COGNITIVE PHILOLOGY
No 7 (2014)
Strategie per l’apprendimento lessicale nel Medioevo
Giovanna Santini *
* Università degli Studi della Tuscia, via Santa Maria in Gradi, 4, Viterbo, Italia
(
[email protected])
Kaunt ly enfes ad tel age
Ke seet entendre a laungage,
Primes en fraunceis le devez dire
Coment soun cors deit descrire
[Walter di Bibbesworth, Tretiz, vv. 21-24]
Nell’insegnamento delle lingue straniere, negli ultimi cinquant’anni si sono andati via via
abbandonando i metodi tradizionali, che in linea di massima identificavano l’apprendimento
linguistico con l’acquisizione di regole grammaticali, ponendo in posizione separata e
secondaria l’acquisizione del vocabolario, e si sono invece affermati approcci che valorizzano la
funzione comunicativa delle lingue e mettono al centro dell’attenzione gli aspetti psicologici e
cognitivi dell’apprendimento, rivalutando anche l’importanza del lessico (cfr. Serra Borneto
1998: in part. 22-37 e 227-251). Nell’ambito delle teorie e dei metodi di tipo comunicativo, si
sono andate sviluppando delle tendenze che considerano lo studio del lessico focale nella prassi
didattica e che, nell’insieme, sono riconducibili a quello che viene definito “approccio lessicale”
(si veda almeno Lewis 1993 e, in relazione alla didattica, Nation 2001; per gli sviluppi più
recenti Lo Cascio 2012):
L’idea centrale è che si possa, anzi si debba, arrivare alla competenza nella lingua straniera
attraverso un insegnamento basato sul lessico e in particolare che la stessa grammatica vada
appresa contemporaneamente e assieme al lessico, poiché essa è integrata nel lessico. (Serra Borneto
1998: 227)
A partire dall’osservazione che le maggiori difficoltà nell’uso di una lingua straniera sono legate
a problemi di tipo lessicale e dalla contestazione di modelli tradizionalmente radicati nelle
teorie e nella pratica (pervasivi anche negli approcci di tipo comunicativo), che postulavano la
separazione netta tra lessico e grammatica e la centralità di quest’ultima nella didattica, si è
proposto invece uno studio integrato di lessico e grammatica considerando il lessico stesso
come portatore di informazione grammaticale. Dal punto di vista teorico è cardinale il concetto
di “lessico-grammatica”, per cui il lessico è concepito come insieme di unità complesse
organizzate in strutture grammaticali e, quindi, la grammatica come un sistema di relazioni tra
parole; l’ipotesi è che:
il lessico mentale, cioè la rappresentazione delle relazioni semantiche nella nostra mente, sia
organizzato in forma di reti e di nodi interconnessi (…), in cui l’informazione lessicale e quella
grammaticale sono codificate simultaneamente – in pratica una parola è un conglomerato di
significati in cui confluiscono vari tipi di informazioni, tra cui quelle sulle possibili relazioni che
può istaurare con altre parole o parti del discorso e non è quindi un’entità libera di combinarsi a
piacimento. (Serra Borneto 1998: 228)
Gli aspetti della didattica privilegiati nell’approccio lessicale sono così sintetizzati (cfr. Serra
Borneto 1998: 234-236): il materiale predisposto deve essere il più possibile vicino al linguaggio
naturale, linguisticamente ricco e differenziato; vengono sfruttate le abilità percettive degli
studenti esponendoli all’ascolto della lingua in situazioni reali; si incoraggia l’analisi linguistica
allo scopo di riconoscere unità lessicali complesse; si stimolano l’autonomia e la libertà dello
studente.
A questo tipo di approccio possono essere ricondotte strategie e tecniche di apprendimento
analizzate in alcuni studi che, in sintonia con le nuove tendenze della didattica, hanno spostato
il fulcro dell’attenzione dal docente al discente. Le principali strategie di apprendimento
lessicale sono così descritte (cfr. Serra Borneto 1998: 228-246): 1. strategie di ripetizione: si
imparano vocaboli insieme alle rispettive traduzioni mediante l’utilizzo di schede e la
ripetizione e l’ascolto reiterato, in modo da supportare la memorizzazione associando lo stimolo
visivo a quello articolatorio e auditivo; 2. strategie di elaborazione: si manipolano le
informazioni lessicali mediante processi di associazione, contestualizzazione, confronto e
visualizzazione, creando connessioni tra parole diverse (di tipo semantico, sia al livello
paradigmatico sia sintagmatico, ma anche di tipo formale, attraverso la rima o altre affinità
grafico-fonetiche) oppure tra parole e immagini o esperienze personali, inserendo le forme
all’interno di unità semantiche più complesse (sintagmi, frasi, catene di azioni, proverbi,
filastrocche, espressioni idiomatiche), istituendo rapporti di affinità o contrasto tra parole
all’interno della stessa lingua o con la lingua madre (cercando sinonimi, antonimi, equivalenze
e false equivalenze, o ordinando le forme su scale di valori), associando parole a immagini reali
(fotografie, disegni, oggetti, ecc.) mentali (simboli, metafore) o grafici (mediante pittogrammi,
sottolineatura ecc.); 3. strategie di strutturazione: si organizzano i concetti da memorizzare in
classificazioni, gerarchie, strutture logiche, costituendo campi semantici o altri raggruppamenti
in base alle caratteristiche semantiche, funzionali, formali o in base a criteri logici o soggettivi; 4.
strategie di esercitazione o applicazione: si fissa il materiale lessicale attraverso applicazioni
ricettive o produttive, leggendo, ascoltando, scrivendo, pronunciando testi nella lingua
straniera. Per quanto riguarda l’acquisizione del lessico altri approcci, metodi e teorie recenti
individuano in modo vario singoli aspetti o tecniche spesso comunque ricompresi
nell’approccio lessicale.
La varietà di modi in cui si può stimolare e coadiuvare l’apprendimento lessicale dipende dal
fatto che ciò che si può definire conoscenza del lessico comprende un insieme di attività differenti,
collegate alle diverse proprietà che sono attribuibili alle parole (forma fonica/ortografica,
struttura morfologica, pattern sintattico, significato, relazioni sul piano sintagmatico e
paradigmatico) e al modo in cui queste proprietà vengono elaborate dal punto di vista cognitivo
e immagazzinate nella memoria. In sostanza, la memorizzazione di parole nuove coinvolge la
memoria a breve termine, la memoria di lavoro e la memoria a lungo termine, in quanto si
compone di varie attività complesse, tra cui le più rilevanti sono sicuramente: la riproduzione di
sequenze di suoni nuovi e la possibilità di ricordarli e di rievocarli successivamente,
l’elaborazione di significati da rapportare a un sistema di conoscenze consolidate, la gestione
della polisemia intrinseca nelle lingue naturali (su questi argomenti riguardanti
l’apprendimento lessicale cfr. Ferreri 2005: 65-80; sugli aspetti cognitivi legati al lessico si
vedano almeno Burani e Laudanna 1993 e Casadei 2003).
Nel Medioevo, sebbene poche siano le testimonianze dirette delle teorie sulla didattica delle
lingue, si osserva una grande quantità di strumenti vari destinati all’insegnamento del lessico:
alcuni di questi strumenti si trovano raccolti in compilazioni evidentemente concepite come
libri di scuola ad uso degli insegnanti (interessanti i numerosi materiali descritti da Hunt 1991,
da cui sostanzialmente si desume la seguente tipologia; molto utile anche Lindemann 1994;
Kelly 1969 individua le linee di continuità di alcune idee, metodi, pratiche nella didattica delle
lingue a partire dalla tradizione grammaticale antica fino al XX secolo).
La tipologia dei sussidi, sperimentati sul latino e poi applicati anche all’apprendimento di altre
lingue, è piuttosto varia:
1.
2.
3.
4.
5.
6.
7.
8.
9.
glossari generici o legati alla lettura di determinate opere
liste di parole che necessitano particolare attenzione come gli equivoca, exotica, abstrusa
liste di parole e trattati destinati a illustrare il lessico d’uso, della vita pratica anche in
relazione a settori specifici
raccolte di frasi, proverbi e dialoghi
dizionari e trattati che illustrano il sistema di derivazione e di composizione del lessico
trattati grammaticali dedicati all’illustrazione di etimologie, derivazioni e significati delle
parole
trattati di ortografia
commentari dedicati alla delucidazione delle parole difficili di testi vari, religiosi o classici
poesie grammaticali e in generale opere in versi
Lo studio dei commenti, delle note e delle glosse apposte ai manoscritti che tramandano questo
tipo di opere, permette di chiarire l’uso che se ne faceva e la loro fortuna nella prassi
dell’insegnamento. È interessante, ad esempio, il ms. Berlin, Deutsche Staatsbibliothek,
Preussicher Kulturbesitz lat. fol. 607, una volta appartenuto alla biblioteca di Sir Thomas
Phillipps e datato al XIV secolo, che contiene questa serie di opere (cfr. Hunt 1991: I 169): De
nominibus utensilium di Alessandro Neckam, Dictionarius di Giovanni di Garlandia, De
utensilibus di Adamo del Petit-Pont, De mysteriis ecclesie di Giovanni di Garlandia, Tobias di
Matteo di Vendôme (incompleto), Poetria Nova di Goffredo di Vinsauf (acefala), Distigium
probabilmente di Giovanni di Garlandia, Exoticon di Alessandro di Hales, Equivoca di Giovanni
di Garlandia, Fables di Esopo nella versione metrica di Gualterio Anglico, Cartula (De conptemtu
mundi). Attraverso l’analisi della composizione di raccolte grammaticali di questo genere, si
potrebbe quasi ricostruire il curriculum o, meglio, i curricula (a seconda delle epoche, dei
contesti, dei maestri) programmati per l’insegnamento del latino e delle altre lingue. La
conformazione dei vari strumenti permette in alcuni casi di immaginare il modo in cui si
prevedeva che fossero usati e quale tipo di strategia d’insegnamento o d’apprendimento erano
destinati a promuovere: alcuni di essi si profilano come opere di consultazione e
approfondimento, altri come libri di testo usati dai maestri come base e riferimento per le
lezioni, altri ancora come testi da memorizzare per rendere più fluente l’uso della lingua nella
fase di produzione, e via dicendo. In più, mettendo insieme i dettagli (linguistici e strutturali)
provenienti dall’analisi interna e le informazioni derivate dalle dichiarazioni esplicite
dell’autore o da testimonianze indirette, si potrebbe ricostruire il tipo di pubblico cui erano
destinati. In rapporto alla funzione e destinazione di queste opere si devono interpretare le
caratteristiche relative ai criteri di ordinamento del materiale lessicale, alla struttura metricoformale, alla forma discorsiva, narrativa, dialogica, ecc. In alcuni casi, è possibile scorgere la
precisa mnemotecnica sottesa a una certa costruzione del testo.
Dal punto di vista dell’apprendimento linguistico, ovviamente, l’obiettivo finale era (com’è
ancora) quello di raggiungere delle competenze che permettessero di comprendere e di
utilizzare una lingua senza l’utilizzo sistematico di un dizionario e di una grammatica, quindi
anche di acquisire un lessico ampio e differenziato. Nella prassi dell’insegnamento scolastico il
problema che si poneva era quello di individuare degli strumenti che, oltre a comprendere
efficacemente la materia, potessero anche facilitarne la memorizzazione. Nell’ambito di una
cultura che faceva ancora largo uso, a tutti i livelli, dell’oralità e della memoria, come quella
medievale, liste di parole ma anche trattati, opere enciclopediche, così come molti altri testi,
venivano imparati a memoria perché costituivano un bagaglio di conoscenze che dovevano
essere disponibili senza la necessità di ricorrere a un supporto scritto:
[…] the medieval culture was fundamentally memorial, to the same profound degree that modern
culture in the West is documentary. This distinction certainly involves technologies –
mnemothecnique and printing – but it is not confined to them. For the valuing of memoria persisted
long after book technology itself had changed. That is why the facts of books in themselves, wich
were much more available in the late Middle Ages than even before, did not profoundly disturb the
essential value of memory training until many century had passed. Indeed the very purpose of a
book is differently understood in a memorial culture like that of the Middle Ages than it is today.
[…] in a memorial culture, a “book” is only one way among several to remember a “text,” to
provision and cue one’s memory with “dicta et facta memorabilia.” So a book is itself a mnemonic,
among many other functions it can also have. (Carruthers 1990: 8)
Nel mondo occidentale il testo scritto per lungo tempo è concepito come ausilio per la memoria,
non si sostituisce a essa ma ne costituisce l’appendice materiale, è utilizzato più che come
mezzo per il recupero e la rifunzionalizzazione delle conoscenze, come sistema per la
memorizzazione (anche in quanto latore di informazioni collegate ad uno stimolo visivo).
Glossari e liste di parole dovevano essere nel Medioevo i supporti specifici per l’acquisizione
lessicale accanto agli altri strumenti destinati all’apprendimento di una lingua, come le
grammatiche, i dialoghi, le raccolte di frasi e via dicendo, ma anche accanto a quelli destinati
all’educazione dei giovani e alla diffusione della cultura, come i trattati, le enciclopedie, le opere
storiche, ecc. Si presume che, in generale, il contesto d’uso dei glossari fosse quello scolastico o
comunque sia da collegarsi ad attività didattiche di vario genere: l’intento poteva essere quello
di facilitare la comprensione e lo studio delle sacre scritture o di opere latine, di coadiuvare
l’apprendimento del latino o di altre lingue, di supportare l’accesso a nomenclature relative a
singoli ambiti o a materie vaste e complesse.
Al giorno d’oggi, il criterio di ordinamento più diffuso nei dizionari e nelle enciclopedie
pubblicati a stampa è quello alfabetico: normalmente le voci, elencate alfabeticamente,
occupano lo spazio più a sinistra nella pagina, mentre a destra sono disposte le rispettive
definizioni e spiegazioni. Il modo in cui sono elencate le forme dipende dalla finalità che si
propone l’opera in questione: solitamente, e a grandi linee, lo scopo di un dizionario è di
rendere intellegibili parole appartenenti a una determinata lingua, lo scopo di un’enciclopedia è
di fornire informazioni su concetti, fatti, persone. Il criterio alfabetico, per vari motivi, risulta
essere quello più efficiente, se si vuole, ad esempio, rendere rapidamente accessibili
informazioni relative al significato di parole, note almeno dal punto di vista del significante,
oppure relative a determinati soggetti. Ovviamente l’ordinamento alfabetico ha i suoi vantaggi
ma anche i suoi svantaggi, dovuti principalmente al fatto che i lemmi si susseguono in base alla
loro vicinanza ortografica senza alcun tipo di orientamento dal punto di vista concettuale. Un
normale dizionario semasiologico, ad esempio, non permette di reperire direttamente l’insieme
di parole che si collegano a un determinato oggetto o concetto. Nel Medioevo, per
l’organizzazione di liste di parole confezionate allo scopo di rendere comprensibili forme
difficili, inconsuete o appartenenti a lingue diverse, il criterio alfabetico non sempre prevaleva:
ad esempio, nel caso dei glossari stilati per migliorare la fruibilità di opere in latino, spesso le
parole si susseguono nell’ordine in cui compaiono all’interno del testo cui sono rapportate, certo
perché questi strumenti derivano direttamente dalla copia di glosse marginali o interlineari, ma
anche perché dovevano essere così più funzionali ad un confronto costante e parallelo tra testo e
glossa. Tali liste a volte venivano riconvertite in glossari alfabetici, magari unite ad altre in
corpora lessicali più vasti. Tuttavia quando la lista era generica e destinata a illustrare il senso di
parole appartenenti a un lessico più vario, a volte a prevalere è un criterio di ordinamento
onomasiologico, ossia le forme si susseguono in base ad una vicinanza semantica e sono
raggruppate in categorie concettualmente coerenti. In quest’ultimo caso, il principio di
ordinamento generale, la macrostruttura, risponde a tassonomie definite, nelle linee
fondamentali, dalla tradizione del genere e solo in parte legate alle conoscenze e alle ideologie
proprie della cultura del tempo (si tenga conto che anche i materiali lessicali repertoriati sono
strettamente legati a una tradizione, che in linea di massima fa capo alle Etymologiae di Isidoro
di Siviglia, così come nell’ambito della trattatistica grammaticale punti di riferimento
fondamentali restano a lungo Donato e Prisciano, senza escludere altre componenti).
L’allestimento di questo tipo di liste e glossari corrisponde alla necessità di risolvere problemi di
comprensione e di comunicazione nella pratica, in riferimento a discorsi scritti o orali, e nello
stesso tempo di mettere a disposizione competenze più ampie; essi rappresentano, quindi,
contemporaneamente informazioni sull’uso linguistico e anche conoscenze di tipo
enciclopedico. In sostanza, l’obiettivo di fornire un corredo di parole chiarendone il significato è
integrato in un progetto più ampio di trasferimento di un bagaglio di conoscenze all’interno di
un determinato sistema linguistico. Questi testi si potrebbero collocare, dal punto di vista della
lessicografia, in uno spazio intermedio tra il dizionario e l’enciclopedia, in prossimità, almeno
per ciò che riguarda la destinazione, di quegli strumenti che oggi chiamiamo dizionari
enciclopedici (a proposito della demarcazione dei confini tra dizionari, enciclopedie e dizionari
enciclopedici cfr. Hüllen 2006: 7-11).
[…] the early onomasiological glossaries and the subsequent onomasiological dictionaries,
eventually known as nomenclators, were given an encyclopaedic and didactic function. They were
meant to provide new words as the carriers of new knoweledge. These functions were fused. This
means that the order in wich the new words and their meanings were arranged acted as the
principle for teachind and learnig. Whereas the alphabetical glossary and dictionary stated
equations between word-meanings, the onomasiological glossary and dictionary trasported wordmeanings in a global semantic context (Hüllen 2006: 24).
In alcune circostanze la classificazione onomasiologica poteva essere avvertita come più
funzionale per un’assimilazione rapida e di lunga durata di un corredo lessicale complesso:
Before printed dictionaries were used extensively, we must indeed assume that memorizing long
word-list was one of the most important procedures of language learning. Memory was the central
agency of intellectual activity. This means that older onomasiological word-list and dictionaries
have certainly to be understood as textbooks for language teaching, and mostly as textbooks to be
memorized in toto. (Hüllen 2006: 26)
In tempi recenti, i vari approcci di tipo comunicativo hanno definito tecniche d’insegnamento
vicine alle situazioni della comunicazione reale e quindi prediletto materiali didattici in cui le
parole siano contestualizzate, trascurando invece procedimenti di acquisizione esplicita e
diretta del lessico attraverso liste di parole. Negli ultimissimi anni, tuttavia, si è andata
riscoprendo l’importanza e l’utilità di tali liste, soprattutto se correlate a linguaggi specifici o
settoriali, ovviamente associate a strategie specificamente mirate alla loro memorizzazione (cfr.
la sintesi e la bibliografia di Lessard-Cloustone 2012/2013). Sono stati condotti vari studi al fine
di misurare l’efficacia dei diversi tipi di liste sull’apprendimento: con la dovuta cautela, si può
ragionare sulle acquisizioni che ne sono derivate anche per interpretare i testi medievali.
In alcuni studi si è cercato, ad esempio, di misurare l’effetto prodotto da un ordinamento di tipo
onomasiologico rispetto ad altri tipi di ordinamento: l’organizzazione delle parole in categorie
sembra essere il sistema più efficace, indipendentemente dalle strategie individuali utilizzate
per la loro memorizzazione (cfr. Hoshino 2010 che confronta gli effetti prodotti da cinque liste
organizzate diversamente – con associazioni sinonimiche, antonimiche, semantiche, tematiche e
senza alcuna associazione – sull’acquisizione del significato di parole inglesi da parte di
studenti giapponesi):
[…] presenting new vocabulary in categorical lists promotes vocabulary learning. Categorical lists
also offer other advantages over unrelated lists in that they help learners acquire a broader and
deeper vocabulary at the same time. Association is one of the aspects of vocabulary knowledge
(Nation, 2001), and thus, if learners memorize words in lists where the target words are related,
they can increase not only their knowledge of the form-meaning relationship, but also their
knowledge of association. Therefore, learning from related word lists rather than from unrelated
lists should be encouraged (Hoshino 2010: 310).
In realtà il dato è per alcuni aspetti non del tutto chiaro, poiché gli studi dedicati al confronto tra
gli effetti prodotti da liste di parole organizzate semanticamente, per categorie (ad es. la serie:
orecchio, occhio, naso, bocca), e da liste organizzate logicamente, per temi (ad es. la serie: mela,
verde, mangiare, albero), non hanno portato a risultati sempre convergenti (cfr. tra gli ultimi
Merhegan 2013 che arriva a risultati equivalenti e riepiloga la letteratura sull’argomento). In
ogni caso, nell’insieme si riconosce una facilitazione dell’apprendimento lessicale per effetto
dell’individuazione di legami espliciti tra le parole e la necessità di impiegare più di un sistema
per supportare la memorizzazione. I risultati di altri studi condotti attraverso la
sperimentazione in classe di diversi approcci nell’insegnamento dell’inglese in classi di studenti
normalmente in età adulta, hanno mostrato come liste di parole glossate con una traduzione
nella lingua madre o con delle spiegazioni in inglese siano memorizzate più facilmente (Laufer
e Shmueli 1997 mostrano esiti migliori prodotti dalla traduzione con la L1; ma altri studi, non
sempre condotti esclusivamente su liste di parole e non solo sull’inglese, presentano risultati
più o meno equivalenti: per una sintesi cfr. Rouhi e Mohebbi 2012: 3-4).
Nella vita intellettuale europea per lungo tempo l’apprendimento del latino ha avuto un ruolo
fondamentale: è possibile immaginare, considerando la documentazione che ci è pervenuta, che
nel corso delle lezioni i maestri proponessero liste di parole da imparare a memoria, magari
illustrando il significato, l’etimologia, la correlazione dei singoli lemmi:
Memorizing word-lists in order to be able to construct sentences according to the grammatical rules
will also have been an essential part of a lesson. (…) The arrangement of the glossary must then
have appeared useful to the author for this way of teaching, that is, the order of traditional
encyclopaedias must have been judged as being supportive of learning by heart. (Hüllen 66)
In epoca alto-medievale si collocano prevalentemente liste di parole latine glossate in latino,
compilate allo scopo di illustrare forme ormai inconsuete, in aree dominate dai franchi o, meno
frequentemente, nell’Inghilterra anglo-sassone; alcuni manoscritti che tramandano questi
glossari presentano anche glosse in volgare (antico-inglese, antico-alto-tedesco, ecc.). Il
materiale lessicografico è grosso modo lo stesso, derivante in gran parte da fonti latine, via via
selezionato, riadattato e organizzato in modi diversi. In particolare in epoca carolingia si assiste
a una grossa fioritura di questo tipo di strumenti, che testimoniano un interesse per le parole e
per il loro significato, insieme con quello per la grammatica e l’ortografia, che corrisponde alla
necessità di emendamento e corretta interpretazione dei testi che caratterizza la rinascenza
carolingia (per un’indagine approfondita sui glossari in epoca carolignia cfr. McKitterick 2012).
Più tardi, un ambiente particolarmente interessante è quello dell’Inghilterra anglo-normanna, in
cui per lungo tempo almeno tre lingue si trovano a concorrere a diversi livelli, con equilibri
variabili non solo nella diacronia: il latino (quello degli autori, della Bibbia, ma anche quello
ancora in uso), il francese (l’anglo-normanno ma poi anche quello continentale, delle scuole
parigine) e l’inglese (con le sue varianti regionali). Tuttavia, nell’Europa medievale vari sono i
contesti in cui lingue diverse si trovano a convivere (a parte la continua presenza del latino
come lingua di riferimento per la cultura e le istituzioni) e che sarebbe interessante indagare dal
punto di vista dell’educazione linguistica: le Fiandre con la compresenza di fiammingo e
francese, le corti dell’Italia settentrionale in cui si impara il provenzale, la Sicilia normanna e via
dicendo.
In Inghilterra verso la fine del X secolo, Aelfric scrisse, per i suoi studenti, un’opera
grammaticale in latino e antico-inglese, che si componeva di una parte dedicata alla morfologia
e alla sintassi, di materiali lessicali raccolti in un glossario onomasiologico e di esercizi pratici in
forma di dialogo (per la descrizione cfr. Hunt 1991: I 98-119). Il glossario e il dialogo, tramandati
solo in parte della tradizione manoscritta, condividono molti materiali lessicali. Il glossario, in
larga misura dipendente dalle Etymologiae di Isidoro di Siviglia, è costituito da centinaia di voci
organizzate in otto sezioni tematiche: nomina, nomina membrorum, nomina avium, nomina piscium,
nomina ferarum, nomina herbarum, nomina arborum e nomina domorum. Nel dialogo fittizio il
maestro invita il discepolo a impersonare vari tipi di commercianti e artigiani, elencando
all’occasione gli strumenti e gli oggetti relativi alle loro attività. In alcuni manoscritti vari
glossatori hanno apposto diverse annotazioni in latino, antico-inglese e anglo-normanno, ad
esempio nel ms. London, B. L. Cotton Faustina A x, risalente alla seconda metà dell’XI secolo,
già caratterizzato da glosse e correzioni contemporanee, si osservano glosse marginali della fine
del XII secolo. L’uso di aggiungere annotazioni marginali in volgare va fatto corrispondere alla
necessità di allestire degli strumenti funzionali per l’insegnamento:
it is clear that greater effort was being expended on the production of grammatical aids to the
teaching of Latin and that the use of these aids presupposed the employement of the vernacular as
one medium of instruction and explication. (Hunt 1991: I 19)
Del resto l’espediente di semplificare lo studio, attraverso spiegazioni e traduzioni nella lingua
madre o in una lingua familiare, è esplicitamente chiarito in alcuni versi del prologo al
Doctrinale di Alessandro di Villedieu:
Si pueri primo nequeant attendere plene,
hic tamen attendet, qui doctoris vice fugens,
atque legens pueris laica lingua reserabit;
et pueris etiam pars maxima plana patebit. (Reichling 1893: 7)
La strutturazione dei testi grammaticali in forme metriche (spesso esametri, a volte leonini, o
anche distici collegati da un omoteleuto, da un’assonanza o da una rima) era un altro dei
procedimenti sicuramente concepiti per facilitare la memorizzazione e rendere il materiale
lessicale più facilmente recuperabile (per un approfondimento sulla funzione memoriale di
metrica e rima si vedano Canettieri 2003, Santini 2005 e Di Pietro 2009, più specificamente
concentrato sulla didattica). A parte le auctoritas di Prisciano e di Donato, tra le grammatiche
usate nelle scuole alla fine del XII secolo, il Doctrinale dovette conseguire certamente grande
successo (la sua duratura fortuna è testimoniata sia da una tradizione manoscritta che annovera
circa quattrocento manoscritti, in cui il testo è spesso modificato, riadattato, glossato e arricchito
da commentari, sia da una lunga serie di imitazioni e rifacimenti: lo stesso Giovanni di
Garlandia ne preparò una revisione, nonostante l’aspra critica che aveva rivolto ad esso; l’opera
ebbe grande successo anche presso gli umanisti italiani: perfino Aldo Manuzio nella prefazione
ai libri delle Institutionum grammaticarum afferma di averla dovuta imparare a memoria; per la
diffusione in Italia del Doctrinale e di altri testi da questo dipendenti cfr. Black 2001: 86-162).
L’opera, scritta in versi per richiesta del vescovo di Dol, al fine di istruire i suoi due nipoti, e nel
normalmente divisa in tre parti circolanti anche singolarmente (la prima dedicata alle
etimologie, la seconda alla sintassi e la terza alla quantità, accenti e figure), ha costituito il
modello di riferimento per molte altre opere lessicali versificate, come ad esempio quella
confezionata da Eberardo di Béthune e successivamente intitolata Graecismus (per la descrizione
di questi due importanti testi cfr. Hunt 1991: I 85-98).
Natura e destinazione dell’opera sono sintetizzate nell’incipit del prologo: «Scribere clericulis
paro Doctrinale novellis». Nell’accessus di uno dei tanti manoscritti che tramandano il Doctrinale
si legge (ms. Cambridge, Trinity College R. 3. 29):
Utilitas est regulas artis grammatice memorie commendare. Causa suscepti operis est duplex .i.
communis et privata; communis quia ad utilitatem omnium legentium hoc opus incepit et perfecit,
privata est [quia] a quibusdam scolaribus suis rogatus quorum precibus obtemperatus hoc opus
incoavit et perficit. (Hunt 1991: 90)
Le stesse finalità si trovano del resto anche nell’acessus al Graecismus (ms. Dublin, Trinity
College 270): «Utili[t]as est ut lecto libro cognitionem diversarum dictionum habeamus et eas
cellule memoriali commendemus» (Hunt 1991: I 95).
È significativo il modo in cui in una glossa presente in un manoscritto che tramanda opere
grammaticali si giustifichi la struttura versificata:
[…] sermo metricus utilis factus est ad faciliorem acceptionem, ad venustam et lucidam brevitatem,
et ad memoriam firmiorem. Quod patet sequi ex deffinitione versus que sequitur: versus est
metrica oratio, succinte et clausulatim progrediens, venusto verborum matrimonio et sententiarum
flosculis picturata, nihil in se superfluum nichilque continens diminutum. (Thurot 1869: 102)
In esametri leonini è scritto il De differentiis di Serlone di Wilton (seconda metà del XII secolo),
opera dedicata alla descrizione e differenziazione degli omonimi che si innesta nella tradizione
antica delle differentiae verborum, sulla scia di altri testi simili e coevi che dimostrano l’interesse
per questi aspetti del lessico. La forma metrica è usata per rendere più evidente e memorabile
l’opposizione tra parole simili, che si differenziano per significato o per accento: queste forme
sono collegate dal nesso strutturale istituito dalla rima alla fine di ogni emistichio in cui è
ripartito il verso, in modo che la corrispondenza fonica risulti più fortemente marcata. I versi
costituiscono delle unità indipendenti e sono riuniti secondo un criterio alfabetico delle forme
che servono a illustrare: «Unam semper amo, cuius non solvar ab amo / Dicitur arbor acer, vir
fortis et improbus acer / Forma senilis anus, pars quedam corporis anus […]», e via dicendo (per la
descrizione cfr. Hunt 1991: I 125-135).
Un’altra caratteristica rilevante dal punto di vista della funzione e della destinazione di questi
testi è la strutturazione del discorso in forma dialogica o diegetica. La contestualizzazione del
lessico all’interno di discorsi che si avvicinano a quelli della comunicazione reale aveva sia la
funzione di mostrare l’uso effettivo delle parole o di unità lessicali più ampie, sia la funzione di
rendere più memorabile l’insegnamento. Nelle raccolte di frasi o di dialoghi si registrano
discorsi provenienti da situazioni d’interlocuzione, ma a volte la forma dialogica è solo un
pretesto per inserire lunghe liste di vocaboli. È probabile che, in alcuni casi, questo tipo di
trattati fossero utilizzati nelle classi in esercizi di drammatizzazione (interessante a tal proposito
Kibbee 1991: 78-83).
Alle volte il materiale lessicale è integrato all’interno di una struttura diegetica, in cui il punto di
vista dell’io narrante riflette un percorso conoscitivo che procede attraverso la definizione di
loci, che aiutano la costruzione di una memoria organizzata da cui le informazioni siano più
facilmente recuperabili. Un trattato di questo tipo è il De utensilibus di Adamo del Petit-Pont
(metà del XII secolo), da cui dipendono il De nominibus utensilium di Alessandro Neckam e il
Dictionarius di Giovanni di Garlandia (su tutti e tre i testi cfr. Hunt 1991: I 165-203 e la
bibliografia ivi citata). Si tratta di un testo in forma epistolare in cui l’autore, rivolgendosi
all’amico Anselmo che l’aveva criticato per il suo stile, descrive nel dettaglio ciò che vede
immaginando di tornare nella propria tenuta in Inghilterra. Secondo ciò che è dichiarato in una
delle varie introduzioni presenti nei manoscritti superstiti (quindici in tutto, variamente glossati
in latino, anglo-normanno e medio-inglese) l’intenzione è di raccogliere i nomi di oggetti molto
usati ma ignoti ai più, l’utilitas consiste nel far conoscere le parole che designano le cose e le loro
parti; tra le diverse espressioni usate (ms. Dublin, Trinity College 270):
Intentio auctoris est colligere sub compendio nomina utensilium et rerum usitatissimarum que
multis etiam eruditis ignota erant […]. Utilitas est nominum et rerum cognitio et partium expositio.
(cfr. Hunt 1991: I 168)
Oppure «Utilitas est ut perlecto libro et intellecto diversarum rerum vocabula extranea
cognoscamus» (ms. Oxford, Bodleian Library, Rawlinson G 99 [S.C. 15462]: ibid.). Interessante in
particolare l’accessus che si trova in un importante manoscritto grammaticale che presenta al suo
inizio le tre opere insieme (Cambridge, Gonville and Caius College 136):
Materia huius opusculi sunt nomina diversa et exotica que in redeundo a Gallia in Angliam vidit in
notando res diversas. Intentio scribentis est huiusmodi nomina in summulam quandam redigere.
Utilitas est hec libello taliter scripta memorie commendare. Causa suscepti operis erat Ancelmus
Cantuariensis Archiepiscopus qui sepe corripuit ipsum super hoc quod levia verba sibi miserat in
epistolis suis et ideo excusat se super hoc dicens quod sibi mittet verba duriora et obscuriora. (Hunt
1991: 168)
La narrazione segue il percorso verosimile dell’autore nella sua tenuta: si descrivono anche
incontri con parenti e conoscenti, che offrono l’occasione di elencare parole e concetti anche non
direttamente collegati alla descrizione ambientale. Se ne propone un brano (ms. London, British
Library Add. 8092):
Ecce vallum aspicio, mole terre intrinsecus regecta, circumluvio extrinsecus velud ad ripam
alludente, vallos innumerabiles sudibus vi lentatis intextos, inter[vallis] angustis distantes, velud
munitionem sustinentes. In porta autem valvas complicabiles cilleri et introitum patere video.
Introeunti ocurrunt qui me puerum vide[r]ant anno iam duodecimo revertente, vis(it)entes: primo
fratres germani et nothi – nam uterinos et spurios habere matris monogamia pro[h]ibuerat; deinde
consobrini – patrueles enim ibi reliqueram unde veneram, fratrueles autem matertere castitas non
contulerat; postremo autem nepotes et sobrini. Horum autem qui mihi noti fuerant alios secundum
stamatum distinctionem indicabant. Colloquendo pretransivimus vestibulum amplum, edificiis
habitatoriis, repositoriis, officiniis circumdatum. […] Penitiores deinde domus adeo et ecce in
abacte matris incidi amplexus. Occurit autem, cum glore mea et adhuc investe, matertera sororis
mee; gallus et ipsa adhuc investis erat; quam cetere, quod me, ut in pueritia consueverat, Adam
Balsamiensem appellaret, nec magistri nomen adicerat, coripiebant. Cum quibus omnibus
sermonibus quos res postulabat collatis, ad cenam vocamur. Et ecce quedam meniana
conscendimus; lectisternia, in quibus discumbendum erat, simplis et amphitapis ornata erant. Cene
apparatum ascribere nunc nonoportet. Hoc tamen dicere compellit admiratio, quod et panis tria
genera – celia, mulsum, [vinum succinatum, nam lorea, passum murina deerant (Hunt 1991: 173).
Il De nominibus utensilium di Alessandro Neckam (fine del XII secolo) presenta un lessico meno
ampio e diversificato (utensili, attrezzi e strumenti domestici) ed è più semplice: l’autore si
limita a fornire liste di parole integrate in costruzioni sintattiche, eliminando elementi narrativi
e discorsivi; ha un approccio meno sistematico e si occupa sostanzialmente di insegnare ai
giovani i nomi comuni del latino per gli oggetti della vita quotidiana (soprattuto utensili
domestici, attrezzi e macchinari di vario genere).
In uno dei vari prologhi presenti nei manoscritti si legge (ms. Dublin, Trinity College 270 f.
157r):
Materia huius libelli sunt nomina utensibilia. Intentio autoris est nomina utensilium in summam
unam colligere ad promotionem et ad instructionem minus provectorum. Utilitas est perlecto
libello sciamus nomina et significationes nominum utensilium. (Hunt 1991: I 178)
Probabilmente, il fatto che l’opera sia rivolta all’istruzione dei “meno avanzati”, ne motiva
l’impianto poco complesso e la selezione lessicale non tanto ricercata quanto nel trattato di
Adamo del Petit-Pont. Ecco, ad esempio, il brano iniziale (London, Wellcome Historical Medical
Library ms. 801A):
Qui bene vult disponere familie sue et rebus suis, primo provideat sibi in utensilibus et in
suppellectilibus. In quoquina sit mensula, super quam olus apte minuatur et lecticula et pise et
pultes et fabe frece et fabe silique et fabe ex[s]ilique et milium et cepe et huiusmodi legumina, que
resecari possunt. Item sint ibi olle, tripodes, securis, mortarium, pilus, contus, uncus, cacabus,
aenum, patella, sartago, craticula, urceoli, discus, scutella […] (Hunt 1991: I 181).
Ancora, molto interessante è il Dictionarius di Giovanni di Garlandia (inizio XIII secolo): consiste
in una serie di paragrafi che contengono definizioni di oggetti, cose, animali, occupazioni
riferite alla sua esperienza personale a Parigi e a Tolosa e alla sua attività di maestro, con uno
slittamento evidente della materia dalla vita rurale alla vita cittadina. Il materiale è suddiviso in
base all’ambito semantico o all’argomento, a cominciare dalle parti del corpo, seguendo con la
descrizione delle merci dei vari commercianti e artigiani che si incontrano per le vie del centro
di Parigi, e poi con le armi usate nell’assedio di Tolosa, e via dicendo, nominando oggetti
domestici, occupazioni ed equipaggiamenti di chierici, prelati e donne, e ancora elenchi di
animali domestici e selvatici, uccelli, tipi di navi, ecc., compresi oggetti riguardanti la vita
privata dello stesso Giovanni e gli ortaggi, gli alberi e le piante presenti nel suo orto e nel suo
giardino. Se ne presentano alcuni capoversi (ms. Dublin, Trinity College 270):
Istis ita nominatis, nominanda sunt instrumenta urbana et rusticana corpori necessaria. Sed prius
nominabuntur res quas eundo per civitatem Parisius denotavi. […]
[14] Willelmus, vicinus noster, habet in foro ista vendenda ante se: acus et acuaria, saponem et
specula et rasoria, cotes et pericudia vel fusillos. […]
[59] Super perticam magistri Johannis de Gerlandia diversa pendent indumenta .s. tunice et
supertunicalia, pallia, scapularia, cape, coopertoria, lintheamina, renones, sarrabarre, stragule,
camisie, bracce, bombacina et tapete, cuculli et collobia cum lacernis et trabee cum palludamentis.
[…]
[70] In platea nova ante paravisum Domine Nostre aves inveniuntur vendende .s. anseres, [galli] et
galline, capones, anates, perdices et phasiani, alaude, passeres, pluviarii, ardee, grues et signi,
pavones, turtures et turdi. (Hunt 1991: I 197, 200, 201)
L’inizio dell’opera ne chiarisce le finalità:
Dictionarius dicitur libellus iste a dictionibus magis necessariis, quas tenetur quilibet scolaris, non
tantum in scrinio de lignis facto, sed in cordis armariolo retinere, ut ad faciliorem costructionem
orationis et enunciationem possit [p]e[rv]enire. Primo sciat vulgaria nominare. Placet igitur a
membris humani corporis inchoare, rerum prontuarium evolvendo (Hunt 1991: I 196).
Alla luce degli aspetti che fin qui si sono trattati, nel panorama dei testi medievali a carattere
lessicografico, è particolarmente interessante il Tretiz di Walter di Bibbesworth, un’opera che
dovette godere di una certa fortuna a giudicare dal numero dei manoscritti che la tramandano
(quindici in tutto) e dai testi che ne riutilizzano i materiali (cfr. Rothwell 2008: 109 e 117-118). Il
fine didattico – d’insegnare la lingua francese, quindi le parole più utili da quando si nasce a
quando si raggiunge l’età adulta, oltre al corretto modo di parlare e di rispondere – è dichiarato
espressamente nel prologo tramandato dal ms. Cambridge University Library Gg.1.1 (siglato G
in Rothwell 2009) insieme con una sommaria descrizione dei campi semantici rappresentati e
alla menzione delle glosse soprascritte in inglese:
Le tretiz ki munseignur Gauter de Bithesweth fistt a madame Dyonise de Mountechensi pur aprise
de langage. E ço est a saver de primere tens ke home neistra ou tut le langage par sa nature en sa
juvente, puis tutle fraunceis cum il encurt en age e en estate de husbondrie e manaungerie, com pur
arer, rebingner, waretter, semer, searcler, syer, fauger, carier, muer, batre, ventre e mouwere, pestre,
brescer, bracer, haute feste araer. Puis tut le fraunceis des bestes e des oyseaus, chescune assemblé e
par sa nature apris. Puis trestuit le fraunceys des boys, preez e dé pastures,vergers, gardins,
curtillages ové tut le fraunçais des flurs e des fruz qui(l) i sunt e tut issint troverez vous le dreit
ordre en parler e en respundre qe nuls gentils homme coveint saver. Dounc tut dis troverez vous
primes le fraunceis e puis le engleise amount» (Rothwell 2009: 1).
L’obiettivo più generale, probabilmente, doveva essere quello di preservare il ruolo della lingua
francese nell’ambiente dei proprietari terrieri nell’Inghilterra del XIII secolo, fornendo uno
strumento linguistico per l’acquisizione del lessico fondamentale utile nella vita pratica (in
particolare legata alle attività rurali, per l’allevamento e l’amministrazione delle proprietà, cfr.
Rothwell 2008: 103).
Nella dedica, presente nel ms. Trinity College, Cambridge 0.2.21 (T in Rothwell 2009) e rivolta
alla committente Dionisie di Munchensi, il cui nome è specificato nel prologo appena citato,
l’autore entra nel dettaglio della destinazione dell’opera e del modo in cui essa è stata
approntata:
Chere soer, pur ceo ke vus me priastes ke jeo meyse en escrit pur vos enfaunz acune aprise en
fraunceis en breve paroles, jeo l’ay fet souloum ce ke jeo ay apris e solum ceo ke les paroles me
venent en memorie, ke les enfaunz pusent saver les propretés dé choses ke veent e kant deyvent
dire moun e ma, soun e sa, la e le, e mey e ge (Rothwell 2009: 53).
L’opera sarebbe stata scritta, secondo ciò che l’autore aveva imparato e nella misura in cui le
parole gli tornavano alla memoria, per i bambini della committente, perché potessero conoscere
le caratteristiche di ogni cosa e per imparare i primi rudimenti grammaticali. Ciò che
caratterizza questo testo è la struttura: il lessico è contestualizzato in un discorso continuo e
coerente in distici a rima baciata, espresso in prima persona e rivolto ad un destinatario ben
individuabile. A questa caratteristica si lega, del resto, l’autodefinizione di genere che assegna
all’opera di Bibbesworth il titolo di trattato. Modelli di riferimento più vicini erano i trattati
latini di Adamo del Petit-Pont, di Alessandro Neckam e di Giovanni di Garlandia (Hüllen 2006:
89), di cui si è parlato sopra, opere destinate all’insegnamento del latino (vocabolario e
rudimenti della grammatica) ai giovani di madrelingua inglese o anglo-normanna e
probabilmente piuttosto diffuse, considerato il numero dei manoscritti superstiti (spesso gli
stessi) e la varietà di glosse latine e volgari, commenti e note che li accompagnano.
Ciò che si aggiunge nel Tretiz, rispetto ai suoi modelli, è la strutturazione in distici, ma anche
per questa l’autore poteva attingere degli esempi direttamente dal suo percorso di studi.
All’inizio, viene esplicitamente nominato il personaggio di riferimento e l’interlocutore ideale:
una donna che è in procinto di avere un figlio e che, tra le altre cose, dovrà occuparsi di
insegnargli a parlare (sul ruolo della donna nell’educazione dei figli, in particolare nel XIII
secolo, cfr. Jacobs-Pollez 2010 e bibliografia ivi citata; molto utile anche Colombo Timelli e
Iamartino 2011-2012). Seguendo i progressivi traguardi dei primi anni di vita, al momento in
cui il bambino imparerà a parlare, bisognerà subito insegnargli a descrivere il proprio corpo in
francese in modo che sappia ben parlare (e quindi usare bene aggettivi possessivi e articoli) e
che non sia schernito, vv. 1-10 e 21-32 (per comodità cito il testo del ms. G, più lungo di quello
di T, l’edizione è quella di Rothwell 2009):
Femme ke aproche sun teins
De enfaunter moustre seins
Quant se purveit de une ventrere
Qui seit avisé cunseillere.
E quant li emfez serra neez
Coveint k’il seit maylolez,
Puis en berce le cochez
E de une bercere vous purveez.
Le enfant comence a chatener
Einz k’il sache a peez aler.
[…]
E quant il encurt a tele age
Qu’i[l] prendre se poet a langage,
E[n] fraunceis lui devez dire
Cum primes deit sun cors descrivre
Pur l’ordre aver de ‘moun’ e ‘ma’,
‘Ton’ e ‘ta’, ‘soun’ e ‘ça’, ‘le’ e ‘la’,
Qu’i[l] en parole seit meuz apris
E de nul autre escharnis.
Ma teste ou moun chef:
La greve de moun chef.
Fetes la greve au laver
E mangez la grive au diner.
[…]
Segue una descrizione dettagliata (dall’alto verso il basso) delle varie parti del corpo: le parole,
associate agli aggettivi possessivi e articoli appropriati, sono inserite all’interno di frasi non
sempre mirate alla loro esclusiva enumerazione e spesso devianti verso il confronto con altre
forme, omonime o quasi, allo scopo di marcare le differenze di significato o d’uso, come sopra a
proposito di greve ‘scriminatura’ e grive ‘tordo’ e nei brani seguenti nei quali si distinguono rupie
‘mocciolo’ da rubie ‘rubino’ e levere ‘labbro’ da levere ‘lepre’, livere ‘libra’ e livere ‘libro’ (vv. 43-52 e
61-66):
Vostre regarde est graciose,
Mes vostre eel est chaciouse.
Des eus oustés la chacie
E de nes le rupie.
Meuz vaut la rubie par .b.
Ki ne fet le rupie par .p.,
Car ci bource eut tant des rubies
Cum le nes ad des rupies,
Mult serreit riches de pirie
Qui taunt eut de la rubie.
[…]
Vous avez la levere e le levere(r),
La livere e le livre.
La levere, c’est ke enclost les dens,
Le levere ki boys se tent dedeins;
La livere sert de marchaundie,
Le livere nous aprent clergie.
Del resto, poco oltre l’autore precisa che non vuole descrivere le parole francesi che tutti sanno,
ma solo quelle meno comuni, e che intende mostrare il modo in cui le parole si armonizzano nel
discorso e come sono tra loro differenti (vv. 79-86 e 107-110):
Desouz la launge est la fourcele,
‘Os fourché’ fraunceis l’apele.
E n’est pas mester tut a descrivere
Du fraunceis ki chescun seit dire,
Du ventre, dos ne de l’escine,
Espaul, bras ne la peitrine:
Mes jeo vous frai la mustreisoun
De fraunceis noun pas si commun.
[…]
Cestes paroles ensi vous coil
E l’emcheisun dire vous voil
Pur meuz acorder en parlance
E descorder en variaunce.
Si osserva, oltre allo sforzo di sciogliere l’ambiguità determinata dalla vicinanza ortografica o
fonetica tra alcune parole francesi, che potevano portare a confusione, anche una volontà di
definire specificamente il nome di cose o concetti in relazione a determinati usi e contesti. Il
discorso spesso è rivolto direttamente ai bambini, in una mimesi delle conversazioni che
potevano svolgersi all’interno dell’ambiente familiare (vv. 183-192 e 215-220):
Vestez vos dras, beaus duz enfauns.
Chaucez vos gauns, souleres e brais.
Mettez le chaperoun, coverez le chief.
Tachez vos botuns e derecef
De une coreie vous ceintez.
Ne di pas ‘vous enceintez’,
Kar femme est par home enceinte
E de une ceinture est ele ceinte.
D[e] la ceinture le pendaunt
Passe parmi, trespase le mordaunt.
[…]
Beaus duz enfanz, pur ben aprendre
En fraunceis devez entendre
Ki de chescune manere asemblé
Des bestes ki Deus ad formé
E des oyseaus ensement
Coveint parler proprement.
E via dicendo con i nomi con cui si definiscono i branchi di animali e poi i loro versi, cui sono
mescolati raggruppamenti, rumori e comportamenti di uomini e donne. Seguono altre
numerose sezioni dedicate a vari campi semantici, riguardanti la natura (i nomi degli uccelli,
degli alberi, ecc.) o legati alle attività umane (come si fa la birra, come si edifica una casa, ecc.).
A seconda del contesto lessicale descritto varia anche la scelta degli interlocutori o dei
personaggi che sono ritratti in situazioni simili a quelle reali, come nella descrizione dei nomi
degli uccelli del bosco o di come si prepara il fuoco, in cui il discorso è rivolto o fa riferimento a
un valet, un ragazzo, un giovane servitore (vv. 767-770 e 997-1000):
Deslacez, valet, toust ta renge,
Si renger volez le musenge.
Uncore i ad la palevole
E ausi la chardonerole.
[…]
Fetez ore prest apparailler,
Ki nous puissoms tost manger.
Une valet de vous quatre
Va toust munder cele astre.
Come del resto, quando si parla della coltivazione del lino e della filatura, sono tirate in ballo
due donne con tanto di nomi propri per facilitare la rima (vv. 424-428 e 451-454):
Uncore coveint seir au pessel
Pur escuger vostre lyn,
Car autrement n’est pas fin.
E jeo requer, dame Muriel,
Ore vous devez au pessel.
[…]
Mes quei fest ore madame Hude?
Un lussel de ses voiders wude.
E la t(r)istresce quant perulé ha
ha Tantost ses trames voidra.
Molte delle caratteristiche di questo testo sono riscontrabili già nelle opere grammaticali che lo
precedono, a cominciare dalla sequenza delle sezioni in cui è organizzato il materiale lessicale.
L’analisi comparativa di una serie di glossari dà idea dei vari campi semantici costantemente
rappresentati: in primo luogo le parti del corpo, dalla testa ai piedi, con gli organi interni
descritti a parte; segue la natura, con gli animali raggruppati in sottoinsiemi coerenti, che
separano ad esempio uccelli e pesci, oppure distinguono quelli domestici da quelli selvatici, e le
piante, ossia normalmente alberi e loro frutti ed erbe aromatiche o mediche; poi arriva ciò che
riguarda le società umane, con le gerarchie ecclesiastiche, l’amministrazione dello stato, le arti e
i mestieri, ma anche gli edifici e le case, gli utensili, le suppellettili, ecc. (cfr. Hüllen 2006: 67-68).
In ogni caso nel Tretiz sono messe insieme varie strategie per l’insegnamento della lingua
francese, da una parte quelle che facilitano la memorizzazione di un lessico ampio e
differenziato, dall’altra quelle che ne chiariscono l’uso all’interno di situazioni comunicative,
discriminando anche eventuali ambiguità derivanti dalla somiglianza di alcune parole.
Sicuramente l’organizzazione onomasiologica corrisponde alla necessità di costruire un sistema
complesso di legami semantici tra le parole in modo da facilitare la memorizzazione delle forme
insieme al loro significato. Tuttavia l’impianto onomasiologico è sistematicamente e
intenzionalmente interrotto da continui interventi tesi a chiarire le differenze d’uso e di
significato tra parole affini dal punto di vista del significante: queste interruzioni servono a
creare diversi tipi di connessione tra parole, in termini di opposizioni del tipo simile/diverso, al
fine di razionalizzare e correggere il condizionamento prodotto da associazioni spontanee di
tipo analogico. Allo scopo di rendere più facilmente memorizzabili parole, frasi e concetti
concorrono la struttura in versi e l’uso della rima oltre alla costruzione di un discorso
complesso, al limite della narrazione, in cui le singole frasi servono a contestualizzare le parole,
per chiarirne il significato e il corretto uso dal punto di vista della grammatica e della
comunicazione ma anche per imprimerle con maggiore forza attraverso la connessione con altre
parole e la creazione di immagini che si ricollegano a situazioni reali. A tutto ciò, si aggiunga
l’apporto delle glosse interlineari che oltre a rendere più accessibile il significato delle parole
probabilmente dovevano avere anche la funzione di semplificare il processo di rievocazione. In
sostanza l’apprendimento lessicale è guidato attraverso informazioni che si estendono su più
livelli e che riguardano gli aspetti semantici ma anche quelli sintattici e pragmatici. Non
possiamo sapere quanto sia stato realmente efficace il metodo messo in campo, quindi non
possiamo dire se la fortuna di quest’opera sia motivata da un corrispondente successo nella
pratica dell’insegnamento, tuttavia è possibile affermare che la sua fortuna è giustificata dalla
competenza dimostrata nell’articolare un programma educativo complesso che tiene conto dei
vari aspetti di cui si compone l’apprendimento di una lingua.
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