LETTURE SU CARLO MAGNO E LE GUERRE
SASSONI
Relatore
Professoressa Nadia Covini
Candidato
Masini Marco Siro Michele
Matricola 866241
Anno accademico 2019/2020
Indice generale
Introduzione
IV
1. Il rapporto tra Carlo Magno e i Sassoni
1
1.1 Il problema della frontiera sassone
1
1.2 Le motivazioni di Carlo Magno
2
1.2.1 Le motivazioni religiose
2
1.2.2 Il prestigio
3
1.3 I Sassoni, stanziamento, composizione, costumi e religione
4
1.4 Composizione dell’esercito franco e strategia in battaglia
6
2. Le campagne di Carlo Magno
8
2.1 Le difficoltà delle guerre Sassoni
8
2.2 La prima campagna del 772
10
2.3 La decisione di Quierzy del 775
11
2.4 La rivolta del 776 e l’assemblea generale di Paderborn
13
2.5 La crisi del 778 e la figura di Vituchingo
14
2.6 La Capitolatio de Partibus Saxoniae
16
2.7 La sconfitta del Süntel ed il massacro di Verden
18
2.8 Le ribellioni del 783-784
20
2.9 La resa di Vituchingo ed il suo battesimo
21
3. I Sassoni non si arrendono
23
II
3.1 Nuove rivolte Sassoni e cambio di strategia di Carlo Magno
23
3.2 La crisi del 793
23
3.3 Il nuovo capitolare sassone del 797
25
3.4 L’ultima spedizione dei Franchi dell’804
26
3.5 L’ultima deportazione dei Sassoni e la pacificazione del territorio
27
3.6 La rivolta degli Stellinga
28
3.7 Il re dei Franchi diventa un sassone
28
Conclusioni
29
Ringraziamenti
31
Bibliografia
32
III
Introduzione
Alla base di questo elaborato c’è la rappresentazione di un rapporto conflittuale, durato
oltre trent’anni, tra il regno franco e le popolazioni sassoni presenti nelle sue frontiere
orientali.
Nelle successive pagine la figura di Carlo Magno verrà tratteggiata parzialmente sia
perché l’analisi della sua personalità e delle sue opere risulta complessa ed articolata, sia
perché ho scelto di affrontare un singolo tema: le motivazioni della sua incrollabile
risoluzione rispetto alla “questione sassone”.
Il mio interesse iniziale per questo argomento nasce dalla curiosità per una figura
singolare come quella di Carlo Magno; ho, poi, scelto di approfondire il tema delle
guerre di espansione e, in particolare, quello della guerra contro i Sassoni, aspetto che
nella storiografia italiana è poco trattato, dato che prevale l'interesse per le campagne
contro i Longobardi.
La ricerca bibliografica mi ha, quindi, inevitabilmente portato ad esaminare gli studi di
un buon numero di autori europei ed in particolar modo tedeschi (Hägermann, Ganshof,
Becher), visto l’interesse suscitato dalla figura di Carlo Magno e del regno franco nel
Centro Nord Europa.
L’elaborato è diviso in tre capitoli: nel primo capitolo vengono analizzati
i problemi
della frontiera sassone, le motivazioni che spinsero Carlo Magno ad impegnarsi in una
guerra che avrà una durata trentennale, fornendo un quadro della società sassone e della
sua composizione etnica. Nel secondo capitolo esaminerò i vari momenti delle
campagne militari a partire da quella iniziale del 772 fino alla resa del capo ribelle
Vituchingo nel 785. Nel terzo capitolo illustrerò le ultime campagne di Carlo Magno ed
il suo tentativo di integrare Franchi e Sassoni.
Grazie alle letture fatte mi è stato possibile scoprire la complessità del mondo sassone,
fatto di riti ancestrali e di divisione in diverse tribù spesso in conflitto, permeato
comunque da un’estrema determinazione e capacità di coesione nel reagire contro le
aggressioni del regno franco.
IV
Capitolo 1
IL RAPPORTO TRA CARLO MAGNO E I SASSONI
1.1 Il problema della frontiera sassone
Il problema della frontiera con i Sassoni cominciò a porsi come tale per i re Franchi
quando le conquiste territoriali dei Pipinidi li posero a contatto diretto con le prime tribù
(o sciami) Sassoni, dapprima nei pressi nella regione della Frisia occidentale, intorno al
VI secolo, ed in seguito a quelle della Turingia e del fiume Meno. Le spedizioni contro i
Sassoni non furono una prerogativa esclusiva di Carlo Magno, dato che sia suo nonno
(Carlo Martello) che suo padre (Pipino il Breve) si erano impegnati in diverse
spedizioni in Sassonia durante i loro regni, effettuandone circa una dozzina tra il 718 e il
758. Un tale numero di incursioni in territorio nemico può apparire, ai nostri occhi,
spropositato se confrontato alla pericolosità del nemico, ma nulla a che vedere con
l’accanimento dimostrato da Carlo Magno nell’agire contro i Sassoni, visto che, nei
primi trent’anni del suo regno, furono pochi quelli senza organizzare una campagna
bellica contro i rivoltosi vicini pagani. A partire del 753 Pipino il Breve riuscì a
costringere al pagamento di un tributo i Sassoni; si trattò di una richiesta diversa rispetto
a quella degli anni precedenti e, cioè, cavalli al posto dei bovini, a testimonianza che
l’esercito franco si stava trasformando gradualmente da una forza essenzialmente
composta da fanteria appiedata ad una composta di guerrieri a cavallo e, quindi,
necessitava di approvvigionamenti costanti.
Le incursioni che fecero i Pipinidi erano, sostanzialmente, rappresaglie alle medesime
che regolarmente i Sassoni effettuavano in territorio franco e, pur non avendo la stessa
assiduità che gli diede Carlo Magno a partire dal 772, il trattamento destinato ai nemici
era molto simile; durante queste campagne militari il territorio sassone era devastato e
venivano presi degli ostaggi, che, spesso, erano offerti volontariamente in segno di
sottomissione. Queste scorrerie erano molto simili a quelle che i Romani, ai tempi,
avevano subito endemicamente nei territori confinanti con quei popoli che venivano
genericamente venivano chiamati Germani; ma, questa volta, non si trattava solo di
razziare un territorio ricco, ma anche di contrastare un nemico che si stava
1
pericolosamente espandendo, sia dal punto di vista territoriale che dal punto di vista
religioso, con le continue missioni di evangelizzazione e la fondazione di monasteri.
La risposta dei Franchi non poteva essere, come fecero i Romani, la costruzione di un
limes difensivo, in primo luogo perché si sarebbe trattato di un'opera estremamente
dispendiosa e complessa, sia dal punto di vista economico che ingegneristico, in
secondo luogo perché i Franchi, a differenza della Roma imperiale, erano ancora un
popolo bellicoso ed in piena espansione territoriale. Bisogna, inoltre, considerare che tra
il territorio dei Franchi e quello dei Sassoni non esistevano degli ostacoli naturali come
passi montani o foreste inestricabili, ma solo una zona pianeggiante ed alcuni fiumi,
come la Weser, che ponevano una sorta di confine naturale o, come nel caso del Reno,
l’inizio di una zona franca. Oltretutto lo storico e biografo di Carlo Magno, Eginardo,
nel suo trattato dal titolo Vita Karoli1 mette in evidenza anche "l'infidia" dei Sassoni che
tendevano a non rispettare i patti presi, sia per motivazioni religiose, sia per il fatto di
essere divisi in gruppi e sottogruppi, i quali cercavano continuamente di sottrarsi od
opporsi a patti che gli erano stati imposti.
1.2 Le motivazioni di Carlo Magno
1.2.1 Le motivazioni religiose
Carlo, come molti suoi predecessori, si sentiva un re cristiano difensore della fede
cattolica; non bisogna dimenticare infatti che, a partire dal leggendario re Clodoveo
(496), i Franchi si erano convertiti passando, direttamente, dal loro credo politeista al
cristianesimo cattolico, senza passare da quella che in occidente veniva considerata
un’eresia, il credo ariano.2 Per questo motivo, si sentivano un popolo eletto del Signore,
superiori rispetto ai cristiani ariani, ai musulmani e pagani che li circondavano; come
riportato nel prologo della Lex Salica3, il testo fondamentale per i Franchi che riporta
testualmente:
1
D. HÄGERMANN, Carlo Magno (2000), Einaudi, Torino 2004, p. 26.
B. JUSSEN, I Franchi (2014), Società editrice il Mulino, Bologna 2015, p. 51.
3
A. BARBERO, Carlo Magno. Un padre dell’Europa (2000), Laterza, Bari, (Econ. Laterza 1 ͣ ed., 2004),
p.19.
2
2
inclita gente dei Franchi, fondata da Dio, coraggiosa in guerra e costante in pace, convertita alla fede
cattolica e indenne da ogni eresia anche quando era ancora barbara.
Va, inoltre, ricordato che Carlo era un cosiddetto «unto del Signore»4, il fatto risale al
28 giugno 754 quando Papa Stefano II unse il padre Pipino confermandolo re dei
Franchi e fece lo stesso anche con Carlo e suo fratello Carlomanno, nominandoli patrizi
romani e «difensori della Chiesa Romana»; da quel momento in poi i re carolingi si
credettero prediletti da Dio rispetto a tutti gli altri monarchi.
Ad ogni modo, Carlo aveva una sua visione particolare dell’uso della Religione verso i
pagani, considerava la Chiesa, spregiudicatamente, come uno strumento per dominare i
territori ancora non sotto il suo completo dominio.5
I dotti di corte giustificarono, quasi sempre, le azioni di Carlo ed il clero franco non si
oppose alle forti azioni (deportazioni, massacri, richieste di prigionieri) che il sovrano
carolingio fece, sistematicamente, nei suoi anni di regno se non in modo sporadico
come fecero protestando i suoi amici Alcuino e Paolino di Aquileia.6 Alla fine dei conti
i Sassoni erano pur sempre dei pagani o ancor peggio dei cristiani apostati.
1.2.2 Il prestigio
Si può definire la guerra come «l'istituzione nazionale dei Franchi»7, poiché Carlo era
un uomo che provava gusto nella battaglia e nell'azione, non riusciva a rimanere
inattivo, si muoveva continuamente all'interno del suo regno e organizzava spesso delle
battute di caccia, ragion per cui gli annalisti Franchi annotavano come un evento
eccezionale la mancata partenza dell’esercito per la guerra. Per quel che riguarda la
questione dell’incameramento di beni e possedimenti territoriali, questi erano alla base
della politica di Carlo; far preda e dividerla «senza accarezzarla troppo nel cuore»8,
erano le sue caratteristiche principali come lo erano state dei suoi predecessori. Le
ricchezze che Carlo accumulò nel corso della sua vita non incrementarono soltanto il
H. FICHTENAU, L’impero carolingio (1949), Laterza, Bari, (Biblioteca Universale Laterza 1 ͣ ed.,
1986), p. 81.
5
M. BECHER, Carlo Magno (1999), Società editrice il Mulino, Bologna 2000, p. 64.
6
P. RICHE’, I carolingi. Una famiglia che ha fatto l’Europa (1983), RCS Sansoni Editori, Firenze 1988,
p. 268.
7
Ivi, p. 89.
8
H. FICHTENAU, op. cit., p. 119.
4
3
tesoro della «camera» del re, ma venivano soprattutto assegnate ai nobili in cambio
della loro fedeltà e della partecipazione alle guerre del re, oltre ad arricchire chiese e
monasteri come quello di Fulda o Fritzlar. Carlo sapeva bene, provenendo dalla stessa
società aristocratica che voleva comandare, quali fossero i suoi desideri e la brama di
potere e di denaro che la contraddistingueva; in fondo il re carolingio non fece altro, in
tutta la sua vita, che cercare di avere maggiore potere economico, politico e di allargare
i propri territori.
Ciò che, inoltre, distingueva Carlo era il fatto che fosse ben determinato a difendere
l'eredità del padre e l’ambizione di regnare da solo in Occidente, eliminando tutti i
possibili rivali, come i re Longobardi e i Duchi di Baviera. Il re franco inoltre non
tollerava che la sua autorità fosse messa in discussione, sia in politica interna (dove
pretese più volte dei giuramenti da parte del suo popolo), sia in politica estera;
l’insubordinazione nei suoi confronti era considerata un’offesa molto grave e lo imparò,
a sue spese, il Duca Tassilone III di Baviera, deposto da Carlo nel 788 dopo aver cercato
di allearsi con gli Avari.9 Carlo non poteva, nemmeno lontanamente, ritenere accettabile
la presenza di un popolo barbaro e pagano come i Sassoni, che puntualmente metteva a
segno incursioni sul suolo franco, poiché questo doveva apparire intollerabile ad un re
così profondamente convinto della sua missione e delle sue capacità, oltre a diminuire il
proprio prestigio interno. I re Franchi erano diventati, con il tempo, signori di altre
popolazioni (Burgundi, Alamanni, Goti), ma, la base di tutto il loro prestigio e potere,
risiedeva ancora nella guida, da parte del sovrano, della sua «Sippe», cioè la sua
famiglia.
1.3 I Sassoni, stanziamento, composizione, costumi e religione
Le migrazioni dei Sassoni avvennero, da principio, via mare e successivamente anche
dalla terraferma e cominciarono a partire dal III secolo d.c. Si stanziarono in un
territorio compreso tra il basso corso dell'Elba, la Frisia, l'Austrasia e la Turingia,
sottomettendo le popolazioni locali. A fronte di un’area vasta come la Sassonia il
popolamento non era sicuramente elevato, più che altro si poteva parlare di "isole
insediative" in una terra disseminata di fitte foreste, paludi, fiumi e torbiere. Lo
9
A. BARBERO, op. cit., pp. 69-71.
4
spostamento di intere popolazioni nel III secolo d.c. non era affatto un evento inusuale,
visto il cambiamento climatico che avvenne durante quel periodo e nei nuovi territori
colonizzati i Sassoni si dedicavano, essenzialmente, alla coltivazione della terra ed
all'allevamento equino e bovino.
I Sassoni non erano un popolo unitario e, nel corso del tempo, vennero a formarsi dei
gruppi autonomi e distinguibili in Vestfali, stanziati fra i fiumi Reno e Weser, in
Angrivari ad est di quest’ultimo fiume e gli Ostfali nella regione montuosa dello Harz.
Solo, in un secondo momento, si aggiunsero i Transalbingi che vivevano nelle pianure
comprese tra i confini nord e sud del fiume Elba; i cosiddetti "sciami" ("Schwärme"
secondo la definizione di Reinhard Wenskus)10. La divisione sociale di questi gruppi
autonomi era tra gli edelinge (nobili che detenevano i castelli e le cerchia fortificate), i
frilinge (liberi) e i laten (semiliberi). I primi erano conquistatori, gli altri erano popoli
che si trovavano nei territori conquistati e che erano stati assoggettati nel tempo.
Esisteva inoltre la categoria dei laz (non liberi), cioè una via di mezzo tra coloro che si
erano affrancati e gli schiavi che, in una società guerriera e fiera come quella sassone,
non avevano rilevanza sociale. Poiché la società era divisa rigidamente non erano
permessi matrimoni tra persone di caste differenti.
È ancora oggi oggetto di dibattito tra gli studiosi l'esistenza di un'assemblea annuale del
popolo sassone a Marklo, presso il fiume Weser. In questa assemblea venivano prese
decisioni comuni e viene citata nella Vita di San Lebuino (Hagermann in Carlo
Magno11 non la esclude in assoluto, Pierre Riche nei I Carolingi12 è sicuro della sua
esistenza). Il fatto di essere un popolo pagano, che rifiutava ostinatamente di convertirsi
al cristianesimo, portò i Sassoni a non subire gli effetti della predicazione del
missionario anglosassone San Bonifacio (Wynfrith) sotto i regni di Carlo Martello e
Pipino il Breve. Nei territori pagani era dominante un senso di vita primitivo e la
religione si basava sull’antico costume degli scandinavi, con i quali Sassoni avevano
una sorta di comunione spirituale. Queste popolazioni del nord erano ancora legate al
culto di Wodan (Odino, il furente), Donar (Thor, il dio del tuono), Saxnot (il compagno
della spada) e Freya (la promotrice della fertilità). Il pantheon delle divinità adorate dal
10
D. HÄGERMANN, op. cit., p. 22.
Ibidem
12
P. RICHE’, op. cit., p. 101.
11
5
popolo sassone ci fa capire come fossero delle tribù fiere e guerriere, ma anche come
fossero legati alla terra. In virtù di questo, oltre ai santuari veri e propri, consideravano
sacre le fonti, le foreste ed in particolar modo gli alberi: avevano una concezione
animistica della natura. I Sassoni erano un popolo legato al benessere terreno, alla
guerra e alla fertilità e questo spiega l'enorme difficoltà di attecchimento ad una
religione, come quella cristiana, con i suoi concetti di carità e di salvezza dopo la morte.
Altri elementi che rendevano difficile la comprensione del cristianesimo ai pagani erano
la proibizione della faida e della poligamia. La religione e gli usi di queste popolazioni
si tramandavano sulle basi di tradizioni orali i cui concetti fondamentali erano il seguire
il corso naturale delle stagioni, il culto degli antenati defunti ed esprimere il proprio
valore in battaglia.
1.4 Composizione dell’esercito franco e strategia in battaglia
Le stime degli storici sulla composizione degli eserciti Franchi sono piuttosto variabili,
ma, ad ogni buon conto, bisogna considerare, che solo nella parte transalpina del regno
franco abitavano circa otto milioni di persone, di cui approssimativamente due milioni
abili alle armi. Si può ragionevolmente stimare in circa 30.000-40.000 armati13 il
numero di uomini a disposizione di Carlo per portare a termine una campagna estiva che
era progettata per invadere una determinata porzione del territorio nemico. Solitamente
venivano arruolati uomini nelle regioni confinanti con quelle nemiche che si volevano
attaccare, in quanto era considerato un sistema pratico per accorciare i costi ed i tempi
per l’approntamento dell’esercito. Ad ogni modo non venivano arruolati solo Franchi,
ma anche Bavari, Alamanni e altre etnie che vivevano nei confini dell’impero. La leva
obbligatoria per tutte le province dell’impero poteva avvenire solo in casi eccezionali,
come ad esempio quella indetta per la spedizione oltre i Pirenei del 778 contro gli Arabi
o quella contro gli Avari del 791. L’armamento degli uomini andava di pari passo alla
loro ricchezza, ragion per cui solo i più facoltosi potevano permettersi un cavallo, una
corazzatura pesante come la brunia (corpetto di cuoio ricoperto di placche di metallo)14,
lo scudo oltre ad arco con frecce. Man mano che si scendeva la scala sociale,
13
S. WEINFURTER, Carlo Magno. Il barbaro santo (2013), Società editrice il Mulino, Bologna 2015, p.
78.
14
A. BARBERO, op. cit., p. 278.
6
l’armamento dei guerrieri diminutiva al pari della sua pesantezza, ragion per cui si
passava dai cavalieri privi di brunia ai semplici fanti muniti di arco e frecce. A sudditi,
che non potevano permettersi anche quest’ultima arma economica, non era permesso
l’arruolamento.
La strategia di Carlo per combattere i Sassoni era al tempo stesso complessa e semplice,
la complessità era riuscire a coordinare più eserciti in territorio nemico
contemporaneamente in modo da effettuare una manovra a tenaglia. La semplicità
consisteva nel conquistare anno dopo anno le fortificazioni nemiche, logorandolo
inesorabilmente e costruendo nei territori conquistati una sorta di “ragnatela” di fortezze
per controllare il territorio.15 Si trattava di una guerra molto dispendiosa
economicamente, che provocava lo strangolamento progressivo della capacità bellica
del nemico. La strategia consisteva nel devastare il territorio avversario in un primo
momento, per poi usare le fortezze come basi avanzate dalle quali far partire improvvise
sortite che provocavano il terrore tra i Sassoni.
15
A. BARBERO, op. cit., p. 57.
7
Capitolo 2
LE CAMPAGNE DI CARLO MAGNO
2.1 Le difficoltà delle guerre Sassoni
Nonostante le campagne organizzate dai suoi predecessori, Carlo probabilmente non si
rese conto, nella prima spedizione del 772, dello spirito bellicoso che animava i Sassoni
(il loro stesso nome significa "gente di spada"), del loro attaccamento alle tradizioni
religiose e dell'asprezza del territorio da conquistare. Altri grandi difficoltà affrontate
dai Franchi, nelle loro campagne, furono la mancanza di un monarca unitario con il
quale trattare, a nome di tutte le tribù Sassoni e l’assenza di città chiave da conquistare.
Le uniche opere di difesa possibili, per un popolo così poco avanzato tecnologicamente
come quello sassone, erano delle fortificazioni costruite in legno su terrapieni, che erano
necessarie per contrastare un nemico dotato di forte mobilità sul campo e di una
costante schiacciante superiorità numerica. Carlo doveva combattere non soltanto contro
il ceto "nobile" dei Sassoni, più facilmente addomesticabile con concessioni territoriali
o con una politica matrimoniale con i Franchi, ma con gran parte della popolazione di
ceto libero che rimaneva estraneo a questo tipo di politica clientelare. Un ulteriore
ostacolo in questo tipo di guerra era rappresentato dai fattori geografici che non
facilitavano i movimenti degli eserciti dei Franchi che, a causa delle grosse dimensioni
che li caratterizzavano (le stime degli storici sono discordanti ed oscillano tra
cinquemila e centotrentamila effettivi), cercavano, spesso, uno scontro in campo aperto
che fosse risolutivo. A prescindere dal numero di effettivi dell’esercito franco, le cui
stime più basse appaiono inverosimili, va evidenziato come fosse composto da truppe
ben equipaggiate e pesantemente armate fornite dai maggiori vassalli del re.
Bisogna inoltre tener in conto che, all'epoca, non esistevano ponti sui fiumi principali
(Weser, Elba, Lippe) e tutte le operazioni di passaggio tra una sponda e l'altra dei fiumi
dovevano essere effettuate guadandoli o utilizzando delle navi fatte risalire
appositamente lungo i fiumi. Si possono solo immaginare le immani difficoltà logistiche
di una operazione del genere per eserciti così pesantemente armati.
8
Figura 1 Mappa delle guerre sassoni (rotergeyis.net/map-saxon-wars/sason-wars.jpg)
Il territorio nemico era inoltre ricoperto di paludi che rendevano difficoltoso l'avanzata
di qualsiasi esercito, ma in particolar modo di quello franco, composto essenzialmente
di squadroni di cavalleria pesante (le scarre o scaræ). Fino al momento in cui le truppe
franche rimanevano in territorio amico potevano requisire il foraggio, l’acqua e la legna
necessari al loro sostentamento, ma, una volta arrivate in territorio nemico era
necessario procedere con il saccheggio. I Franchi erano esperti di problemi di logistica,
ma in condizioni simili, per quanto fossero notevolmente fornite, le enormi salmerie che
accompagnavano l’esercito franco, non erano in grado di approvvigionare
adeguatamente le truppe.16 L'assenza di reti di comunicazioni, la presenza di una folta
vegetazione, di paludi e di acquitrini favorivano le tecniche di guerriglia di un esercito,
come quello dei Sassoni, composto essenzialmente di fanti appiedati ed armati di spada.
Queste truppe esperte, che conoscevano molto bene il territorio, utilizzavano le foreste e
le aree impraticabili come sicuro nascondiglio e come fonte di sostentamento.
P. RICHE’, La vita quotidiana nell’impero carolingio (1973), Editoriale Jouvence, Milano (2 ͣ ed.
2014), p. 111.
16
9
2.2 La prima campagna del 772
La decisione di Carlo di punire i Sassoni per le loro scorrerie fu presa probabilmente nel
palazzo reale di Worms, una località situata nella regione del medio Reno, durante la
seconda assemblea del 772. In questa occasione, non fu elaborata una strategia per
annettere o sottomettere i Sassoni, poiché non c’era un piano preordinato, si trattò, con
ogni probabilità, di una dura campagna dimostrativa della potenza dei Franchi17.
Tuttavia, come viene suggerito nell’opera Vita, dedicata all’abate Sturmi18 del
monastero di Fulda, Carlo aveva già in forse mente una più complessa ed estesa opera
di
conquista
di
evangelizzazione.
Questa
intenzione
non
si
concretizzò
immediatamente, anche a causa delle guerre del 773-774 contro i Longobardi che
assorbirono completamente il potenziale bellico franco. L’opera sopracitata fu però
scritta due o tre decenni dopo i fatti, ed è lecito pensare che venne data una
giustificazione religiosa postuma alla campagna. Lo stesso biografo di Carlo Magno,
Eginardo19, trattò le cause del conflitto in modo generico riferendosi a problemi di
confini e di continue scorrerie dei Sassoni.
Le operazioni che, seguirono alle decisioni assunte a Worms portarono alla
devastazione del territorio dei Sassoni: in una prima fase, ci fu la conquista
dell'importante fortezza di Eresburg e, successivamente, la distruzione del santuario
dell'Irminsul o colonna di Irmin (la colonna del mondo). L’abbattimento dell'albero
sacro per i Sassoni non fu una scelta casuale dei Franchi in quanto si trattava di uno dei
principali luoghi di culto dei loro nemici e che aveva avuto, fino a quel momento, un
ruolo centrale nella costruzione della loro identità come popolo. Gli ingenti beni
custoditi nel santuario, oro e argento in particolare, furono prontamente incamerati nelle
casse del
tesoro
franco. Aver voluto abbattere l’albero sacro avrebbe dovuto avere
una grande valenza simbolica in quanto voleva ricordare quello che avvenne, quasi
cinquant'anni prima, ad opera di San Bonifacio (Winfrith, vescovo e martire di origine
17
F.L. GANSHOF, The Carolingians and the Frankish Monarchy (1971), Longman Group Limited,
London 1971, p. 18.
18
S. WEINFURTER, Carlo Magno. Il barbaro santo (2013), Società editrice il Mulino, Bologna 2015, p.
99.
19
D. HÄGERMANN, Carlo Magno (2000), Einaudi, Torino 2004, p. 26.
10
anglosassone)20. Nel 723 San Bonifacio, sotto la protezione dei Franchi, fece abbattere
in una località dell’Assia le «querce sacre di Donarn (Thor), adorate dai pagani.
L'intento era quello di dimostrare la superiorità del Cristianesimo rispetto al
Paganesimo, affinché i Sassoni si ponessero la domanda su come una loro divinità
avesse potuto tollerare un simile gesto sacrilego. Ad ogni modo, questi gesti
dimostrativi e la continua predicazione in questi territori ostili non ebbero gli esiti
sperati, San Bonifacio venne addirittura trucidato circa trent'anni dopo questo episodio,
insieme a cinquantadue compagni nella regione della Frisia confinante con il territorio
dei Sassoni.
La campagna del 772 si concluse rapidamente, i Sassoni, si incontrarono con il re franco
presso l’alto Weser e offrirono a Carlo 12 prigionieri come garanti degli accordi di pace
ed il re tornò nei suoi territori. Si trattava, purtroppo per i Franchi, di una pace instabile
ed illusoria in quanto frutto di un accordo stipulato solo con un gruppo ristretto di
nemici.
2.3 La decisione di Quierzy del 775
Gli anni tra 773 ed il 774 videro impegnati i Franchi nella lotta contro i Longobardi in
Italia e rimasero così forzatamente inattivi sulla frontiera dei Sassoni, i quali, non
aspettando altra occasione per vendicarsi della prima spedizione di Carlo, distrussero la
fortezza di Eresburg razziando il territorio nemico come consuetudine. Nell’inverno, tra
il 774 ed il 775, Carlo fissò la sua residenza nel palazzo regio di Quierzy, dove trascorse
il Natale, e qui prese una decisione che si rivelò fatale per il futuro del popolo sassone.
Quelle intraprese contro i bellicosi nemici non sarebbero più state semplici spedizioni
punitive, ma Carlo decise:
di dichiarare guerra al popolo dei Sassoni, infedele e traditore, e di non recedere fino a che non lo avesse
sconfitto e, di conseguenza, convertito alla fede cristiana, oppure fino a quando non lo avesse annientato
completamente.
20
Ivi, p. 25.
11
Questo secondo le parole della seconda versione degli Annales regni Francorum.21
Storicamente non è provato che a Quierzy vi fu un chiaro intento di cristianizzazione dei
pagani, in quanto la seconda versione degli Annales regni Francorum è di oltre venti
anni successiva al 775.22
Si trattò di un cambio totale nella linea politica di Carlo, poiché da quel momento
l'evangelizzazione del territorio sassone doveva avvenire, primariamente, con la
completa sconfitta militare o l'annientamento del nemico e, secondariamente, con
l'intero popolo sassone che avrebbe dovuto convertirsi in massa al Cristianesimo.
Questo tipo di conversione, collettiva e non singolare, si rivelò poco efficace sul piano
spirituale, ma dal punto di vista politico fu una dichiarazione diretta ai Sassoni. Venne
pianificata e messa in atto una vera e propria guerra missionaria, una predicazione fatta
con «la lingua di ferro»23 e che riporta l’immagine storica di Carlo Magno come il
«massacratore dei Sassoni»24. L’obiettivo più importante al momento, per il re franco,
era la sottomissione del nemico attraverso una conversione almeno formale senza alcun
approfondimento o convinta adesione al messaggio cristiano. Gli evangelizzatori
preposti a farlo non erano preparati ad un impegno così gravoso e comunque non ne
avevano avuto il tempo necessario.
La campagna del 775 venne condotta nel classico stile di Carlo: rapidità nell'azione,
superiorità numerica e divisione dell'esercito per poter impegnare il nemico su più fronti
e per proteggersi il fianco durante l'avanzata; questi erano tipici elementi del modo di
operare del re franco. L'esercito si concentrò presso Düren e, nel luglio del 775, ebbe
luogo il «magi campus» cioè il grande accampamento militare e non il «campo di
Maggio»25; da qui Carlo partì alla testa del suo esercito, per devastare i territori dei
Sassoni ed ottenere la loro sottomissione. La rapidità delle manovre del re franco
sbalordì i nemici, che non riuscirono a contrastare efficacemente gli invasori e furono
sconfitti a più riprese. Gli unici avversarsi che riuscirono ad opporsi in maniera efficace
furono i Vestfali che, guidati dal loro condottiero Vituchingo, attuarono un’azione di
guerriglia che riuscì ad ostacolare, con successo, le manovre dei Franchi. Diversa sorte
21
D. HÄGERMANN, op. cit., p. 57.
M. BECHER, Carlo Magno (1999), Società editrice il Mulino, Bologna 2000, p. 59.
23
D. HÄGERMANN, op. cit., p. 57.
24
S. WEINFURTER, op. cit., p. 99.
25
D. HÄGERMANN, op. cit., p. 60.
22
12
ebbero altri capi locali, come Hessi per gli Osfali e Brun per gli Angrivari, ai quali non
rimase che la resa e la consegna di ostaggi. L'usanza di richiedere prigionieri tra i nobili
nemici, a garanzia degli accordi presi, era molto usata all'epoca ma, pur essendo di
dubbia efficacia i Franchi continuarono con questa pratica per molti anni. Non fu una
campagna semplice ed il sovrano franco non attuò nessuna annessione territoriale, ne
pretese una conversione di massa, si aspettava forse che il nemico sconfitto e
sottomesso accettasse tacitamente una sorta di libertà d’azione per i futuri
evangelizzatori.
2.4 La rivolta del 776 e l’assemblea generale di Paderborn
Non appena i Sassoni ebbero tempestive informazioni sulla rivolta dei Longobardi del
776, non persero tempo e si sollevarono, prontamente, occupando senza combattere la
fortezza di Eresburg, che fu evacuata dalla sua guarnigione, ed assediando
maldestramente quella di Honensyburg, senza alcun esito positivo.
Come successo in precedenza, però, i Sassoni sottovalutarono la potenza dell'esercito di
Carlo e la sua capacità di reazione, questo diede modo al re franco di irrompere in
territorio sassone all'inizio dell'autunno, cosa non comune per l'epoca in quanto le
campagne autunnali erano considerate proibitive per le condizioni meteorologiche, e
sconfiggere i nemici.
Di conseguenza la classe nobiliare e dominante degli edelinge, non potendo opporre una
valida resistenza, accettò il battesimo dando così un segnale inequivocabile al resto
della popolazione, ma si trattava, anche in questo caso, di un'accettazione solo formale,
poiché senza alcuna formazione personale sul credo cristiano. In questa circostanza
Carlo commise forse un errore, non impartendo ai Sassoni una legge specifica come
avvenne per i Longobardi con il capitolare del 77626: con questa iniziativa il re franco
mirava a mitigare gli effetti delle continue guerre sul territorio dei nemici, con le
conseguenti devastazioni, e nel frattempo cercasse il consenso delle popolazioni
sottomesse.
26
A. BARBERO, op. cit., p. 39.
13
Con un capitolare dedicato a loro il re franco voleva far capire ai Longobardi, tramite
l'assegnazione di alcuni diritti, di essere entrati a far parte del nuovo regno, ragion per
cui sarebbero diventati sudditi (con diritti e doveri conseguenti) e non un popolo
sottomesso militarmente. Non è da escludere che i tempi, per una legge dedicata ai
Sassoni, fossero prematuri in quanto il loro attaccamento alle loro tradizioni ed al modo
di vivere era ancora fortemente radicato. Se consideriamo che le leggi sassoni si
tramandavano, tramite usi e narrazioni orali, sostituirle con un corpo giuridico scritto
completo sarebbe stato troppo complesso. Il re franco volle dare, ad ogni modo, un
segnale di potenza inequivocabile ai suoi nemici ed ordinò la costruzione
dell'insediamento fortificato di Karlsburg (città di Carlo). Era questo un chiaro
riferimento storico alla fondazione di Costantinopoli, la città voluta dall’imperatore
romano Costantino, di cui Carlo si sentiva, fermamente e fieramente, un erede. Questa
decisione fu un chiaro segnale di dominio dei Franchi e dette in via all'inizio di una
serie di costruzioni, sia ecclesiastiche che militari, con il chiaro intento di penetrare
capillarmente nel territorio nemico e creare una sorta di "ragnatela" con la quale
controllare e strangolare ogni azione dei loro avversari.
Nel 777 si svolse per la prima volta in Sassonia, a Paderborn, un’assemblea generale
dove venne imposto un altro giuramento di massa, ma stavolta diverso dai precedenti.
Ai Sassoni venne chiesto di consegnare simbolicamente la loro libertà ed i propri beni
direttamente nelle mani del re franco, come pegno di fedeltà alla religione cristiana. In
questo caso, rinnegare la fede cristiana avrebbe avuto il significato di essere venuti
meno al giuramento fatto direttamente a Carlo, e dunque ad un affronto personale al re,
cosa che avrebbe comportato terribili conseguenze come espropriazioni di beni e
possedimenti, esili, prigionie e condanne a morte.
2.5 La crisi del 778 e la figura di Vituchingo
Nel 778 vide i Franchi impegnati in una rischiosa impresa oltre i Pirenei, chiamati da
Sulaimân al-arabi, il ribelle governatore musulmano di Barcellona e Girona, che si era
presentato l’anno precedente a Paderbon per chiedere l’appoggio di Carlo contro
14
l’emiro di Cordova. La campagna si risolse in breve tempo in un disastro militare e
politico e, dopo aver, inutilmente, assediato la città fortificata di Saragozza, il re franco
si rivolse contro la città basca e cristiana di Pamplona, che si era dimostrata ostile nei
suoi confronti, e la rase al suolo. Nel tornare nei suoi territori, l’esercito franco dovette
valicare la catena montuosa dei Pirenei e, durante l’attraversamento del passo di
Roncisvalle, la sua retroguardia venne assalita nelle strette gole delle montagne e
annientata dai montanari Baschi desiderosi di vendetta. Fu una sconfitta umiliante e gli
annali del tempo non ne fecero alcun cenno, si dovette attendere la morte di Carlo e,
solo sotto il regno del suo successore Ludovico il Pio gli annalisti cominciarono a farne
cenno.27
Non appena si diffuse tra i Sassoni la notizia che i Franchi erano impegnati in territori
molto lontani, questi si sollevarono nuovamente, questa volta non si limitarono a
scorrerie di frontiera, ma si riversarono in massa in territorio nemico prendendo di mira,
in particolare, le giovani chiese e monasteri fondati come quello di Fulda. Sotto l’abile
guida del principe vestfalico Vituchingo, non è chiaro se direttamente al comando delle
truppe o dando ordini dal suo esilio danese28, i ribelli misero a dura prova la reputazione
e l’aura di fortuna che avevano accompagnato, fino a quel terribile periodo, Carlo nelle
vicende belliche. Le deboli truppe di frontiera franche riuscirono con molta fatica a
contenere i nemici, che, comunque, rientrarono nei loro territori con un ricco bottino. Le
difficoltà dei Sassoni, in questa occasione, furono prevalentemente logistiche in quanto
non riuscirono ad attraversare in forze e con sufficiente rapidità il fiume Reno.
Carlo, non appena ebbe notizia della rivolta, tornò immediatamente in patria e preparò
la rivincita per l'anno successivo questa volta non si trattò di una semplice ribellione, ma
della rottura del solenne giuramento di Paderborn.29 A questo punto non si sarebbe più
trattato più di combattere dei nemici pagani, ma degli apostati che avevano rinnegato la
fede cristiana e, da questo momento, la guerra sarebbe stata combattuta con ogni mezzo,
oltretutto i Sassoni avrebbero dovuto perdere ogni forma di autonomia. Il re franco
aveva già cominciato a smobilitare ad Auxerre il suo esercito in vista dell’arrivo della
27
M. BECHER, op. cit., p. 61.
D. HÄGERMANN, op. cit., p. 81.
29
F.L. GANSHOF, op. cit., p. 19.
28
15
stagione invernale, per la sua nuova spedizione contro i Sassoni dovette fare di necessità
virtù dovendo far uso delle truppe di frontiera come Alamanni e Franchi orientali, i
quali si dimostrarono più che sufficienti per affrontare i nemici. Fu convocata
un’assemblea generale a Düren nella primavera del 779 e, di lì a poco, l’esercito franco
affrontò una debole resistenza dei Vestfali, per poi irrompere con forza in territorio
nemico. I nemici non affrontarono lo scontro ed abbandonarono anche le loro fortezze,
dopodiché si arresero senza condizioni costringendo probabilmente ad un nuovo esilio il
loro capo Vituchindo.
2.6 La Capitolatio de Partibus Saxoniae
Il periodo tra il 780 e 781 fu relativamente tranquillo nel territorio sassone, tranne alcuni
sporadici episodi di insubordinazione all’autorità regia, ma l’evangelizzazione stentava
a diffondersi nonostante l’invio costante di missionari. Nel 782 Carlo si spinse oltre il
Reno e si recò in Vestfalia dove convocò un'assemblea generale a Lippsringe, come
riportano gli Annales regni Francorum30. Qui fu probabilmente elaborata, anche se la
datazione non è certa, una delle leggi più dure e controverse pensate da Carlo per il
regno dei Sassoni in quanto si trattò di un vero e proprio trattato di occupazione, di
sottomissione e annessione del loro regno. Carlo non emanò, durante il suo regno, delle
leggi così dure, ma bisogna comprendere che il re franco era ormai oltremodo irritato ed
esasperato da una situazione che si stava faticosamente trascinando da dieci anni.
Nel testo sono annoverati quattordici infrazioni punite con la pena di morte per i casi
più gravi e diciannove atti criminosi tra le infrazioni minori: si trattava quindi di una
distinzione sistematica e ordinata dei vari casi giuridici. Nelle leggi contenute nella
Capitolatio de Partibus Saxoniae sono puniti con la pena di morte vari reati,
principalmente perpetrati contro la religione cristiana e le autorità non solo
ecclesiastiche. Sono qui elencati testualmente alcuni esempi puniti con la pena capitale:
Se qualcuno sarà entrato in chiesa con la violenza, e con la con la forza e il furto ne avrà sottratto
qualcosa o dato fuoco alla chiesa stessa, costui sia condannato a morte.
30
D. HÄGERMANN, op. cit., p. 120.
16
Se qualcuno avrà ucciso un vescovo, un prete o un diacono, similmente costui sia punito con la morte.
Se qualcuno, di stirpe sassone, non battezzato, avrà voluto nascondersi tra i suoi simili e avrà rifiutato di
venire a ricevere il battesimo, preferendo rimanere pagano, sia condannato a morte.
Se qualcuno si sarà dimostrato infedele al suo signore e re, sia punito con la pena capitale.31
Fu dato un potere enorme all’autorità ecclesiastica per ribadirne, inequivocabilmente,
l’autorità presso i Sassoni, poiché solo attraverso l’accettazione della religione cristiana
e con la mediazione dei religiosi si poteva avere una speranza di sopravvivenza. La pena
di morte per molti reati può apparire ai nostri occhi una punizione spropositata, ma non
va dimenticato che anche nella legge dei Sassoni era prevista in parecchi casi e che era
accettata la faida come elemento per risolvere le controversie più sanguinose. Per quel
che riguarda i capitoli dedicati ai reati minori, furono presi provvedimenti in favore
delle chiese con la dotazione di terreni molti ampi e di servi, non importa da quale
classe sociale provenissero, da destinare ad una chiesa.
Una norma particolarmente dura, proprio perché completamente estranea alla cultura
sassone, fu quella riguardante il pagamento della decima, una tassa rivolta a tutta la
popolazione, compresa la classe nobile degli edelinge. Le critiche all'imposizione della
decima e alla durezza delle leggi non mancarono, alcune arrivarono direttamente dalla
cerchia dei consiglieri di Carlo, tra cui la più famosa è quella di Alcuino, che essendo
anglosassone ed affine ai “fratelli” Sassoni poteva capirne meglio la mentalità. Egli
scrisse in una lettera:
Ah, se a questo popolo fossero stati predicati il giogo leggero di Cristo e il suo soave fardello con lo
stesso calore con cui viene preteso il pagamento della decima e punita la più piccola mancanza, forse non
si sarebbe sottratto al giuramento del battesimo.32
Un'altra norma particolarmente umiliante prevedeva che i Sassoni distruggessero i loro
santuari con le proprie mani, zelanti missionari provenienti dai grandi monasteri come
Fulda, furono incaricati di far rispettare rigorosamente questa disposizione. Inoltre, per
accedere al battesimo, fu necessario che i futuri battezzandi rinunciassero
pubblicamente alle loro antiche divinità e pronunciassero le loro «promesse battesimali
in sassone antico» recitando:
31
32
P. RICHE’, op. cit., p. 102.
P. RICHE’, op. cit., p. 103.
17
Ripudio tutti i diavoli in opere e parole, Donar, Wodan, Saxnot e tutti gli altri demoni che sono loro
compagni.33
La Capitolatio de partibus Saxoniae prevedeva infine l'istituzione delle parrocchie,
l'organizzazione comitale del territorio e il divieto di indire assemblee sul modello di
quella di Marklo; si trattava di una vera e propria riorganizzazione completa del
territorio sassone secondo il modello franco. I nuovi conti furono scelti prevalentemente
tra la nobiltà sassone, per meglio integrarla alla base amministrativa del regno franco.
La nuova classe nobiliare venne così legata al possedimento di terre con confini ben
precisi, mentre il controllo superiore del potere venne destinato ai sacerdoti, per far
meglio comprendere quali fossero gli effettivi rapporti di forza.
2.7 La sconfitta del Süntel ed il massacro di Verden
Gli effetti di queste leggi non furono comunque quelli sperati poiché i Sassoni non si
arresero e, nell'estate del 782 con l’abile guida da Vituchingo, si ribellarono in massa a
prescindere dal loro ceto sociale. Gli obiettivi principali furono, ancora una volta, i
monasteri ed i missionari che vennero trucidati o dovettero cercare precipitosamente
rifugio sul suolo franco. La notizia della ribellione colse di sorpresa Carlo che non fece
in tempo ad organizzare una spedizione ben preparata, ma riuscì solamente a dirigere
contro gli insorti le prime truppe disponibili. Si trattava di soldati pronti per intercettare
una banda di Sorabi, proveniente dal territorio slavo compreso fra l'Elba e la Saale, che
stava imperversando nei territori di Turingia e Sassonia. A questi uomini si unirono
quelli del conte Teodorico, un parente del re che aveva raccolto delle truppe nel basso
corso del Reno e che, senza attendere un ordine del re, marciò verso il territorio dove
era scoppiata l'insurrezione. Si trattava probabilmente di formazioni di cavalleria
leggera, non di certo truppe adeguate a fronteggiare un nemico ben determinato che
combatteva a piedi in un territorio impervio.
33
S. WEINFURTER, op. cit., p. 104.
18
Non appena i Franchi vennero a conoscenza che il nemico aveva posto il suo
accampamento lungo la sponda settentrionale del fiume Weser, presso il massiccio del
Süntel, l'esercito franco lo raggiunse e si schierò in modo adeguato per non farsi
sfuggire l’avversario. Il conte Teodorico si pose di fronte agli avversari mentre gli
uomini del camerario Adalgiso si attestarono alle spalle dei Sassoni per circondarli. A
questo punto qualcosa non funzionò nel piano di battaglia ed i Franchi orientali, cioè
quelli meno adatti a combattere i Sassoni, si gettarono contro il nemico senza attendere
la mossa di Teodorico. Una buona parte dell’esercito franco si comportò come se avesse
dovuto inseguire un nemico sconfitto e non combatterlo in campo aperto. Sono molte le
ipotesi formulate per capire questa decisione avventata: una può essere stata la difficoltà
di coordinare eserciti separati senza la guida di Carlo; un’altra che i nobili, che decisero
l’attacco, non vollero farsi sfuggire una vittoria che sarebbe quasi sicuramente attribuita
a Teodorico in quanto parente del re.34 I Sassoni attesero il nemico alla carica nel loro
accampamento e, annullando la forza della prima ondata, riuscirono verosimilmente a
portarlo in un territorio impervio e circondandolo fino a compiere una strage. Morirono
il camerario Adalgiso, il connestabile Geilone, quattro conti ed altri venti esponenti
dell'aristocrazia. Solo pochi superstiti riuscirono ad oltrepassare la montagna ed
attraversare il fiume Weser per rifugiarsi presso il conte Teodorico, che ebbe l’ingrato
compito di informare Carlo di una delle peggiori sconfitte patite durante il suo regno,
anche se non dovuta ad un suo demerito diretto.
La reazione di Carlo a questa disfatta fu immediata e spietata poiché il re franco non era
abituato alla sconfitta in campo aperto, soprattutto se patita ad opera di un popolo che
riteneva palesemente inferiore sul piano militare e che pensava di aver pacificato in
modo definitivo. Gli Annales regni Francorum riportano:
Quando re Carlo fu messo a conoscenza di quanto era accaduto, si mise in marcia con un esercito che era
riuscito a reclutare in gran fretta, giungendo in una località dove l'Aller confluisce nel fiume Weser.
Successivamente, i Sassoni che si erano radunati in quella località si sottomisero nuovamente al nominato
re e consegnarono tutti i malfattori che avevano causato la rivolta, 4500 uomini, affinché venissero
uccisi.35
34
35
D. HÄGERMANN, op. cit., p. 127.
D. HÄGERMANN, op. cit., p. 127.
19
Gli storici sono ancora oggi divisi sulla cifra reale di questo massacro, in quanto Carlo
non si comportò mai in questo modo brutale durante tutto il suo regno. Anche a seguito
di ribellioni come quelle dei Longobardi o ai tentativi diretti di assassinarlo come nel
caso della congiura del conte Hardrado scoperta nel 786,36il re franco si dimostrò
relativamente mite nelle condanne.
Più realisticamente Carlo fece giustiziare solo quei capi e nobili cospiratori che si erano
ribellati, in modo da dare un monito a tutta quella gente comune che si era sollevata
contro di lui, e che, quasi sicuramente risparmiò. Ad ogni modo la controversia su
questo avvenimento è continuata fino ai nostri giorni, ma appare estremamente difficile
mettere in atto l’organizzazione di una esecuzione di massa avvenuta in un solo giorno.
Va inoltre ricordato che Alcuino, uno dei pochi consiglieri di Carlo che fece critiche
sulle sue decisioni, non fa menzione di questa strage nei suoi scritti.
2.8 Le ribellioni del 783-784
Nonostante la durezza delle leggi di occupazione e l'orrore per il massacro di Verden, i
Sassoni non si diedero per vinti e, con una ostinazione che irritò ulteriormente Carlo,
continuarono a combattere nel 783-784 attaccando, sistematicamente, le chiese. Il re
franco radunò, nella seconda metà del 783, un esercito con cui oltrepassò il Reno e si
addentrò in territorio nemico fino ad una località di nome Detmold, dove sconfisse i
Sassoni in una dura battaglia campale. In breve tempo Carlo si diresse verso Paderborn
e si riunì con un altro contingente, probabilmente rinforzi o un'altra colonna del suo
esercito, e si mosse verso la Vestfalia dove il nemico era riuscito a riorganizzarsi ancora
una volta. Presso il fiume Hase, vicino alla località di Osnabruck, si svolse una seconda
e decisiva battaglia; qui i Sassoni furono uccisi a migliaia e molti furono fatti
prigionieri, in questa occasione anche i Franchi subirono gravi perdite.
Le battaglie di questa campagna furono le ultime combattute in campo aperto, a partire
da questo momento i Sassoni non avrebbero più osato sfidare i Franchi, se non protetti
da strutture fortificate nelle quali ripararsi e difendersi più agevolmente. La cavalleria
36
Ibidem
20
pesante dominò così la storia militare fino alla battaglia di Crécy del 1346. Le ribellioni
non cessarono neanche dopo queste due grandi sconfitte, Ostfali e Vestfali non si
arresero, prima Carlo sottomise gli Ostfali senza combattere e poi suo figlio Carlo
annientò i Vesfali. Con una inusuale campagna invernale e con una tattica ormai ben
consolidata, il re franco avanzò in territorio nemico e devastò ogni cosa, incendiando i
villaggi avversari. Fu messa in atto quella che viene chiamata «strategia della terra
bruciata» per soffocare ed indebolire il nemico in ogni modo. A dimostrazione
dell'impegno profuso da Carlo nella «questione sassone» rimane il fatto che, di questo
periodo storico, non ci è giunto nessun documento, nessuna sentenza, nessun normale
atto di governo. Le strade impraticabili e le condizioni meteorologiche rigide imposero
la fine delle operazioni sul campo e Carlo, come segno di sfida e testimonianza del suo
potere, decise di trascorrere il periodo tra il Natale del 784 e la Pasqua del 785 nella
fortezza di Eresburg, dove si fece raggiungere dalla sua nuova moglie sassone Fastrada
e dai figli.
2.9 La resa di Vituchingo ed il suo battesimo
Le continue e devastanti sconfitte, combinate agli effetti della Capitolatio, portarono ad
un progressivo indebolimento della resistenza sassone. Nel 785 i Sassoni evacuarono la
zona di Barden, che avevano strenuamente difeso, e Carlo ottenne, per via diplomatica,
la resa e la consegna come ostaggi di Vituchingo e del suo alleato Abbio. Con un abile
mossa politica Carlo rese omaggio al valoroso condottiero sassone il quale ottenne, in
cambio della sua sottomissione, un trattamento simile a quello riservato al duca
Tassilone di Baviera nel 781. In quella circostanza il duca bavaro ottenne l’immunità
per sé stesso e degli ostaggi Franchi a garanzia della propria incolumità. Ormai
Vituchingo aveva accettato la sconfitta e, per non affrontare una rovina totale per sé ed
il suo popolo, si accordò con Carlo a condizioni molto vantaggiose che il sovrano franco
non esitò a concedere. Il capo della rivolta sassone si presentò ad Attigny, territorio
franco, insieme ad Abbio ed altri nobili edelinge e qui ricevettero il battesimo il giorno
di Natale del 785. Carlo si mostrò particolarmente munifico in questa occasione e rese
loro omaggio con «regali meravigliosi».37 Carlo stesso fu il padrino di Vituchingo in
37
D. HÄGERMANN, op. cit., p. 143.
21
modo da legarlo a sé spiritualmente, prese questa iniziativa sull’esempio di quello che
fece papa Stefano II nel 754 nei confronti del re franco, di suo padre Pipino e di suo
fratello Carlomanno. Si trattò di un omaggio ad un nemico che aveva saputo tenergli
testa per molti anni e che era stato in grado di unire sotto la sua guida, cosa che non
riuscì a nessun altro, tutto il suo popolo. Dopo questo episodio Vituchingo poté con
ogni probabilità tornare nelle sue terre e scomparve definitivamente dalla storia.
Successivamente Carlo, ormai sicuro di aver sottomesso definitivamente i Sassoni,
invitò il pontefice a proclamare il 786 come anno di festeggiamenti.38 Tutta la cristianità
fu tenuta a celebrare e festeggiare quella che era ritenuta una vittoria in nome di Dio,
oltre che naturalmente la vittoria di un re franco. Papa Adriano I accettò di buon grado
l’invito del re franco ed i giorni 23, 26 e 28 giugno fu celebrato un triduum dedicato alla
vittoria sui pagani.
38
S. WEINFURTER, Carlo Magno. Il barbaro santo (2013), Società editrice il Mulino, Bologna 2015, p.
105.
22
Capitolo 3
I SASSONI NON SI ARRENDONO
3.1 Nuove rivolte e cambio di strategia di Carlo Magno
Nel 792, dopo qualche anno di relativa tranquillità, i Sassoni approfittarono del fatto che
Carlo fosse impegnato a preparare una campagna contro gli Avari e si sollevarono
nuovamente alleandosi con i Frisoni e i Vendi, questi ultimi una popolazione slava e
pagana. I ribelli abbandonarono ancora una volta la fede cristiana e distrussero molte
chiese, vanificando così lo sforzo di evangelizzazione durato molti anni nella regione tra
il basso corso dei fiumi Weser ed Elba. A seguito della vittoriosa campagna del 792
contro gli Avari, il re franco non prese una decisione definitiva sulle condizioni da
imporre a questi ultimi ed i Sassoni provarono ad allearsi con gli Avari, cercando di
mettere in difficoltà i Franchi.
3.2 La crisi del 793
Il 793 fu un anno di crisi per il regno franco, ci furono molteplici eventi che sommati
assieme misero a dura prova il prestigio di Carlo e la stessa sopravvivenza del suo
regno. In un solo anno si sommarono: la grande carestia che colpì vaste parti del regno,
l'attacco dei Saraceni in Settimania39 e la conseguente devastazione del territorio, la
perdita dell'alleanza con il ducato di Benevento a favore dei Bizantini, il fallimento
della costruzione della Fossa Carolina (un canale navigabile che avrebbe dovuto
collegare il Danubio con il Meno e Reno) ed infine uccisione del conte Teodorico in
un’imboscata sul fiume Weser da parte dei Sassoni.
Carlo, grazie al suo carattere orgoglioso e combattivo, non si perse d'animo neppure in
questo momento difficile e, nel 794 e 795, organizzò due campagne contro i nemici
Sassoni. La prima campagna la condusse insieme al figlio Carlo e per la seconda
campagna si alleò nuovamente con una popolazione slava pagana, questa volta gli
Abodriti. Nel 794 i due eserciti, condotti da padre e figlio, mossero da nord a sud verso
39
Regione a sud del regno franco confinante con la Spagna
23
Padernborn ed Eresburg, dove i Sassoni si erano attestati, e qui li costrinsero ad
arrendersi senza combattere. Vista la disparità delle forze in campo e, concretizzandosi
il pericolo di un accerchiamento, i Sassoni si arresero senza condizioni consegnando
degli ostaggi.
Come riportano gli Annali di Lorsch:
non si era mai visto un simile numero di ostaggi, né nei giorni del suo regno, né in quelli del padre o nei
giorni dei re dei Franchi.40
Nel 795 i Sassoni si ribellarono ancora una volta e la reazione di Carlo fu
particolarmente dura, portando ad una svolta radicale nella gestione del conflitto. In
questa occasione la spedizione contro i suoi nemici ebbe luogo nel Bardengau e non in
Vestfalia come nell'anno precedente. Carlo, non appena giunse a Bardowick, fu
informato che il suo alleato e vassallo Witzan, re degli Abodriti, era stato catturato ed
ucciso in un’imboscata dai suoi mortali nemici Nordalbingi. La rabbia e l'odio di Carlo
per il «popolo infedele» raggiunsero allora il culmine ed il re passò all'azione
immediatamente, sottomettendo i territori compresi tra la palude della foce del fiume
Elba, Wigmodien e il basso corso dei fiumi Elba e Weser. I nemici di questi territori si
sottomisero senza combattere, questa volta Carlo non si accontentò di ricevere degli
ostaggi, ma bensì ricorse alla deportazione in massa della popolazione.
Alcune fonti parlano della deportazione in territorio franco di un terzo della popolazione
maschile, altre fonti parlano di un numero simbolico di 7.070 deportati, l’anno dopo
Eginardo riporta la cifra di 10.000 deportati.41 Si tratta di cifre che appaiono
impressionanti ai nostri occhi, bisogna ricordare che la densità abitativa dei Sassoni era
molto bassa ed un salasso di migliaia di persone non era cosa da poco per questo
popolo. Ad ogni modo tutto va contestualizzato con la violenza del periodo storico che
stiamo prendendo in considerazione e dalla durata più che ventennale del conflitto. Si
deve, inoltre, osservare che la mancanza di un capo riconosciuto come Vituchingo
rendeva difficile qualsiasi trattativa con i Sassoni e le rivolte erano diventate come dei
piccoli fuochi che si accendevano continuamente nel territorio sassone. Non appena
spento un focolaio di rivolta in una zona ecco che ne appariva un altro, magari poco
40
41
D. HÄGERMANN, op. cit., p. 254.
S. WEINFURTER, op. cit., p. 107.
24
distante. Queste continue sollevazioni erano la testimonianza del fallimento
dell'organizzazione comitale ed ecclesiastica del territorio e della mancanza di un potere
forte ed organizzato. Queste ragioni, sommate ad una carente diffusione del messaggio
evangelico, lasciarono intatte le strutture di potere ed i riti religiosi del popolo sassone.
3.3 Il nuovo capitolare sassone del 797
Le dure condizioni imposte dalla Capitolatio de partibus Saxoniae, le devastazioni
subite nel proprio territorio e le deportazioni di massa fiaccarono quasi completamente i
Sassoni. Nel 795 gli Annales regni Francorum riportano come la Sassonia sia ormai una
«terra devastata».42 Nella primavera del 797 Carlo muove l'ennesima campagna in
territorio nemico e, con l'appoggio di una flotta di navi, conquista l'ultima roccaforte di
resistenza sassone, Wigmodien, tra il territorio compreso tra i fiumi Weser ed Elba.
Anche in questa occasione i Sassoni si arresero in massa per sottomettersi e per
consegnare ostaggi, ancora una volta ci furono massicce deportazioni nei territori ad
ovest del suo regno, si parla di un nemico su tre.
Il re franco a questo punto si rese conto che le conquiste, le devastazioni, le conversioni
forzate e le deportazioni, non si erano dimostrate degli strumenti efficaci per domare i
Sassoni. Era ormai giunto il tempo di una legge che li includesse nel regno franco e che,
con il passare del tempo, li facesse sentire suoi sudditi a tutti gli effetti. Per questo
motivo, nell'autunno del 797, si tenne un'assemblea generale ad Aquisgrana alla quale
parteciparono non solo conti, vescovi, abati dei territori Franchi, ma anche provenienti
dalla Vestfalia, dall’Ostfalia e dall’Engern. L’intento di questa assemblea fu quello di
chiarire, una volta per tutte, i rapporti di forza e di diritto tra i vincitori ed i vinti,
elaborando un diritto comune e delle leggi giuste per il popolo sassone, tenendo conto
delle sue peculiarità e tradizioni. Nel Nuovo Capitolare Sassone,43 che sostituì la
temibile Capitolatio de partibus Saxoniae, i diritti di Franchi e Sassoni vennero
equiparati, anche se non interamente.
42
43
S. WEINFURTER, op. cit., p. 105.
D. HÄGERMANN, op. cit., pp. 276-280.
25
Ne è un esempio la pena di morte che fu sostituita con il pagamento di un'ammenda ma,
a differenza del diritto franco, era calcolata in modo direttamente proporzionale rispetto
al livello sociale. Inoltre, per riordinare in modo più corretto la giustizia, fu stabilito che
i casi giudiziari dovessero essere svolti nel luogo di residenza dell'accusatore o
dell'accusato alla presenza dei pagenses,44 che avevano il ruolo di corte giudicante. Le
pene venivano raddoppiate in caso di intervento dei missi dominici, per l'ulteriore carico
di lavoro a cui erano sottoposti, o nel caso che la vertenza fosse portata davanti al re.
Una parte del capitolare prevedeva che, nel caso di un reato che prevedesse la pena di
morte in base alla legge dei Sassoni, l'accusato potesse essere consegnato ai pagenses
per l'esecuzione della pena o alternativamente fatto riparare in un altro territorio del
regno con la sua famiglia ed i suoi averi. Il nuovo capitolare verte quasi esclusivamente
su pene pecuniarie per i reati commessi e, si conclude con degli esempi pratici,
stabilendo un rapporto tra gli importi di denaro e beni di uso comune. Questi esempi
servivano per far meglio comprendere ai Sassoni il sistema monetario dei Franchi e il
potere d'acquisto della loro moneta, ma anche a capire quale fosse il valore effettivo
delle pene pecuniarie del nuovo diritto. Uno dei punti di maggiore importanza di questo
capitolare era quello riguardante il banno regio che venne esteso, pur con alcune
peculiarità per i Sassoni, ad entrambi i popoli per poterli avvicinare definitivamente.
Una speciale protezione rimaneva per i missi regi ed i sacerdoti, in quanto le pene
pecuniarie da pagare per delitti commessi nei loro confronti erano raddoppiate o
triplicate.
3.4 L’ultima spedizione dei Franchi dell’804
Nella primavera dell’804 Carlo si trasferì da Aquisgrana a Nimega, dove aveva fatto
costruire un palazzo regio che divenne il centro delle relazioni tra Franchi, Frisoni e
Sassoni. Qui probabilmente prese la decisione di affrontare in problema sassone in
modo definitivo in quanto sporadici episodi di rivolta affioravano regolarmente nei
territori conquistati. Tornato ad Aquisgrana ordinò al suo esercito di radunarsi e lo
passò in rassegna a Lippsringe; le truppe radunate in questa località erano molte di più
di quelle necessarie alla spedizione, ma l’intento di Carlo era quello di annichilire il
44
Importanti membri di una comunità locale.
26
nemico. In questa campagna è quasi certo che l’esercito franco non dovette neppure
combattere vista l’enorme sproporzione delle forze in campo, ragion per cui i Sassoni si
arresero spontaneamente e senza condizioni. La forza degli squadroni di cavalleria
pesante franca era ormai evidente e non aveva senso combattere inutilmente,
probabilmente molti Sassoni cambiarono campo e si schierarono dalla parte del
vincitore. La mancanza di un sentimento nazionale, come già evidenziato i Sassoni
erano un popolo diviso e senza un re che governasse unitariamente le varie tribù, favorì
questo fenomeno di resa e di collaborazione con il nemico.
3.5 La deportazione definitiva dei Sassoni e la pacificazione del territorio
Il re franco fece deportare i Sassoni nei suoi territori, come raccontato in modo sintetico
negli Annales regni Francorum:
egli deportò in Francia tutti i Sassoni che vivevano al di là dell’Elba e nel Wigmodien (basso Weser e
basso Elba) e anche altrove, con le donne e i bambini e lascio la Gaue al di là dell’Elba agli Abodriti,
comprese donne e bambini.45
Nella deportazione di massa ci furono anche delle ingiustizie e si ebbero casi di persone
innocenti strappate dal loro territorio e private dei propri beni, solo alcuni di loro, dopo
molte tribolazioni, ottennero giustizia. Molti deportati furono rinchiusi nel monastero di
Corbie come “monaci”, come testimoniato in epoca successiva nella storia della
traslazione di San Vito a Corvey, una dipendenza di Corbie. Un’altra testimonianza
proviene dall’abate Adalardo, cugino di Carlo Magno, che cita i nomi di alcuni Sassoni
che risiedevano nella sua cella sempre dipendente da Corbie. Dopo quest’ultima
spedizione, cominciò il lento cammino che portò i Franchi ed i Sassoni a identificarsi in
un unico popolo;46 questa non fu una transizione semplice perché il popolo sassone
dovette rinunciare ai propri usi, alle faide, all’estrema libertà di cui godevano i singoli
individui e ultimo, ma non meno importante, dovettero abbandonare la loro religione
pagana. Un esempio riuscito di questa unione tra i popoli è testimoniato dalla biografia
45
D. HÄGERMANN, op. cit., p. 364.
F.L. GANSHOF, The Carolingians and the Frankish Monarchy (1971), Longman Group Limited,
London 1971, p. 241.
46
27
di Waltberto, nipote di Vituchingo, che si integrò perfettamente nel sistema di potere
franco e che entrò in possesso di ingenti proprietà nella zona di Wildeshausen.
L’integrazione fu un processo molto lento e non semplice, ancora nell’811 un nobile
sassone di nome Amalung, ottenne da Carlo un diploma che lo autorizzava a stabilirsi in
una zona lontana da dove avrebbe originariamente voluto risiedere. Il nobile fu costretto
a prendere questa decisione a causa dell’ostilità di molti suoi connazionali che vivevano
nel suo territorio e che, forse, lo consideravano troppo collaborativo con i Franchi. Ci
furono certamente, nel corso degli anni seguenti, altri episodi di intolleranza verso i
dominatori Franchi e con chi collaborava con loro, ma ormai il tempo delle grandi
sollevazioni Sassoni era tramontato, i due popoli avrebbero ormai condiviso
pacificamente il resto della loro storia.
3.6 La rivolta degli Stellinga
Un ultimo sussulto di rivolta, teso a restaurare gli antichi costumi Sassoni, avvenne tra
l’841 e l’843 nel quadro delle lotte interne tra i figli del successore di Carlo Magno,
Ludovico il Pio. In questa occasione la parte del popolo sassone dei “Frilings” (liberi) e
dei “Latz” (schiavi) si alleò con Lotario I in cambio della promessa di poter scegliere se
seguire la legge dei Franchi o tornare alle vecchie usanze dei loro antenati. Gli insorti si
diedero il nome di Stellinga, cioè compagni di lotta. Ludovico il Germanico, appoggiato
dalla parte nobile dei Sassoni, gli edelinge, marciò contro di loro e schiacciò senza pietà
la rivolta nell’843.
3.7 Il re dei Franchi diventa un Sassone
Nel 918, dopo molti anni tormentati in quelli che erano stati i territori dell’impero di
Carlo, venne nominato re Enrico di Sassonia nel suo palazzo di Fritzlar. Gli aristocratici
Franchi e Sassoni lo scelsero in quanto era il più potente tra i principi in Germania e
questa scelta si rivelò più che mai azzeccata in quanto Enrico si dimostrò un grande re e
diede origine alla casata imperiale degli Ottoni.47
47
B. JUSSEN, I Franchi (2014), Società editrice il Mulino, Bologna 2015, p. 86.
28
Conclusioni
Analizzando i testi degli autori indicati in bibliografia, ho cercato di comprendere le
motivazioni che hanno indotto Carlo Magno ad impegnarsi in oltre trent’anni di guerra
contro i Sassoni. Un altro argomento su cui ho approfondito le indagini riguarda le
misteriose tribù Sassoni e l’ostinazione con la quale queste ultime si opposero così
strenuamente ai Franchi a differenza di molti loro nemici.
Da quanto esposto nel primo capitolo posso evidenziare come le motivazioni di Carlo
siano state principalmente tre: il “gusto della guerra”, il proprio orgoglio personale
come re franco e la volontà di imporre il cristianesimo in quanto “unto del signore” e
“difensore della chiesa cristiana”. Per quanto riguarda i Sassoni è emersa la figura di un
popolo orgogliosamente e tenacemente legato alla propria religione pagana ed in
comunione totale con il proprio territorio, disseminato di fiumi e foreste, elementi
ritenuti sacri. Nel primo capitolo ho insistito sulle grandi differenze esistenti tra
l’esercito franco, composto principalmente di squadroni di cavalleria pesanti, e
l’appiedato schieramento sassone che faceva di ascia e spada il proprio armamento
principale.
Nel secondo capitolo ho trattato dei primi quindici anni di campagne di Carlo con le
molte vittorie e la clamorosa sconfitta in campo aperto subito presso il massiccio
montuoso del Süntel. In questa prima parte della guerra emerge la figura quasi
leggendaria di Vituchingo, l’unico principe sassone in grado di unire temporaneamente
le tribù del popolo sassone, riuscendo così ad opporsi validamente all’esercito franco
per anni. La figura di Carlo in questo capitolo è diversa da quella, tutto sommato
benevola, mostrata durante tutta la sua vita; il terribile insieme di leggi della Capitolatio
de Partibus Saxoniae ed il massacro di Verden sono episodi estranei al carattere del re
franco.
Nel terzo capitolo ho voluto evidenziare la nuova strategia di Carlo per sottomettere i
Sassoni fatta di deportazioni, di una più intensa politica matrimoniale tra le due etnie, di
maggiori incarichi in posizioni di potere ai nobili nemici e di un nuovo Capitolare
sassone emanato nel 797.
29
In base ai testi letti ho cercato di evidenziare la principale motivazione del re franco
nell’affrontare un nemico, quasi annualmente, per oltre trent’anni. Organizzare una
campagna contro i Sassoni era relativamente semplice per Carlo vista la sua grande
abilità nel dividere e comandare le sue forze, oltre a tenere anche in considerazione la
grande superiorità numerica e di armamento del suo esercito. In fin dei conti si trattava
quasi di organizzare una enorme partita di caccia, che Carlo amava particolarmente, ma
più in grande. Le modalità e lo svolgimento erano le medesime, una grande mobilità
delle sue forze, un nemico sfuggente e la quasi inevitabile certezza della vittoria. Ci
furono sicuramente importanti motivazioni di prestigio e religiose, ma il “gusto della
guerra”, in quanto tale, appare evidente nel modo di agire del re franco.
30
Ringraziamenti
Voglio ringraziare la mia famiglia che mi ha sempre sostenuto e a cui dedico tutto il
mio lavoro.
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Bibliografia
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Laterza 1 ͣ ed., 2004).
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S. WEINFURTER, Carlo Magno. Il barbaro santo (2013), tr. it di A. Pasquetti, Società
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