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Una delle mie pubblicazione su lavori e studi condotti in tutto il territorio Siciliano
A marzo 2016 si è conclusa la campagna di restauro che ha interessato i quattro sarcofagi esposti sul pianerottolo dello scalone principale di Palazzo Corsini. I sarcofagi fanno parte della collezione dei monumenti antichi del Palazzo (Catalogo di G. De Luca ordinato secondo criteri cronologici[1]), hanno un carattere specifico e unico, sia, per i virtuosismi della tecnica di esecuzione: elementi a tutto tondo e aggettanti, stiacciati sulle superfici arretrate per creare la profondità delle scene rappresentate, sia per lo stato di conservazione. Sarcofago con quattro crateri e clipeo centrale, anche detto delle "quattro stagiono", Sarcofago con Eroti Pisaca Arianna, Sarcofago con le Fatiche di Ercole e sarcofago Tiaso Marino, sono tutti realizzati in marmo proconneso con le caratteriale striature grigie-bluastre. Negli studi della tecnica di lavorazione è ormai avvalorato che, la conoscenza delle caratteristiche morfologiche della pietra era fondamentale per sfruttarne al meglio le peculiarità, attuando scelte di lavorazione non causali, mirate a realizzare una lavorazione dai caratteri virtuosistici.I sarcofagi erano stati destinati a vasche e/o fontane con conseguenti interventi invasivi che avevano previsto fori di vistose dimensioni atte allo scorrimento dell'acqua,; inoltre, la lunga esposizione all'esterno e al continuo deflusso dell'acqua avevano favorito la formazione di incrostazioni calcaree, in alcuni casi di due centimetri, deformando e interrompendo la corretta lettura delle scene dei bassorilievi. E' usuale vedere sarcofagi trasformati in vasche, quello più usato è il sarcofago addossato alla parete all'uscita della stazione della metropolitana Colosseo, dove turisti e non lo usano per trovare un po' di refrigerio. E' diversa la storia conservativa del sarcofago "Tiaso Marino". 1732 datazione del suo ritrovamento[2], 1791 è citato nelle guide e negli itinerari di Giuseppe Vasi, 1819 il sarcofago è nei taccuini di Turner denominati "Palazzo Corsini", 1883 anno che corrisponde all'acquisizione da parte dello Stato della Galleria Nazione e della collezione contenuta, testimoniano che il sarcofago Tiaso Marino è sempre stato esposto nella I° sala del Museo. Questi fortunati eventi lo hanno preservato dagli agenti atmosferici; inoltre il sarcofago è completo di coperchio a tetto. Nel progetto conservativo era prevista la movimentazione del coperchio per restaurare le superfici interne, che ha restituito la inedita lavorazione delle superfici non visibili del sarcofago.
Per leggere un libro come questo, o gli altri volumi di questa collana, fa' finta di essere in un bosco incantato, nel silenzio della natura dove solo chi ha l'orecchio esercitato sa sentire un battito d'ali, il verso della ghiandaia, il passo della volpe. Leggi con calma, rifletti, confronta con le tue conoscenze e con i tuoi libri di storia. Raffronta le vicende umane di questi "antichi" personaggi con quelle dei contemporanei, persino con le tue. Solo così apprezzerai a pieno le "storie" che ho raccolto e ne subirai le suggestioni.
LA CASULA DI SAN PANFILO, 2005
t'ovescio la trama lanciata 2o lato è legata in taffetas dagli orditi di legatura. RAPPORTO DEL DISEGNO cm. 26x13,5. ALTEZZA DEL TESSUTO, la pezza di tessuto è particolarmente alta oltre cm. 158 e non sono presenti le cimose. Bordura applicata sul collo: Almatura taqueté façoné. ORDITO: 3 fili di fondo, doppi, in seta avor.io torsione Z, riduzione 45 fìli doppi al cm.; I di legatura in seta avorio, torsione Z,riduzione 15 fili al cm. TRAMA: lo laro in sera. blu e marrone, senza torsione apprez,zabile;2" lato in seta, l'ossa, senza torsione apprezzabile;3o lato in lamina d'oro su l 13
2019
ringraziamo, in particolare Paride Berardi il quale, per primo, definì già nel 1980 l'importanza delle maioliche quattrocentesche di Pesaro). Questo libro, dunque, può sembrare superfluo, in realtà, mossi soltanto da grande amore per la nostra città e per la sua storia, in particolare per quella degli Sforza, pensiamo di avere fatto cosa utile e gradita per il lettore che troverà così un testo agevole, scevro da disquisizioni tecniche, con un ricco apparato iconografico e una nutrita bibliografia. È noto da secoli che gli Arabi appresero dai Bizantini, e forse anche direttamente dai Cinesi (o attraverso i Persiani), la tecnica della ceramica invetriata o maiolica, cosiddetta dall'isola di Maiorca, anticamente Maiòrica o Maiòlica, dai cui porti le navi trasportavano in tutto il Mediterraneo la preziosa mercanzia, prodotta principalmente nelle città arabe dell'Andalusia: Valencia, Granada (vasi Alhambra), Murcia, Almeria e Malaga, che diffusero poi in tutto il mondo arabo. Le terrecotte, prima di una seconda cottura, venivano verniciate con un impasto liquido di polvere silicea finissima e di ossido di stagno (terrecotte smaltate) che conferiva alla superficie un bel colore bianco, sul quale erano dipinti motivi ornamentali con colori resistenti al fuoco a base dei già noti ossidi metallici di manganese, rame, ferro, cobalto, antimonio. La cottura nel forno conferiva al prodotto un rivestimento vitreo smagliante, nel quale erano incorporati i colori che, alla magia del fuoco, assumevano nuove e accese tonalità. Dai centri più antichi dell'Iran e della Siria (Damasco) la produzione di ceramica araba, dal tipico "lustro" color oro cangiante in giallo e in verde ottenuto con tecniche a lungo segrete, si diffuse ad Alessandria d'Egitto e al Cairo, dove fiorì sotto le dinastie dei Tulunidi (868-905) e dei Fatimidi (969-1171). Caratterizzate dal divieto di rappresentare figure umane o animali, per non cadere nel rischio dell'idolatria, le ceramiche arabe erano per lo più decorate con "arabeschi", cioè con girali e tralci di foglie e fiori oppure con figure geometriche o con penne di pavone sovrapposte. In alcuni casi il decoro era graffito, cioè inciso sulla stesura del colore in modo di fare emergere l'argilla sottostante. L'incisione veniva poi riempita di colore e il vaso era verniciato al piombo e cotto. In altri casi era usata la tecnica del graffito sotto vernice, cioè le incisioni decorative venivano fatte sul vaso già cotto una prima volta, seguiva un'invetriatura con vernice piombifera trasparente o eventualmente colorata in turchese, blu, bruno, giallo o verde, poi una seconda cottura (bis-cotto) che produceva una vernice vetrosa sopra ai graffiti. Con la conquista araba della Spagna le ceramiche invetriate si diffusero a Granada e Valencia, poi, nel sec. XV, nelle province cristiane confinanti dell'Aragona e della Catalogna (Barcellona). Le maioliche ispano-moresche invetriate e con i riflessi metallici degli ossidi, resi luminescenti e rigenerati dal fuoco, conquistarono il gusto raffinato degli Italiani del primo Rinascimento, dapprima nelle Repubbliche marinare di Venezia, Genova e Pisa poi nel resto della penisola. In particolare dalla Spagna moresca l'arte della maiolica passò, a partire dal '400, in Toscana (Siena, Pisa), in Umbria (Orvieto), in Romagna (Faenza, Forlì, Ravenna, Rimini) e nelle Marche (Pesaro), diffondendosi in seguito nei vari centri della penisola e assumendo caratteristiche diverse secondo i luoghi. La città di Pesaro, quindi, nella seconda metà del Quattrocento, durante il felice governo degli Sforza, fu coinvolta dal "miracolo" della maiolica e divenne ben presto uno dei centri di produzione più prestigiosi. Decisivo fu il ruolo di patrocinio operato dai Signori del luogo (Alessandro, Costanzo e Giovanni Sforza), per questo ne parliamo in questo volume della collana "Storie degli Sforza pesaresi", inserendo la maiolica nel più ampio quadro del mecenatismo sforzesco e nella loro opera illuminata di promozione dell'economia di una cittadina di 10.000 abitanti come la Pesaro di allora.
Bollettino della Unione Storia ed Arte, 2017
A Roma il Parco della Caffarella costituisce un esempio di valorizzazione di un'ampia fascia di verde all'interno della città. Qui le testimonianze del passato, insieme agli elementi della natura, rivestono un ruolo di rilievo.
2019
una rassegna storica dei principali insediamenti dei monaci Camaldolesi nella provincia di Pesaro e nelle Marche, in una terra che, dopo la Toscana, era ed è quella che più li ha accolti dal medioevo ad oggi
La storia dell'arte è scritta non solo da pagine in maiuscolo, ma anche da paragrafi e capitoletti minori» N. Spinosa 1
Carrières et ateliers de pierre ollaire (chloritoschistes et chloritoschistes grenatiferes) de la Vallée d'Aoste (Italie) Quarries and workshop of soapstone (choriteschist and garnet-chloriteschist) of Aosta Valley (Italie)
Mi fu chiesto una volta: un anno fa, forse due, di preparare un volume sulla cattedrale di Padova. L' idea era partita da mons. Claudio Bellinati, che incontro quasi quotidianamente in via San Gregorio Barbarigo, a due passi dalla mia abitazione. Lo studioso, ben noto nella città antenorea e al quale son legato da sincera amicizia e da profonda riconoscenza per aver celebrato le mie nozze nel lontano 1971, mi aveva suggerito, col solito garbo che lo contraddistingue, di pubblicare un volume sulla cattedrale e dedicarlo a Sua Eccellenza il Vescovo Antonio Mattiazzo in occasione del suo settantacinquesimo compleanno. Non ho avuto esitazioni e ho accettato senza batter ciglio; del resto la proposta mi appariva particolarmente interessante, anche perché mi offriva la possibilità di dar vita al quinto volume della collana Chiese monumentali padovane, da me diretta per conto dell' Erma di Bretschneider di Roma. Anche il titolo che s'è voluto dare a questo libro segue lo schema degli altri volumi della collana; ma, a onor del vero, è stato lo stesso Bellinati a suggerirlo laddove, in uno dei nostri tanti incontri, l' assumeva quale risposta alla domanda intorno al significato delle realtà storiche artistiche archeologiche emerse da nuovi studi e al modo di coglierlo e comprenderlo nella sua compiutezza. Ma v'è un' altra, e chiarificatrice confidenza di Bellinati, che s' accorda col tema a lui tanto caro e che avrebbe voluto affrontare: il sito della primitiva cattedrale. All' uopo, lo invitai più volte a preparare un saggio sull' argomento, ma col passare del tempo m' avvedevo che le scadenze per la consegna incombevano, ragion per cui gli domandai, in via imperativa, di pensare un titolo, seppur provvisorio, per inserirlo nell'Indice del volume. Mi chiedo, ancor oggi, se l' ansia o, peggio, il panico l' avesse preso; o, piuttosto, se un po' di stanchezza e impegni istituzionali l' avessero portato a rinunciare ciò che forse avrebbe voluto fare più di ogni altra cosa. Comunque sia, credo sia stato un modo per venirne fuori. A tal fine è stata indirizzata questa breve divagazione, giacché premeva render conto dell' adozione di una proposta su come era nata: la stampa di un volume sulla cattedrale patavina come omaggio al Vescovo di Padova, Antonio Mattiazzo, in quiescènza dal settembre 2015
Hue University Journal of Science: Social Sciences and Humanities, 2020
DOXA. Cuadernos de Filosofía del Derecho, Núm. 48, 2024
Journal of Energy Research and Reviews
Études et Documents Berbères, 47, pp. 33-51 , 2022
Sustainability Science, 2020
Animal Feed Science and Technology, 1993
Egyptian Academic Journal of Biological Sciences, B. Zoology, 2017
Clinical and Applied Thrombosis/Hemostasis, 2003
Value in Health, 2018
Proceedings Frontiers in Education 35th Annual Conference, 2005
Oxidative Medicine and Cellular Longevity
Psychological Studies, 2019