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Un’agorà per l’avvenire
dell’Unione Europea
Giuseppe Riggio SJ
Redazione di Aggiornamenti Sociali
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[email protected]>,
@giuriggio
S
empre più spesso l’Unione Europea (UE) si ritrova sul banco
degli imputati, additata da Governi, partiti e think tank eurotiepidi o euroscettici come una delle cause principali delle
difficoltà esistenti sul piano sociale ed economico nei vari Paesi. Si
tratta di posizioni talvolta ingenerose, non sempre fondate su analisi fattuali accurate, influenzate da percezioni distorte della realtà,
come nel caso del numero di immigrati che vivono nel nostro Paese
(Valbruzzi M. [ed.], Immigrazione in Italia: tra realtà e percezione,
in <www.cattaneo.org>). Queste critiche hanno però il merito di
mostrare i punti di maggiore frattura oggi esistenti tra le istituzioni
e la società. D’altronde, anche nel campo dei cosiddetti europeisti
– al di là delle difese della UE acritiche e di principio – non mancano le voci che invocano un cambio di marcia, formulando anche
proposte concrete. Nella stessa direzione si collocano le iniziative
di riforma promosse dai singoli Stati o dalle medesime istituzioni europee (ad esempio, il Libro bianco sul futuro dell’Europa della
Commissione europea). Questo ampio ventaglio di posizioni mostra
che la questione europea è un problema reale e concreto, che non
può essere derubricato a fenomeno passeggero, con il rischio di sottovalutarlo.
La fragilità del quadro politico
Senza addentrarci nei dettagli dei singoli temi, emerge con forza
un dato, noto anche ai vertici delle istituzioni dell’Unione: il progetto europeo così come è pensato e presentato oggi deve fare i
conti innanzi tutto con un sostanziale deficit di credibilità presAggiornamenti Sociali dicembre 2018 (805-810)
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so un consistente numero di cittadini e parti della classe dirigente
degli Stati membri. Le contestazioni, anche molto aspre, e le critiche
sono rivolte al ritardo o all’insufficienza delle misure adottate per
far fronte alle varie crisi. In particolare, le conseguenze della crisi
economica in termini di crescita della povertà e delle diseguaglianze
hanno gettato un’ombra negativa sulla UE nell’opinione pubblica di
tanti Paesi, come nel caso dell’Italia o della Grecia.
Ma le critiche non si appuntano solo sulle politiche europee, poiché hanno come obiettivo anche la UE in quanto tale,
il “suo” sistema istituzionale e le “sue” regole nei vari ambiti di
intervento, in primis quello della Unione economica e monetaria (cfr
l’intervista ad Alberto Quadrio Curzio alle pp. 812-821). La sottolineatura con le virgolette degli aggettivi possessivi è voluta: il loro
impiego enfatizzato nella comunicazione quotidiana contribuisce a
veicolare un senso di estraneità – e quindi di distanza e deresponsabilizzazione – rispetto alla realtà della UE. Nel retropensiero di
questo approccio vi è una logica di radicale separazione e alterità, come se l’Unione non fosse costituita dagli Stati membri. La conseguenza è di pensare le relazioni tra livello nazionale ed europeo basandosi
su uno schema di competizione tra portatori di interessi opposti e
non di collaborazione tra soggetti che appartengono alla stessa realtà.
A rendere ancor più fragile la UE concorrono altri due fattori
squisitamente politici. A livello internazionale bisogna richiamare il
rinnovato protagonismo diplomatico della Russia di Putin, tendenzialmente ostile all’Unione (cfr la recensione di Chiara Tintori
alle pp. 861-863), e la recente sconfessione da parte degli Stati Uniti
guidati dal presidente Trump del paradigma del multilateralismo, che
per decenni ha retto le relazioni internazionali e al cui interno è nato
e cresciuto il progetto europeo, come altre istituzioni internazionali
create nel secondo dopoguerra. In più occasioni, attraverso tweet e
decisioni politiche unilaterali, Trump ha manifestato la sua freddezza verso la UE, al punto di definirla un «nemico» e un «concorrente» nell’ambito commerciale (intervista a CBS News del 15 luglio
2018), e ha privilegiato al contrario il dialogo bilaterale con i singoli
Paesi europei, cercando di far leva sulle loro rivalità interne e incrinando di fatto la storica partnership tra le due sponde dell’Atlantico.
All’interno dell’Unione viviamo poi una fase di fragilità a livello di leadership. Con questo termine non ci riferiamo alla necessità od opportunità che vi sia un singolo leader carismatico, ma all’esistenza di una classe dirigente, espressione della politica e della società
civile, in grado di formulare una visione complessiva e di medio-lungo
termine per le singole nazioni e per l’Europa nel suo insieme. Pensiamo a una visione attenta al bene comune, capace di mobilitare le
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risorse dei singoli e delle realtà collettive in vista di obiettivi condivisi,
che non resti solo enunciata, ma si traduca coerentemente in atti concreti. Inoltre, il quadro politico è sempre più frammentato e debole, a causa della crisi dei partiti tradizionali, soprattutto di sinistra,
e dell’emergere di nuovi soggetti politici, che si definiscono populisti
o sovranisti di destra o di sinistra. Questa fragilità si rinviene sia in
democrazie parlamentari tradizionalmente stabili come la Germania,
sia in ordinamenti giuridici come quello francese, che permettono
di esprimere una maggioranza forte, ma non assicurano in un modo
soddisfacente la rappresentanza delle diverse anime presenti nella società, accrescendo la disaffezione dei cittadini verso la sfera pubblica.
Questo insieme di elementi complica inevitabilmente il processo di adozione delle decisioni politiche a livello europeo e
ne mina l’efficacia. Siamo così in presenza di una vera e propria
crisi – sottotraccia rispetto a quelle di cui regolarmente discutiamo,
ma non per questo meno grave – visto il rilievo fondamentale che
riveste la credibilità degli attori istituzionali, ossia la fiducia che i
cittadini ripongono in essi, ai fini del vivere insieme.
La politica “contro” dei sovranisti
Tra i più agguerriti oppositori dell’Unione vi sono partiti e movimenti con posizioni di stampo sovranista, il cui peso politico è
di recente cresciuto in modo notevole. Nei Paesi in cui sono presenti,
tra cui il nostro, hanno saputo riconoscere – e hanno contribuito
ad alimentare – il malcontento, il senso di sfiducia e l’insicurezza
che serpeggia in settori sempre più ampi della società, proponendosi come i paladini di una politica che ha il suo baricentro nella
difesa degli interessi nazionali da tutte le minacce o ingerenze esterne, invocando misure come ad esempio la chiusura delle frontiere ai
migranti e il protezionismo in economia. La stessa vicenda del duro
confronto tra il Governo italiano, la UE e gli altri Governi europei
sul contenuto della Legge di bilancio italiana per il 2019, al di là della
valutazione nel merito delle singole misure, si incentra proprio sulla
dialettica tra l’autonomia nazionale nelle scelte di politica economica
e il modo di declinarla all’interno del quadro giuridico ed economico
europeo, di cui abbiamo scelto di far parte.
Quando si affronta il tema dei sovranismi in Europa va evitato di
pensarli in termini unitari: l’utilizzo del plurale è d’obbligo, perché
non ci troviamo di fronte a realtà omogenee. Le differenze che esistono a livello di storia nazionale (prima fra tutte la frattura, in parte
ancora aperta, tra Europa occidentale e orientale prodotta dagli anni
del comunismo), di contesto sociale, culturale e politico, di interessi
economici e strategici tra i singoli Paesi fanno sì che non vi sia una
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convergenza tra le varie formazioni sovraniste né nella lettura e interpretazione di quanto accade nella società, né nella formulazione
di proposte politiche di cambiamento. Sul tema della gestione delle
migrazioni, ad esempio, si riscontrano posizioni comuni di chiusura
verso i migranti accompagnate da risposte divergenti a causa degli
interessi nazionali: la richiesta della Lega di Salvini di ridistribuire le
persone giunte in Italia in altri Paesi europei incontra la ferma opposizione del Governo ungherese guidato da Viktor Orbán, malgrado le
ripetute affermazioni di vicinanza tra i due uomini politici.
Ciò che in fondo unisce i vari sovranisti è lo stile di politica
praticato, riassumibile nell’avverbio “contro”. Le loro posizioni sono contro la globalizzazione, contro l’Europa, contro tutti coloro che
non fanno parte del proprio Paese o gruppo, contro coloro che non
ne sottoscrivono le visioni. Ciò non significa che nelle loro proposte,
oltre alla pars destruens, non vi sia una dimensione propositiva. In particolare, essi danno voce al malessere causato da una prospettiva individualista e liberista presente nella UE, che ha finito col frammentare
la società e ha privilegiato la dimensione economica a scapito di ogni
altra quando si è trattato di decidere le politiche europee. Purtroppo,
le critiche a questo riguardo sono spesso formulate all’interno di una
logica di contrapposizione, in cui non emerge una visione della società
capace di comporre in chiave solidale le diverse realtà e istanze in essa
presenti. A essere erosi sono allora il bene della fiducia reciproca, il
credito riconosciuto al proprio interlocutore, la possibilità di intavolare un confronto senza andare per forza allo scontro. Nell’epoca dei
social media e delle fake news, tutto ciò passa ovviamente attraverso
l’immagine che viene data dei propri “avversari”.
Al di là delle rappresentazioni parziali dell’Unione Europea
La credibilità dell’Unione dipende anche dal modo in cui essa è
presentata nel dibattito pubblico. Spesso le istituzioni europee sono
descritte come se fossero soggetti “alieni”. È un’immagine efficace
perché coglie un dato reale – è vero che per varie ragioni vi è una distanza tra le strade italiane, irlandesi, lituane e gli uffici di Bruxelles
– ma, allo stesso tempo, omette una parte fondamentale: chi dirige
le istituzioni europee e chi vi lavora non è paracadutato dall’alto, ma
sono i ministri e i funzionari dei Governi nazionali, i parlamentari
eletti da noi cittadini, i funzionari europei che provengono dagli Stati
membri. L’estraneità è perciò minore di quanto si pensi in genere. Se
vi è, pertanto, un’insensatezza e vacuità delle politiche europee, la
responsabilità non è ascrivibile solo alla burocrazia di Bruxelles,
ma anche a una carenza di partecipazione e vigilanza da parte di
tutti i soggetti coinvolti. Il buon funzionamento di un’istituzione
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dipende dalla qualità degli apporti di quanti ne fanno parte: l’assenza di informazioni complete e tempestive rende i decisori “ciechi” e
inefficaci le loro scelte.
Soprattutto, diverse visioni critiche dell’Unione oggi comuni finiscono con lo sminuire od occultare una parte importante della realtà.
Perché, come fa notare Maurizio Ferrera, vi è stata «un’inedita sequenza di choc, che hanno fatto vacillare le fondamenta dell’Unione. Eppure l’edificio non è crollato» e «l’“Europa di tutti i
giorni” ha continuato imperterrita a funzionare»: vi è stata una
maggiore mobilità per ragioni di lavoro; è cresciuto il volume delle
merci scambiate nel mercato unico; milioni di persone hanno usufruito dei fondi strutturali, della tutela giuridica assicurata ai cittadini europei o di programmi come Erasmus per i giovani universitari o
Life per le iniziative in ambito ambientale (Ferrera M., «L’Europa
non è solo burocrazia», in Il Corriere della sera, 6 novembre 2018).
Potrebbero essere menzionati altri esempi (cfr la nostra rubrica
#UnioneEuropea o il sito “Che cosa fa l’Europa per me”, <www.
what-europe-does-for-me.eu/it/portal>), ma non farebbero altro che
rafforzare una constatazione: ogni giorno beneficiamo delle opportunità che ci sono offerte dall’essere parte di una fitta rete europea di
relazioni tra amministrazioni pubbliche, settori della società civile,
del mondo economico e culturale. E ciò avviene sul piano non solo
economico, ma anche dei diritti e del rafforzamento della democrazia
nei Paesi. Ci siamo a tal punto abituati a tutto questo da correre il
rischio di considerarlo scontato, forse dovuto, quando non è certamente tale. Questa «Europa di tutti i giorni», che tutto sommato
funziona, è stata costruita nel tempo, in oltre sessant’anni, passando
attraverso lenti progressi e brusche frenate. Essa è figlia del processo di
integrazione, che si è man mano realizzato tra adattamenti e innovazioni, stando all’interno della tensione, di certo scomoda e per questo
feconda, tra lo slancio propositivo di natura ideale e la realpolitik che
tiene conto della situazione concreta.
L’opportunità delle elezioni europee di maggio
In questo scenario di credibilità in parte compromessa del progetto di integrazione, circa 350 milioni di elettori di ventisette Paesi
differenti (solo nella popolosissima India vi è un numero maggiore
di votanti alle consultazioni nazionali) voteranno per eleggere i 705
membri del Parlamento europeo. Questo appuntamento è stato
spesso considerato un evento politico di secondo piano tanto dai
cittadini quanto dalla classe politica, pur trattandosi di eleggere un
organo fondamentale nell’equilibrio istituzionale della UE, con poteri
e compiti accresciutisi nel corso degli anni. La scarsa attenzione si coUn’agorà per l’avvenire dell’Unione Europea
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glie nella bassa affluenza alle urne, fermatasi al 42,6% a livello europeo nelle ultime elezioni del 2014, così come nel modo in cui si sono
svolte le campagne elettorali nei vari Stati membri, dove le questioni
di politica interna hanno spesso monopolizzato i dibattiti. In fondo,
l’Unione e le sue politiche, quelle in atto così come quelle auspicate
per il futuro, di rado sono state oggetto di confronto e discussione.
Le elezioni del maggio 2019 potrebbero essere l’occasione per realizzare un’inversione di marcia sostanziale, perché oggigiorno tanti
temi dibattuti a livello nazionale toccano proprio l’Unione, il suo attuale assetto e le possibili evoluzioni. Vi è una consapevolezza diffusa che il progetto europeo ha bisogno di trovare una nuova
definizione dopo gli eventi degli ultimi anni – la bocciatura della
Costituzione ad opera di Francia e Paesi Bassi, l’allargamento ai Paesi
dell’Europa orientale e l’uscita del Regno Unito – che hanno segnato
una sorta di stand-by nella progettazione del futuro. Ma in che direzione? Le opzioni presentate sono diverse: da quelle più estreme di
abbandono totale dell’Unione ad altre che prevedono forme di partecipazione più circoscritte (l’uscita dall’euro per restare all’interno del
mercato unico), a quelle che puntano a rilanciare il progetto europeo
con varie proposte (dall’introduzione di forme di cooperazione rafforzata in alcuni settori alla meta di un pieno federalismo).
I prossimi mesi potrebbero divenire una grande agorà a livello
nazionale ed europeo per confrontarsi con queste visioni diverse
sul presente e il futuro della UE. Grazie alle elezioni i cittadini
dell’Unione potranno esprimersi su di esse, avendo alcune domande
di riferimento: che cosa conosco dell’Unione Europea? Che cosa apprezzo e che cosa vorrei cambiare? C’è un futuro per l’Unione e se sì,
quale? La costruzione di una rinnovata credibilità europea passa anche
attraverso questo canale democratico, che fa parte del DNA del nostro
continente. Perché ciò avvenga è necessario che il confronto sia aperto
e concreto sui temi principali in agenda. Come singoli cittadini e realtà collettive possiamo e dobbiamo vegliare perché questa occasione
non vada sprecata. È quanto ci proponiamo di fare come rivista.
Il dossier di Aggiornamenti Sociali per le elezioni europee
La nostra Rivista – da tempo attenta ai temi
europei – intende contribuire all’agorà sul
futuro dell’Unione attraverso un dossier,
composto da articoli, video e infografiche, in
vista delle elezioni del 23-26 maggio 2019
per il rinnovo del Parlamento europeo. L’intento è di offrire a quanti ci seguono strumenti utili a chiarire e approfondire le questioni maggiormente dibattute, presentando
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© FCSF - Aggiornamenti Sociali
letture argomentate delle dinamiche sociopolitiche oggi in atto a livello nazionale ed
europeo. Già in questo numero pubblichiamo
l’intervista ad Alberto Quadrio Curzio, che
apre il dossier rileggendo alcuni snodi cruciali delle vicende economiche degli ultimi
dieci anni. Altri contributi saranno pubblicati
nei prossimi mesi sulla Rivista e resi disponibili in un’apposita sezione del sito.