione degli utili «la corresponsione
a lavoratori subordinati o autonomi di retribuzioni o compensi superiori del quaranta
per cento rispetto a quelli previsti, per le medesime qualifiche, dai contratti collettivi
di cui all’articolo 51 del decreto legislativo 15 giugno 2015, n. 81, salvo comprovate
esigenze attinenti alla necessità di acquisire specifiche competenze ai fini dello svolgimento delle attività di interesse generale di cui all’articolo 5, comma 1, lettere b), g)
o h)»6.
La disposizione in esame ha un precedente diretto nell’art. 10, comma 6, lett. e),
d.lgs. 4 dicembre 1997, n. 460 (cd. «Decreto Onlus»). Anche quest’ultimo, infatti,
considerava la sovra-compensazione dei lavoratori come indiretta distribuzione di utili
o di avanzi di gestione, ma il campo di applicazione era limitato al solo lavoro
subordinato e prevedeva un differenziale retributivo più rigido di quello oggi previsto
dall’art. 8, c. 3 del CTS (venti percento, anziché quaranta percento, rispetto ai
corrispettivi previsti dai contratti collettivi di lavoro per le medesime qualifiche).
È bene precisare che le previsioni del «Decreto Onlus» sono tuttora in vigore,
atteso che il d.lgs. n. 460/1997 sarà abrogato soltanto a decorrere dal periodo di
imposta successivo all’autorizzazione della Commissione europea sulle disposizioni
fiscali indicate nell’articolo 101, c. 10 del CTS e, comunque, non prima del periodo di
imposta successivo all’avvio del Registro unico nazionale del terzo settore (RUNTS),
reso operativo il 23 novembre 20217.
Ciò ha creato alcuni problemi di sovrapposizione fra le due disposizioni, il cui
campo di applicazione, oggettivo e soggettivo, è in parte coincidente.
Al fine di fugare i dubbi è intervenuta la nota direttoriale del 27 febbraio 2020 del
Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, la quale ha chiarito che il più severo
tetto retributivo indicato nel citato art. 10, comma 6, lett. e), d.lgs. n. 460/1997
continuerà a valere solo per le Onlus, fino all’abrogazione del relativo decreto.
Le previsioni dell’art. 8 del CTS trovano invece applicazione diretta per tutti gli
altri ETS, non essendo la loro operatività collegata all’istituzione del RUNTS.
Il lavoro autonomo, pertanto, è stato fin da subito investito dagli effetti di
quest’ultimo vincolo, sebbene limitatamente ai rapporti costituiti a partire dall’entrata
in vigore del Codice, restandone esclusi quelli instaurati antecedentemente alla
medesima data.
Laddove si guardi alle pratiche operative reali, è ragionevole immaginare che il tetto
ai corrispettivi riguardi soprattutto le figure professionali collocate su posizioni
5
Da ultimo F. LUNARDON, I rapporti di lavoro nel terzo settore, in Dir. ed econ. dell’impresa, 2021,
38 ss.
6
La violazione del divieto non comporta la perdita dello status di ETS, ma determina unicamente
l’applicazione della sanzione amministrativa pecuniaria da 5.000,00 euro a 20.000,00 euro, a carico degli
amministratori che l’hanno determinata o vi hanno anche solo concorso, ai sensi di quanto previsto dall’art.
91, comma 1, CTS. Regole gemelle sono contenute anche nel d.lgs. n. 112/2017, di revisione della
disciplina dell’impresa sociale.
7
Cfr. il Decreto direttoriale del Ministero del Lavoro e delle Politiche sociali 26 ottobre 2021, n. 561.
4
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manageriali o comunque dotate di elevata specializzazione, coinvolgendo il cosiddetto
«lavoro autonomo di seconda e terza generazione»8.
Il ricorso ai moduli del lavoro indipendente, infatti, è divenuto particolarmente
diffuso per intercettare profili emergenti e dotati di competenze trasversali, quali
manager ambientali e socio-assistenziali, esperti di cooperazione internazionale e di
bilancio sociale, responsabili dell’inserimento lavorativo dei soggetti svantaggiati,
direttori del fund raising, ecc.) 9.
Proprio per questo motivo le associazioni più strutturate ed influenti nel panorama
nazionale hanno aspramente contestato la disciplina in commento, imputandole
l’effetto di impedire la selezione delle risorse migliori e più qualificate, che verrebbero
scoraggiate dal mettere a disposizione del terzo settore le proprie competenze in
quanto non remunerabili al pari di quanto avviene nel mercato delle attività lucrative.
Per aggirare l’ostacolo alcuni grandi player hanno stipulato contratti collettivi
aziendali che incrementano il trattamento economico dei lavoratori attraverso il
riconoscimento di una serie di indennità aggiuntive e rivolte a valorizzare l’assunzione
di specifiche responsabilità. In particolare, la stampa ha dato notizia della
sottoscrizione di simili accordi da parte di Amref ed Emergency, che insieme ai
sindacati storici hanno costruito appositi percorsi remunerativi per premiare
l’anzianità di ruolo, le competenze personali maturate, le responsabilità connesse
all’incarico e la gravosità dei compiti affidati ai lavoratori10. Ma si tratta di una
disciplina pensata per i rapporti di lavoro dipendente, che potrebbe evocare qualche
difficoltà laddove si volesse impiegarla come fonte-parametro anche per le tipologie
di lavoro autonomo, soprattutto laddove si consideri che nell’area delle prestazioni
d’opera elementi come la disponibilità nel tempo o la quantità di lavoro svolto non
costituiscono unità di misura per la determinazione del valore corrispettivo del facere
promesso.
Il che dovrebbe indurre ad un ripensamento della disciplina sui tetti salariali, che
nell’area del lavoro autonomo e libero professionale potrebbe più efficacemente
assolvere la sua funzione antielusiva mediante la determinazione di un importo-soglia,
da aggiornare periodicamente in via regolamentare, oltre il quale si presuma la
violazione della regola del non distribution costraint.
Ad ogni modo, allo stato attuale la citata nota direttoriale del Ministero del Lavoro
e delle Politiche Sociali precisa che la contrattazione collettiva ex art. 51, d.lgs. n.
81/2015 costituisce il benchmark di riferimento ai fini della corretta applicazione del
differenziale retributivo, anche per il lavoro autonomo, ivi comprese le collaborazioni
coordinate e continuative. E per quanto riguarda la base di calcolo, specifica che si
debba tener conto anche della parte variabile della retribuzione, eventualmente fissata
8
Intendendosi per tale la galassia di figure inquadrate con tipologie contrattuali che rompono a classica
dicotomia lavoratore dipendente – indipendente, operando nell’ambito di attività a carattere cognitivorelazionale, con finalità di produzione di beni o servizi tendenzialmente immateriale. Cfr. S.
BOLOGNA, A. FUMAGALLI, Il lavoro autonomo di seconda generazione; A. FUMAGALLI, Le trasformazioni
del lavoro autonomo tra crisi e precarietà: il lavoro autonomo di III generazione, in Quad. ric. Artigianato,
2015, 226.
9
P. TARONNA, G. IUZZOLINO, Professioni e competenze del terzo settore in Italia, in S. BALBI, G.
BOCCUZZO, M.G. GRASSIA (a cura di), Profili formativi e bisogno di competenze nel terzo settore, Padova,
2008, 1 ss.
10
S. UCCELLO, Terzo settore: stipendi oltre il tetto del 40%? I casi di Emergency, Amref e Airc, in Il
Sole 24 ore, 26 maggio 2021.
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a livello territoriale o aziendale, in coerenza con la parificazione fra i diversi livelli di
contrattazione promossa dall’art. 51, d.lgs. n. 81/2015.
Va comunque osservato che, accanto alla funzione antielusiva, la scelta di
calmierare la remunerazione di consulenti e top manager inquadrati con contratti di
lavoro autonomo si giustifica in ragione della connotazione etico-sociale che permea
il Terzo settore e la sua missione di servizio, consistente nella costruzione di legami
fiduciari e nello sviluppo dei valori di reciprocità all’interno della società civile.
In questa prospettiva, il limite ai corrispettivi risponde all’esigenza di adeguare la
disciplina delle condizioni di lavoro dei professionisti alla vocazione solidale delle
organizzazioni non profit, comprimendo l’autonomia individuale laddove entrino in
gioco figure che dispongano di una specifica posizione di forza nel mercato, in ragione
delle competenze e conoscenze possedute.
Tutto ciò rende ragionevole il vincolo previsto dall’art. 8, c. 3 del CTS: l’adozione
di un modello regolativo in cui la logica dello scambio convive con l’afflato etico
risulta infatti coerente con la tensione motivazionale che dovrebbe qualificare
l’impegno di chi opera nel privato sociale.
Semmai il problema attiene all’ambito delle deroghe autorizzate dalla disposizione.
Il tetto retributivo del quaranta percento può infatti essere superato,
indipendentemente dalla natura autonoma o subordinata del rapporto di lavoro,
laddove l’ETS abbia necessità di acquisire specifiche competenze in relazione alle sole
attività di interesse generale di cui all’articolo 5, c. 1, lettere b), g) o h), del d.lgs. n.
117/201711.
Si tratta di interventi in campo di prestazioni sanitarie, formazione universitaria e
post universitaria, e di ricerca scientifica di particolare interesse sociale.
L’elenco è tassativo e il Ministero ha precisato che la deroga non è suscettibile di
interpretazione analogica, sicché non è possibile estenderne gli effetti alle altre attività
elencate nell’art. 5 del CTS.
In effetti, la derogabilità selettiva appare discutibile: nell’elenco dell’art. 5 figurano
numerose attività altrettanto strategiche per la missione erogativa o di advocacy degli
enti del terzo settore, come ad esempio l’accoglienza umanitaria e l’integrazione
sociale dei migranti, la riqualificazione del patrimonio culturale e la tutela
dell’ambiente, la cura delle procedure di adozione internazionale, la qualificazione di
beni pubblici inutilizzati o di beni confiscati alla criminalità organizzata, ecc.
L’interesse a selezionare professionalità altamente qualificate, con rating remunerativi
altrettanto elevati, potrebbe certamente riscontrarsi anche per gli operatori che
agiscono in tali settori, dove l’art. 8, c. 3 non concede margini di deroga.
Va peraltro ricordato che il già citato art. 10 c. 6 del «Decreto Onlus», attualmente
in vigore limitatamente alle organizzazioni che rivestano tale qualifica, permette la
disapplicazione generalizzata del limite di spesa ivi previsto, a condizione che l’ente
La nota direttoriale del 22 febbraio 2020 precisa che a tal fine l’ente è tenuto a fornire apposita
documentazione giustificativa, che consiste nell’acquisizione del curriculum del lavoratore e nella
formazione di apposita deliberazione assunta dal competente organo sociale, che dovrà contenere un
esaustivo e logico sviluppo del percorso motivazionale alla base della costituzione del rapporto di lavoro,
con particolare rigore nella rappresentazione del nesso teleologico tra professionalità richiesta e missione
statutaria dell’ente.
11
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interessato sia in grado di dimostrare che il compenso corrisposto al lavoratore non
nasconda una condotta illecita 12.
De jure condendo l’art. 8, c. 3 andrebbe corretto in tal senso, anche per evitare che
attività eterogenee, ma accomunate dalla rispondenza alla categoria unitaria
dell’interesse generale, vengano sottoposte a piani di regolazione differenti, col
risultato di ordinare il bene comune all’interno di una gerarchia non sorretta da precisi
criteri di ragionevolezza, dunque sospetta di incostituzionalità.
3. Lavoro autonomo e diritto al compenso minimo
La seconda disposizione che viene in rilievo è l’art. 16 del CTS. Anch’essa ha una
valenza fortemente inclusiva, nella misura in cui traccia il suo campo di applicazione
intorno a un ideale di lavoro sans phrase, attuando la direttiva costituzionale di cui
all’art. 35 della Carta fondamentale.
Essa stabilisce che «i lavoratori degli enti del Terzo settore hanno diritto ad un
trattamento economico e normativo non inferiore a quello previsto dai contratti
collettivi di cui all’articolo 51 del decreto legislativo 15 giugno 2015, n. 81».
Viene in tal modo replicata la tecnica normativa dell’art. 8, ma in questo caso il
rinvio alla contrattazione collettiva è finalizzato a individuare la fonte parametro per
la commisurazione del corrispettivo minimo della prestazione di lavoro, quand’anche
quest’ultima non rivesta natura subordinata.
La maggior parte delle analisi dedicate a tale previsione si è finora concentrata sui
problemi che essa solleva nel terreno elettivo del lavoro dipendente: alcuni sospettano
della sua incompatibilità con l’ultima parte dell’art. 39 Cost.; altri, tra cui chi scrive, la
ritengono un meccanismo di determinazione giusta retribuzione ex art. 36 Cost.,
riconducibile al genus delle clausole sociali13.
È tuttavia evidente come l’applicabilità dell’art. 16 del CTS anche ai rapporti di
lavoro autonomo costituisce il tratto di maggiore originalità della disciplina: nella
misura in cui garantisce il diritto a un reddito minimo al di là della subordinazione,
quest’ultima riflette una chiara sensibilità assiologica rispetto alla questione del
bisogno di protezione sociale espresso dalle forme di impiego non standard,
preoccupandosi che la flessibilità tipica dell’autonomia non si traduca in occupazione
di bassa qualità.
In questo modo il Codice del Terzo Settore dimostra di conoscere i diversi
segmenti del mercato del lavoro autonomo a cui si rivolgono gli enti non profit: non
solo quello delle professionalità elevate e altamente specializzate, la cui remunerazione
viene calmierata per prevenire fenomeni di over compensation antitetici rispetto ai valoriguida della solidarietà organizzata, ma soprattutto quello intermedio e delle low skills,
dove si registra l’opposta necessità di garantire compensi equi e dignitosi, a tutela della
folta schiera di collaboratori che si collocano nel mercato in posizione di dipendenza
economica.
Cfr. L’autorizzazione alla disapplicazione viene in questo caso rilasciata dall’Agenzia delle entrate,
cfr. circolare 31 ottobre 2007 n. 59/E. Sul punto anche P.A. PESTICCIO, Gli Enti di Terzo Settore (ETS) e la
distribuzione indiretta di utili, in Cooperative ed enti non profit, n. 10/2017, 20 ss.
13
Il che induce a riflettere sui problemi sollevati dalla nozione di rappresentatività sindacale comparata
come criterio di selezione del contratto leader. Cfr., se si vuole, A. RICCOBONO, Diritto del lavoro e Terzo
Settore, Napoli, 2021, spec. cap. II.
12
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L’art. 16 del CTS ha dunque il merito di declinare la questione salariale a tutto
campo, avendo ben chiaro che il lavoro decente non può reggersi sulle regole del
libero mercato, e che la condivisione degli ideali etico-sociali di cui gli enti del terzo
settore sono portatore non costituisce sempre una determinante dell’impiego nel
privato sociale, almeno per coloro che, trovandosi in condizioni di bisogno, siano alla
ricerca di una qualsiasi fonte di reddito.
Muovendosi su questo scenario, la disposizione individua nella garanzia di standard
adeguati di reddito il principale strumento di contrasto al dumping sui compensi, quale
fenomeno che interessa non solo il lavoro subordinato, ma anche quello autonomo,
così come certificano le analisi sul progressivo impoverimento degli appartenenti a
tale categoria14, che non è più un ambito “privilegiato” rispetto al lavoro
subordinato15.
Sul piano del diritto positivo le ripercussioni di questa scelta sono molto
significative: è infatti noto che, per la generalità dei rapporti di lavoro autonomo,
ancorché resi nella forma della collaborazione coordinata e continuativa, i principi di
proporzionalità e sufficienza previsti dall’art. 36 Cost. non trovano applicazione,
venendo riferiti da un consolidato indirizzo giurisprudenziale al solo lavoro
subordinato16.
Siffatta impostazione, peraltro, è rimasta salda anche dopo l’entrata in vigore della
l. n. 81/2017, che ha riconosciuto un pacchetto di tutele più o meno organiche in
favore del lavoro autonomo non imprenditoriale, omettendo tuttavia di sciogliere il
nodo del diritto all’equo compenso.
La previsione dell’art. 16 del CTS rappresenta dunque un unicum nel panorama
legislativo italiano, ancorché rimanga una misura di carattere settoriale, che riproduce
l’approccio selettivo con cui il legislatore ha sinora sviluppato la direttiva di tutela
salariale del lavoro autonomo con tratti di dipendenza economica: si pensi all’abrogata
disciplina sul lavoro a progetto, che aveva sancito il diritto del collaboratore a
percepire un compenso non inferiore ai minimi salariali stabiliti dai contratti
collettivi17, ovvero, più recentemente, al tentativo di valorizzare la rappresentanza
degli interessi collettivi nello spazio regolativo delle collaborazioni etero-organizzate
(art. 2, c. 2, d.lgs. n 81/2015) 18, o nella specifica appendice normativa dedicata ai ciclo-
14
Cfr. L. DE VITA, I. ALFANO, I nuovi professionisti: condizioni di lavoro, identità professionale e
ricerca di rappresentanza, in Quad. rass. sind., 2017, 1, 81 ss.
15
G. CANAVESI, Le tutele per i lavoratori autonomi, in Mass. giur. lav., 2021, 587 ss.
16
Da ultimo, Cass. 22 febbraio 2021, n. 4667, in Dejure; Cass. 6 novembre 2015, n. 22701, ivi.
17
Va qui ricordato che l’iniziale previsione dell’art. 63, d.lgs. n. 276/2003 parametrava il compenso del
collaboratore a progetto ad analoghe prestazioni di lavoro autonomo, risultando largamente ineffettivo. La
disposizione è stata quindi modificata dapprima dalla l. n. 247/2007 e, successivamente dalla l. n. 92/2012,
che hanno progressivamente rafforzato il diritto al compenso minimo, commisurandolo ai minimi della
contrattazione collettiva, per analoghe prestazioni di lavoro subordinato, cfr. P. PASSALACQUA, La nuova
disciplina del lavoro autonomo e associato. Il lavoro coordinato a progetto, il lavoro del socio di
cooperativa, l’associazione in partecipazione dopo la “Riforma Fornero”, Torino, 2012, 140 ss.; V. PINTO,
Prime chiose sulla nuova disciplina delle collaborazioni a progetto, WP CSDLE “Massimo D’Antona”. IT
– 151/2012.
18
Sull’importanza dell’intervento delle parti sociali per la modulazione delle tutele delle collaborazioni
etero-organizzate, in relazione alle specificità del settore produttivo, cfr. M. MAGNANI, Subordinazione,
eterorganizzazione e autonomia tra ambiguità normative e operazioni creative della dottrina, in Dir. rel.
ind., 105 ss.; A. ZOPPOLI, Le collaborazioni eterorganizzate tra antiche questioni, vincoli di sistema e
potenzialità, ivi, 703 ss.
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Lavoro Diritti Europa numero 4/2021
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fattorini delle piattaforme digitali assunti con rapporti di lavoro autonomo (art. 47 bis
ss., d.lgs. n. 81/2015) 19.
4. L’accordo quadro nazionale per la regolamentazione delle collaborazioni coordinate e continuative
nelle ONG: un modello virtuoso.
Proprio nell’ambito del terzo settore, l’intreccio tra l’art. 16, d.lgs. n. 117/2017 e la
delega all’autonomia collettiva contenuta nell’art. 2, c. 2, d.lgs. n. 81/2015 è stata
messa a frutto, in modo virtuoso, con il rinnovo dell’Accordo Quadro Nazionale per
la regolamentazione delle collaborazioni coordinate e continuative all’interno delle
Organizzazioni della società civile (OSC) ex art. 25, c. 2, l. n. 124/201520.
Tale accordo, che tiene conto delle particolari esigenze organizzative del settore
della cooperazione e solidarietà internazionale, nonché dello sviluppo dell’aiuto
umanitario, riconosce ai titolari di qualsiasi contratto di lavoro non subordinato che
si svolga in Italia o all’estero, purché riconducibile ad un rapporto di co.co.co., il diritto
ad un compenso minimo, “proporzionato alla quantità e all’impegno temporale del
lavoro da eseguire”, che viene declinato su quattro profili professionali caratterizzati
da un diverso grado di esperienze, competenze e responsabilità.
Sul piano tecnico, la determinazione del corrispettivo annuo dei collaboratori
autonomi viene effettuata utilizzando come parametro di riferimento le retribuzioni
previste dai contratti collettivi nazionali che le OSC aderenti all’accordo quadro si
sono vincolate ad applicare al proprio personale dipendente. Ed infatti, per prevenire
fenomeni di shopping contrattuale, le parti firmatarie hanno preventivamente
circoscritto i prodotti negoziali eleggibili, che sono il Ccnl “Commercio, terziario,
servizi e distribuzione”, il Ccnl “cooperative sociali”, il Ccnl “Uneba” e il Ccnl
“Agidae”: ai minimi previsti dai suddetti contratti, in relazione ai corrispondenti profili
professionali, dovrà essere applicata una maggiorazione del 6%, che determina il
compenso annuo da corrispondere ai titolari di rapporti di lavoro autonomo
coordinato e continuativo.
La soluzione mira evidentemente a scoraggiare l’utilizzo fraudolento delle
co.co.co., rendendole più onerose dei rapporti di lavoro subordinato comparabili. In
questo modo, peraltro, viene automaticamente rispettata la disciplina sui minimi
salariali dettata dall’art. 16 del CTS, rispetto alla quale la previsione negoziale opera
come clausola di miglior favore.
Per altro verso, la parti firmatarie tengono in considerazione anche la deroga al
divieto di distribuzione indiretta degli utili sancita dal già esaminato art. 8, c. 3, d.lgs.
n. 117/2017. Ed infatti viene stabilito che il livello minimo dei compensi può essere
Come è noto, l’art. 47, quater, d.lgs. n. 81/2015, affida ai prodotti negoziali stipulati dalle associazioni
sindacali comparativamente più rappresentative il compito di determinare il compenso dei rider autonomi,
stabilendo che, in difetto di tali contratti, questi ultimi non possono essere retribuiti in base alle consegne
effettuate e agli stessi deve essere garantito un compenso minimo orario parametrato ai minimi tabellari
stabiliti da contratti collettivi nazionali di settori affini o equivalenti sottoscritti dalle organizzazioni
sindacali e datoriali comparativamente più rappresentative a livello nazionale. Cfr. U. CARABELLI,
Collaborazioni e lavoro occasionale tra autonomia e subordinazione, in U. CARABELLI, L. FASSINA (a cura
di), Il lavoro autonomo e il lavoro agile alla luce della legge n. 81/2017, Consulta Giuridica Cgil, 2018, 41
ss.; A. PERULLI, Il diritto del lavoro «oltre la subordinazione»: le collaborazioni etero-organizzate e le
tutele minime per i riders autonomi, in W.P. CS.D.L.E. «Massimo D’Antona», n. 410/2020, 1 ss.
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Il rinnovo, avvenuto 1 aprile 2018, è stato sottoscritto tra Felsa Cisl, Nidil Cgil Uil Temp e le reti AOI
e Link-2007, che rappresentano numerose ONG e organizzazioni della società civile. Da ultimo esso è stato
prorogato il 22 marzo 2021.
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elevato, con una maggiorazione superiore al 40% in caso di missioni estere con
presenza di fattori di rischio per il collaboratore e per attività che richiedano interventi
sul territorio (nazionale o estero), con carattere di urgenza con spostamenti frequenti
e non preventivamente programmabili 21.
Va infine menzionata l’apposita disciplina dedicata ad appalti ed esternalizzazioni,
ove si prevede che, con riferimento alle attività di raccolta fondi o marketing sociale
tramite personale che operi fuori dai locali aziendali e senza vincoli di orario, l’utilizzo
dei contratto di collaborazione è subordinato al rispetto delle garanzie previste
dall’Accordo, ovvero, laddove tale attività sia affidata ad un’impresa esterna, alla scelta
di fornitori qualificati, che “garantiscano una retribuzione dignitosa e commisurata
alla tipologia di attività e di impegno svolto”.
Siffatte previsioni assumono notevole rilievo alla luce della centralità che la figura
del fundraiser assume nel Terzo settore e del suo inquadramento pressoché
generalizzato attraverso gli schemi del lavoro autonomo. La moltiplicazione dei
«dialogatori da strada» è un fenomeno pervasivo, che coinvolge soprattutto le grandi
organizzazioni del terzo settore, le quali si avvalgono sempre più spesso
dell’intermediazione di agenzie esterne per ricercare canali di finanziamento regolari
e continuativi attraverso la raccolta fondi face to face da parte di giovani promotori.
Naturalmente, l’azione dei dialogatori dovrebbe essere sostenuta dai sentimenti di
impegno civico o dalla vocazione umanitaria propugnati da parte dei celebri players per
cui essi operano, ma lo schermo delle agenzie che si incaricano della gestione di tali
campagne per fini di profitto ha generato un vero e proprio mercato dello
sfruttamento lavorativo, i cui protagonisti sono sedicenti collaboratori autonomi,
remunerati esclusivamente in base al numero di donazioni procacciate e spesso privati
delle tutele lavorative più elementari.
Le misure sopra citate cercano di prevenire tali abusi, indirizzando la scelta delle
organizzazioni sottoscrittrici dell’accordo quadro verso operatori economici che non
si limitino a premiare il rendimento dei collaboratori, ma che compensino anche la
disponibilità nel tempo garantita da questi ultimi per la ricerca di potenziali donatori,
trascorrendo intere giornate sotto i portici, nelle piazze o tra le mura dei grandi centri
commerciali metropolitani.
Non è possibile soffermarsi in questa sede sui restanti contenuti dell’accordo, che
riguardano le garanzie in tema malattia e gravidanza, la giustificazione del recesso, il
diritto alla formazione e il riconoscimento delle prerogative sindacali.
Ad ogni modo, l’insieme delle sue previsioni ne fa un modello di buone pratiche
da seguire per lo sviluppo della rappresentanza del lavoro autonomo e delle dinamiche
negoziali indirizzate a rimodulare le tutele della subordinazione in chiave selettiva,
affinché le modalità collaborative caratterizzate da tratti di dipendenza economica
siano dotate di una protezione di base, tale da assicurare a chiunque condizioni di
lavoro dignitose.
Sotto questo profilo la disciplina del lavoro nel Terzo settore ha già compiuto
notevoli passi avanti, confermando l’attitudine dell’economia civile a generare valori
sociali che anche l’economia di mercato dovrebbe tenere in attenta considerazione,
nella prospettiva del passaggio ad un sistema occupazionale incentrato sulla tutela
universale della persona che lavora.
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In realtà sulla legittimità di questa clausola si potrebbe sollevare qualche dubbio, atteso che il settore
della cooperazione allo sviluppo (art. 5, c. 1, lett. n, d.lgs. n. 117/2017), non rientra fra quelli che possono
derogare ai tetti salariali sanciti dall’art. 8, c. 3, d.lgs. n. 117/2017.
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