GianniDore
SAGGI DI CULTURA MATERIALE
DELLA SARDEGNA RURALE
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MISCELLANEA
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Bologna 1996
INDICE
Nota bibliografica
La Mbcdlanea non costituisce pubblicazione autonoma. In essa vengono collezionati saggi scritti nel cono di
diversi anni, editi in riviste o volumi coUettivi di non facile reperibilità.
Fonti degli articoli.
1. R ciclo del maiale domestico a Torralba, "Bollettino del repertorio e dell'Atlante
demologico sardo (BRADS)". 1979-80, o. 9, pp. 71-79;
2. R carro a buoi, in F. Maoconi-G. Angioni (a cura), Le opere e i giorni, Silvana editoriale,
Milano 1982, pp. 223-238;
3. Falegname e mastro carraio, in F. Manconi (a cura), Il lavoro dei Sardi, Edizioni Gallizzi,
Sassari 1983, pp.224-237;
4. I lUfJghi della produzione artigianale, io G. Angiooi- A. Saona, Sardegna, Coli.
L'Architettura rurale, Laterza, Bari 1988, pp.142-152;
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5. L'Artigianato. Tradizione e Innovazione, io A. Oppo (a cura), La Provincia di Oristano. Il
lavoro e la vita sociale, Amilcare Pizzi ed., Quarto S.Eleoa (CA) 1991, pp-70-89.
GIOVANNI DORE
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IL CICLO DEL MAIALE DOMESTICO A TORRALBA
IL CICLO DEL MAIALE DOMESTICO A TORRALBA
Giovanni Dare
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(quando c'è il maiale, la casa è piena).(!J Con tutti i
suoi molteplici prodotti assolveva a un ruolo essenziale, vitale all'interno dell'alimentazione tradizionale:
L'utilizzazione del maiale domestico all'interno
dell'economia tradizionale configura l'esistenza di un
ciclo che dall'acquisto o riproduzione porta, attraverso l'allevamento domestico, alla lavorazione e
preparazione delle diverse parti della bestia, minuziosamente diversificata e dettagliata, secondo una
secolare somma di esperienze, per aderire alle caratteristiche di un consumo familiare, duramente limitato quantitativamente e qualitativamente, rigidamente condizionato dalla precarietà e arretratezza
delle condizioni materiali di produzione. La persistente rilevanza dell'allevamento del maiale domestico, fino approssimativamente alla fine degli anni
'40, ha prodotto un siStema di cognizioni, di com·
petenze, abilità tecniche, differenziazione di lavorazioni e di corrispondenti prodolti, un complesso di
credenze ed usanze, un reticolato di relazioni sociali
e di transazioni, oramai scardinato e disperso dal
tracollo delle attività produttive tradizionali e dei
rapporti di produzione e legami sociali ad esse connessi, in conseguenza della piena espansione e diretta dominanza dei rapporti di produzione capitalistici.
La descrizione delle attività e dei rapporti formatisi intorno alla sequenza allevamento-lavorazioneconsumo nella località di Terralba, villaggio di circa 1200 abitanti situato ai confini meridionali del
Logudoro, nella zona detta Meilogu, pur con le sue
peculiarità, coglie un fondo comune esteso in tutta
l'isola.{'J
Limportanza del maiale domestico all'interno
di un consumo familiare, dipendente dallo stadio
arretrato delle forze produttive e della divisione del
lavoro riscontrabile a Terralba nella prima metà di
questo secolo, è efficacemente espresso nel motto
popolare kandu b'elthe su pohhu sa domo セ@ prena,
C'era la miseria veramente. Era un periodo veramente
brutto. Non c'era possibilità né di lavoro, né di niente, di
salvarsi la famiglia. La giornata era di tre lire al giorno,
non c'era scampo, non c'erano pensioni, non c'era niente,
E cosa potevano rare? li maiale era tutlo, perché il maiale
quando lo ammazzavano serviva per lutto l'anno.
Va precisalo che il limite cronologico delle informazioni acquisite per questa sommaria ricostruzione è rigidamente determinato dai confini della
memoria degli informatori: si estende approssimativamente dall'inizio del secolo all'inizio degli anni
'50.Pl Nell'esposizione seguiremo, per quanto possibile, l'effettiva successione temporale delle diverse
fasi ed operazioni.
1. L'allevamento brado.
La prima fase dell'allevamento generalmente si
collocava a monte dell'acquisto, sfuggendo dunque
al controllo familiare. I maiali venivano allevati
nei salti circostanti il paese, se di proprietà di pastori e porcari (generalmente l'una e l'altra cosa
insieme) originari di Terralba, o nelle campagne di
Mores e di Thiesi, dove esistevano ricchi e numerosi allevamenti suini. A Terralba, fino alla seconda
guerra mondiale, vi erano una cinquantina di pa. stari-porcari che vendevano annualmente i loro maiali alle fainiglie del paese. Questa fase era carette-
(I)
Torralba セ@ paese agro-pastorale, con prevalenza dei contadini sui pastori. Nella prima metà del secolo era caratteriuato da un forte reticolato di piccola proprietà a conduzione diretta; diffusi erano i rapporti di affittanza e mezzadria. Esistevano solo alcune grandi proprielà sui 300400 ettari (grandi in relazione all'estensione della proprietà
media: dai J ai 5 ettari). li paese, situato sul tracciato della Carlo Felice, ultima Importante stazione di pos!a
prima di Snssari, era esposto a notevoli infiltrazioni culturali; era anche oggeuo di immigrazione da parte di famiglie pastorali provenienti dagli altipiani.
(2)
Per quanto riguarda la grafia ci siamo attenuti al sistema di trascrizione semplificato indicato in E. DELITALA,
Come /ore ricerco. sul campo, Cagliari, Edes 1978.
(J)
Si è adottato il metodo delle interviste libere (in numero di 10) coadiuvato da numerosi colloqui semi-occasionali
resi possibili dalla familiarità con il paese. Gli infonnatori, lutti al di sopra dei 60 anni, rappresentano i diversi
strati sociali e le attivilà produttive esislenti nel paese.
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G. DORE
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IL CICLO DEL MAIALE DOMESTICO A TORRALBA
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in natura (per quanto i rapporti mercantili fossero
ormai dominanti verso l'esterno). Il maiale veniva
generalmente pagato in natura, a s'inkundza, al momento de[ raccolto, tra luglio e agosto, o con l'offerta di giornate di lavoro, con il sistema a kambiu, nei
momenti nevralgici del processo produttivo agricolo
o di quello pastorale. L'entità del pagamento veniva,
dunque, stabilita in rapporto al peso del maiale, secondo il valore corrente della giornata lavorativa o
di una detenninata quantità di prodotto (per un
mD.iale di l /cantare, circa 40 Kg., si corrispondevano fino a 14 kovufas de trigu, circa 14-0 Kg. di
grano).
L'allevamento domestico del maiale seguiva,
dunque, il ciclo stagionale dell'abbondanza e del·
l'indigenza: veniva· generalmente acquistato tra aprile e luglio, al massimo agosto, per poter usufruire
della stagione dei raccolti. In qualche caso veniva
comprato -a dicembre, dopo l'uccisione del precedente, ma da famiglie con possibilità economiche superiori alla media; che potevano sostenere un notevole
prolungamento del periodo d'ingrasso.
Al momento dell'acquisto avveniva sa kalthra·
dura, la castratura, operazione essenziale per la buona riuscita dell'ingrasso.
rizzata da una grande mobilità dell'animale e da
un'alimentazione differenziata rispetto al successivo
periodo dell'ingrasso. L'alimentazione comprendeva
erba e bacche selvatiche (soprattutto ghiande), frutt2 (specie figu de indria, fichidindia), avanzi di cibo, ricotta, alimento vietato durante l'ingrasso, e sa
gioita, il residuo della lavorazione del formaggio.
2. L'acquisto
Fino alla seconda guerra mondiale venivano posti all'ingrasso, a Terralba, fino a 200 maiali.<'1 Negli anni successivi il numero è progressivamente calato fino a stabilizzarsi intorno alla ventina. Benché
la maggior parte degli Informatori tenga a sottolinea·
re che «dappertutto c'era il maiale, non c'era casa
dove non ci fosse», in realtà capitava che le famiglie
più povere per più di un anno rimanessero senza,
segno questo di estrema povertà (no ana manku su
pohhu, «non hanno neppure il maiale»). Il modo
per sfuggire a questa vera e propria sciagura ed
aggirare la precarietà di risorse disponibili consisteva
nello stringere un accordo a komune con un'altra
famiglia: una famiglia comprava il maiale e corrispondeva un determinato quantitativo di raccolto
(sette hovuras· de ltrore, o de fae o de trimorihhu
·sette ceste di grano, o di fave o di granturco, corrispondenti a 70 kg., per un maiale di medie propor·
zioni, intorno agli anni '20), l'altra lo prendeva in
custodia per allevarlo e ingrassarlo. La divisione avveniva in parti uguali («mattadzu, laldhu, odzu, pelta, tottu a komune. Tutto si divideva in parti uguali,
finché ce n'era si divideva>>). Solo 1 benestanti (proprietari di terre o allevatori, ma anche qualche artigiano e commerciante) potevano permettersi di allevare più di un maiale. Il verre per la monta veniva preso in prestito, anche fuori del paese, per
esempio a Thiesi; la prestazione veniva ripagata a
kambiu, con la corresponsione di giornate di lavoro,
o almeno con l'invio in dono di parli del maiale
macellato.
Le forme di pagamento erano a Terralba tipiche di un assetto economico basato sulla piccola produzione, sull'integrazione locale dé1 diversi settori
produttivi, sulla presenza all'interno di ogni processo lavorativo e tra comparti differenti dello scambio
(4)
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J. L'a/levaniento do1nestico.
Il maiale domestico (su pohhu 1nannale, o anche solo su man11ale) veniva usualmente tenuto dalla maggior parte delle famiglie nel ristretto ingresso
o·nella grande cucina (in genere l'unica stanza della
casa) in un angolo apposito, su logu 'e su pohhu,
legato con una catena di ferro. Mangiava e beveva in
sa pikka, una pietra di I11va vulcanica (pedra fumighe) di forma concava, che spesso non era altro che
la vecchia macina del grano, sa mo/a, ormai in disuso, posta a cono rovesciato. Solo i benestanti o il
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possedevano una stalla o ·un cortile nel quale
tenere il maiale. In seguito, con il progredire delle
condizioni abitative, con il dilatarsi della vecchia
abitazione elementare, venne tenuto nel cortile insieme con gli altri animali da allevamento domestico.
In questo periodo erano decisive l'immobilità e
l'alimentazione, nella sua varietà e differenziazione
in rapporto alla distanza temporale dal momento
Sarebbe possibile ricostruire in maniera abbastanza precisa, seguendo le variazioni anno per anno, il numero dei
maiali posti all'ingrasso con lo spoglio dei bollettini dei dazi e i registri del bestiame. Per l' '800 rimane un solo da!o,
allcstato per il 1838, che fornisce la cifra di 60 maiali domestici (279 famiglie) e 400 porci ad allevamento brado.
Vedi ANGIUS-CASALIS, Dizionario geografico storico statislico commerci.aie degli Stati di SM. il Re di Sardegna,
voi. X, Torino 1842, p. 308-
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BRADS 9
dell'uccisione. L'obiettivo era quello di permettere
la massima produzione di lardo e di grassi. L'alimentazione si componeva di tre tipi fondamentali di cibi: avanzi dell'alimentazione quotidiana della famiglia (su 1nannale permetteva il riciclaggio di quasi
tutti i rifiuti, era la «pattumiera» della famiglia), residui di lavorazioni appartenenti ad altri cicli produttivi (fave, granturco, residui delle lavorazioni dei
caseifici della zona, scarti dei raccolti della frutta di
stagione), prodotti di raccolta (erbe e arbusti selvatici, specie su giuru, l'apio selvatico acquatico, ghiande, venivano raccolti dai bambini o dagli uomini durante il ritorno dal lavoro in campagna).
Sa massaia, la padrona di casa, preparava s'impalthada, impasto composto di ghiande, fave, granturco, crusca, avanzi. Negli ultimi mesi l'alimentazione diveniva più controllata, più accurata. Al
maiale si dava in abbondanza granturco, per rasso·
darlo. Negli ultimi giorni s'impalthada diventava
più liquida, vi comparivano in abbondanza erbe e
papaveri, perché il mai_ale si gonfiasse. Infine, il
giorno prima dell'uccisione veniva lasciato a digiuno
o, al massimo, nutrito solo con erbe.
Durante tutta questa fase la responsabilità della cura de su mannaie ricadeva sulla padrona di casa:
pulizia e alimentazione della bestia rientravano all'interno delle sue attività giornaliere, si inserivano
naturalmente nella quotidiana -ripetitività delle operazioni domestiche. La partecipazione dell'uomo diventava più attenta e sollecita nella fase immediatamente precedente ali 'uccisione.
La malattia o il cattivo ingrasso del maiale venivano attribuiti all'effetto del malocchio. Qualcuno,
o per invidia o per averlo semplicemente guardato,
poteva aver gettato s'oiu; lo stato di tensione e di
timore connesso alla necessità di salvaguardare un
bene d'importanza vitale per la sopravvivenza della
famiglia, mancando il quale il fragile equilibrio delle
risorse possedute sarebbe stato pericolosamente sconvolto, produceva antagonismo e diffidenza. Si met·
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in moto pratiche difensive: si evitava di «far
vedere» il maiale, per non esporlo alla gelosia o all'involontario «colpo d'occhio». Se qualcuno aveva
gettato s'oiu, la famiglia Hウッーセ。エオ@
la donna, precisano gli informatori) ricorreva quasi sempre a sa
maiasa, la fattucchiera, che praticava sa meighina 'e
s'oiu, una, due Otre vOite a seconda della forza del
malocchio. Solitamente sa meighina consisteva nel
(5)
bruciare o ridurre a poltiglia un lembo di stoffa appnrtenuto al supposto autore del danno e nel farlo
bere al maiale in un infuso.
La necessità di una cura quotidiana, la convivenza nella stessa stanza, soprattutto l'indispensabilità de su mannaie, creavano una consuetudine tra
la famiglia e il proprio maiale, per cui questo veniva
quasi considerato un componente della famiglia, an·
che se a Torralba non accadeva, come invece è ·segnalato per altre località (Seui), che venisse chia·
1nato famigliarmente porku, abolendo l'articolo, come fosse un non1e proprio che indicasse un membro
della famiglia.I'!
4. S'okkidura, l'uccisione.
Il periodo usuale per l'uccisione si collocava tra
l'ultima settimana di novembre e le prime due di
dicembre, con l'apertura del periodo della carenza
invernale e il sopraggiungere del freddo necessario
per la conservazione dei prodotti derivati. Le due
scadenze preferite a Terralba erano il 29 novembre,
a Sant'Andria, e 1'8 dicembre, per l'Immacolata Concezione, quando avvenivano vere e proprie uccisioni collettive. Anche sulle scadenze prescelte pesava
l'ipoteca delle differenze sociali: le famiglie più povere spesso dovevano ucciderlo ben prima, mentre
a Pahha Nodale, a Natale, セャGッォゥ。@
solu dzente ki
podia», lo uccidevano solo i benestanti. Costoro potevano uccidere un maiale anche in gennaio; ma
questo voleva dire, generalmente, che ne avevano
già ucciso uno in precedenza. Su mannaie poteva,
anche, essere ucciso in scadenze diverse, per ricorrenze o avvenimenti particolari (tappe della vita, ad
es.), purché si verificassero naturalmente entro un
momento accettabile della fase d'ingrasso.
La decisione di ammazzare la bestia veniva presa con un certo anticipo, perché era necessario compiere dei preparativi preliminari, in cui erano impegnati uomini, donne e bambini. L'insieme delle
operazioni richiedeva una concentrazione di sforzi
in un numero di giorni limitato, di solito .non supe·
riore a tre, realizzabile solo con l'interscambio di
lavoro, e metteva in moto una codificate ripartizione
di funzioni per sesso, classi d'età e abilità individuali.
Nei giorni precedenti il padrone di casa avver·
tiva compari, parenti ed amici e, in particolare,
Si tratta di un uso attestato anche per le popolazioni e1nologiche: Ira i Mclanesiai:ii il maiale veniva considerato un
componente ufficiale della ramiglia e aveva un proprio nome individuale. crr. V. LANTERNARI, La. festa dei
maiali, in cSMSR11, 1959, voi. XXX, fase. I, pp. 15--61.
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G. DORE
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IL CICLO DEL MAIALE DOMESTICO A TORRALBA
di in1precisione. Una volta estratto il punzone di
ferro, si inseriva immediatamente nel foro su puntsone de linna, di legno, per tamponare la ferita.C•J
Negli anni '30 a questo metodo si affiancò, per
poi soppiantarlo definitivamente in questo dopoguerra, s'okkidura a ipognoladura, cioè la recisione de
s'e11a russa, la vena iugulare, con un pugnale. L'innovazione, introdotta da uno degli esperti (informatore
in questa ricerca), non mancò di scontrarsi con le
diffidenze e le resistenze di chi era legato al metodo
tradizionale, tant'è che, a tutt'oggi, nel paese le opinioni sulla bontà ed efficacia dell'uno o dell'altro sistema sono ancora divise. Anche se la disputa è oramai accademica, dal momento che sempre più spesse oggi si utilizza la pistola.
A Terralba, durante l'uccisione, a memoria degli infonnatori, non vi era alcun divieto alla presenza delle donne o dei fanciulli (se si eccettua la proibizione delle donne durante il ciclo mestruale, rigo·
rosamente osservata anche nella fase della confezione dei prodotti). Anzi, la presenza dei bambini
era desiderata: ad essi si dava scherzosamente la
punta delle orecchie e la parte terminale della coda,
il che aveva probabilmente in passato un preciso
valore sitnbolico, di cui si è perso il ricordo.1'1
prendeva gli accordi con un uomo esperto nell'uccisione: si creava, cosi, un clima di eccitazione e di
aspettativa, di preparazione ad un lavoro collettivo.
Il giorno prima il maiale veniva accuratamente lavato dalla massaia, mentre i bambini raccoglievano
il materiale necessario per bruciare le setole. Uomini e donne predisponevano strumenti, mezzi di lavoro, contenitori necessari per le lavorazioni. A Torralba vi erano cinque o sei uomini particolarmente
abili nell'uccisione. Chiamati da diverse famiglie,
arrivavano ad uccidere anche 20 maiali nel corso di
una giornata. Per l'opera prestata venivano ricompensati con la prima confezione dono, contenente
parti del maiale, o a kambiu, con la restituzione
dell'aiuto o nella preparazione dei prodotti del maiale dell'esperto o nei lavori agricoli o con la fabbricazione o riparazione di strumenti di lavoro, se chi
aveva beneficiato della prestazione era un artigiano.
Il maiale solitamente veniva attirato all'aperto
dalla massaia, che aveva più lunga consuetudine
con la bestia, resa diffidente dal clima di insolito
movimento ed eccitazione che si creava intorno
(«sembrava che sapesse che doveva essere ammazzato»). Veniva afferrato da più uomini, legato per le
zampe, rovesciato a terra e immobilizzato, per permettere all'esperto di vibrare il colpo mortale.
L'esperto, per propiziare il buon esito del colpo,
tracciava sull'animale il segno della croce, gesto che
accompagnerà da questo momento l'inizio di ogni
lavorazione. Il metodo più antico d'uccisione, che
gli informatori ritengono si sia estinto nel secolo
scorso, consisteva in un colpo di mazza inferto alla
nuca. In seguito venne sostituito da un unico colpo
vibrato con decisione a su koro con su puntsone de
/erru, un sottile punzone di ferro lungo una quindicina di centimetri; la mazza continuò per un certo
tempo ad essere usata per finire la bestia in caso
5. S'usciadura, la bruciatura delle setole.
Per questa operazione si preparava un materiale apposito, s'usciadrinu, composto da arbusti secchi, adatti pro alluindzare, per accendere il fuoco:
s'ihharku, l'asfodelo, su ardu andzoninu, il cardo
selvatico, cibo usuale degli asini, su mudeiu, il cisto.
S'usciadrinu si disponeva sotto e ai lati del maiale
e si assestava per bruciare accuratamente sas tuddas,
le setole, manovrando su triuttu, il tridente, e sa
fohhidda, il forcone.
(6)
La diffusione del metodo d'esecuzione con la maxui. in pll.SSll.tO era universalmente diffusa. E' documentata anche
Ira le popolaziÒni della Melanesia durante le uccisioni rituali collettive, v. LANTERNARl, cit., p. 27.
La coesistenza dell'uso dei due strumenti, pugnale e punteruolo, è segnalata per il Veneto da C. CORRAlN e
P. ZAMPINI, Costumanze popolari su/l'uccisione del porco nel Veneto. in Atti del Con11egno di Studi sul Polklore
padano, Modena 1963, pp. 113-126.
(7)
Nel Veneto le unghie erano oggello di riti di preservazioni.::, eseguiti con varie modalità, per favorire l'entrata e il
buon ingrasso del futuro maiale: venivano gettate dai fanciulli nel veechio porcile, o seppellite nei pressi o lanciale
sopra la casa. Vedi C. CORRAIN e P. ZAMPlNI, cit., p. 118. Per que.nto riguarda la presenza femminile e infanlile
durante l'atto dell'uccisione i comportamenti erano differenziati: secondo i suddetti autori nel Veneto vi ere divieto
per le donne (tranne che per la padrone di casa). ma non per i fanciulli, mentre in Calabria questi ultimi venivano
si riteneva che la loro
esclusi. Contrastanti anche in Sardegna: a Seui i bambini non potevano assistere, ー・イ」ィセ@
facilità ad impietosirsi avrebbe ritardato la morte (veniva però fatta un'eccezione per i figli dei pastori, per i quali
l'esigcnzn di perfezionarne I'apprcndistalo nel mestiere prev:Jleva sul divieto). La presenza infantile era inibila anche a Fluminimaggiore; a San Vito si nega la esistenza di un simile divieto, ma le donne si allontanavano durante
l'esecuzione nella maggior parie dei casi.
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BRADS 9
(•
piusu de sos atteros», «il mio pesa più degli altri»).
L'esposizione sembrerebbe, così, diventare attestazione del proprio benessere, della propria riuscita,
concretizzata nel buon esito dell'ingrasso, in un confrolll.o polemico con gli altri, sdrammatizzato nel carattere scherzoso delle scommesse. Alla tensione e alla
paura precedenti si sostituisce la certezza di aver
superato rischio ed insidie, la sicurezza di aver p.ortato a buon fine il prodotto e di poter affrontare la
penuria invernale; l'esposizione pubblica e liberatoria sembrerebbe contrapporsi alla chiusura e alla
cautela difensiva nei confronti della invidia, che avevano caratterizzato il periodo precedente.
,..-, 1 rr11tsig,aclura, la raschiatura della pelle.
r le1po ,,··asciadura la pelle veniva strofinata,
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• si versava sopra acqua calda, con una
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1i11/u.: o con una lama senza filo o con sa
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' un coltellaccio a due impugnature, solitaI1111111 Il'' •
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per tagliare il sughero.
S'rl/'/'ikka1fura a s'ihhala, la sospensione ad una
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Il 1111 1i11lc veniva sospeso a testa in giù, legalo
J'l'i· h• :r.11n1pc ーセウエ・イゥッ@
ad una scala a pioli,_ spesso
l't.'i<lnrlln uppos11amente; stretta per consentire alla
l•l'.<.lln tll debordare e lasciare libertà di manovra dun.•n!i• lu svcntrnmento e il taglio, Ieggennente incur,·nlil pt·i· soslcnere il peso e costruita con legno duro
huo • odzalthru, olivastro, kehhe, quercia).
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11 ffiu11co nll'ingresso, a//aku a su gianni/e, per
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r11ni:.l,,,,Ju unch'esso da laborator10. a potre e anchi• rnlcn: In pena di chiedersi se, oltre al motivo
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C\'.lll 1111 11pprofondimento ulteriore della ricerca. Il
s':i:.nit'h:nto ostentativo sotteso all'esposizione potrebセ@ rul·1,.:op:licrc indizi in usanze concomitanti. Gli
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p:ir11vnno per il paese, da una karrela (la strad;t\ nll'n\lrn, do una casa all'altra, pro faghere sa'
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per ウ」ッュ・セエイ@
sul peso maggiore o
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in palio, per chi
più セゥ@ !\\•vicino.va al peso giusto da indovinare o per
chi ;l\'Cl'il il 1110.iale più pesant.e, una posta di valore
sinlt-..11ico, o s'ipinu (v. oltre) o, scherzosamente, sas
un.,,..:_iiJs de s11 111annale, le unghie del maiale, o un
セャG|NQ@
Alla 、ゥカ・セ。@
mole del maiale ve0 uno. 「セカオエXN@
nÌ\';1111.l doli una rilevanza e un riconoscimento pubblki. in un rnffronto competitivo («SU meu pesa
8. S'af/adadura
Il maiale veniva tagliato in due (alladadura) con
un lungo taglio eseguito secondo una tecnica precisa con su bultheddone, dopodiché si procedeva a
s'immattadura, allo sventramento ed estrazione di
tutte le frattaglie. Con questa operazione si concludevano ·1e operazioni di competenza maschile compiute nella prima giornata. Spettavano, invece, alle
donne Ja preparazione del sangue, raccolto immediatamente dopo l'uccisione, e il suo condimento, e
sa pulidura de s'ilthentina, degli intestini.
Tutte le operazioni finora descritte venivano,
dunque, eseguite nella prima giornata, quella dell'uccisione.
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9. S'ispoddzadura, la lavorazione dell'animale ma-
cellato.
A carne fredda e asciutta, solitamente l'indomani, gli uomini procedevano al taglio delle carni e
all'estrazione del grasso e del lardo. La separazione
ed estrazione dei differenti pezzi richiedeva tecniche
diversificate in relazione sia alle peculiari caratteristiche e alla loro posizione anatomica, sia in rapporto alle tradizioni delle confezioni e del consumo locale. S'ihhina, il dorso del maiale, veniva tagliato
anche in 20 pezzi diversi, che venivano chiamati
sos ipinos (s'ipinu -indicava anche l'intera regione
dorsale, cosl come il dono cerimoniale). Gli altri
pezzi venivano separati a tiradura, con un movimento a strappo, che permetteva di separare il lardo
come pezzo intero.
10. Confezione delle diverse parti del maiale.C•J
Le diverse parti possono essere "distinte in 4 categorie in rapporto alla possibilità di セョウ・イケ。コゥッZ@
Non 、セウ」イゥカュッ@
caralferisliche dci prodolli e moda!ilà di eonrczione, ョセ@ strumcnli e contenitori usati. Rimnndiatuo per questo a c. RAPALLO e A. LECCA, Motodi tradizionali di t:011ser11uziune delle carni in Sardegna, nel preウセョエ」@
numero del cBRADS». Ci limitiamo nd elencare i diversi prodoui, che si usava confezionare nel paese ..
76
IL CICLO DEL MAIALE DOMESTICO A TORRALBA
G. DORE
セM@
Mセ
a) prodotti a consumo immediato, senza possibilità di conservazione (fino a 7-8 gg. al massimo):
sa koa, sas oriyas, su konkale, su san1bene primasu,
su sambene, sa tultha, sas beldas.
1 I.
All'interno del complesso di attività che gravitavano sull'uccisione de su manna/e è possibile tracciare una linea sufficientemente netta di separazione
tra operazioni e competenze maschili e femminili.
Okkidura, usciadura, arrattsigadura, alladadura, appikkadura, ipoddzadura, si collocavano decisamente
sul versante maschile della divisione sessuale del
lavoro: questa precisa demarcazione è sottolineata
eia una informatrice: «no' la keriana a sas femminasu, non volevano le donne.
Le altre operazioni, e in particolare la confezione e conservazione dei prodotti, erano solitamente
compiute dalle donne; in questa fase l'uomo interveniva in s'assaddzadura, ['assaggio del sangue condito
e degli insaccati, e dava il suo giudizio sul sapore e
la gradazione dei diversi ingredienti. In genere, la
rettifica avveniva dopo una consultazione collettiva
delle persone impegnate nella lavorazione. Sembre·
rebbero esserci delle operazioni di confine, segnate
da una partecipazione indistinta, come il taglio in
strisce e, poi, in piccoli pezzi della carne occorrente
per la salsiccia: molti uomini dichiarano di essersi
impegnati in questa operazione dai tempi lunghi, che
spesso si protraeva fino a notte inoltrata, Ma il com·
mento di un'informatrice («sos homines si 'nde ifiliana», «gli uomini si stufavano») sembra rivelare
un'attribuzione femminile. Anche lo spazio utilizzato
come laboratorio sembra - almeno in buona misura - potersi ripartire in maschile (quello esterno),
femminile (quello interno). All'interno dei distinti
gruppi di lavoro vi erano una gerarchia e una differenziazione di competenze e abilità con proprie modalità di apprendistato; al padrone di casa e a sa
massaia spettavano il controllo e la direzione dei
rispettivi gruppi.
b) prodotti a consumo ravvicinato, con breve
fase di conservazione (entro i 15 gg.): su olthadu.
c) prodotti con conservazione a tempo limitato
(fino a 2 o 3 mesi): konka in kascitta.
d) prodotti a lunga conservazione (fino a un
anno o anche più nel caso del prosciutto): sas karrugas, sas koltheglias, sas barras, sos ossos, su
laldhu, su lafdhittu, s'odzu pohhinu, sa safsittsa e
su prosciuttu (la cui confezione non era usuale, ma
limitata ad alcune famiglie provenienti da Fonni e
Ovodda).
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La di11isione sessuale del lavoro.
Queste confezioni erano compiute fondamentalmente dalle donne.
Nella attività di preparazione e conservazione
dei prodotti, le tecniche e le abilità dispiegate venivano strettamente connesse con pratiche magiche;
le une e le altre venivano considerate ed eseguite
come momenti indispensabili, come operazioni ne·
cessarle di un'unica sequenza tesa al raggiungimento
della riuscita del prodotto, fino a ritenere che non
un errore tecnico, ma l'inosservanza della pratica
magica avesse determinato il fallimento della conservazione. Non si affrontava né la salatura del lardo,
né la conservazione della salsiccia o del prosciutto
se non in assenza di luna. La luna doveva essere nascosta o tramontata (a lun'intro) o dopo il plenilunio (a luna 'ettsa, a luna v_ecchia): «se c'era la luna
non si faceva, se no metteva i vermi», «Se uno salava a luna pittsinna fi' soggettu a si gualthare su
laldhu», «Se uno salava durante la prima· runa il
1érdo si guastava», «dovìa essere sa luna sua». La
credenza veniva considerata valida anche . per la
scelta del te"mpo dell'uccisione (anche se in realtà
contavano altri fattori e condizioni materiali e sociali).; si diceva: ᆱセ。@
luna セ@ bendzende 'ene, è tempu
de okkire sos porkos1>,· «la luna sta venendo bene,
セMエ・ューッ@
di uccidere i maiali». E la Credenza magica,
avversata dai parroci del paese che consigliavano di
sostituirla con delle preghiere, veniva «cristianizzata» con il detto «Deu, kandu è nahhidu, ne sole ne
luna ha bidu», «Dio, quando è nato, né sole, né
luna ha visto», palese tentativo di gettare un ponte
nei confronti della religione ufficiale, per ottenere
la legittimazione di una pratica alla quale non si
voleva rinunciare.
Altre attività non direttamente produttive paiono esclusivamente prerogativa maschile. Uomini e
donne sembrano combinare diversamente comportamento rituale e festivo con l'impegno lavorativo. Determinati consumi immediati venivano compiuti dagli
uomini, contemporaneamente, o quasi, alle attività
lavorative. Sa koa e sas oriyas, abbrustolite dalla
fianlDla de s'usciadrinu, venivano sgranocchiate all'istante. Vi era il consumo rituale de su /idigu kruu,
del fegato crudo. Anche su konkale, parte facilmente
deteriorabile, veniva colla e consumata immediatan1ente (fino agli anni '30, quando casari e lavoranti
nei caseifici Galbani introducono l'uso della testa
in cassetta). Su sambene primasu, sanguinaccio speciale, confezionato per primo con il primo sangue
sgorgato, dello su primu latte, condito con sale e
77
BRADS 9
nos inviati era già incorporata la posizione occupata
dallo. famiglia nella stratificazione sociale del paese,
il grado e il valore della relazione che il dono sanzionava. S'ipinu poteva contenere solo la braciola
tagliala dalla parte dorsale (dalla quale prendeva il
nome l'intero dono), ma anche parti delle frattaglie,
parti di sanguinaccio, secondo una gradazione complessa, che si stabiliva in genere sulla base di «Ur!,'intesa tacita» tra marito e moglie. Chi confezionava
s'ipinu era la padrona di casa, ma fondandosi su
una conoscenza implicita della scala gerarchica di
relazioni che la famiglia intratteneva con l'esterno.
In ogni caso vi era un controllo reciproco; poteva,
anche, capitare che, per aggirare un disaccordo nelle valutazioni, la massaia inviasse s'ipinu di nascosto
dal marito.
Questa forma di scambio aveva probabilmente
una sua razionalità economica intrinseca, consentendo una redistribuzione e consumo dilatalo nel tempo
della carne, con il risultato di evitare possibili sprechi e di operare un intervento equilibratore sulla
dieta quotidiana; ma ciò non esaurisce certamente
significa.lo e portata dello scambio. Questo canale
di scambio di cibo non aveva una sua reale autonomia, poiché era inserito all'interno di un sistema di
scambi e di rapporti più ampio e complessivo.
Il passaggio del dono secondo un movimento
orizzontale, indicativamente a parità di livello, rispettando i rapporti di parentela, comparatico (primo fra tutti_ il compare di battesimo), vicinato, serviva verosimilmente a confermare la propria disponibilità a garantire la continuità e riproducibilità dei
rapporti di cooperazione produttiva, di scambio reciproco e paritetico di prestazioni di lavoro, necessario per il compimento di tutte le operazioni fondamentali nei vari momenti dell'annata lavorativa,
agricola o pastorale, per consentire l'integrazione e
la circolazio.ne di prodotti tra settori diversi della
divisione locale del lavoro, per assicurare l'espletame.nto delle attività produttive più impegnative che
si svolgevano nello spazio domestico («da sole non si
potevano fare, era troppo lavoro, ci voleva l'aiuto»,
nota un'informatrice). Cosl, interesse e generosità,
dovere e volontarietà, gratuità e obbligo del contraccambio, appaiono inscindibilmente connessi ed esplicito è il rinvio al sistema di cooperazione produttiva:
pepe, veniva cotto e consumato dagli uomini durante
s'ipoddzadura. In questo caso vi è anche una ripartizione dei sapori secondo il sesso: su sambene primasu, dal sapore forte, per gli uomini, sa tultha, dal
sapore dolce, per le donne (ma ahche per i bambini). Un festino, fondamentalmente maschile, nel
quale si consumavano le frattaglie con vino abbondante fino a s'imbriaghera (ubriacatura), chiudeva
la prima giornata e anticipava il pranzo collettivo
del giornO seguente. «Sos homines ilthaiana koghende, manighende e buffende», «gli uomini cucinavano, mangiavano e bevevano», dicono le donne; mentre un informatore, cercando di spiegare questo diverso rapportarsi delle donne alla festa, ricorda che
(de donne non avevano tempo, avevano molto lavorai>, «la salsiccia richiedeva ore e ore di lavoron.
_-.·
12. Giochi.
La vescica del maiale, sa buscikka, subiva un
trattamento pàrticolare. I bambini facevano a garn
per ウッヲゥセイャ。L@
dopo averla pulita ed asciugata, con lo
scopo di allargarla e per ingrandirla la percuotevano
ripetutamente contro il muro, la sfregavano, cantando una breve filastrocca: «/aghedi manna kantu
sa gianna, faghedi bella kantu s'ilthella», «fatti grande quanto la porta, fatti bella quanto la stella».
Veniva usata, oltre che per conservare s'odzu,
per costruire uno strumento musicale, sa sarraya,
che si usava suonare a Carnevale. Gli uomini per
farsi ubbidire la promettevano ai bambini: «si mi
faghese kulthu kumandu, a Karrasegare ti dao sa
buscikka pro son.are», use mi esegui questa commissione, a Carnevale ti do la vescica da suonare». Sa
sarraya era composta da un pezzo di canna nel quale,
alle due estremità, si praticavano due fori, nei quali
si inserivano due chiodini (uno «per il tono), tra cui
si distendeva la vescica. Quesla, contenente all'interno dei chicchi di grano, veniva percossa con u·n
archetto, fatto da un piccolo arbusto elastico con
un crine di cavallo teso tra le due estremità.
IJ. S'ipinu, lo scambio cerimoniale del cibo.
Dopo s'ipoddzadura avveniva Io scambio cerimoniale de sos ipinos, i doni di parti del maiale macellato, nei quali è rintracciabile un sistema complesso di manipolazioni simboliche, che rimanda ai rap·
porti produttivi e sociali esistenti nel paese. S'ipinu
veniva confezionato e scambialo rispettando precise
regole distributive: nella qualità e quantità dei pezzi contenuti nel dono, nel numero stesso de sos ipi-
amic1z1a, come un buon
S'ipinu era come ァ・ョエゥャセN@
vivere, perché domani si poteva avere necessità di quello,
o perché· c'era da zappare la vigna o mietere il grano o perché c'era da fare un qualsiasi lavoro manuale.
S'ipinu si mendava per ricompensa, pro bona amicizia
o p11.ren1cl11; si b'aia bona trallantzia (se c'era un buon
rapporto).
78
·.·.·-
--·---
G. DORE
IL CICLO DEL MAIALE DOMESTICO A TORRALBA
Sos ipinos, a chi aveva con te unu depitu, un debito
materiale, un debito morale, gli mandavi s'ipinu come ricompensa pro su /rabagliu ki t'aia fallu (per il lavoro che
ti aveva fatto).
·.C
munque, neppure esistente nella forma originaria,
ma riplasmato e corroso dallo sviluppo storico, così
come lo scambio dei doni. Non va sottovalutato il
fatto che ormai, nel periodo considerato, gli stessi
rapporti di parentela erano ormai largamente sussunti a rapporti di classe. Lo stesso invio de s'ipinu
secondo un movimento verticale dal basso verso l'alto o anche dall'alto verso il basso non rimanda,
certo, alla logica della reciprocità, ma è semmai rapporto di origine feudale, rifunzionaliz.zato all'interno
della società capitalistica, segno di una forte, secolare, consolidata diseguaglianza sociale, espressione
proprio di una rottura storica nei confronti di un
controllo paritario e di reciprocità sulle risorse della comunità. Era «obbligo» mandare s'ipinu alle autorità del paese, al parroco, al medico, ai proprietari, i
quali a loro volta mandavano sos ipinos alle famiglie
povere del vicinato o agli stessi pzrenti poveri, con
l'hnplici.ta oggettiva finalità di consolidare il loro
prestigio, la loro posizione di preminenza, il loro rapporto di patronato. Il dono verso i poveri non era
ovviamente sanzione di reciprocità, ma segnale di
carità cristiana, che non intaccava la disparità nell'appropriazione della ricchezza o nel controllo dei
meccanismi di potere, ma anzi la ribadiva. Non a
caso, a Terralba, coesistevano due proverbi, l'uno
- si keres ki s'amare si mantendzat, unu piatto ki
andede, unu piattu ki torrede, se vuoi che si mantenga il ben volere, un piatto che vada, un piatto
che ritorni - esprimente richiesta di reciprocità
(«così dicevano gli antichi>1), l'altro - ki piusu 'nde
dada, su Segnare fu krehhede, chi più dona, il Signore lo arricchisce - significante la carità cristiana.l"l
S'ipinu, posto su di un piatto, avvolto in un
tovagliolo, veniva portato dai bambini, o dalla donna
di servizio nel caso dei proprietari. Al bambino si
dava in contraccambio simbolico, s'ilthrina, una mancia, consistente in castagne secche, frutta secca o
soldi (quando la circolazione monetaria diventò allargata). La mancia si depositava nel piatto, riconsegnato sporco appositamente, per esprimere il gradimento, la propria disponibilità ad entrare o a mantenersi nel sistema di scambio di prestazioni e di solidarietà.!') Si riceveva il dono con il saluto augurale
a kent'annos, a cent'anni, o atter'annos meddzus, i
prossimi anni meglio, al che si rispondeva Deu fu
keffada, Dio lo voglia. Il rituale dell'accettazione
veniva completato con delle espressioni in forma
pressoché stereotipata, «no b'aia bisondzu», «no bo'
dovide disturbare)>, r-ion c'era bisogno, non dovevate
disturbarvi, dove implicitamente compare il tentativo di minimizzare il dono, di diminuire la portata
dell'obbligo di contraccambio, della dipendenza che
l'accettazione reca con sé. Qualcuno poteva rifiutare
il dono, ritenendosi offeso, con la famiglia che donava o per sottrarsi ai doveri connessi; la reticenza
degli informatori a parlare di questi casi pare provarne l'eccezionalità e comunque la forte riprovazione sociale nei confronti di chi interrompeva il circolo della solidarietà.
Va osservato che a Terralba (come d'altronde
anche nel resto dell'isola) il rapporto di reciprocità
non era più istituto economico fondamentale; co-
(9)
Altrove, in Sardegna, il segno di gradimento veniva espresso con la restituzione del piatto pulito (Fonni). C. CORRAIN e P. ZAMPINI segnalano per il Medio Polesine la restituzione del piatto sporco.
(IO)
li dono di parti del maiale assume denominazioni differenti nelle diverse località dell'isola; per es.; is mandadas. is
mandaras (Tuili, Mandns, Teulada, Orroli, San Vito), is mandaus (Lunamatrona), sa banda, la parte (Fonni), su prese11te, U dono (Seui), su presente de s'ipinu (Orune), s'ipinu (Cheremule, Perfugas). Cfr. WAGNER, DES, ad v.
mandare. Anche nella confezione compaiono differenziazioni: in certi paesi ogni confezione doveva contenere un
assuggio di tutte le parti (lardo, fegato, cuore, polmone, rene, lingua, sanguinaccio, polpa: Tuili, Lunamatrona. San
Vito); altrove si aggiungeva un pezzo di pancia (Fonni); in altri paesi la parie essenziale era la polpa del costato,
mentre altri assaggi si regalavano se con il donatario vi erano rapporti particolari (Terralba, Cheremule). Modalità
e soprattutto ideologia sottesa allo scambio de sos ipinos sembrano rispondere sostanzialmente a quanto viene descritto ed osservato a proposito dello scambio cerimoniale dcl dono di cibo in C. GALLINI. Dono e malocchio,
Palt:rn1u, Flaccovio 1973.
79
;.',- セGNM@
-.<';•,
Giovanni Dore
Il carro a buoi
.·.;:
lo di vita».
I. Il carro trainato da
Il carro a buoi
Le strade rra Srtssari e
buoi è stato il mezzo di
trasporto più largamente
Tempio e tra Sassari e Al1 usato nei [avori agricoli in
ghero erano spesso interrotte; il ponte di f\'urri, via
, Sardegna fino agli anni
! '50, quando la diffusione
pressoché obbligala di
comunicazione Ira Caglia· ' accelerata della meccanizri e l'Ogliastru, era セー・ウッ@
zazione, .1Jru1ta11do e ininvalicabile, e cosi via ...
sieme stimolando i miglioran1e111i della viabilità, en·
L'uso del carro " buoi.
tro 1111 conU!slo socionella prima melà del secoec.·u110111 i<'O pruJU11 du111e11 te
lo scor.\·o, 11er i tra.1·porri
·n111tatn tlal 11enetrare <lei
co1n1nercia/i era, d1111q11f'.
/'(l/Jfl<J/'li 」ᄋ。QゥャNセエGL@
di
ancora lilnilalu: .1·e111l1r11
fJl'tlffll;:i11111·, fiu f/"fll'Oflt1 f'
r•s1t·11rl1•/'.1·i tiro.i.: rr·., \Ì 1·r11 ,,, ·11cl<1}iIl iri V(/11/{!I! /{' SO/JfJiUll fa.
lt!, エQャイセオ@
il Jlropriu
Gi<)Vanni D<u·c
fo le prl'c<'dl'11ti for111e cli
rctggio tf'azio11e, in co11sctrazionl' 11111a1u1 ed u11ilnaguenza dei miglioran1e111i
le. La .1·11u pren1inenza sugli altri mezzi tli 1ra.111or10 tra·
pur lenti e/ella rete viarit1, co11dizio11e ゥョ、ウー・QNセイ「OcG@
clizio11ali, HPQイ・Nセオ@
il C"arro a c·a,.allo. si ri.1·<·011/ra 11011
r111clil' NセャG@ 11011 1111ic·r1, J1l'r la tliff11.1·io11e del carreggio. r1c··
solo 11egli spostr1111e111i a corro raggio tra il L'illaggio e la
canto uc/ el·so permaneva un'ampia gcu11n1a di 1ec11ic/ie
can1pag11a, n1a anche, fino ai 11rimi dece1111i <lei '900.
di trasporto a trazione umana e mezzi di trasporto a
nei grandi spostamenti lungo le tlir<'llrici cu1111nerciali
/razione a11i11u1/e tec:11ologica111e11te piit arretrati co111<' la
che _çi stahilivano tra le ciuà e il retroterra rurale, tra le
karruku. 101r1 sorta di rravois costituita da 11n lei/o di l'CI·
clifj'ere111i aree geografiche e tra i si11guli villaggi.
n1i fru11zuti, c/'olivastro o di /enrischio, trainata <la 1111
Nelle cronache e nelle relazioni dei viaggiatori e degli
giogo di buoi, e la tu'va, una treggia ricavata da 1111
an11ni11i.{frt1tori <lei .çeco/o scorso le difficoltà della circotronco d'albero, in genere di elighe. leccio, spacca10 e
laziollf' i11ff'l'llr1 c·rJ.1'titffi.1To110 1111 il111111111cttf1ilf' lci1-11101iv.
scr11 11t10. I.o .l'fC'.1·.1·0 bue veniva 11tilizza10. anc/iC' ca//ll'·
!·ii .1·011oli11ec11•a110 la /e1uezza e i rischi tlei l'iaggi i111 <'1"·
.\'f11a//11e111e all'uso ciel carro, co1ne bestia da so111u e co·
11ali: «A11cl1e quesr'a11110. cotne i precede111i, giù ebbe il
1ne cavalcatura, secondo un uso rara111enre attestalo in
so/ilo tributo di uomini, anzi di carri coi bovi e con tutEuropa e che, nella linea evolutiva, è supposto precedeto il carico, periti nel voler tentare brevi indispensabili
re il traino, nel quale il bue sviluppa al meglio le sue
rragirri da villaggio a villaggio». Ostacoli e pericoli che
qualità fisiche. Un'usanza, perciò, che colpiva co111e
rt1lle11/avc1110 /'este11siu11e del 1nercato e 1nultiplic.·ava110 i
una stra11ezzu i viaggiatori clie percorrevano l'isola, eta·
Francesco d'Este al barone von Maltzan, e che conti·
costi degli scan1bi: «Dispendiosissimi poi so110 i trll·
sporti e/elle derruce; in molti luoghi meno ウ」ッ・セᄋゥ@
si
nuò ben oltre la metà del secolo, se Giuseppe Ferrara
poleva annotare che «in Sardegna non è raro il caso di
fanno per mezzo di piccoli carri a due ruote, il carico
dei quali è calcolato in circa 5 quintali, e che a dirigerli
vedere oggidi pastori cavalcare buoi, e caracollare co11
e.1·igo110 due uomini e a trarli due o tre coppie cli .huoi,
essi, quasi come si farebbe con un cavai/o ...
li progresso della re/e carreggiabile avve1111e co11 1110/ta
né possono percorrere che circa 3 mirian1etri o/ giorlentezza, soprattuuo per quanto riguarda le strade seno», con1e scriveva Carlo Baudi di Vesme 11el ../848.
Cosi il raggio <l'azione dei commercianti doveva limicondarie; ancora negli anni '30 le strade vicinali e co·
tarsi alle principali città marittime: come scriveva Anfo·
munali erano rare, spesso solo delle mulattiere, le stranio Bresciani, nel 1850: «Se pur volessero i merca111i
de di penetrazione agraria quasi inesistenti; il che agii·a
recar entro /erra loro mercanzie non troverebbero vie
come potente fattore di condizioni di isolamento, di reda pervenire ai villaggi, né besiie·da carico e da carreglativa autosufficienza e limitatezza della produzione,
gio ... Né le derrate e le merci delle ciuà si pos.ço110 」ッNセ↓@
del consumo e della circolazione dei prodotri.
leggermenle condurre ai villaggi, poiché non カG・ウセᄋョエャッL@
Quesla situazione della viabilità, all'interno del per111apia11e e co11u1ch• ,,il' cla carreggiare, /l' 111erci si ''t'f/111·e,i.:11ere tli rtlf'f'Orti di produzione. forze protl1111i1 c'. relagiavu110 tUfte li dursu dei cavai/i,., l'ersinu lo S<'t1111bio
ziu11i .l"oc:iu/i, NQᄋ」。イセュ・エ@
dominati, al111e11u i11 111udCJ
delle 111erci tra Cagliari e i villaggi vicini sulla costa clu·
diretlo, dal modo di produzione capitalistico, fcivorirovevt1 in gran parre svolgersi via mare. Il sistema di s/rano la persistenza del carro a buoi nelle zone rurali fi110
clt: ('t11Tc'g]:Ùt/,ili e cli 11011/i, l'r<'ditato dttl si.1·1c·111t1 f<'iululf',
alfe .\'O]:/i(' e/egli a1111i '60. Au11c1l111t•11tc:, 11c•/ co11tc•.\'lo cf'u· C'ra pr1·.1·.1·ocli<1 i11C'si.1·/C'lll<',' fa .1·trtidu t('aff' (·a.i.:li11ri·l'or/o
.\'O dt•i lu1•ori 。セイゥ」ッャL@
1u' rimr111.f!,0110 ,ço/o 11oc·hi c•.1·<•111'Forres ve1111e iniziata solo 11el 1827 e ter111i1111fa 11el
fJlari, r: ù1 11011 1110/ri paesi, sopral/ullu ciel/e zone i11ter1838, mentre le altre strade, che avrebbero dovuto inne. Ma allora, in una situazione di forte frammentazionervarsi su questa dorsale, rimasero a lungo allo stadio
ne della proprietà fondiaria e di lontananza tra il fondo
di progeuo. Verso la metà. del secolo Carbonazzi, ispet·
e il villaggio, luogo 4i residenza del contadino, che costringeva a lunghi ed estenuanti spostamenti e trasporli
tore del Genio civile piemontese, elaborando le linee
' ispiratrici di un progetto per la costruzio11e della rete
di derrate e strumenti di lavoro, il carro era di i·itale
viaria nell'isola, ne sottolineava /'urgenza dato che i
imporlanza; specialmente nei momenti critici della produzione agricola, permetteva una riduzione dei ten1pi di
Sardi erano ancora costretti «a camminare stentaramen·
lavoro socialmente necessari, eliminava rischi di ーセイ、ゥᆳ
te per scoscesi dirupi, in mezzo agli sterminati fanghi di
te, e, in definitiva, contribuiva ad un aumento generaquelle feraci valli, a guadar fiumi e torrenri con perico1
i
i
1
._:·:.
123
le della produttività.
La detenzione di un mezzo di produzione cosi impor·
t(1111e nll'i11terno di un patrimonio tec110/ogico contadi110 li;11i1aro e semplice, rappresentava オセゥ@ obieuivo a111bi-.
co per il contadino povero, spes:o raggiunto a prezzo dt
lunghi risparmi e numerose ァゥッイセ。エ・@
Oセカッイ。エゥ・@
c_o1ne
braccianre giornaliero, zoronader1 o g1orronader1. セャ@
possesso di un giogo e di un carro, generalmente '!equi-.
stati a credito e pagati in natura o con forme misle d1
prodoui e denaro, con una forre dilatazio_ne. delle ウ」セᆳ
denze, poteva garantire una minore ーイ・」セQエ。@
econo_mi·
ca, dava la possibilità di coltivare terreni a ュ・コセ、イQN。@
o.
in enfiteusi, di effettuare a pagamento prestazioni di
aratura e di trasporto.
L'area d'uso del carro si estendeva, inoltre, ad altri
processi lavorativi extra-agricoli, come, ad esempio, al
trasporto di legname nelle zone concesse allo sfrutta·
mento boschivo o di materiale minerario, dalla bocca di
miniera alla strada ferrata, e a diverse altre esigenze
della vila quotidiana del villaggio Sopraaurro nella prima metà del/' '800 i contesti sociali d'uso del carro a
buoi sono differenziati: ben diYersa è la figura del pro·
prietario e conduttore di carro nelle campagne da quella
del carradori, che operava, organizzato nel Gremio dei
carrettieri, nella città.
·.,
.,...
,
2. Un'analisi del carro a buoi.sardo coinvolge molteplici
aspelli, dai problemi di collocazione tipologica alle tee·
niche di costruzione, dai differenti contesti d'uso ai rap·
porli tra gli agenti costruttori e tra questi e i commiltenti. Diventa indice di un determinato liYello del complesso tecnico contadino e artigiana/e e di specifici rapporti
di produzione; meue in gioco processi peculiari di cir·
colazione culturale, fenomeni di adozione, di persistenza, di trasformazione di soluzioni slrutturali e funzionali, in una combinazione, che è ancora in gran parte
da individuare, di movimenti interni di evoluzione e di
influenze culturali provenienti dall'esterno dell'isola.
Il carro a buoi sardo conosciuto negli ultimi ere secoli
ha un telaio a forma di triangolo isoscele, costituito da
un tilno11e 1nonoblocco, cioè un tronco d'albero spaccalo longitudinalmente lungo la sua linea mediana, i cui
bracci si slargano progressivamente, a partire da un melro almeno dall'estremità anteriore, e vengono le1111ti
collr!gali da pioli trasversali, che forn1a110 una sorta di
'scala' triangolare, sulla quale poggia il pianale di carico, Sotto di essa poggia direttame111e f'a.1·.1·r!, i111u:.1·1ato
.1·e111prc s11 d11e ruote. Se si co1isidera co111e ele111e1110 base per la classificazione tipologica questa forma essenziale della parte portante, esso può essere collocato co111e tipo par1icolare, simile al carro 」。ャ「イ・NセL@
Ira i 'carri
"forcella", caratteristici dell'Italia 111eridio11ale fi110 alla
Toscana, ma ormai come fofme in disuso, tranne appunto in Sardegna e in Calabria, intorno al 1935, e
[Jrobabi11nente usati anche, però in tempi molto anteriori, 11e/l'ltalia centrale e settentrionale. Ma, a pttrte il farlo clie anche la parte portante ha subito i11 dellagli strutlurali tlel/e modificazioni, se si prende i11 esa111e la parie
11101rice, o la ruota o l'asse, od entrambi, si possono co.1·1r11ire a/Ire tipizzazioni, anche 1>erclié è la 1>arle elle,
Ira il secolo scorso e questo, attraverso contrastate inj111e11ze culturali, lia subito i rnaggiori ca111bia111e111i.
Maurice Le Lannou, negli anni '30, con 1u1 taglin .1·ì11cronico, prendendo come elemento classijìcatorio la
230
ruota, individua un tipo di carro a ruote 'piene' o a di·
sco ed uno a ruote raggiate. Ma con un taglio diacronico-e110!111ii•o 1Jossù11110 ii1tli1•id11are tra i tlue secoli tlric
tipi che, se hanno in comune la forma della parte por·
tanle e trainante, si differenziano però profondamente
dal punto di vista tecnico, giacché il:più antico ha per
parte 1notrice ruoce piene e asse girevole, il secondo asse fisso e ruote raggiate (e se vogliamo, secondariamente, come forma di transizione anche se in realtà coesistono, asse fisso e ruote piene).
Le fonti del '700 e dell'BOO convergono nel tipizzare il
carro a buoi sardo come composto, dunque, dal timone
forcuto, da due ruote piene, fissate ad un asse girevole
a diretto conratro con i bracci della 'scala',. e nel rilevarne la parentela, anzi, la discendenza dal plaustrum ro·
mano, di probabile origine· celtica, un robusto carro a
buoi a due ruoce piene, dette tympana, che giravano
congiuntamente intorno all'asse, producendo un forte
cigolio (gli stridentia plaustra di cui parla Virgilio nel
libro Ili delle Georgiche).
Questo carro fu sottoposto a dure critiche che ne evidenziavano l'arrelratezza struuurale e funzionale, concentrandosi soprauuao sul sistema d'auacco (nel suo
rapporto con la razza bovina indigena e le tecniche di
domesticazione e addestramento) e sulla parte motrice,
sul dispositivo rilota-asse. La scruttura, modo d'aggiogatura e attacco, la fattura e «il peso enormissimo" delle ruole lo rendevano «inopportuno», «disacconcio al
fine suo precipuo, che è la facilità de' trasporti», secondo Francesco Gemelli. Le critiche dei riformatori e degli amminislratori finirono per concentrarsi sulla prioritaria soslituzione dell'asse girevole, progressivamente
adaitandosi ad una gradualità, più che scelta, imposui
· italle resistenze che i ripetuti provvedimenti legis/a1iv1
viceregi incontrarono.
L'asse mobile, girando insien1e con le ruote, raddoppiava i pericoli di arresto del veicolo, urtando contro le
braccia della scala moltiplicava l'attrito, provocando degli incendi, la cui memoria è ancora rimasta negli anziani dei paesi che più a lungo lo utilizzarono; inoltre,
facibnente ribaltava a causa del rudimentale sistenia d1
fissaggio alla parte portante. Is carradoris. e i contadi111
sardi sostenevano che la strutlura tradizionale, e sopratt11ffo le ruote pie11e, erano necessarie JJer vincere la resistenza opposla dai terreni fangosi o per reggere alla durezza delle zone pietrose del sertentrione; il Gemelli ri/1arre1•(/ che i11 altre zone d'Italia, in cui [Jure il terre110
aveva la ste::.·sa 111orfologia, si usava asse fisso e ruote
raggiare senza danni, e che in ogni caso non tulta la re·
1e carreggiabile sarda aveva le stesse caratteristiche negtt1i1•e. Si ,\·arehbc dovuta 111igliorare la ruota, ù11rod11ce11do i raggi, aumentando l'altezza, portandone il numero a qua1tro come nelle altre parti della penisola,
adorrando il mozzo sporgente, più solido, e il cerchione
in ferro, più resistente: «Adunque un gran parte dei
co11taclù1i, e carreggiatori ciel reg110, divie11e inescusabile, se non ::.·i ap1Jiglia al nuovo rnetodo delle ruole a raggi, e lcggiere, e al fuoco noli giua le grossolane, e massicce, e po11clerose. Quanto poi ai paesi 1110111/losi, e di
pietrose Jfrade, e 1Jessin1e se 11011 si giudicasse SJJeclie11te
il cangior le rttole solide, e Oj・イ」ャAセ@
a/r11e110 11011 cangiarsi
/'asse di 1nobile i11 immobile? E egli forse colle solide
r1101e i11co1111Jc1tibile'! », ur1r1ota1 t1 Fra11ce::.·co Gc1nelli.
L"i111ervento legislativo piemontese, teso a regola111e11to.1
re o a proibire l'uso dei carri 'a foggia antica' nelle ciuà
e nelle strade di collegamento, si dispiegò co11 scarsa e[·
ficacia e diseguali risultati nelle diverse zone; esso ren-
deva, con un impiego progressivo della coercizione, a
.
'
innescare il mutamento tecnico, orientandolo l'erso l'adozione, in prospettiva, di un carro, per il trasporlo
commerciale e agricolo, profondamente modificato,
model/aro su quelli in uso nel Settentrione, secondo 11110
schema classico di intervento comune a diverse nazioni
(in Inghilterra fino al XVIII secolo vennero prese 1nisu·
re legislative simili).
Il pregane del 4 dicembre 1786, il primo di una serie
che dura mezzo secolo, proibiva la costruzione e l'uso,
sollo pena di sanzioni pecuniarie o anche più gravi, di
cerchioni di ferro eccessivamenre sorrili e dorari, secondo l'uso comune, di grossi chiodi a cuspide triangolare,
'a foggia di diamante', delti agudus, che «for111a11v de'
solche nelle slrade, e insensibilmenle le distruggono».
La Reale Società agraria ed economica di Cagliari ebbe
un ruolo di propulsione e di inlervenlo progeuuale in
quesro processo di trasformazione, agendo in collaborazione con gli organi governativi, Nel 1805 presentò una
prima Memoria «sulla riforma dei carri,,, «uno delli
stromenli necessari all'agricoltura» e «il veicolo più usitato per l'intero commercio del Regno»; le era stata
commissionata dal Governo allo scopo di individuare i
motivi dell'insuccesso del pregone viceregio e di propor·
re i criteri tecnici di «una macchina più leggera e quindi
più agile al moto e non pregiudiziale ai buoi che lo
traggono, capace del trasporto di maggior peso e men
rovinosa alle pubbliche strade».
Nel 1807 bandì un concorso con un premio di 200 scudi per la costruzione di due carri razionali e nel 1810
elaborò una seconda Memoria.
Orientata per una soluzione graduale e non eccessivamente traumatica, proponeva nei provvedimenti legislativi successivi di concentrare la proibizione sulle "ruote
fisse sull'asse», sulle «Così dette punte di dian1a11te», sull'«acutezza della periferia», obiettivi considerati realistici nel breve periodo di fronte agli «inveterati pregiudizi
dei sardi», mentre, in prospettiva, le ruote a raggi
avrebbero dovuto soppiantare le piene e, anzi, si sarebbero dovute adrJl/are due dlfferenti forme di ct1rri, una
ac/t1ll<t alle ùnpervie strade di montagna, l'altra, caratterizzata da quatrro ruote e da una maggiore lu11ghezza,
per le località di pianura. Il pregane del 14 aprile 1822
estese il tliviero all'uso dell'asse mobile nelle strt1dc 'rù1r·
"tate'. セᄋ・ァオゥイッQP@
altri tre pregoni (del 3 <l{Jri/c IB2.1, 29
.sel/cn1brc I826, 8 lugfio 1828) e due cdiui (13 tlprifc
1830 e 30 luglio 1836), con i quali cessò 'la rolleranza'
e venne vietata la costruzione di nuovi carri con ruote
ヲ↓セᄋウ・@
all'asse. La resistenza opposta dai CHrradoris cirta·
dini e dal loro Gremio e dai contadini nelle campagne
appare esplicitamente dal preambolo del pregane del
1828, che segna una decisa accelerazione nella coercizione: «Alle nostre speranze non corrispose però /'evento; avendo con sommo nostro rammarico dovuro scorgere di essersi il numero dei carri con ruote fisse talmente accresciuto, che la forma voluta dalla legge è vicina ad essete totalmente sbandita. E si è l'abuso portato tani' oltre, che sebbene la più parte delle ruote abbiano cerchi lisci assicurati con chiodi di testa tonda, o
quadrata, questi siano cosl vicini l'uno all'allro, e sono
così taglienti, che nella ruotazione producono sulla sor-
toposta strada un effetto poco dissimile che quello de/l'a11tica ruolo col cerchio dentato». Ma, ancora nel
1851, su prescrizione del Ministero dei Lavori Pubblici
/'I11te11de11za Divisionale minacciava sanzioni nei con·
fronti dei costr1111ori e dei proprietari che entro i due
rnesi successivi non avessero introdolto le modifiche richieste.
Rappresentati nella Società agraria, tecnici, amministratori e grossi proprietari come il marchese di Villaher1nosa, che ne fu presidente dal 1809 al 1839, le persone
'benestanti e spregiudicate' da cui G.M. Mameli invocava il mutamento tecnico nel 1805, costituiscono un polo
dcl co11fliuo, l'altro, pur differenziato al suo interno,
co11·1µrende carreuieri di professione, contadini ed artigiani, i maistus de karru. La sequenza dei pregoni ed
editti ne scandisce /'evolversi, rivela lo scontrarsi di i11teressi differenti, 1notori di trasformazioni e ristagni.
Questi celi subalterni appaiono come difensori di un
conservatorismo tecnico: carpentieri e utenti sono legati
da una relazione tecnica ed economica (non a caso gli
amministratori si rendono conto di dover agire nei con·
fronti di entrambi); hanno motivazioni specifiche, relative alla propria figura lavorativa, che mettono in 111oto
comporlamenti pratici che interagiscono, si rafforza110 a
vicenda. Poiché il carro è un elemento di un complesso
tecnico e socio-economico, la sua modifica richiedeva
immedialamente il modificarsi di altri elementi del sistema: costi econo1nici della trasformazione, tecniche, tradizione nell'addomesticamento e addestramento, acq1li·
sizione dcl materiale, viabililà e così via costituiscono
una relazione complessa.
Il costruttore doveva acquisire nuove competenze e abilità tecniche, modificare in parte il proprio apparato
tecnologico e, indubbiamente, resistere alle pressioni di
una committenza che tendeva a conservare e riprodtlrre
la vecchia struttura. Per il carradori cittadino e per il
co111adino significava affrontare un notevole sforzo economico per introdurre le modifiche, lrovare dei carpentieri in grado di eseguire le nuove fasi del processo tecnico che le nuove soluzioni imponevano, vedersi sottrarra una competenza e 'un saper fare' che l'i11troduzione di un elemento tecnologicamente più soristicato (asse
fi.tso, ruota a raggi, cerchione liscio) e il maggior uso
ciel ferro, n1areriale meno disponibile e più difficile a
manipolarsi, spo.ifavano decisamente verso lo s11eciali·
sta .
.)i ro1n1>c11fl 111iiu1cciosa1nente 1111 equifihrin, fr1111n di 1111
{lc/affa11rc11to consolidato tra i diver.'ii elementi cui si acr.:c1111avt1 prin1a; i riformatori ebbero co11saIJevolezza
della potente azione di freno che il coslo economico
della trasformazione comportava per questi ceti subalrerni, ma .1·ottovalutarono la resistenza, anche se flcs.iibile, di questo equilibrio funziona/e. Infalli, questo rapporto con[liuuale, con il suo andamento non lineare e
differenziato, tra ciuà e campagna, e tra le stesse aree
rurali, e tra le stesse figure sociali coinvolte, si prolunga
per certi aspetti in questo secolo. Non è facilmente ricostruibile, anche perché il materiale documentario, che
potrebbe dar conto degli atteggiamenti pratici e delle
rapprescnlazioni ideologiche dei ceti subalterni coinvolti, è reso in gran parte irrecuperabile dal/a consunzione
fisica irrimediabile dei portatori della memoria orale.
La vicenda della riforma del carro a buoi, così conrrastata e, in definitiva, solo parzialmente ri.so/ta, e poi in2.1 I
terrotra dal/'inrroduzione dell'energia meccanica, che
sposta definitivamente l'asse su tutt'altro versante tecno·
logico, è sicuramente un indice di contrasti più vasti tra
ceti egemonici e subalterni, tra ufficialilà tecnica, per
cosi dire, e competenza tecnica popolare: anche se, cer·
to, è solo un segmento parziale, ma significativo, di
una storia del mutamento tecnico, ancora da indagare,
che, malgrado fa sua frammentarietd, la sua dilatazione
nel tempo, rispetto ai processi ben più accelerati e con·
centrati avvenuti altrove, ha comunque inciso su ·una fi.·
sionomia del patrimonio di conoscenze, tecniche e セᄋエイオᆳ
menti del contadino e arrigiano sardo. Basterebbe qui
ricordare, sempre all'interno del versante tecniche·
stru1nenti di lavoro, lo sforzo condouo dalla Societa
agraria per sostituire l'aratro tradizionale con uno piU
perfezionato, a/l'interno di un progeuo più generale di
riorganizzazione e trasformazione delle tecniche pro·
duuive.
Ciò che viene messo in gioco è il dispiegarsi concreto,
storicamente determinato, dei meccanismi di adauamen·
to, di trasformazione, di conservativitd, che mette in at·
to la modifica di un mezzo di produzione come il car·
ro, apparecchio relativamente semplice, perché estraneo
alle forme di energia meccanica, ma gid più complesso
come 'macchina a trazione animale' e in ogni caso al·
l'interno dello strumentario contadino sardo tradiziona·
le. Queste resistenze e gradi di flessibilità nell'adalla·
mento possono spiegarsi non solo all'interno della dina·
mica interna delle forze produtlive (combinazione sem·
pre contradditoria tra gradi di sfruttamento dell'ener·
gia umana, animale e via via meccanica, conoscenze e
comportamenti tecnici, livelli di perfezionamento degli
strumenti, proprietà oggeuive dell'oggeuo di lavoro),
ma nei suoi rapporti con il livello socio-economico. I
processi di mutamento nelle tecniche di trasporto entrano in relazione reciproca con cambiamenti e rapporti
sociali: te resistenze e i particolari modi e tempi di adat·
ta111e11to sono stati, in misura rileva111e, co11dizio11ati
nelle campagne sarde dalla particolare persistenza del·
l'unità familiare produttiva, deposita.ria di forza lavoro,
oggerri, mezzi e prodotti del lavoro, u11a forn1a socio·
economica che, realizzando un faticoso e instabile equi·
librio, doveva avere margini strettissimi per il cambia·
nzento tecnico e forti freni ad aumentare la propria cli·
pendenza dagli specialisti e dal mercato. Né alle resi·
srenze dei carrettieri cittadini dovevano essere estranee
le condizioni di crisi in cui versavano nella prima metti
ciel secolo scorso, pressati, malgrado la difesa cor11ora·.
riva del Gremio, dalle aspirazion_i di altri ceti impoveriti
ad e11trare nella professione, e che finirono 11er tleter111inare una verticale caduta numerica che li dimezzò.
Va anche utilmente tenuto prese11te cl1e il parri111011io
tecnologico artigianale, messo i'! giuoco dal carro, non
può che essere considerato, anche nella sua relativa po·
vertà, come una formazione storica, mutevole e contraddiuoria, prodotto di una relazione confiilluale tra
sapere tecnico colto e popolare: gli interventi legislativi,
le modifiche apportate dai grossi proprietari e, in processi extra-agricoli (trasporti minerari, del legname), da
parte di imprenditori continentali hanno un'influenza
direi/a o ·mediata sui ceti subalterni. La reazione di questi ultilni, anche quando meccanica e non consapevole,
filtri, adattamenti
condiziona, limita, impone ャセューゥL@
pri111a 11011 previsti ai ceti egemonici. Così, anche per
232
:;·;
quanto riguarda il carro a buoi, categorie come quelle
della 'preistoricità', della pura 'sopravvivenza da tempi
immemorabili', come anche dell'assoluta 'peculiarità'
dive11tano fuorvianti. Non a caso la maggior parre dei
termini utilizzati per la ruola a raggi sono, come rimar·
ca Le Lannou, qua.si tutti spagnoli o catalani, e italiani
con predominio dei vocaboli piemonlesi. Nell'arco di
tempo qui considerato la conservativitd esiste, indubbiamente, ma è relativa, attiva, non è pura forza d'inerzia
e non è solo ideologica. Se la categoria conservatività
va utilizzata, anche in questo caso, va fallo con cautela,
tenendo conto dei fattori di tempo e di spazio e della
rapprese11tativita socio-culturale degli agenti del cambia·
mento e della conservazione, considerali per di più CO·
me schiera.menli mutevoli e intersecantisi. Un tradizionalismo indifferenziato non spiegherebbe la posizione
specifica non solo dei quadri amministrativi e tecnici e
dei grossi proprietari da una parie e dei contadini, car·
reuicri e artigiani dall'altra, ma anche del differente di·
sfocarsi, nel tempo e nello spazio appunto, di questi ultimi. La 1\lfarmora, pur metrendo decisamente l'accento
sulla persistenza, segnala però nel suo Voyage una si·
ruazione ormai in movimento con il progressivo passag·
gio all'asse fisso, anche se con il manrenimento delle
ruote piene, e alle ruote raggiate e, in definitiva, il graduale confinamento del carro 'a foggia antica' verso le
aree rurali lontane dalle ciltà.
Quali siano i factori che determinano questa progressiva
differenziazione tra le diverse zone sarebbe possibile di·
re solo ricostruendo i locali processi di circolazione culturale, individuando punti e momenli di transizione: sarebbe oggi difficile costruire una carta di diffusione non
statica, ma storico-dinamica, tracciare una mappa che
indichi zona per zona la successione cronologica nell'adozione dei nuovi elementi.
Considerando l'arco di questi due secoli, si può dire
che il cambiamento muova, in linea di massima, dalla
ciuù verso /'i11ter110: i ca1nbiair1e11ti legislativi in1poneva.110 infatti prima di tutto l'esclusione dei vecchi carri da/.
la cinta urbana, erano in grado di incidere prima e pili
effìcace111e1lle sui carrettieri e sui carpentieri cittadini,
combinando intervento coercitivo ed incentivi. Infarti,
su applicazione delle proposte formulate dalla Società
agraria 11ella seconda Memoria, nel 1822 la Regia Cas·
sa anticipO ai carradori di Cagliari 1000 scudi per costruire 50 carri secondo le nuove norme; inoltre, la Società agraria aveva proposto che se il Gremio 11011 。カ・Nセᆳ
Nセ・@
sentito «l'incomodo di assoggetrarsi alle leggi della
Riforma», avrebbe dovuto perdere il privilegio dell'e.l'l'l11.1"iva dei lra.l'porti ci/ladini o addirittura e.\·sere abolito. Venne anche affronta/o il problema della istruzione
tc•<·11ica dei car11e11ricri de/fu cirrà, proponendo di affì·
darne la guida all'officina del «s,.ergente d'artiglieria Pitta.fuga, già esperto in materia,,. E possibile così ipotizza.
re una irradiazione verso le zone rurali, anche perché i
mélstri ciaadini servivano committenli anche dei villag·
gi. Non sembra però che la città possa essere considerata come unico centro di diffusione, poiché esistono anche relazio11i autonome tra aree anche interne ed altri
possibili centri esterni all'isola; nella seconda metà del
secolo scorso nell'Ogliastra, /'impulso al perfezionamento tecnico, almeno nella niemoria degli anziani, viene allribuito 11 diversi veicoli culturali, come i conimercianti di legname che iniportano ruote raggiate o /'in·
233
l
I
l
\
\
21 o. Assolo: Il vecchio corro a buo i
ormul dcl lutto lnulllluoto è dive•
nulo un elemento decorativo nel
cortile della casa contadina.
211. Giogo di buoi dcl Monlifcrro.
212. Aratro In legno a chiodo dcl
Montlfcrro.
215. Un curro u huoi dcl Monllfcr·
rn: sulla sinislru, in primo plunu, si
intravvede un':rnticu mula ìn pie·
tru.
(pagina precedente)
213. Aratro moderno In ferro.
214. Targa di corro agricolo.
23·1
I reperii delle foto dal 11. 21l al n.
215 sono conservali nel Musco cl·
nogralico di Snntulussurgiu nnncsso nl loca le Cenlro di Cullurn po·
polare.
Il
p11gi1111 236
2 16. •Arulrl e currl ウ。イ、ゥセ@
ncllu li ·
logrnliu di Comlnoltl e Conin puhbliculu ncll'ullanlc dcl Voyage rn
Sardaig11e di Alberto Lamnrmora.
I.
235
l'inizio della biforcazione di un takku, pezzo di legno a
forma di triangolo isoscele.
All'estremità posteriore si incastrava una rraversa deua
punru de asegus o maista morta, mentre オGZ。ャエイセ@
ira·
versa poteva inchiodarsi giusto sulle estremità dei due
bracci del timone, maista de asegus, menrre nei Campi·
dani sa maista de asegus era incastrala e collocara r.
una cinquantina di cm da su puncu de asegus.
Parte contenente
stallarsi nella zona di almeno un carpentiere piemonte-
se.
In questo secolo il cambiamento procede, ma ancora fasciando delle aree più conservatrici, negli a/ripiani di
Abbasanta e Campeda, nella Giara, dove permane l'uso delle ruote piene, che Le Lannou, forse privilegiando eccessivamente l'elemento geografico, attribuisce alla
durezza delle superfici basaltiche e !rachitiche. In gene·
raie, si putJ dire, comunque, che muove in due direzio·
11i: da una parte attraverso l'estensione dell'area geografica dominata dall'asse fisso e dalla ruota a raggi, dall'altra agisce sul materiale, attraverso un ampliamento
dell'uso del ferro rispetto al legno (o al cuoio), per au1nenrare durevolezza, resistenza ed efficienza.
3. La descrizione moifologica del carro, che qui segue,
si basa sui veicoli agenti in questo secolo. Si terrà conto, per quanto possibile, delle varianti locali - che generalmente riguardano la parte contenente, le dimensio11i complessive e dei singoli pezzi, fa qualità del materiale - e delle variazioni delle denominazioni dei singoli elementi.
Parre trainante e portante
La parte trainante e parlante è costituita da un timone
monoblocco, generalmente di leccio, denominato
(i)skala 'e su karru o Cestina o anche kardiga (la 'scala'
del carro), fungo da 4,20 a 5,40 m lunghezza corrispondente a quella dell'intero veicolo.
L'estremità anteriore, detta punta de s'(i)skala o pittsu
de sa skaba, è la parte d'attacco per i buoi ed ha, praticali di lato, dei fori, arriadroxus nei quali si ftssa il giogo, giuali o giuale. A una distanza. tra 85 cm e un metro e mezzo dalla punta, il limone si biforca fino a raggiungere la larghezza di J,30 m nell'estremitO. posteriore, asegus de sa skala o koa 'es' (i) skala.
Dall'inizio della biforcazione fino alla fine si inseriscono delle lraverse di legno, di leccio, più piccole dall'inizio flella biforcazione fino al pia11nle, qualche volta· i11
ferro, delle kadrigheddas, maisteddas o traversas. In
caso di ro1rura dell'estremità della parte d'altacco, o anche per adauarla, prolungandola, a un giogo di buoi
più grandi, si poteva «inneslare» un nuovo pezzo di 1i111one al vecchio, con un sislema a incastro, rafforzato
du cerchi in ferro ed eventualmente dalf'inserùnento al236
Tra quest'ultima e l'ultima kéldrighedda o maistcdda si
dislendeva il pianale di carico, derto sterrimentu o
isterrin1cntél o i1ltéluladu o Jcrtu 'e su karru, forn1a10
quasi sempre da 5 tavole di leccio o di olivaslro, odz2stru, dette mesas, bankitros, traberséls, o seddas. Le Qセᆳ
vole poggiavano, fissate con chiodi o bulloni ad avvitatura, ai bracci della «scalai>; quelle su cui si innestavano
in appositi fori i montanti delle sponde erano più larghè
e più lunghe. Nel Meilogu la prima tavola anteriore era
detta giuale. Gener,almenre la base minore del «lelfo,,
era di 70 cm, la maggiore di un me/ro e rnezzo.
Nella fauura delle sponde, non solo per ragioni di funzionalità, ma a11che di estetica, era forse concentra/o i!
maggior numero di varianti.
Le due sponde, disposte lalerabnente, oblique verso l'e·
sterno rispelto al timone, perme1tevano un a1nplian1e1110
progressivo verso l'alto del volume di carico. Era110
chiamare kubas o kuas o alabaris. le due kubas hanno
due monranti di circa 40 cm detti peis, fissati in fori e
puntellale da un listello di legno o di ferro detto trebidroxa, poi due pertiche di legno disposte una a con1auo
con il pianale, Jingius de baxu, l'altra in alto, lingiu dt!
susu, lunghe circa /,IO m, perpendicolari rispello ai
peis. Tra questi ultimi e i lingius si inseriscono le tabeddas, rava/e sagomate in forma romboidale.
Ne!l'Oglias1ra (Tertenia) te tabeddas diventavano 3 e si
chiamavano pipias, e i 1nontanri peaccius. Nel Sulcis i
montanti diventavano quallro con al centro u11a sola tabcdcJa. Nel Logudoro si usavano, invece, sponde piene:
i montanti venivano detti braddzones (Mores) o lidzos
(Torralba) o kandelottos (Bonnanaro), inseriri in fori
praticati sulle tavole lunghe, puntellati nella parte ester·
na da takkos, zeppe di legno, in numero variabile fino
a 5 (Ploaghe). Nella parte interna venivano mo111ate
due lunghe tavole orizzontali di frassino.
La parte conle11ente era variame111e modificabile i11 al·
rezza e in lunghezza per potenziare il volunie di carico
e per adattarsi alle cararteristiche fisiche dei diversi materiali trasportati. L'esislenza di queste trasfor1nazioni è
documentata anche per 1'800.
Il letto poteva essere allungalo aggiungendo una /avola
davanli ed u11a dietro: il carro così trasfor1r1ato veniva
detto nel Sulcis karruga.
Un accessorio comunemen/e usalo erano i fustis dc
anellas o fustis dc kosta, due lunghe perliclre di legno
di circa 3 metri o anche due semplici rami, appena ri/Juliri, uniti con un anello di ferro alfa pri1na lraversa
della biforcazione e poggianti sui montanti arueriori.
La frocidda era un ramo biforcuto che si sistemava anch'esso all'inizio della biforcazione, perpendicolarn1e11re
al limone. Nel Logudoro (Mores, Torralba) en1ran1bi
gli accessori prendono il nome di forkidda.
Nei periodi di taglio del legname, queslo materiale veni-.
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va trasporrato da sa foresta a sa bidda: un carico cosi
voluminoso aveva bisogno di accessori. La frocidda e i
fustis de anellas o de kosta incassavano il carico assicurando la stabilità del veicolo,· ad essi si aggiungevano,
fissati ai qual/ro peis, i fustis de karru, lullghi circa u11
merro e mezzo, due per parre. Nel Logudoro per il rra·
sporto del legname e anche del grano non rrebbiato si
sovrapponevano alfe alabaris le gellas o gerdas, delle
nuove sponde, costituire da due montanti, che si fissavano a quelli preesistenti nella parte inlerna ed erano a/li circa un me1ro e mezzo, e da due lunghe pertiche di
legno, parallele ai bracci della scala, ·arrivando du sa
koa a fissarsi alfa forkidda.
Per il trasporto del letame si usava dappertuuo la ka·
sha, composta da quattro pareti piene, più lunghi quelli
la1erali, corrispondenti alla larghezza delle due basi del
pianale /'anleriore e il posteriore. Nel/'Og/iastra (Ter/e11ia) la parte della kasha si chiamava krokau ('e koa, 'e
ainnonti, 'e su kostau); era composta da quattro tavole
s1reuamen1e connesse, sostenute da due mon1anri. Con
la kasha potevano farsi i trasporti di tutti i materiali minuti, come la sabbia.
Per il lraspor10 del letame poteva usarsi anche la cerda,
o gerda o zerda, una stuoia fatta di verbasco o di altre
fibre, più bassa di quella per la paglia, lunga circa 6
·
m, ·e che arrotolata occ"{ava poco spazio.
Nei momenli critici de lavoro cerealicolo, quando si
trai/ava di portare i covoni e i cereali nelle aie comuni,
si distribuivano lungo il perimetro is kubabis o frukkas,
selle pertiche di circa due metri, verticali, sostenute nella parte superiore da due pertiche orizzontali. Altre tre
per1iche potevano aggiungersi ai kubabis verticali, disposte a semicerchio sulle piccole traverse anteriori e
collegate insieme da una lamiera incurvata.
Quesla trasformazione veniva chiamata karruba.
Altri accessori ovunque usati per completare le 1rasfor1nazioni necessarie per il trasporto dei carichi voluminosi erano le funi, usate per avvolgere il carico e assicurate a dei ganci o anelli, fissati ai montanti verlicali.
Nella Sardegna meridionale poteva applicarsi come /elio
1111a s111oia di canne arcuata: veniva della kuba. Nel Logudoro nelle occasioni festive si usava cosrruire un'intelaiatura con 4 o 5 cai:ine incurvare, legate ai liùzos: su
di essa, come riparo, a mo' di tettoia, si srendevano dei
lentolos, delle lenzuola.
Parte motrice
Non esistendo sospensioni, usate solo nei carri a cavallo
(sn karretta nella Marmilla e nella Trexenla, su barrocciu de kaddu per passeggeri nel Meilogu), sa skala poggiava direttamente sull'asse, dello assi o asha o (f)usu.
A metà del letto, per un buon bilanciamento, ve11iva
collocato l'asse. Tra questo e il braccio della scala pote·
vano applicarsi due pezzi di legno incurvari a mezzalu·
na, sollo la quale poggiava l'asse: erano detti proceùcius
o pohhittos de su karru (Bonnanaro, Torralba). A
Do1111anaro l'asse poteva anche poggiare solo sotto un
grosso bullone avvitato alla parte inferiore del braccio.
La ruota piena, usata anche nel '900 - come abbiamo
visto - in alcune zone era composta di 3 pezzi: i due
estren1i dclii a\asias o alasas o alasos o taggios, fa parre
1nediana panga (vanga), da cui il nome dato all'intera
ruota, arroda 'e panga (arroda de panga e laggiu). 1
tre pezzi erano tenuti insieme sulle facce del disco da
due listelli di ferro.
La ruota a raggi (12, ma anche 10), costruita in legno
duro dara la sua funzione, generalmente odzascru, olivastro, aveva u11 diametro che variava da un 1nerro a
un metro e 20 cm. Normalmente aveva sei gravellus o
grivellus o quartus o quasceris o koasceris o a11che orivettus de linna, pezzi di legno arcuati tenuti insieme o
solo dal cerchione in ferro, su ]amane o kishu o !ameni, o da un incastro di legno derro presoneri a Tertenia,
e anche da grossi bulloni fLSsari alle congiunzioni, che
veniva110 chiamali parettas (Tertenia) o obbibis arrebronaus (chiodi ribaditi) in Trexenta e nella Marn1illa.
Da og11u110 di essi si dipartivano due raggi, arraggius o
ragios, i11seri1i con un incastro a mortasa nel niozzo,
una sezione di tronco, di frassino od olivas1ro, sagonia·
ta in forma ovoidale, detto buttu, murtaggiu nella Pia·
nargia, nughe o mudzolu nel Logudoro. Nel mozzo si
inseriva un cilindro di ferro, la bronzina, deua bussola,
bussula, bushula che avvolge fa parte terminale dell'asse
cilindrico, che sporge oltre il mozzo di circa 6 cm.
Questa parte terminale dell'asse è dotata di un foro nel
quale si inserisce un cavicchio di ferro che impedisce alla ruota di uscire e che viene detto krai, giae o giavetta.
Quando era in posizione di riposo il carro veniva tenuto fermo e bilancialo da due pertiche di legno, u11a [issata 'alla prima rraversa della biforcazio11e e quella posteriore, facoltativa: il bastone che impediva al timone o
alfa coda di toccar terra veniva detto potenti, batlantsoni, bilancinu, ballancinu.
S.oprattutto nelle zone montagnose il carro era provvisto
di un sistema di frenatura, sa mekkanika, reso obbliga·
torio durante il fascismo. Collocato nella parre posteriore, era costituito da due pertiche ad angolo acuto; la
prima, i11 posizione parallela alle lraverse, possiede due
takkos di legno arcuati, spesso rivestiti di cuoio, da ultimo di gomma, che, azionando un bastone, fissato co11
una catenella a un braccio del timone, contro la seconda pertica, vengono da questa sospinti per /'arresto co11·
rro le rispeuive r11ote.
Giogo e sistema di attacco
ll giogo sardo, detto giuali o giuale, セ@ un giogo doppio
a corna, che cumula le funzioni di apparecchio di sostegno e di trazione. Ad esso si aggiogano scn1pre due
buoi, raramente delle vacche, mentre nel secolo scorso
numerosi viaggiatori af/estarono l'uso di due, tre, anche
quattro paia. Era fatto di legno duro, leccio o frassino
od olmo. li giogo per il carro a buoi era lungo un metro e 45 cm, fino a 1,60 m nel Logudoro per permettere
maggior gioco ai buoi che tirassero un carico molto pesanle; un giogo più piccolo di circa un metro e 25 cm,
più semplice veniva usato per l'aratro (e anche in Trexenta per il piccolo carro a buoi detto karrellu). ligio·
go 11er il carro eru spesso accuralamente sago1nato (generalmente i costruttori si servivano di modelli di legno
o di cartone): Schel.!-ermeier gli attribuisce una fattura
più raffinata che in altre parti d'Italia. Nell'isola presenta delle differenze stilistiche, che però non intaccano
l'omogeneità funzionale. Aveva nella parte inferiore
due incavature se111ù.:ircolari, kambeddas o kameddas o
kukkas, hen levigare e con çielle protezioni di cuoio e
ultimamente di gomma per le corna. Per ulteriore pro237
tezione, specie se il bue aveva difetti alla cer1•ice si ゥQセ・ᆳ
riva un kushinettu di cuoio grezzo. Nella parre 111ed1011a del giogo in due grossi fori passava un a11e//o di
cuoio grezzo, detto aioni o ヲ。Zイコッャセ@
o ヲイッセ。ャゥN@
In. seguito venne [arto di ferro (nel/ Og/iastra viene chiamato
.
aioni kampidanesu o sarrabesu).
In questo arie/lo si inseriva. /a punla del r1n1011e. 111 1u1
apposico foro di quest'ultima kariccia o セ。「ゥァ@
セゥ@ inseriva un cavicchio di legno o anche un /zstello dt legno
dello kadriga, che impedivano a/L'archetto di scivolare;
lo scivolamento a/l'indietro, nelle di.scese, poteva essere
impedito da su parakarru, un parallelepipedo di legno
fissato con un bullone dopo il fadzolu (poleva essercene
uno anche nella parte inferiore della punta del timone).
L'aioni di ferro poteva essere fer1nato anche nella de11te/laruro di wia placca di ferro, detta brabeua o succabarva.
L'operazione di aggiogatura, giungidura, 1•e11iva faua
sempre partendo dalla destra dove stava il bue più forre
del giogo. La coppia veniva aggiogata dietro le corno,
le incavature inferiori del giogo aderivano alla cervice.
[/ giogo veniva rissato a SOS korros (corna) COI/ del/e
solide corregge di cuoio grezzo, lu11ghe da 3 a 3 111etri e
1nezzo, lorus o loros, che venivano fatte passare sulle
tacche praticate sulla parte superiore del giogo, sulla
quale c'erano da quattro a otto grossi chiodi, deiri gravillas o ossieddus fustis de loru o giaos. U11'escre111ità di
og1111na, delle corregge veniva fissata a un chiodo, veniva poi avvolta la correggia alle due corna, co1ninciando
da quello interno, poi tre volte intorno ad ogni korru,
infine, intorno ad entrambe con un nodo speciale.
Il conduttore guidava seduto sul carro o a piedi di fianco, n1a11ovra11do redini, dette odrinagus o redinagios,
flSsate co11 un capo al corno esterno (perciò era sempre
riconoscibile dall'orecchio scorticato la posizione di un
bue 11el giogo), poi venivano fatte passare sulla fronte e
legate a/l'orecchio interno, da li le redini arrivavano al
condu11ore, elle poleva avvalersi di un pungolo, punrosu o strumbulu, di fischi e di comandi vocali.
Questo sistema di auacco subì nel secolo scorso le critiche 'dei riformatori, che ritenevano che non armonizzasse e sfruttasse simultaneamente la forza trainante dei
due buoi, li costringesse a u110 sforzo ma!{giore. ne riducesse la capacità di traino e ne/l'aratura la profondità del solco. Lo stesso sistema di legatura veniva criticato perché troppo complicato e causa di perdite di tempo. Scheuer1neier sostiene l'estraneità al resto d' !talia di
questo giogo doppio a corna. Haudricourr lo co1isidera
sistenia pili. antico di quello cl1e poggia sul collo e sul
petto e lo co1111ette a una fase arretrata delle rec11iche di
do111esticazio11e e di addesrrame11co dei bovidi. I critici
ottocenteschi tendevano ad operare lo stesso tipo di collega111enro, condannando la «scarsa cura», l'addomes1ican1ento i11dige110 e le deboJetze della razza bovina sar·
da. Malgrado ciò il giogo a corna ha resisrilo fino ai
giorni nostri, e malgrado i tentativi di 111iglioramento
della razza introdotti fin dalla n1età del secolo scorso
dai grossi proprietari, i contadini sardi hanno continuato a preferire le razze locali, resistenti e duttili, capaci
nel giogo di «prestazioni non facilmente riscontrabili altrove in Europa», come afferma Giulio A11gioni in Sa
laurera.
........
Mᄋセ@
Giovanni Dore
Falegname e mastro carraio
_._.,
l•'alcg11a111e e 111asrru corro1r1
__ ._,
.-
...-,
Giovanni Dore
.
_ .;
li mestiere nella Sardegna de/l'Otlocento. Il
falegname (mastru. 'e li1111a o mastru 'e
ascia o fusleri) e il mastro carraio (maslru
'e karru), insieme con il fabbro lfrailadzu
o ferren), hanno coslituito fino a tempi
recenti una presenza artigianale specializzata in tutte le città e i villaggi sardi.
Sottolineare la continuità storica di
quesli mestieri significa anche tener
conto della rilevanza nella vita quotidiana della materia prima su cui essi
agiscono, il legno: .. 1e civiltà - ha scrit·
to Braudel - prima del Settecento sono
civiltà del legno e del carbone... E questo rimane valido in Sardegna per tuno
l'Ottocento e, sia pure in misura minore, per la prima metà di questo secolo.
Si tralla di una continuità che è anche
segnata da cambiamenti, dallo stratificarsi di disparate e successive influenze
tecniche. La presenza in diverse epoche
nelle cinà sarde di artigiani catalani,
aragonesi, valenzani, italiani; il model·
!arsi degli statuti delle corporazioni di
mestiere, dei grerni, su quelli di Barcellona, sui quali era già impressa l'in·
fluenza pisana, genovese e francese; la
circolazione commerciale stimolano im·
portazioni di tecniche, di nuovi elementi figurativi, di lessici tecnici, di diffe·
renti atteggiamenti ideologici. verso il
mestiere.
Alla relazione isola • continente si con·
giunge quella tra città e contado. Se
l'alta densi1à numerica (a Cagliari i falegnami sono un centinaio alla fine del
XVII secolo), l'azione di istituzioni ri·
formatrici e di centri tecnici (comC a
Cagliari l'arsenale militare), la presenza di una committenza di lusso, anche
essa stimolatrice del progresso tecnico,
la concentrazione spaziale delle specia·
lizzazioni artigiane sono tutti fenomeni
cinadini, esiste però un patrimonio di
conoscenze e di capacità tecniche anche
nelle aree rurali. L'ambiente tecnico
del contado entra in comunicazione con
quello delle città: i maestri possono spo·
starsi nei villaggi per eseguire dei lavo·
ri, i falegnami rurali hanno spesso svol·
to il loro apprendistato in una bottega
ciuadina, i predoni circolano, セゥ。@
pure
con !e ristrettezze imposte dalle difficoltà della viabilità e dalla limitatezza del
mercato di consumo e si propongono
come modelli da imitare.
Il mestiere di falegname e di mastro
carraio è agli inizi dell'Ottocento ancora ingabbiato in cinà nell'intelaiatura
delle corporazioni di mestiere, la cui rigidità si spinge lino al controllo dello
stesso processo lavorativo e della qualità
e quantità dell'oggetto di lavoro (con i
divieti del segar legna o la regolamenta·
zione dell'acquisto e della distribuzione
del legname, che veniva in gran parte
d'oltremare). Il processo di differenziazione di mestiere si sviluppa con note·
voli sfasature temporali tra gli stessi
centri cittadini: se a Cagliari i falegna·
mi si separano dai muratori nel X.VI secolo e il lòro gremio comprende agli inizi del XIX una vasta gamma di specializzazioni (intagliatori, carpentieri, fabbricanti di casse e di bauli, fabbricanti
di chitarre), a Sassari i falegnami, uniti
secono lo statuto del XVI secolo ai muratori, ai sellai e ai bastai, si dividono
dai primi solo agli inizi dell'Ottocento,
pur rimanendo congiunti ai bottai, che
invece a Cagliari hanno da tempo formato un proprio gremio. Questa separazione è il risul.tato del combinarsi
dell'azione di condizioni economiche e
sociali esterne con un lento e conflittuale sviluppo interno a questi mestieri. Le
carte d'archivio attestano le controvcr·
sic e le reciproche rivendicazioni d'au·
tonomia: sono collisioni o sovrapposi·
zioni tra mestieri che agiscono sulla
stessa materia prima con compelcnze e
strumentario in gran parte coincidenti
(per esempio, falegnami e barcaioli) o
che devono spesso integrare le loro catene operative per ottenere un determinalo prodotto (come i carpentieri e i mu·
ratori) e che originano da una concorrenza imposta dalla povertà della committenza e sono allo stesso tempo indice
di un ancora imperfetto sviluppo di una
fisionomia specialistica aulonoma.
La limitazione del raggio di commiuen·
221
-..-.
za (esisteva, per esempio, la µroibiiione
di lavorare in cinà o nei Carnpidani
senza avvertire i maggiorali), la subordinazione dcli' apertura della bottega
all'esame di maestro e al pagamento
delle tasse, le restrizioni imposte alla
circolazione della manodopera (limiti
venivano imposti ai mastri forestieri e
ai praticanti non esaminati), le misure
protezionistiche nei confronti delle rispettive clientele tendevano a congelare
il possibile sviluppo de! mestiere, a cri·
stallizzare la divisione del lavoro tradi·
zionale. I giovani che vi aspiravano
avevano l'obbligo di incarliirsi, cioè di
vincolarsi per il tempo del tirocinio
presso un maestro, mediante un alto
notarile. In tal modo il gremio esercita·
va il controllo sui Lempi di apprendi·
mento, sulle qualità morali attraverso le
regole del regime convittuale, codificava le modalità tecniche di esercizio del
lavoro, anche attraverso il filtro costituito dall'obbligo dcl ciipo d'opera, cui
doveva sottoporsi I' esaminando, il jove
que ho.urà acabiil carta, al quale un padri·
no forniva le trassas, gli abbozzi dcl la·
varo da eseguire.
Malgrado ciò, nella prima metà dell'Ottocento, l'equilibrio è instabile: le
modifiche degli statuti e soprattutto il
numero di controversie rivelano le con·
traddizioni che spingono verso il superamento del gremio e l'affermazione
della ..libertà del lavoro ... Nelle zone rurali la siluazione è piU. statica: l'insieme
degli artigiani, e quindi anche i falegna·
mi e i mastri carrai, sfuggivano all'in·
fluenza dei gremi, che poteva esercitarsi
solo in modo indiretto. I praticanti po·
tevano spostarsi nei villaggi col permesso dei maggiorali cd esistevano figure di
lavoratori intermedi con una professionalità discutibile come i remendons, semplici riparatori cui era concesso di cserci!are solo nei villaggi. È una situazione
che indica un dislivello tecnologico e
l'esistenza di una circolazione asimmetrica di tecniche tra città e contado che
si muove lungo questi canali e altre
molteplici e incontrollabili vie.
.·NセQ@ __,
-·'
:-:-:1
-'··"'
-·.-_,
La rottura delle gabbia costituita dai
gremi, che pure permettono alla società
ottocentesca sarda di ereditare «un
mondo intero di impulsi e disposizioni
produttiveu, avviene con lentezza, anche se le forze sociali riformatici denunciano la funzione delle associazioni di
mestiere di os1acolo al progresso tecnico
e al liberarsi di uno spirito imprenditoriale. L'arretratezza delle «arti meccaョゥ」ィ・セ@
(anche se prevalentemente considerata con ottica ancora fisiocratica) stimola un processo di graduali interventi
legislativi e disparate iniziative da parte
di istituzioni e centri che tentano di costituire una «ufficialità tecnica" separata dalla tradizione di mestiere. Basti qui
ricordare le Memorie della Reale Società
Agraria cd Economica di Cagliari e la
pratica dei concorsi a premi per la mo::lifica in senso moderno di strumenti
:i.gricoli tradizionali come il carro e
.'aratro. La diffusione di notizie su pro:edimenti tecnici innovativi era pro:nossa da fogli rironnatori come il Gioriak di Cagliari che stilava una rubrica di
lgricoltura, arti e mestieri e Il Compilo.·ort <kilt cognizioni オエゥャセ@
che diffondeva
lOtizie su soluzioni tecniche, in genere
idottate in Francia e in Inghilterra, riセ。イ、ョエゥ@
tra l'altro l'arte dcli' ebanista.
\Ila difesa corporativa del segreto di
:nestiere si contrapponeva così la libera
:ircolazionc delle conoscenze e si esalta1ano la capacità produuiva della mani·attura e la funzione delle .,arti meccani;he.. come mediazione tra agricoltura e
<mercatura". L'istruzione primaria e
ecnica per i mestieri artigianali era rienuta necessaria per abbassare il costo
iella manodopera e per formare una
iuova disciplina di mestiere e un'etica
1dcguata che riformasse .. alcune abitulini viziose" e rendesse popolare uil senimento della previdenza, perché criveva il Compifo.lort - di tutte IC con:izioni, l'artigianesca, sottoposta a tan:: vicissitudini, è quella che vuole mag:iore economia e previdenza ... I primi
•stacoli della vecchia organizzazione di
nestiere ad essere attacca1i furono l'ob-
bligo degli esami, di cui si denunciava
la "parzialità" e .,formalità .. , il divieto di
passaggio di un'opera già iniziata 、セ@ un
maestro ad un altro, le restrizioni impo·
sie ai mesiieranti dci villaggi e ai maestri forestieri. Nel 1844 l'intervento viceregio scardina la sostanza ddl'istituzione corporativa, decretando l'abolizione del capo d'opera e della determi·
nazione della durata del 1irocinio e dcl
numero degli apprendis1i e dci lavoran·
ti, fino a sancirne la definitiva scomparsa nel 1864.
Ma la povenà e la relativa arretratezza
degli s1rumenti agricoli, dell'arredo domestico e delle altre lavorazioni in legno
per tutto i! XIX secolo (anche se sarebbe errato ipotizzare una staticità ed una
conservauv1ra assoluta) indicano lo
scarto esistente tra intervento dal!' alto e
realtà della condizione artigianale. La
lentezza nel cambiamento tecnologico
era piU che altro detenninata dalle debolezze economiche e sociali della borghesia riformatrice, dallo scarso livello
di accumulazione, dalla mancanza di
un mercato di consumo allargato. Così,
nella seconda metà del secolo scorso, si
apre il varco per un consistente flusso di
importazione di prodotti anche nel settore del legno, dalle casse e dai bauli,
alle botti, ai mobili.
La trasmissione delle conoscenze avvie·
ne per linee interne al mestiere; la proposta della Società agraria di Cagliari di
istituire una scuola elementare di aritmetica e di pratica delle misure e di disegno lineale (manifesto del 20 rebbraio
1846) rappresenta·un primo tentativo di
costituire un momento separato di.trasmissione del sapere tes:nico. Ma dall'iniziativa no·n sembrano sortire effetti
reali, anche se uno dei pochi gremi che
rispondono alla richiesta di sottoscrizione è proprio il gremio dei fàlegnami con
una contribuzione di 100 lire. Anche
nella seconda mc1à dell'Ottocento la sistematizzazione delle conoscenze relative all'artigianato del legno all'esterno
della bottega può dirsi quasi inesistente.
Non si ha notizia - per esempio - dcl225
-·--,
la circolazione, se non alla fine del secolo, di manuali sulla falegnameria, provenienti peraltro dal continente.· La trasmissione di cognizioni e di abilità
all'esterno delle botteghe avviene solo
presso istituzioni come l'ospizio degli
orfanelli di Cagliari. Nel 1826 l'ospizio
ha un'officina con un reparto per falegnami che nel 1884 viene trasformata in
scuola di arti e mestieri. A quel punto la
nuova istituzione, che nel 1907 diventa
Regia Scuola Industriale, prevede nel
secondo biennio un insegnamento teorico per falegnami. Dal 1924-25, dopo i
tre anni della scuola di avviamento,
presso la Scuola si pratica un tirocinio
di 4 anni in diversi mestieri qualificati,
tra i quali quello della falegnameria con
l'uso delle macchine.
Lo. botltgo. tkgli o.nni CinqU11.nto.. Quali erano i contorni sociali della figura tradizionale del mastru 'e !inno. e del mtJ.Itru 'e
/carro.? Fino agli anni Cinquanta di questo secolo si può dire che sia esistita una
tendenziale continuità de[ mestiere.
L'unità di produzione tendeva a modellarsi sulla forza lavoro disponibile all'interno della famiglia, mentre uno o
pili apprendisti venivano scelti spesso
sulla base di rapporti di parentela o di
comparatico. La dispersione proressionale e la rottura della continuità generazionale nel mestiere diventano un fenomeno consistente soltanto dopo la
metà degli Anni cinquanta. Fino ad allora la posizione produttiva e sociale di
un falegname era ambila. Per lungo
tempo il titolo di mastru o maistu. nelle
zone rurali della Sardegna ha indicato
uno statuto di rilevanza sociale. Le ramiglie di piccoli contadini spesso aspiravano ad indirizzare uno dei figli verso
un mestiere come quello del falegname
o del rabbro_
Solitamente il ralegname e il mas1ro
carraio esercitavano un'attività agricola, in genere una coltura specializzata,
in modo sussidiario: il peso specifico relat!vo delle due attività poteva comunque variare a seconda della capacità
--
-,.-_,
·.'i
·-··.èj
produttiva della bottega. Di solito anche nei paesi di piccole di1ncnsioni esercitavano il mestiere almeno due o tre l'a·
legnami, tra i quali si stabiliva una gerarchia professionale sulla base dcli 'abi·
lità tecnica e della forza della clientela,
che poneva al vertice chi aveva avuto
un'esperienza ーイッヲ・ウゥョ。ャセ@
nelle botteghe ciuadine.
Il possesso della terra potenziava la
compenetrai:ione tra falegname e coniadini: prestazioni specializzate o concentrazioni di manodopera nei momenti
critici del lavoro agricolo, variamente
combinate con obblighi connessi ai rapporti di parentela o di comparatico o di
vicinato, potevano essere accettate come pagamento di lavori artigianali (in
Trexenta, ad esempio, i piccoli contadini che avevano debiti con un artigiano
potevano pagare con una prestazione
collettiva chiamata arrodia).
La presenza della bottega ali' interno
del centro abitato, l'organizzazione della giornata di lavoro con le irregolarità e
gli orari propri degli artigiani, il tipo di
alimentazione, assieme ad altri segni
sociali distintivi come un certo grado
d'istruzione, una particolare organizzazione della vita familiare sulla quale influiva la vicinanza della casa alla bottega, creavano un rapporto c:on la vita di
villaggio differente rispetto agli altri ceti
produttivi tradizionali. In un insieme
sociale coerente la bottega assumeva
anche funzioni extra-produllive, diventava - ad esempio - un luogo di socializzazione, anche se inferiore come
rilevanza a quello rappresentato 、セャ。@
ccbarberia".
L'incapacità Per molli artigiani del legno di reggere alle trasformazioni che si
sono verificate nel loro settore a partire
dagli Anni cinquanta non va, quindi,
ricercata solo in disposizioni interne al·
la sfera tecno-organizzativa del mestiere, ma va anche ricondotta ad un atteggiamento ideologico di rifiuto rispello
allo sconvolgimento dci contorni sociali
della propria figura productiva e alla
perdila, sentita come irrimediabile, di
un prcsug10 sociale connesso alla relazione tra condizione artigiana e retico·
lato di rapporti tfadizionali.
Nella n1emori<1. dci vecchi artigiani viene esaltato il .. tempo <li mestiere" auto·
regolato e basato sulla responsabilità
personale rispetto al .. tempo disciplinato" dell'operaio della falegnameria o
carpenteria industriale. La ristrettei:za
e la relativa imprevedibilità del mercato
rendevano consueta la presenza di "pori" nella giornata lavorativa, resi piU
sensibili dalle variazioni stagionali: gli
strumenti agricoli (aratri, cart'i, s1rumcnti o parti in legno dei mezzi di lavoro) venivano spesso fabbricati o riparati
in concomitanza con l'inizio delle fasi
cruciali del lavoro dci campi. Un certo
grado di previsione della domanda e di
possibilità di stoccaggio era possibile solo nelle botteghe pill grosse: ad esempio, nella bot1ega dci mastri carrai Nuvoli, a Bonnanaro, il cui raggio di commitcenza era sufficientemente esteso,
mozzi (mudzofos), raggi (ragios) e sezioni
del cerchio (koasteris), semirifiniri, venivano fabbricati durante l'inverno in attesa di essere assemblati.
Nella bottega dcl mastru 'e linna e del mastru 'e karru poteva esserci a seconda delle sue dimensioni un minimo di divisione del lavoro. Anche nelle unità di produzione a base familiare accadeva che
le virtuosità produttive rivelatesi nei
singoli venissero connesse a funzioni
specifiche: così, in una bottega di fale·
gname (ma si tratta di norma di un
grosso centro), chi aveva particolari at·
titudini poteva diventare intagliatore
cor. un suo banco e con strumenti speciali; in un'officina di mastro carraio i
singoli, pur non perdendo un'abilità
complessiva, si applicavano chi al taglio
e alla squadratura del tronco per s'iskalo.
chi alla fabbricazione dei mozzi o alla
lavorazione del cerchione, ottenendo,
ovviamente su scala artigianale, una riduzione dcl tempo di lavoro e un au·
mento della forza produttiva.
Anche in queste botteghe si applicava il
principio dcl 1ninor dispendio possibile
226
di energia nelle co11dizioni d<itc e un;1
raziunallzzazlone, sc111prc nei lin11ti .tr·
tigianali, <lcllo spazio di lavoro Esiste.
ìnfani, una razionalità nella dislocaz10·
ne dci banchi, delle pZ'csc di luce, della
sirumentazione a n1ano e poi anche delle macchine, che dipende, in relazione
aHa grandezza dell'uniià di produzione,
dai rapponi rc<.:iproci chc veng:ono in1·
pos<i, pur nella varieià di combinazioni
poSsibili, dalla successione delle operazioni. Lo schema essenziale dcl processo lavorativo prevede le segucnti se·
qucnzc: progettare, sfilare, lagliarr, pialla·
rr, lr11igare, 1nonlare, i11collarr, ti11grrr.
Anche se il processo lavorativo rlclla fa·
legnameria non ha al suo interno nlomenti critici così rigidamenle condizionanti lo spazio virale come quello del
fabbro (e del mastru. 'e karru quando la·
vora sul ferro), dove la natura di solido
plastico del ferro richiede il rispetro di
una rigida consecucivi!à delle operazioni nei passaggi forgia-incudine (fodde o
foddi- inkudiru o inkodia), pure vi si rende
necessario un particolare rapporto tra
limiti corporei, oggetto di lavoro, operazione, tipo di utensili maneggiati.
Qu!:sfo rapporto viene modificato
quando le falegnamerie cittadine e, dopo la seconda guerra mondiale, anche
quelle rurali si dotano di macchine
utensili. La bottega cittadina si dilata
tra la fine del secolo XIX e gli inizi di
questo. Aziende come quelle dei fralelli
Boero e di Guglielmo Cao a Cagliari e
dci fratelli Clemente a Sassari sviluppano la divisione del lavoro, si organizzano in reparti, così come le officine di
carpenteria dei veicoli inseriscono le
macchine «Sciolleu, operatrici speciali,
determinando l'aumento di grandezza
della sede lavorativa. Le botteghe rurali
scelgono, invece, la «combinata", che
assomma diverse funzioni, costa meno,
occupa un minor spazio ed è insomma
piU adatta ad una dimensione produtti·
va ristretta.
G/r rlru.menli, La strumentazione tradizionale non si può dire etnicamcntt·
ifl'I
(.'/i"tt"·.:_:1 '''' """"" ''"''"" "'"•"·
disuso: la ricaka11ic<" f•C• ,/ rr1•liwrir rii /;•rr"
dcl carro.
310. Uria vccdiia battrgn d1-J11bbra 1alraf'"""
rcccrilomootc 11//11 n-couc.. rxionr /1rorlulliuc1.
J f f_ Gli allrc:..:i dtl muxtro carraio: so<
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connotabile nei caratteri morfologici e na, 1norso. 'eferru, morseflos, Jcrgt11/r dr /innelle proprietà meccaniche. Ciò che è na, canrs, 1,nadzas); infine g!i strumenti
individualizzato a livello regionale, o per la levigatura e smerigliatura, la
sub-regionale, sono semmai i tempi e i tracciatura, !a misurazione, Il disegno.
modi delle resistenze e delle trasforma- Si tratta, dunque, di uno sirumentario
non dissimile da quello di un falegname
zioni. La base tecnica nel secolo scorso
era generalmente ristretta, soprattutto di altre regioni. Ma questa mera elennell'artigianato rurale. L'ascia, e cazione appiattisce la straiificazione
storica, la·successionc evolutiva che vi è
l'asciolu, piccola ascia, avevano un ruolo
importante per il mnstru 'e linna, ma so· contenuta, i dislivelli tecnici, anche in
prattutto per il lavoro di carpenteria linea sincronica, tra i diversi artigiani.
(anche per il bottaio, maistu de kupas, che Ques10 strumentario a energia umana,
si serviva dell' asciolu per stufai, per crea- spesso fabbricato dallo stesso falegname
in collaborazione con il fabbro (so.sfoddre uno spessore uniforme delle doghe).
In particolare la formula funzionale del- zas, ad esempio, venivano ricavate dal·
l'acciaio delle balestre e sagomate pal'asciolu (taglio trasversale perpendicolarmente al manico, ricurvo verso l'im- zientemente dallo stesso mastru 'e linna),
viene progressivamente sostituito dalle
pugnatura, manico corto in grado di
imprimere notevole accelerazione e una macchine utensili a energia motrice
testa abbastanza pesante) ne faceva uno elettrica, causando una mutazione antropologica della figura Jcll'ar11gtil110.
strumento impiegabile, dopo il lavoro
La combinata, che comprende la pialla a
di sgrossatura fatto con l'ascia, in diverfilo, la mortasatrice, la pialla a spessore,
si segmenti operazionali che richiedevano una combinazione tra forza e preci- la sagomatrice e smerigliatrice, la sega
sione (anche se ovviamente inferiore a circolare, introdotta nella bottega rura·
quella permessa dagli strumenti a per- .Je, assorbe abilità e movimenti prima
incorporati negli organi sensori e motocussione poggiata). Nella prima metà di
ri e nella mente del maslru 'e linna.
questo secolo gli strumenti (trastos o al·
Le percussioni ritmiche a forza umana
tretsos) di un falegname medio comprendevano attrezzi per percussione lanciata dell'ascia, dcl martello, delle pialle, del·
come l'ascia (ascia o (d)irtrale o segur1) e le seghe, che potevano essere anche og·
getto di apprezzamento esletico, uditivo
l'asciolu, le mazzuole e i martelli (mattsas
e marteddos); a percussione poggiata co- e visivo, (si pensi alla ritmicità della
martellatura.alterna-ta in coppia sull'inme i diversi tipi di seghe (serrane, uerdugilu o utrdughigliu, per il taglio dei tronchi,
cucline, detta arrippikk,tto, nella bottega
serra, la sega a telaio, i diversi seghetti,
del mastro carraio e del fabbro) abban·
seralcku o seTTtJkku, strra.kku a b1JSteddu,
donano progressivamente le botteghe.
ecc.), le pialle differenziate per forme e Al ritmo libero si sostituisce il ritmo ob·
funzioni (pialla, il piallone, pianittas, le bligato dell'operaio che "smacchina". Il
gesto tecnico si emancipa dalla n:i.ano e
piallette, isgrossinu, lo sbozzino,Joddzas,
le sponderuole per le scorniciature, in- si incorpora nella macchina: segare nella
canalature), le raspe, lime e raschielti sega circolare o a nastro, appio.nare nella
(raspas, limas, rastra); a percussione pogpiallatrici; stampare e 。ュセ」ゥイ・@
nella
giata con percussore come il bulino, le mortasatrice, ecc. Quando si p<i-rla di
sgorbie, i pedani, gli scalpelli (bu.rinu,
perdita culturale, al di fuori di ogni vi(i)sgorbias, bidti.nos, (1)skarpeddos o iskraf
sione nostalgica, ci si riferisce al deperifeddos o tallantes); gli strumenti perforanre di questo bagaglio di disposizioni
ti come i succhielli di diverse dimensio- corporee, di coordinazione muscolare,
ni (berrinas), i trapani (trappanos o trapandi percezioni sensoriali delle forme delle
/es) con le punte (meccias o mercas), quelli
distanze e dci movimenti, di conoscenda presa, morse e morsetti (morsa 't linze delle particolarità e potenzialità dci
228
diversi tipi di legno, che, sourani all'indivi<luo, si interiorizzano nella macchi·
na. Si perde anche un legame di tipo
simbolico con gli strumenti a mano, un
rapporto di affezione personale.
L'operaio del legno nella falegnameria
indus1riale, magari specializzata solo in
infissi, si applica a una macchina specio.lc
che taglia un pezzo standard. All'unicità si contrappone l'intercambiabilità,
all'imperfezione del lavoro a mano
(che, però, nell'artigianato artistico dcl
legno diventa un valore) la perfezione e
la regolarità del prodotto di serie. Lari·
duzionc drastica della vecchia gamma
di capacità ad una abilità di dettaglio,
l'asservimento a un segmento dell'intera {;atena di operazioni, la sottrazione
dell'ideazione sono sentiti come una caduta irrecuperabile, un riprovevole tradimento del mestiere (<•allora si facevano lavori che oggi non si vedono piU .. ,
«oggi fa tutto la macchina, l'operaio deve solo mettere il pezzo•>, «il falegname
prima era un artistau). Il punto di rottura non viene però individuato solo nelle
macchine. I vecchi artigiani cittadini,
che hanno fin da giovani lavorato al!e
macchine, individuano come passaggio
traumatico anche l'introduzione di
nuovi materiali come il compensato, la
masonite, il multistrato, il truciolare,
tutti facilmente manipolabili, deteriorabili e sostituibili, che favoriscono il passaggio dai mobili "massicci" ai mobili
.. 1isci11.
li ュセウエイッ@
e l'apprendista. All'interno della
bottega arligianale un rapporto fonda·
mentale si instaurava tra maestro e apprendista, iskente o scienti, la cui scelta
avveniva spesso all'interno di rapporti
parentali o amicali. Nelle botteghe dei
villaggi è rimasta a lungo in vigore la
prassi del regime convitruale, sancita
nella carto. del gremio, o una sua combinazione con un rappor10 salariale.
L'apprendimento doveva seguire regole
codificate dalla tradizione e tappe rigidamente controllate. Su mastru faceva
entrare gradatamente s 'isk,nte in rap-
..
'
::--:.!
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·.·_-;
N⦅ZBセ@
porto con l'insieme tecnico. Si passava
dalla presa di conoscenza dc!la stru·
mentazione (forme, funzioni, lessico)
attraverso i compiti di assistenza e
t'a'perazione quotidi"ana dcl ripristino
dell'ordine (sos lras/os o jtrros andavano
riposti in s'ùkaffalt, secondo un ordine
codificato rispondente ad esigenze estetiche e funzionali), fino all'anribuzione
di lavori tecnici elementari come, ad
esempio, la levigatura. L'apprendimento era fondamentalmente interno al
mestiere, regolato dalla pratica e dall'esercizio. L'insegnamento avveniva in
modo implicito; chi voleva imparare
doveva sollecitare al massimo organi
motori e sensori, carpire con l'occhio i
segreti di lavora:donc per accelerare un
tirocinio che il maestro aveva interesse
a dilatare nel tempo al fine di mantenere basso il prezzo della forza lavoro e di
a11ontanare il rischio di una futura concorrenza.
La gerarchia era mantenuta insieme da
un controllo interno al processo lavorativo e da un sistema normativo disciplinare, dall'attribuzione al maestro, spe·
cie se parente, di funzioni educative sul
giovane, al quale venivano spesso richieste prestazioni extra-produttive (sas
commissiona). li rapporto gerarchico si
poteva leggere nelle differenze di componamento gestuale tecnico. Infatti
l'attribuzione o meno di certi gesti tecnici, la posizione specifica in un pro·
gramma gestuale indicavano immedia·
tamente il rapporto gerarchico esistente
tra i due. Ad esempio, la tracciatura
spettava al maestro, nel taglio con la sega il maestro stava al tiro e l'apprendista in risposta, dalla parte opposta rispeUo al lato di lavoro,del banco Hセゥャ@
banco era sacro, guai a passargli davanti•). _L'insegnamento era contraddistinto da frequenti rimproveri (<•il'asa, s'ofu.
pu.nlu.?..), da brusche prescrizioni tecniche ( ..amnuntadi ki sa piani/la non eslt u.na
barka» è l'efficace metafora che indicava
la necessità di incorporare il movimento
lineare e ritmico richiesto dalle pialle: e
piallare era l'operazione pili difficile da
imparare, quella che decideva dei tempi
dcl tirocinio). Anche con l'uso della
combinala il maestro cercava di riservarsi
il controllo sulle operazioni pili impor·
tanti, anche se ormai semplificate. Era
lui che stava al taglio, ad as1t1iort, inibendo per lungo tempo l'uso della macchina all'apprendista. Questa relazione
asimmetrica nel microspazio della bottega non faceva che rimandare alla gerarchia sociale esistente nei villaggi, alla
supremazia generazionale degli anziani
sui giovani. Il controllo del patrimonio
di conoscenze tecniche garantiva anche
esso quell'equilibrio sociale.
La lauoraziont del carro o buoi. Il processo
lavorativo del mostru 'e karru presentava
delle particolarità rispetto a quello dcl
falegname, poiché doveva lavorare sul
ferro e sul legno, con gli strumenti del
falegname e quelli del fabbro. La gamma delle sue produzioni andava dal carro a buoi, ai carri e ai calessi a cavallo,
fino ai telai, agli aratri, alla riparazione, recentemente, delle macchine agricole. Qui ci limitiamo ad una ricostruzione sintetica del processo di lavorazione del carro a buoi, un mezzo di lavoro
indispensabile fino agli Anni cinquanta
nelle aree rurali (le informazioni provengono dalla memoria orale di vecchi
falegnami e mastri carrai di alcuni paesi
del Meilogu).
Il maslru 'e lco.rru. padroneggiava come
carpentiere l'intero processo lavorativo.
Riuniva in sé competenze proprie del
fabbro e del falegname o comunque le
combinava all'interno della divisione
del lavoro nella m.edesima officina, an·
che se come figura produttiva singola
non poteva padroneggiare in tutta la lo·
ro estensione le abilità complessive delle
due specializzazioni perché la lavorazione dei mobili e del ferro battuto rimanevano al di là delle sue capacità.
"Adattava il ferro al legno, il legno al
ferro", "poteva dare un prodotto pili rifinito" (ci si riferisce al carro): sono
espressioni che indicano l'orgoglio del
mestiere, la consapevolezza della pro229
pria specificità tecnica normalmente ri·
conosciuta da su. mastru 'e finn.o., anche
quando questi era in grado di costruire
ogni parte, eccetto la ruota a raggi. Ac·
cantonata la ruota piena, arroda. dt panga
t laggiu, grossolanamente lavorata con
l'<Ucia e l'asciolu, la linea di demarcazione tra lo specialista e un generico agente
costruttore risiedeva proprio nella fab·
bricazione della ruota a raggi, per la
quale il mastro carraio possedeva lo
strumento adeguato, il tornio (prima a
mano, tutto di legno, poi di metallo e a
energia elettrica), che ancora negli anni
Cinquanta aveva in Sardegna una scarsa diffusione.
L'intero processo lavorativo richiedeva
una no1cvo!e capacità di controllo sui
mezzi naturali elementari impiegati
nelle diverse operazioni (aria, fuoco e
ac;qua) e una manipolazione dei rnate-riali, ferro e legno, le cui proprietà fisiche e chimiche venivano conosciute in
relazione alla forma e alla funzione dei
pezzi come elementi di un complesso (il
carro), attraverso l'esperienza. Si lavorava entro il quadro delle condizioni
obiettive imposte dai mezzi naturali elementari, dalle proprietà dei materiali,
dalla qualità di energia utilizzata, da1 livello di competenze possedute, dal grado di perfezionamento tecnico degli
strumenti, dalle funzioni delle parti
componenti il carro. Su queste condizioni agivano quelle dcl sistema socioculturale esistente, dalla disponibilità
dcl legname e dcl ferro adatti e dai loro
costi (per esempio, il fuso e la bronzina
venivano importati) fino alla tradizione
tecnica della zona. In gencra1e si può
dire che la spinta al mutamento tecnico
agl progressivamente su questi artigiani
e, malgrado il suo andamento contraddittorio, stimolò un perfezionamento
nel mestiere e favori un maggiore dominio sulle condizioni tecniche e naturali
con il passaggio da una prevalenza di
gesti tecnici basati sulla percussione
lanciata e sulla energia umana con no·
tevole grado di erogazione di forza muscolare e di in1precisione, a una predo-
312
313
230
312 ·C li ョャエyセNZオ@
drl mtutro nu1ow hcirinas.
JJ J.JJ1 Stn1111r.11ti in disu.ro della botlc_t:a del
.faltg11amt.
J/5 Cli attrezzi del mastro carraio: ,· martelli.
316. Cli attrezzi del mastro carraio: il metro
circolare, sa ròdana.
JJ 7. Cli attrezzi del mastro carraio: i modelli,
sos scstos .
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.316
'119/}(UVe11rli'torc
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llllfllli:/1t1I" 111/11 f̕' l<I
To11arw. 1•·'" 1""
.... 1.iatur•セ@ ilr I It'.tt""·
319
232
j.!.' L 'mgressu della bull•'.lt" t/1 1111 111taglwtu11·
di /Jcs11/o che prud11cc discutibili 111a1111Ja1ti /I"'
il consumo tun'st1'w.
.12.1. L 'it1tngliatorc dcl leg1w.
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S11rde.t;11<1 1icl Sr1a11lu e 1ul S,·11<"u·11tu dal 1r.i:11u
<li' Napoli.
J2 5-.126 Il fro11to11e di 1111a cllrsa/"111ca
altualme11te i11 prod1uio11r . Il lm ·uro d 'i111ag lio
è sta to eseguito seco11do i 111odrlli 1radi: iu11ali.
327-328. Antiche casse intagliat•· prot:e11ie11ti
dalla Barbagia di B clui (proprietà del Co1111111c
di Cagliari).
32 1
322
323
2.11
:ì2 :.
32·1
326
:na
327
275
minanza di gesti di percussione poggia·
ta e a una combinazione di energia mo·
trice umana ed elettrica.
La fattura del timone richiedeva un
tronco ben stagionato, generalmente di
leccio (elighe) usato in tutta l'isola, un le·
gno resistente, diritto, senza nodi. Biso·
gnava tagliare diritto e «trovare il gar·
bo», cioè individuare la corretta inclina·.
zione o la leggera curvatura dei bracci
de s 'iskala. Si sgrossava il tronco con
l'ascia (a do/adura kun s 'istrale) e poi lo si
tagliava al centro con un segone su ca·
valletto. Questo lavoro veniva eseguito
spesso da immigrati stagionali, i segantini friulani o toscani, ma anche da tonaresi o aritzesi che prestavano la loro
opera a aggiustu, a cottimo. In seguito,
questa operazione, che esigeva un dispendioso impiego di forza muscolare
ed era suscettibile di una possibilità di
errore antieconomica, venne semplificata con l'introduzione della sega a carrello. Il tronco così lavorato veniva bi·
forcato con l'inserimento di traverse in
legno e in ferro. La ruota raggiata dove·
va essere di legno duro e stagionato per
almeno tre anni, in genere frassino od
olivastro. Con il tornio si lavorava il
mozzo (nughe o mudzolu), mentre i fori
d'innesto per i raggi venivano praticati
con la mortasatrice e il divisore. I quarteris o koasteris, modellati con sagome di
legno (sestos), venivano lavorati con seghe e seghetti, mentre la curvatura,
spesso naturale, veniva rifinita con la
pianitta tunda. Lo strumento indispensabile per la misurazione era Ja rodana, un
metro metallico circolare . L' applicazione del cerchione (lamone) era particolarmente delicata e insieme gravosa fisica·
mente perché veniva fatta normalmente
nel mese di giugno e a mattina inoltrata
nello spazio esterno che nella bottega
del mastro carraio fungeva da prolun·
gamcnto del laboratorio interno. Il ccr·
chione doveva essere di 1,8 o 2 cm. piu
piccolo della circonferenza della ruota
se nuova, di 1 o 1,5 se consumata. Biso·
gnava inoltre tener conto, per la previ·
sionc della dilatazione, della qualità dcl
ferro, duro o dolce (cioè ad alto o basso
contenuto di carbonio). Il ferro, lavorato alla forgia, tenuto saldo con lunghe
pinze (ca11es), veniva incurvato con la
mazza, a battimazza; si raffreddava infi·
ne con l'acqua per consentirne la presa
definit iva sul legno. L'operazione ven·
ne resa piu semplice e meno faticosa,
con la riduzione dci cempi e dci lavoranti e l' aumento della produttività,
quando vennero utilizzate la macchina ri·
ca/catrice e la taglia-cerchi con la saldatrice. Strumenti passivi caratteristici del
mastru 'e karru, oltre il banku da falegname e quello da fabbro, erano sos cauallet·
tos tundos, sui quali si poggiavano le ruote per la lavorazione.
Tra i diversi possibili agenti costruttori
esisteva una divaricazione di competenze, da un massimo di specializzazione
concentrala nel mastru 'e karru, che oltre
al carro a buoi fabbricava i carri a cavallo (barrocciu e· tumbarella), fino a un
minimo depositalo nella figura del semplice conduttore di carro. Nei villaggi
però, in una situazione in cui si tendeva
il piu possibile all'autosufficienza anche
nella costruzione dei mezzi di lavoro,
anche il conduttore padroneggiava co·
noscenze e abilità, entro una sfera piu
limitata, il che gli permetteva di inter·
venire nella scelta dei legni adatti e nelle
riparazioni piu semplici (traverse, sistema di frenatura, pertiche delle trasformazioni del carro), una sfera comunque
elastica perché qualche conduttore era
anche in grado di costruirsi il giogo
(giuale) e il timone con una strumentazione minima (ascia, asciolu, serra e usteddu). Collegata a questa divaricazione
nella padronanza tecnica, esisteva anche una capacità tassonomica differenziata secondo una scala che andava da
un massimo per il mastru 'e lcarru a un
minimo per il conduttore per le proprietà dei materiali, l'uso degli strumenti,
la conoscenza dei procedimenti; una
scala che si invertiva sul lato delle competenze relative alle operazioni d'uso
del mezzo di lavoro. Ma questa difTerenziazionc nel saper fare e nel saper dire
236
dipendeva dal livello di sviluppo della
divisione sociale del lavoro .
I lauori d1 jaleg11a111eria. Si è detto che la
falegnameria usuale è presence in lutei i
villaggi sardi, ma bisogna anche sottolineare che questa presenza non è quali ·
tativamcnce omogenea . Nelle diverse
aree si creano dei centri di gravità, dove
agiscono botteghe piu grandi e tecn ica mente piu qualilicace che si creano una
committenza in diversi paesi e dalle
quali spesso per scissione si originano
nuove botteghe. Inoltre lo s,·iluppo del ·
la divisione territoriale del lavoro ha
prodotto nell'isola anche nel settore del
legno la congiunzione di specializzazioni produttive ad aree particolari e il for marsi sia di uno stile etnico regionale
sia di varianti sub-regionali. Una sct:ie
di prodotti artigianali hanno impressa
una specilicità etnica che si forma nella
combinazione tra creatività e ingegnosità degli artigiani locali e foni influenze
esterne.
Così la cassapanca sarda (kascia /011ga o
bankale) ha alcune omogeneità di carattere morfologico e strutturale (è di altezza notevole, è rettangolare, è in genere di castagno), ma le varianti microetniche presentano notevoli differenze
nella figurazione e nelle soluzioni morfologiche e strutturali. Le cassapanche
barbaricine (di Orani, di Aritzo e di
Desulo) sono piu semplici e lineari, a
scavo,a bassorilievo inciso o graffito ,
con sa mostra, il pannello cemrale decorato con fiori, tralci di vite, rose, ecc.; le
cassapanche di Santa Giusta, di Sanculussurgiu, di Bosa, di Benetutti sono
piu complesse, con una commistione di
elementi di derivazione toscana, genovese, veneta, ed anche spagnola (sculture a teste d'angelo, dorature e vernici,
zoccoli terminali con volute barocche) .
Non è estranea a queste influenze la
presenza in Sardegna degli ordini monastici che furono anche in questo campo un importante veicolo di diffusione
culturale: basti ricordare i banchi rusci ·
ci fatti a modello delle panche delle
chiese o le decorazioni e gli intagli sui
montanti e le travi orizzontali dei porticati delle case signorili del Campidano
di Cagliari.
Si possono ancora ricordare i lunght tavoli di castagno intagliato, di foggia cinquecentesca e i seggioloni a braccioli intagliati e traforati fatti a Dorgali, a
Nuoro e a Santulussurgiu .
La concentrazione abitativa e lo sviluppo tecn ico superiore permettono nelle
città lo sviluppo d i una ebanisteria (anche se vi è chi nega che per la Sardegna
si possa parlare di una connotazione etnica) direttamente influenzata dall'importazione della produzione continentale. Già nel secolo scorso l 'Angius segnalava i lavori di alcuni ebanisti cagliaritani uper la precisa imitazione di
lavori d'oltremare, e per la maestria
con che trattano il legno ginepro, che la
loro mano sa rendere così bello ne' lavori gentili, che in paragone men si loda
l,o stesso mogano...
E proprio nella lavorazione dei mobili
che si concentra il maggior numero di
mutamenti con l'adozione di nuovi materiali e di nuovi procedimenti. Tra gli
ultimi decenni del secolo scorso e gli inizi di questo si sviluppano vari stabilimenti, dall'azienda Clemente di Sassari
ai Boero, Cao e Carboni di Cagliari,
dove si introducono i nuovi materiali,
prende avvio la produzione di serie, i
mobili «lisci» prendono gradatamente il
sopravvento su quelli massicci. Negli
Anni trenta Arata e Biasi possono così
lamentare la decadenza della produzione tradizionale: «Il mobile in Sardegna
non è casuale. Eccettuate le infiltrazioni
e le deviazioni barocche, trova il suo
migliore punto di riferimento nei contrassegni della stirpe. E ci rammarica di
vederne la lenta agonia. Non solo, ma
quello che è peggio, è che i mobili. sardi
vanno scomparendo, nonostante gli
sforzi fatti per conservarne qualche
esemplare nei musei di Roma e di Cagliari. E con i modelli, scompare un insegnamento e una guida per l'artigiano
il quale, malamente incoraggiato, va
deviando i suoi gusti verso un'incolore
produzione industrializzata...
La trasformazione, segnalata da Arata
e Biasi, ha percorso da allora molta
strada e ha prodotto differenti esiti, dal·
la eliminazione pura e semplice della fi .
gura produttiva del vecchio falegname e
del mastro carraio alla sua sopravviven·
za negli interstizi della produzione in·
dustriale (riparazioni e servizi, supporto al bricoleur), ali' artigianato artistico
(spesso combinato con l'attività prece·
dente e con l'ausilio del pantografo per
aumentare la produzione e conquistarsi
un mercato), fino all'evoluzione verso
la produzione di serie con la falegnam e·
ria industriale. Nel caso dei mastri car·
rai, come del resto per i fabbri, si può
dire che solo raramente si è avuta una
trasformazione verso l'officina moder·
na che alla manipolazione del ferro unisce quella di un nuovo prodotto, l'alluminio anodizzato, con l'ausilio di macchine come il maglio e la saldatrice elet·
trica.
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1954: F. Loddo Cancpa, Statuti inediti di alcuni
grtm1 sordi, in .. Archivio storico sardo ... ' 'OI.
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del Progtllo Sardtgna/0.C.S . E. Rtlaziont/1·
nalt (1957-1962) di Ramy Alexar.da, Consulcnlt per
l'Art1g 1anato, Cagliari marzo 1963 (ciel.); L.
Wagn er, DdJ londlidus lebtn sardiniens 11n rpugtl
der spraclu, Heidclbcrg I 921.
Giovanni Dore
I luoghi della produzione artigianale
2. I luoghi della produzione artigianale di Gianni Dore
Nei villaggi della Sardegna tradizionale l'attività di tra·
sformazione artigiana si svolgeva in una pluralità di forme e
attraverso una vasta gamma di operatori, il cui grado di specializzazione e di autonomia professionale si distribuiva lungo
una scala di intensità variabile. Agli operatori con un alto
tasso di indipendenza di mestiere, che comunque spesso praticavano una coltura agricola specializzata, si aggiungevano,
passando per una molteplicità di figure intermedie, contadini
e pastori, per i quali le attività artigiane rappresentavano nna
fonte integrativa nella ウエイセ・ァゥ。@
familiare tesa a .conseguire
l'obiettivo il più delle volte fallito di un'autosufficienza economica. Costoro potevano occupare spazi interstiziali nei processi lavorativi dei diversi mestieri, ma anche presentarsi come
gli urùd operatori in alcuni settori.
Di norma gli inserimenti nelle catene operative rimanevano confinati nell'azione su materiali più facilmente manipolabili dal non specialista, come il legno, escludendo un solido plastico come il ferro, che richiedeva una maggiore specializzazione dello spazio• di lavoro e della strumentazione
soprattutto passiva. Materiali come il legno, arbusti e fibre
vegetali, il corno, il sughero costituivano invece l'oggetto di
lavoro privilegiato di lavorazioni specializzate a frequenza stagionale di questi strati produttivi, con una partecipazione di.f.
ferenziata dei due sessi.
Artigiani contadini dunque, ma anche contadi ni artigiani
e pastori artigiani secondo un'ampia varietà di sfumature e
possibilità combinatorie socio.produttive. Il trascorrere di
queste combinazioni di mestiere dall'uno all'altro polo era
anche favorito dalla condivisione ali 'interno dcl villaggio di
un ambiente tecnico coerente, che permetteva 6n da bambini,
attraverso un addestramento nel fare o anche solo visivo, di
partecipare delle tecniche artigianali (memorizzazione di atomi
108. Boucga di fabbro ferraio (/errm). L'edificio, collocato in pos1Z1onc stra tegica rispetto alla rrama viaria, con affaccio sulla strada e piccolo cortile
rctrostancc, è interamente ad ibito a spazio lavora tivo con la ridefini7. ionc degli interni (foto: F . Tiragallo).
14.J
tecnici e sequenze operative, familiarità con la cinesi speci6ca
e gli spazi di lavoro). Passaggi come apprendisti, temporanei
o stabili, nelle botteghe del paese o dell'area da parte di giovani provenienti da famiglie contadine o · pastorali favorivano
e consolidavano questa solidarietà transproduttiva.
Di particolare interesse era l'attività artigianale sussidiaria
di alcuni paesi pastorali delle aree interne (Aritzo, Desulo,
T onara), fondamentalmente indirizzata lungo l'asse della produzione per il consumo e l'arredo domestico, dalle lavorazioni
di oggetti di corno, sughero, legno, all'intaglio più complesso
dal punto di \'ista tecnico e della produzione figurativa e sim·
bolica dei pannelli frontali delle cassapache (mostras), in legno
di castagno. Queste attività si collocavano nei pori del processo lavorati,·o pastorale, ne seguivano le variazioni stagionali, facendo cosl coincidere le linee di transumanza con le
direttrici di circolazione di questi manufatti artigianali e di
altri prodotti da specialisti dcl paese. In questo modo tali
attività manifatturiere, anche se incapaci di garantire un'autonomia professionale, potevano fissarsi fino a caratterizzare
la specializzazione artigianale di un 'area, integrandola stabilmente nella divisione territoriale dcl lavoro e nella rete di
scambio dell'isola:
Queste funzioni di integrazione spaziale nel territorio a
corto e vasto raggio restano però in gran parte da studiare.
Certamente la circolazione dei prodotti, delle tecniche, della
manodopera, i processi di scissione e di dispersione delle botteghe producevano un sottosistema economico territoriale che,
malgrado la sua frammentarietà, fragilità, arretratezza tecnica,
se comparato a quello di altre regioni, tendeva ad organizzarsi
per centri di gravità tecnica e creava per talune attività forti
e radicate specializzazioni areali, che in gran parte continuano
anche oggi, nella riconversione dall'artigianato usuale rurale
a forme di artigianato artistico.
L'itinerario tra i paesi e verso le città alla ricerca di maestri, clienti, modelli, il contatto e la diffusione di tradizioni
costruttive ed estetiche, dci lessici tecnici, di atteggiamenti
e rappresentazioni idelogiche ha con(s!rito agli artigiani del!'isola un 'importante funzione di mediatori culturali, ne ha
fatto un fattore propulsivo nella intensificazione dci rapporti
territoriali e nella formazione di una più ampia identità etnica.
Questo vale anche per la circolazione sociale dei fatti tecnici: gli artigiani si ponevano cc; .••c mccliatori culturali tra
ceti « colti » e strati subalterni. Anche se questa dinamica
aveva modalità e intensità differenziate nei diversi periodi e
aree subregiooali, tipologie, fonne, soluzioni tecniche e figu-
Sarde11.1111
rative viaggiavano tra le due polarità in gran misura con Ja
mediazione attiva o passiva dell'arùgiano.
I lu ogh i d e l produrre artigianale. Se si tracciasse una
mappa dei luoghi del produrre artigianale in un paese sardo
uno agli anni Cinquanta, si vedrebbe apparire una presenza
diffusa e !-ma tipologia organizzabile su più livdli, dalla collocazione spaziale aUa con.6gurazione costruttiva fino al grado
di permanenza e stabilità. Prima di tutto si presenterebbe
una ripartizione tra luoghi esterni all'abitato ed interni; all'esterno dell'abitato, a distanze variabili, si componeva ( naturalmente con inclusioni o esclusioni a seconda dello specifico villaggio considerato) un'architettura dcl lavoro, dalle
strutture fisse e tecnicamente e architettonicamente più complesse come i molini e le gualchiere, a quelle transitorie rinnovabili stagionalmente, come le carbonaie, i ripari dei segantini, i luoghi di produzione dci mattoni crudi o delle tegole,
i cui segni sono oggi difficilmente leggibili sul territorio. Questa labilità poteva arrivare fino a un punto zero, come nel
caso dci lavori d'intaglio, normalmente eseguiti dai pastori
nei pori dcl processo lavorativo pastorale. Si trattava dunque
di lavorazioni generalmente stagionali, condizionate nel loro
insediamento dalla contiguità con le risorse naturali da sfruttare (fabbricazione dei làdiri;· mattoni crudi, tèullas, tegole,
sfruttamento delle cave, carbonaie, segherie) o con le fonti
di energia, come nel caso delle diverse lavorazioni con sfrut·
tamento di un mezzo elementare naturale come l'acqua. .
Qualcuno di questi lavori poteva anche presentarsi come
segmento della combinazione di più processi lavorativi, come
nel caso dell'identità tra le figure artigianali del carbonaio e
del fabbro.
I luoghi all'interno dell'abitato erano prevalentemente
stabili, identificabili con l'esercizio di un'attività autonoma e
continuativa, caratterizzati, anche se spesso non separati fisicamente dall'abitazione dell'operatore, o del tutto coincidenti
con uno spazio abitativo, che acquistava una polifunzionalità
ospitando delle attività manifatturiere normalmente stagionali,
integrative rispetto al prevalente lavoro contadino o pastorale.
Ma nell'abitato comparivano anche sedi temporanee, prive di
segni architettonici, luoghi o porziorù di spazio pubblico che
in determinati periodi o scadenze vedevano allocarsi attività
artigiane ambulanti (stagnai, ramai, materassai e cardatori,
tutti mestieri itineranti).
In una situazione di molteplicità originaria, nella quale
cioè era rara una piena autonomia professionale e in cui invece prevalevano le combi1111Zioni produttive, il produrre ar-
QセU@
tigianale con la sua capacità adattativa invadeva gli spazi, ne
fissava stabilmente la funzione o li piegava a una funzione
produttiva periodicamente sulla base di cicli sragionali o di
scadenze comunque variamente ad essi connesse. Cosl i mestieri itineranti sfruttavano la funzione di socializzazione della
piazza o della fonte a fini produttivi (e questi spazi nelle scadenze fisse delle fiere e dei mercati diventavano anche sede
privilegiata dello scambio e della circolazione di prodotti artigianali).
La collocazione spaziale. Le botteghe e gli altri spazi
del produrre artigiano si inseriscono dunque in una dimensione globale dell'abitato, vi stazionano a più livelli di integrazione, da quello produttivo a quello della socialità. La loro
collocazione nello spazio abitato, se da una parte non può
completamente rifuggire da condizionamenti tecnici, dipende
anche e spesso in modo prevalente da altre variabili che rimandano alla sfera della socialità e delle strategie di vita.
La bottega si inseriva in un reticolato di relazioni interindividuali e trovava in questo la forza di esistere ed eventualmente espandersi; le· resistenze spesso opposte attualmente
dai piccoli artigiani a trasferirsi nelle moderne aree di servizi
dipendono anchè dalla difficoltà di accettare il passaggio dalla
logica di una dimensione globale a quella della frantumazione
provocata dalla divisione per destinazione differenziata delle
funzioni socio-produttive. Il modello di insediamento artigiano
tradizionale è rimasto fino a oggi in gran parte ancorato a
quella configurazione spaziale che era teatro e veicolo insieme
dei ràpporti sociali e dei rapporti di scambio, antitetica rispetto al modello della· concentrazione insediativa monofunzionale e della impersonalità e occasionalità del mercato di
riferimento.
La logica tendenziale di Insediamento delle botteghe spingeva così le botteghe dei principali mestieri (ferreri o /railanu, /usteri o mastru de linna, carreri o mastru 'e karru) a
disporsi lungo le linee portanti della trama viaria dell'abitato,
preferibilmente nella piazza centrale o vicino ad essa, sfruttando e ridisegnando spazi di più facile accesso per il carriaggio
e modellandosi sui luoghi di transito dei contadini. Le botteghe dei mestieri minori, le cui condizioni di esercizio del
processo lavorativo richiedevano spazi più limitati, meno specializzati, e attrezzature tecniche ristrette per gamme e dimensioni, seguivano più rigidamente l'abitazione.
Altre variabili, come la compiuta saturazione dell'area centrale o una limitata disponibilità economica, potevano cor-
109. Putkolan:. li telaio p<:r b ferratura dci buoi da lavoro
HョZセ
po /e"ai) è collocato nd ponico dingresso cope no che funge
」セG^ゥ@
Z N Mィ
ュ、@
da
estensione dello spazio lavorati,·o dd laboratorio (Armungia . wl iari.
Foto: A. Melis) .
-
110.
li ..disordine organi1-.iato• tipico d1 ogn i spazio arugianalc in1cmo d1 bo11q:a di. fabbro (Scrramanno · Cagl1311 1,,10· F. Tiragallo t.
11 l. !memo di bouega di fabbro in disuso. Lo Sp3iio lavorativo è costruito intorno alla rclaiione forte dal pumo di vista tecnico tra forgia cd incudine
(Collinas · C1gliori. Foto: F. Tiragallo).
148
reggere e spezzare quest;1 tendenziale uniformità di aspirazione ad una collocazione privilegiata rispeuo all'inrensità e
qualità della circolazione e frequentazione sociale.
Relazione abitazione/bottega: l'integrazione spazio-temporale. Il rapporto spaziale abitazione/bouega consentiva una peculiare organizzazione del tempo lavorativo e
della sua relazione con il tempo cli non lavoro: era un adattamento e al tempo stesso un rafforzativo dell'irregolarità della
giornata artigiana. La vicinanza, contiguità o coincidenza tra
abitazione e bottega era la soluzione generalmenre praticata
fino a tempi recenti e in buona misura anche oggi; per motivi
ec:Onomici nel caso di coincidenza, perché permeueva di economizzare l'affìuo soprattuuo nelle tappe iniziali della vita
professionale, per motivi organizzativi in tut1i i casi perché
consentiva di i:derire ai ritmi irregolari, giornalieri o stagionali, del lavoro e di accrescere l'unità operativa nei momenti
nevralgici del processo lavorativo con l'integrazione tempo·
ranea dei familiari (i 6gli maschi, ma in più casi anche la
moglie) e di avere continuamente disponibile l'apprendista
anche nelle ore notturne (come nel caso dei fabbri), laddove
ー」イセ。ョ・カ@
un regime di apprendistato panialmenrc o totalmente convittuale.
Questa stretta relazione con gli spazi e i ritmi deUa vita
familiare creava dunque una integrazione spazio-temporale
originale che contribuiva a creare una · identità sociale dell'artigiano differenziata rispetto セ@ quella degli altri strati produttivi tradizionali: questa vicinanza e la presenza costante all'interno dell'abitato davano una configurazione particolare
alle relazioni familiari e consentivano un inserimento più immediato e continuo nella vita ·politica e amministrativa dcl
paese.
Tipologie costruttive. Le variabili che determinavano le
differenti configurazioni delle botteghe erano fondamentalmente la tipologia abitativa locale, i contenuti tecnici dcl mestiere con le relative costrizioni spaziali, il livello di specializzazione areale, la fase di evoluzione del mestiere, le differenze individuali cli sviluppo tecno-economico. Le soluzioni
possibili erano molteplici. L'edificio poteva nascere come
immediatamente progettato per la sua funzione produttiva o
per converso era la funzione produttiva a impadronirsi della
precedente funzione abitativa. In realtà normalmente la prima
possibilità può considerarsi variante della seconda, perché anche lo spazio pensato come sede della bottega cm costruito
SorJegr..J
o come annesso strumentale (casa a corte dcl Sud) o come
stanza d'abitazione, potenzialmente sempre in grado di riassumere, con l'evoluzione della carriera professionale e delle
esigenze familiari, la sua funzione di spazio domestico. Nella
casa a corte il grande portico d'ingresso, coperto da un soffitto di pietra o incannucciato, poteva assumere in sé la duplice
funzione di accesso all'abitazione privata e insieme quella produttiva (in genere si trattava di una bottega di bottaio o di
un mastro carraio o dell'estensione dello spazio di lavoro di
un fabbro).
Spesso per questi mestieri stabili si trattava cli una vecchia casa di contadino povero, mono o biccllulare, con cui si
realizzava una separazione fisica rispetto all'abitazione, normalmente però situata nello stesso vicinato. Nelle case a corte
del Sud la bottega dcl fabbro si presenta spesso come occupazione di un locale strumentale, aperto da una parte sulla
strada con una piccola porta e dall'altra sulla coree, che fungeva come prolungamento dello spazio interno; nel Gerrei
fino ai paesi delle aree collinari degradanti verso la pianura,
come Collinas ad esempio, si presentava spesso con l'occupazione dcl piano terra, portico compreso, dcl tipo di edificio
a palathu, che nei loc'lli superiori ospicava l'abitazione della
famiglia e conservava la corte con ridotti locali strumentali ed
eventualmente altri locali d'abitazione nella parte opposca
della corte stessa .
In tutti i casi le botteghe dci mestieri principali avevano
come costante funzionale l'accesso sulla strada e, nel caso del
fabbro e del mastro carraio, uno spazio sufficiente per il c:irriaggio, :inche con la cessione di una piccola porzione di privato al pubblico.
·
Si tratta dunque cli soluzioni variabili: la bottega potent
invadere completamente lo spazio già abitativo, riplasmandolo
secondo le esigenze del processo lavorativo, magari con lo
sfondamento della parete divisoria tra due locali, nel caso cli
abitazione bicellulare.
La relazione abitazione/bottega vedeva a sua ,·olta un arco
cli possibilità da un m:issimo di coincidenza e minimo di spazio
necessario (il ciabauino, ad esempio) attraverso dei gradi intermedi fino a un massimo di separazione fisica tra i due e
massimo di dilatazione dello spazio lavorativo. La coincidenza
tra abitazione e bottega poteva coniugare una doppia esigenza
di comunicazione: prestigio professionale e posizione sociale
della famiglia. l?: ciò che avveniva in alcuni paesi del Campidano (Sardara, Serrenti), dove compaiono insegne di mestiere scolpite nella pietra dell'architravè sull'ampio portale
di accèsso alla corte divisa tra funzioni domestiche e agricole
112. Panicolarc. La forgia in muratura con la cappa, non sempre presente nei l:iboratori tradizionali (foto: F. Tu:agallo).
113. P:micolarc. L'imponente mantice a doppia carnera in cuoio e legno, fissato in posizione angolare ai muri perimetrali con una impalcarura di legno
(foto: F. Tiragallo).
114-118. Le insegne professionali, tipiche dci paesi di Sankra e Scm:nii (Cagliari), scolpite dagli scalpellini loca li, segnano la volomà di autorapprcsema2ionc
sociale positiva dcl committente e di chi le ha clabomc. più che dj romunicaz ione produttiva, in sé superflua in un insieme abimivo coerente dove tuuo
è noto (foro: r. Tiragallo).
152
e funzioni produttive artigiane. Si tralla di presenze non di ffuse altrove, ma che è interessante rilevare, per il modo in
cui due dimensioni dell'essere nel paese vengono fuse su l
piano della produzione di simboli e valori sociali.
Il portale della casa a corte è uno degli elementi architettonici su cui si proietta l'immagine sociale della famiglia;
l'architrave scolpita è un rafforzativo. L'architrave con le insegne di mestiere (incudine e martello pei: il fabbro, ruota e
compasso per mastro carraio) sancisce una saldatura, una tra·
scorrcnza di significati tra la dimensione professionale e quella
della posizione della famiglia nella dimensione colle11iva. L'uso
di questi motivi decorativi rappresenta dunque per questi
ar tigiani l'adozione di un codice di comunicazione sociale più
complesso, in cui la funzionalità (l'indicare la presenza dcl mestiere) è dcl tuuo sussidiaria rispetto alla ricerca di un'auto·
rappresentazione positiva. Va anche notato che queste insegne
chiamano in causa anche la figura artigiana che le ha prodotte:
lo scalpellino, per il quale rappresentano la ricerca di un
codice di lavoro più elaborato. L'insegna cosl, in un insieme
abitativo coerente dove tutto è noto, diventa ambivalente, ma
non ambigua: veicola insieme l'autorappresentazione e la valorizzazione di chi ha compiuto il lavoro e di chi lo ha commissionato.
Il laboratorio artigiano si definisce e si riconosce all'interno
dell'abitato non solo come spazio ordinato di oggetti, ma anche come spazio dove luci, suoni, odori, temperatura, aria si
combinano per ogni mestiere in modo peculiare e inconfondibile, come entità che va a comporre l'unive rso dcl villaggio.
Ogni bottega combina diversamente ques ti elementi e dc-
posi ra la sua o riginale combinnione nel patrimonio uditivo,
visivo, olfattivo degli abitanri dcl paese; i suoni dci mcst1cn
dcl falegname o dd fabbro diventa no anche indicatori temporali all 'intcrno dei ritmi generali della vita di villaggio.
Le percussioni ri rmiche a :'o rza umana dell'ascia, del martello, delle pialle, delle seghe, delle mazze che erano anche
oggetto di apprezzamento es:e:ico, uditivo e visivo (si pensi
alla ritmicità della martellatu:3 alternata in coppia s ull'incudine, detto arrippikkello, nelG bottega dcl fabbro) hanno oggi
definitivamente abbandonato セ ・@ botteghe con l'introduzione
deUc macchine utensili, che 1-..Jnno assorbito abilità e movimenti prima incorporati negli c rganismi sensori e motori dell'artigiano, provocandone la m!.; tazio!'le antropologica e trasforil \'<Xchio spazio di lavoro, sia sul
mando al tempo ュセウッ@
piano architcltonico che dc:l!J disposizione funzionale.
Le bo11eghe cr:rno non ウcャセッ@
luogo di pratiche produttive,
ma anche di produzione di simboli e valori sociali . Luoghi
di gravitazione tecnica, le boa.:ghe e rano anche luog•• i di gravitazione sociale, s,·incoli seco::<lari dellJ! comunicazione interindi,•iduale, che CClnrribuivano alla coesione della colletti,·ità
all'interno di una comples.sit:ì funziona le sostanzialmente modellara sull'attività agricola e pastorale. Questa funzione di
socializzazione secondaria era consentita sia daUa loro integrazione nello spazio fisico e so.:::alc del! 'abitato, sia dalle condizioni tecniche del lavoro :i:dgianale: i pori della giornata
artigiana, l'auto matis mo del gesto, la possibilità tecnica di
interruzione della catena oper2tiva e finanche tra atomi tecruc1,
a seconda della qualità della ::'lateria prima oggetto del processo lavorativo.
Giovanni Dore
L' artigianato. Tradizione e innovazione
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La produ.'.ionc, lt> scnmbio e il consumo dci prodotti m-tigianali hanno storicamente contribuito a disegnare quel reticolo di relazioni che formano l'unità e l'identità isolana.
L'artigianato nelle sue diverse dimensioni è parte, dunque,
di quella «geografia della produ;r.ione e degli scambi», per
dirl.:i nrn lhaude l, che ,11 tempo stesso h.:i st.:ibilito comunanze di tr,Hti cullurn li e differenziato delle micro aree, con
vari livelli di intcgr.11r.ionc territoriale, con proiezioni cu ltu rali mutevoli nel tempo. Potrebbe essere questo, dcl ruolo
tlssunto nella formazione delle identità areali e sub-etniche,
uno dci possibili percorsi per descrivere e interpretare, ricucendo dati e storie parziali, l'artigianato del territorio oggi
definito amministrativamente dalla provincia di Oristano.
Proprio la circolazione dei prodotti ma anche degli operatori artigiani, ben più disponibili dei contadin i a spostarsi
per lavorare e vivere altrove, è s tata uno dci potenti fallori
di forma zione di una idcnt it;ì arcale cultura le più larga, di
creazione e diffusione di rappresentazioni incrociate Ira paese e paese. Basti pensare, nella società rurale tradizionale,
all'itinerare dei gualchierai di Santu Lussurgiu, ma anche
dei mercanti degli agrumi di Milis e in senso inverso, veicolati dai pastori o dai mercanti, di manufatti come i pannelli intagliati per le 11wstras delle cassapanche o le stoviglie di legno. Percorsi di prodotti e di uomini, ma anche di
tecniche, di modelli, di gusti estetici, di varietà linguistiche,
d i rappresentazioni collettive.
Un altro possibile punto di vista rimanda all'analisi dcl mutamento dei processi lavorativi tradizionali e delle sue relazioni con la dinamica dei rapporti sociali e della me11tnlità.
Non sarebbe, infatti, né sufficiente né corretta una rappresentazione statica d e lle tipologie, delle morfologie, delle figurazioni dei prodotti, che escludesse cioè la dimensione
dei processi lavorativi specifici con i cambiamenti nel sapere tradizionale, nelle tecniche del corpo, nei rapporti di produzione, nel legame tra organizzazione familiare e produzione.
Tenterò per quanto possibile di integrare in un quadro sintetico, e operando obbligatoriamente delle scelte, entrambi
i livelli di analisi.
Le tradizioni artigianal i. I gremì di Oristano
Come le altre città sa rde Oristano ha secolari tradizioni artigianali. G li artigiani vi erano orga nizzati in Cremi con i
loro statuti. Alcuni di essi ci sono rimasti in almeno una delle
loro versioni: dci ferrari (13/8/1524), dei muratori
(16112116'15), dei sarti (3/6/1608) dei figoli (6/511692), dei falegnami (81111693), degli srnrpari (18/5/'1721).
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La loro presenza indicava un certo livello di differenziazione specialistica e complessità, che esercitava i suoi effetti
sulle aree rurali circostanti, nelle quali pure operavano in
concorrenza i maestri cagliaritani . Come nelle altre città, le
regole gremiali imponevano un rigido controllo sulla concorrenza di mestiere, sulle modalità di esercizio e i tempi
dell'apprendistato, sulle tecniche di esecuzione, sui modelli,
sull'approvvigionamento e la qualità della materia prima,
sul!'etica del lavoro. Istituivano delle rigide linee di demarcazione tra i mestieri, anche se operanti sulla stessa materia prima, affrontando istituzionalmente i conflitti e le sovrapposizioni che la realtà sociale e il mutamento tecnico
riproducevano continuamente.
L'organizzazione gremiate resistette nel tempo, come altrove
in Sardegna, oltre gli interventi legislativi piemontesi, tesi
a liberare le potenzialità di sviluppo tecnico dalle rigidità
del controllo corporativo e a imporre un regime d i libera concorrenza. Gli statuti oristanesi continuarono non solo ad as4)
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ma anche a regolare parti essenziali tecno-produt:l\'e dei mestieri per gran
parte del secolo scorso, anche dopo la legge abrogativa dcl
1864.
Il gremio che organizza\·a l'attività d ei figoli, la più originale e prestigiosa attività manufattunera attribuita ad Oristano nella divisione territoriale del la,·oro isolana, può serv ire da esempio.
La protezione corporati\·a fissava d ei confini tec nici tra gli
alforeros, fabbricanti di brocche, e i -':go/i, fabbricanti di mattonelle e di tubi di terracotta. Come gli appartenenti agli
altri mestieri, essi avevano una residenzialità specia lizzata
all'interno della città e si caratterizzavano per segni distintivi socialmente codificati come la foggia del vestire: «i fi guli o vasai distinguonsi per un corpetto aperto a triangolo
sul petto e adattansi u na cintola di .::uojo lustrato e r icamato». Ancora negli anni '60 i laboratori dei vasai erano in parte
situati nella via Figoli e in parte nel quartiere suburbano di
S. Efisio, anche se ormai si afferma,·a il cambiamento nella
relazione spaziale tra laboratorio e casa d'abitazione e una
collocazione topografica casuale. Nel secolo scorso l'apprendista doveva lavorare presso un maestro per un prescritto
periodo di tempo, con l'obbligo di presentare poi alla commissione degli esaminatori (veedors) e all'intera maestranza, sotto la protezione di un padrino, come capi d'opera, una
brocca o brocchetta guarnita, mezza dozzina di vasi guarniti, mezza dozzina d i pilette lunghe per l'acqua e mezza
dozzina di secchietti (càrcidas). Anche l'approvvigionamento
della materia prima era sottoposto a uno stretto controllo:
l'estrazione dell'argilla non poteva ay·venire vicino alla fossa
(tana) di u n altro. I maestri dovevano pagare un contributo
annuale sui diritti dell'orto e dal 1853 anche una tassa annuale al Dazio di consumo del Comune.
Solo più tardi, poggiando sulla tradizione solidaristica del
Gremio ormai ristretto a funzioni associative e religiose, i
figoli si riunirono in cooperativa per accedere alle terre argillose, di cui non avevano la proprietà. L'assetto corporativo limitava la concorrenza interna e quella proveniente dall'esterno: non si poteva sottrarre la clientela ad un altro maestro, né d i norma, tranne casi regolamentati, potevano esercitare stranieri che non avessero sostenuto l'esame. Altrettanto rigido, attraverso la prescrizione di capi d'opera, era
il controllo sulle tipologie, sulle caratteristiche morfologi. che ed estetiche dei prodotti, nonché sulle tecniche di esecuzione. Una rigidità tuttavia che non deve far pensMe a
una impermeabilità nei confronti degli influ ssi tecnoculturali provenienti, direttamente o con la mediazione di
altre aree isolane, dal continente.
44. Il motwo dccorntiuo dcl sc1vizio
i11 ceramica s111a/111t11 111ti11gc 11 1111
pntri111n11io figurativo co11diuiso ca11 gli
altri settori artistici trad1zio1111/1.
44
Certamente la rigidità dei modelli, imposta nei capi d'opera, facilitava una certa fissità del gusto nella committenza,
anche se l'influenza è poi nei fatti bidirezionale. Il gusto e
la predilezione per certi prodotti dipendono sia dalla duttilità e disponibilità al mutamento dei produttori, sia da variabili come il livello del reddito e la collocazione sociale dei
clienti. A metà del secolo scorso l' Angius intravedeva la vulnerabilità di questo settore nella diffusione delle terraglie
provenienti dal continenti.: non solo nell' e/ite cittadina, ma
anche tra le classi medie: «I vasai (co11giolarjos) d'Oristano
in paragone degli altri della stessa arte in Sardegna sono
di molto su pcriori, e fan no l<i Ivoi la per d imostr<1;1,ione della loro perizia tali opere, che attraggono l'attenzione; non
pertanto non si può dire che essi sappiano preparar bene
la materi.i, e la snppiano ben maneggiare per farne quello
che loro si domandi. Vedasi quanti articoli di quest'arte
73
(e qui non riguardo solo i lavori fini) si domandino all'estero, e quanto debbano spendere non solo le persone di prima classe, ma quelle ancora della media, più prossima al1' infima». Segno questo di una crescente «ruralizzazione ..
della produzione locale: «Probabilmente anche le famose
brocche di Oristano ad anse plurime e ornate con figurin e
a tutto tondo, con cui si dovevano «cimentare» gli aspiranti
maestri, erano considerati oggetti «popolari» e di fattura ro7.za a paragone delle lucide maioliche e delle trasparenti porcellane d'importazione».
Lo stile etnico della produzione di Oristano si caratterizzava in Sardegna per la ricchezza di decorazioni: «doccioni
figurati che ornavano le parti terminali delle gronde delle
case baronali o dei maggiorenti, cavallucci decorativi sui tetti
e le anfore con figurette di santi, angeli con cartigli, ritmi
di rosoni e nel coperchio santini, teste di gallo».
O si rifugiava in dettagli come lo smalto, di norma di color
giallo verdognolo, in prossimità dell'orlo del collo delle anfore e al suo interno, nei prodotti meno ordinari che costituivano la pietTa di paragone dell'abilità dell'artigiano e della
qualità del suo laboratorio.
Le contaminazioni culturali, gli scarti dalla tradizione sono
ricostruibili parz.ialmente, per indizi: ad esempio nel "1849
Alberto Della Marmora aveva concesso a un vasaio (ko11gi11/argiu) di Oristano Francesco Vidili di produrre oggetti deviando dalla locale tradizione. Malgrado i tentativi di scardinamento delle corporazioni operati dalla Società agraria
nel 1833 e anche dopo il 1864, il Gremio conservò per lungo tempo, almeno in parte, le sue prerogative: lo provano
la traduzione di alcuni capitoli dello Statuto in italiano e vari
documenti come una delibera della Cassa del Gremio del
1886 o ancora una lette ra del Gremio al sindaco del 1906
per la rev is ione dei prezzi e un manifesto pubblico del Comune che in risposta ancoravn le tariffe delle terraglie a quelle stabilite il 4 luglio dcl 1777. Ciò nonostante il mutamen to sociale e tecnico si imponeva: così alla fine dell'800 s i sanciva la scissione tra il settore delle tegole e mattoni che da
quel momento imbocca la strada dell'edilizia industriale e
quello del vasellame.
Con il cambiamento del contesto socio-economico, a partire d'1gli <inni trenta, l'innnv<1ziont' supera k rL·sislL'nl.L'
dei vecchi maestri e procede, con esiti non sempre lineari,
s u diversi piani: con il tentativo di imnwtl'crsi 1wll.i produzione di vasellame per cot turn, mutuando da Pabillonis accorgimenti tecnici nelle modalità di trattamento della ma teria prim;i e ncll'introdui'.iont• di un.i nuovil grigli,1 (1L'r
il forno, co n il passaggio dalln ruot'1 doppi<1 lignea a qucllil
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zioni delle dimensioni del forno, in parte determinate dal
distacco dalle tipo logie di vasellame di grandi dimens ioni
e dalle costrizioni di una materia prima diventata più scarsa e di peggior qualità, infine con il passaggio a partire dagli anni '60 al laboratorio individuale, che fa perno sul s ingolo artigiano.
Gli interventi che agiscono sulla tradizione nel Novecento,
nel tentativo di rinnovare forme, motivi decorativi, attraverso una selezione consapevole, devono molto alla svolta
degli anni '20 nell'artigianato tradizionale, a livello locale
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in particolare all'attività della Scuola d'arte decorativa affidata negli stessi anni allo scultore Ciusa Romagna, che
ebbe breve durata. Cominciava così l'esteriorizzazione della
trasmissione del mestiere rispetto alle modalità secolari
di apprendimento per linee interne, nella bottega del maestro.
La separazione tra sede dell'apprendimento e della produzione ebbe poi un'accelerazione con la fondazione, sempre
ad Oristano, dell'Istituto Statale d'arte nel 1951, dedicato
soprattutto alla ceramica, che continua ancor oggi a svolgere un'importante funzione nel tener insieme una tradizione tecno-culturale locale con l'apertura ai nuovi e mutevoli influssi culturali. A partire dagli anni '50 il rapporto tradizione/innovazione venne mediato, nel quadro di un più
generale rinnovamento dell'artigianato sardo, dall'intervento di artisti ed architetti e dal supporto istituzionale dell'JSOLA.
Questa linea di non facile e spesso irrisolto equilibrio tra
tradizione e innovazione, tra difesa di uno stile etnico e contamina:lione culturale e più libera espressività individuale,
tra produzione di qualità e di serie, ha da allora caratterizzato il fare e il riflettere sul fare: si prolunga, come accade
per gli altri settori dell'artigianato artistico, negli attuali laboratori ceramici di Oristano, tra cui figura una Cooperativa maestri d'arte, e di Cabras. Segno comunque di una tradizione tecnica e di un'attività economica che continua ad
assolvere un ruolo importante, com'è dimostrato anche dai
volumi quantitativi della produzione attuale.
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...
Ambiente ecologico e ambiente tecnico . L'intreccio
Com'è avvenuto per la ceramica, con la disponibilità di terre
argillose, l'ambiente ecologico favorevole, soprattutto con
le produzioni spontanee di vegetaz ione palustre, ha consentito la specializzazione, nella divisione territoriale del lavoro, di alcune località dell'Oristanese nell'attività dell'intreccio. Un'industria domestica a partecipazione maschile
e femminile, integrativa rispetto alle attività economiche
principali, che garantiva un reddito supplementare.
Le tecniche d'intreccio piegavano la varietà di materie prime disponibili a diverse funzionalità d'uso nei differenti contesti produttivi.
Nd l'arch il<'llu r<l con I<' ç;ipt1nnt' di S. Giov;inn i d i Sin is; ncl1,i peslil ton n.isse e rl'l i, .i intre<.:ti,1lura in d i,1gon,1 lc, come
la sciaiga o sciaigottu, una rete a strascico per la cosidetta «pesc<1 vagnntiv<l» degli scia('\oftcris, e con le imbnrcazioni tradizionali di Cabrns, di Sant;i Giusta e di Riola, i fassoi o fasセPQゥL@
di giunco (si1111/w) <' fieno pnlustrc (fru), coesistenti
con le barche di legno a fondo piatto (brakkittas de kassn e
brakkas 'e kullega). Tutte queste produzioni erano sostenute, stagionalmente, da figure artigianali non autonome .
L'area di S. Vero .\1ilis, una delle più importanti, era caratterizzata da «una produzione di cestini e canestri con trama in stecca di canna e con ordito in bacchette flessibili di
germogli dì olivastro, di salice, di mirto» e dalln lavorazione della paglia e dcl giunco essicati.
Sì possono solo ricordare i cestini con l'occhiello della spirale ricoperto, come a Sinnai, da un dischetto di stoffa a colore vivace e con decorazioni a strisce nere o colorate, i contenitori d'uso quotidiano per il trnsporto degl i agrumi (orrios), l11vora li C<lll l,1 lt•l·11jç,1 ti ,'\l'tlfJcÙll, lt• S[llllÌl' d i f\·fil1 s ('
di Zeddian i inlrL'((i,1le (Ul1 i<l c.11111,1 t.1gli.i l.1 u :;pacc,1t.i L' cssicata e di S. Giusta con la bue/a (Typlia a11g11stifolin) e l'aba
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La direzione di cambiamento, pur mnntenendo il legame
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lo sia sulla qualità della materia prima (anche a causa del
nuovo sistema di mototrebbiatura e del deteriorarsi delle
zone paludose), aprendo lo spnzio nlla rafia e alla plastica,
con la perdita di qualità tattili e visive, sia selezionando i
tipi di prodotti e deprimendo la funzione usuale a vantaggio di quella artistica.
Va almeno notato come questa tradizione tecnica, a dimostrazione di una relativa persistenza e comunanza di ambiente tecnico, possn rivitalizzarsi e ricomparire, ma sempre come attività sussidiaria, e in funzione di un nuovo tipo di committenza turistica stagionale, anche in altri paesi
dell'area, come recentemente a Donigala, attraverso un processo di diffusione mimetica avvenuto per vie difficilmente ricostruibili.
La tessitura
I dati contenuti nelle voci del Dizionario storico-geografico
curate dall' Angius a metà del secolo scorso segnalano alcune località forti per numero e qualità tecnologica dei telai, per la capacità di manipolare materie prime differenti
e di servire un m ercato esterno al paese.
Le tecniche di base, con l'uso del telaio orizzontale, sono
comuni a quelle riscontrate nel resto dell'isola: le variazioni sono il risultato del rapporto tra costrizioni tecniche specifiche (tipo di telaio, tecnica di lavorazione, materia prima),
e il gioco combinatorio, localmente connotato, della simmetria, della ripetizione ritmica e della gamma dei colori prescelta.
Nell'ultimo dopoguerra J'artigiarn1to si è decisamente spostato dalla funzionalità usuale a quella prevalentemente artistica; dalle coperte agli arazzi e soprattutto ai tappeti, modificando la composizione formale, i colori, e scontando la
perdita di comprensione dei connotati simbolici tradizionali
non più interpretabili dai codici culturali così diversi rappresentati in un mercato allargato. La nascita di cooperative, a fianco dei laboratori a conduzione familiare, è stata
una risposta all'esigenza di combinare un alto livello tecnico formale con l'adesione a un mercato allargato, alle costrizioni imposte da un alto costo di formazione e di remunerazione di manodopera specializzata in una lavorazione
non dominata dalla serialità.
L'attività dal 1957 di un centro regionale come i'ISOLA e
di artisti da Tavolara fino ai recenti interventi di pittoricome Rosi a Zeddiani ha orientato questa conversione e sostenuto questo svil uppo, m ediando non sempre con successo l'incontro, spesso conflittuale, tra tecniche tradizionali, talvolta ormai scomparse e recuperate a fatica, e un
nuovo gusto adeguato alle richieste di un mercato ormai internazionale.
I centri di produzione pilota insediati d;ill'ISOL/\ ncll';irca
sono Mogoro e Paulilatino, dove sì stabilisce una continuità con tradizioni di specializzazione areale nella divisione
del lavoro territoriale isolana e si producono gli esiti più prestigiosi e convincenti. Ma ad essi si affiancano, con storie
non lineari ed esiti diversi, Morgong iori, Zeddiani, Santu
Lussurgiu e oggi soprattutto Samugheo per il numero dei
suoi laboratori e l'intensità di produzione.
Samugheo. La strutturazione di una nuova identità
Proprio Samugheo rappresenta oggi in modo emblematico
gli esiti contraddittori del tentativo di conciliare qualità e
quantità, serialità e individualità. Al tempo stesso richiama
l'attenzione perché proprio il nuovo spazio occupato da questa realtà artigianale è percepito, sia ali' interno che ali' esterno del paese, come elemento costitutivo, intorno al quale
si ristruttura la sua nuova identità.
Appartenente a una regione, il Mandrolisai, dalle proiezioni territoria li e cultura li ambigue, come Santu Lussurgìu
nel Montiferru, è uno dei paesi a tradizione forti nella tessitura. Nell'area si lavorava l'orbace (tela): esisteva una
g ualchiera (krakkéra) per la battitura d el tessuto, operazione che veniva svolta anche ad energia umana (con un'opposizione dunque tra competenza maschile, associata all'energia idraulica, e competenza femminile unita all'energia
umana).
L' Angìus scriveva che i telai erano almeno 369 su 417 famiglie: «le donne sono laboriosissime e fanno molta opera sul
telajo ( ... ) lavorano esse sulla lana e sul lino, ma principa lmente sopra la seconda materia, fabbricando molto al dì là
del bisogno domestico, onde fanno un lucro assai notevole
vendendo il superfluo ». Aggiungeva che «Le donne dalla
loro parte per le tele e per i panni che danno al commercio,
possono lucrare Il. 10.000», che, secondo la sua stima, ammontava a circa un decimo del ricavo delle esportazioni di
prodotti agricoli e pastorali.
Oggi i rapporti qualitativi tra queste attività sono profondamente cambiati: secondo alcune stime recenti il 40% del
reddito del paese sarebbe prodotto dall'artigianato tessile,
per un valore presunto di 2 miliardi annui, che salirebbe
a 10 con l'indotto.
Alla base dell'attuale sviluppo vi sono stati in questo dopoguerra degli interventi consapevoli come un corso di addestramento professionale nel 1961 con 15 ragazze, guidate da una maestra locale, l'intervento dell'ISOU\ per 4 anni,
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lil <:ollabora;-.ionc di Mtisti come Tavolara. Se nel '68 vi erano 3 ditte artigiane, nel 1980 ve ne erano, iscritte, 26; oggi
alla Mostra dell'artigianato del Mandrolisai partecipano una
quarantina di aziende con un migliaio di addetti.
L'innovazione ha a9ito su diversi piani. In primo luogo ha
eliminato prcssoche interamente i processi lavorativi relativi alla coltivazione e preparazione dcl lino, di cui il paese
era uno dei principali produttori, sostituendolo in gran parte
con il cotone industriale. Dal lato della strumentazione si
è innovato il telaio tradizionale Hエ・ャョQセゥオI@
nel materiale usato (i s ubbi di ferro e non in legno, i licci e i pettini importati), o lo si è sostituito con quello più grande a spola volan-
te. Sul piano delle tecniche di esecuzione vi è il definitivo
abbandono della vecchia tecnica a bnttros impostns, con impostazione a 4 ordini di licci, usata per le bisacce (bertulns)
e le coperte (b11 rms), e d i quella a /ittsos, con il privilegiamento sulla tecnica unu in dente, mantenuta su ordinazione, di quella a pibiones tott11 bre1111. Sul piano dell'utilizzo
dei mezzi elementari naturali, l'innovazione ha agito passando alle colorazioni con sostanze chimiche sintetiche o
alle lane colorate dall'industria. Vecchi prodotti sono stati
piegati a nuove funzionalità d'uso: dai copricassa (ko/Jcribnngos) agli arazzi, dalle coperte ai tappeti, altre produzioni sono state introdotte o potenziate come i tendaggi, i to-
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51. Tnp11eto policromo di Zeddiani. Ln
mediazione tra /'ideazione di artisti
professionisti e la tradizione tecnica lia
11em1esso il rinnovamento della tessitura
dell'area e /'ndeg11amcnto ai nuovi gusti
dcl mercato.
vagliati, già lavorati a mano e oggi con i telai meccanici, i
tessuti per tappezzeria in lino e cotone a pannu brenu e a
pei obrake. Certo questo è avvenuto cedendo in gran parte
l'ideazione ad architetti e pittori professionisti, anche se ciò
non ha impedito l'emergere di notevoli individualità locali, e subendo almeno in parte i mutevoli gusti della nuova
committenza urbana.
Sul piano socio-economico si è instaurato un nuovo tipo di
legame con l'agricoltura: una parte del reddito si è resa disponibile per affontare la meccanizzazione agricola e, fenomeno pressoché unico nell'isola nel settore, si è sviluppata
la divisione tecnica e sociale del lavoro con la separazione
di una parte importante del processo lavorativo in un orditoio elettrico, con la nascita di artigiani specializzati nella
costruzione di telai a spola volante e la comparsa dei salariati. La moltiplicazione per scissione di numerosi laboratori privati ha infatti prodotto una scarsità di manodopera
a partire dal '76, attirando salariati dai paesi vicini, fenomeno che, insieme con limportazione di materia prima, specie da Macomer a Nule, ha anche contribuito alla definizione di nuovi rapporti territoriali e di una nuova immagine
del paese.
Questa espansione mimetica di un'attività che s i estende
fino a conquistare un intero paese (lo si è già notato) è un
fenomeno usuale nei tempi recenti e sulle sue cause non
solo economiche, ma anche culturali, varrebbe la pena di
riflettere ulteriormente. Questa espansione e la possibilità
di produrre reddito hanno prodotto anche cambiamenti qualitativi s ul piano della divisione sessuale del lavoro, aprendo le catene operative della tessitura anche agli uomini, ai
quali tradizionalmente competeva piuttosto la fabbricazione/manutenzione di strumenti di lavoro connessi alle varie
fasi del processo lavorativo tessile (dai tellargiu tradizionale intagliato con figurazioni naturalistiche o sociali, cerimonializzate, al fuso e alla rocca, spesso però importati da Tonara e Desulo).
Un possibile comune denominatore tra queste vicende e
quelle di altri settori dell'artigianato artistico sta nel conflitto,
qui più evidente, tra qualità e quantità, nella lacerazione della soggettività dell'artigiano diviso tra i contraddittori richiami della standardizzazione e dell'unicità. Qui ancor più difficile e nmbigun si fa In di(lletticn trn trndi7.ionc e innOV(l7.io11t:. l..i 1t:11sio11t: cui è so lloposl,1 l ' idenlilù dd l '.1rt ig ia110 r isiede proprio nella problematicità, non sempre controllabi le, di questo mutamento che orn riplnsmn, orn scarta il
sapere accumulato. Sta nelle scosse, s pesso traumatiche per
la vita collettiva così come per le soggettività artigiane, imposte illl'nmbicntc tecnico trndizionn le, alle nbitudini cor-
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poree annidate nei gesti tecnici usuali richiesti da quel «motore umano», pur imperniato su una combinazione di pochi movimenti semplici, che è il telaio per tessere. Così il
telaio a spola volante impone nuove costrizioni pos turali (in
piedi e non seduti), cambia la cooperazione e con essa il controllo dello spazio vitale di lavoro (si tesse in due per accelerare i tempi di produzione). Sa remittenta (movimento dei
fili dell'ordito nei licci) nella lavorazione a littsos, segue il
disegno, depositato dalla tradizione nella memoria delle M t igiMlC', nwntn• 1'.1llrn l<'rn ic;1 e• i 11 11t1vi nH'l'Ji .1giscnnn s(ll ·
traenJu i l disegno eJ esteriori z.1,.indulu nt:i g r,ifici proposti
come modelli, contraendo le competenze alla ritmicità muscolare (lltCrn(ltn dcl movimento dci pcdnli e dci licci (pur
lasciando il calcolo menta le degli atomi tecnici) e riducendo i tempi di lavoro.
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diverse direzioni: può segmentare il processo la\·orativo conferendo a figure diverse, in funzione dell'età e dell' esperienza, determinate operazioni come impostare il telaio o
tingere la lana o disegnare; o definir\:? dei processi lavorativi, connessi al tessile, attribuendo la manutenzione degli
strumenti a una figura specifica o ancora separando la produzione dalla commercializzazione.
Se c'è una storia da scrivere s ulle trasformazioni del lavoro
artigianale, non solo tessile, in Sardegna, è proprio sulla
nuova disciplina corporea e intellettuale che è stata imposta, attraverso tappe successive, da questi mutame nti . Sulle sensazioni di ritmicità muscolare, sulle percezioni tattili
e visive e sulle operazioni mentali da cui dipendono le predilezioni tecniche; sui pensieri, le emozioni e le riflessioni
dentro e fuori del tempo di lavoro, ma anche sulle nuove
gerarchie professionali, le dinamiche sociali e i conflitti individuali, ma spesso anche parentali e amicali.
Santu Lussurgiu. Un'identità in crisi
Il caso di Santu Lussurgiu è per a ltri motivi anch'esso em blematico. Una lunga e diversificata realtà artigianale, che
è testimoniata già dall' Angius nella prima metà dell'800 (bottame, gualchiere, distillerie, oltre 300 telai), ha contribuito
a strutturare l'identità del paese. Una singolare duttilità e
ingegnosità fabrile, di cui il cassone di «tipo lussurgese» è
il prodotto tecnico cd estetico di maggior prestigio t' riconoscibilità etnica, hanno fatto per lungo tempo di Santu Lussurgiu un centro di gravità tecnica periferico, a cui non sono
state estranee mediazioni culturali, aperte alle influenze
esterne, sedimentate prima dalla presenza organizzata dei
religiosi e poi continuate nelle attività del l iceo linguistico,
nell'Istituto tecnico per il Turismo, ne l Centro di cultura e
nel Museo della tecnologia contadina.
Oggi il calo demografico, un cedimento del tessuto sociale
tradizionale, un distacco ideologico tra vecchie e nuove generazioni, un'attrazione di determinate attività produttive
verso la Carlo Felice, la contrazione, tranne alcune eccezioni, del settore artigianale, di cui è indice ani:hc la fin e dell'esperienza pluriennale della Mos tra dell ' artigianato lussurgese, sono elementi strutturali di una crisi d'identità che
è anche soggettivamente percepita dalla colletti\·ità, sia pure
in grad i diversi e con differenti modal ità. Di i:onseguenz,1
il 1«1 11porto ron gli ,1lt ri p.1es i di qul's l,1 111inn-,1rv.1 s i s i.i oggi ridefinendo sia su l piano del le relazioni economiche che
delle rappresentazioni co llettive. Se Santu Luss urgiu con tinua a condividere con il proprio passato il carattere di collocazione di confine tra aree culturali, storiche. amministr,1-
'il Afrtwff'IWI i•1d1l1•Jtl \'d -r"llrn1' ,j,·H.1 /i'·...:.··,•.t I tlllldl'll.:111111• 1111 tl,'\1111 .,,,, .,,,/
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tivc, gli stessi cambi ilmminis trntivi in pilrte modificilno queste relazioni e agiscono s ulle direzioni e qualità di rapporto
esistenti. Cuglieri, capoluogo della Comunità montana e sede del Collocamento, con il cambio amministrativo si è riavvicinato a Santu Lussurgiu; ili contempo si vive una tensione tra la tradizionale e sperimentata proiezione verso Macomer e que lla verso Oristano capoluogo deila nuova provincia.
Fallimenti come quello della cooperativa delle guantaie, travolta dei bassi costi della concorrenza continentale e poi cinese, o il declino della cooperativa d i tessitrici ormai senza
ricambio gen erazionale, hanno segnato al passivo della storia locale costi umani, dispersione di abilità professionali non
trasferibil i né facilmente convertibili, frammentaz ioni e d iscontinuità nell'ambiente tecnico. Questo ripiegamento su
posizioni difensive non ha però impedito il manifestarsi di
capacità di adattamento di insiemi tecnici tradizionali. Alcuni elementi della tradizione si prolungano nell'attuale realtà artigianale, trovando degli interstizi in produzioni specializzate, dove il mercato di riferimento è mutato in qualità. Gli elementi metallici delle briglie, morsi per la domatura (morso lussurgese), staffe, speroni (il tipo a rotelle con
le punte e il cosiddetto sperone dell'abigeatario leggero e
pieghevole), pastoie d'acciaio, oggi si indirizzano, oltre che
verso l'allevamento, verso l'equitazione turistica o agonistica (insieme con i vari finimenti di cuoio}; trovano una nicchia accanto a quelli di produzione industriale, come oggetto di lusso più che usuale, i coltelli con i manici di corno
di montone, di capro, ecc. (leppns, resolzns), di foggia tradizionale (sa /11ss11lzcsn) o di gusto moderno, mentre permane
una limitata produzione di strumenti e oggetti tradizionali
come forbici per tosare, roncole, rasoi da barba, grate, spiedi,
inferriate.
Artigianato usuale e in n ovazioni
L'attività artigianale usuale, come nel resto dell'isola, trova nel settore edilizio e nell'arredo la committenza più rilevante e costante: così si spiega come il dinamismo maggiore, con alcune eccezioni, abbia interessato settori manufatturieri come i marmisti, la carpenteria metallica, che lavora
l'alluminio anodizzato e il ferro inscatolato, e che produce
anche attrezzature per l'agricoltura, i falegnami, dediti alla
produzione di infissi e di mobili, solo negli interstizi lasciati dalla industria nazionale mobiliera (con un tentativo isolato di produzione locale di parquet di legno a Ghilarza).
La direzione generale dell'innovazione in questi settori consiste in un approfondimento di quella che Leroi-Gourhan
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chinma lcl «regressione m.rnualeu. Cambin dunque la qualità della «motilità ragionata» e s i esteriorizza nelle macchine, mentre ve ngono r ichieste nuove compete nze intellettuali, fuori del processo tecnico, come la conoscenza delle
nuove regole di organ izzazione produttiva e di commerciali:1.z.1:1.ione. Rasi i pt•ns<Ht' él llél conversiont' ddl.1 Vl'cchia mt'tallurgi.1 verso il !erro i11scnlolalo e soprattutto l'alluminio,
che ha inflitto tra l'altro un duro colpo alla falegnameria.
Ha giocato a favore della prima la maggiore affinità dell'oggetto di lavoro, 1<1 comunanza d el mezzo naturale elementare, il fuoco, e di uno s trumento come la saldatrice a cannello, già prese nte nella bottega fobbril e. La stessa natura
fisico ch imica dcll'éllluminio implicél una maggior faci li tà di
lavorazione: non ha le varietà morfologiche e strutturali del
ferro e tantomeno del legno, che con la sua particolare agg regazione mokcol,1re, con i s uoi dinnmismi interni, resis tenze e linee di rottura, sollecitava un inte ro differente patrimonio di abilità sensorie e motorie. Così in questo settore la semplificazione del rapporto proge tto/esecuzione, la
sollecitazione uniforme e non più multilate rale del rapporto materia/gesto ha agito s ia con il mutamento della stru mentazione, sia dell'oggetto di lavoro, modificando la qualità della manodopera.
U n altro asse del mutamento è la trasformazione degli spazi di lavoro e la tendenza alla separazione tra abitazione e
laboratorio, con la creazione delle zone artigianali attrezzate e il dilatarsi delle dimensioni. Dal locale in cui lo spazio
di lavoro è dimensionato sul dominio o la prevalenza dell'e nergia umana e della mano in motilità diretta si è passati
al laboratorio dove trovano spazio i macchinari. Si richiede
un nuovo tipo di controllo dello spazio di lavoro, la fissazione di nuove abitudini corporee, che sostituiscono i vecchi automatismi. Anche se le nuove macchine non escludono il sapere implicito percettivo, che solo il ripetuto veder fare e fare direttamente rende possibile.
Se la netta rottura operata rispetto ali' architettura tradizionale impedisce a questi settori un legame con la tradizione, alcune produzioni· manufatturiere dell'area, come la lavorazione delle pelli e la coltelleria, mantengono ancora ques to rapporto, pur operando all'interno di un mercato di
scambio profondamente cambiato. Nel settore del cuoio, ad
esempio, si è verificata una contrazione degli utensili e prodotti d'uso agro-pastorale, a favore di una gamma di oggetti, complementi d'abbigliamento o d'arredo come le borse, i cuscini, le cinture, portamonete, servizi da scrittoio ecc ..
Lo spazio occupato dalla conceria di Ghilarza e dai laboratori a conduzione familiare di Santu Lusssurgiu è certamente
tributario delle tradizioni locali di lavorazione del cuoio ad
imprcssjonc (con gli stampi e le piccole presse di legno).
Un altro caso almeno va segnalato, ma come tentativo bloccato dalla dipendenza dal!' esterno: la lavorazione dcl corallo.
È difficile comprendere le sorti e le prospetti\·e mancate di
qucstn la vorn:1.ionc (non solo t1d Orislann) scn1.<1 riferirsi ,11
monopolio esercitato non solo sulla commercializzazione del
prodotto, ma anche sulla la\·orazione, dai commercianti di
Torre del Greco, dove la manifattura è compiuta in tanti piccoli laboratori co n forme di sfruttamento e assenza di assicurazioni sociali che, deprimendo il costo della forza la voro, stroncano ogni tentati\·o di concorrenza .
L'impos izione di un controllo stretto rende difficile muoversi anche negli interstizi e orienta lo stesso artigiano, malgrado la dotazione di moderni strumenti come il banco di
lnvoro robotizzato al raggio laser per la foratura delle perle, verso la vendita di oggetti lavorati altrove e di corallo
s pesso non sardo, piuttosto che verso la lavorazione diretta. Impossibile la concorrenza sul piano del prodotto s tandardizzato della lavorazione liscia sono stati fatti tentativi
s ul piano del prodotto di qualità, con l'incisione sul corallo
di qualità s uperiore, ma la difficoltà di reperire i capitali e
soprattutto lo stretto controllo sullo scambio sembrano essere ostacoli insuperabili.
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ns11/tato dc/l'attività di orga11izznzi<111c
culturale e di cloc11111c11tazio11<
ct11ograficn del locale Cc11/ro di Cultura
popolare C ciel 5110 n11imatc>l'C /"ra11ccsco
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l'cq111tozionc agonistica e turistica
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di Chi/orzo.
111
11110 co11cerin
60. Il cnsso11c tl1 llpo /11ss11rxi:sc
lllsicmc con In fon11n pi1i /1111110 e pi1i
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bassa rispetto al cassone barbaricino.
il particolare tltllo zoccolo tcrmi11nlc
oggct1m1/e con fnln11ge stiliwitn e il
ritmo degli clemen ti elicoidali, dei
moliui fo$1inri e tlei roso11ci11i 11c
conlrndd1sli11g11e lo stile cinico.
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