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Tempo sospeso e stato d'eccezione -1

2020

Crisi dialogica e scenari postumani. Breve fenomenologia di questo tempo

Tempo sospeso e stato d’eccezione (1) Crisi dialogica e scenari postumani. Breve fenomenologia di questo tempo “Il cielo a volte invece ha qualcosa d’infernale…viviamo strani giorni”. Non credo di essere l’unico fan di Franco Battiato a cui è venuto in mente, nelle settimane appena trascorse, questo verso di una sua celebre canzone. Nell’aria si trasmette un nemico invisibile, come ormai perfino medici e specialisti chiamano il Coronavirus. Siamo in guerra- così echeggiano da più parti le classi politiche dell’orbe terraqueo, e allora via allo sblocco di procedure giuridiche di tipo pre-bellico, come quelle frettolosamente attuate da Trump dopo che per settimane ha ignorato e derubricato quanto accadeva nel mondo, pensando, come succedeva una volta, che gli USA fossero in una condizione super-mundi. C’è voluta una pandemia affinché l’Europa sospendesse il patto di stabilità, e ad oggi non è ancor chiara la misura del suo tergiversare. Manco ci fosse Epimeteo alla guida come presidente di turno della Commissione UE. Al momento della stesura del presente articolo l’Unione Europea ha perso l’occasione storica di fare una passo avanti sia dal punto di vista economico-istituzionale sia sul piano della credibilità popolare agli occhi della stragrande maggioranza dei suoi cittadini, dicendo no all’introduzione dei famigerati eurobond. Ma siccome lo scrivente, e con molta probabilità i pochi lettori di questo articolo, non hanno denari a sufficienza per essere ascoltati, queste opinioni valgono ancor meno delle chiacchiere populiste. Tornerei allora alle atmosfere evocate dall’incipit, per condividere quella che è stata la mia sensazione, credo diffusa, in questo Covid-Time. Viviamo oggettivamente in un tempo sospeso, di fatto e di diritto. Abbiamo vissuto un tempo senza gravità, in cui ci siamo sentiti galleggiare come in una pagina della Recherche di Proust. Un tempo senza ritmo, senza lavoro e senza feste, un costante riposo forzato fatto di giorni tutti uguali: la tàxis di Chronos è sembrata creparsi, interrompersi nella sua fattualità. In preda all’horror vacui, ecco che tutti a casa hanno cercato il da-farsi, spesso vissuto come fuga dal Da-Sein. Ed ecco per esempio, che mezza Italia in questi giorni si è data al bricolage di ogni genere specie e natura, magari tinteggiando per la seconda volta una camera per una macchia sul muro o riordinando cantine in cui un uomo non metteva piede da mezzo secolo. Un tripudio di trapani e martelli per ogni asse mezza sgangherata, per ogni porta appena cigolante. Abbiamo vissuto un tempo detenuto, una sorta di arresti domiciliari collettivi per stato di necessità, per cui nei talk si è usata spesso, ad un certo punto, l’analogia con la prigione: cattività sanitaria. Ma io qui ci andrei piano, facendo una serie di distinguo. Innanzitutto, come è stato sottolineato con ironia, la quarantena del principe Carlo non è equiparabile alla nostra. Così, facendo le ovvie dovute proporzioni, io che vivo in una casa indipendente di 160 mq più un cortile interno ed uno studio separato, ho vissuto, con mia moglie e i due bambini, una condizione decisamente più fortunata di migliaia di miei concittadini e milioni di italiani. Situazione ben diversa da chi vive in angusti condomini (magari con pessimi vicini), o da chi abita a piano terra tra i vicoli di Ballarò o dei quartieri spagnoli di Napoli, in tutti quei quartieri in cui la vita si svolge pressoché per strada e in condivisione coi dirimpettai. O peggio, nelle tante periferie sgangherate di tutte le grandi città italiane e straniere. Non tutti quindi si sono potuti concedere il lusso di sentirsi come Proust: la costrizione imposta è stata davvero vissuta come detenzione, anche per la poca disponibilità di metri quadri per ogni abitante di molte famiglie. Emerge quindi una caratteristica importante di questa pandemia (e forse di tutte le 1 epidemia): non è uguale per tutti. Non inganni l’apparente democraticità di un virus che infesta tutti al di là del censo; non tutti hanno lo stesso agio socio-economico per affrontare la condizione di isolamento che s’impone come risposta. Ambulanti e cassaintegrati, piccole partite IVA e lavoratori autonomi: loro non hanno nemmeno il tempo necessario per riflettere sul dramma; semplicemente, lo vivono in pienezza. Bisognerebbe poi riflettere bene su cosa sia il tempo in detenzione. Se lo spirito come libertà ti viene sottratto, o fortemente limitato, il tempo in verità ti viene restituito in eccesso, un eccesso che spesso non sappiamo gestire. Se io ho problemi relazionali gravi (con me stesso e quindi con gli altri), questa eccedenza non può che acuire le difficoltà già in atto. È il caso classico delle liti coniugali e degli aumenti delle violenze domestiche fatte registrare in questi mesi. Qui vale metaforicamente il luogo comune: in carcere impari a diventare delinquente; forse ci entri per caso, di certo ne esci peggiore. Ripeto: luoghi comuni, per fortuna non è per tutti così! È invece la cronaca a far allontanare, e di tanto, il paragone fra la nostra quarantena e la detenzione in carcere: tra i tanti scandali emersi in questi giorni, mi ha colpito la rivolta dei detenuti di varie case circondariali che protestavano perché abbandonati nell’epidemia, senza alcuna protezione o screening, totalmente sacrificabili. Il diritto alla salute di chi sconta una pena ma rimane uomo è stato totalmente violato: e allora fuoco e fughe in decine di carceri italiani, come non si vedeva dagli anni Settanta. Chissà a quanto ammontano i morti reali: non lo sapremo mai. I carcerati, ma soprattutto gli anziani delle RSA, che purtroppo non avevano la forza di farsi sentire con la violenza, sono stati ritenuti carne da macello, un fardello umano di cui tutto sommato potevamo disfarci, o che comunque non era necessario proteggere. Omissione di soccorso di massa. Ma da un punto di vista fenomenologico, quello che abbiamo vissuto è stato soprattutto un tempo trattenuto, nell’incontro con l’altro da cui sono invitato a diffidare e rimanere lontano. Il nostro sistema relazionale è posto in crisi perché, con l’eccezione inevitabile (nel bene e nel male) del nostro partner, siamo stati evirati della dimensione fisico-spaziale dell’incontro. La frattura dall’altro assume i connotati di una norma positiva, seppur inevitabile, salutare e transitoria. L’abbraccio, il gesto più umano ed universale per comunicare, trasmettere il conforto, viene vietato per legge nel momento storico in cui ne avremmo più bisogno. Ogni abbraccio diventa così solo virtuale: ed ecco quindi il digitale si prende tutto spazio non era ancora riuscito a rubarci alla nostra modalità tradizionale, analogica, di approccio con l’alterità. Qui si presenta un argomento ambivalente di cui si discute da tempo, cioè l’avvento della Rete e dei dispositivi elettronici non più come supporto ma elemento di profonda trasformazione della nostra socialità. Consentitemi soltanto le domande: è vero che sta avvenendo questo ‘scivolamento’ verso il digitale oppure è la mia fantasia apocalittica che dà i numeri? Se la risposta è sì, dobbiamo accettarlo perché inesorabile o perché è buono e/o giusto? Non ditemi però <<dipende da come si utilizza>>, perché tale banalità- ovvero che si tratti di un uso meramente strumentale- l’abbiamo esclusa per ipotesi. Certo, una persona può scegliere di avere o non avere determinati social network, o perfino di non avere uno smartphone (quanti ne conoscete?). Ma si tratterebbe di un eroe o di un emarginato? Oppure ancora: è un’utopia la gestione limitata/limitante di un social? Fino a che punto abbiamo il potere ‘reale’ di arginare la sua pervasività? Due cose qui sono chiare: la prima, che questo breve articolo non è il luogo (e non ha lo ‘spazio’) per affrontare questo tema; la seconda, è che tutte queste domande sono in realtà 2 corollari di una questione più generale, che si colloca a monte, e cioè che cos’è umano. Non si tratta soltanto del postulato di partenza, ovvero se la mia nozione di uomo abbia un nucleo statico, e quindi all’interno di un’antropologia metafisica, oppure opti per l’uomo interamente dinamico, cioè composto solo da storia ed evoluzione. Nel primo caso il problema sarebbe duplice: quant’è grande e di cosa è composto il nocciolo duro spirituale e di conseguenza fino a dove la parte trascendente segna i confini dell’umano nella parte immanente (scusate il platonismo grezzo, fretta di sintesi…); nel secondo caso il problema consiste nello stabilire se nel tutto-fluido dell’umano divenire vi siano dei confini invalicabili di etica e/o responsabilità che c’impongano, in qualche modo, di non esondare nel transumanesimo. 1 Grande sfida dell’etica filosofica, che deve evitare il rischio che tali soluzioni laiche rimangano esposte al contrattualismo e al sociologismo di ogni tipo. Vi era stata nel Novecento una corrente che sembrava aver trovato la via da percorrere, e aveva incardinato la propria antropologia attorno al principio dialogico. 2 Malgrado la conclamata matrice religiosa ebraica, l’aver declinato l’uomo in maniera ellittica i cui fuochi erano il linguaggio e la relazione, ha reso quest’approccio molto versatile3 ed in grado di dare una fondazione ontologica che possa anche fare a meno di un riferimento esplicito alla trascendenza. Ma già da tempo questa preziosa descrizione antropologica è stata messa in discussione, in quanto la società pare mostrare i prodromi del superamento della centralità di uno di questi fuochi, ovvero la relazionalità: essa oggi sembra ridursi ad mito.4 Anche prima della pandemia la dialettica (che è anche pòlemos) Io-Tu è in continua fase di ritiro, come i ghiacciai (a loro volta simbolo della 1 Per una sintesi della questione: https://www.commissionefamiglia.it/contributi/tecnologia-etransumanesimo/ . Per un approfondimento sistematico: AA.VV. Il transumanesimo. Cronaca di una rivoluzione annunciata, editore Lampi di stampa, 2008. Ma per una comprensione panoramica della questione, consiglio R.MARCHESINI, Il tramonto dell’umano, Dedalo editore, 2009. Per quel che ci riguarda, in particolare a pag. 19-20 il paragrafo “tecnologie incarnate” chiarisce bene come ancora una volta il nodo cruciale sia la questione della tecnica, con una corretta fenomenologia preliminare ed un’impostazione meramente strumentale che è ormai da ritenersi superata. 2 “Duplice è il modo di essere dell’uomo, in conformità al dualismo delle parole-base, che egli può pronunciare. Le parole-base non sono singole parole, ma coppie di parole. Una parola-base è la coppia Io-Tu. Un’altra parola-base è la coppia Io-Esso; senza mutare questa parola-base, si può sostituire a Esso anche Lui o Lei. Con ciò anche l’Io dell’uomo ha due volti. Poiché l’Io della parola-base Io-Tu non è lo stesso Io della parolabase Io-Esso. Le parole-base non asseriscono qualcosa che stia fuori di esse, ma una volta pronunciate dànno vita a un esistente. Le parole-base non si possono pronunciare separate dall’essere. Quando si pronuncia il Tu, con esso si pronuncia anche l’Io della coppia Io-Tu. Quando si pronuncia l’Esso, si pronuncia anche l’Io della coppia Io-Esso”. MARTIN BUBER, Il principio dialogico ed altri saggi, Milano 1958, pp.9-10. 3 Penso soprattutto alla versione open space del pensiero dialogico espressa da EDGAR MORIN, Il paradigma perduto. Che cos’è la natura umana? (1973). È stato ripubblicato più volte, in Italia da Feltrinelli nel 2001 e di recente Mimesis lo ripropone nell’ennesima ristampa (2020). Sul web abbiamo trovato una breve intervista dell’Avvenire a questo grande autore ormai centenario ma lucidissimo. Sulla crisi odierna, in cui s’innesta la sottocrisi del Covid-19, a domanda così si esprime: “Stiamo vivendo una tripla crisi: quella biologica di una pandemia che minaccia indistintamente le nostre vite, quella economica nata dalle misure restrittive e quella di civiltà, con il brusco passaggio da una civiltà della mobilità all’obbligo dell’immobilità. Una policrisi che dovrebbe provocare una crisi del pensiero politico e del pensiero in sé. Forse una crisi esistenziale salutare. Abbiamo bisogno di un umanesimo rigenerato, che attinga alle sorgenti dell’etica: la solidarietà e la responsabilità, presenti in ogni società umana. Essenzialmente un nuovo umanesimo planetario”. https://www.avvenire.it/agora/pagine/per-luomo-tempo-di-ritrovare-se-stesso 4 AA.VV. Il mito della relazione (a cura di F.Riva), Castelvecchi Editore, 2016. Un testo da possedere anche perché costruito, soprattutto nella prima parte, con colloqui e confronti fra i padri del pensiero dialogico, cioè lo stesso Buber, Lèvinas, e Marcel. 3 scomparsa della relazione Noi-Mondo) La società impone nuovi ritmi, nuove dinamiche familiari, nuove partizioni del lavoro, ed in generale l’uomo è più pigro, meno paziente, sempre alla ricerca della comodità. Tutti elementi che erodono la dialogica. Allora l’auspicio (e la preoccupazione) è proprio questa: che la quarantena del Coronavirus non sia il colpo di grazia al concetto di persona in quanto relazione; che l’uomo non dimentichi la mistica del contatto, il plus di verità dato dal corpo, la parresia comunicativa nell’epifania del Volto, la centralità politica dell’agorà, o che quest’ultima non diventi virtuale, un social controllato da terzi disposto a sua volta a contrattare economicamente la gestione orientata di quegli spazi. Ma questo sta già avvenendo, dopo la lunga transizione che ha visto protagonista la TV. Comunque siamo entrati nella fase-2, ed io mi sento come un orso che esce dal letargo. Come ne usciremo? La si sente dire fin troppo questa frase. Mi viene in mente la scena finale del film Il mondo dei replicanti (protagonista B.Willis, 2009): tutti si ritrovano in strada, trasandati e smarriti, perché disabituati alla relazionalità personale non surrogata. Pare che questa fase-2, oltre che alla progressiva quanto necessaria ripresa delle attività produttive e terziarie (come ne usciremo dalla più grande recessione dal Dopoguerra? Fossi economista scriverei di questo…), prospetti una indeterminato protrarsi di quelle cosiddette misure di distanziamento sociale. Ma quale modello di società controllata hanno in mente? Qui tornano di moda non solo il Grande Fratello di Orwell ma anche i cospirazionisti del 5G, talvolta sovrapposti ai vari complottisti che disvelano al mondo l’origine occulta del Covid-19. Non si tratta solo della questione, pur serissima, del data control.5 Per usare un altro film del filone della fantascienza, drammatizzo citando The Island (di M.Bay, 2005), dove un medico scienziato senza scrupoli, è diventato un potente miliardario lobbysta con il commercio dei cloni umani (o di pezzi di essi), tenuti in vita in una microsocietà ipercontrollata e psicologicamente sterilizzata. Per evitare che questi si moltiplicassero in maniera…naturalmente incontrollata, in questa società di plastica vigeva la norma della prossimità: a nessuno in nessun caso era consentito di avvicinarsi fisicamente all’altro, neanche per una stretta di mano (figuriamoci baci e abbracci). La vicinanza all’altro era inviolabile. E per tenere a bada quelli che, in fondo, erano umani (e quindi bisognosi di una qualche speranza), i Controllori escogitarono un sistema tanto antico quanto efficace e geniale: una lotteria. Cogliete analogie? Siete malpensati e distopici. Forse abbiamo avuto <<la fermezza di resistere il tempo necessario>>, come ha scritto Paolo Giordano 6 nel suo instat book divenuto giustamente best seller (complimenti per il tempismo). Ma la vita nel contagio è adesso, parafrasando una canzone di Claudio Baglioni. Incredibile come la strofa di un brano del 1985 oggi risuoni in modo del tutto nuovo: 5 Secondo il noto giurista Ugo Mattei, “comunque finisca l’emergenza del Covid-19, avremo un livello di pervasività delle tecnologie dell’informazione e della sorveglianza poliziesca, che sono la cifra del potere imperiale, visibilmente infastidito dai richiami alla giustizia sociale e ambientale del Papa”. UGO MATTEI, intervista di P. Viana su Avvenire del 28/03/2020. L’occasione dell’intervista è la presentazione di un libro in cui il professor Mattei, da curatore, raccoglie una serie di testi magisteriali di Papa Francesco in cui il pontefice denuncia l’ormai nota globalizzazione dell’indifferenza. Il titolo del libro è La dittatura dell’economia- papa Francesco (gruppo Abele). 6 PAOLO GIORDANO, Nel contagio, Einaudi 2020. Traggo la frase virgolettata ancora da un articolo di Avvenire del 28/03/2020, e la firma è quella di Lisa Ginzburg. Permettetemi un plauso a questa testata giornalistica davvero eccezionale. Nella stessa pagina e non a caso, il giornale propone una retrospettiva dell’indimenticabile Tina Anselmi, che nel 1978 firmò la legge che in pratica completò (ed integrò) l’iter giuridico del SSN. Questi articoli mi hanno indotto a scrivere la presente riflessione. Oltreché gli accadimenti della storia. 4 La vita è adesso nel vecchio albergo della terra e ognuno in una stanza e in una storia di mattini più leggeri e cieli smarginati di speranza e di silenzi da ascoltare. E ti sorprenderai a cantare ma non sai perché… È stato il tempo sospeso della quarantena. Ora il nostro quotidiano deve condividere il tempo e lo spazio con l’invisibile nemico, ed il rischio è quello di credere che non esista più. Sarà indubbiamente la sfida più difficile: la ripartenza del lavoro e la gestione del contatto umano. Per la gente del Sud, come me, si tratta davvero di uno sforzo contrario ad istinto ed abitudine. Per sdrammatizzare, vi racconto di quando 2007 partii per il Trentino per il mio primo incarico scolastico, approdando nell’incantevole val di Fiemme. Per me era un altro pianeta, per lingua, altitudine, morfologia e cultura. Mi ricordo che ci misi oltre un anno a imparare a salutare persone amiche senza il ‘bacio’. È ancora più strano e doloroso farlo qui. Ma è necessario; l’importante è non dimenticare che si tratta di una fase transitoria: passerà. Ma forse sarà anche bene che non ci dimentichiamo di questo Covid-time, per ricordare l’importanza di restare umani. 5