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La "Guerra Santa" di Carlo Magno

Origine e funzione dell'aspetto religioso nelle campagne militari carolinge in Europa Centrale

La “Guerra Santa” di Carlo Magno Origine e funzione dell’aspetto religioso nelle campagne militari carolinge in Europa Centrale Dott. Gioal Canestrelli Istituto di Archeologia Sperimentale Fianna apPalug Federazione EVROPANTIQVA Quella di Carlo Magno in veste di difensore del Cristianesimo e acerrimo nemico di pagani e infedeli è un’immagine che nella vulgata è stata principalmente veicolata dalle chansons de geste del Ciclo Carolingio, sviluppatesi a partire dal XI secolo e frutto di una commistione di elementi fantastici, memoria storica e caratteristiche proprie della realtà politica e culturale degli scriventi. Se nelle chansons de geste, tra le quali la più celebre è senza dubbio la Chanson de Roland, l’avversario per eccellenza della cristianità franca è il Saraceno, andando a riflettere il clima di crescente contrapposizione delle monarchie europee con il mondo musulmano, a dire il vero l’operato carolingio che aveva visto l’impegno militare fondersi con, se non addirittura, apparentemente, alimentarsi da quello religioso, si era svolto principalmente nei confronti non delle realtà islamiche, ma al contrario di quelle pagane dell’Europa centro-settentrionale, con le quali per assurdo i Franchi condividevano la comune origine germanica. D’altra parte anche nelle produzione epica dell’XI secolo si può notare come al nemico saraceno venga attribuito come caratteristica fondante della sua empietà il politeismo1, sia per una scarsa conoscenza della realtà religiosa dell’Islam, sia perchè l’archetipo del pagano si era radicato profondamente nell’immaginario collettivo europeo come nemico per eccellenza dei valori cristiani, e questo probabilmente affonda tanto nel difficile percorso di affermazione del Cristianesimo in seno al mondo romano, quanto in tutta una serie di conflitti che caratterizzano l’Europa dall’VIII fino al X secolo, e che avevano visto prima l’Impero Carolingio e poi i suoi eredi, nonchè i diversi potentati delle Isole Britanniche, subire le scorrerie di diverse popolazioni politeiste provenienti dall’Europa settentrionale e dalle steppe dell’Asia centrale. Sottoposte a queste pressioni, sia le realtà che avevano beneficiato nella loro genesi di un apporto diretto della cultura romana, come i regni romano-barbarici del continente, sia quelli che l’avevano assimilata principalmente per il tramite della chiesa, come i regni anglosassoni, continuano a coltivare l’ideale Classico di un mondo civile, nel quale ovviamente si identificano, contrapposto a un incolto barbaricum nord-orientale. I regni cristiani dell’Europa Altomedievale si trovano però nella scomoda posizione di essere, se non da un punto di vista ideale, perlomeno da un punto di vista fattuale 1 Nella Chanson de Roland i Saraceni sono Paynims (Pagani), e adorano tre divinità, Mahound (Maometto), Apollyon (Apollo) e Tervagant (La divinità gallica Trigaranus?) per buona parte prodotto di quello stesso barbaricum che ora viene percepito, e soprattutto deve essere percepito, come arretrato, ostile e innanzitutto altro da sé. Proprio l’appartenenza da un punto vista ancestrale a quello stesso milieu culturale che produceva ora nuove orde di saccheggiatori ai quali era imperativo contrapporsi per tutelare la propria stabilità, porta i regni europei a cercare un discrimine che tracci una linea di demarcazione netta, un “noi” e un “loro” che possa essere inequivocabile, e a trovarlo nell’appartenenza religiosa. Se i tratti culturali ed estetici potevano infatti forse bastare a sottolineare un distinguo eclatante e palese con i “nuovi barbari” provenienti dalle steppe dell’Asia Centrale, come gli Avari prima e gli Ungari poi, la differenza negli usi e nei costumi tra un suddito dell’Impero Carolingio e un Sassone della Vestfalia, tra un abitante di uno dei regni dell’Eptarchia e un Norvegese, poteva essere decisamente sottile2, e gli elementi evidentemente divergenti si potevano riconoscere principalmente se non esclusivamente nella sfera del sacro. L’appartenenza o meno all’universo cristiano diventa il nuovo discrimine quindi che separa l’uomo civile dal barbaro incolto, e così come nel suo processo di espansione il mondo romano aveva richiesto alle realtà che finivano per farne parte di uniformarsi, facendo propri quei valori sociali che sancivano l’ingresso nel consesso dei popoli civili, altrettanto richiedono su base confessionale i regni cristiani dell’Europa Altomedievale, tanto ai propri sudditi quanto a quelle realtà con le quali si vuole costruire un dialogo protratto e produttivo.3 Si tratta ovviamente di una posizione che non è monolitica o scevra da contraddizioni, come indica il rapporto proficuo, per quanto limitato, tra i Franchi e il Califfato Abbaside, cominciato già da Pipino il Breve con un’ambasceria presso il Califfo al-Manṣūr4 e proseguito dai contatti tra Carlo Magno e Hārūn al-Rashīd5, sul quale debbono aver pesato in chiave positiva diversi fattori, tra i quali l’evidente Secondo Fredegario per Carlomanno i Sassoni sono “suo regno affines” (Cronaca di Fredegario AN. DCCXLIV. CXIII) In Asser, Vita Ælfredi regis Angul Saxonum, 2, viene sottolineato come dopo la vittoria alla Battaglia di Edington re Alfredo richieda nel trattato di Edmore che il re danese Guthrum accetti il battesimo. Se è chiaro che i Danesi rimarranno una realtà indipendente rispetto al Wessex, del quale secondo il trattato debbono abbandonare le terre, il battesimo del loro condottiero oltre a un valore simbolico ha evidentemente quello di coltivare una realtà vicina che da ostile e aliena deve necessariamente diventare una controparte riconosciuta. 4 Cronaca di Fredegario, AN. DCCLXVIII. CXXXIV 5 Eginardo, Vita Karoli, XIX 2 3 G. Canestrelli – La “Guerra Santa” di Carlo Magno 1 complessità sociale e culturale della controparte6, la sua potenza, una comunanza di interessi in chiave anti-bizantina e anti-omayyade e non ultima anche la lontanza. L’adesione a una religione monoteista che aveva diversi punti di contatto con il Cristianesimo può forse aver giocato un ulteriore ruolo conciliante, ma la scarsa conoscenza reciproca delle rispettive fedi, evidenziata dal patrimonio letterario dei secoli successivi7 lascia forti dubbi a riguardo, così come la definizione Saracenos infideles in un diploma di età carolingia8 sottolinea una percezione decisamente negativa della religione musulmana. Vero è che nel contesto carolingio sembra comparire una sottile distinzione tra gli Arabi di al-Andalus il mondo Abbaside, e mentre i primi sono quei Saraceni ai quali sono evidentemente attribuite caratteristiche negative9, gli esponenti del secondo rispondono per lo più alla definizione di Persiani10, che peraltro richiama il termine utilizzato per i Sassanidi della Cronaca di Fredegario, dove risaltano come acerrimi nemici del mondo bizantino, utilizzando quindi un termine che poteva essere per il mondo franco non solo neutro, ma addirittura avere connotazioni positive. Così come la sottaciuta appartenenza alla religione islamica degli Abbasidi non impedisce a Carlo Magno di intrattenere rapporti amabili con Hārūn al-Rashīd, egli altrettanto si inserisce nel quadro politico di al-Andalus appoggiando quegli emiri riottosi al governo omayyade, accogliendone una delegazione a Paderborn nel 777 11 e continuando a intrattenere con loro relazioni almeno fino al 797.12 Persino determinati esponenti del barbaricum pagano risultano percepiti come controparti, seppure occasionali, di dialogo, e così come sempre nel 797 Carlo Magno riceverà un’ambasciata degli Avari recante ricchi doni, addirittura non disdegnerà di stipulare un'alleanza con il re Witzan degli Slavi Obodriti, al fianco dei quali i Franchi combatteranno nel 798 contro i Sassoni nella Battaglia dello Sventanafeld.13 Un’altra caratteristica del pagano, per il mondo cristiano altomedievale, è la vita selvatica e il degrado sociale: i Sassoni ad esempio erano “feroci per natura (...) non rispettavano né i precetti umani né quelli divini e reputavano lecito l’illecito” (Eginardo, Vita Karoli, VII) 7 Per la percezione del cristianesimo e dei Cristiani presso il mondo musulmano si veda, ne Le Mille e Una Notte, Il racconto di Re Umar Al-Numan, che offre un’immagine altrettanto distorta e caricaturale di quella dei Saraceni della Chanson de Roland 8 Diploma 179, ed. Mühlbacher, 241-242. Cf. Gillard and Sénac, À propos de quelques Hispani, 165-166, 167 9 Alcuino, Epistole, 3, 22: “Nono capite, ut nullus ex ecclesiasticis cibum in secreto sumere audeat, nisi prae nimia infirmitate, quia hypocrisis et Saracenorum est” 10 Eginardo, Vita Karoli, XVI 11 Annales Regni Francorum, DCCLXXVII 12 Annales Regni Francorum, DCCXCVII 13 Annales Regni Francorum, DCCXCVIII 6 G. Canestrelli – La “Guerra Santa” di Carlo Magno 2 L’alterità religiosa finisce quindi per essere rimarcata in maniera ondivaga, e la sua importanza resta in parte condizionata da diversi fattori di ordine funzionale, pratico e fondamentalmente politico. L’appartenenza di un popolo a un credo differente viene messa in risalto solo quando coincide con il conflitto, e la sua crucialità si manifesta quando riguarda quei nuovi elementi che, volenti o nolenti, finiscono all’interno del mondo franco. Se un dialogo saltuario può infatti essere instaurato in caso di necessità con pagani e infedeli al di fuori dei propri confini, per motivi di stabilità politica e senso di appartenenza al mondo civile non è accettabile che i nuovi sudditi siano “dediti al culto dei demoni”14, soprattutto se questo li rende particolarmente riottosi all’autorità carolingia e strenuamente avversi a qualsivoglia forma di integrazione. Il carattere marcatamente religioso acquisito dalle campagne militari di Carlo Magno nei confronti dei Sassoni andrebbe quindi inteso soprattutto come una conseguenza della difficoltà di ricondurre quelle popolazioni in seno all’Impero e al suo sistema di leggi e regole. Se la diffusione ovvero l’imposizione della fede cristiana si sposa perfettamente con la spinta espansonistica di Carlo Magno verso Est, questa non è un fine, ma piuttosto un mezzo che viene impiegato per fiaccare lo spirito indomito del mondo sassone. La conversione come paradigma di “addomesticamento” del barbaro selvaggio, oltre che prerequisito necessario a renderlo compartecipe della propria realtà, è d’altra parte un elemento distintivo dei regni cristiani dell’Alto Medioevo, come appare nell’adesione alla fede cristiana imposta da Alfredo il Grande al condottiero danese Guthrum dopo la battaglia di Edington o nel battesimo del norvegese Rollone da parte di Carlo il Semplice.15 Lo stesso mondo franco ancor prima di Carlo Magno non era alieno ad approcci analoghi, e già Pipino il Breve e Carlomanno, a seguito di ogni sconfitta inflitta ai Sassoni, ne avevano preteso la conversione al Cristianesimo. 16 Carlo Magno non era dunque il primo monarca franco a esercitare una coercizione di tipo religioso sulle popolazioni pagane dell’Europa centrale, al contrario questa appare una pratica consolidata già da suo padre e da suo zio, e funzionale a instaurare rapporti di dipendenza politica. 14 Eginardo, Vita Karoli, VII Dudo, Gesta Normannorum, 12 16 Annales Mettenses Priores, DCCXLIV; DCCXLVIII 15 G. Canestrelli – La “Guerra Santa” di Carlo Magno 3 Che il codice di normative stringenti a tema religioso presenti nel Capitulatio de partibus Saxoniae imposto da Carlo Magno durante le Guerre Sassoni sia estraneo all’impianto ideologico del mondo franco, come proposto da Hen17, appare quindi poco probabile. La possibilità, suggerita da Hen, del Capitulatio come frutto di una trasmissione dal mondo musulmano a quello carolingio delle modalità di rapportarsi con le altre confessioni religiose, avvenuta tramite i rapporti di Carlo Magno con al-Andalus, viene ampiamente refutata da König18, che presenta tutta una serie di obiezioni ampiamente condivisibili. La realtà musulmana della Spagna tra VIII e IX secolo non è ancora contraddistinta da una rigida gerarchizzazione su base religiosa, e i tributi ai quali sono sottoposti i Cristiani spagnoli sembrano una conseguenza della loro appartenenza a un popolo sconfitto più che a un credo differente da quello islamico. Se al-Andalus poi è a tratti un contesto i cui nobili ribelli possono essere accettati da Carlo Magno come elementi con i quali intrattenere rapporti in chiave antiomayyade, in ogni caso i Saracenos infideles, il cui tratto distintivo è l’hypocrisis, difficilmente potranno mai essere recepiti come modello o scuola politica. Soprattutto va inoltre tenuto conto che il mondo musulmano si dimostrerà nei confronti dei politeismi mediamente più morbido e disposto al compromesso rispetto quello cristiano19, mentre le posizioni espresse nel Capitulatio non contemplano alcun tipo di apertura e nella loro assoluta intransigenza mirano evidentemente alla totale e completa eradicazione del paganesimo presso i Sassoni. Il dettagliato elenco di infrazioni e pene corrispondenti del Capitulatio de partibus Saxoniae, più che rifarsi a un qualche modello straniero, oltre che condannare le pratiche religiose indigene sembra più che altro atto a sanzionare tutta una serie di episodi dei quali la resistenza sassone si era resa protagonista, dalla distruzione e l’incendio dei luoghi di culto cristiani alla violenza sugli ecclesiastici. D’altro canto forse è possibile effettivamente ritrovare la fonte di ispirazione all’origine dell’approccio repressivo ai culti dei Sassoni da parte di Carlo Magno, ma questa va semmai ricercata nel mondo romano, in quella Classicità della quale Y. Hen, Charlemagne’s Jihad, 2006, p. 49-50 Daniel G. König, Charlemagne’s “Jihād” Revisited: Debating the Islamic Contribution to an Epochal Change in the History of Christianization, 2016 19 C. Klune, The Delhi Sultanate’s Treatment of Hindus, 2014 17 18 G. Canestrelli – La “Guerra Santa” di Carlo Magno 4 l’imperatore dei Franchi era certo un estimatore e senza dubbio si sentiva e voleva sentirsi erede e prosecutore. Nel 60 d.C. le truppe romane di Svetonio Paolino presero d’assalto l’isola di Mona, l’odierna Anglesey, in un’operazione militare che viene ricordata come il Massacro del Menai. L’isola di Mona viene indicata da Tacito come un receptaculum perfugarum, un rifugio per fuggiaschi, quindi elementi a vario titolo refrattari al dominio romano in Britannia. La variopinta compagine che egli descrive contrapporsi alle legioni di Paolino non è però composta solo da guerrieri, ma anche da Druidi, ovvero i sacerdoti del mondo celtico, e da donne in abito nero che impugnano torce, che potrebbero essere forse la loro controparte femminile. La natura di santuario e luogo di culto di Mona viene chiaramente esplicitata quanto Tacito dichiara che alla fine dello scontro non solo i nemici vennero “dati alle fiamme con le loro stesse torce”, in un evidente contrappasso di una delle modalità sacrificali più caratteristiche del mondo celtico20, ma “i loro sacri boschi, soggetti a superstizioni disumane, furono distrutti.”21 Non è difficile trovare un immediato parallelo tra i legionari che abbattono il bosco sacro di Mona e Carlo Magno che abbatte l’Irminsul nel 772: “Allora il signore Carlo, re amabilissimo, tenne consiglio a Worms. Da qui per la prima volta andò in Sassonia, conquistò la fortezza di Eresburg, giunse all’Irminsul e in persona distrusse quel sacrario...”22 L’Irminsul era secondo Rudolf di Fulda “...un una colonna lignea di notevole altezza ed eretta all’aperto”23, forse un vero e proprio albero come la “quercia di Giove” adorata dai Chatti e abbattuta da San Bonifacio24, un’icona sacra per il paganesimo germanico che rappresentava l’albero cosmico che sosteneva il mondo. Ancora, Tacito ricorda come Germanico, in reazione al massacro di Teutoburgo, si recò in Germania e “devastò il paese per un arco di cinquanta miglia col fuoco e con la spada. Né età né sesso lo volsero alla pietà: luoghi sacri e profani vennero tutti rasi al suolo, e tra questi il più noto luogo di culto di quelle tribù, noto come il 20 Cesare, De Bello Gallico, VI, 16 Tacito, Annales, XIV, 30 22 Annales Regni Francorum, DCCLXXII 23 Ruldolf di Fulda, De miraculis sancti Alexandri, III 24 Willibald, Vita sancti Bonifatii 21 G. Canestrelli – La “Guerra Santa” di Carlo Magno 5 sacello di Tanfana”25, e così come la distruzione di Tanfana nuovamente richiama quella dell’Irminsul, la rappresaglia sulla popolazione in risposta all’agguato teso alle legioni di Varo richiama quella di Verden perpetrata da Carlo sui Sassoni dopo la sconfitta subita dai Franchi a Süntel: “Quando udì questo, il Signore Re Carlo si precipitò verso un luogo dove poté riunire quante più truppe poteva con un breve preavviso e avanzò là dove l'Aller si getta nel fiume Weser. Allora fece riunire tutti i Sassoni catturati nei dintorni e fatti prigionieri, sospettando che tra di essi vi fosse chi aveva sobillato le rivolte ne mise a morte quattromila e cinquecento”.26 I luoghi di culto celtici e germanici che vengono presi di mira dalle legioni non subiscono la distruzione per mano romana secondo motivi legati a una qualche forma di contrapposizione religiosa -un concetto peraltro estraneo al mondo Classico- ma perchè sorgenti di uno spirito identitario che alimentava l’insubordinazione delle popolazioni locali, rendendole impermeabili e refrattarie all’assimilazione in seno all’universo di Roma, alle sue regole e alla sua struttura sociale. Così come è possibile identificare delle similitudini stringenti tra l’operato romano e quello franco, lo stesso mondo germanico del I secolo d.C. sembra reagire in maniera analoga ai Sassoni dell’Alto Medioevo, e la distruzione dell’altare dedicato al genius di Druso da parte di Arminio27 è forse un’anticipazione del rogo della chiesa di Deventer del 772.28 L’imposizione da parte di Carlo Magno del Cristianesimo e la sua tutela da una parte, specularmente al suo rifiuto e al suo attacco sistematico da parte dei Sassoni dall’altra, non debbono quindi assolutamente essere interpretati come conseguenze di una questione meramente di fede o che nella contrapposizione religiosa trova il suo aspetto fondante e caratterizzante. Già al tempo di Pipino il Breve il ritorno alle tradizioni pagane da parte dei Sassoni su istigazione dei Baiuvari nel 748, poco dopo la loro estemporanea conversione imposta da Pipino, appare imprescindibilmente legato al loro venir meno al voto di sudditanza nei confronti dei Franchi29, sottolineandone una valenza politica ancor prima che cultuale. 25 Tacito, Annales, I, 51 Annales Regni Francorum, DCCLXXXII 27 Tacito, Annales, II, 7 28 Altfrid, Vita Liutgeri 29 Cronaca di Fredegario, CXVII 26 G. Canestrelli – La “Guerra Santa” di Carlo Magno 6 Il legame indissolubile tra questione religiosa e questione politica viene evidenziato da Talbot, che sottolinea come “In quelle regioni che erano state conquistate dai Franchi, Cristianesimo e dominio straniero erano sinonimi. Mentre il Paganesimo equivaleva a libertà e indipendenza, il Cristianesimo equivaleva a servitù ed oppressione”.30 Questo risulterà ancora più evidente con la rivolta degli Stellinga dell’841, un movimento costituito dalle classi sociali più umili del mondo sassone che si ribellarono per l’ennesima volta contro l’ordinamento istituito dai Franchi: "In tutta la Sassonia gli schiavi si sono sollevati con grande violenza contro i loro padroni e hanno usurpato il nome di Stellinga commettendo atti inconsulti. E la nobiltà di questo paese fu tormentata e umiliata assai da questi schiavi."31 In realtà ad aderire agli Stellinga non erano solo i membri del ceto servile, detti Lazzi, ma anche i Frilingi, uomini liberi che però non appartenevano alle classi nobiliari, insofferenti alla legislazione carolingia che li aveva evidentemente privati dei loro privilegi. Sia Frilingi che Lazzi vengono esplicitamente citati nella cronaca di Nitardo, che riporta come Lotario I, per ottenerne l’appoggio nella lotta dinastica contro il fratello Ludovico II il Germanico, promettesse loro di “lasciare che avessero in futuro le medesime leggi che i loro antenati avevano seguito quando ancora adoravano gli idoli”. Il carattere parzialmente religioso del movimento degli Stellinga viene ulteriormente adombrato nel medesimo capitolo dell’opera Nitardo, dove si accenna a come Ludovico II temesse che “Normanni e Slavi si unissero a quei Sassoni che si erano dati il nome di Stellinga, e invadessero il regno in cerca di vendetta e per estirpare la religione cristiana dalla regione”.32 È evidente che la rivendicazione degli Stellinga è di ordine sociale, ma rifacendosi a un modello identitario sassone non può che ammantarsi di una patina tradizionalista che finisce per comprendere anche la sfera religiosa, tanto da far paventare al mondo franco la possibilità dell’insorgere di una sorta di “alleanza pagana” volta alla restaurazione degli antichi culti in Sassonia. 30 C. H. Talbot, St Boniface and the German Mission, in The Mission of the Church and the Propagation of the Faith, 1970, pp. 46–47 31 Annales Xantenses, DCCCXLI 32 Nitardo, Historiarum Libri Quattuor, IV, 2 G. Canestrelli – La “Guerra Santa” di Carlo Magno 7 L’elemento più interessante del passo di Nitardo è il riferimento esplicito al timore di una volontà di rivalsa, di una vendetta che potrebbe realizzarsi con l’annientamento della cristianità da parte degli esponenti delle popolazioni pagane, suggerendo come il mondo franco fosse conscio di quanto l’evangelizzazione di quelle terre si fosse svolta in maniera tanto brutale quanto strumentale, concretizzandosi di fatto in un mezzo di prevaricazione e dissoluzione dell’identità locale.33 In tutto questo l’affermazione religiosa è quindi una conseguenza e un riflesso di quella politica. La religione è dunque uno strumento di controllo per i Franchi, una dichiarizione di indipendenza per i Sassoni e un principio di determinazione per entrambi, ma sempre un mezzo da impiegare e mai un fine da raggiungere. Se dunque un concetto di “Guerra Santa” legato alla figura di Carlo Magno trova forse la sua più corretta dimensione proprio nel mondo favolistico dell’epica celebrativa e propagandistica, partendo dal De conversione Saxonum carmen e arrivando alle chansons de geste, al contempo si deve riconoscere il ruolo giocato dalla religione quale aspetto determinante nella definizione dei mondi dell’Alto Medioevo, con il Cristianesimo che diviene tratto caratterizzante di chi, a torto a ragione, si sentiva erede del mondo romano, e si impegnava nel perseguirne il sogno egemonico. Carole Cusack, Pagan Saxon Resistance to Charlemagne’s Mission: ‘Indigenous’ Religion and ‘World’ Religion in the Early Middle Ages, 2011, p. 41 33 G. Canestrelli – La “Guerra Santa” di Carlo Magno 8