(Saggio pubblicato nel1975 su Mondo Archeologico)
LA CULTURA DELLA TREGGIA
Nel marzo dell’anno scorso (1974) è incominciata a circolare in alcuni ambienti universitari
inglesi l’idea di “Cultura della Treggia”. Non solo archeologi ed etnologi si sono interessati a questo
sogge>o, ma anche sociologi e urbanisti di diverse nazionalità i quali si sono presentati numerosi alla
seconda conferenza sul tema, che ho tenuto al North East London Polytechnic il 22 novembre scorso
(1974).
La prima conferenza mi fu richiesta dal Prof John D. Evans, ca>edra di archeologia al’Institute
of Archaeology of London University College, la seconda è servita ad illustrare meglio il tema ed a dar
luogo a delle collaborazioni a livello internazionale.
Cos’è dunque la “Cultura della Treggia”? Anzitu>o sarà bene chiarire che il termine “cultura”
è qui inteso in senso antropologico e di questo ne ha data una precisa definizione Taylor …Cultura (o
Civiltà) [1] in tesa in senso etnologico è quel complesso insieme che racchiude conoscenza credenza,
arte, morale, legge, costume ed ogni altra capacità ed abitudine acquisita dall’uomo come membro di
una società”… Ma non tu>i sanno cos’è la treggia; quella a cui si fa riferimento in questa sede è un
veicolo senza ruote, un traino agricolo, ancora non completamente scomparso dai campi di collina e
montagna, ma che non moltissimi anni fa era un mezzo di trasporto più comune dell’auto, usato
perfino da vescovi e proprietari terrieri per viaggiare su percorsi non facili nell’ambito di una tenuta
agricola o nei dintorni collinari della ci>à, in quasi tu>a la Toscana fra l’Appennino Tosco Emiliano e
il Chianti.
La Cultura della Treggia è per l’etnologo rappresentata da quel bagaglio di elementi materiali
ed immateriali inconfondibile e cara>eristico di quel popolo che usava ed parte usa ancora oggi, la
treggia.
Il 29 dicembre scorso, sul secondo canale della BBC, è andato in onda un ennesimo
documentario su Firenze e la cultura fiorentina. L’undici e il dodici gennaio, BBC Radio 3 ha dedicato
due giornate di trasmissione all’Italia. Ancora una volta si è fa>o riferimento ai Fiorentini come la
“quintessenza” dell’Italia, ed ai Toscani come “i più civili e i più europei fra tu:i gli Italiani”: Tu>e le
leggende, tu>i i modi di dire, i luoghi comuni, anche i più retorici, come questi propinati dalla BBC,
hanno un fondo di verità, essendo spesso generati da realtà ogge>ive ed avendo continuato ad esistere
anche quando tali realtà sono poi diventate più elusive o sono addiri>ura svanite.
Lo stesso conce>o del fiorentino di ogni epoca, particolarmente quello del contado, come
detentore, non solo erede, di una cultura qualitativamente superiore a quella di ogni altro popolo
europeo, appare ripetutamente in saggi universitari moderni, non soltanto inglesi.
Ranuccio Bianchi Bandinelli, uno dei più accreditati e profondi conoscitori delle radici
archeologiche del popolo toscano, figura non certo propensa alla retorica ed al luogo comune,
ribadisce il conce>o della superiorità culturale del popolo toscano su ogni altro in Italia e in Europa,
puntualizzando, con cognizione, il nesso fra cara>ere umano ed ambiente geografico, da cui deriva la
saggezza del mezzadro.
E’ comunque estremamente difficile per la nostra élite culturale a base gentiliano-crociana
convincersi definitivamente di un postulato che solo l’antropologo-testimone può verificare.
Disgraziatamente, in Italia gli antropologi-testimoni sono rari, anch’essi, come altri scienziati,
sono vi>ime dell’eterno italico confli>o tra l’umanistica e la scienza, fra il filosofo e l’homo faber,
quest’ultimo fisicamente quanto mentalmente a>ivo. Anche se l’esiguo numero dei toscani in Italia
(circa 3 milioni) e la loro naturale tendenza a non emigrare, non contribuiscono a far conoscere tali
qualità in giro, né per mezzo del paragone, a dimostrarle ai toscani stessi; si aggiunga inoltre il fa>o
che una identità toscana si è andata, negli ultimi decenni, diluendo nell’omologazione causata dallo
sviluppo delle comunicazioni.
Sia linguisticamente, sia nel comportamento e nell’a>itudine mentale, il toscano si sta
uniformando, forse a scapito di tu>i gli italiani, con la maggioranza lombardo-romanesco-sicula alla
civiltà dei consumi che viene propinata non solo dai mass media, ma sopra>u>o dalle associazioni
sindacali, dai circoli culturali e dai partiti politici che mirano alla proletarizzazione della maggioranza
contadina, senza rendersi conto che solo questa è detentrice di una “cultura di popolo” tu>’altro che
subalterna, ma anzi di radice . Mentre è inevitabile e persino auspicabile che il contadino scompaia,
ciò non vuol dire che con esso scompaia l’unica cultura non subalterna capace di confrontarsi con
quella dei consumi indiscriminati ed acritici che sta diffondendo il capitalismo monetario per poter
crescere eliminando la saggezza.
Ad agire contro la “cultura di popolo” non subalterna non sono dunque soltanto coloro che ad
arte si prefiggono l’annullamento della capacità di pensare e di creare del popolo per stimolare il
consumo scellerato e acritico, ma, per ignoranza, anche coloro che intenderebbero stimolarla.
Tu>e le culture di popolo (o di radice) della Penisola e di qualsiasi altra regione del mondo,
corrispondano esse o meno a regioni amministrative, stati o nazioni, sono l’unica proprietà, l’unica
ricchezza dei popoli ed il loro unico strumento per difendersi dalle manipolazioni e per progredire.
La Cultura della Treggia o del Popolo della Treggia, è profondamente diversa da quella dei popoli
che la circondano geograficamente, ciò si palesa sopra>u>o con la cultura materiale, se non con quella
immateriale meno evidente e più discutibile. Non vi è dubbio che la cultura materiale della Toscana
del nord sia assai diversa da quelle circonvicine, che invece hanno tra di loro numerosi tra>i comuni,
dalle Alpi all’estremità occidentale della Sicilia, fa>a eccezione per la Sardegna che è culturalmente
una nazione a sé stante.
Per “cultura materiale” si intende tu>o l’insieme di ogge>i e strumenti dell’uso comune che
l’uomo spontaneamente produce per affrontare il mondo fisico ai fini della produzione e della
riproduzione (vedasi Jack Goody [2]). Questo insieme di ogge>i, tu>o o almeno in gran parte, varia da
zona a zona sia nello stile sia nella funzionalità in relazione a fa>ori assai complessi, spesso
imponderabili, che non possono essere spiegati dalla sola natura geografica di una regione, né dai suoi
eventi storici o dalla sua posizione topografica in rapporto ad altre regioni. Queste aree, o regioni
culturali, non devono, nella maggior parte dei casi, nulla alla storia o alla geografia ed a volte esse
esistono fin dalla più remota preistoria, come spesso testimonia anche la toponomastica.
La treggia, dicevamo, è uno dei prodo>i peculiari della cultura materiale della Toscana del
nord, fra questi il più curioso, forse il più carico di significati. La treggia, assieme a moltissimi altri
aspe>i della cultura materiale rifle>e altre>anto singolari aspe>i della cultura immateriale, che
parlano di una Toscana esistita da millenni, come area culturale a sé stante, isolata dal resto. Agli
albori della civiltà questa regione faceva parte di un mondo indo-mediterraneo, distinto da quello
indoeuropeo od eurasiatico. In seguito a movimenti e flussi migratori, fosse anche di sola natura
culturale e non genetica, l’Italia subì trasformazioni da rendere la penisola l’appendice più occidentale
del mondo balcanico, dinarico ed illirico, ma non così la Toscana se>entrionale, con parte l’Appennino
tosco-ligure-emiliano. L’Italia appare so>o questo profilo divisa in due mondi culturali, uno est
europeo ed uno di formazione più antica, indo-mediterraneo, che si estende dalla Toscana
all’Atlantico.
Non è così assurdo come può sembrare di primo acchito dire che mentre l’Umbria appartiene
al mondo est europeo, la toscana nord occidentale è parente stre>a della Provenza e del mondo
iberico.
In archeologia, veicoli uguali alla treggia si trovano sia nella regione caucasica, in Armenia ed
in Crimea, nelle Alpi Mari>ime e nella penisola iberica. Probabilmente, in un periodo difficilmente
databile della preistoria, esisteva una unità culturale dall’India al Portogallo; varie invasioni, di popoli
dell’Eurasia del nord, o della loro cultura, hanno nel tempo interro>o questa continuità lasciando
frammenti di testimonianze in Assam, in India occidentale, in Crimea, in Toscana, in Spagna.
La penisola balcanica e tu>a l’Italia, con l’esclusione della regione in ogge>o di questo saggio,
hanno evidentemente subito forti influenze esterne, determinate con tu>a probabilità da consistenti
immigrazioni di popoli provenienti dalle steppe eurasiatiche, probabilmente spinte da pressioni
demografiche nel cuore dell’Asia.
Non è improbabile che questa distinzione fra Toscana se>entrionale e il resto d’Italia, trovi la
sua causa nella diffusione delle lingue indoeuropee e nel caso specifico di quelle italiche alle quali
l’etrusco non appartiene. Si può dunque dire che la cultura toscana ha cara>eristiche pre-italiche. Le
note cara>eristiche linguistiche del vernacolo toscano, uniche in Italia, ma affini ad equivalenti
cara>eristiche del mondo atlantico, trovano una loro spiegazione in probabili sacche isolate di
sopravvivenze arcaiche ai margini geografici dell’Europa. Le cara>eristiche fonetiche che
accomunano Spagna, Portogallo, Irlanda, Gran Bretagna e Scandinavia e Toscana quali le aspirate, le
fricative e aspirate dentali, danno sostanza a questa argomentazione. Veicoli assai più simili alla
treggia toscana che non alla sli>a umbra si trovano in tu>e queste regioni, ed anche dal punto di vista
linguistico, i lemmi relativi a questi veicoli, sono chiaramente connessi con ‘tréggia’. Mentre la sli>a
italiana si chiama ‘lésa’ (dal francese ‘luge’ nell’Italia se>entrionale, e ‘tréia’ o ‘tràgula’ nell’Italia
peninsulare poiché assimilata alla treggia toscana. La treggia (non la sli>a a pa>ini) si chiama ‘dràg’ in
Gran Bretagna e ‘trékke’ o ‘drékke’ nei paesi scandinavi. Giacomo Devoto dava ‘treggia’ come
derivante da ‘tràha’ (latino per ‘sli>a’) e da ‘vèia’ (osco per ‘veicolo’) quindi ‘TRAHEIA’. Tu>avia
occorre tener presente l’antichità del tema ‘trahere’ e la sua vastissima diffusione in quasi tu>e le
lingue eurasiatiche: in greco ‘trahèia’ è, ad esempio, una strada o una superficie scabrosa, sassosa. La
connessione onomatopeica fra nome del veicolo e rumore da esso prodo>o è palese sia in ‘trahèia’e
‘treggia’ sia in ‘luge’, è evidente come quest’ultimo tipo di veicolo sia più ada>o a superfici lisce o non
sassose, come neve, sabbia, erba, fango…
La natura montuosa e collinosa della penisola italiana richiederebbe l’uso di un traino come la
treggia appenninica piu>osto che quello di una sli>a, certamente inada>a a terreni pietrosi come sono
spesso i terreni montuosi dell’Umbria, dell’Appennino centro meridionale e della Sicilia, dove invece è
in uso la sli>a.
Ma non è solo la treggia, come dicevamo, ad identificare la cultura di radice della Toscana,
aratri, carri, gioghi, capanne, metodi di coltivazione e di lavoro, vanno a completare il quadro della
cultura materiale della Toscana come i pezzi di un puzzle.
L’aratro tradizionale più cara>eristico della vecchia Umbria e della Val di Chiana, noto coi
nomi di perticaio, perticale o coltrina, è identico all’aratro più tipico e tradizionale del Carpazi,
mentre l’aratro più tipicamente toscano somiglia da vicino ai tipi del Mediterraneo occidentale e delle
grandi isole, Corsica e Sardegna. Queste differenze sono riscontrabili anche nell’arte preistorica e fra i
reperti archeologici.
Nella cultura neolitica di Tripolye, della Romania orientale e dell’Ucraina, sono presenti
modellini di sli>e con cestone, in terraco>a, in tu>o e per tu>o identici ai veicoli ancora in uso sia da
quelle parti sia in Italia. Si tra>a di veicoli sicuramente trainati da buoi di razza podolia (Oblanst,
Ucraina) alla quale appartiene anche la nostra chianina, una bestia giunta nei Balcani dalla Turchia
con i primi agricoltori e da qui portata in Italia da Italici e Umbri.
La radice culturale della Toscana, più antica di quella delle altre regioni della Penisola, dipende
forse dalla geografia, dal fa>o che gli Appennini tendono a fuorviare eventuali orde di immigranti
provenienti dal nord verso Ancona e da lì verso il Lazio e quindi l’Italia del sud, evitando la Toscana
se>entrionale. La differenza culturale che ne è risulta, ha posto questa regione in uno stato di continuo
stimolo e confronto con le culture circostanti, maggioritarie quanto simili fra loro. Questa circostanza
ha sicuramente generato uno spirito critico ed antagonistico nei confronti degli altri. E’ questo un
punto chiave dell’analisi culturale che tentiamo di fare.
In italiano, lingua assai ambigua, le parole cultura ed educazione hanno un significato diverso
da quello di culture ed education in lingua inglese. Per cultura si intende nozionismo a livello
individuale e per educazione si intende creanza, comportamento, quindi, la parola cultura ha un
significato ambiguo e quando si usa questa parola fuori contesto occorre spiegare in che senso la si
intende. L’Indio del Rio delle Amazzoni possiede una cultura – un suo modo di cacciare, di accendere
il fuoco, di cucinare, di parlare, di pregare ecc) mentre un impiegato di Monza, ad esempio, possiede
solo nozioni in un contesto culturale globale. Oggi si usa cultura anche nel senso antropologico, ma il
termine si abusa. Per fare un esempio chiarificatore: l’oppressione a cui la donna è sogge>a nel mondo
non europeo, non è un fa>o culturale, ma anzitu>o una questione di dislivello culturale e quindi di
arretratezza. La cultura è ben altro.
Cultura ed istruzione appartengono a due branche diverse e distinte. A scuola nessuno si è mai
fa>o una cultura, quella uno se la fa a casa, la scuola fornisce nozioni ed informazioni, queste si
aggiungono al bagaglio culturale che si acquisisce solo dalla tradizione.
La civiltà urbana industriale, sia essa capitalista o comunista, uccide la cultura sostituendola
con nozioni ed educazione, utili non all’individuo, al gruppo o alla piccola comunità a cui egli
appartiene, ma solo all’apparato economico dello Stato.
Scomparendo la cultura, viene a mancare una difesa essenziale per l’individuo come animale
sociale ed è il metro col quale misurare, valutare. Criticare ciò che gli viene propinato. Ne risulta il
caos, il consumo indiscriminato ed incontrollato dei beni o dei prodo>i che gli apparati economici
devono far consumare in sempre crescente quantità per mantenersi in esistenza.
L’individuo capace di critica è il più grande nemico della programmazione basata sulla
statistica e sulla previsione.
La cultura materiale serve anche a meglio chiarire, in termini geografici, l’identità di una
popolazione, a conferirgli un senso di appartenenza anche locale nell’ambito della nazione-stato,
quindi a fornirgli una visione del mondo e un’etica. Il valore delle regioni storiche dell’Italia è quello
di dare agli italiani una identità di gruppo che serve da base per la decentralizzazione del potere in
senso positivo, cioè nel senso di a>accamento al patrimonio materiale ed immateriale e alla sua
valorizzazione e tutela. Questa visione è stata espressa in un modo o nell’altro da Arbasino sul Corriere
della Sera, da Pasolini sull’Europeo, da Moravia sull’Espresso.
Occorre fare in modo che ognuno prenda coscienza della propria cultura come valore civile,
quasi come istinto di specie, per confrontarsi come parte di un gruppo, con altri gruppi in un fru>uoso
scambio di esperienze. In teoria tanto più vario è uno stato nazione tanto è più ricco e creativo. L’Italia
è, so>o questo profilo, assai fortunata, ossia lo era, poiché il regime fascista e quindi la televisione,
hanno fa>o tu>o quanto era possibile per annullare la diversità positiva e promuove una negativa
uniformità. Sia i regimi, sia le democrazie liberali monetarie, hanno bisogno di obbedienti acritici,
senza i quali non possono crescere.
Invece, ogni regione, ogni particolarità culturale regionale, dovrebbero avere una loro
università dove l’insegnamento avvenga entro i canoni e i termini della particolarità locale, ma con un
ampio sguardo sulla globalità come confronto.
La cultura della treggia, matrice dei più importanti stimoli culturali che hanno segnato il
divenire storico dell’Italia, è solo una delle tante culture italiane, di pari forza, ma più o meno favorite
dalle circostanze ora storiche ora geografiche. Non lasciamo che il consumismo distrugga la nostra
particolare capacità di giudizio e di critica, il nostro gusto, il genio che ha contraddistinto la nostra
regione nei secoli.
E’ dal 1964 che assieme a vari amici e collaboratori mi sono dedicato allo studio della cultura in
Toscana nell’ambito della Penisola e dell’Europa. Dall’esplorazione archeologica della Provincia di
Firenze, ad uno studio storico, geografico ed archeologico di un’area comprendente qua>ro comuni a
sud di Firenze, da qua>ro anni studio e lavoro in Inghilterra dove ho la possibilità di dare un senso al
materiale raccolto durante gli scorsi dieci anni in Italia e di farlo conoscere a chi può meglio
comprenderlo.
Ogni anno, assieme ad altri, si organizzano campagne di ricerca che includono anche la
topografia storica del Comune di Bagno a Ripoli e quelli limitrofi. Un mio esauriente articolo sulla
materia qui tra>ata ed in particolare sulla treggia, verrà pubblicato sul N°2 di Archeologia Medievale,
la rivista del Prof. Riccardo Francovich. Una presentazione fotografica sulla topografia storica del
territorio a sud di Firenze, preparata con altri contributi, comparve nella mostra “Documentiamo
Firenze e la Toscana” 1975, che si tenne in Palazzo Vecchio a Firenze.
[1] Edward B. Taylor, Primitive Culture 1 (3d ed. 1889).
[2] Goody, J. (1976) "Production and Reproduction: a Comparative Study of the Domestic Domain" Cambridge
University Press, Cambridge.
Giovanni Caselli (Istituto di Antropologia di Gran Bretagna e Irlanda)
65 Teddington Park Road
Teddington – Middlesex
Inghilterra 1974