Academia.eduAcademia.edu

SAGGI DI CULTURA MATERIALE

This miscellanea contains four essays on Sardinian material culture which have been published between 1980 and 1991. Merging archival research and field work in rural villages of Sardinia, some topics are explored: food processing and the system of food exchange in a northern village, rural craftsmen like wheelwrights, iron and wood artisans, the re-imagination of local tradition in craftmaship, aesthetics and skills...

GianniDore SAGGI DI CULTURA MATERIALE DELLA SARDEGNA RURALE --: i i II I j i l i l l ' I j i ·';:l .J ' セ@ \--セ@ MISCELLANEA ----·. -.-.· --.- •'-'< Bologna 1996 INDICE Nota bibliografica La Mbcdlanea non costituisce pubblicazione autonoma. In essa vengono collezionati saggi scritti nel cono di diversi anni, editi in riviste o volumi coUettivi di non facile reperibilità. Fonti degli articoli. 1. R ciclo del maiale domestico a Torralba, "Bollettino del repertorio e dell'Atlante demologico sardo (BRADS)". 1979-80, o. 9, pp. 71-79; 2. R carro a buoi, in F. Maoconi-G. Angioni (a cura), Le opere e i giorni, Silvana editoriale, Milano 1982, pp. 223-238; 3. Falegname e mastro carraio, in F. Manconi (a cura), Il lavoro dei Sardi, Edizioni Gallizzi, Sassari 1983, pp.224-237; 4. I lUfJghi della produzione artigianale, io G. Angiooi- A. Saona, Sardegna, Coli. L'Architettura rurale, Laterza, Bari 1988, pp.142-152; ' ZMセj@ I I 5. L'Artigianato. Tradizione e Innovazione, io A. Oppo (a cura), La Provincia di Oristano. Il lavoro e la vita sociale, Amilcare Pizzi ed., Quarto S.Eleoa (CA) 1991, pp-70-89. GIOVANNI DORE ---, _-, IL CICLO DEL MAIALE DOMESTICO A TORRALBA IL CICLO DEL MAIALE DOMESTICO A TORRALBA Giovanni Dare -i セェ@ I 1 --: ·'-'I --j (quando c'è il maiale, la casa è piena).(!J Con tutti i suoi molteplici prodotti assolveva a un ruolo essenziale, vitale all'interno dell'alimentazione tradizionale: L'utilizzazione del maiale domestico all'interno dell'economia tradizionale configura l'esistenza di un ciclo che dall'acquisto o riproduzione porta, attraverso l'allevamento domestico, alla lavorazione e preparazione delle diverse parti della bestia, minuziosamente diversificata e dettagliata, secondo una secolare somma di esperienze, per aderire alle caratteristiche di un consumo familiare, duramente limitato quantitativamente e qualitativamente, rigidamente condizionato dalla precarietà e arretratezza delle condizioni materiali di produzione. La persistente rilevanza dell'allevamento del maiale domestico, fino approssimativamente alla fine degli anni '40, ha prodotto un siStema di cognizioni, di com· petenze, abilità tecniche, differenziazione di lavorazioni e di corrispondenti prodolti, un complesso di credenze ed usanze, un reticolato di relazioni sociali e di transazioni, oramai scardinato e disperso dal tracollo delle attività produttive tradizionali e dei rapporti di produzione e legami sociali ad esse connessi, in conseguenza della piena espansione e diretta dominanza dei rapporti di produzione capitalistici. La descrizione delle attività e dei rapporti formatisi intorno alla sequenza allevamento-lavorazioneconsumo nella località di Terralba, villaggio di circa 1200 abitanti situato ai confini meridionali del Logudoro, nella zona detta Meilogu, pur con le sue peculiarità, coglie un fondo comune esteso in tutta l'isola.{'J Limportanza del maiale domestico all'interno di un consumo familiare, dipendente dallo stadio arretrato delle forze produttive e della divisione del lavoro riscontrabile a Terralba nella prima metà di questo secolo, è efficacemente espresso nel motto popolare kandu b'elthe su pohhu sa domo セ@ prena, C'era la miseria veramente. Era un periodo veramente brutto. Non c'era possibilità né di lavoro, né di niente, di salvarsi la famiglia. La giornata era di tre lire al giorno, non c'era scampo, non c'erano pensioni, non c'era niente, E cosa potevano rare? li maiale era tutlo, perché il maiale quando lo ammazzavano serviva per lutto l'anno. Va precisalo che il limite cronologico delle informazioni acquisite per questa sommaria ricostruzione è rigidamente determinato dai confini della memoria degli informatori: si estende approssimativamente dall'inizio del secolo all'inizio degli anni '50.Pl Nell'esposizione seguiremo, per quanto possibile, l'effettiva successione temporale delle diverse fasi ed operazioni. 1. L'allevamento brado. La prima fase dell'allevamento generalmente si collocava a monte dell'acquisto, sfuggendo dunque al controllo familiare. I maiali venivano allevati nei salti circostanti il paese, se di proprietà di pastori e porcari (generalmente l'una e l'altra cosa insieme) originari di Terralba, o nelle campagne di Mores e di Thiesi, dove esistevano ricchi e numerosi allevamenti suini. A Terralba, fino alla seconda guerra mondiale, vi erano una cinquantina di pa. stari-porcari che vendevano annualmente i loro maiali alle fainiglie del paese. Questa fase era carette- (I) Torralba セ@ paese agro-pastorale, con prevalenza dei contadini sui pastori. Nella prima metà del secolo era caratteriuato da un forte reticolato di piccola proprietà a conduzione diretta; diffusi erano i rapporti di affittanza e mezzadria. Esistevano solo alcune grandi proprielà sui 300400 ettari (grandi in relazione all'estensione della proprietà media: dai J ai 5 ettari). li paese, situato sul tracciato della Carlo Felice, ultima Importante stazione di pos!a prima di Snssari, era esposto a notevoli infiltrazioni culturali; era anche oggeuo di immigrazione da parte di famiglie pastorali provenienti dagli altipiani. (2) Per quanto riguarda la grafia ci siamo attenuti al sistema di trascrizione semplificato indicato in E. DELITALA, Come /ore ricerco. sul campo, Cagliari, Edes 1978. (J) Si è adottato il metodo delle interviste libere (in numero di 10) coadiuvato da numerosi colloqui semi-occasionali resi possibili dalla familiarità con il paese. Gli infonnatori, lutti al di sopra dei 60 anni, rappresentano i diversi strati sociali e le attivilà produttive esislenti nel paese. ----: 72 G. DORE ---------------------- IL CICLO DEL MAIALE DOMESTICO A TORRALBA ---------------·----·----· in natura (per quanto i rapporti mercantili fossero ormai dominanti verso l'esterno). Il maiale veniva generalmente pagato in natura, a s'inkundza, al momento de[ raccolto, tra luglio e agosto, o con l'offerta di giornate di lavoro, con il sistema a kambiu, nei momenti nevralgici del processo produttivo agricolo o di quello pastorale. L'entità del pagamento veniva, dunque, stabilita in rapporto al peso del maiale, secondo il valore corrente della giornata lavorativa o di una detenninata quantità di prodotto (per un mD.iale di l /cantare, circa 40 Kg., si corrispondevano fino a 14 kovufas de trigu, circa 14-0 Kg. di grano). L'allevamento domestico del maiale seguiva, dunque, il ciclo stagionale dell'abbondanza e del· l'indigenza: veniva· generalmente acquistato tra aprile e luglio, al massimo agosto, per poter usufruire della stagione dei raccolti. In qualche caso veniva comprato -a dicembre, dopo l'uccisione del precedente, ma da famiglie con possibilità economiche superiori alla media; che potevano sostenere un notevole prolungamento del periodo d'ingrasso. Al momento dell'acquisto avveniva sa kalthra· dura, la castratura, operazione essenziale per la buona riuscita dell'ingrasso. rizzata da una grande mobilità dell'animale e da un'alimentazione differenziata rispetto al successivo periodo dell'ingrasso. L'alimentazione comprendeva erba e bacche selvatiche (soprattutto ghiande), frutt2 (specie figu de indria, fichidindia), avanzi di cibo, ricotta, alimento vietato durante l'ingrasso, e sa gioita, il residuo della lavorazione del formaggio. 2. L'acquisto Fino alla seconda guerra mondiale venivano posti all'ingrasso, a Terralba, fino a 200 maiali.<'1 Negli anni successivi il numero è progressivamente calato fino a stabilizzarsi intorno alla ventina. Benché la maggior parte degli Informatori tenga a sottolinea· re che «dappertutto c'era il maiale, non c'era casa dove non ci fosse», in realtà capitava che le famiglie più povere per più di un anno rimanessero senza, segno questo di estrema povertà (no ana manku su pohhu, «non hanno neppure il maiale»). Il modo per sfuggire a questa vera e propria sciagura ed aggirare la precarietà di risorse disponibili consisteva nello stringere un accordo a komune con un'altra famiglia: una famiglia comprava il maiale e corrispondeva un determinato quantitativo di raccolto (sette hovuras· de ltrore, o de fae o de trimorihhu ·sette ceste di grano, o di fave o di granturco, corrispondenti a 70 kg., per un maiale di medie propor· zioni, intorno agli anni '20), l'altra lo prendeva in custodia per allevarlo e ingrassarlo. La divisione avveniva in parti uguali («mattadzu, laldhu, odzu, pelta, tottu a komune. Tutto si divideva in parti uguali, finché ce n'era si divideva>>). Solo 1 benestanti (proprietari di terre o allevatori, ma anche qualche artigiano e commerciante) potevano permettersi di allevare più di un maiale. Il verre per la monta veniva preso in prestito, anche fuori del paese, per esempio a Thiesi; la prestazione veniva ripagata a kambiu, con la corresponsione di giornate di lavoro, o almeno con l'invio in dono di parli del maiale macellato. Le forme di pagamento erano a Terralba tipiche di un assetto economico basato sulla piccola produzione, sull'integrazione locale dé1 diversi settori produttivi, sulla presenza all'interno di ogni processo lavorativo e tra comparti differenti dello scambio (4) :.;: .. セ@ J. L'a/levaniento do1nestico. Il maiale domestico (su pohhu 1nannale, o anche solo su man11ale) veniva usualmente tenuto dalla maggior parte delle famiglie nel ristretto ingresso o·nella grande cucina (in genere l'unica stanza della casa) in un angolo apposito, su logu 'e su pohhu, legato con una catena di ferro. Mangiava e beveva in sa pikka, una pietra di I11va vulcanica (pedra fumighe) di forma concava, che spesso non era altro che la vecchia macina del grano, sa mo/a, ormai in disuso, posta a cono rovesciato. Solo i benestanti o il ーセエ・@ possedevano una stalla o ·un cortile nel quale tenere il maiale. In seguito, con il progredire delle condizioni abitative, con il dilatarsi della vecchia abitazione elementare, venne tenuto nel cortile insieme con gli altri animali da allevamento domestico. In questo periodo erano decisive l'immobilità e l'alimentazione, nella sua varietà e differenziazione in rapporto alla distanza temporale dal momento Sarebbe possibile ricostruire in maniera abbastanza precisa, seguendo le variazioni anno per anno, il numero dei maiali posti all'ingrasso con lo spoglio dei bollettini dei dazi e i registri del bestiame. Per l' '800 rimane un solo da!o, allcstato per il 1838, che fornisce la cifra di 60 maiali domestici (279 famiglie) e 400 porci ad allevamento brado. Vedi ANGIUS-CASALIS, Dizionario geografico storico statislico commerci.aie degli Stati di SM. il Re di Sardegna, voi. X, Torino 1842, p. 308- 73 ·-·-· ---- BRADS 9 dell'uccisione. L'obiettivo era quello di permettere la massima produzione di lardo e di grassi. L'alimentazione si componeva di tre tipi fondamentali di cibi: avanzi dell'alimentazione quotidiana della famiglia (su 1nannale permetteva il riciclaggio di quasi tutti i rifiuti, era la «pattumiera» della famiglia), residui di lavorazioni appartenenti ad altri cicli produttivi (fave, granturco, residui delle lavorazioni dei caseifici della zona, scarti dei raccolti della frutta di stagione), prodotti di raccolta (erbe e arbusti selvatici, specie su giuru, l'apio selvatico acquatico, ghiande, venivano raccolti dai bambini o dagli uomini durante il ritorno dal lavoro in campagna). Sa massaia, la padrona di casa, preparava s'impalthada, impasto composto di ghiande, fave, granturco, crusca, avanzi. Negli ultimi mesi l'alimentazione diveniva più controllata, più accurata. Al maiale si dava in abbondanza granturco, per rasso· darlo. Negli ultimi giorni s'impalthada diventava più liquida, vi comparivano in abbondanza erbe e papaveri, perché il mai_ale si gonfiasse. Infine, il giorno prima dell'uccisione veniva lasciato a digiuno o, al massimo, nutrito solo con erbe. Durante tutta questa fase la responsabilità della cura de su mannaie ricadeva sulla padrona di casa: pulizia e alimentazione della bestia rientravano all'interno delle sue attività giornaliere, si inserivano naturalmente nella quotidiana -ripetitività delle operazioni domestiche. La partecipazione dell'uomo diventava più attenta e sollecita nella fase immediatamente precedente ali 'uccisione. La malattia o il cattivo ingrasso del maiale venivano attribuiti all'effetto del malocchio. Qualcuno, o per invidia o per averlo semplicemente guardato, poteva aver gettato s'oiu; lo stato di tensione e di timore connesso alla necessità di salvaguardare un bene d'importanza vitale per la sopravvivenza della famiglia, mancando il quale il fragile equilibrio delle risorse possedute sarebbe stato pericolosamente sconvolto, produceva antagonismo e diffidenza. Si met· ャ・セ。ョッ@ in moto pratiche difensive: si evitava di «far vedere» il maiale, per non esporlo alla gelosia o all'involontario «colpo d'occhio». Se qualcuno aveva gettato s'oiu, la famiglia Hウッーセ。エオ@ la donna, precisano gli informatori) ricorreva quasi sempre a sa maiasa, la fattucchiera, che praticava sa meighina 'e s'oiu, una, due Otre vOite a seconda della forza del malocchio. Solitamente sa meighina consisteva nel (5) bruciare o ridurre a poltiglia un lembo di stoffa appnrtenuto al supposto autore del danno e nel farlo bere al maiale in un infuso. La necessità di una cura quotidiana, la convivenza nella stessa stanza, soprattutto l'indispensabilità de su mannaie, creavano una consuetudine tra la famiglia e il proprio maiale, per cui questo veniva quasi considerato un componente della famiglia, an· che se a Torralba non accadeva, come invece è ·segnalato per altre località (Seui), che venisse chia· 1nato famigliarmente porku, abolendo l'articolo, come fosse un non1e proprio che indicasse un membro della famiglia.I'! 4. S'okkidura, l'uccisione. Il periodo usuale per l'uccisione si collocava tra l'ultima settimana di novembre e le prime due di dicembre, con l'apertura del periodo della carenza invernale e il sopraggiungere del freddo necessario per la conservazione dei prodotti derivati. Le due scadenze preferite a Terralba erano il 29 novembre, a Sant'Andria, e 1'8 dicembre, per l'Immacolata Concezione, quando avvenivano vere e proprie uccisioni collettive. Anche sulle scadenze prescelte pesava l'ipoteca delle differenze sociali: le famiglie più povere spesso dovevano ucciderlo ben prima, mentre a Pahha Nodale, a Natale, セャGッォゥ。@ solu dzente ki podia», lo uccidevano solo i benestanti. Costoro potevano uccidere un maiale anche in gennaio; ma questo voleva dire, generalmente, che ne avevano già ucciso uno in precedenza. Su mannaie poteva, anche, essere ucciso in scadenze diverse, per ricorrenze o avvenimenti particolari (tappe della vita, ad es.), purché si verificassero naturalmente entro un momento accettabile della fase d'ingrasso. La decisione di ammazzare la bestia veniva presa con un certo anticipo, perché era necessario compiere dei preparativi preliminari, in cui erano impegnati uomini, donne e bambini. L'insieme delle operazioni richiedeva una concentrazione di sforzi in un numero di giorni limitato, di solito .non supe· riore a tre, realizzabile solo con l'interscambio di lavoro, e metteva in moto una codificate ripartizione di funzioni per sesso, classi d'età e abilità individuali. Nei giorni precedenti il padrone di casa avver· tiva compari, parenti ed amici e, in particolare, Si tratta di un uso attestato anche per le popolazioni e1nologiche: Ira i Mclanesiai:ii il maiale veniva considerato un componente ufficiale della ramiglia e aveva un proprio nome individuale. crr. V. LANTERNARI, La. festa dei maiali, in cSMSR11, 1959, voi. XXX, fase. I, pp. 15--61. 74 G. DORE -- , _.,._, _-.-.· , -i i i .-1 il ----, IL CICLO DEL MAIALE DOMESTICO A TORRALBA di in1precisione. Una volta estratto il punzone di ferro, si inseriva immediatamente nel foro su puntsone de linna, di legno, per tamponare la ferita.C•J Negli anni '30 a questo metodo si affiancò, per poi soppiantarlo definitivamente in questo dopoguerra, s'okkidura a ipognoladura, cioè la recisione de s'e11a russa, la vena iugulare, con un pugnale. L'innovazione, introdotta da uno degli esperti (informatore in questa ricerca), non mancò di scontrarsi con le diffidenze e le resistenze di chi era legato al metodo tradizionale, tant'è che, a tutt'oggi, nel paese le opinioni sulla bontà ed efficacia dell'uno o dell'altro sistema sono ancora divise. Anche se la disputa è oramai accademica, dal momento che sempre più spesse oggi si utilizza la pistola. A Terralba, durante l'uccisione, a memoria degli infonnatori, non vi era alcun divieto alla presenza delle donne o dei fanciulli (se si eccettua la proibizione delle donne durante il ciclo mestruale, rigo· rosamente osservata anche nella fase della confezione dei prodotti). Anzi, la presenza dei bambini era desiderata: ad essi si dava scherzosamente la punta delle orecchie e la parte terminale della coda, il che aveva probabilmente in passato un preciso valore sitnbolico, di cui si è perso il ricordo.1'1 prendeva gli accordi con un uomo esperto nell'uccisione: si creava, cosi, un clima di eccitazione e di aspettativa, di preparazione ad un lavoro collettivo. Il giorno prima il maiale veniva accuratamente lavato dalla massaia, mentre i bambini raccoglievano il materiale necessario per bruciare le setole. Uomini e donne predisponevano strumenti, mezzi di lavoro, contenitori necessari per le lavorazioni. A Torralba vi erano cinque o sei uomini particolarmente abili nell'uccisione. Chiamati da diverse famiglie, arrivavano ad uccidere anche 20 maiali nel corso di una giornata. Per l'opera prestata venivano ricompensati con la prima confezione dono, contenente parti del maiale, o a kambiu, con la restituzione dell'aiuto o nella preparazione dei prodotti del maiale dell'esperto o nei lavori agricoli o con la fabbricazione o riparazione di strumenti di lavoro, se chi aveva beneficiato della prestazione era un artigiano. Il maiale solitamente veniva attirato all'aperto dalla massaia, che aveva più lunga consuetudine con la bestia, resa diffidente dal clima di insolito movimento ed eccitazione che si creava intorno («sembrava che sapesse che doveva essere ammazzato»). Veniva afferrato da più uomini, legato per le zampe, rovesciato a terra e immobilizzato, per permettere all'esperto di vibrare il colpo mortale. L'esperto, per propiziare il buon esito del colpo, tracciava sull'animale il segno della croce, gesto che accompagnerà da questo momento l'inizio di ogni lavorazione. Il metodo più antico d'uccisione, che gli informatori ritengono si sia estinto nel secolo scorso, consisteva in un colpo di mazza inferto alla nuca. In seguito venne sostituito da un unico colpo vibrato con decisione a su koro con su puntsone de /erru, un sottile punzone di ferro lungo una quindicina di centimetri; la mazza continuò per un certo tempo ad essere usata per finire la bestia in caso 5. S'usciadura, la bruciatura delle setole. Per questa operazione si preparava un materiale apposito, s'usciadrinu, composto da arbusti secchi, adatti pro alluindzare, per accendere il fuoco: s'ihharku, l'asfodelo, su ardu andzoninu, il cardo selvatico, cibo usuale degli asini, su mudeiu, il cisto. S'usciadrinu si disponeva sotto e ai lati del maiale e si assestava per bruciare accuratamente sas tuddas, le setole, manovrando su triuttu, il tridente, e sa fohhidda, il forcone. (6) La diffusione del metodo d'esecuzione con la maxui. in pll.SSll.tO era universalmente diffusa. E' documentata anche Ira le popolaziÒni della Melanesia durante le uccisioni rituali collettive, v. LANTERNARl, cit., p. 27. La coesistenza dell'uso dei due strumenti, pugnale e punteruolo, è segnalata per il Veneto da C. CORRAlN e P. ZAMPINI, Costumanze popolari su/l'uccisione del porco nel Veneto. in Atti del Con11egno di Studi sul Polklore padano, Modena 1963, pp. 113-126. (7) Nel Veneto le unghie erano oggello di riti di preservazioni.::, eseguiti con varie modalità, per favorire l'entrata e il buon ingrasso del futuro maiale: venivano gettate dai fanciulli nel veechio porcile, o seppellite nei pressi o lanciale sopra la casa. Vedi C. CORRAIN e P. ZAMPlNI, cit., p. 118. Per que.nto riguarda la presenza femminile e infanlile durante l'atto dell'uccisione i comportamenti erano differenziati: secondo i suddetti autori nel Veneto vi ere divieto per le donne (tranne che per la padrone di casa). ma non per i fanciulli, mentre in Calabria questi ultimi venivano si riteneva che la loro esclusi. Contrastanti anche in Sardegna: a Seui i bambini non potevano assistere, ー・イ」ィセ@ facilità ad impietosirsi avrebbe ritardato la morte (veniva però fatta un'eccezione per i figli dei pastori, per i quali l'esigcnzn di perfezionarne I'apprcndistalo nel mestiere prev:Jleva sul divieto). La presenza infantile era inibila anche a Fluminimaggiore; a San Vito si nega la esistenza di un simile divieto, ma le donne si allontanavano durante l'esecuzione nella maggior parie dei casi. 75 BRADS 9 (• piusu de sos atteros», «il mio pesa più degli altri»). L'esposizione sembrerebbe, così, diventare attestazione del proprio benessere, della propria riuscita, concretizzata nel buon esito dell'ingrasso, in un confrolll.o polemico con gli altri, sdrammatizzato nel carattere scherzoso delle scommesse. Alla tensione e alla paura precedenti si sostituisce la certezza di aver superato rischio ed insidie, la sicurezza di aver p.ortato a buon fine il prodotto e di poter affrontare la penuria invernale; l'esposizione pubblica e liberatoria sembrerebbe contrapporsi alla chiusura e alla cautela difensiva nei confronti della invidia, che avevano caratterizzato il periodo precedente. ,..-, 1 rr11tsig,aclura, la raschiatura della pelle. r le1po ,,··asciadura la pelle veniva strofinata, ... 1 • si versava sopra acqua calda, con una Hl\'11 I " 1i11/u.: o con una lama senza filo o con sa ,, ••• I/j/ / 1 11 " ' un coltellaccio a due impugnature, solitaI1111111 Il'' • T nll'lllt' オセョャッ@ • per tagliare il sughero. S'rl/'/'ikka1fura a s'ihhala, la sospensione ad una Mセᄋ@ .,,/r1. Il 1111 1i11lc veniva sospeso a testa in giù, legalo J'l'i· h• :r.11n1pc ーセウエ・イゥッ@ ad una scala a pioli,_ spesso l't.'i<lnrlln uppos11amente; stretta per consentire alla l•l'.<.lln tll debordare e lasciare libertà di manovra dun.•n!i• lu svcntrnmento e il taglio, Ieggennente incur,·nlil pt·i· soslcnere il peso e costruita con legno duro huo • odzalthru, olivastro, kehhe, quercia). (<' I11// 1, 1• 1 ' \"l•nh·n hisciuto appeso, all'aperto, addossato alla ᄋゥセオ@ 11 ffiu11co nll'ingresso, a//aku a su gianni/e, per '' 1· ' / 11 11 11Hc fino al mattino seguente. L'esposizio1u 1Il ' .l1 vn unn sua funzionalità tecnica, perché perni.' n • . . • • 11c carni d1 asc1ugars1 e raffreddarsi. Il ',,. (\\\' Il I 11 11 il\ILLI 6 ucccssivo, nelle scadenze usuali a Torralba, llHI f'I ' li 1 e d"1 mata I"セ@ 111rnde del paese mostravano (li Il セ@ . . ·Il u/>pc.si alle scale, dando ti segno palpabile cセャBM ャA@ ' • • • • . pnrlccipaz1one collettiva, d1 una Vicenda pubd 1111 111 •• d' .,. . . h\il·u. lJno tnle 1teraz1one 1 ma1a t esposti, runa.sta t-....•n ,•h•n nel ricordo di molti informatori, potrebbe セヲNBᅩャGOョイウ@ scn1plicemente _con セ。@ ウエイオセ。@ セャ・ュョエ。イ@ dclln Q セ Q ウQ@ logudorese, d cui spazio antistante al•. '<'l'Io diventava un prolungamento dell'interno, i セ@ . M bb r11ni:.l,,,,Ju unch'esso da laborator10. a potre e anchi• rnlcn: In pena di chiedersi se, oltre al motivo tl'l.'ll\l'll, non vi fosse anche un carattere di ostentazÌl.'.llll' dcl prodotto: ipotesi questa verificabile solo C\'.lll 1111 11pprofondimento ulteriore della ricerca. Il s':i:.nit'h:nto ostentativo sotteso all'esposizione potrebセ@ rul·1,.:op:licrc indizi in usanze concomitanti. Gli オセGャNᅩl@ p:ir11vnno per il paese, da una karrela (la strad;t\ nll'n\lrn, do una casa all'altra, pro faghere sa' ゥjZィオャエセGヲDL@ per ウ」ッュ・セエイ@ sul peso maggiore o minl1re di cinscun ュ。ゥセャ・L@ ュセエ・ョ、ッ@ in palio, per chi più セゥ@ !\\•vicino.va al peso giusto da indovinare o per chi ;l\'Cl'il il 1110.iale più pesant.e, una posta di valore sinlt-..11ico, o s'ipinu (v. oltre) o, scherzosamente, sas un.,,..:_iiJs de s11 111annale, le unghie del maiale, o un セャG|NQ@ Alla 、ゥカ・セ。@ mole del maiale ve0 uno. 「セカオエXN@ nÌ\';1111.l doli una rilevanza e un riconoscimento pubblki. in un rnffronto competitivo («SU meu pesa 8. S'af/adadura Il maiale veniva tagliato in due (alladadura) con un lungo taglio eseguito secondo una tecnica precisa con su bultheddone, dopodiché si procedeva a s'immattadura, allo sventramento ed estrazione di tutte le frattaglie. Con questa operazione si concludevano ·1e operazioni di competenza maschile compiute nella prima giornata. Spettavano, invece, alle donne Ja preparazione del sangue, raccolto immediatamente dopo l'uccisione, e il suo condimento, e sa pulidura de s'ilthentina, degli intestini. Tutte le operazioni finora descritte venivano, dunque, eseguite nella prima giornata, quella dell'uccisione. Q j' '. "' 9. S'ispoddzadura, la lavorazione dell'animale ma- cellato. A carne fredda e asciutta, solitamente l'indomani, gli uomini procedevano al taglio delle carni e all'estrazione del grasso e del lardo. La separazione ed estrazione dei differenti pezzi richiedeva tecniche diversificate in relazione sia alle peculiari caratteristiche e alla loro posizione anatomica, sia in rapporto alle tradizioni delle confezioni e del consumo locale. S'ihhina, il dorso del maiale, veniva tagliato anche in 20 pezzi diversi, che venivano chiamati sos ipinos (s'ipinu -indicava anche l'intera regione dorsale, cosl come il dono cerimoniale). Gli altri pezzi venivano separati a tiradura, con un movimento a strappo, che permetteva di separare il lardo come pezzo intero. 10. Confezione delle diverse parti del maiale.C•J Le diverse parti possono essere "distinte in 4 categorie in rapporto alla possibilità di セョウ・イケ。コゥッZ@ Non 、セウ」イゥカュッ@ caralferisliche dci prodolli e moda!ilà di eonrczione, ョセ@ strumcnli e contenitori usati. Rimnndiatuo per questo a c. RAPALLO e A. LECCA, Motodi tradizionali di t:011ser11uziune delle carni in Sardegna, nel preウセョエ」@ numero del cBRADS». Ci limitiamo nd elencare i diversi prodoui, che si usava confezionare nel paese .. 76 IL CICLO DEL MAIALE DOMESTICO A TORRALBA G. DORE セM@ Mセ a) prodotti a consumo immediato, senza possibilità di conservazione (fino a 7-8 gg. al massimo): sa koa, sas oriyas, su konkale, su san1bene primasu, su sambene, sa tultha, sas beldas. 1 I. All'interno del complesso di attività che gravitavano sull'uccisione de su manna/e è possibile tracciare una linea sufficientemente netta di separazione tra operazioni e competenze maschili e femminili. Okkidura, usciadura, arrattsigadura, alladadura, appikkadura, ipoddzadura, si collocavano decisamente sul versante maschile della divisione sessuale del lavoro: questa precisa demarcazione è sottolineata eia una informatrice: «no' la keriana a sas femminasu, non volevano le donne. Le altre operazioni, e in particolare la confezione e conservazione dei prodotti, erano solitamente compiute dalle donne; in questa fase l'uomo interveniva in s'assaddzadura, ['assaggio del sangue condito e degli insaccati, e dava il suo giudizio sul sapore e la gradazione dei diversi ingredienti. In genere, la rettifica avveniva dopo una consultazione collettiva delle persone impegnate nella lavorazione. Sembre· rebbero esserci delle operazioni di confine, segnate da una partecipazione indistinta, come il taglio in strisce e, poi, in piccoli pezzi della carne occorrente per la salsiccia: molti uomini dichiarano di essersi impegnati in questa operazione dai tempi lunghi, che spesso si protraeva fino a notte inoltrata, Ma il com· mento di un'informatrice («sos homines si 'nde ifiliana», «gli uomini si stufavano») sembra rivelare un'attribuzione femminile. Anche lo spazio utilizzato come laboratorio sembra - almeno in buona misura - potersi ripartire in maschile (quello esterno), femminile (quello interno). All'interno dei distinti gruppi di lavoro vi erano una gerarchia e una differenziazione di competenze e abilità con proprie modalità di apprendistato; al padrone di casa e a sa massaia spettavano il controllo e la direzione dei rispettivi gruppi. b) prodotti a consumo ravvicinato, con breve fase di conservazione (entro i 15 gg.): su olthadu. c) prodotti con conservazione a tempo limitato (fino a 2 o 3 mesi): konka in kascitta. d) prodotti a lunga conservazione (fino a un anno o anche più nel caso del prosciutto): sas karrugas, sas koltheglias, sas barras, sos ossos, su laldhu, su lafdhittu, s'odzu pohhinu, sa safsittsa e su prosciuttu (la cui confezione non era usuale, ma limitata ad alcune famiglie provenienti da Fonni e Ovodda). ··! __ ,' !' ! _--j ZセM@ .. ; La di11isione sessuale del lavoro. Queste confezioni erano compiute fondamentalmente dalle donne. Nella attività di preparazione e conservazione dei prodotti, le tecniche e le abilità dispiegate venivano strettamente connesse con pratiche magiche; le une e le altre venivano considerate ed eseguite come momenti indispensabili, come operazioni ne· cessarle di un'unica sequenza tesa al raggiungimento della riuscita del prodotto, fino a ritenere che non un errore tecnico, ma l'inosservanza della pratica magica avesse determinato il fallimento della conservazione. Non si affrontava né la salatura del lardo, né la conservazione della salsiccia o del prosciutto se non in assenza di luna. La luna doveva essere nascosta o tramontata (a lun'intro) o dopo il plenilunio (a luna 'ettsa, a luna v_ecchia): «se c'era la luna non si faceva, se no metteva i vermi», «Se uno salava a luna pittsinna fi' soggettu a si gualthare su laldhu», «Se uno salava durante la prima· runa il 1érdo si guastava», «dovìa essere sa luna sua». La credenza veniva considerata valida anche . per la scelta del te"mpo dell'uccisione (anche se in realtà contavano altri fattori e condizioni materiali e sociali).; si diceva: ᆱセ。@ luna セ@ bendzende 'ene, è tempu de okkire sos porkos1>,· «la luna sta venendo bene, セMエ・ューッ@ di uccidere i maiali». E la Credenza magica, avversata dai parroci del paese che consigliavano di sostituirla con delle preghiere, veniva «cristianizzata» con il detto «Deu, kandu è nahhidu, ne sole ne luna ha bidu», «Dio, quando è nato, né sole, né luna ha visto», palese tentativo di gettare un ponte nei confronti della religione ufficiale, per ottenere la legittimazione di una pratica alla quale non si voleva rinunciare. Altre attività non direttamente produttive paiono esclusivamente prerogativa maschile. Uomini e donne sembrano combinare diversamente comportamento rituale e festivo con l'impegno lavorativo. Determinati consumi immediati venivano compiuti dagli uomini, contemporaneamente, o quasi, alle attività lavorative. Sa koa e sas oriyas, abbrustolite dalla fianlDla de s'usciadrinu, venivano sgranocchiate all'istante. Vi era il consumo rituale de su /idigu kruu, del fegato crudo. Anche su konkale, parte facilmente deteriorabile, veniva colla e consumata immediatan1ente (fino agli anni '30, quando casari e lavoranti nei caseifici Galbani introducono l'uso della testa in cassetta). Su sambene primasu, sanguinaccio speciale, confezionato per primo con il primo sangue sgorgato, dello su primu latte, condito con sale e 77 BRADS 9 nos inviati era già incorporata la posizione occupata dallo. famiglia nella stratificazione sociale del paese, il grado e il valore della relazione che il dono sanzionava. S'ipinu poteva contenere solo la braciola tagliala dalla parte dorsale (dalla quale prendeva il nome l'intero dono), ma anche parti delle frattaglie, parti di sanguinaccio, secondo una gradazione complessa, che si stabiliva in genere sulla base di «Ur!,'intesa tacita» tra marito e moglie. Chi confezionava s'ipinu era la padrona di casa, ma fondandosi su una conoscenza implicita della scala gerarchica di relazioni che la famiglia intratteneva con l'esterno. In ogni caso vi era un controllo reciproco; poteva, anche, capitare che, per aggirare un disaccordo nelle valutazioni, la massaia inviasse s'ipinu di nascosto dal marito. Questa forma di scambio aveva probabilmente una sua razionalità economica intrinseca, consentendo una redistribuzione e consumo dilatalo nel tempo della carne, con il risultato di evitare possibili sprechi e di operare un intervento equilibratore sulla dieta quotidiana; ma ciò non esaurisce certamente significa.lo e portata dello scambio. Questo canale di scambio di cibo non aveva una sua reale autonomia, poiché era inserito all'interno di un sistema di scambi e di rapporti più ampio e complessivo. Il passaggio del dono secondo un movimento orizzontale, indicativamente a parità di livello, rispettando i rapporti di parentela, comparatico (primo fra tutti_ il compare di battesimo), vicinato, serviva verosimilmente a confermare la propria disponibilità a garantire la continuità e riproducibilità dei rapporti di cooperazione produttiva, di scambio reciproco e paritetico di prestazioni di lavoro, necessario per il compimento di tutte le operazioni fondamentali nei vari momenti dell'annata lavorativa, agricola o pastorale, per consentire l'integrazione e la circolazio.ne di prodotti tra settori diversi della divisione locale del lavoro, per assicurare l'espletame.nto delle attività produttive più impegnative che si svolgevano nello spazio domestico («da sole non si potevano fare, era troppo lavoro, ci voleva l'aiuto», nota un'informatrice). Cosl, interesse e generosità, dovere e volontarietà, gratuità e obbligo del contraccambio, appaiono inscindibilmente connessi ed esplicito è il rinvio al sistema di cooperazione produttiva: pepe, veniva cotto e consumato dagli uomini durante s'ipoddzadura. In questo caso vi è anche una ripartizione dei sapori secondo il sesso: su sambene primasu, dal sapore forte, per gli uomini, sa tultha, dal sapore dolce, per le donne (ma ahche per i bambini). Un festino, fondamentalmente maschile, nel quale si consumavano le frattaglie con vino abbondante fino a s'imbriaghera (ubriacatura), chiudeva la prima giornata e anticipava il pranzo collettivo del giornO seguente. «Sos homines ilthaiana koghende, manighende e buffende», «gli uomini cucinavano, mangiavano e bevevano», dicono le donne; mentre un informatore, cercando di spiegare questo diverso rapportarsi delle donne alla festa, ricorda che (de donne non avevano tempo, avevano molto lavorai>, «la salsiccia richiedeva ore e ore di lavoron. _-.· 12. Giochi. La vescica del maiale, sa buscikka, subiva un trattamento pàrticolare. I bambini facevano a garn per ウッヲゥセイャ。L@ dopo averla pulita ed asciugata, con lo scopo di allargarla e per ingrandirla la percuotevano ripetutamente contro il muro, la sfregavano, cantando una breve filastrocca: «/aghedi manna kantu sa gianna, faghedi bella kantu s'ilthella», «fatti grande quanto la porta, fatti bella quanto la stella». Veniva usata, oltre che per conservare s'odzu, per costruire uno strumento musicale, sa sarraya, che si usava suonare a Carnevale. Gli uomini per farsi ubbidire la promettevano ai bambini: «si mi faghese kulthu kumandu, a Karrasegare ti dao sa buscikka pro son.are», use mi esegui questa commissione, a Carnevale ti do la vescica da suonare». Sa sarraya era composta da un pezzo di canna nel quale, alle due estremità, si praticavano due fori, nei quali si inserivano due chiodini (uno «per il tono), tra cui si distendeva la vescica. Quesla, contenente all'interno dei chicchi di grano, veniva percossa con u·n archetto, fatto da un piccolo arbusto elastico con un crine di cavallo teso tra le due estremità. IJ. S'ipinu, lo scambio cerimoniale del cibo. Dopo s'ipoddzadura avveniva Io scambio cerimoniale de sos ipinos, i doni di parti del maiale macellato, nei quali è rintracciabile un sistema complesso di manipolazioni simboliche, che rimanda ai rap· porti produttivi e sociali esistenti nel paese. S'ipinu veniva confezionato e scambialo rispettando precise regole distributive: nella qualità e quantità dei pezzi contenuti nel dono, nel numero stesso de sos ipi- amic1z1a, come un buon S'ipinu era come ァ・ョエゥャセN@ vivere, perché domani si poteva avere necessità di quello, o perché· c'era da zappare la vigna o mietere il grano o perché c'era da fare un qualsiasi lavoro manuale. S'ipinu si mendava per ricompensa, pro bona amicizia o p11.ren1cl11; si b'aia bona trallantzia (se c'era un buon rapporto). 78 ·.·.·- --·--- G. DORE IL CICLO DEL MAIALE DOMESTICO A TORRALBA Sos ipinos, a chi aveva con te unu depitu, un debito materiale, un debito morale, gli mandavi s'ipinu come ricompensa pro su /rabagliu ki t'aia fallu (per il lavoro che ti aveva fatto). ·.C munque, neppure esistente nella forma originaria, ma riplasmato e corroso dallo sviluppo storico, così come lo scambio dei doni. Non va sottovalutato il fatto che ormai, nel periodo considerato, gli stessi rapporti di parentela erano ormai largamente sussunti a rapporti di classe. Lo stesso invio de s'ipinu secondo un movimento verticale dal basso verso l'alto o anche dall'alto verso il basso non rimanda, certo, alla logica della reciprocità, ma è semmai rapporto di origine feudale, rifunzionaliz.zato all'interno della società capitalistica, segno di una forte, secolare, consolidata diseguaglianza sociale, espressione proprio di una rottura storica nei confronti di un controllo paritario e di reciprocità sulle risorse della comunità. Era «obbligo» mandare s'ipinu alle autorità del paese, al parroco, al medico, ai proprietari, i quali a loro volta mandavano sos ipinos alle famiglie povere del vicinato o agli stessi pzrenti poveri, con l'hnplici.ta oggettiva finalità di consolidare il loro prestigio, la loro posizione di preminenza, il loro rapporto di patronato. Il dono verso i poveri non era ovviamente sanzione di reciprocità, ma segnale di carità cristiana, che non intaccava la disparità nell'appropriazione della ricchezza o nel controllo dei meccanismi di potere, ma anzi la ribadiva. Non a caso, a Terralba, coesistevano due proverbi, l'uno - si keres ki s'amare si mantendzat, unu piatto ki andede, unu piattu ki torrede, se vuoi che si mantenga il ben volere, un piatto che vada, un piatto che ritorni - esprimente richiesta di reciprocità («così dicevano gli antichi>1), l'altro - ki piusu 'nde dada, su Segnare fu krehhede, chi più dona, il Signore lo arricchisce - significante la carità cristiana.l"l S'ipinu, posto su di un piatto, avvolto in un tovagliolo, veniva portato dai bambini, o dalla donna di servizio nel caso dei proprietari. Al bambino si dava in contraccambio simbolico, s'ilthrina, una mancia, consistente in castagne secche, frutta secca o soldi (quando la circolazione monetaria diventò allargata). La mancia si depositava nel piatto, riconsegnato sporco appositamente, per esprimere il gradimento, la propria disponibilità ad entrare o a mantenersi nel sistema di scambio di prestazioni e di solidarietà.!') Si riceveva il dono con il saluto augurale a kent'annos, a cent'anni, o atter'annos meddzus, i prossimi anni meglio, al che si rispondeva Deu fu keffada, Dio lo voglia. Il rituale dell'accettazione veniva completato con delle espressioni in forma pressoché stereotipata, «no b'aia bisondzu», «no bo' dovide disturbare)>, r-ion c'era bisogno, non dovevate disturbarvi, dove implicitamente compare il tentativo di minimizzare il dono, di diminuire la portata dell'obbligo di contraccambio, della dipendenza che l'accettazione reca con sé. Qualcuno poteva rifiutare il dono, ritenendosi offeso, con la famiglia che donava o per sottrarsi ai doveri connessi; la reticenza degli informatori a parlare di questi casi pare provarne l'eccezionalità e comunque la forte riprovazione sociale nei confronti di chi interrompeva il circolo della solidarietà. Va osservato che a Terralba (come d'altronde anche nel resto dell'isola) il rapporto di reciprocità non era più istituto economico fondamentale; co- (9) Altrove, in Sardegna, il segno di gradimento veniva espresso con la restituzione del piatto pulito (Fonni). C. CORRAIN e P. ZAMPINI segnalano per il Medio Polesine la restituzione del piatto sporco. (IO) li dono di parti del maiale assume denominazioni differenti nelle diverse località dell'isola; per es.; is mandadas. is mandaras (Tuili, Mandns, Teulada, Orroli, San Vito), is mandaus (Lunamatrona), sa banda, la parte (Fonni), su prese11te, U dono (Seui), su presente de s'ipinu (Orune), s'ipinu (Cheremule, Perfugas). Cfr. WAGNER, DES, ad v. mandare. Anche nella confezione compaiono differenziazioni: in certi paesi ogni confezione doveva contenere un assuggio di tutte le parti (lardo, fegato, cuore, polmone, rene, lingua, sanguinaccio, polpa: Tuili, Lunamatrona. San Vito); altrove si aggiungeva un pezzo di pancia (Fonni); in altri paesi la parie essenziale era la polpa del costato, mentre altri assaggi si regalavano se con il donatario vi erano rapporti particolari (Terralba, Cheremule). Modalità e soprattutto ideologia sottesa allo scambio de sos ipinos sembrano rispondere sostanzialmente a quanto viene descritto ed osservato a proposito dello scambio cerimoniale dcl dono di cibo in C. GALLINI. Dono e malocchio, Palt:rn1u, Flaccovio 1973. 79 ;.',- セGNM@ -.<';•, Giovanni Dore Il carro a buoi .·.;: lo di vita». I. Il carro trainato da Il carro a buoi Le strade rra Srtssari e buoi è stato il mezzo di trasporto più largamente Tempio e tra Sassari e Al1 usato nei [avori agricoli in ghero erano spesso interrotte; il ponte di f\'urri, via , Sardegna fino agli anni ! '50, quando la diffusione pressoché obbligala di comunicazione Ira Caglia· ' accelerata della meccanizri e l'Ogliastru, era セー・ウッ@ zazione, .1Jru1ta11do e ininvalicabile, e cosi via ... sieme stimolando i miglioran1e111i della viabilità, en· L'uso del carro " buoi. tro 1111 conU!slo socionella prima melà del secoec.·u110111 i<'O pruJU11 du111e11 te lo scor.\·o, 11er i tra.1·porri ·n111tatn tlal 11enetrare <lei co1n1nercia/i era, d1111q11f'. /'(l/Jfl<J/'li 」ᄋ。QゥャNセエGL@ di ancora lilnilalu: .1·e111l1r11 fJl'tlffll;:i11111·, fiu f/"fll'Oflt1 f' r•s1t·11rl1•/'.1·i tiro.i.: rr·., \Ì 1·r11 ,,, ·11cl<1}iIl iri V(/11/{!I! /{' SO/JfJiUll fa. lt!, エQャイセオ@ il Jlropriu Gi<)Vanni D<u·c fo le prl'c<'dl'11ti for111e cli rctggio tf'azio11e, in co11sctrazionl' 11111a1u1 ed u11ilnaguenza dei miglioran1e111i le. La .1·11u pren1inenza sugli altri mezzi tli 1ra.111or10 tra· pur lenti e/ella rete viarit1, co11dizio11e ゥョ、ウー・QNセイ「OcG@ clizio11ali, HPQイ・Nセオ@ il C"arro a c·a,.allo. si ri.1·<·011/ra 11011 r111clil' NセャG@ 11011 1111ic·r1, J1l'r la tliff11.1·io11e del carreggio. r1c·· solo 11egli spostr1111e111i a corro raggio tra il L'illaggio e la canto uc/ el·so permaneva un'ampia gcu11n1a di 1ec11ic/ie can1pag11a, n1a anche, fino ai 11rimi dece1111i <lei '900. di trasporto a trazione umana e mezzi di trasporto a nei grandi spostamenti lungo le tlir<'llrici cu1111nerciali /razione a11i11u1/e tec:11ologica111e11te piit arretrati co111<' la che _çi stahilivano tra le ciuà e il retroterra rurale, tra le karruku. 101r1 sorta di rravois costituita da 11n lei/o di l'CI· clifj'ere111i aree geografiche e tra i si11guli villaggi. n1i fru11zuti, c/'olivastro o di /enrischio, trainata <la 1111 Nelle cronache e nelle relazioni dei viaggiatori e degli giogo di buoi, e la tu'va, una treggia ricavata da 1111 an11ni11i.{frt1tori <lei .çeco/o scorso le difficoltà della circotronco d'albero, in genere di elighe. leccio, spacca10 e laziollf' i11ff'l'llr1 c·rJ.1'titffi.1To110 1111 il111111111cttf1ilf' lci1-11101iv. scr11 11t10. I.o .l'fC'.1·.1·0 bue veniva 11tilizza10. anc/iC' ca//ll'· !·ii .1·011oli11ec11•a110 la /e1uezza e i rischi tlei l'iaggi i111 <'1"· .\'f11a//11e111e all'uso ciel carro, co1ne bestia da so111u e co· 11ali: «A11cl1e quesr'a11110. cotne i precede111i, giù ebbe il 1ne cavalcatura, secondo un uso rara111enre attestalo in so/ilo tributo di uomini, anzi di carri coi bovi e con tutEuropa e che, nella linea evolutiva, è supposto precedeto il carico, periti nel voler tentare brevi indispensabili re il traino, nel quale il bue sviluppa al meglio le sue rragirri da villaggio a villaggio». Ostacoli e pericoli che qualità fisiche. Un'usanza, perciò, che colpiva co111e rt1lle11/avc1110 /'este11siu11e del 1nercato e 1nultiplic.·ava110 i una stra11ezzu i viaggiatori clie percorrevano l'isola, eta· Francesco d'Este al barone von Maltzan, e che conti· costi degli scan1bi: «Dispendiosissimi poi so110 i trll· sporti e/elle derruce; in molti luoghi meno ウ」ッ・セᄋゥ@ si nuò ben oltre la metà del secolo, se Giuseppe Ferrara poleva annotare che «in Sardegna non è raro il caso di fanno per mezzo di piccoli carri a due ruote, il carico dei quali è calcolato in circa 5 quintali, e che a dirigerli vedere oggidi pastori cavalcare buoi, e caracollare co11 e.1·igo110 due uomini e a trarli due o tre coppie cli .huoi, essi, quasi come si farebbe con un cavai/o ... li progresso della re/e carreggiabile avve1111e co11 1110/ta né possono percorrere che circa 3 mirian1etri o/ giorlentezza, soprattuuo per quanto riguarda le strade seno», con1e scriveva Carlo Baudi di Vesme 11el ../848. Cosi il raggio <l'azione dei commercianti doveva limicondarie; ancora negli anni '30 le strade vicinali e co· tarsi alle principali città marittime: come scriveva Anfo· munali erano rare, spesso solo delle mulattiere, le stranio Bresciani, nel 1850: «Se pur volessero i merca111i de di penetrazione agraria quasi inesistenti; il che agii·a recar entro /erra loro mercanzie non troverebbero vie come potente fattore di condizioni di isolamento, di reda pervenire ai villaggi, né besiie·da carico e da carreglativa autosufficienza e limitatezza della produzione, gio ... Né le derrate e le merci delle ciuà si pos.ço110 」ッNセ↓@ del consumo e della circolazione dei prodotri. leggermenle condurre ai villaggi, poiché non カG・ウセᄋョエャッL@ Quesla situazione della viabilità, all'interno del per111apia11e e co11u1ch• ,,il' cla carreggiare, /l' 111erci si ''t'f/111·e,i.:11ere tli rtlf'f'Orti di produzione. forze protl1111i1 c'. relagiavu110 tUfte li dursu dei cavai/i,., l'ersinu lo S<'t1111bio ziu11i .l"oc:iu/i, NQᄋ」。イセュ・エ@ dominati, al111e11u i11 111udCJ delle 111erci tra Cagliari e i villaggi vicini sulla costa clu· diretlo, dal modo di produzione capitalistico, fcivorirovevt1 in gran parre svolgersi via mare. Il sistema di s/rano la persistenza del carro a buoi nelle zone rurali fi110 clt: ('t11Tc'g]:Ùt/,ili e cli 11011/i, l'r<'ditato dttl si.1·1c·111t1 f<'iululf', alfe .\'O]:/i(' e/egli a1111i '60. Au11c1l111t•11tc:, 11c•/ co11tc•.\'lo cf'u· C'ra pr1·.1·.1·ocli<1 i11C'si.1·/C'lll<',' fa .1·trtidu t('aff' (·a.i.:li11ri·l'or/o .\'O dt•i lu1•ori 。セイゥ」ッャL@ 1u' rimr111.f!,0110 ,ço/o 11oc·hi c•.1·<•111'Forres ve1111e iniziata solo 11el 1827 e ter111i1111fa 11el fJlari, r: ù1 11011 1110/ri paesi, sopral/ullu ciel/e zone i11ter1838, mentre le altre strade, che avrebbero dovuto inne. Ma allora, in una situazione di forte frammentazionervarsi su questa dorsale, rimasero a lungo allo stadio ne della proprietà fondiaria e di lontananza tra il fondo di progeuo. Verso la metà. del secolo Carbonazzi, ispet· e il villaggio, luogo 4i residenza del contadino, che costringeva a lunghi ed estenuanti spostamenti e trasporli tore del Genio civile piemontese, elaborando le linee ' ispiratrici di un progetto per la costruzio11e della rete di derrate e strumenti di lavoro, il carro era di i·itale viaria nell'isola, ne sottolineava /'urgenza dato che i imporlanza; specialmente nei momenti critici della produzione agricola, permetteva una riduzione dei ten1pi di Sardi erano ancora costretti «a camminare stentaramen· lavoro socialmente necessari, eliminava rischi di ーセイ、ゥᆳ te per scoscesi dirupi, in mezzo agli sterminati fanghi di te, e, in definitiva, contribuiva ad un aumento generaquelle feraci valli, a guadar fiumi e torrenri con perico1 i i 1 ._:·:. 123 le della produttività. La detenzione di un mezzo di produzione cosi impor· t(1111e nll'i11terno di un patrimonio tec110/ogico contadi110 li;11i1aro e semplice, rappresentava オセゥ@ obieuivo a111bi-. co per il contadino povero, spes:o raggiunto a prezzo dt lunghi risparmi e numerose ァゥッイセ。エ・@ Oセカッイ。エゥ・@ c_o1ne braccianre giornaliero, zoronader1 o g1orronader1. セャ@ possesso di un giogo e di un carro, generalmente '!equi-. stati a credito e pagati in natura o con forme misle d1 prodoui e denaro, con una forre dilatazio_ne. delle ウ」セᆳ denze, poteva garantire una minore ーイ・」セQエ。@ econo_mi· ca, dava la possibilità di coltivare terreni a ュ・コセ、イQN。@ o. in enfiteusi, di effettuare a pagamento prestazioni di aratura e di trasporto. L'area d'uso del carro si estendeva, inoltre, ad altri processi lavorativi extra-agricoli, come, ad esempio, al trasporto di legname nelle zone concesse allo sfrutta· mento boschivo o di materiale minerario, dalla bocca di miniera alla strada ferrata, e a diverse altre esigenze della vila quotidiana del villaggio Sopraaurro nella prima metà del/' '800 i contesti sociali d'uso del carro a buoi sono differenziati: ben diYersa è la figura del pro· prietario e conduttore di carro nelle campagne da quella del carradori, che operava, organizzato nel Gremio dei carrettieri, nella città. ·., .,... , 2. Un'analisi del carro a buoi.sardo coinvolge molteplici aspelli, dai problemi di collocazione tipologica alle tee· niche di costruzione, dai differenti contesti d'uso ai rap· porli tra gli agenti costruttori e tra questi e i commiltenti. Diventa indice di un determinato liYello del complesso tecnico contadino e artigiana/e e di specifici rapporti di produzione; meue in gioco processi peculiari di cir· colazione culturale, fenomeni di adozione, di persistenza, di trasformazione di soluzioni slrutturali e funzionali, in una combinazione, che è ancora in gran parte da individuare, di movimenti interni di evoluzione e di influenze culturali provenienti dall'esterno dell'isola. Il carro a buoi sardo conosciuto negli ultimi ere secoli ha un telaio a forma di triangolo isoscele, costituito da un tilno11e 1nonoblocco, cioè un tronco d'albero spaccalo longitudinalmente lungo la sua linea mediana, i cui bracci si slargano progressivamente, a partire da un melro almeno dall'estremità anteriore, e vengono le1111ti collr!gali da pioli trasversali, che forn1a110 una sorta di 'scala' triangolare, sulla quale poggia il pianale di carico, Sotto di essa poggia direttame111e f'a.1·.1·r!, i111u:.1·1ato .1·e111prc s11 d11e ruote. Se si co1isidera co111e ele111e1110 base per la classificazione tipologica questa forma essenziale della parte portante, esso può essere collocato co111e tipo par1icolare, simile al carro 」。ャ「イ・NセL@ Ira i 'carri "forcella", caratteristici dell'Italia 111eridio11ale fi110 alla Toscana, ma ormai come fofme in disuso, tranne appunto in Sardegna e in Calabria, intorno al 1935, e [Jrobabi11nente usati anche, però in tempi molto anteriori, 11e/l'ltalia centrale e settentrionale. Ma, a pttrte il farlo clie anche la parte portante ha subito i11 dellagli strutlurali tlel/e modificazioni, se si prende i11 esa111e la parie 11101rice, o la ruota o l'asse, od entrambi, si possono co.1·1r11ire a/Ire tipizzazioni, anche 1>erclié è la 1>arle elle, Ira il secolo scorso e questo, attraverso contrastate inj111e11ze culturali, lia subito i rnaggiori ca111bia111e111i. Maurice Le Lannou, negli anni '30, con 1u1 taglin .1·ì11cronico, prendendo come elemento classijìcatorio la 230 ruota, individua un tipo di carro a ruote 'piene' o a di· sco ed uno a ruote raggiate. Ma con un taglio diacronico-e110!111ii•o 1Jossù11110 ii1tli1•id11are tra i tlue secoli tlric tipi che, se hanno in comune la forma della parte por· tanle e trainante, si differenziano però profondamente dal punto di vista tecnico, giacché il:più antico ha per parte 1notrice ruoce piene e asse girevole, il secondo asse fisso e ruote raggiate (e se vogliamo, secondariamente, come forma di transizione anche se in realtà coesistono, asse fisso e ruote piene). Le fonti del '700 e dell'BOO convergono nel tipizzare il carro a buoi sardo come composto, dunque, dal timone forcuto, da due ruote piene, fissate ad un asse girevole a diretto conratro con i bracci della 'scala',. e nel rilevarne la parentela, anzi, la discendenza dal plaustrum ro· mano, di probabile origine· celtica, un robusto carro a buoi a due ruoce piene, dette tympana, che giravano congiuntamente intorno all'asse, producendo un forte cigolio (gli stridentia plaustra di cui parla Virgilio nel libro Ili delle Georgiche). Questo carro fu sottoposto a dure critiche che ne evidenziavano l'arrelratezza struuurale e funzionale, concentrandosi soprauuao sul sistema d'auacco (nel suo rapporto con la razza bovina indigena e le tecniche di domesticazione e addestramento) e sulla parte motrice, sul dispositivo rilota-asse. La scruttura, modo d'aggiogatura e attacco, la fattura e «il peso enormissimo" delle ruole lo rendevano «inopportuno», «disacconcio al fine suo precipuo, che è la facilità de' trasporti», secondo Francesco Gemelli. Le critiche dei riformatori e degli amminislratori finirono per concentrarsi sulla prioritaria soslituzione dell'asse girevole, progressivamente adaitandosi ad una gradualità, più che scelta, imposui · italle resistenze che i ripetuti provvedimenti legis/a1iv1 viceregi incontrarono. L'asse mobile, girando insien1e con le ruote, raddoppiava i pericoli di arresto del veicolo, urtando contro le braccia della scala moltiplicava l'attrito, provocando degli incendi, la cui memoria è ancora rimasta negli anziani dei paesi che più a lungo lo utilizzarono; inoltre, facibnente ribaltava a causa del rudimentale sistenia d1 fissaggio alla parte portante. Is carradoris. e i contadi111 sardi sostenevano che la strutlura tradizionale, e sopratt11ffo le ruote pie11e, erano necessarie JJer vincere la resistenza opposla dai terreni fangosi o per reggere alla durezza delle zone pietrose del sertentrione; il Gemelli ri/1arre1•(/ che i11 altre zone d'Italia, in cui [Jure il terre110 aveva la ste::.·sa 111orfologia, si usava asse fisso e ruote raggiare senza danni, e che in ogni caso non tulta la re· 1e carreggiabile sarda aveva le stesse caratteristiche negtt1i1•e. Si ,\·arehbc dovuta 111igliorare la ruota, ù11rod11ce11do i raggi, aumentando l'altezza, portandone il numero a qua1tro come nelle altre parti della penisola, adorrando il mozzo sporgente, più solido, e il cerchione in ferro, più resistente: «Adunque un gran parte dei co11taclù1i, e carreggiatori ciel reg110, divie11e inescusabile, se non ::.·i ap1Jiglia al nuovo rnetodo delle ruole a raggi, e lcggiere, e al fuoco noli giua le grossolane, e massicce, e po11clerose. Quanto poi ai paesi 1110111/losi, e di pietrose Jfrade, e 1Jessin1e se 11011 si giudicasse SJJeclie11te il cangior le rttole solide, e Oj・イ」ャAセ@ a/r11e110 11011 cangiarsi /'asse di 1nobile i11 immobile? E egli forse colle solide r1101e i11co1111Jc1tibile'! », ur1r1ota1 t1 Fra11ce::.·co Gc1nelli. L"i111ervento legislativo piemontese, teso a regola111e11to.1 re o a proibire l'uso dei carri 'a foggia antica' nelle ciuà e nelle strade di collegamento, si dispiegò co11 scarsa e[· ficacia e diseguali risultati nelle diverse zone; esso ren- deva, con un impiego progressivo della coercizione, a . ' innescare il mutamento tecnico, orientandolo l'erso l'adozione, in prospettiva, di un carro, per il trasporlo commerciale e agricolo, profondamente modificato, model/aro su quelli in uso nel Settentrione, secondo 11110 schema classico di intervento comune a diverse nazioni (in Inghilterra fino al XVIII secolo vennero prese 1nisu· re legislative simili). Il pregane del 4 dicembre 1786, il primo di una serie che dura mezzo secolo, proibiva la costruzione e l'uso, sollo pena di sanzioni pecuniarie o anche più gravi, di cerchioni di ferro eccessivamenre sorrili e dorari, secondo l'uso comune, di grossi chiodi a cuspide triangolare, 'a foggia di diamante', delti agudus, che «for111a11v de' solche nelle slrade, e insensibilmenle le distruggono». La Reale Società agraria ed economica di Cagliari ebbe un ruolo di propulsione e di inlervenlo progeuuale in quesro processo di trasformazione, agendo in collaborazione con gli organi governativi, Nel 1805 presentò una prima Memoria «sulla riforma dei carri,,, «uno delli stromenli necessari all'agricoltura» e «il veicolo più usitato per l'intero commercio del Regno»; le era stata commissionata dal Governo allo scopo di individuare i motivi dell'insuccesso del pregone viceregio e di propor· re i criteri tecnici di «una macchina più leggera e quindi più agile al moto e non pregiudiziale ai buoi che lo traggono, capace del trasporto di maggior peso e men rovinosa alle pubbliche strade». Nel 1807 bandì un concorso con un premio di 200 scudi per la costruzione di due carri razionali e nel 1810 elaborò una seconda Memoria. Orientata per una soluzione graduale e non eccessivamente traumatica, proponeva nei provvedimenti legislativi successivi di concentrare la proibizione sulle "ruote fisse sull'asse», sulle «Così dette punte di dian1a11te», sull'«acutezza della periferia», obiettivi considerati realistici nel breve periodo di fronte agli «inveterati pregiudizi dei sardi», mentre, in prospettiva, le ruote a raggi avrebbero dovuto soppiantare le piene e, anzi, si sarebbero dovute adrJl/are due dlfferenti forme di ct1rri, una ac/t1ll<t alle ùnpervie strade di montagna, l'altra, caratterizzata da quatrro ruote e da una maggiore lu11ghezza, per le località di pianura. Il pregane del 14 aprile 1822 estese il tliviero all'uso dell'asse mobile nelle strt1dc 'rù1r· "tate'. セᄋ・ァオゥイッQP@ altri tre pregoni (del 3 <l{Jri/c IB2.1, 29 .sel/cn1brc I826, 8 lugfio 1828) e due cdiui (13 tlprifc 1830 e 30 luglio 1836), con i quali cessò 'la rolleranza' e venne vietata la costruzione di nuovi carri con ruote ヲ↓セᄋウ・@ all'asse. La resistenza opposta dai CHrradoris cirta· dini e dal loro Gremio e dai contadini nelle campagne appare esplicitamente dal preambolo del pregane del 1828, che segna una decisa accelerazione nella coercizione: «Alle nostre speranze non corrispose però /'evento; avendo con sommo nostro rammarico dovuro scorgere di essersi il numero dei carri con ruote fisse talmente accresciuto, che la forma voluta dalla legge è vicina ad essete totalmente sbandita. E si è l'abuso portato tani' oltre, che sebbene la più parte delle ruote abbiano cerchi lisci assicurati con chiodi di testa tonda, o quadrata, questi siano cosl vicini l'uno all'allro, e sono così taglienti, che nella ruotazione producono sulla sor- toposta strada un effetto poco dissimile che quello de/l'a11tica ruolo col cerchio dentato». Ma, ancora nel 1851, su prescrizione del Ministero dei Lavori Pubblici /'I11te11de11za Divisionale minacciava sanzioni nei con· fronti dei costr1111ori e dei proprietari che entro i due rnesi successivi non avessero introdolto le modifiche richieste. Rappresentati nella Società agraria, tecnici, amministratori e grossi proprietari come il marchese di Villaher1nosa, che ne fu presidente dal 1809 al 1839, le persone 'benestanti e spregiudicate' da cui G.M. Mameli invocava il mutamento tecnico nel 1805, costituiscono un polo dcl co11fliuo, l'altro, pur differenziato al suo interno, co11·1µrende carreuieri di professione, contadini ed artigiani, i maistus de karru. La sequenza dei pregoni ed editti ne scandisce /'evolversi, rivela lo scontrarsi di i11teressi differenti, 1notori di trasformazioni e ristagni. Questi celi subalterni appaiono come difensori di un conservatorismo tecnico: carpentieri e utenti sono legati da una relazione tecnica ed economica (non a caso gli amministratori si rendono conto di dover agire nei con· fronti di entrambi); hanno motivazioni specifiche, relative alla propria figura lavorativa, che mettono in 111oto comporlamenti pratici che interagiscono, si rafforza110 a vicenda. Poiché il carro è un elemento di un complesso tecnico e socio-economico, la sua modifica richiedeva immedialamente il modificarsi di altri elementi del sistema: costi econo1nici della trasformazione, tecniche, tradizione nell'addomesticamento e addestramento, acq1li· sizione dcl materiale, viabililà e così via costituiscono una relazione complessa. Il costruttore doveva acquisire nuove competenze e abilità tecniche, modificare in parte il proprio apparato tecnologico e, indubbiamente, resistere alle pressioni di una committenza che tendeva a conservare e riprodtlrre la vecchia struttura. Per il carradori cittadino e per il co111adino significava affrontare un notevole sforzo economico per introdurre le modifiche, lrovare dei carpentieri in grado di eseguire le nuove fasi del processo tecnico che le nuove soluzioni imponevano, vedersi sottrarra una competenza e 'un saper fare' che l'i11troduzione di un elemento tecnologicamente più soristicato (asse fi.tso, ruota a raggi, cerchione liscio) e il maggior uso ciel ferro, n1areriale meno disponibile e più difficile a manipolarsi, spo.ifavano decisamente verso lo s11eciali· sta . .)i ro1n1>c11fl 111iiu1cciosa1nente 1111 equifihrin, fr1111n di 1111 {lc/affa11rc11to consolidato tra i diver.'ii elementi cui si acr.:c1111avt1 prin1a; i riformatori ebbero co11saIJevolezza della potente azione di freno che il coslo economico della trasformazione comportava per questi ceti subalrerni, ma .1·ottovalutarono la resistenza, anche se flcs.iibile, di questo equilibrio funziona/e. Infalli, questo rapporto con[liuuale, con il suo andamento non lineare e differenziato, tra ciuà e campagna, e tra le stesse aree rurali, e tra le stesse figure sociali coinvolte, si prolunga per certi aspetti in questo secolo. Non è facilmente ricostruibile, anche perché il materiale documentario, che potrebbe dar conto degli atteggiamenti pratici e delle rapprescnlazioni ideologiche dei ceti subalterni coinvolti, è reso in gran parte irrecuperabile dal/a consunzione fisica irrimediabile dei portatori della memoria orale. La vicenda della riforma del carro a buoi, così conrrastata e, in definitiva, solo parzialmente ri.so/ta, e poi in2.1 I terrotra dal/'inrroduzione dell'energia meccanica, che sposta definitivamente l'asse su tutt'altro versante tecno· logico, è sicuramente un indice di contrasti più vasti tra ceti egemonici e subalterni, tra ufficialilà tecnica, per cosi dire, e competenza tecnica popolare: anche se, cer· to, è solo un segmento parziale, ma significativo, di una storia del mutamento tecnico, ancora da indagare, che, malgrado fa sua frammentarietd, la sua dilatazione nel tempo, rispetto ai processi ben più accelerati e con· centrati avvenuti altrove, ha comunque inciso su ·una fi.· sionomia del patrimonio di conoscenze, tecniche e セᄋエイオᆳ menti del contadino e arrigiano sardo. Basterebbe qui ricordare, sempre all'interno del versante tecniche· stru1nenti di lavoro, lo sforzo condouo dalla Societa agraria per sostituire l'aratro tradizionale con uno piU perfezionato, a/l'interno di un progeuo più generale di riorganizzazione e trasformazione delle tecniche pro· duuive. Ciò che viene messo in gioco è il dispiegarsi concreto, storicamente determinato, dei meccanismi di adauamen· to, di trasformazione, di conservativitd, che mette in at· to la modifica di un mezzo di produzione come il car· ro, apparecchio relativamente semplice, perché estraneo alle forme di energia meccanica, ma gid più complesso come 'macchina a trazione animale' e in ogni caso al· l'interno dello strumentario contadino sardo tradiziona· le. Queste resistenze e gradi di flessibilità nell'adalla· mento possono spiegarsi non solo all'interno della dina· mica interna delle forze produtlive (combinazione sem· pre contradditoria tra gradi di sfruttamento dell'ener· gia umana, animale e via via meccanica, conoscenze e comportamenti tecnici, livelli di perfezionamento degli strumenti, proprietà oggeuive dell'oggeuo di lavoro), ma nei suoi rapporti con il livello socio-economico. I processi di mutamento nelle tecniche di trasporto entrano in relazione reciproca con cambiamenti e rapporti sociali: te resistenze e i particolari modi e tempi di adat· ta111e11to sono stati, in misura rileva111e, co11dizio11ati nelle campagne sarde dalla particolare persistenza del· l'unità familiare produttiva, deposita.ria di forza lavoro, oggerri, mezzi e prodotti del lavoro, u11a forn1a socio· economica che, realizzando un faticoso e instabile equi· librio, doveva avere margini strettissimi per il cambia· nzento tecnico e forti freni ad aumentare la propria cli· pendenza dagli specialisti e dal mercato. Né alle resi· srenze dei carrettieri cittadini dovevano essere estranee le condizioni di crisi in cui versavano nella prima metti ciel secolo scorso, pressati, malgrado la difesa cor11ora·. riva del Gremio, dalle aspirazion_i di altri ceti impoveriti ad e11trare nella professione, e che finirono 11er tleter111inare una verticale caduta numerica che li dimezzò. Va anche utilmente tenuto prese11te cl1e il parri111011io tecnologico artigianale, messo i'! giuoco dal carro, non può che essere considerato, anche nella sua relativa po· vertà, come una formazione storica, mutevole e contraddiuoria, prodotto di una relazione confiilluale tra sapere tecnico colto e popolare: gli interventi legislativi, le modifiche apportate dai grossi proprietari e, in processi extra-agricoli (trasporti minerari, del legname), da parte di imprenditori continentali hanno un'influenza direi/a o ·mediata sui ceti subalterni. La reazione di questi ultilni, anche quando meccanica e non consapevole, filtri, adattamenti condiziona, limita, impone ャセューゥL@ pri111a 11011 previsti ai ceti egemonici. Così, anche per 232 :;·; quanto riguarda il carro a buoi, categorie come quelle della 'preistoricità', della pura 'sopravvivenza da tempi immemorabili', come anche dell'assoluta 'peculiarità' dive11tano fuorvianti. Non a caso la maggior parre dei termini utilizzati per la ruola a raggi sono, come rimar· ca Le Lannou, qua.si tutti spagnoli o catalani, e italiani con predominio dei vocaboli piemonlesi. Nell'arco di tempo qui considerato la conservativitd esiste, indubbiamente, ma è relativa, attiva, non è pura forza d'inerzia e non è solo ideologica. Se la categoria conservatività va utilizzata, anche in questo caso, va fallo con cautela, tenendo conto dei fattori di tempo e di spazio e della rapprese11tativita socio-culturale degli agenti del cambia· mento e della conservazione, considerali per di più CO· me schiera.menli mutevoli e intersecantisi. Un tradizionalismo indifferenziato non spiegherebbe la posizione specifica non solo dei quadri amministrativi e tecnici e dei grossi proprietari da una parie e dei contadini, car· reuicri e artigiani dall'altra, ma anche del differente di· sfocarsi, nel tempo e nello spazio appunto, di questi ultimi. La 1\lfarmora, pur metrendo decisamente l'accento sulla persistenza, segnala però nel suo Voyage una si· ruazione ormai in movimento con il progressivo passag· gio all'asse fisso, anche se con il manrenimento delle ruote piene, e alle ruote raggiate e, in definitiva, il graduale confinamento del carro 'a foggia antica' verso le aree rurali lontane dalle ciltà. Quali siano i factori che determinano questa progressiva differenziazione tra le diverse zone sarebbe possibile di· re solo ricostruendo i locali processi di circolazione culturale, individuando punti e momenli di transizione: sarebbe oggi difficile costruire una carta di diffusione non statica, ma storico-dinamica, tracciare una mappa che indichi zona per zona la successione cronologica nell'adozione dei nuovi elementi. Considerando l'arco di questi due secoli, si può dire che il cambiamento muova, in linea di massima, dalla ciuù verso /'i11ter110: i ca1nbiair1e11ti legislativi in1poneva.110 infatti prima di tutto l'esclusione dei vecchi carri da/. la cinta urbana, erano in grado di incidere prima e pili effìcace111e1lle sui carrettieri e sui carpentieri cittadini, combinando intervento coercitivo ed incentivi. Infarti, su applicazione delle proposte formulate dalla Società agraria 11ella seconda Memoria, nel 1822 la Regia Cas· sa anticipO ai carradori di Cagliari 1000 scudi per costruire 50 carri secondo le nuove norme; inoltre, la Società agraria aveva proposto che se il Gremio 11011 。カ・Nセᆳ Nセ・@ sentito «l'incomodo di assoggetrarsi alle leggi della Riforma», avrebbe dovuto perdere il privilegio dell'e.l'l'l11.1"iva dei lra.l'porti ci/ladini o addirittura e.\·sere abolito. Venne anche affronta/o il problema della istruzione tc•<·11ica dei car11e11ricri de/fu cirrà, proponendo di affì· darne la guida all'officina del «s,.ergente d'artiglieria Pitta.fuga, già esperto in materia,,. E possibile così ipotizza. re una irradiazione verso le zone rurali, anche perché i mélstri ciaadini servivano committenli anche dei villag· gi. Non sembra però che la città possa essere considerata come unico centro di diffusione, poiché esistono anche relazio11i autonome tra aree anche interne ed altri possibili centri esterni all'isola; nella seconda metà del secolo scorso nell'Ogliastra, /'impulso al perfezionamento tecnico, almeno nella niemoria degli anziani, viene allribuito 11 diversi veicoli culturali, come i conimercianti di legname che iniportano ruote raggiate o /'in· 233 l I l \ \ 21 o. Assolo: Il vecchio corro a buo i ormul dcl lutto lnulllluoto è dive• nulo un elemento decorativo nel cortile della casa contadina. 211. Giogo di buoi dcl Monlifcrro. 212. Aratro In legno a chiodo dcl Montlfcrro. 215. Un curro u huoi dcl Monllfcr· rn: sulla sinislru, in primo plunu, si intravvede un':rnticu mula ìn pie· tru. (pagina precedente) 213. Aratro moderno In ferro. 214. Targa di corro agricolo. 23·1 I reperii delle foto dal 11. 21l al n. 215 sono conservali nel Musco cl· nogralico di Snntulussurgiu nnncsso nl loca le Cenlro di Cullurn po· polare. Il p11gi1111 236 2 16. •Arulrl e currl ウ。イ、ゥセ@ ncllu li · logrnliu di Comlnoltl e Conin puhbliculu ncll'ullanlc dcl Voyage rn Sardaig11e di Alberto Lamnrmora. I. 235 l'inizio della biforcazione di un takku, pezzo di legno a forma di triangolo isoscele. All'estremità posteriore si incastrava una rraversa deua punru de asegus o maista morta, mentre オGZ。ャエイセ@ ira· versa poteva inchiodarsi giusto sulle estremità dei due bracci del timone, maista de asegus, menrre nei Campi· dani sa maista de asegus era incastrala e collocara r. una cinquantina di cm da su puncu de asegus. Parte contenente stallarsi nella zona di almeno un carpentiere piemonte- se. In questo secolo il cambiamento procede, ma ancora fasciando delle aree più conservatrici, negli a/ripiani di Abbasanta e Campeda, nella Giara, dove permane l'uso delle ruote piene, che Le Lannou, forse privilegiando eccessivamente l'elemento geografico, attribuisce alla durezza delle superfici basaltiche e !rachitiche. In gene· raie, si putJ dire, comunque, che muove in due direzio· 11i: da una parte attraverso l'estensione dell'area geografica dominata dall'asse fisso e dalla ruota a raggi, dall'altra agisce sul materiale, attraverso un ampliamento dell'uso del ferro rispetto al legno (o al cuoio), per au1nenrare durevolezza, resistenza ed efficienza. 3. La descrizione moifologica del carro, che qui segue, si basa sui veicoli agenti in questo secolo. Si terrà conto, per quanto possibile, delle varianti locali - che generalmente riguardano la parte contenente, le dimensio11i complessive e dei singoli pezzi, fa qualità del materiale - e delle variazioni delle denominazioni dei singoli elementi. Parre trainante e portante La parte trainante e parlante è costituita da un timone monoblocco, generalmente di leccio, denominato (i)skala 'e su karru o Cestina o anche kardiga (la 'scala' del carro), fungo da 4,20 a 5,40 m lunghezza corrispondente a quella dell'intero veicolo. L'estremità anteriore, detta punta de s'(i)skala o pittsu de sa skaba, è la parte d'attacco per i buoi ed ha, praticali di lato, dei fori, arriadroxus nei quali si ftssa il giogo, giuali o giuale. A una distanza. tra 85 cm e un metro e mezzo dalla punta, il limone si biforca fino a raggiungere la larghezza di J,30 m nell'estremitO. posteriore, asegus de sa skala o koa 'es' (i) skala. Dall'inizio della biforcazione fino alla fine si inseriscono delle lraverse di legno, di leccio, più piccole dall'inizio flella biforcazione fino al pia11nle, qualche volta· i11 ferro, delle kadrigheddas, maisteddas o traversas. In caso di ro1rura dell'estremità della parte d'altacco, o anche per adauarla, prolungandola, a un giogo di buoi più grandi, si poteva «inneslare» un nuovo pezzo di 1i111one al vecchio, con un sislema a incastro, rafforzato du cerchi in ferro ed eventualmente dalf'inserùnento al236 Tra quest'ultima e l'ultima kéldrighedda o maistcdda si dislendeva il pianale di carico, derto sterrimentu o isterrin1cntél o i1ltéluladu o Jcrtu 'e su karru, forn1a10 quasi sempre da 5 tavole di leccio o di olivaslro, odz2stru, dette mesas, bankitros, traberséls, o seddas. Le Qセᆳ vole poggiavano, fissate con chiodi o bulloni ad avvitatura, ai bracci della «scalai>; quelle su cui si innestavano in appositi fori i montanti delle sponde erano più larghè e più lunghe. Nel Meilogu la prima tavola anteriore era detta giuale. Gener,almenre la base minore del «lelfo,, era di 70 cm, la maggiore di un me/ro e rnezzo. Nella fauura delle sponde, non solo per ragioni di funzionalità, ma a11che di estetica, era forse concentra/o i! maggior numero di varianti. Le due sponde, disposte lalerabnente, oblique verso l'e· sterno rispelto al timone, perme1tevano un a1nplian1e1110 progressivo verso l'alto del volume di carico. Era110 chiamare kubas o kuas o alabaris. le due kubas hanno due monranti di circa 40 cm detti peis, fissati in fori e puntellale da un listello di legno o di ferro detto trebidroxa, poi due pertiche di legno disposte una a con1auo con il pianale, Jingius de baxu, l'altra in alto, lingiu dt! susu, lunghe circa /,IO m, perpendicolari rispello ai peis. Tra questi ultimi e i lingius si inseriscono le tabeddas, rava/e sagomate in forma romboidale. Ne!l'Oglias1ra (Tertenia) te tabeddas diventavano 3 e si chiamavano pipias, e i 1nontanri peaccius. Nel Sulcis i montanti diventavano quallro con al centro u11a sola tabcdcJa. Nel Logudoro si usavano, invece, sponde piene: i montanti venivano detti braddzones (Mores) o lidzos (Torralba) o kandelottos (Bonnanaro), inseriri in fori praticati sulle tavole lunghe, puntellati nella parte ester· na da takkos, zeppe di legno, in numero variabile fino a 5 (Ploaghe). Nella parte interna venivano mo111ate due lunghe tavole orizzontali di frassino. La parte conle11ente era variame111e modificabile i11 al· rezza e in lunghezza per potenziare il volunie di carico e per adattarsi alle cararteristiche fisiche dei diversi materiali trasportati. L'esislenza di queste trasfor1nazioni è documentata anche per 1'800. Il letto poteva essere allungalo aggiungendo una /avola davanli ed u11a dietro: il carro così trasfor1r1ato veniva detto nel Sulcis karruga. Un accessorio comunemen/e usalo erano i fustis dc anellas o fustis dc kosta, due lunghe perliclre di legno di circa 3 metri o anche due semplici rami, appena ri/Juliri, uniti con un anello di ferro alfa pri1na lraversa della biforcazione e poggianti sui montanti arueriori. La frocidda era un ramo biforcuto che si sistemava anch'esso all'inizio della biforcazione, perpendicolarn1e11re al limone. Nel Logudoro (Mores, Torralba) en1ran1bi gli accessori prendono il nome di forkidda. Nei periodi di taglio del legname, queslo materiale veni-. - -r ' l 1 Zセ@ ___:j :1 --; va trasporrato da sa foresta a sa bidda: un carico cosi voluminoso aveva bisogno di accessori. La frocidda e i fustis de anellas o de kosta incassavano il carico assicurando la stabilità del veicolo,· ad essi si aggiungevano, fissati ai qual/ro peis, i fustis de karru, lullghi circa u11 merro e mezzo, due per parre. Nel Logudoro per il rra· sporto del legname e anche del grano non rrebbiato si sovrapponevano alfe alabaris le gellas o gerdas, delle nuove sponde, costituire da due montanti, che si fissavano a quelli preesistenti nella parte inlerna ed erano a/li circa un me1ro e mezzo, e da due lunghe pertiche di legno, parallele ai bracci della scala, ·arrivando du sa koa a fissarsi alfa forkidda. Per il trasporto del letame si usava dappertuuo la ka· sha, composta da quattro pareti piene, più lunghi quelli la1erali, corrispondenti alla larghezza delle due basi del pianale /'anleriore e il posteriore. Nel/'Og/iastra (Ter/e11ia) la parte della kasha si chiamava krokau ('e koa, 'e ainnonti, 'e su kostau); era composta da quattro tavole s1reuamen1e connesse, sostenute da due mon1anri. Con la kasha potevano farsi i trasporti di tutti i materiali minuti, come la sabbia. Per il lraspor10 del letame poteva usarsi anche la cerda, o gerda o zerda, una stuoia fatta di verbasco o di altre fibre, più bassa di quella per la paglia, lunga circa 6 · m, ·e che arrotolata occ"{ava poco spazio. Nei momenli critici de lavoro cerealicolo, quando si trai/ava di portare i covoni e i cereali nelle aie comuni, si distribuivano lungo il perimetro is kubabis o frukkas, selle pertiche di circa due metri, verticali, sostenute nella parte superiore da due pertiche orizzontali. Altre tre per1iche potevano aggiungersi ai kubabis verticali, disposte a semicerchio sulle piccole traverse anteriori e collegate insieme da una lamiera incurvata. Quesla trasformazione veniva chiamata karruba. Altri accessori ovunque usati per completare le 1rasfor1nazioni necessarie per il trasporto dei carichi voluminosi erano le funi, usate per avvolgere il carico e assicurate a dei ganci o anelli, fissati ai montanti verlicali. Nella Sardegna meridionale poteva applicarsi come /elio 1111a s111oia di canne arcuata: veniva della kuba. Nel Logudoro nelle occasioni festive si usava cosrruire un'intelaiatura con 4 o 5 cai:ine incurvare, legate ai liùzos: su di essa, come riparo, a mo' di tettoia, si srendevano dei lentolos, delle lenzuola. Parte motrice Non esistendo sospensioni, usate solo nei carri a cavallo (sn karretta nella Marmilla e nella Trexenla, su barrocciu de kaddu per passeggeri nel Meilogu), sa skala poggiava direttamente sull'asse, dello assi o asha o (f)usu. A metà del letto, per un buon bilanciamento, ve11iva collocato l'asse. Tra questo e il braccio della scala pote· vano applicarsi due pezzi di legno incurvari a mezzalu· na, sollo la quale poggiava l'asse: erano detti proceùcius o pohhittos de su karru (Bonnanaro, Torralba). A Do1111anaro l'asse poteva anche poggiare solo sotto un grosso bullone avvitato alla parte inferiore del braccio. La ruota piena, usata anche nel '900 - come abbiamo visto - in alcune zone era composta di 3 pezzi: i due estren1i dclii a\asias o alasas o alasos o taggios, fa parre 1nediana panga (vanga), da cui il nome dato all'intera ruota, arroda 'e panga (arroda de panga e laggiu). 1 tre pezzi erano tenuti insieme sulle facce del disco da due listelli di ferro. La ruota a raggi (12, ma anche 10), costruita in legno duro dara la sua funzione, generalmente odzascru, olivastro, aveva u11 diametro che variava da un 1nerro a un metro e 20 cm. Normalmente aveva sei gravellus o grivellus o quartus o quasceris o koasceris o a11che orivettus de linna, pezzi di legno arcuati tenuti insieme o solo dal cerchione in ferro, su ]amane o kishu o !ameni, o da un incastro di legno derro presoneri a Tertenia, e anche da grossi bulloni fLSsari alle congiunzioni, che veniva110 chiamali parettas (Tertenia) o obbibis arrebronaus (chiodi ribaditi) in Trexenta e nella Marn1illa. Da og11u110 di essi si dipartivano due raggi, arraggius o ragios, i11seri1i con un incastro a mortasa nel niozzo, una sezione di tronco, di frassino od olivas1ro, sagonia· ta in forma ovoidale, detto buttu, murtaggiu nella Pia· nargia, nughe o mudzolu nel Logudoro. Nel mozzo si inseriva un cilindro di ferro, la bronzina, deua bussola, bussula, bushula che avvolge fa parte terminale dell'asse cilindrico, che sporge oltre il mozzo di circa 6 cm. Questa parte terminale dell'asse è dotata di un foro nel quale si inserisce un cavicchio di ferro che impedisce alla ruota di uscire e che viene detto krai, giae o giavetta. Quando era in posizione di riposo il carro veniva tenuto fermo e bilancialo da due pertiche di legno, u11a [issata 'alla prima rraversa della biforcazio11e e quella posteriore, facoltativa: il bastone che impediva al timone o alfa coda di toccar terra veniva detto potenti, batlantsoni, bilancinu, ballancinu. S.oprattutto nelle zone montagnose il carro era provvisto di un sistema di frenatura, sa mekkanika, reso obbliga· torio durante il fascismo. Collocato nella parre posteriore, era costituito da due pertiche ad angolo acuto; la prima, i11 posizione parallela alle lraverse, possiede due takkos di legno arcuati, spesso rivestiti di cuoio, da ultimo di gomma, che, azionando un bastone, fissato co11 una catenella a un braccio del timone, contro la seconda pertica, vengono da questa sospinti per /'arresto co11· rro le rispeuive r11ote. Giogo e sistema di attacco ll giogo sardo, detto giuali o giuale, セ@ un giogo doppio a corna, che cumula le funzioni di apparecchio di sostegno e di trazione. Ad esso si aggiogano scn1pre due buoi, raramente delle vacche, mentre nel secolo scorso numerosi viaggiatori af/estarono l'uso di due, tre, anche quattro paia. Era fatto di legno duro, leccio o frassino od olmo. li giogo per il carro a buoi era lungo un metro e 45 cm, fino a 1,60 m nel Logudoro per permettere maggior gioco ai buoi che tirassero un carico molto pesanle; un giogo più piccolo di circa un metro e 25 cm, più semplice veniva usato per l'aratro (e anche in Trexenta per il piccolo carro a buoi detto karrellu). ligio· go 11er il carro eru spesso accuralamente sago1nato (generalmente i costruttori si servivano di modelli di legno o di cartone): Schel.!-ermeier gli attribuisce una fattura più raffinata che in altre parti d'Italia. Nell'isola presenta delle differenze stilistiche, che però non intaccano l'omogeneità funzionale. Aveva nella parte inferiore due incavature se111ù.:ircolari, kambeddas o kameddas o kukkas, hen levigare e con çielle protezioni di cuoio e ultimamente di gomma per le corna. Per ulteriore pro237 tezione, specie se il bue aveva difetti alla cer1•ice si ゥQセ・ᆳ riva un kushinettu di cuoio grezzo. Nella parre 111ed1011a del giogo in due grossi fori passava un a11e//o di cuoio grezzo, detto aioni o ヲ。Zイコッャセ@ o ヲイッセ。ャゥN@ In. seguito venne [arto di ferro (nel/ Og/iastra viene chiamato . aioni kampidanesu o sarrabesu). In questo arie/lo si inseriva. /a punla del r1n1011e. 111 1u1 apposico foro di quest'ultima kariccia o セ。「ゥァ@ セゥ@ inseriva un cavicchio di legno o anche un /zstello dt legno dello kadriga, che impedivano a/L'archetto di scivolare; lo scivolamento a/l'indietro, nelle di.scese, poteva essere impedito da su parakarru, un parallelepipedo di legno fissato con un bullone dopo il fadzolu (poleva essercene uno anche nella parte inferiore della punta del timone). L'aioni di ferro poteva essere fer1nato anche nella de11te/laruro di wia placca di ferro, detta brabeua o succabarva. L'operazione di aggiogatura, giungidura, 1•e11iva faua sempre partendo dalla destra dove stava il bue più forre del giogo. La coppia veniva aggiogata dietro le corno, le incavature inferiori del giogo aderivano alla cervice. [/ giogo veniva rissato a SOS korros (corna) COI/ del/e solide corregge di cuoio grezzo, lu11ghe da 3 a 3 111etri e 1nezzo, lorus o loros, che venivano fatte passare sulle tacche praticate sulla parte superiore del giogo, sulla quale c'erano da quattro a otto grossi chiodi, deiri gravillas o ossieddus fustis de loru o giaos. U11'escre111ità di og1111na, delle corregge veniva fissata a un chiodo, veniva poi avvolta la correggia alle due corna, co1ninciando da quello interno, poi tre volte intorno ad ogni korru, infine, intorno ad entrambe con un nodo speciale. Il conduttore guidava seduto sul carro o a piedi di fianco, n1a11ovra11do redini, dette odrinagus o redinagios, flSsate co11 un capo al corno esterno (perciò era sempre riconoscibile dall'orecchio scorticato la posizione di un bue 11el giogo), poi venivano fatte passare sulla fronte e legate a/l'orecchio interno, da li le redini arrivavano al condu11ore, elle poleva avvalersi di un pungolo, punrosu o strumbulu, di fischi e di comandi vocali. Questo sistema di auacco subì nel secolo scorso le critiche 'dei riformatori, che ritenevano che non armonizzasse e sfruttasse simultaneamente la forza trainante dei due buoi, li costringesse a u110 sforzo ma!{giore. ne riducesse la capacità di traino e ne/l'aratura la profondità del solco. Lo stesso sistema di legatura veniva criticato perché troppo complicato e causa di perdite di tempo. Scheuer1neier sostiene l'estraneità al resto d' !talia di questo giogo doppio a corna. Haudricourr lo co1isidera sistenia pili. antico di quello cl1e poggia sul collo e sul petto e lo co1111ette a una fase arretrata delle rec11iche di do111esticazio11e e di addesrrame11co dei bovidi. I critici ottocenteschi tendevano ad operare lo stesso tipo di collega111enro, condannando la «scarsa cura», l'addomes1ican1ento i11dige110 e le deboJetze della razza bovina sar· da. Malgrado ciò il giogo a corna ha resisrilo fino ai giorni nostri, e malgrado i tentativi di 111iglioramento della razza introdotti fin dalla n1età del secolo scorso dai grossi proprietari, i contadini sardi hanno continuato a preferire le razze locali, resistenti e duttili, capaci nel giogo di «prestazioni non facilmente riscontrabili altrove in Europa», come afferma Giulio A11gioni in Sa laurera. ........ Mᄋセ@ Giovanni Dore Falegname e mastro carraio _._., l•'alcg11a111e e 111asrru corro1r1 __ ._, .- ...-, Giovanni Dore . _ .; li mestiere nella Sardegna de/l'Otlocento. Il falegname (mastru. 'e li1111a o mastru 'e ascia o fusleri) e il mastro carraio (maslru 'e karru), insieme con il fabbro lfrailadzu o ferren), hanno coslituito fino a tempi recenti una presenza artigianale specializzata in tutte le città e i villaggi sardi. Sottolineare la continuità storica di quesli mestieri significa anche tener conto della rilevanza nella vita quotidiana della materia prima su cui essi agiscono, il legno: .. 1e civiltà - ha scrit· to Braudel - prima del Settecento sono civiltà del legno e del carbone... E questo rimane valido in Sardegna per tuno l'Ottocento e, sia pure in misura minore, per la prima metà di questo secolo. Si tralla di una continuità che è anche segnata da cambiamenti, dallo stratificarsi di disparate e successive influenze tecniche. La presenza in diverse epoche nelle cinà sarde di artigiani catalani, aragonesi, valenzani, italiani; il model· !arsi degli statuti delle corporazioni di mestiere, dei grerni, su quelli di Barcellona, sui quali era già impressa l'in· fluenza pisana, genovese e francese; la circolazione commerciale stimolano im· portazioni di tecniche, di nuovi elementi figurativi, di lessici tecnici, di diffe· renti atteggiamenti ideologici. verso il mestiere. Alla relazione isola • continente si con· giunge quella tra città e contado. Se l'alta densi1à numerica (a Cagliari i falegnami sono un centinaio alla fine del XVII secolo), l'azione di istituzioni ri· formatrici e di centri tecnici (comC a Cagliari l'arsenale militare), la presenza di una committenza di lusso, anche essa stimolatrice del progresso tecnico, la concentrazione spaziale delle specia· lizzazioni artigiane sono tutti fenomeni cinadini, esiste però un patrimonio di conoscenze e di capacità tecniche anche nelle aree rurali. L'ambiente tecnico del contado entra in comunicazione con quello delle città: i maestri possono spo· starsi nei villaggi per eseguire dei lavo· ri, i falegnami rurali hanno spesso svol· to il loro apprendistato in una bottega ciuadina, i predoni circolano, セゥ。@ pure con !e ristrettezze imposte dalle difficoltà della viabilità e dalla limitatezza del mercato di consumo e si propongono come modelli da imitare. Il mestiere di falegname e di mastro carraio è agli inizi dell'Ottocento ancora ingabbiato in cinà nell'intelaiatura delle corporazioni di mestiere, la cui rigidità si spinge lino al controllo dello stesso processo lavorativo e della qualità e quantità dell'oggetto di lavoro (con i divieti del segar legna o la regolamenta· zione dell'acquisto e della distribuzione del legname, che veniva in gran parte d'oltremare). Il processo di differenziazione di mestiere si sviluppa con note· voli sfasature temporali tra gli stessi centri cittadini: se a Cagliari i falegna· mi si separano dai muratori nel X.VI secolo e il lòro gremio comprende agli inizi del XIX una vasta gamma di specializzazioni (intagliatori, carpentieri, fabbricanti di casse e di bauli, fabbricanti di chitarre), a Sassari i falegnami, uniti secono lo statuto del XVI secolo ai muratori, ai sellai e ai bastai, si dividono dai primi solo agli inizi dell'Ottocento, pur rimanendo congiunti ai bottai, che invece a Cagliari hanno da tempo formato un proprio gremio. Questa separazione è il risul.tato del combinarsi dell'azione di condizioni economiche e sociali esterne con un lento e conflittuale sviluppo interno a questi mestieri. Le carte d'archivio attestano le controvcr· sic e le reciproche rivendicazioni d'au· tonomia: sono collisioni o sovrapposi· zioni tra mestieri che agiscono sulla stessa materia prima con compelcnze e strumentario in gran parte coincidenti (per esempio, falegnami e barcaioli) o che devono spesso integrare le loro catene operative per ottenere un determinalo prodotto (come i carpentieri e i mu· ratori) e che originano da una concorrenza imposta dalla povertà della committenza e sono allo stesso tempo indice di un ancora imperfetto sviluppo di una fisionomia specialistica aulonoma. La limitazione del raggio di commiuen· 221 -..-. za (esisteva, per esempio, la µroibiiione di lavorare in cinà o nei Carnpidani senza avvertire i maggiorali), la subordinazione dcli' apertura della bottega all'esame di maestro e al pagamento delle tasse, le restrizioni imposte alla circolazione della manodopera (limiti venivano imposti ai mastri forestieri e ai praticanti non esaminati), le misure protezionistiche nei confronti delle rispettive clientele tendevano a congelare il possibile sviluppo de! mestiere, a cri· stallizzare la divisione del lavoro tradi· zionale. I giovani che vi aspiravano avevano l'obbligo di incarliirsi, cioè di vincolarsi per il tempo del tirocinio presso un maestro, mediante un alto notarile. In tal modo il gremio esercita· va il controllo sui Lempi di apprendi· mento, sulle qualità morali attraverso le regole del regime convittuale, codificava le modalità tecniche di esercizio del lavoro, anche attraverso il filtro costituito dall'obbligo dcl ciipo d'opera, cui doveva sottoporsi I' esaminando, il jove que ho.urà acabiil carta, al quale un padri· no forniva le trassas, gli abbozzi dcl la· varo da eseguire. Malgrado ciò, nella prima metà dell'Ottocento, l'equilibrio è instabile: le modifiche degli statuti e soprattutto il numero di controversie rivelano le con· traddizioni che spingono verso il superamento del gremio e l'affermazione della ..libertà del lavoro ... Nelle zone rurali la siluazione è piU. statica: l'insieme degli artigiani, e quindi anche i falegna· mi e i mastri carrai, sfuggivano all'in· fluenza dei gremi, che poteva esercitarsi solo in modo indiretto. I praticanti po· tevano spostarsi nei villaggi col permesso dei maggiorali cd esistevano figure di lavoratori intermedi con una professionalità discutibile come i remendons, semplici riparatori cui era concesso di cserci!are solo nei villaggi. È una situazione che indica un dislivello tecnologico e l'esistenza di una circolazione asimmetrica di tecniche tra città e contado che si muove lungo questi canali e altre molteplici e incontrollabili vie. .·NセQ@ __, -·' :-:-:1 -'··"' -·.-_, La rottura delle gabbia costituita dai gremi, che pure permettono alla società ottocentesca sarda di ereditare «un mondo intero di impulsi e disposizioni produttiveu, avviene con lentezza, anche se le forze sociali riformatici denunciano la funzione delle associazioni di mestiere di os1acolo al progresso tecnico e al liberarsi di uno spirito imprenditoriale. L'arretratezza delle «arti meccaョゥ」ィ・セ@ (anche se prevalentemente considerata con ottica ancora fisiocratica) stimola un processo di graduali interventi legislativi e disparate iniziative da parte di istituzioni e centri che tentano di costituire una «ufficialità tecnica" separata dalla tradizione di mestiere. Basti qui ricordare le Memorie della Reale Società Agraria cd Economica di Cagliari e la pratica dei concorsi a premi per la mo::lifica in senso moderno di strumenti :i.gricoli tradizionali come il carro e .'aratro. La diffusione di notizie su pro:edimenti tecnici innovativi era pro:nossa da fogli rironnatori come il Gioriak di Cagliari che stilava una rubrica di lgricoltura, arti e mestieri e Il Compilo.·ort <kilt cognizioni オエゥャセ@ che diffondeva lOtizie su soluzioni tecniche, in genere idottate in Francia e in Inghilterra, riセ。イ、ョエゥ@ tra l'altro l'arte dcli' ebanista. \Ila difesa corporativa del segreto di :nestiere si contrapponeva così la libera :ircolazionc delle conoscenze e si esalta1ano la capacità produuiva della mani·attura e la funzione delle .,arti meccani;he.. come mediazione tra agricoltura e <mercatura". L'istruzione primaria e ecnica per i mestieri artigianali era rienuta necessaria per abbassare il costo iella manodopera e per formare una iuova disciplina di mestiere e un'etica 1dcguata che riformasse .. alcune abitulini viziose" e rendesse popolare uil senimento della previdenza, perché criveva il Compifo.lort - di tutte IC con:izioni, l'artigianesca, sottoposta a tan:: vicissitudini, è quella che vuole mag:iore economia e previdenza ... I primi •stacoli della vecchia organizzazione di nestiere ad essere attacca1i furono l'ob- bligo degli esami, di cui si denunciava la "parzialità" e .,formalità .. , il divieto di passaggio di un'opera già iniziata 、セ@ un maestro ad un altro, le restrizioni impo· sie ai mesiieranti dci villaggi e ai maestri forestieri. Nel 1844 l'intervento viceregio scardina la sostanza ddl'istituzione corporativa, decretando l'abolizione del capo d'opera e della determi· nazione della durata del 1irocinio e dcl numero degli apprendis1i e dci lavoran· ti, fino a sancirne la definitiva scomparsa nel 1864. Ma la povenà e la relativa arretratezza degli s1rumenti agricoli, dell'arredo domestico e delle altre lavorazioni in legno per tutto i! XIX secolo (anche se sarebbe errato ipotizzare una staticità ed una conservauv1ra assoluta) indicano lo scarto esistente tra intervento dal!' alto e realtà della condizione artigianale. La lentezza nel cambiamento tecnologico era piU che altro detenninata dalle debolezze economiche e sociali della borghesia riformatrice, dallo scarso livello di accumulazione, dalla mancanza di un mercato di consumo allargato. Così, nella seconda metà del secolo scorso, si apre il varco per un consistente flusso di importazione di prodotti anche nel settore del legno, dalle casse e dai bauli, alle botti, ai mobili. La trasmissione delle conoscenze avvie· ne per linee interne al mestiere; la proposta della Società agraria di Cagliari di istituire una scuola elementare di aritmetica e di pratica delle misure e di disegno lineale (manifesto del 20 rebbraio 1846) rappresenta·un primo tentativo di costituire un momento separato di.trasmissione del sapere tes:nico. Ma dall'iniziativa no·n sembrano sortire effetti reali, anche se uno dei pochi gremi che rispondono alla richiesta di sottoscrizione è proprio il gremio dei fàlegnami con una contribuzione di 100 lire. Anche nella seconda mc1à dell'Ottocento la sistematizzazione delle conoscenze relative all'artigianato del legno all'esterno della bottega può dirsi quasi inesistente. Non si ha notizia - per esempio - dcl225 -·--, la circolazione, se non alla fine del secolo, di manuali sulla falegnameria, provenienti peraltro dal continente.· La trasmissione di cognizioni e di abilità all'esterno delle botteghe avviene solo presso istituzioni come l'ospizio degli orfanelli di Cagliari. Nel 1826 l'ospizio ha un'officina con un reparto per falegnami che nel 1884 viene trasformata in scuola di arti e mestieri. A quel punto la nuova istituzione, che nel 1907 diventa Regia Scuola Industriale, prevede nel secondo biennio un insegnamento teorico per falegnami. Dal 1924-25, dopo i tre anni della scuola di avviamento, presso la Scuola si pratica un tirocinio di 4 anni in diversi mestieri qualificati, tra i quali quello della falegnameria con l'uso delle macchine. Lo. botltgo. tkgli o.nni CinqU11.nto.. Quali erano i contorni sociali della figura tradizionale del mastru 'e !inno. e del mtJ.Itru 'e /carro.? Fino agli anni Cinquanta di questo secolo si può dire che sia esistita una tendenziale continuità de[ mestiere. L'unità di produzione tendeva a modellarsi sulla forza lavoro disponibile all'interno della famiglia, mentre uno o pili apprendisti venivano scelti spesso sulla base di rapporti di parentela o di comparatico. La dispersione proressionale e la rottura della continuità generazionale nel mestiere diventano un fenomeno consistente soltanto dopo la metà degli Anni cinquanta. Fino ad allora la posizione produttiva e sociale di un falegname era ambila. Per lungo tempo il titolo di mastru o maistu. nelle zone rurali della Sardegna ha indicato uno statuto di rilevanza sociale. Le ramiglie di piccoli contadini spesso aspiravano ad indirizzare uno dei figli verso un mestiere come quello del falegname o del rabbro_ Solitamente il ralegname e il mas1ro carraio esercitavano un'attività agricola, in genere una coltura specializzata, in modo sussidiario: il peso specifico relat!vo delle due attività poteva comunque variare a seconda della capacità -- -,.-_, ·.'i ·-··.èj produttiva della bottega. Di solito anche nei paesi di piccole di1ncnsioni esercitavano il mestiere almeno due o tre l'a· legnami, tra i quali si stabiliva una gerarchia professionale sulla base dcli 'abi· lità tecnica e della forza della clientela, che poneva al vertice chi aveva avuto un'esperienza ーイッヲ・ウゥョ。ャセ@ nelle botteghe ciuadine. Il possesso della terra potenziava la compenetrai:ione tra falegname e coniadini: prestazioni specializzate o concentrazioni di manodopera nei momenti critici del lavoro agricolo, variamente combinate con obblighi connessi ai rapporti di parentela o di comparatico o di vicinato, potevano essere accettate come pagamento di lavori artigianali (in Trexenta, ad esempio, i piccoli contadini che avevano debiti con un artigiano potevano pagare con una prestazione collettiva chiamata arrodia). La presenza della bottega ali' interno del centro abitato, l'organizzazione della giornata di lavoro con le irregolarità e gli orari propri degli artigiani, il tipo di alimentazione, assieme ad altri segni sociali distintivi come un certo grado d'istruzione, una particolare organizzazione della vita familiare sulla quale influiva la vicinanza della casa alla bottega, creavano un rapporto c:on la vita di villaggio differente rispetto agli altri ceti produttivi tradizionali. In un insieme sociale coerente la bottega assumeva anche funzioni extra-produllive, diventava - ad esempio - un luogo di socializzazione, anche se inferiore come rilevanza a quello rappresentato 、セャ。@ ccbarberia". L'incapacità Per molli artigiani del legno di reggere alle trasformazioni che si sono verificate nel loro settore a partire dagli Anni cinquanta non va, quindi, ricercata solo in disposizioni interne al· la sfera tecno-organizzativa del mestiere, ma va anche ricondotta ad un atteggiamento ideologico di rifiuto rispello allo sconvolgimento dci contorni sociali della propria figura productiva e alla perdila, sentita come irrimediabile, di un prcsug10 sociale connesso alla relazione tra condizione artigiana e retico· lato di rapporti tfadizionali. Nella n1emori<1. dci vecchi artigiani viene esaltato il .. tempo <li mestiere" auto· regolato e basato sulla responsabilità personale rispetto al .. tempo disciplinato" dell'operaio della falegnameria o carpenteria industriale. La ristrettei:za e la relativa imprevedibilità del mercato rendevano consueta la presenza di "pori" nella giornata lavorativa, resi piU sensibili dalle variazioni stagionali: gli strumenti agricoli (aratri, cart'i, s1rumcnti o parti in legno dei mezzi di lavoro) venivano spesso fabbricati o riparati in concomitanza con l'inizio delle fasi cruciali del lavoro dci campi. Un certo grado di previsione della domanda e di possibilità di stoccaggio era possibile solo nelle botteghe pill grosse: ad esempio, nella bot1ega dci mastri carrai Nuvoli, a Bonnanaro, il cui raggio di commitcenza era sufficientemente esteso, mozzi (mudzofos), raggi (ragios) e sezioni del cerchio (koasteris), semirifiniri, venivano fabbricati durante l'inverno in attesa di essere assemblati. Nella bottega dcl mastru 'e linna e del mastru 'e karru poteva esserci a seconda delle sue dimensioni un minimo di divisione del lavoro. Anche nelle unità di produzione a base familiare accadeva che le virtuosità produttive rivelatesi nei singoli venissero connesse a funzioni specifiche: così, in una bottega di fale· gname (ma si tratta di norma di un grosso centro), chi aveva particolari at· titudini poteva diventare intagliatore cor. un suo banco e con strumenti speciali; in un'officina di mastro carraio i singoli, pur non perdendo un'abilità complessiva, si applicavano chi al taglio e alla squadratura del tronco per s'iskalo. chi alla fabbricazione dei mozzi o alla lavorazione del cerchione, ottenendo, ovviamente su scala artigianale, una riduzione dcl tempo di lavoro e un au· mento della forza produttiva. Anche in queste botteghe si applicava il principio dcl 1ninor dispendio possibile 226 di energia nelle co11dizioni d<itc e un;1 raziunallzzazlone, sc111prc nei lin11ti .tr· tigianali, <lcllo spazio di lavoro Esiste. ìnfani, una razionalità nella dislocaz10· ne dci banchi, delle pZ'csc di luce, della sirumentazione a n1ano e poi anche delle macchine, che dipende, in relazione aHa grandezza dell'uniià di produzione, dai rapponi rc<.:iproci chc veng:ono in1· pos<i, pur nella varieià di combinazioni poSsibili, dalla successione delle operazioni. Lo schema essenziale dcl processo lavorativo prevede le segucnti se· qucnzc: progettare, sfilare, lagliarr, pialla· rr, lr11igare, 1nonlare, i11collarr, ti11grrr. Anche se il processo lavorativo rlclla fa· legnameria non ha al suo interno nlomenti critici così rigidamenle condizionanti lo spazio virale come quello del fabbro (e del mastru. 'e karru quando la· vora sul ferro), dove la natura di solido plastico del ferro richiede il rispetro di una rigida consecucivi!à delle operazioni nei passaggi forgia-incudine (fodde o foddi- inkudiru o inkodia), pure vi si rende necessario un particolare rapporto tra limiti corporei, oggetto di lavoro, operazione, tipo di utensili maneggiati. Qu!:sfo rapporto viene modificato quando le falegnamerie cittadine e, dopo la seconda guerra mondiale, anche quelle rurali si dotano di macchine utensili. La bottega cittadina si dilata tra la fine del secolo XIX e gli inizi di questo. Aziende come quelle dei fralelli Boero e di Guglielmo Cao a Cagliari e dci fratelli Clemente a Sassari sviluppano la divisione del lavoro, si organizzano in reparti, così come le officine di carpenteria dei veicoli inseriscono le macchine «Sciolleu, operatrici speciali, determinando l'aumento di grandezza della sede lavorativa. Le botteghe rurali scelgono, invece, la «combinata", che assomma diverse funzioni, costa meno, occupa un minor spazio ed è insomma piU adatta ad una dimensione produtti· va ristretta. G/r rlru.menli, La strumentazione tradizionale non si può dire etnicamcntt· ifl'I (.'/i"tt"·.:_:1 '''' """"" ''"''"" "'"•"· disuso: la ricaka11ic<" f•C• ,/ rr1•liwrir rii /;•rr" dcl carro. 310. Uria vccdiia battrgn d1-J11bbra 1alraf'""" rcccrilomootc 11//11 n-couc.. rxionr /1rorlulliuc1. J f f_ Gli allrc:..:i dtl muxtro carraio: so< cavalletto< ャオョ、ッセN@ 310 309 i ·Ì 1 .. i .. _.,' ' :r11 ------- -------------·-·---------------------------------- ·.· ... ' "·'' connotabile nei caratteri morfologici e na, 1norso. 'eferru, morseflos, Jcrgt11/r dr /innelle proprietà meccaniche. Ciò che è na, canrs, 1,nadzas); infine g!i strumenti individualizzato a livello regionale, o per la levigatura e smerigliatura, la sub-regionale, sono semmai i tempi e i tracciatura, !a misurazione, Il disegno. modi delle resistenze e delle trasforma- Si tratta, dunque, di uno sirumentario non dissimile da quello di un falegname zioni. La base tecnica nel secolo scorso era generalmente ristretta, soprattutto di altre regioni. Ma questa mera elennell'artigianato rurale. L'ascia, e cazione appiattisce la straiificazione storica, la·successionc evolutiva che vi è l'asciolu, piccola ascia, avevano un ruolo importante per il mnstru 'e linna, ma so· contenuta, i dislivelli tecnici, anche in prattutto per il lavoro di carpenteria linea sincronica, tra i diversi artigiani. (anche per il bottaio, maistu de kupas, che Ques10 strumentario a energia umana, si serviva dell' asciolu per stufai, per crea- spesso fabbricato dallo stesso falegname in collaborazione con il fabbro (so.sfoddre uno spessore uniforme delle doghe). In particolare la formula funzionale del- zas, ad esempio, venivano ricavate dal· l'acciaio delle balestre e sagomate pal'asciolu (taglio trasversale perpendicolarmente al manico, ricurvo verso l'im- zientemente dallo stesso mastru 'e linna), viene progressivamente sostituito dalle pugnatura, manico corto in grado di imprimere notevole accelerazione e una macchine utensili a energia motrice testa abbastanza pesante) ne faceva uno elettrica, causando una mutazione antropologica della figura Jcll'ar11gtil110. strumento impiegabile, dopo il lavoro La combinata, che comprende la pialla a di sgrossatura fatto con l'ascia, in diverfilo, la mortasatrice, la pialla a spessore, si segmenti operazionali che richiedevano una combinazione tra forza e preci- la sagomatrice e smerigliatrice, la sega sione (anche se ovviamente inferiore a circolare, introdotta nella bottega rura· quella permessa dagli strumenti a per- .Je, assorbe abilità e movimenti prima incorporati negli organi sensori e motocussione poggiata). Nella prima metà di ri e nella mente del maslru 'e linna. questo secolo gli strumenti (trastos o al· Le percussioni ritmiche a forza umana tretsos) di un falegname medio comprendevano attrezzi per percussione lanciata dell'ascia, dcl martello, delle pialle, del· come l'ascia (ascia o (d)irtrale o segur1) e le seghe, che potevano essere anche og· getto di apprezzamento esletico, uditivo l'asciolu, le mazzuole e i martelli (mattsas e marteddos); a percussione poggiata co- e visivo, (si pensi alla ritmicità della martellatura.alterna-ta in coppia sull'inme i diversi tipi di seghe (serrane, uerdugilu o utrdughigliu, per il taglio dei tronchi, cucline, detta arrippikk,tto, nella bottega serra, la sega a telaio, i diversi seghetti, del mastro carraio e del fabbro) abban· seralcku o seTTtJkku, strra.kku a b1JSteddu, donano progressivamente le botteghe. ecc.), le pialle differenziate per forme e Al ritmo libero si sostituisce il ritmo ob· funzioni (pialla, il piallone, pianittas, le bligato dell'operaio che "smacchina". Il gesto tecnico si emancipa dalla n:i.ano e piallette, isgrossinu, lo sbozzino,Joddzas, le sponderuole per le scorniciature, in- si incorpora nella macchina: segare nella canalature), le raspe, lime e raschielti sega circolare o a nastro, appio.nare nella (raspas, limas, rastra); a percussione pogpiallatrici; stampare e 。ュセ」ゥイ・@ nella giata con percussore come il bulino, le mortasatrice, ecc. Quando si p<i-rla di sgorbie, i pedani, gli scalpelli (bu.rinu, perdita culturale, al di fuori di ogni vi(i)sgorbias, bidti.nos, (1)skarpeddos o iskraf sione nostalgica, ci si riferisce al deperifeddos o tallantes); gli strumenti perforanre di questo bagaglio di disposizioni ti come i succhielli di diverse dimensio- corporee, di coordinazione muscolare, ni (berrinas), i trapani (trappanos o trapandi percezioni sensoriali delle forme delle /es) con le punte (meccias o mercas), quelli distanze e dci movimenti, di conoscenda presa, morse e morsetti (morsa 't linze delle particolarità e potenzialità dci 228 diversi tipi di legno, che, sourani all'indivi<luo, si interiorizzano nella macchi· na. Si perde anche un legame di tipo simbolico con gli strumenti a mano, un rapporto di affezione personale. L'operaio del legno nella falegnameria indus1riale, magari specializzata solo in infissi, si applica a una macchina specio.lc che taglia un pezzo standard. All'unicità si contrappone l'intercambiabilità, all'imperfezione del lavoro a mano (che, però, nell'artigianato artistico dcl legno diventa un valore) la perfezione e la regolarità del prodotto di serie. Lari· duzionc drastica della vecchia gamma di capacità ad una abilità di dettaglio, l'asservimento a un segmento dell'intera {;atena di operazioni, la sottrazione dell'ideazione sono sentiti come una caduta irrecuperabile, un riprovevole tradimento del mestiere (<•allora si facevano lavori che oggi non si vedono piU .. , «oggi fa tutto la macchina, l'operaio deve solo mettere il pezzo•>, «il falegname prima era un artistau). Il punto di rottura non viene però individuato solo nelle macchine. I vecchi artigiani cittadini, che hanno fin da giovani lavorato al!e macchine, individuano come passaggio traumatico anche l'introduzione di nuovi materiali come il compensato, la masonite, il multistrato, il truciolare, tutti facilmente manipolabili, deteriorabili e sostituibili, che favoriscono il passaggio dai mobili "massicci" ai mobili .. 1isci11. li ュセウエイッ@ e l'apprendista. All'interno della bottega arligianale un rapporto fonda· mentale si instaurava tra maestro e apprendista, iskente o scienti, la cui scelta avveniva spesso all'interno di rapporti parentali o amicali. Nelle botteghe dei villaggi è rimasta a lungo in vigore la prassi del regime convitruale, sancita nella carto. del gremio, o una sua combinazione con un rappor10 salariale. L'apprendimento doveva seguire regole codificate dalla tradizione e tappe rigidamente controllate. Su mastru faceva entrare gradatamente s 'isk,nte in rap- .. ' ::--:.! ··.-: ·.·_-; N⦅ZBセ@ porto con l'insieme tecnico. Si passava dalla presa di conoscenza dc!la stru· mentazione (forme, funzioni, lessico) attraverso i compiti di assistenza e t'a'perazione quotidi"ana dcl ripristino dell'ordine (sos lras/os o jtrros andavano riposti in s'ùkaffalt, secondo un ordine codificato rispondente ad esigenze estetiche e funzionali), fino all'anribuzione di lavori tecnici elementari come, ad esempio, la levigatura. L'apprendimento era fondamentalmente interno al mestiere, regolato dalla pratica e dall'esercizio. L'insegnamento avveniva in modo implicito; chi voleva imparare doveva sollecitare al massimo organi motori e sensori, carpire con l'occhio i segreti di lavora:donc per accelerare un tirocinio che il maestro aveva interesse a dilatare nel tempo al fine di mantenere basso il prezzo della forza lavoro e di a11ontanare il rischio di una futura concorrenza. La gerarchia era mantenuta insieme da un controllo interno al processo lavorativo e da un sistema normativo disciplinare, dall'attribuzione al maestro, spe· cie se parente, di funzioni educative sul giovane, al quale venivano spesso richieste prestazioni extra-produttive (sas commissiona). li rapporto gerarchico si poteva leggere nelle differenze di componamento gestuale tecnico. Infatti l'attribuzione o meno di certi gesti tecnici, la posizione specifica in un pro· gramma gestuale indicavano immedia· tamente il rapporto gerarchico esistente tra i due. Ad esempio, la tracciatura spettava al maestro, nel taglio con la sega il maestro stava al tiro e l'apprendista in risposta, dalla parte opposta rispeUo al lato di lavoro,del banco Hセゥャ@ banco era sacro, guai a passargli davanti•). _L'insegnamento era contraddistinto da frequenti rimproveri (<•il'asa, s'ofu. pu.nlu.?..), da brusche prescrizioni tecniche ( ..amnuntadi ki sa piani/la non eslt u.na barka» è l'efficace metafora che indicava la necessità di incorporare il movimento lineare e ritmico richiesto dalle pialle: e piallare era l'operazione pili difficile da imparare, quella che decideva dei tempi dcl tirocinio). Anche con l'uso della combinala il maestro cercava di riservarsi il controllo sulle operazioni pili impor· tanti, anche se ormai semplificate. Era lui che stava al taglio, ad as1t1iort, inibendo per lungo tempo l'uso della macchina all'apprendista. Questa relazione asimmetrica nel microspazio della bottega non faceva che rimandare alla gerarchia sociale esistente nei villaggi, alla supremazia generazionale degli anziani sui giovani. Il controllo del patrimonio di conoscenze tecniche garantiva anche esso quell'equilibrio sociale. La lauoraziont del carro o buoi. Il processo lavorativo del mostru 'e karru presentava delle particolarità rispetto a quello dcl falegname, poiché doveva lavorare sul ferro e sul legno, con gli strumenti del falegname e quelli del fabbro. La gamma delle sue produzioni andava dal carro a buoi, ai carri e ai calessi a cavallo, fino ai telai, agli aratri, alla riparazione, recentemente, delle macchine agricole. Qui ci limitiamo ad una ricostruzione sintetica del processo di lavorazione del carro a buoi, un mezzo di lavoro indispensabile fino agli Anni cinquanta nelle aree rurali (le informazioni provengono dalla memoria orale di vecchi falegnami e mastri carrai di alcuni paesi del Meilogu). Il maslru 'e lco.rru. padroneggiava come carpentiere l'intero processo lavorativo. Riuniva in sé competenze proprie del fabbro e del falegname o comunque le combinava all'interno della divisione del lavoro nella m.edesima officina, an· che se come figura produttiva singola non poteva padroneggiare in tutta la lo· ro estensione le abilità complessive delle due specializzazioni perché la lavorazione dei mobili e del ferro battuto rimanevano al di là delle sue capacità. "Adattava il ferro al legno, il legno al ferro", "poteva dare un prodotto pili rifinito" (ci si riferisce al carro): sono espressioni che indicano l'orgoglio del mestiere, la consapevolezza della pro229 pria specificità tecnica normalmente ri· conosciuta da su. mastru 'e finn.o., anche quando questi era in grado di costruire ogni parte, eccetto la ruota a raggi. Ac· cantonata la ruota piena, arroda. dt panga t laggiu, grossolanamente lavorata con l'<Ucia e l'asciolu, la linea di demarcazione tra lo specialista e un generico agente costruttore risiedeva proprio nella fab· bricazione della ruota a raggi, per la quale il mastro carraio possedeva lo strumento adeguato, il tornio (prima a mano, tutto di legno, poi di metallo e a energia elettrica), che ancora negli anni Cinquanta aveva in Sardegna una scarsa diffusione. L'intero processo lavorativo richiedeva una no1cvo!e capacità di controllo sui mezzi naturali elementari impiegati nelle diverse operazioni (aria, fuoco e ac;qua) e una manipolazione dei rnate-riali, ferro e legno, le cui proprietà fisiche e chimiche venivano conosciute in relazione alla forma e alla funzione dei pezzi come elementi di un complesso (il carro), attraverso l'esperienza. Si lavorava entro il quadro delle condizioni obiettive imposte dai mezzi naturali elementari, dalle proprietà dei materiali, dalla qualità di energia utilizzata, da1 livello di competenze possedute, dal grado di perfezionamento tecnico degli strumenti, dalle funzioni delle parti componenti il carro. Su queste condizioni agivano quelle dcl sistema socioculturale esistente, dalla disponibilità dcl legname e dcl ferro adatti e dai loro costi (per esempio, il fuso e la bronzina venivano importati) fino alla tradizione tecnica della zona. In gencra1e si può dire che la spinta al mutamento tecnico agl progressivamente su questi artigiani e, malgrado il suo andamento contraddittorio, stimolò un perfezionamento nel mestiere e favori un maggiore dominio sulle condizioni tecniche e naturali con il passaggio da una prevalenza di gesti tecnici basati sulla percussione lanciata e sulla energia umana con no· tevole grado di erogazione di forza muscolare e di in1precisione, a una predo- 312 313 230 312 ·C li ョャエyセNZオ@ drl mtutro nu1ow hcirinas. JJ J.JJ1 Stn1111r.11ti in disu.ro della botlc_t:a del .faltg11amt. J/5 Cli attrezzi del mastro carraio: ,· martelli. 316. Cli attrezzi del mastro carraio: il metro circolare, sa ròdana. JJ 7. Cli attrezzi del mastro carraio: i modelli, sos scstos . .315 .316 '119/}(UVe11rli'torc di "'"'' . dcf SI' . JJO llllfllli:/1t1I" 111/11 fÌ•' l<I To11arw. 1•·'" 1"" .... 1.iatur•セ@ ilr I It'.tt""· 319 232 j.!.' L 'mgressu della bull•'.lt" t/1 1111 111taglwtu11· di /Jcs11/o che prud11cc discutibili 111a1111Ja1ti /I"' il consumo tun'st1'w. .12.1. L 'it1tngliatorc dcl leg1w. 11clir, tli cliiaru .i:tulo d.Jnl<tt. t:'""t:t''"'" 111 S11rde.t;11<1 1icl Sr1a11lu e 1ul S,·11<"u·11tu dal 1r.i:11u <li' Napoli. J2 5-.126 Il fro11to11e di 1111a cllrsa/"111ca altualme11te i11 prod1uio11r . Il lm ·uro d 'i111ag lio è sta to eseguito seco11do i 111odrlli 1radi: iu11ali. 327-328. Antiche casse intagliat•· prot:e11ie11ti dalla Barbagia di B clui (proprietà del Co1111111c di Cagliari). 32 1 322 323 2.11 :ì2 :. 32·1 326 :na 327 275 minanza di gesti di percussione poggia· ta e a una combinazione di energia mo· trice umana ed elettrica. La fattura del timone richiedeva un tronco ben stagionato, generalmente di leccio (elighe) usato in tutta l'isola, un le· gno resistente, diritto, senza nodi. Biso· gnava tagliare diritto e «trovare il gar· bo», cioè individuare la corretta inclina·. zione o la leggera curvatura dei bracci de s 'iskala. Si sgrossava il tronco con l'ascia (a do/adura kun s 'istrale) e poi lo si tagliava al centro con un segone su ca· valletto. Questo lavoro veniva eseguito spesso da immigrati stagionali, i segantini friulani o toscani, ma anche da tonaresi o aritzesi che prestavano la loro opera a aggiustu, a cottimo. In seguito, questa operazione, che esigeva un dispendioso impiego di forza muscolare ed era suscettibile di una possibilità di errore antieconomica, venne semplificata con l'introduzione della sega a carrello. Il tronco così lavorato veniva bi· forcato con l'inserimento di traverse in legno e in ferro. La ruota raggiata dove· va essere di legno duro e stagionato per almeno tre anni, in genere frassino od olivastro. Con il tornio si lavorava il mozzo (nughe o mudzolu), mentre i fori d'innesto per i raggi venivano praticati con la mortasatrice e il divisore. I quarteris o koasteris, modellati con sagome di legno (sestos), venivano lavorati con seghe e seghetti, mentre la curvatura, spesso naturale, veniva rifinita con la pianitta tunda. Lo strumento indispensabile per la misurazione era Ja rodana, un metro metallico circolare . L' applicazione del cerchione (lamone) era particolarmente delicata e insieme gravosa fisica· mente perché veniva fatta normalmente nel mese di giugno e a mattina inoltrata nello spazio esterno che nella bottega del mastro carraio fungeva da prolun· gamcnto del laboratorio interno. Il ccr· chione doveva essere di 1,8 o 2 cm. piu piccolo della circonferenza della ruota se nuova, di 1 o 1,5 se consumata. Biso· gnava inoltre tener conto, per la previ· sionc della dilatazione, della qualità dcl ferro, duro o dolce (cioè ad alto o basso contenuto di carbonio). Il ferro, lavorato alla forgia, tenuto saldo con lunghe pinze (ca11es), veniva incurvato con la mazza, a battimazza; si raffreddava infi· ne con l'acqua per consentirne la presa definit iva sul legno. L'operazione ven· ne resa piu semplice e meno faticosa, con la riduzione dci cempi e dci lavoranti e l' aumento della produttività, quando vennero utilizzate la macchina ri· ca/catrice e la taglia-cerchi con la saldatrice. Strumenti passivi caratteristici del mastru 'e karru, oltre il banku da falegname e quello da fabbro, erano sos cauallet· tos tundos, sui quali si poggiavano le ruote per la lavorazione. Tra i diversi possibili agenti costruttori esisteva una divaricazione di competenze, da un massimo di specializzazione concentrala nel mastru 'e karru, che oltre al carro a buoi fabbricava i carri a cavallo (barrocciu e· tumbarella), fino a un minimo depositalo nella figura del semplice conduttore di carro. Nei villaggi però, in una situazione in cui si tendeva il piu possibile all'autosufficienza anche nella costruzione dei mezzi di lavoro, anche il conduttore padroneggiava co· noscenze e abilità, entro una sfera piu limitata, il che gli permetteva di inter· venire nella scelta dei legni adatti e nelle riparazioni piu semplici (traverse, sistema di frenatura, pertiche delle trasformazioni del carro), una sfera comunque elastica perché qualche conduttore era anche in grado di costruirsi il giogo (giuale) e il timone con una strumentazione minima (ascia, asciolu, serra e usteddu). Collegata a questa divaricazione nella padronanza tecnica, esisteva anche una capacità tassonomica differenziata secondo una scala che andava da un massimo per il mastru 'e lcarru a un minimo per il conduttore per le proprietà dei materiali, l'uso degli strumenti, la conoscenza dei procedimenti; una scala che si invertiva sul lato delle competenze relative alle operazioni d'uso del mezzo di lavoro. Ma questa difTerenziazionc nel saper fare e nel saper dire 236 dipendeva dal livello di sviluppo della divisione sociale del lavoro . I lauori d1 jaleg11a111eria. Si è detto che la falegnameria usuale è presence in lutei i villaggi sardi, ma bisogna anche sottolineare che questa presenza non è quali · tativamcnce omogenea . Nelle diverse aree si creano dei centri di gravità, dove agiscono botteghe piu grandi e tecn ica mente piu qualilicace che si creano una committenza in diversi paesi e dalle quali spesso per scissione si originano nuove botteghe. Inoltre lo s,·iluppo del · la divisione territoriale del lavoro ha prodotto nell'isola anche nel settore del legno la congiunzione di specializzazioni produttive ad aree particolari e il for marsi sia di uno stile etnico regionale sia di varianti sub-regionali. Una sct:ie di prodotti artigianali hanno impressa una specilicità etnica che si forma nella combinazione tra creatività e ingegnosità degli artigiani locali e foni influenze esterne. Così la cassapanca sarda (kascia /011ga o bankale) ha alcune omogeneità di carattere morfologico e strutturale (è di altezza notevole, è rettangolare, è in genere di castagno), ma le varianti microetniche presentano notevoli differenze nella figurazione e nelle soluzioni morfologiche e strutturali. Le cassapanche barbaricine (di Orani, di Aritzo e di Desulo) sono piu semplici e lineari, a scavo,a bassorilievo inciso o graffito , con sa mostra, il pannello cemrale decorato con fiori, tralci di vite, rose, ecc.; le cassapanche di Santa Giusta, di Sanculussurgiu, di Bosa, di Benetutti sono piu complesse, con una commistione di elementi di derivazione toscana, genovese, veneta, ed anche spagnola (sculture a teste d'angelo, dorature e vernici, zoccoli terminali con volute barocche) . Non è estranea a queste influenze la presenza in Sardegna degli ordini monastici che furono anche in questo campo un importante veicolo di diffusione culturale: basti ricordare i banchi rusci · ci fatti a modello delle panche delle chiese o le decorazioni e gli intagli sui montanti e le travi orizzontali dei porticati delle case signorili del Campidano di Cagliari. Si possono ancora ricordare i lunght tavoli di castagno intagliato, di foggia cinquecentesca e i seggioloni a braccioli intagliati e traforati fatti a Dorgali, a Nuoro e a Santulussurgiu . La concentrazione abitativa e lo sviluppo tecn ico superiore permettono nelle città lo sviluppo d i una ebanisteria (anche se vi è chi nega che per la Sardegna si possa parlare di una connotazione etnica) direttamente influenzata dall'importazione della produzione continentale. Già nel secolo scorso l 'Angius segnalava i lavori di alcuni ebanisti cagliaritani uper la precisa imitazione di lavori d'oltremare, e per la maestria con che trattano il legno ginepro, che la loro mano sa rendere così bello ne' lavori gentili, che in paragone men si loda l,o stesso mogano... E proprio nella lavorazione dei mobili che si concentra il maggior numero di mutamenti con l'adozione di nuovi materiali e di nuovi procedimenti. Tra gli ultimi decenni del secolo scorso e gli inizi di questo si sviluppano vari stabilimenti, dall'azienda Clemente di Sassari ai Boero, Cao e Carboni di Cagliari, dove si introducono i nuovi materiali, prende avvio la produzione di serie, i mobili «lisci» prendono gradatamente il sopravvento su quelli massicci. Negli Anni trenta Arata e Biasi possono così lamentare la decadenza della produzione tradizionale: «Il mobile in Sardegna non è casuale. Eccettuate le infiltrazioni e le deviazioni barocche, trova il suo migliore punto di riferimento nei contrassegni della stirpe. E ci rammarica di vederne la lenta agonia. Non solo, ma quello che è peggio, è che i mobili. sardi vanno scomparendo, nonostante gli sforzi fatti per conservarne qualche esemplare nei musei di Roma e di Cagliari. E con i modelli, scompare un insegnamento e una guida per l'artigiano il quale, malamente incoraggiato, va deviando i suoi gusti verso un'incolore produzione industrializzata... La trasformazione, segnalata da Arata e Biasi, ha percorso da allora molta strada e ha prodotto differenti esiti, dal· la eliminazione pura e semplice della fi . gura produttiva del vecchio falegname e del mastro carraio alla sua sopravviven· za negli interstizi della produzione in· dustriale (riparazioni e servizi, supporto al bricoleur), ali' artigianato artistico (spesso combinato con l'attività prece· dente e con l'ausilio del pantografo per aumentare la produzione e conquistarsi un mercato), fino all'evoluzione verso la produzione di serie con la falegnam e· ria industriale. Nel caso dei mastri car· rai, come del resto per i fabbri, si può dire che solo raramente si è avuta una trasformazione verso l'officina moder· na che alla manipolazione del ferro unisce quella di un nuovo prodotto, l'alluminio anodizzato, con l'ausilio di macchine come il maglio e la saldatrice elet· trica. BIBLIOGRAFIA I. Andrcani, l 'arie nei mttlitri. 11/alegnamt, Mila· no 1906; G. Angioni, Sa lauma. lavoro contadino in Sardegna, Cagliari 1982 ';C.V. Arata, G. 13ia· si, Arte sarda, Sassari 1935 (rcprint Roma 1983); Arch ivio di Stato di Cagliari, Segreteria di Sta· lo, serie Il, buste 1326, 1327, 1328, 1329; Alfi del Comitato dirtlliuo della Prima Esposizione sarda (1871), Cagliari 1872; P. Branca, Cli Statuii dei grani artigiani della citlil di Alghero, in ·Miscella· nea di Storia italiana.. , voi. 51, pp. 4-91-517; F. Braudcl, lt slrullurt del quotidiano, Torino 1982; .. [I Compilatore di cognizioni utili .. , Cagliari, a. I-V, 1835-39; A. Della Marmora, Voyage m Sar· daignt, Paris 1839 (tr. it. Cagliari 1926, voi. li); R. Di Tucci, lt corporazioni artigiane tklla Sarde· gna, in •Archivio Storico Sardo•, voi. XVI, Ca· gliari, 1926, pp. 33-160; C.A. Fanelli, L 'artigia· nato. Sintesi di un 'teonomia corporativa, Roma 1929; F. Gemelli, Del rifion·mmto della Sardtgna proposto ntl miglioramento .Ulla sua agricoltura, Tori· no 1776; A. Imeroni, Piccole indusln·t sardt, Milano-Roma 1928; l.S.O.L.A., Censimtnto del· le imprm artigiane. Maggio-giugno 1978, Cagliari 1978; A. Lcroi-Gourhan, l'hommt ti la matièrt, Paris 1971'; A. Lcroi·Courhan, legeslctllapo· rolt. lo mimoire et /es rythmts, Paris 1965 (tr. it. Il 237 guto t la parola. la memoria t i n·1mi, II, Tori no 1977). S. Lippi, Statuii delle Corporazioni d'orli t mtsltm della Sardegna, Cagliari 1906, in .. Bulle1t1· ァゥ。ョエセ@ no bibliografico sardo •., voi. !V, fase. 46-4 7·48 e voi V. fase. 49·50-5 1; F. Loddo Canepa, l '111d:.1111a del bollamt e il comnurcio dcl ltgnamt do bo111 1r. Sardtgna olla fine del suolo X !X, Padova 1954: F. Loddo Cancpa, Statuti inediti di alcuni grtm1 sordi, in .. Archivio storico sardo ... ' 'OI. XXV, Padova 1961, pp. 179·44'2; Serviz1'0 Arl1 · del Progtllo Sardtgna/0.C.S . E. Rtlaziont/1· nalt (1957-1962) di Ramy Alexar.da, Consulcnlt per l'Art1g 1anato, Cagliari marzo 1963 (ciel.); L. Wagn er, DdJ londlidus lebtn sardiniens 11n rpugtl der spraclu, Heidclbcrg I 921. Giovanni Dore I luoghi della produzione artigianale 2. I luoghi della produzione artigianale di Gianni Dore Nei villaggi della Sardegna tradizionale l'attività di tra· sformazione artigiana si svolgeva in una pluralità di forme e attraverso una vasta gamma di operatori, il cui grado di specializzazione e di autonomia professionale si distribuiva lungo una scala di intensità variabile. Agli operatori con un alto tasso di indipendenza di mestiere, che comunque spesso praticavano una coltura agricola specializzata, si aggiungevano, passando per una molteplicità di figure intermedie, contadini e pastori, per i quali le attività artigiane rappresentavano nna fonte integrativa nella ウエイセ・ァゥ。@ familiare tesa a .conseguire l'obiettivo il più delle volte fallito di un'autosufficienza economica. Costoro potevano occupare spazi interstiziali nei processi lavorativi dei diversi mestieri, ma anche presentarsi come gli urùd operatori in alcuni settori. Di norma gli inserimenti nelle catene operative rimanevano confinati nell'azione su materiali più facilmente manipolabili dal non specialista, come il legno, escludendo un solido plastico come il ferro, che richiedeva una maggiore specializzazione dello spazio• di lavoro e della strumentazione soprattutto passiva. Materiali come il legno, arbusti e fibre vegetali, il corno, il sughero costituivano invece l'oggetto di lavoro privilegiato di lavorazioni specializzate a frequenza stagionale di questi strati produttivi, con una partecipazione di.f. ferenziata dei due sessi. Artigiani contadini dunque, ma anche contadi ni artigiani e pastori artigiani secondo un'ampia varietà di sfumature e possibilità combinatorie socio.produttive. Il trascorrere di queste combinazioni di mestiere dall'uno all'altro polo era anche favorito dalla condivisione ali 'interno dcl villaggio di un ambiente tecnico coerente, che permetteva 6n da bambini, attraverso un addestramento nel fare o anche solo visivo, di partecipare delle tecniche artigianali (memorizzazione di atomi 108. Boucga di fabbro ferraio (/errm). L'edificio, collocato in pos1Z1onc stra tegica rispetto alla rrama viaria, con affaccio sulla strada e piccolo cortile rctrostancc, è interamente ad ibito a spazio lavora tivo con la ridefini7. ionc degli interni (foto: F . Tiragallo). 14.J tecnici e sequenze operative, familiarità con la cinesi speci6ca e gli spazi di lavoro). Passaggi come apprendisti, temporanei o stabili, nelle botteghe del paese o dell'area da parte di giovani provenienti da famiglie contadine o · pastorali favorivano e consolidavano questa solidarietà transproduttiva. Di particolare interesse era l'attività artigianale sussidiaria di alcuni paesi pastorali delle aree interne (Aritzo, Desulo, T onara), fondamentalmente indirizzata lungo l'asse della produzione per il consumo e l'arredo domestico, dalle lavorazioni di oggetti di corno, sughero, legno, all'intaglio più complesso dal punto di \'ista tecnico e della produzione figurativa e sim· bolica dei pannelli frontali delle cassapache (mostras), in legno di castagno. Queste attività si collocavano nei pori del processo lavorati,·o pastorale, ne seguivano le variazioni stagionali, facendo cosl coincidere le linee di transumanza con le direttrici di circolazione di questi manufatti artigianali e di altri prodotti da specialisti dcl paese. In questo modo tali attività manifatturiere, anche se incapaci di garantire un'autonomia professionale, potevano fissarsi fino a caratterizzare la specializzazione artigianale di un 'area, integrandola stabilmente nella divisione territoriale dcl lavoro e nella rete di scambio dell'isola: Queste funzioni di integrazione spaziale nel territorio a corto e vasto raggio restano però in gran parte da studiare. Certamente la circolazione dei prodotti, delle tecniche, della manodopera, i processi di scissione e di dispersione delle botteghe producevano un sottosistema economico territoriale che, malgrado la sua frammentarietà, fragilità, arretratezza tecnica, se comparato a quello di altre regioni, tendeva ad organizzarsi per centri di gravità tecnica e creava per talune attività forti e radicate specializzazioni areali, che in gran parte continuano anche oggi, nella riconversione dall'artigianato usuale rurale a forme di artigianato artistico. L'itinerario tra i paesi e verso le città alla ricerca di maestri, clienti, modelli, il contatto e la diffusione di tradizioni costruttive ed estetiche, dci lessici tecnici, di atteggiamenti e rappresentazioni idelogiche ha con(s!rito agli artigiani del!'isola un 'importante funzione di mediatori culturali, ne ha fatto un fattore propulsivo nella intensificazione dci rapporti territoriali e nella formazione di una più ampia identità etnica. Questo vale anche per la circolazione sociale dei fatti tecnici: gli artigiani si ponevano cc; .••c mccliatori culturali tra ceti « colti » e strati subalterni. Anche se questa dinamica aveva modalità e intensità differenziate nei diversi periodi e aree subregiooali, tipologie, fonne, soluzioni tecniche e figu- Sarde11.1111 rative viaggiavano tra le due polarità in gran misura con Ja mediazione attiva o passiva dell'arùgiano. I lu ogh i d e l produrre artigianale. Se si tracciasse una mappa dei luoghi del produrre artigianale in un paese sardo uno agli anni Cinquanta, si vedrebbe apparire una presenza diffusa e !-ma tipologia organizzabile su più livdli, dalla collocazione spaziale aUa con.6gurazione costruttiva fino al grado di permanenza e stabilità. Prima di tutto si presenterebbe una ripartizione tra luoghi esterni all'abitato ed interni; all'esterno dell'abitato, a distanze variabili, si componeva ( naturalmente con inclusioni o esclusioni a seconda dello specifico villaggio considerato) un'architettura dcl lavoro, dalle strutture fisse e tecnicamente e architettonicamente più complesse come i molini e le gualchiere, a quelle transitorie rinnovabili stagionalmente, come le carbonaie, i ripari dei segantini, i luoghi di produzione dci mattoni crudi o delle tegole, i cui segni sono oggi difficilmente leggibili sul territorio. Questa labilità poteva arrivare fino a un punto zero, come nel caso dci lavori d'intaglio, normalmente eseguiti dai pastori nei pori dcl processo lavorativo pastorale. Si trattava dunque di lavorazioni generalmente stagionali, condizionate nel loro insediamento dalla contiguità con le risorse naturali da sfruttare (fabbricazione dei làdiri;· mattoni crudi, tèullas, tegole, sfruttamento delle cave, carbonaie, segherie) o con le fonti di energia, come nel caso delle diverse lavorazioni con sfrut· tamento di un mezzo elementare naturale come l'acqua. . Qualcuno di questi lavori poteva anche presentarsi come segmento della combinazione di più processi lavorativi, come nel caso dell'identità tra le figure artigianali del carbonaio e del fabbro. I luoghi all'interno dell'abitato erano prevalentemente stabili, identificabili con l'esercizio di un'attività autonoma e continuativa, caratterizzati, anche se spesso non separati fisicamente dall'abitazione dell'operatore, o del tutto coincidenti con uno spazio abitativo, che acquistava una polifunzionalità ospitando delle attività manifatturiere normalmente stagionali, integrative rispetto al prevalente lavoro contadino o pastorale. Ma nell'abitato comparivano anche sedi temporanee, prive di segni architettonici, luoghi o porziorù di spazio pubblico che in determinati periodi o scadenze vedevano allocarsi attività artigiane ambulanti (stagnai, ramai, materassai e cardatori, tutti mestieri itineranti). In una situazione di molteplicità originaria, nella quale cioè era rara una piena autonomia professionale e in cui invece prevalevano le combi1111Zioni produttive, il produrre ar- QセU@ tigianale con la sua capacità adattativa invadeva gli spazi, ne fissava stabilmente la funzione o li piegava a una funzione produttiva periodicamente sulla base di cicli sragionali o di scadenze comunque variamente ad essi connesse. Cosl i mestieri itineranti sfruttavano la funzione di socializzazione della piazza o della fonte a fini produttivi (e questi spazi nelle scadenze fisse delle fiere e dei mercati diventavano anche sede privilegiata dello scambio e della circolazione di prodotti artigianali). La collocazione spaziale. Le botteghe e gli altri spazi del produrre artigiano si inseriscono dunque in una dimensione globale dell'abitato, vi stazionano a più livelli di integrazione, da quello produttivo a quello della socialità. La loro collocazione nello spazio abitato, se da una parte non può completamente rifuggire da condizionamenti tecnici, dipende anche e spesso in modo prevalente da altre variabili che rimandano alla sfera della socialità e delle strategie di vita. La bottega si inseriva in un reticolato di relazioni interindividuali e trovava in questo la forza di esistere ed eventualmente espandersi; le· resistenze spesso opposte attualmente dai piccoli artigiani a trasferirsi nelle moderne aree di servizi dipendono anchè dalla difficoltà di accettare il passaggio dalla logica di una dimensione globale a quella della frantumazione provocata dalla divisione per destinazione differenziata delle funzioni socio-produttive. Il modello di insediamento artigiano tradizionale è rimasto fino a oggi in gran parte ancorato a quella configurazione spaziale che era teatro e veicolo insieme dei ràpporti sociali e dei rapporti di scambio, antitetica rispetto al modello della· concentrazione insediativa monofunzionale e della impersonalità e occasionalità del mercato di riferimento. La logica tendenziale di Insediamento delle botteghe spingeva così le botteghe dei principali mestieri (ferreri o /railanu, /usteri o mastru de linna, carreri o mastru 'e karru) a disporsi lungo le linee portanti della trama viaria dell'abitato, preferibilmente nella piazza centrale o vicino ad essa, sfruttando e ridisegnando spazi di più facile accesso per il carriaggio e modellandosi sui luoghi di transito dei contadini. Le botteghe dei mestieri minori, le cui condizioni di esercizio del processo lavorativo richiedevano spazi più limitati, meno specializzati, e attrezzature tecniche ristrette per gamme e dimensioni, seguivano più rigidamente l'abitazione. Altre variabili, come la compiuta saturazione dell'area centrale o una limitata disponibilità economica, potevano cor- 109. Putkolan:. li telaio p<:r b ferratura dci buoi da lavoro HョZセ po /e"ai) è collocato nd ponico dingresso cope no che funge 」セG^ゥ@ Z N Mィ ュ、@ da estensione dello spazio lavorati,·o dd laboratorio (Armungia . wl iari. Foto: A. Melis) . - 110. li ..disordine organi1-.iato• tipico d1 ogn i spazio arugianalc in1cmo d1 bo11q:a di. fabbro (Scrramanno · Cagl1311 1,,10· F. Tiragallo t. 11 l. !memo di bouega di fabbro in disuso. Lo Sp3iio lavorativo è costruito intorno alla rclaiione forte dal pumo di vista tecnico tra forgia cd incudine (Collinas · C1gliori. Foto: F. Tiragallo). 148 reggere e spezzare quest;1 tendenziale uniformità di aspirazione ad una collocazione privilegiata rispeuo all'inrensità e qualità della circolazione e frequentazione sociale. Relazione abitazione/bottega: l'integrazione spazio-temporale. Il rapporto spaziale abitazione/bouega consentiva una peculiare organizzazione del tempo lavorativo e della sua relazione con il tempo cli non lavoro: era un adattamento e al tempo stesso un rafforzativo dell'irregolarità della giornata artigiana. La vicinanza, contiguità o coincidenza tra abitazione e bottega era la soluzione generalmenre praticata fino a tempi recenti e in buona misura anche oggi; per motivi ec:Onomici nel caso di coincidenza, perché permeueva di economizzare l'affìuo soprattuuo nelle tappe iniziali della vita professionale, per motivi organizzativi in tut1i i casi perché consentiva di i:derire ai ritmi irregolari, giornalieri o stagionali, del lavoro e di accrescere l'unità operativa nei momenti nevralgici del processo lavorativo con l'integrazione tempo· ranea dei familiari (i 6gli maschi, ma in più casi anche la moglie) e di avere continuamente disponibile l'apprendista anche nelle ore notturne (come nel caso dei fabbri), laddove ー」イセ。ョ・カ@ un regime di apprendistato panialmenrc o totalmente convittuale. Questa stretta relazione con gli spazi e i ritmi deUa vita familiare creava dunque una integrazione spazio-temporale originale che contribuiva a creare una · identità sociale dell'artigiano differenziata rispetto セ@ quella degli altri strati produttivi tradizionali: questa vicinanza e la presenza costante all'interno dell'abitato davano una configurazione particolare alle relazioni familiari e consentivano un inserimento più immediato e continuo nella vita ·politica e amministrativa dcl paese. Tipologie costruttive. Le variabili che determinavano le differenti configurazioni delle botteghe erano fondamentalmente la tipologia abitativa locale, i contenuti tecnici dcl mestiere con le relative costrizioni spaziali, il livello di specializzazione areale, la fase di evoluzione del mestiere, le differenze individuali cli sviluppo tecno-economico. Le soluzioni possibili erano molteplici. L'edificio poteva nascere come immediatamente progettato per la sua funzione produttiva o per converso era la funzione produttiva a impadronirsi della precedente funzione abitativa. In realtà normalmente la prima possibilità può considerarsi variante della seconda, perché anche lo spazio pensato come sede della bottega cm costruito SorJegr..J o come annesso strumentale (casa a corte dcl Sud) o come stanza d'abitazione, potenzialmente sempre in grado di riassumere, con l'evoluzione della carriera professionale e delle esigenze familiari, la sua funzione di spazio domestico. Nella casa a corte il grande portico d'ingresso, coperto da un soffitto di pietra o incannucciato, poteva assumere in sé la duplice funzione di accesso all'abitazione privata e insieme quella produttiva (in genere si trattava di una bottega di bottaio o di un mastro carraio o dell'estensione dello spazio di lavoro di un fabbro). Spesso per questi mestieri stabili si trattava cli una vecchia casa di contadino povero, mono o biccllulare, con cui si realizzava una separazione fisica rispetto all'abitazione, normalmente però situata nello stesso vicinato. Nelle case a corte del Sud la bottega dcl fabbro si presenta spesso come occupazione di un locale strumentale, aperto da una parte sulla strada con una piccola porta e dall'altra sulla coree, che fungeva come prolungamento dello spazio interno; nel Gerrei fino ai paesi delle aree collinari degradanti verso la pianura, come Collinas ad esempio, si presentava spesso con l'occupazione dcl piano terra, portico compreso, dcl tipo di edificio a palathu, che nei loc'lli superiori ospicava l'abitazione della famiglia e conservava la corte con ridotti locali strumentali ed eventualmente altri locali d'abitazione nella parte opposca della corte stessa . In tutti i casi le botteghe dci mestieri principali avevano come costante funzionale l'accesso sulla strada e, nel caso del fabbro e del mastro carraio, uno spazio sufficiente per il c:irriaggio, :inche con la cessione di una piccola porzione di privato al pubblico. · Si tratta dunque cli soluzioni variabili: la bottega potent invadere completamente lo spazio già abitativo, riplasmandolo secondo le esigenze del processo lavorativo, magari con lo sfondamento della parete divisoria tra due locali, nel caso cli abitazione bicellulare. La relazione abitazione/bottega vedeva a sua ,·olta un arco cli possibilità da un m:issimo di coincidenza e minimo di spazio necessario (il ciabauino, ad esempio) attraverso dei gradi intermedi fino a un massimo di separazione fisica tra i due e massimo di dilatazione dello spazio lavorativo. La coincidenza tra abitazione e bottega poteva coniugare una doppia esigenza di comunicazione: prestigio professionale e posizione sociale della famiglia. l?: ciò che avveniva in alcuni paesi del Campidano (Sardara, Serrenti), dove compaiono insegne di mestiere scolpite nella pietra dell'architravè sull'ampio portale di accèsso alla corte divisa tra funzioni domestiche e agricole 112. Panicolarc. La forgia in muratura con la cappa, non sempre presente nei l:iboratori tradizionali (foto: F. Tu:agallo). 113. P:micolarc. L'imponente mantice a doppia carnera in cuoio e legno, fissato in posizione angolare ai muri perimetrali con una impalcarura di legno (foto: F. Tiragallo). 114-118. Le insegne professionali, tipiche dci paesi di Sankra e Scm:nii (Cagliari), scolpite dagli scalpellini loca li, segnano la volomà di autorapprcsema2ionc sociale positiva dcl committente e di chi le ha clabomc. più che dj romunicaz ione produttiva, in sé superflua in un insieme abimivo coerente dove tuuo è noto (foro: r. Tiragallo). 152 e funzioni produttive artigiane. Si tralla di presenze non di ffuse altrove, ma che è interessante rilevare, per il modo in cui due dimensioni dell'essere nel paese vengono fuse su l piano della produzione di simboli e valori sociali. Il portale della casa a corte è uno degli elementi architettonici su cui si proietta l'immagine sociale della famiglia; l'architrave scolpita è un rafforzativo. L'architrave con le insegne di mestiere (incudine e martello pei: il fabbro, ruota e compasso per mastro carraio) sancisce una saldatura, una tra· scorrcnza di significati tra la dimensione professionale e quella della posizione della famiglia nella dimensione colle11iva. L'uso di questi motivi decorativi rappresenta dunque per questi ar tigiani l'adozione di un codice di comunicazione sociale più complesso, in cui la funzionalità (l'indicare la presenza dcl mestiere) è dcl tuuo sussidiaria rispetto alla ricerca di un'auto· rappresentazione positiva. Va anche notato che queste insegne chiamano in causa anche la figura artigiana che le ha prodotte: lo scalpellino, per il quale rappresentano la ricerca di un codice di lavoro più elaborato. L'insegna cosl, in un insieme abitativo coerente dove tutto è noto, diventa ambivalente, ma non ambigua: veicola insieme l'autorappresentazione e la valorizzazione di chi ha compiuto il lavoro e di chi lo ha commissionato. Il laboratorio artigiano si definisce e si riconosce all'interno dell'abitato non solo come spazio ordinato di oggetti, ma anche come spazio dove luci, suoni, odori, temperatura, aria si combinano per ogni mestiere in modo peculiare e inconfondibile, come entità che va a comporre l'unive rso dcl villaggio. Ogni bottega combina diversamente ques ti elementi e dc- posi ra la sua o riginale combinnione nel patrimonio uditivo, visivo, olfattivo degli abitanri dcl paese; i suoni dci mcst1cn dcl falegname o dd fabbro diventa no anche indicatori temporali all 'intcrno dei ritmi generali della vita di villaggio. Le percussioni ri rmiche a :'o rza umana dell'ascia, del martello, delle pialle, delle seghe, delle mazze che erano anche oggetto di apprezzamento es:e:ico, uditivo e visivo (si pensi alla ritmicità della martellatu:3 alternata in coppia s ull'incudine, detto arrippikkello, nelG bottega dcl fabbro) hanno oggi definitivamente abbandonato セ ・@ botteghe con l'introduzione deUc macchine utensili, che 1-..Jnno assorbito abilità e movimenti prima incorporati negli c rganismi sensori e motori dell'artigiano, provocandone la m!.; tazio!'le antropologica e trasforil \'<Xchio spazio di lavoro, sia sul mando al tempo ュセウッ@ piano architcltonico che dc:l!J disposizione funzionale. Le bo11eghe cr:rno non ウcャセッ@ luogo di pratiche produttive, ma anche di produzione di simboli e valori sociali . Luoghi di gravitazione tecnica, le boa.:ghe e rano anche luog•• i di gravitazione sociale, s,·incoli seco::<lari dellJ! comunicazione interindi,•iduale, che CClnrribuivano alla coesione della colletti,·ità all'interno di una comples.sit:ì funziona le sostanzialmente modellara sull'attività agricola e pastorale. Questa funzione di socializzazione secondaria era consentita sia daUa loro integrazione nello spazio fisico e so.:::alc del! 'abitato, sia dalle condizioni tecniche del lavoro :i:dgianale: i pori della giornata artigiana, l'auto matis mo del gesto, la possibilità tecnica di interruzione della catena oper2tiva e finanche tra atomi tecruc1, a seconda della qualità della ::'lateria prima oggetto del processo lavorativo. Giovanni Dore L' artigianato. Tradizione e innovazione lii I '/,/1/11/11 ,, • . .,,,,,.,,11,,11 .. """ 1t11'111111t•lltllllt' オイヲQウセ@ .• ''"•,, /1.•:: '"f '"'" 11d/'1111c•r/111r: ,,,,,,,.,.,,,..,,, I''" L'ARTIGIANATO. TRADIZIONE E INNOVAZIONE .I' \11, .• セ」NG@ . 'Ì"cl(,·. m.:··· '""""''· 11d 111111; 11 f 11::. • cult1ual1 .,::.1 mm fn ..,· ti, /fil 'f.""' :.111111• o: . . ᄋセ@ :,, Cir11111i /)ore Jll La produ.'.ionc, lt> scnmbio e il consumo dci prodotti m-tigianali hanno storicamente contribuito a disegnare quel reticolo di relazioni che formano l'unità e l'identità isolana. L'artigianato nelle sue diverse dimensioni è parte, dunque, di quella «geografia della produ;r.ione e degli scambi», per dirl.:i nrn lhaude l, che ,11 tempo stesso h.:i st.:ibilito comunanze di tr,Hti cullurn li e differenziato delle micro aree, con vari livelli di intcgr.11r.ionc territoriale, con proiezioni cu ltu rali mutevoli nel tempo. Potrebbe essere questo, dcl ruolo tlssunto nella formazione delle identità areali e sub-etniche, uno dci possibili percorsi per descrivere e interpretare, ricucendo dati e storie parziali, l'artigianato del territorio oggi definito amministrativamente dalla provincia di Oristano. Proprio la circolazione dei prodotti ma anche degli operatori artigiani, ben più disponibili dei contadin i a spostarsi per lavorare e vivere altrove, è s tata uno dci potenti fallori di forma zione di una idcnt it;ì arcale cultura le più larga, di creazione e diffusione di rappresentazioni incrociate Ira paese e paese. Basti pensare, nella società rurale tradizionale, all'itinerare dei gualchierai di Santu Lussurgiu, ma anche dei mercanti degli agrumi di Milis e in senso inverso, veicolati dai pastori o dai mercanti, di manufatti come i pannelli intagliati per le 11wstras delle cassapanche o le stoviglie di legno. Percorsi di prodotti e di uomini, ma anche di tecniche, di modelli, di gusti estetici, di varietà linguistiche, d i rappresentazioni collettive. Un altro possibile punto di vista rimanda all'analisi dcl mutamento dei processi lavorativi tradizionali e delle sue relazioni con la dinamica dei rapporti sociali e della me11tnlità. Non sarebbe, infatti, né sufficiente né corretta una rappresentazione statica d e lle tipologie, delle morfologie, delle figurazioni dei prodotti, che escludesse cioè la dimensione dei processi lavorativi specifici con i cambiamenti nel sapere tradizionale, nelle tecniche del corpo, nei rapporti di produzione, nel legame tra organizzazione familiare e produzione. Tenterò per quanto possibile di integrare in un quadro sintetico, e operando obbligatoriamente delle scelte, entrambi i livelli di analisi. Le tradizioni artigianal i. I gremì di Oristano Come le altre città sa rde Oristano ha secolari tradizioni artigianali. G li artigiani vi erano orga nizzati in Cremi con i loro statuti. Alcuni di essi ci sono rimasti in almeno una delle loro versioni: dci ferrari (13/8/1524), dei muratori (16112116'15), dei sarti (3/6/1608) dei figoli (6/511692), dei falegnami (81111693), degli srnrpari (18/5/'1721). f 1 ( .j I l/11 ccrmmsln lnt'<lrn 1111n /uoccn !-11111/111/n nrl GBセ@ 11l11r11m· 1u·c11111<'111(· 1ft•fcuntn :011 motlt'llc> rlc:slr 1111t1d11 f1sc,l1 71 42 . Il · - > .-lrllrico. QイL^、ッエセᄋ@ In pt11H., • .•ta m Stirtlcs,"'; m·I 19-l'l ,·. 1·,·,c:.! · 1mtl12wn11lt· 't•111c1" /,·,·· .• NjョセQイッ@O : •;.:::1011a/,,,e11te QNセ」ji\B@ · q11rfftl .i;.' : .-rnmistn è o,;-:: n11cl1<" nllit•1t.l 'i-: ·11111ilc. " °'''<lnllt'SI •2 ·l.l l'n1fl11:,1nu1· 1tl /1111l1· ,1, '"' 72 /11J•1•l1l/1llftt IH1/11 •11J1111l1· 111t1'Wlllll 1l " ""'"''''' ,/,·111111111 1r lllltll'<.' QゥエG セ ヲャゥ z wャ@ I · ,11/1s1111111 1/'11s.1 エ 、 ャヲ ""I'''"'/,· セ ャエG@ 1/nf lllt'l t'lllO La loro presenza indicava un certo livello di differenziazione specialistica e complessità, che esercitava i suoi effetti sulle aree rurali circostanti, nelle quali pure operavano in concorrenza i maestri cagliaritani . Come nelle altre città, le regole gremiali imponevano un rigido controllo sulla concorrenza di mestiere, sulle modalità di esercizio e i tempi dell'apprendistato, sulle tecniche di esecuzione, sui modelli, sull'approvvigionamento e la qualità della materia prima, sul!'etica del lavoro. Istituivano delle rigide linee di demarcazione tra i mestieri, anche se operanti sulla stessa materia prima, affrontando istituzionalmente i conflitti e le sovrapposizioni che la realtà sociale e il mutamento tecnico riproducevano continuamente. L'organizzazione gremiate resistette nel tempo, come altrove in Sardegna, oltre gli interventi legislativi piemontesi, tesi a liberare le potenzialità di sviluppo tecnico dalle rigidità del controllo corporativo e a imporre un regime d i libera concorrenza. Gli statuti oristanesi continuarono non solo ad as4) / ,. | ⦅NL セN M セ@ャ -t. ·.• . / ' ... ;\ セ@ ' \ '· ·- ,;-_,;c.. / -··-··- solvere a funzioni religiose ed 。ウゥ セ A ・ ョコゥ。ャL@ ma anche a regolare parti essenziali tecno-produt:l\'e dei mestieri per gran parte del secolo scorso, anche dopo la legge abrogativa dcl 1864. Il gremio che organizza\·a l'attività d ei figoli, la più originale e prestigiosa attività manufattunera attribuita ad Oristano nella divisione territoriale del la,·oro isolana, può serv ire da esempio. La protezione corporati\·a fissava d ei confini tec nici tra gli alforeros, fabbricanti di brocche, e i -':go/i, fabbricanti di mattonelle e di tubi di terracotta. Come gli appartenenti agli altri mestieri, essi avevano una residenzialità specia lizzata all'interno della città e si caratterizzavano per segni distintivi socialmente codificati come la foggia del vestire: «i fi guli o vasai distinguonsi per un corpetto aperto a triangolo sul petto e adattansi u na cintola di .::uojo lustrato e r icamato». Ancora negli anni '60 i laboratori dei vasai erano in parte situati nella via Figoli e in parte nel quartiere suburbano di S. Efisio, anche se ormai si afferma,·a il cambiamento nella relazione spaziale tra laboratorio e casa d'abitazione e una collocazione topografica casuale. Nel secolo scorso l'apprendista doveva lavorare presso un maestro per un prescritto periodo di tempo, con l'obbligo di presentare poi alla commissione degli esaminatori (veedors) e all'intera maestranza, sotto la protezione di un padrino, come capi d'opera, una brocca o brocchetta guarnita, mezza dozzina di vasi guarniti, mezza dozzina d i pilette lunghe per l'acqua e mezza dozzina di secchietti (càrcidas). Anche l'approvvigionamento della materia prima era sottoposto a uno stretto controllo: l'estrazione dell'argilla non poteva ay·venire vicino alla fossa (tana) di u n altro. I maestri dovevano pagare un contributo annuale sui diritti dell'orto e dal 1853 anche una tassa annuale al Dazio di consumo del Comune. Solo più tardi, poggiando sulla tradizione solidaristica del Gremio ormai ristretto a funzioni associative e religiose, i figoli si riunirono in cooperativa per accedere alle terre argillose, di cui non avevano la proprietà. L'assetto corporativo limitava la concorrenza interna e quella proveniente dall'esterno: non si poteva sottrarre la clientela ad un altro maestro, né d i norma, tranne casi regolamentati, potevano esercitare stranieri che non avessero sostenuto l'esame. Altrettanto rigido, attraverso la prescrizione di capi d'opera, era il controllo sulle tipologie, sulle caratteristiche morfologi. che ed estetiche dei prodotti, nonché sulle tecniche di esecuzione. Una rigidità tuttavia che non deve far pensMe a una impermeabilità nei confronti degli influ ssi tecnoculturali provenienti, direttamente o con la mediazione di altre aree isolane, dal continente. 44. Il motwo dccorntiuo dcl sc1vizio i11 ceramica s111a/111t11 111ti11gc 11 1111 pntri111n11io figurativo co11diuiso ca11 gli altri settori artistici trad1zio1111/1. 44 Certamente la rigidità dei modelli, imposta nei capi d'opera, facilitava una certa fissità del gusto nella committenza, anche se l'influenza è poi nei fatti bidirezionale. Il gusto e la predilezione per certi prodotti dipendono sia dalla duttilità e disponibilità al mutamento dei produttori, sia da variabili come il livello del reddito e la collocazione sociale dei clienti. A metà del secolo scorso l' Angius intravedeva la vulnerabilità di questo settore nella diffusione delle terraglie provenienti dal continenti.: non solo nell' e/ite cittadina, ma anche tra le classi medie: «I vasai (co11giolarjos) d'Oristano in paragone degli altri della stessa arte in Sardegna sono di molto su pcriori, e fan no l<i Ivoi la per d imostr<1;1,ione della loro perizia tali opere, che attraggono l'attenzione; non pertanto non si può dire che essi sappiano preparar bene la materi.i, e la snppiano ben maneggiare per farne quello che loro si domandi. Vedasi quanti articoli di quest'arte 73 (e qui non riguardo solo i lavori fini) si domandino all'estero, e quanto debbano spendere non solo le persone di prima classe, ma quelle ancora della media, più prossima al1' infima». Segno questo di una crescente «ruralizzazione .. della produzione locale: «Probabilmente anche le famose brocche di Oristano ad anse plurime e ornate con figurin e a tutto tondo, con cui si dovevano «cimentare» gli aspiranti maestri, erano considerati oggetti «popolari» e di fattura ro7.za a paragone delle lucide maioliche e delle trasparenti porcellane d'importazione». Lo stile etnico della produzione di Oristano si caratterizzava in Sardegna per la ricchezza di decorazioni: «doccioni figurati che ornavano le parti terminali delle gronde delle case baronali o dei maggiorenti, cavallucci decorativi sui tetti e le anfore con figurette di santi, angeli con cartigli, ritmi di rosoni e nel coperchio santini, teste di gallo». O si rifugiava in dettagli come lo smalto, di norma di color giallo verdognolo, in prossimità dell'orlo del collo delle anfore e al suo interno, nei prodotti meno ordinari che costituivano la pietTa di paragone dell'abilità dell'artigiano e della qualità del suo laboratorio. Le contaminazioni culturali, gli scarti dalla tradizione sono ricostruibili parz.ialmente, per indizi: ad esempio nel "1849 Alberto Della Marmora aveva concesso a un vasaio (ko11gi11/argiu) di Oristano Francesco Vidili di produrre oggetti deviando dalla locale tradizione. Malgrado i tentativi di scardinamento delle corporazioni operati dalla Società agraria nel 1833 e anche dopo il 1864, il Gremio conservò per lungo tempo, almeno in parte, le sue prerogative: lo provano la traduzione di alcuni capitoli dello Statuto in italiano e vari documenti come una delibera della Cassa del Gremio del 1886 o ancora una lette ra del Gremio al sindaco del 1906 per la rev is ione dei prezzi e un manifesto pubblico del Comune che in risposta ancoravn le tariffe delle terraglie a quelle stabilite il 4 luglio dcl 1777. Ciò nonostante il mutamen to sociale e tecnico si imponeva: così alla fine dell'800 s i sanciva la scissione tra il settore delle tegole e mattoni che da quel momento imbocca la strada dell'edilizia industriale e quello del vasellame. Con il cambiamento del contesto socio-economico, a partire d'1gli <inni trenta, l'innnv<1ziont' supera k rL·sislL'nl.L' dei vecchi maestri e procede, con esiti non sempre lineari, s u diversi piani: con il tentativo di imnwtl'crsi 1wll.i produzione di vasellame per cot turn, mutuando da Pabillonis accorgimenti tecnici nelle modalità di trattamento della ma teria prim;i e ncll'introdui'.iont• di un.i nuovil grigli,1 (1L'r il forno, co n il passaggio dalln ruot'1 doppi<1 lignea a qucllil mc-cc.inirn di krro n<'gli .rnni '(1Cl 1· c11n 11· progn·-;-;ivl" rid11 - I, l11'•'/••:.:,,·1l1.1nf,1•• 1111r11.,,,,,.,,/,.: 1,•, lh ill hhl l f lt /1 ·./ 1/1 1 flll1 1 1 ,111·.f11t1f'·,4· 1 "'''' lac11111t1 m 111 t1•1111111111 ·fh 0 ft11l11•:11. la sN j セZ」NイQLィ@ ,f.,'''"''' "' '"'l'. . . ,.,.. /1°lllH1l lii 1 1'ltllll1'1I -.11111ft11l11 •1 zioni delle dimensioni del forno, in parte determinate dal distacco dalle tipo logie di vasellame di grandi dimens ioni e dalle costrizioni di una materia prima diventata più scarsa e di peggior qualità, infine con il passaggio a partire dagli anni '60 al laboratorio individuale, che fa perno sul s ingolo artigiano. Gli interventi che agiscono sulla tradizione nel Novecento, nel tentativo di rinnovare forme, motivi decorativi, attraverso una selezione consapevole, devono molto alla svolta degli anni '20 nell'artigianato tradizionale, a livello locale •.1.•,•11·.·1•!1 ·;... ..... .. '"'' ..: , ,111 \'•. , . --: ,;· . ·:· · 1 , 1 ,,, 1 .' ... 48. 11 Oョイセュ@ d"111lrt•ccw, co11 11:. ·:·1 111nlc11n/1 come la rnfin e In pln;:._.:, ,, lttl(t>rn <>,'\gt unn (m1/e ュエ・ァイョ セ@ : 1/c/ b1/n11cio dci gruppi do111cslk: 1rndmo1111/i d1 d1t>crs1 paesi della provi11c111 75 in particolare all'attività della Scuola d'arte decorativa affidata negli stessi anni allo scultore Ciusa Romagna, che ebbe breve durata. Cominciava così l'esteriorizzazione della trasmissione del mestiere rispetto alle modalità secolari di apprendimento per linee interne, nella bottega del maestro. La separazione tra sede dell'apprendimento e della produzione ebbe poi un'accelerazione con la fondazione, sempre ad Oristano, dell'Istituto Statale d'arte nel 1951, dedicato soprattutto alla ceramica, che continua ancor oggi a svolgere un'importante funzione nel tener insieme una tradizione tecno-culturale locale con l'apertura ai nuovi e mutevoli influssi culturali. A partire dagli anni '50 il rapporto tradizione/innovazione venne mediato, nel quadro di un più generale rinnovamento dell'artigianato sardo, dall'intervento di artisti ed architetti e dal supporto istituzionale dell'JSOLA. Questa linea di non facile e spesso irrisolto equilibrio tra tradizione e innovazione, tra difesa di uno stile etnico e contamina:lione culturale e più libera espressività individuale, tra produzione di qualità e di serie, ha da allora caratterizzato il fare e il riflettere sul fare: si prolunga, come accade per gli altri settori dell'artigianato artistico, negli attuali laboratori ceramici di Oristano, tra cui figura una Cooperativa maestri d'arte, e di Cabras. Segno comunque di una tradizione tecnica e di un'attività economica che continua ad assolvere un ruolo importante, com'è dimostrato anche dai volumi quantitativi della produzione attuale. ."- 4' ... Ambiente ecologico e ambiente tecnico . L'intreccio Com'è avvenuto per la ceramica, con la disponibilità di terre argillose, l'ambiente ecologico favorevole, soprattutto con le produzioni spontanee di vegetaz ione palustre, ha consentito la specializzazione, nella divisione territoriale del lavoro, di alcune località dell'Oristanese nell'attività dell'intreccio. Un'industria domestica a partecipazione maschile e femminile, integrativa rispetto alle attività economiche principali, che garantiva un reddito supplementare. Le tecniche d'intreccio piegavano la varietà di materie prime disponibili a diverse funzionalità d'uso nei differenti contesti produttivi. Nd l'arch il<'llu r<l con I<' ç;ipt1nnt' di S. Giov;inn i d i Sin is; ncl1,i peslil ton n.isse e rl'l i, .i intre<.:ti,1lura in d i,1gon,1 lc, come la sciaiga o sciaigottu, una rete a strascico per la cosidetta «pesc<1 vagnntiv<l» degli scia('\oftcris, e con le imbnrcazioni tradizionali di Cabrns, di Sant;i Giusta e di Riola, i fassoi o fasセPQゥL@ di giunco (si1111/w) <' fieno pnlustrc (fru), coesistenti con le barche di legno a fondo piatto (brakkittas de kassn e brakkas 'e kullega). Tutte queste produzioni erano sostenute, stagionalmente, da figure artigianali non autonome . L'area di S. Vero .\1ilis, una delle più importanti, era caratterizzata da «una produzione di cestini e canestri con trama in stecca di canna e con ordito in bacchette flessibili di germogli dì olivastro, di salice, di mirto» e dalln lavorazione della paglia e dcl giunco essicati. Sì possono solo ricordare i cestini con l'occhiello della spirale ricoperto, come a Sinnai, da un dischetto di stoffa a colore vivace e con decorazioni a strisce nere o colorate, i contenitori d'uso quotidiano per il trnsporto degl i agrumi (orrios), l11vora li C<lll l,1 lt•l·11jç,1 ti ,'\l'tlfJcÙll, lt• S[llllÌl' d i f\·fil1 s (' di Zeddian i inlrL'((i,1le (Ul1 i<l c.11111,1 t.1gli.i l.1 u :;pacc,1t.i L' cssicata e di S. Giusta con la bue/a (Typlia a11g11stifolin) e l'aba snlin (ru111cx ャ|」\GヲQセ、ョIN@ La direzione di cambiamento, pur mnntenendo il legame ço11 il pnssalo d;il l.110 dt·lk rc11npn1wn1i npn.1!oril', h.1 .1gi 76 49. Fabbr1cnZ1011t· 1;t•:.,· :-trutl(' n Sm1 Vtro .'.11/is FnSl J1 .ù.\>rt1z1<m1· 111 1111n st1101;1 エNᄋMZセHョO@ cd mtrecc1atn c:tlr: ャQセ^イNhZ !n c"mura taslmtn Q ᄋ@ "' QZNセョャ N@ ,,,,,,,,;·,,,. .,,,,. ,,,,, ...,,, , .• .. 111 ,.,,,, ' ,/,/ fll/11• :·J'IN"l/1,11 lo sia sulla qualità della materia prima (anche a causa del nuovo sistema di mototrebbiatura e del deteriorarsi delle zone paludose), aprendo lo spnzio nlla rafia e alla plastica, con la perdita di qualità tattili e visive, sia selezionando i tipi di prodotti e deprimendo la funzione usuale a vantaggio di quella artistica. Va almeno notato come questa tradizione tecnica, a dimostrazione di una relativa persistenza e comunanza di ambiente tecnico, possn rivitalizzarsi e ricomparire, ma sempre come attività sussidiaria, e in funzione di un nuovo tipo di committenza turistica stagionale, anche in altri paesi dell'area, come recentemente a Donigala, attraverso un processo di diffusione mimetica avvenuto per vie difficilmente ricostruibili. La tessitura I dati contenuti nelle voci del Dizionario storico-geografico curate dall' Angius a metà del secolo scorso segnalano alcune località forti per numero e qualità tecnologica dei telai, per la capacità di manipolare materie prime differenti e di servire un m ercato esterno al paese. Le tecniche di base, con l'uso del telaio orizzontale, sono comuni a quelle riscontrate nel resto dell'isola: le variazioni sono il risultato del rapporto tra costrizioni tecniche specifiche (tipo di telaio, tecnica di lavorazione, materia prima), e il gioco combinatorio, localmente connotato, della simmetria, della ripetizione ritmica e della gamma dei colori prescelta. Nell'ultimo dopoguerra J'artigiarn1to si è decisamente spostato dalla funzionalità usuale a quella prevalentemente artistica; dalle coperte agli arazzi e soprattutto ai tappeti, modificando la composizione formale, i colori, e scontando la perdita di comprensione dei connotati simbolici tradizionali non più interpretabili dai codici culturali così diversi rappresentati in un mercato allargato. La nascita di cooperative, a fianco dei laboratori a conduzione familiare, è stata una risposta all'esigenza di combinare un alto livello tecnico formale con l'adesione a un mercato allargato, alle costrizioni imposte da un alto costo di formazione e di remunerazione di manodopera specializzata in una lavorazione non dominata dalla serialità. L'attività dal 1957 di un centro regionale come i'ISOLA e di artisti da Tavolara fino ai recenti interventi di pittoricome Rosi a Zeddiani ha orientato questa conversione e sostenuto questo svil uppo, m ediando non sempre con successo l'incontro, spesso conflittuale, tra tecniche tradizionali, talvolta ormai scomparse e recuperate a fatica, e un nuovo gusto adeguato alle richieste di un mercato ormai internazionale. I centri di produzione pilota insediati d;ill'ISOL/\ ncll';irca sono Mogoro e Paulilatino, dove sì stabilisce una continuità con tradizioni di specializzazione areale nella divisione del lavoro territoriale isolana e si producono gli esiti più prestigiosi e convincenti. Ma ad essi si affiancano, con storie non lineari ed esiti diversi, Morgong iori, Zeddiani, Santu Lussurgiu e oggi soprattutto Samugheo per il numero dei suoi laboratori e l'intensità di produzione. Samugheo. La strutturazione di una nuova identità Proprio Samugheo rappresenta oggi in modo emblematico gli esiti contraddittori del tentativo di conciliare qualità e quantità, serialità e individualità. Al tempo stesso richiama l'attenzione perché proprio il nuovo spazio occupato da questa realtà artigianale è percepito, sia ali' interno che ali' esterno del paese, come elemento costitutivo, intorno al quale si ristruttura la sua nuova identità. Appartenente a una regione, il Mandrolisai, dalle proiezioni territoria li e cultura li ambigue, come Santu Lussurgìu nel Montiferru, è uno dei paesi a tradizione forti nella tessitura. Nell'area si lavorava l'orbace (tela): esisteva una g ualchiera (krakkéra) per la battitura d el tessuto, operazione che veniva svolta anche ad energia umana (con un'opposizione dunque tra competenza maschile, associata all'energia idraulica, e competenza femminile unita all'energia umana). L' Angìus scriveva che i telai erano almeno 369 su 417 famiglie: «le donne sono laboriosissime e fanno molta opera sul telajo ( ... ) lavorano esse sulla lana e sul lino, ma principa lmente sopra la seconda materia, fabbricando molto al dì là del bisogno domestico, onde fanno un lucro assai notevole vendendo il superfluo ». Aggiungeva che «Le donne dalla loro parte per le tele e per i panni che danno al commercio, possono lucrare Il. 10.000», che, secondo la sua stima, ammontava a circa un decimo del ricavo delle esportazioni di prodotti agricoli e pastorali. Oggi i rapporti qualitativi tra queste attività sono profondamente cambiati: secondo alcune stime recenti il 40% del reddito del paese sarebbe prodotto dall'artigianato tessile, per un valore presunto di 2 miliardi annui, che salirebbe a 10 con l'indotto. Alla base dell'attuale sviluppo vi sono stati in questo dopoguerra degli interventi consapevoli come un corso di addestramento professionale nel 1961 con 15 ragazze, guidate da una maestra locale, l'intervento dell'ISOU\ per 4 anni, 'io 1·1,·s1wt1· ,,, ,.• , , .. ,,, '•'"'" ,,, ,,.,..,,,. /'""'''"'' ''''"' ..,,,,. ,,, Af••s•""· 78 ,,,.,,,,,,,,,'""''X'".,.,..,,, J111d1! mw1/1 t'ouw1 /111it111t1 , · /11 /1 11111·1/d/11 ,•1111 lil <:ollabora;-.ionc di Mtisti come Tavolara. Se nel '68 vi erano 3 ditte artigiane, nel 1980 ve ne erano, iscritte, 26; oggi alla Mostra dell'artigianato del Mandrolisai partecipano una quarantina di aziende con un migliaio di addetti. L'innovazione ha a9ito su diversi piani. In primo luogo ha eliminato prcssoche interamente i processi lavorativi relativi alla coltivazione e preparazione dcl lino, di cui il paese era uno dei principali produttori, sostituendolo in gran parte con il cotone industriale. Dal lato della strumentazione si è innovato il telaio tradizionale Hエ・ャョQセゥオI@ nel materiale usato (i s ubbi di ferro e non in legno, i licci e i pettini importati), o lo si è sostituito con quello più grande a spola volan- te. Sul piano delle tecniche di esecuzione vi è il definitivo abbandono della vecchia tecnica a bnttros impostns, con impostazione a 4 ordini di licci, usata per le bisacce (bertulns) e le coperte (b11 rms), e d i quella a /ittsos, con il privilegiamento sulla tecnica unu in dente, mantenuta su ordinazione, di quella a pibiones tott11 bre1111. Sul piano dell'utilizzo dei mezzi elementari naturali, l'innovazione ha agito passando alle colorazioni con sostanze chimiche sintetiche o alle lane colorate dall'industria. Vecchi prodotti sono stati piegati a nuove funzionalità d'uso: dai copricassa (ko/Jcribnngos) agli arazzi, dalle coperte ai tappeti, altre produzioni sono state introdotte o potenziate come i tendaggi, i to- 51 51. Tnp11eto policromo di Zeddiani. Ln mediazione tra /'ideazione di artisti professionisti e la tradizione tecnica lia 11em1esso il rinnovamento della tessitura dell'area e /'ndeg11amcnto ai nuovi gusti dcl mercato. vagliati, già lavorati a mano e oggi con i telai meccanici, i tessuti per tappezzeria in lino e cotone a pannu brenu e a pei obrake. Certo questo è avvenuto cedendo in gran parte l'ideazione ad architetti e pittori professionisti, anche se ciò non ha impedito l'emergere di notevoli individualità locali, e subendo almeno in parte i mutevoli gusti della nuova committenza urbana. Sul piano socio-economico si è instaurato un nuovo tipo di legame con l'agricoltura: una parte del reddito si è resa disponibile per affontare la meccanizzazione agricola e, fenomeno pressoché unico nell'isola nel settore, si è sviluppata la divisione tecnica e sociale del lavoro con la separazione di una parte importante del processo lavorativo in un orditoio elettrico, con la nascita di artigiani specializzati nella costruzione di telai a spola volante e la comparsa dei salariati. La moltiplicazione per scissione di numerosi laboratori privati ha infatti prodotto una scarsità di manodopera a partire dal '76, attirando salariati dai paesi vicini, fenomeno che, insieme con limportazione di materia prima, specie da Macomer a Nule, ha anche contribuito alla definizione di nuovi rapporti territoriali e di una nuova immagine del paese. Questa espansione mimetica di un'attività che s i estende fino a conquistare un intero paese (lo si è già notato) è un fenomeno usuale nei tempi recenti e sulle sue cause non solo economiche, ma anche culturali, varrebbe la pena di riflettere ulteriormente. Questa espansione e la possibilità di produrre reddito hanno prodotto anche cambiamenti qualitativi s ul piano della divisione sessuale del lavoro, aprendo le catene operative della tessitura anche agli uomini, ai quali tradizionalmente competeva piuttosto la fabbricazione/manutenzione di strumenti di lavoro connessi alle varie fasi del processo lavorativo tessile (dai tellargiu tradizionale intagliato con figurazioni naturalistiche o sociali, cerimonializzate, al fuso e alla rocca, spesso però importati da Tonara e Desulo). Un possibile comune denominatore tra queste vicende e quelle di altri settori dell'artigianato artistico sta nel conflitto, qui più evidente, tra qualità e quantità, nella lacerazione della soggettività dell'artigiano diviso tra i contraddittori richiami della standardizzazione e dell'unicità. Qui ancor più difficile e nmbigun si fa In di(lletticn trn trndi7.ionc e innOV(l7.io11t:. l..i 1t:11sio11t: cui è so lloposl,1 l ' idenlilù dd l '.1rt ig ia110 r isiede proprio nella problematicità, non sempre controllabi le, di questo mutamento che orn riplnsmn, orn scarta il sapere accumulato. Sta nelle scosse, s pesso traumatiche per la vita collettiva così come per le soggettività artigiane, imposte illl'nmbicntc tecnico trndizionn le, alle nbitudini cor- . ;_· セᄋ@ , ....,.:-: .. ·-. ' ·..., . .. ...,.,,,.,.... ..,, poree annidate nei gesti tecnici usuali richiesti da quel «motore umano», pur imperniato su una combinazione di pochi movimenti semplici, che è il telaio per tessere. Così il telaio a spola volante impone nuove costrizioni pos turali (in piedi e non seduti), cambia la cooperazione e con essa il controllo dello spazio vitale di lavoro (si tesse in due per accelerare i tempi di produzione). Sa remittenta (movimento dei fili dell'ordito nei licci) nella lavorazione a littsos, segue il disegno, depositato dalla tradizione nella memoria delle M t igiMlC', nwntn• 1'.1llrn l<'rn ic;1 e• i 11 11t1vi nH'l'Ji .1giscnnn s(ll · traenJu i l disegno eJ esteriori z.1,.indulu nt:i g r,ifici proposti come modelli, contraendo le competenze alla ritmicità muscolare (lltCrn(ltn dcl movimento dci pcdnli e dci licci (pur lasciando il calcolo menta le degli atomi tecnici) e riducendo i tempi di lavoro. Jn ddinitivil In divisione tec nica del l,woro si svilupp,1 in 52. f'n11/1/nt1110. l'articolare dc/In tco11cn di lni'Ornz1011c a pibiones (n srn111) . 81 セ[@ \セB ᄋZャ^ュョイ・@ La tcssitrm1 ;.r ,·: ·:; ...·r/t• tmtn11tl11 d1 "" ョ ャ セエL@ A Zセ ᄋ Zャッ@ /t"( 11tftl エ セB@ ... 11nlc con fto イャゥオセZL⦅ᄋ@ dr uu ""''c:ntc• ,, ....·1ni inlernnzroua.'e..· Snmug/Jeo r.1:•prcsc11ta oggi "' ":,'Ilo cml1/c111alteo セZ@ \Gセ ゥャ@ co11trncld1tr,•-: dl'I tmtntm> d1 セ G」N ᄋ Q Z 」 QャュョZ@ q1111/;là t' .;:•. i 111ttà, St'lmlttù t' 11: .;:1•id11a/ittì. diverse direzioni: può segmentare il processo la\·orativo conferendo a figure diverse, in funzione dell'età e dell' esperienza, determinate operazioni come impostare il telaio o tingere la lana o disegnare; o definir\:? dei processi lavorativi, connessi al tessile, attribuendo la manutenzione degli strumenti a una figura specifica o ancora separando la produzione dalla commercializzazione. Se c'è una storia da scrivere s ulle trasformazioni del lavoro artigianale, non solo tessile, in Sardegna, è proprio sulla nuova disciplina corporea e intellettuale che è stata imposta, attraverso tappe successive, da questi mutame nti . Sulle sensazioni di ritmicità muscolare, sulle percezioni tattili e visive e sulle operazioni mentali da cui dipendono le predilezioni tecniche; sui pensieri, le emozioni e le riflessioni dentro e fuori del tempo di lavoro, ma anche sulle nuove gerarchie professionali, le dinamiche sociali e i conflitti individuali, ma spesso anche parentali e amicali. Santu Lussurgiu. Un'identità in crisi Il caso di Santu Lussurgiu è per a ltri motivi anch'esso em blematico. Una lunga e diversificata realtà artigianale, che è testimoniata già dall' Angius nella prima metà dell'800 (bottame, gualchiere, distillerie, oltre 300 telai), ha contribuito a strutturare l'identità del paese. Una singolare duttilità e ingegnosità fabrile, di cui il cassone di «tipo lussurgese» è il prodotto tecnico cd estetico di maggior prestigio t' riconoscibilità etnica, hanno fatto per lungo tempo di Santu Lussurgiu un centro di gravità tecnica periferico, a cui non sono state estranee mediazioni culturali, aperte alle influenze esterne, sedimentate prima dalla presenza organizzata dei religiosi e poi continuate nelle attività del l iceo linguistico, nell'Istituto tecnico per il Turismo, ne l Centro di cultura e nel Museo della tecnologia contadina. Oggi il calo demografico, un cedimento del tessuto sociale tradizionale, un distacco ideologico tra vecchie e nuove generazioni, un'attrazione di determinate attività produttive verso la Carlo Felice, la contrazione, tranne alcune eccezioni, del settore artigianale, di cui è indice ani:hc la fin e dell'esperienza pluriennale della Mos tra dell ' artigianato lussurgese, sono elementi strutturali di una crisi d'identità che è anche soggettivamente percepita dalla colletti\·ità, sia pure in grad i diversi e con differenti modal ità. Di i:onseguenz,1 il 1«1 11porto ron gli ,1lt ri p.1es i di qul's l,1 111inn-,1rv.1 s i s i.i oggi ridefinendo sia su l piano del le relazioni economiche che delle rappresentazioni co llettive. Se Santu Luss urgiu con tinua a condividere con il proprio passato il carattere di collocazione di confine tra aree culturali, storiche. amministr,1- 'il Afrtwff'IWI i•1d1l1•Jtl \'d -r"llrn1' ,j,·H.1 /i'·...:.··,•.t I tlllldl'll.:111111• 1111 tl,'\1111 .,,,, .,,,/ l'''""''''""''l''•'1l11J11,·.,.,,,, .• ,,,;,,di.•-.... ,,,,.,,,,, ••,,,,.,, 11111111111r.,1· , 0111,· セGB|ャQョ@ e,., 1111com1•r11l1tlt•1111. llf· 01111[1M1111·111t •' IH'c·JI,, di 1lll '-'lllllf ,,.... .;1111k rl1·/ ltu1t11t•. ''l'll'lttfo lt· n1t;•11;· 11111·111lwc· 1ldl111t-ss1turt11111ch1· 11sl1 rwmuu. 111 c1m1/1 ùUll/1t'l1'i\I 1 ,,,,,,,.,,,,,,,,,,,,.,,,,. ,,, /111"•11t1r"t1•111·h11111111k11 ,,.,,, '''":'\'' ,,,,,,,,,.,,,, ,,, '''"''"' ' ' " " " ' " ' ,,11,. ,.,,,,,,,,..,,/,·I 1•11 ...•.••..•1''''''""''"'' '•"·"'''' 82 イLセ@ : .t 1 n/Jt'llt·n11 .! ·· · l1t1d.:.11111 tln1t· 11J!•·•1:: .• •• ,, J"<tclc':t1 11>11 n<L"1.:·' lm't>ralo 11 :-tam:""-> cft-1 t•::'llc> lO.SIOSt •••• • '• "·'' .".: .:••!.1 111 ss ·, I \ \ I \ I 84 tivc, gli stessi cambi ilmminis trntivi in pilrte modificilno queste relazioni e agiscono s ulle direzioni e qualità di rapporto esistenti. Cuglieri, capoluogo della Comunità montana e sede del Collocamento, con il cambio amministrativo si è riavvicinato a Santu Lussurgiu; ili contempo si vive una tensione tra la tradizionale e sperimentata proiezione verso Macomer e que lla verso Oristano capoluogo deila nuova provincia. Fallimenti come quello della cooperativa delle guantaie, travolta dei bassi costi della concorrenza continentale e poi cinese, o il declino della cooperativa d i tessitrici ormai senza ricambio gen erazionale, hanno segnato al passivo della storia locale costi umani, dispersione di abilità professionali non trasferibil i né facilmente convertibili, frammentaz ioni e d iscontinuità nell'ambiente tecnico. Questo ripiegamento su posizioni difensive non ha però impedito il manifestarsi di capacità di adattamento di insiemi tecnici tradizionali. Alcuni elementi della tradizione si prolungano nell'attuale realtà artigianale, trovando degli interstizi in produzioni specializzate, dove il mercato di riferimento è mutato in qualità. Gli elementi metallici delle briglie, morsi per la domatura (morso lussurgese), staffe, speroni (il tipo a rotelle con le punte e il cosiddetto sperone dell'abigeatario leggero e pieghevole), pastoie d'acciaio, oggi si indirizzano, oltre che verso l'allevamento, verso l'equitazione turistica o agonistica (insieme con i vari finimenti di cuoio}; trovano una nicchia accanto a quelli di produzione industriale, come oggetto di lusso più che usuale, i coltelli con i manici di corno di montone, di capro, ecc. (leppns, resolzns), di foggia tradizionale (sa /11ss11lzcsn) o di gusto moderno, mentre permane una limitata produzione di strumenti e oggetti tradizionali come forbici per tosare, roncole, rasoi da barba, grate, spiedi, inferriate. Artigianato usuale e in n ovazioni L'attività artigianale usuale, come nel resto dell'isola, trova nel settore edilizio e nell'arredo la committenza più rilevante e costante: così si spiega come il dinamismo maggiore, con alcune eccezioni, abbia interessato settori manufatturieri come i marmisti, la carpenteria metallica, che lavora l'alluminio anodizzato e il ferro inscatolato, e che produce anche attrezzature per l'agricoltura, i falegnami, dediti alla produzione di infissi e di mobili, solo negli interstizi lasciati dalla industria nazionale mobiliera (con un tentativo isolato di produzione locale di parquet di legno a Ghilarza). La direzione generale dell'innovazione in questi settori consiste in un approfondimento di quella che Leroi-Gourhan ........·.""·....·: .: セ@ . .. :"'· セ@ . ·•i..·;. セ@ :セ M Z@ ..... . . セ@ 51111 111 lQセ[ Qイァ@ La l11110mzio11e tir wrn sella, 1111 prorlollo 1mdiz1011111« 11c1 le nuove! rmmmttenzc dt'll'cq11ilaz1011c 11.rislrcn t•rl ョNセPQウ」@ 56. 85 86 chinma lcl «regressione m.rnualeu. Cambin dunque la qualità della «motilità ragionata» e s i esteriorizza nelle macchine, mentre ve ngono r ichieste nuove compete nze intellettuali, fuori del processo tecnico, come la conoscenza delle nuove regole di organ izzazione produttiva e di commerciali:1.z.1:1.ione. Rasi i pt•ns<Ht' él llél conversiont' ddl.1 Vl'cchia mt'tallurgi.1 verso il !erro i11scnlolalo e soprattutto l'alluminio, che ha inflitto tra l'altro un duro colpo alla falegnameria. Ha giocato a favore della prima la maggiore affinità dell'oggetto di lavoro, 1<1 comunanza d el mezzo naturale elementare, il fuoco, e di uno s trumento come la saldatrice a cannello, già prese nte nella bottega fobbril e. La stessa natura fisico ch imica dcll'éllluminio implicél una maggior faci li tà di lavorazione: non ha le varietà morfologiche e strutturali del ferro e tantomeno del legno, che con la sua particolare agg regazione mokcol,1re, con i s uoi dinnmismi interni, resis tenze e linee di rottura, sollecitava un inte ro differente patrimonio di abilità sensorie e motorie. Così in questo settore la semplificazione del rapporto proge tto/esecuzione, la sollecitazione uniforme e non più multilate rale del rapporto materia/gesto ha agito s ia con il mutamento della stru mentazione, sia dell'oggetto di lavoro, modificando la qualità della manodopera. U n altro asse del mutamento è la trasformazione degli spazi di lavoro e la tendenza alla separazione tra abitazione e laboratorio, con la creazione delle zone artigianali attrezzate e il dilatarsi delle dimensioni. Dal locale in cui lo spazio di lavoro è dimensionato sul dominio o la prevalenza dell'e nergia umana e della mano in motilità diretta si è passati al laboratorio dove trovano spazio i macchinari. Si richiede un nuovo tipo di controllo dello spazio di lavoro, la fissazione di nuove abitudini corporee, che sostituiscono i vecchi automatismi. Anche se le nuove macchine non escludono il sapere implicito percettivo, che solo il ripetuto veder fare e fare direttamente rende possibile. Se la netta rottura operata rispetto ali' architettura tradizionale impedisce a questi settori un legame con la tradizione, alcune produzioni· manufatturiere dell'area, come la lavorazione delle pelli e la coltelleria, mantengono ancora ques to rapporto, pur operando all'interno di un mercato di scambio profondamente cambiato. Nel settore del cuoio, ad esempio, si è verificata una contrazione degli utensili e prodotti d'uso agro-pastorale, a favore di una gamma di oggetti, complementi d'abbigliamento o d'arredo come le borse, i cuscini, le cinture, portamonete, servizi da scrittoio ecc .. Lo spazio occupato dalla conceria di Ghilarza e dai laboratori a conduzione familiare di Santu Lusssurgiu è certamente tributario delle tradizioni locali di lavorazione del cuoio ad imprcssjonc (con gli stampi e le piccole presse di legno). Un altro caso almeno va segnalato, ma come tentativo bloccato dalla dipendenza dal!' esterno: la lavorazione dcl corallo. È difficile comprendere le sorti e le prospetti\·e mancate di qucstn la vorn:1.ionc (non solo t1d Orislann) scn1.<1 riferirsi ,11 monopolio esercitato non solo sulla commercializzazione del prodotto, ma anche sulla la\·orazione, dai commercianti di Torre del Greco, dove la manifattura è compiuta in tanti piccoli laboratori co n forme di sfruttamento e assenza di assicurazioni sociali che, deprimendo il costo della forza la voro, stroncano ogni tentati\·o di concorrenza . L'impos izione di un controllo stretto rende difficile muoversi anche negli interstizi e orienta lo stesso artigiano, malgrado la dotazione di moderni strumenti come il banco di lnvoro robotizzato al raggio laser per la foratura delle perle, verso la vendita di oggetti lavorati altrove e di corallo s pesso non sardo, piuttosto che verso la lavorazione diretta. Impossibile la concorrenza sul piano del prodotto s tandardizzato della lavorazione liscia sono stati fatti tentativi s ul piano del prodotto di qualità, con l'incisione sul corallo di qualità s uperiore, ma la difficoltà di reperire i capitali e soprattutto lo stretto controllo sullo scambio sembrano essere ostacoli insuperabili. Bibliografia AA. VV., Art1gia11ato sardo, Caghan 1957. ACC ARDO F., Casso111 e tec11iclie d111:taglio11ella Irndi:1011e sarda, .. ORADS... n. 12-13, 1984-86, 83-92. ALEXANOER R. - Au:xANDER I., Rc?!az1011e s1dla Miss1011t! 11cgli Stati U11it1, oltobre-novcmbrc 1960, Progetto Sardegna AEP, Servizio Artigianato, Cagliari (ciel.) 1961. CASALIS G.-ANCIUS V., Diz1onanL> geografico storico statistico commerciale degli Stati di S.M. il Re di Sardegna, Estratto delle voci riguardanti la provincia di Oristano, rist anast., 3 voli. 1988. ANNIS M.B., Potters /rom Sardinia, .. Newsletterff, 1-1983, Deparlment of Pottery Technology, Leiden, 13-26. ANNIS M.13., Resist1111ce and c/1a11ge: pollen; 111a11ifacl11re ;,, Snrdù1ia, uWorld Archeologyn, voi. 17, 1985, n . 2, 240-255. ARATA A. - B1AS1 G., Arte sarda, \l ilano, 1935. A1uu F., La tessitura tradizionale a i\ logoro, tesi di laurea, Facoltà di Letlcre e Filosofia, Cagliari, a.a. 1974-75. BADAS R. -FRATIINI P., 50 anni di arte decorativa e art igia11a/,1 111 Italia . l'E· NAPI dal 1925 al 1975, Roma 1976. CORDA M., Arti e mestieri nella Sa•degna spagnola. Cagliari 1987. 57. 51111/11 L11ssurgi11. U11a sala dcl セQウイッ@ della tec110/ogia co11 /atl111a, ns11/tato dc/l'attività di orga11izznzi<111c culturale e di cloc11111c11tazio11< ct11ograficn del locale Cc11/ro di Cultura popolare C ciel 5110 n11imatc>l'C /"ra11ccsco Snlis. • エjセ@ イセ@ . '·· / セ@ . . S9 58. Morsi, staffe e speroni per l'cq111tozionc agonistica e turistica 59. Fase di lauornzio11e di Chi/orzo. 111 11110 co11cerin 60. Il cnsso11c tl1 llpo /11ss11rxi:sc lllsicmc con In fon11n pi1i /1111110 e pi1i 89 bassa rispetto al cassone barbaricino. il particolare tltllo zoccolo tcrmi11nlc oggct1m1/e con fnln11ge stiliwitn e il ritmo degli clemen ti elicoidali, dei moliui fo$1inri e tlei roso11ci11i 11c conlrndd1sli11g11e lo stile cinico. 60 CuRRELI E.-Loooo P .. Ln Tess1/1ira, in AA.VV., /1 laooro dei $.<rdi, Sassari 1983, 117-141. DA RE M.G., I ceramisti di Assemini, in AA.VV., /I lavoro dèi Sardi, op. cit., 176-188. DE DANILOWICZ C., Pi11nt11 topograf1c11 del/ 'arie rustica e del/ GョイセZァゥQOッ@ mrale in s。イ、・LセQ@ in «Lares», XI. 1940, 403-23. Dr Tucc1 R., /..I? corporazioni artigiane della S11rtlegn11, in «Archi\'iO storico sa rdo», voi. XVI. Cagliari 1926, 33-160. DORE G., Falegname e mastro carra1tl, in AA.VV. 11 /aooro d«: Sardi, op. cii., 224-237. DORE G., I illogi della produzione artigiana, in ANCIONI G.-SA:-INA A., (a cura di), L'arc/1ilel/11ra popolare in Ila/in. Sardegna. San 1988. IM F.RONI A., Piccole i11tl11strie sarde, Milano-Roma 1928. ISOLA, Censime11to delle Imprese artigiane, Cagliari 1978. ISOLA, La politica artigiana i11 Sardegna, Milano 1984. lイョッ Q Mgッ オQイョa セ@ A., Il gesto e la parola. La 111cmoria e i ritmi, tLセ イゥョッ@ 1977. Lll'PI S., Statuii delle Corporazioni d'ar/1e111esticri dc/In Sardcg1:a, in «Bullettino bibliografico sardo», voi. IV, fase. 46-47-48 e voi. V, Case. 49-50-51, Cagliari 1906. Loooo P., Bel/1 e difficili, «S.A.T. Sardegna Artigianato e Turismo.., Cagliari 1989, 56-58. Loooo CANEPA F., Statuti inediti di alc1111i Cremi sardi, «Archi,·io Storico Sardo», voi. XXVII 1961, 179-442 MANCA M.F., I pescnlori dello stag110 d1 C11brns. Mezzi, tcc11icht!. orga11iz.znzione della prod11zio11e, tesi di laurea, Facolta d i Lettere e Filosofo, Cagliari, 2 voll., a.a. 1969-70. MANCA Cossu F., Imbarcazioni re/1 e al/rezzi dei pescatori dellC' stagno di Cabras, .. BRADS», lii, 1968-1971. MOSSA V., L'arte ceranuca in Sardegna, ..S'lschiglia.., 1-11, 1957. MOSSA V., L'Arte popolare, in La Sardl'g11a. La rn//11ra popolnrt', /'cco1io111ia, /'a11tono111in, Cagliari 1982, 164·69. Museo della Tecnologia Contadina, Il carro ngricolo /11ss11rgese, ISRE 1987. RAPALLO C., li nc111110, in AA.VV., li lnuoro dci Sardi, op. cii., 142-153. O ttA M., L'i11d11stnn tessile tradizionnle a Sa 11111ghco, tesi di laurea, Facoltà d i Lettere e Filosofia, Cagliari a.a. 1981-82. PAULIS G., Le parole e il lavoro dei pescatori di Cab ras, in AA. V\ '., /1 lnvoro dei Sardi, op. cit., 239-251. SANNA P.T., Pmatori di corallc> nel Go/f,1 d1 Oristano (1962-1932), tesi di laurea, Facoltà di Magistero, Cagliari, il.i\ 1984-85. TAVEIV\ A., L'orcf1ccna l)(IJ'Olan·, in Ln Sn1dcs11a. fnc1dopt•d1a, :• cii. voi. Il, 170-74. T11ocu G .. I pe;.cal<>ri dello stagm> d1 S. Giusta, tesi di !aure,,. Facolt,ì d i Lettere e Filosofia, Cagliari, 2 ,-oll ., a.a. 1970-71. Vmo1s F., I gre1111 d1 Orista110, tesi d i laur<!a, Facoltà di l」エ・ イセ@ e Filoso· fia, Cagliari. a.a. 1959-60