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LA TEOLOGIA IN DIALOGO CON LE CULTURE E LE RELIGIONI

2015, Studia Patavina

In occasione di una allocuzione tenuta ad Ankara dinanzi alle autorità turche il 28 novembre 2014 papa Francesco esortava a prestare ciascuno la propria opera a favore della pace in Medio Oriente, manifestando la convinzione che « per raggiungere una meta tanto alta e urgente, un contributo importante può venire dal dialogo interreligioso e interculturale, così da bandire ogni forma di fondamentalismo e di terrorismo » 1. Notiamo che anche in quella circostanza il pontefice affidava al dialogo interreligioso e interculturale un compito assai arduo ma imprescindibile, contrassegnato altresí da una duplice valenza, ossia la promozione della pace e la rimozione di quanto le è di ostacolo. Una tale fiducia nei confronti della disposizione dialogica interreligiosa e interculturale appare ormai consolidata nel magistero pontificio, valendo peraltro da efficace stimolo e orientamento all'azione dei piú diversi organismi ecclesiali, a loro volta impegnati a indicare le linee direttrici di una cultura del dialogo 2. Anche le istituzioni deputate all'insegnamento e alla ricerca teologica sono invitate a offrire il loro contributo in funzione dialogica. Le Facoltà

StPat 62 (2015) 461-475 LA TEOLOGIA IN DIALOGO CON LE CULTURE E LE RELIGIONI Introduzione In occasione di una allocuzione tenuta ad Ankara dinanzi alle autorità turche il 28 novembre 2014 papa Francesco esortava a prestare ciascuno la propria opera a favore della pace in Medio Oriente, manifestando la convinzione che « per raggiungere una meta tanto alta e urgente, un contributo importante può venire dal dialogo interreligioso e interculturale, così da bandire ogni forma di fondamentalismo e di terrorismo » 1. Notiamo che anche in quella circostanza il pontefice affidava al dialogo interreligioso e interculturale un compito assai arduo ma imprescindibile, contrassegnato altresí da una duplice valenza, ossia la promozione della pace e la rimozione di quanto le è di ostacolo. Una tale fiducia nei confronti della disposizione dialogica interreligiosa e interculturale appare ormai consolidata nel magistero pontificio, valendo peraltro da efficace stimolo e orientamento all’azione dei piú diversi organismi ecclesiali, a loro volta impegnati a indicare le linee direttrici di una cultura del dialogo 2. Anche le istituzioni deputate all’insegnamento e alla ricerca teologica sono invitate a offrire il loro contributo in funzione dialogica. Le Facoltà 1 FRANCESCO, Incontro con le autorità, Ankara, 28 novembre 2014, in Il Regno-Documenti 21 (2014) 666. 2 Sul dialogo interreligioso vedi in particolare i seguenti documenti: L’atteggiamento della chiesa di fronte ai seguaci di altre religioni (1984) del Segretariato per i non cristiani; Dialogo e annuncio (1991) pubblicato congiuntamente dal Pontificio Consiglio per il dialogo interreligioso e la Congregazione per l’Evangelizzazione dei popoli; Il cristianesimo e le religioni (1997) della Commissione teologica internazionale; la dichiarazione Dominus Iesus (2000) della Congregazione per la Dottrina della fede. Utile è anche la raccolta di documenti: PONTIFICIO CONSIGLIO PER IL DIALOGO INTERRELIGIOSO, Il dialogo interreligioso nell’insegnamento ufficiale della chiesa cattolica (1963-2013), a cura di F. Gioia, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 20133. Sul dialogo interculturale vedi il documento Educare al dialogo interculturale nella scuola cattolica. Vivere insieme per una civiltà dell’amore (2013) della Congregazione per l’Educazione cattolica; vedi anche gli Atti della conferenza internazionale promossa dalla Congregazione per l’Educazione cattolica e dall’Associazione cattolica internazionale degli Istituti di scienze dell’educazione (Roma, 27-28 marzo 2008): Educazione interculturale e pluralismo religioso, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 2009. Ricordiamo anche il documento Humanae personae dignitatem (1968) sul dialogo con i non credenti pubblicato dall’allora Segretariato per i non credenti (cf. Enchiridion Vaticanum, 3, Dehoniane, Bologna 198212, 619-657). 462 StPat 62 (2015) 2 di teologia assumono perciò tra i loro compiti specifici tanto la disponibilità a una maggiore apertura verso le culture e religioni, quanto l’approfondimento di una riflessione sui fondamenti, le modalità e i fini di tale intento dialogico. Sin dall’origine del suo mandato la Facoltà teologica del Triveneto ha accolto la sfida interreligiosa e interculturale come una questione urgente a cui prestare adeguata attenzione. Si è trattato da una parte della pratica dell’incontro con l’altro: ricordiamo a questo proposito la permanenza per ragioni di studio e ricerca offerta a studenti e docenti in terre lontane come il Giappone, l’India e il Libano. Ma soprattutto, in corrispondenza alla vocazione specifica della Facoltà, l’impegno si è concentrato sull’indagine, mediante corsi specialistici, convegni, simposi, pubblicazioni e altre attività accademiche, delle modalità attraverso le quali il cristianesimo può contribuire all’incontro di uomini educati nelle piú diverse tradizioni religiose e culturali. Rileviamo inoltre che nel complesso degli Istituti superiori di Scienze religiose afferenti alla Facoltà teologica del Triveneto l’Issr di Padova si caratterizza per una particolare inclinazione all’esplorazione delle prospettive interreligiosa e interculturale, data la sua costitutiva specializzazione in tali settori. Nel presente contributo occasionato dal decennale della Facoltà intendiamo proporre una riflessione centrata sul significato della svolta dialogica operata dalla teologia contemporanea, una svolta che tra le altre conseguenze ha portato a includere nei programmi degli studi teologici anche corsi specifici sul dialogo interreligioso e interculturale. Riteniamo però altrettanto utile mettere in evidenza i limiti di un dialogo che assuma come marcatori primari dei soggetti dialoganti i lineamenti religiosi e culturali, risultato di una rappresentazione essenzialista di tali lineamenti inadatta a riconoscere la ben piú complessa « identità plurale » che connota ogni essere umano. La svolta dialogica della teologia Che il dialogo rappresenti una parte integrante della missione di una Facoltà teologica non potrà certo sorprendere chi sia avvertito delle piú recenti dichiarazioni del magistero. Nel contempo non è però da dimenticare il limitato periodo temporale entro cui si inserisce tale orientamento dialogico, tanto da fare annotare a un teologo come Hans Urs von Balthasar che « se si guarda ai due millenni di teologia cristiana, stupisce che gli sia stato finora riservato cosí poco spazio » 3. È infatti opportuno 3 H.U. VON BALTHASAR, Introduzione al dramma. Teodrammatica, I, Jaca Book, Milano 1978, 35 (cit. in F. SANDRONI, Dialogo, in Firmana 19 [2010] 103). Enrico Riparelli, La teologia in dialogo con le culture e le religioni 463 considerare che solo pochi decenni ci separano dalla stagione in cui il magistero ha assunto il dialogo tra i temi dei suoi pronunciamenti ufficiali, una svolta senza dubbio epocale che ha preso per la prima volta sostanza nella enciclica Ecclesiam suam pubblicata da papa Paolo VI il 6 agosto 1964, non a caso considerata « il vero manifesto del dialogo » 4. Grazie a questa enciclica e all’impulso generato dai contributi del concilio Vaticano II il « colloquium » come categoria e disposizione trovava finalmente spazio nella sfera della discussione teologica e dell’annuncio pastorale. Un tale passaggio cruciale faceva peraltro eco al deciso stimolo in direzione dell’« aggiornamento » avviato dal pontificato di Giovanni XXIII, nel corso del quale una chiesa in movimento aveva abbandonato una posizione arroccata e sospettosa nei confronti del mondo. In accordo con questo sfondo di fiduciosa apertura al mondo si inseriva quindi la prima enciclica esplicitamente dialogica, in cui Paolo VI esprimeva la convinzione che mediante il dialogo la chiesa fosse essa stessa chiamata a divenire « colloquio », costituendo quest’ultimo un « dovere congeniale al patrimonio ricevuto da Cristo » 5. Lungi dal rinvenire alla base del dialogo una mera ragione di convenienza, il pontefice ne riconosceva un esplicito fondamento teologico e assumeva la sua origine trascendente quale archetipo dell’incontro tra chiesa e mondo. In dipendenza dal fondamento teologico del dialogo egli ricavava anche le modalità piú consone a un confronto genuino – chiarezza, mitezza, fiducia, prudenza – riassumibili nel gesto di una carità dialogica. Si tratta certo di un dialogo con il mondo esterno alla chiesa, ma che non può prescindere da un altrettanto urgente dialogo « domestico », caratterizzato, secondo gli auspici di Paolo VI, da una particolare intensità e familiarità. Che la relazione con il mondo non sia però esente da risvolti drammatici lo precisava il pontefice allorché avvertiva che « questo immanente contatto della chiesa con la società temporale genera per essa una continua situazione problematica, oggi laboriosissima » 6. L’esortazione dialogica non si riferiva dunque affatto a un generico slancio empatico, essendo piuttosto animata da un ben piú impegnativo e laborioso « colloquium salutis » che si apriva, seguendo il tracciato di tre cerchi concentrici, innanzitutto all’intera umanità, quindi ai credenti in Dio e infine ai cristiani separati. Poiché il primo referente del dialogo corrispondeva al cerchio piú ampio che abbracciava il mondo 4 P. CODA, Il dialogo con l’altro. La novità conciliare, in Vita monastica 65 (2011) 45. PAOLO VI, Ecclesiam suam, in Enchiridion Vaticanum, 2, Dehoniane, Bologna 198112, 191. 6 Ibid., 181. 5 464 StPat 62 (2015) 2 intero, quest’ultimo risultava « approssimato » alla chiesa 7. Notiamo inoltre che un tale « colloquium » con il mondo, i credenti e i cristiani separati era in realtà inteso da papa Paolo VI come il terzo atteggiamento della chiesa, coordinato intimamente « in rigorosa successione logica » 8 con un esercizio di autocoscienza ecclesiale e un impulso di rinnovamento dei propri membri. Un dialogo, quindi, che non solo non può trovarsi isolato rispetto ad altre iniziative complementari, ma che neppure può essere confuso con un cammino privo di finalità veritative 9. I padri raccolti in Concilio saranno a loro volta chiamati ad approfondire questa spinta germinale della Ecclesiam suam in alcuni documenti esplicitamente marcati dalla relazione dialogica (la costituzione Gaudium et spes 10, la dichiarazione Nostra aetate e il decreto Unitatis redintegratio), ma anche in passaggi importanti della costituzione Lumen gentium, di decreti come Ad gentes e Apostolicam actuositatem e della dichiarazione Dignitatis humanae 11. Non è peraltro da trascurare il fatto che il Concilio si sia soffermato piú diffusamente sul dialogo con il mondo che con le altre religioni 12, collocando la relazione dialogica con queste ultime sullo sfondo di un orizzonte ben piú esteso. Reputiamo inoltre tutt’altro che irrilevante annotare che, cosí come per l’Ecclesiam suam, anche per i padri conciliari non si trattava affatto di promuovere un semplice atteggiamento di apertura, una entusiastica empatia in rapporto all’altro, necessitando anche la disposizione dialogica 7 Cf. G. COLOMBO, Genesi, storia e significato dell’enciclica « Ecclesiam suam », in « Ecclesiam Suam ». Première Lettre Encyclique de Paul VI. Colloque International (Rome, 24-26 octobre 1980), Istituto Paolo VI-Studium, Brescia-Roma 1982, 145. 8 Ibid., 135. 9 La teologa Ann Michele Nolan nota che nell’enciclica Ecclesiam suam si opera una originale composizione delle declinazioni platonica e buberiana di dialogo. « The unexpressed paradox is that the Buberian encounter is open-ended, whereas the platonic dialogue has an end-point called truth that is able to be reached. Yet truth is already something that the Church possesses: its dialogue “takes authority”, as we read in Ecclesiam suam, from the truth that it affirms. This is the confused legacy of “dialogue” that reached the Council Fathers »: A.M. NOLAN, A Privileged Moment: Dialogue in the Language of the Second Vatican Council 1962-1965, Peter Lang, Bern 2006, 175. 10 È ampiamente riconosciuta l’influenza di Ecclesiam suam sulla redazione degli schemi preparatori di questa costituzione (cf. COLOMBO, Genesi, storia e significato, cit., 157-158). 11 Cf. F. IANNONE, Una chiesa per gli altri. Il concilio Vaticano II e le religioni non cristiane, Cittadella, Assisi 2014; NOLAN, A Privileged Moment, cit.; D. RACCA, Il dialogo interreligioso nel concilio Vaticano II: aperture e limiti, in Rassegna di teologia 38 (1997) 637-663. 12 Osserva Giacomo Canobbio che « il termine “dialogo” nei documenti del Vaticano II si trova solo 10 volte (delle 56 ricorrenze complessive) riferito agli appartenenti alle religioni diverse dal cristianesimo ». G. CANOBBIO, Chiesa religioni salvezza. Il Vaticano II e la sua recezione, Brescia, Morcelliana 2007, 54. Enrico Riparelli, La teologia in dialogo con le culture e le religioni 465 di una adeguata preparazione, di una vera e propria educazione al dialogocolloquio 13. Cosí il decreto Ad gentes invita gli « operai evangelici » a conseguire una preparazione scientifica in vista del dialogo con le religioni e le culture non cristiane, e lo stesso documento loda i laici che mediante i loro studi promuovono la conoscenza dei popoli e delle religioni. La dichiarazione Nostra aetate raccomanda un rapporto fraterno tra cristiani ed ebrei, relazione che – si precisa – è rafforzata dalla mutua conoscenza e stima ottenute soprattutto con gli studi biblici e teologici. In Apostolicam actuositatem incontriamo l’esortazione rivolta ai laici affinché si preparino all’apostolato mediante la formazione al dialogo con i credenti e i non credenti, mentre la Gravissimum educationis raccomanda espressamente alle facoltà di scienze sacre di favorire il dialogo con i fratelli separati e i non cristiani. Da quanto appena osservato si ricava che già i documenti conciliari riconoscono espressamente alla disposizione dialogica grande dignità nel contesto di un percorso di studi teologici, dignità non correlata a un mero dato di fatto contingente, ossia al pluralismo religioso e culturale da cui le nostre società sono sempre piú contrassegnate, ma che rinvia ben prima e ben piú allo stesso dialogo che Dio ha messo in atto nei confronti dell’umanità, evento fondante che stimola e impegna la riflessione degli esperti di scienze teologiche anche in prospettiva interreligiosa e interculturale. Due nuovi « loci theologici »: le religioni e le culture Dall’uso ancora generalizzato della categoria di « dialogo » da parte di Paolo VI e del Vaticano II – dialogo aperto agli « uomini di buona volontà » – nella teologia postconciliare ci si muoverà in direzione di una valenza terminologica piú specifica. Appare infatti significativo che, pur riferendosi alle religioni e culture, né il pontefice né il Concilio avevano trattato approfonditamente delle questioni inerenti al dialogo interreligioso e interculturale, cosicché in quella fase germinale l’orizzonte dialogico figurava per lo piú svincolato da tali qualificazioni regionali. In epoca odierna le religioni e le culture appaiono invece costituire il contesto principale entro il quale la teologia procede nel suo sviluppo, 13 A.M. Nolan nota che nei documenti conciliari il termine « dialogus » viene utilizzato allorché il soggetto corrisponde alla chiesa come istituzione, mentre la parola « colloquium » viene riferita alla relazione interpersonale tra credenti e tra uomini della comunità internazionale (cf. NOLAN, A Privileged Moment, cit., 221-225). 466 StPat 62 (2015) 2 cosí da imporsi alla riflessione quali veri e propri loci theologici esterni 14. Tanto piú che nella enciclica Redemptoris missio papa Giovanni Paolo II ha inteso autorevolmente riconoscere che « la presenza e l’attività dello Spirito non toccano solo gli individui, ma la società e la storia, i popoli, le culture, le religioni » 15. A ragione, dunque, il teologo domenicano Claude Geffré individua nell’attuale contesto multireligioso e multiculturale una funzione profetica dello straniero atta a provocare una migliore intelligenza della propria identità di fede 16, cosicché la comprensione teologica delle religioni e culture comporta una reinterpretazione attualizzante delle stesse verità rivelate. Da ciò si comprende l’effetto stimolante dei suddetti loci nei confronti delle varie discipline teologiche, tanto da far scrivere al teologo Jacques Dupuis che « piú che come un nuovo tema per la riflessione teologica, la teologia delle religioni va vista come un nuovo modo di fare teologia in un contesto interreligioso: un nuovo metodo per fare teologia in una situazione di pluralismo religioso » 17. Se abbiamo già registrato come la svolta dialogica rappresenti una acquisizione contestuale all’evento conciliare, è ora da osservare che la specifica prospettiva disciplinare denominata « teologia delle religioni » è ancora piú recente. Infatti per molto tempo l’indagine teologica si era limitata a confrontarsi con la questione della salus infidelium, affrontando solo in tempi a noi piú prossimi il delicato interrogativo del ruolo salvifico delle religioni, interrogativo che ha comportato travagliate discussioni circa il disegno di una « teologia dialogica interreligiosa » 18 e il riconoscimento di un pluralismo religioso di principio. Non è inoltre marginale l’annota14 Per le religioni come loci theologici esterni cf. M. NARO, Il metodo teologico e la teologia delle religioni, in M. CROCIATA (cur.), Teologia delle religioni. La questione del metodo, Città Nuova, Roma 2006, 18-22. Secondo Francesco Iannone anche l’ingresso al Concilio dell’altro non cattolico e non cristiano può essere inteso come un locus theologicus (cf. IANNONE, Una chiesa per gli altri, cit., 241-242). Osserva a sua volta il teologo Claude Geffré: « Come l’ateismo ha potuto essere l’orizzonte in funzione del quale la teologia della seconda metà del secolo XX reinterpretava le grandi verità della fede cristiana, cosí il pluralismo religioso tende a diventare l’orizzonte della teologia del XXI secolo e ci invita a rivisitare i grandi capitoli di tutta la dogmatica cristiana ». C. GEFFRÉ, Verso una nuova teologia delle religioni, in R. GIBELLINI (cur.), Prospettive teologiche per il XXI secolo, Queriniana, Brescia 20062, 353. 15 GIOVANNI PAOLO II, Redemptoris missio, in Enchiridion Vaticanum, 12, Dehoniane, Bologna 1992, 605. 16 Cf. C. GEFFRÉ, Il mistero del pluralismo religioso nell’unico progetto di Dio. Fondamento biblico e teologico, in CROCIATA, Teologia delle religioni, cit., 232. 17 J. DUPUIS, Verso una teologia cristiana del pluralismo religioso, Queriniana, Brescia 20034, 29-30. 18 ID., Il cristianesimo e le religioni. Dallo scontro all’incontro, Queriniana, Brescia 20022, 35. Enrico Riparelli, La teologia in dialogo con le culture e le religioni 467 zione di Alberto Cozzi allorché rileva a proposito della odierna prossimità tra uomini di diverse fedi che « nessuno dei fattori indicati all’origine di questa situazione (informazioni, migrazioni, globalizzazione tecnologicoindustriale) è religioso e quindi teologico. Ciò significa che la nuova situazione che pone la domanda non è maturata all’interno dello sviluppo delle religioni » 19. L’attenzione da parte della teologia nei confronti di uno spettro plurale di prospettive disciplinari (storia delle religioni, filosofia, sociologia, antropologia culturale, psicologia, pedagogia, diritto, ecc.) è perciò sempre piú richiesta al fine di stabilire un confronto con la complessità dinamica del fenomeno religioso in un tempo di globalizzazione avanzata. Quanto detto a proposito della recente comparsa di una specifica esplorazione consacrata alla teologia delle religioni vale ancor piú per la teologia interculturale, la quale è un orizzonte di ricerca che se affiora nel Concilio attraverso il decreto sulla attività missionaria Ad gentes appare però ancor oggi caratterizzato da lineamenti incerti e da finalità non sempre chiare e coerenti 20. Con l’avvio del processo di regionalizzazione del dialogo – ossia con il passaggio dal dialogo rivolto a un generico « mondo » al dialogo indirizzato in modo specifico alle religioni e culture – si sono quindi aperte nuove prospettive, assieme a nuove domande, divenute oggetto di ampio dibattito nell’ambito della ricerca teologica e perciò non trascurabili in vista della acquisizione di competenze interreligiose e interculturali da parte di quanti afferiscono ai percorsi di studi teologici. Per limitarci a richiamare alcuni dei temi piú significativi oggi in discussione, basti citare la relazione tra identità di fede e approccio dialogico all’altro; l’interrogativo sulle modalità con cui tutti gli uomini sono associati al mistero pasquale e ordinati al popolo di Dio; il dibattito sulla unicità e universalità di Gesú Cristo in ordine alla salvezza dell’umanità; le domande se i valori autentici rinvenibili nelle altre religioni siano già presenti nel cristianesimo e se le religioni rappresentino delle mediazioni di salvezza per i loro seguaci; il significato della pluralità delle religioni e culture nell’unico piano di salvezza di Dio; il problema circa lo statuto, il metodo e le finalità specifiche della teologia delle religioni e della teologia interculturale. 19 A. COZZI, Cristianesimo e religioni nel Biennio pedagogico-didattico, in Il cammino degli Issr: verifiche e prospettive. II Convegno dei presidi delle Facoltà teologiche e dei direttori degli Istituti superiori di Scienze religiose, Roma 9-10 marzo 2010, 3 (www.chiesacattolica.it/ cci_new_v3/allegati/10742/Prof%20Alberto%20Cozzi.pdf). 20 Cf. E. RIPARELLI, Teologia nel pluralismo delle culture, in G. MANZATO-V. BORTOLINE. RIPARELLI, L’altro possibile. Interculturalità e religioni nella società plurale, EMP-FTTR, Padova 2013, 269-278. 468 StPat 62 (2015) 2 Intrecci e confini del dialogo interreligioso e interculturale Dopo avere considerato che a una prima fase di apertura dialogica estesa al mondo è seguita nel dibattito teologico una seconda fase di piú concentrata riflessione sulla relazione tra cristianesimo, religioni e culture, notiamo a questo punto che le prospettive interreligiosa e interculturale (e di conseguenza i corrispondenti quadri disciplinari) hanno però sinora avanzato separatamente lungo il loro cammino, a riprova della limitata attenzione degli specialisti nei riguardi della loro interconnessione 21. Da parte nostra siamo invece convinti che il tema della caratterizzazione specifica di tale rapporto dovrebbe assumere grande rilievo anche in ambito teologico, tanto in fase di ricerca che di insegnamento. Consideriamo ad esempio come nella teoria e pratica della inculturazione non di rado si presupponga che la fede incontri semplicemente una cultura, lasciando di conseguenza al margine l’esperienza religiosa a essa connessa. Mostrandosi particolarmente attento a tale questione l’allora cardinale Joseph Ratzinger poteva concludere: Non dovremmo piú parlare propriamente di inculturazione ma di incontro delle culture o [...] di interculturalità. Infatti inculturazione presuppone che una fede, per cosí dire, culturalmente spoglia si trasponga in una cultura religiosamente indifferente. Processo in cui due soggetti fino a quel momento estranei si incontrano e realizzano una sintesi. Ora, questa rappresentazione è artificiosa e irreale, perché non esiste una fede priva di cultura e, al di fuori della moderna civiltà tecnica, non esiste una cultura priva di religione 22. In effetti nel corso dell’opera di inculturazione spesso accade che la cultura dell’evangelizzatore entri in relazione con un’altra cultura già 21 Il documento della Commissione teologica internazionale Fede e inculturazione (1989) dedica un accenno a questo tema allorché osserva: « Data la posizione rilevante della religione nella cultura, una chiesa locale o particolare impiantata in un ambiente socioculturale non cristiano deve tenere conto molto seriamente degli elementi religiosi di quell’ambiente ». COMMISSIONE TEOLOGICA INTERNAZIONALE, Fede e inculturazione, in ID., Documenti 1969-2004, Edizioni Studio Domenicano, Bologna 2006, 372. La stessa Commissione nello studio Il cristianesimo e le religioni precisa che « l’inculturazione della fede non può prescindere dall’incontro con le religioni che dovrebbe realizzarsi soprattutto attraverso il dialogo interreligioso ». ID., Il cristianesimo e le religioni, in ID., Documenti 1969-2004, cit., 554. E piú avanti rileva che nel corso del dialogo interreligioso « si rende necessario un altro discernimento circa il vocabolario specificamente teologico, nella misura in cui esso è tributario della cultura di ciascun partecipante al dialogo e della sua filosofia implicita. Occorre pertanto prestare attenzione alla peculiarità culturale delle due parti, anche se condividono entrambe la stessa cultura originaria ». Ibid., 592. 22 J. RATZINGER, Fede, verità, tolleranza. Il cristianesimo e le religioni del mondo, Cantagalli, Siena 20052, 66. Enrico Riparelli, La teologia in dialogo con le culture e le religioni 469 animata da una tradizione religiosa, per cui si instaura nel contempo un incontro con una religione non cristiana (dialogo interreligioso). Una eventualità, questa, che appare oggigiorno sempre piú reale anche alla luce della cosiddetta « diaspora planetaria » del cristianesimo, ossia del suo spostamento demografico in direzione di aree extra occidentali 23. Occorre perciò convenire con il teologo indo-spagnolo Raimon Panikkar allorché sottolinea che « ogni dialogo – compreso il dialogo religioso – dipende dalle posizioni culturali degli interlocutori. Trascurare le differenze culturali che danno origine alle differenti credenze religiose porterebbe a inevitabili malintesi » 24. In seguito alla tematizzazione dell’intreccio tra religione e cultura la condivisibile conclusione a cui giunge Panikkar è che l’incontro delle diverse religioni non si riduce a un confronto puramente religioso, poiché è anche « un evento umano che segue lo sviluppo e i movimenti della storia » 25. Se le culture e le religioni sono di fatto strettamente interconnesse, in funzione di un percorso di studi teologici si ricava che « il modo giusto di studiare le religioni implica la conoscenza delle diverse culture, che offre i modelli di intelligibilità (ed empatia) per lo studio di ciascuna particolare religione (o gruppo di religioni) » 26. Si deve allora riconoscere che il dialogo interreligioso non può procedere separato da 23 Cf. PH. JENKINS, La terza chiesa. Il cristianesimo nel XXI secolo, Fazi, Roma 2004; F. MASTROFINI, Geopolitica della chiesa cattolica, Laterza, Roma-Bari 2006; J.L. ALLEN, The Future Church. How Ten Trends are revolutionizing the Catholic Church, Doubleday, New York 2009; PEW FORUM ON RELIGION AND PUBLIC LIFE, La geografia del cristianesimo globale, in Il Regno-Documenti 57 (2012) 308-320; PH. JENKINS, Chiesa globale. La nuova mappa, EMI, Bologna 2014. 24 R. PANIKKAR, Il dialogo intrareligioso, Cittadella, Assisi 20012, 111. Riteniamo utile riportare per intero il seguente brano che bene chiarisce l’« inter-in-dipendenza » tra cultura e religione: « Le leggi che regolano i rapporti tra le culture non sono le stesse che presiedono all’incontro delle religioni. Comunque, è attraverso un incontro di culture a livello storico che è possibile un incontro religioso; e viceversa, questioni di religione hanno una forte influenza sul problema culturale. Ho chiamato inter-in-dipendenza l’interdipendenza e al contempo l’indipendenza tra cultura e religione, perché ogni sfera dell’essere ha la sua ontonomia e ogni relazione è mutua. Queste relazioni potrebbero essere espresse dicendo che ogni religione foggia una cultura, ma anche la cultura offre il suo contesto alla religione. Le due non sono né separabili né identificabili. L’uomo è un essere culturale e anche religioso. Una religione può foggiare, fecondare o influenzare diverse culture e una cultura può accogliere piú di una religione. Inoltre, quasi ogni grande religione pretende di avere un valore transculturale, poiché sostiene che persisterà anche se la cultura che la ospita dovesse essere distrutta. Analogamente, piú culture hanno una certa validità transreligiosa perché non sono necessariamente legate a una particolare religione ». ID., Il Cristo sconosciuto dell’induismo. Verso una cristofania ecumenica, Jaca Book, Milano 20082, 79. 25 ID., Religione e religioni, in Opera Omnia, II, a cura di M. Carrara Pavan, Jaca Book, Milano 2011, 88. 26 Ibid., 321. 470 StPat 62 (2015) 2 un dialogo interculturale (e viceversa), a meno di non immaginare una relazione tra sistemi religiosi e culturali anziché tra uomini incarnati in specifiche religioni e culture. Alla luce di questa caratterizzazione antropologica del dialogo interreligioso crediamo si possano interpretare anche le parole di papa Benedetto XVI allorché precisava che « un dialogo interreligioso nel senso stretto della parola non è possibile, mentre urge tanto piú il dialogo interculturale che approfondisce le conseguenze culturali della decisione religiosa di fondo » 27. Da parte nostra poniamo inoltre la domanda se l’abituale approccio al dialogo interreligioso e interculturale come prospettive parallele non rappresenti forse l’espressione di una inclinazione particolaristica occidentale – di un Occidente segnato storicamente dalla frattura tra religione e cultura – che si maschera però da universalismo conciliatorio. Oggi invece – suggerisce l’orientalista Olivier Roy – « è necessario ripensare il radicamento del religioso nel culturale proprio nel momento in cui la globalizzazione ha indebolito la nozione di culture nazionali o locali, senza proporre tuttavia una vera cultura-mondo. La crisi del religioso è anche una crisi culturale » 28. Posto in rilievo lo stretto legame tra dialogo interreligioso e interculturale, intendiamo a questo punto segnalare anche alcuni confini dell’approccio dialogico, specie allorché esso sia riconducibile a un piano specialistico come quello interreligioso e interculturale. Tali rilievi sono da noi avanzati in funzione critico-costruttiva al fine di evitare le insidie in cui può talvolta incorrere un pur sincero intento dialogico che appaia però incerto nell’orientamento e avulso dallo sfondo concreto a cui intende rivolgersi. Abbiamo d’altra parte già notato che il dialogo stesso è solo una particolare modalità, seppur importante, dell’annuncio cristiano, che non può perciò esaurire lo spettro multiforme delle relazioni tra cristianesimo e mondo. Il dialogo è infatti una delle azioni della chiesa nella sua missio ad gentes 29, cosicché anche il dialogo interreligioso e interculturale rappresentano modalità particolari della piú estesa azione evangelizzatrice. Ma un duplice limite è altresí rinvenibile nella stessa categoria di « dialogo », il quale è un concetto nato in Occidente (limite geografico-culturale) e con una vasta gamma di significati (limite euristico) 30. Il limite conte27 BENEDETTO XVI, Lettera al senatore Marcello Pera, in M. PERA, Perché dobbiamo dirci cristiani. Il liberalismo, l’Europa, l’etica, Mondadori, Milano 2008, 10-11. 28 O. ROY, Verso una nuova sintesi tra religione e cultura, in V. IANARI (cur.), Religioni e violenza, Francesco Mondadori, Milano 2014, 174. 29 Cf. CONGREGAZIONE PER LA DOTTRINA DELLA FEDE, Dominus Iesus, in Enchiridion Vaticanum, 19, Dehoniane, Bologna 2004, 1145, 1196. 30 Cf. I. MORALI, L’io cristiano tra identità e aperture: la questione del dialogo interre- Enrico Riparelli, La teologia in dialogo con le culture e le religioni 471 stuale accompagna allo stesso modo anche le categorie di « religione » e « cultura », entrambe debitrici della loro impronta genetica occidentale tanto da non trovare sempre una terminologia corrispondente in altri universi linguistici. A riguardo dei confini specifici del dialogo interreligioso già autorevoli documenti hanno precisato che esso non può essere assunto quale criterio per determinare la sostanza della propria fede e che la pari dignità nel dialogo si riferisce alle persone, non ai contenuti di fede 31; che sotto la generica espressione di « dialogo interreligioso » sono rinvenibili in verità diverse forme di applicazione dello stesso 32; che anche nel corso di questa azione dialogica è necessario essere avvertiti delle contraddizioni e incompatibilità che possono sussistere tra la rivelazione cristiana e le altre tradizioni religiose 33. A queste avvertenze alleghiamo da parte nostra la considerazione che tale intento dialogico spinge talvolta a interpretare una serie di accadimenti alla luce di un monocorde spettro religioso, lasciando al margine o velando altre componenti di maggior peso nelle reali dinamiche delle congiunture storiche. Come esempio emblematico possiamo richiamare il frequente rimprovero rivolto alle religioni di essere fomentatrici di violenza, da cui si ricava con naturalezza tutta l’urgenza del dialogo interreligioso quale specifico antidoto a tali tensioni. Ma se, come sovente accade, la componente religiosa funziona invece da catalizzatore e copertura in rapporto ad altri fattori maggiormente responsabili del contesto di intolleranza, in tal caso una concentrazione ristretta al dialogo interreligioso rischia di sviare l’attenzione dalle vere cause e quindi di mancare di strumenti idonei al superamento dei conflitti. L’abituale (se non anche abitudinario) rimando alla questione della identità religiosa in caso di tensioni tra gruppi umani dovrebbe perciò essere riorientato su un piú vasto complesso di concause. Queste, invece di trovarsi sintetizzate nell’onnicomprensiva categoria di « identità » – spesso intesa al singolare ligioso in una visione di fede, in G. RIZZI-I. MORALI, Identità cristiana e confronto interreligioso, Edizioni Lussografica, Caltanissetta 2003, 85. Jean Daniélou osservava che la parola « dialogo » è stata interpretata in differenti modi dopo il Concilio e invitava perciò la chiesa a delineare piú precisamente i tratti di questa categoria (cf. J. DANIÉLOU, The Church in Dialogue with the Contemporary World, in Universitas 27 [1985] 251-255). 31 Cf. CONGREGAZIONE PER LA DOTTRINA DELLA FEDE, Dominus Iesus, cit., 1196. 32 Cf. SEGRETARIATO PER I NON CRISTIANI, L’atteggiamento della chiesa di fronte ai seguaci di altre religioni, in PONTIFICIO CONSIGLIO PER IL DIALOGO INTERRELIGIOSO, Il dialogo interreligioso nell’insegnamento ufficiale della chiesa cattolica, cit., 835-842. 33 Cf. PONTIFICIO CONSIGLIO PER IL DIALOGO INTERRELIGIOSO-CONGREGAZIONE PER L’EVANGELIZZAZIONE DEI POPOLI, Dialogo e annuncio, in PONTIFICIO CONSIGLIO PER IL DIALOGO INTERRELIGIOSO, Il dialogo interreligioso nell’insegnamento ufficiale della chiesa cattolica, cit., 954-955. 472 StPat 62 (2015) 2 come struttura monolitica e sostantivata piuttosto che riconosciuta nella sua costitutiva pluralità variabile – o condensate nella sempre disponibile formula di « violenza religiosa », necessitano di essere reperite con pazienza e lucidità nel torbido intreccio ideologico di conflittualità economiche, sociali e di altro genere, conflittualità che spesso amano presentarsi in una veste ideologica elegante e perciò dirigono abilmente l’attenzione su presunti fattori religiosi strumentalizzandone i simboli piú appariscenti. Ricordiamo a questo punto quanto già suggerito a proposito della necessità per la teologia di entrare in relazione costruttiva con altre prospettive disciplinari che le consentano di ampliare il proprio orizzonte di analisi e di giungere cosí a una proposta piú consapevole del complesso mosaico entro il quale si colloca l’odierno fenomeno religioso. Dopo avere indicato alcune delle ragioni che spingono a evitare una sorta di ipostatizzazione del dialogo interreligioso, intendiamo ora soffermarci sui confini della indagine interculturale, anche questi da riconoscere in funzione critico-costruttiva in vista di un percorso dialogico responsabile. Innanzitutto è evidente che la prospettiva interculturale – entrata dapprima in circolazione nell’ambito delle scienze umane, ma solo a partire dagli anni Sessanta del secolo scorso – è in stretta dipendenza dalla basilare categoria di « cultura ». A sua volta questo concetto rivela un cosí stretto legame con la categoria di « identità » da mostrare i segni di un destino comune. Non a caso dire « cultura » o « identità culturale » – anche quest’ultima un’espressione impiegata solo da pochi decenni – è fare uso di una variante sinonimica. Data l’intima connessione tra le nozioni di identità, cultura e interculturalità ne consegue che seppure quest’ultima ha assunto di recente il ruolo di superamento fluidificante della denunciata sostanzializzazione delle prime due categorie, di fatto appare collocarsi nella medesima traiettoria di ciò che mira a superare. La nozione di interculturalità è infatti un loro derivato da cui è seguita come un’ombra ma alle quali intende proporsi da salvagente dinanzi alle difficoltà in cui esse versano nell’adattarsi a una modernità ormai fattasi « liquida ». Una conseguenza niente affatto marginale di questa concatenazione degli anelli identità-cultura-interculturalità è che la concentrazione sulla dimensione interculturale attira con sé anche il discorso culturale e quindi identitario. Piuttosto che limitare la forza attrattiva di queste due categorie rinvenibili alla sua base per spostarla verso altri orizzonti, l’interculturalità, pur sollecitando una loro revisione, ne rimane allo stesso tempo ancorata. Il limite piú evidente di una tale connessione risiede nel fatto che comunque l’essere umano è ancora interpretato attraverso una ristretta finestra identitaria e culturale, dimenticando cosí che l’uomo è ben piú della sua identità e ben piú della sua cultura, poiché egli vive l’esperienza – scrive il filosofo tedesco Bernhard Waldenfels – di una « appartenenza nella non Enrico Riparelli, La teologia in dialogo con le culture e le religioni 473 appartenenza » in rapporto alla cultura propria 34. Una fissazione eccessiva sui miti della identità e della cultura rischia pertanto di essere solo in apparenza superata da un accento altrettanto enfatico sul nuovo « mito » della interculturalità 35, che comporta una sua sovraesposizione a discapito di altre prospettive non meno urgenti e feconde. È assai significativo, perciò, che già si facciano sentire le voci di studiosi che, associandosi a quanti esprimono fermo scetticismo nei confronti della nozione di identità, dubitano fortemente della nozione di cultura e quindi della derivata prospettiva interculturale. Ad esempio il filosofo Wolfgang Welsch proprio a partire dalla contestazione della accezione moderna di cultura coglie altresí le carenze della categoria di interculturalità sino a proporne la sostituzione con la nozione di « transculturalità », reputata piú adatta a esprimere la compenetrazione tra culture di fatto mai omogenee (« identiche ») al loro interno 36. Come nel caso della identità e della cultura, non sorprende affatto che in tempi recenti la categoria di interculturalità, accanto a un trionfale successo, conosca anche prese di posizione assai critiche nei suoi confronti. Ad esempio un esperto di scienze della formazione come Walter Baroni è arrivato a pubblicare un saggio intitolato espressamente Contro l’intercultura, in cui punta il dito contro una lunga serie di manchevolezze della retorica interculturale 37. Nonostante alcune criticità segnalate a carico della prospettiva interculturale, siamo nondimeno convinti che una riflessione piú disincantata nei confronti di un suo possibile uso retorico e maggiormente consapevole delle proprie coordinate contestuali sia dotata di grande valore, individuabile tanto nell’immaginare e creare nuove sovrapposizioni tra diverse costellazioni culturali (funzione utopica), quanto nel denunciare la sempre possibile ideologizzazione di un dialogo interculturale omogeneizzante e solo in apparenza simmetrico (funzione critica e autocritica). Si tratta perciò di mettere in atto – tanto nell’ambito della ricerca che in quello didattico – una riflessione interculturale chiamata a essere anche altra da 34 Si tratta di una « appartenenza nella non appartenenza », dal momento che – chiarisce Waldenfels – « chi appartiene a una famiglia, a un popolo, a una classe, a una comunità religiosa o a una cultura, non vi appartiene mai in modo assoluto ». B. WALDENFELS, Fenomenologia dell’estraneo, Raffaello Cortina, Milano 2008, 66. 35 Cf. R. DEBRAY, Il dialogo delle civiltà. Un mito contemporaneo, Marietti, Genova 2013. 36 Cf. W. WELSCH, Società transculturali, in G. COCCOLINI (cur.), Interculturalità come sfida. Filosofi e teologi a confronto, Dehoniana Libri-Pardes Edizioni, Bologna 2008, 139-177. 37 Cf. W. BARONI, Contro l’intercultura. Retoriche e pornografia dell’incontro, Ombre Corte, Verona 2013. 474 StPat 62 (2015) 2 se stessa, perché sempre tesa a un movimento di trasgressione del proprio discorso che le consenta di esprimere la sua potenza creativa. La proposta interculturale dovrebbe allora operare come un campo variegato e ospitale ma sempre in tensione, atto a provocare già all’interno di ciascuna costellazione culturale una apertura responsabile (ecco il legame inscindibile tra dialogo intraculturale e interculturale) e a favorire una relazione senza alcuna velleità di fusione perché rispettosa di una estraneità che permane in ogni caso come una sorta di « pungolo » 38. Conclusioni Nel tracciare le linee di riflessione proposte nel presente contributo abbiamo dapprima seguito il filo dialogico tessuto dalla enciclica Ecclesiam suam e irrobustito dai documenti conciliari, per concentrarci in seguito sulla elaborazione in ambito teologico di prospettive piú mirate al dialogo specifico con le religioni e le culture. Oltre a illustrare alcune sequenze di una svolta paradigmatica che ha richiesto anche da parte delle scienze teologiche una attenzione speciale, abbiamo creduto necessario indicare assieme ai suoi fondamenti anche alcuni limiti intrinseci. Ogni dialogo specifico, non escluso quello interreligioso e interculturale, deve essere operato mantenendo sullo sfondo il quadro piú esteso (l’« umano ») da cui procede e a cui si rivolge. In caso contrario, una enfatizzazione del religioso e del culturale isolati dal piú ampio contesto umano rischia di rendere ipervisibile sia il religioso che il culturale, a detrimento tanto della feconda pluralità delle componenti identitarie, quanto di quell’« umano » che ne sta a solido fondamento. Una ipostatizzazione del dialogo interreligioso e interculturale può cosí giungere a velare suo malgrado il mistero di unità di tutta l’umanità, lasciando campo libero a quei comunitarismi culturali e religiosi rispetto ai quali la chiesa – chiamata a essere « segno e strumento dell’intima unione con Dio e dell’unità di tutto il genere umano » 39 – non può che prendere le distanze. Ricordiamo perciò la sollecitazione di Giovanni Paolo II a considerare che « le culture, quando 38 Sull’estraneo come « pungolo » che abita nel proprio delle culture sotto forma di inquietudine e disturbo cf. B. WALDENFELS, Der Stachel des Fremden, Suhrkamp, Frankfurt am Main 1990; ID., Fenomenologia dell’estraneità, Vivarium, Napoli 2002; ID., Estraniazione della modernità. Percorsi fenomenologici di confine, Città Aperta Edizioni, Troina (En) 2005; ID., The Question of the Other, The Chinese University Press-State University of New York Press, Hong Kong-New York 2007; ID., Fenomenologia dell’estraneo, cit. 39 CONCILIO VATICANO II, Lumen gentium, in Enchiridion Vaticanum, 1, Dehoniane, Bologna 198112, 284. Enrico Riparelli, La teologia in dialogo con le culture e le religioni 475 sono profondamente radicate nell’umano, portano in sé la testimonianza dell’apertura tipica dell’uomo all’universale e alla trascendenza » 40. In un tale contesto dialogico – consapevole tanto delle proprie risorse quanto dei propri confini – si inserisce la missione della Facoltà teologica del Triveneto, chiamata, nei modi che le sono propri, a sostenere al suo interno ma anche nel territorio circostante ogni iniziativa che promuova l’incontro riconoscente tra coloro che amano far dono delle proprie ricchezze culturali e religiose. Un compito impegnativo, questo, assunto da una istituzione accademica che aspira a rivolgersi a un mondo sempre piú in preda alla chiusura dei comunitarismi e alla intolleranza dei fondamentalismi con parole che contribuiscano a purificare le relazioni, a sanare le fratture. È evidente che solo un lavoro in rete con altre istituzioni ecclesiastiche e secolari indirizzate al medesimo traguardo dialogico può consentire la riuscita di un tale provvido ma allo stesso tempo gravoso impegno. ENRICO RIPARELLI docente di Interculturalità e religione Istituto superiore di Scienze religiose di Padova Abstract Theology in dialogue with the various cultures and religions. This contribution highlights the attention the Theological Faculty of Triveneto has always paid to the inter-religious and inter-cultural prospects considered in a double contest. This corresponds to the dialogic trend of modern Theology and to the increasingly multiform religious and cultural panorama which characterizes our contemporary society. Secondly the article focuses on the challenges implied in this dialogic disposition which, besides being aware of its invaluable contribution for a peaceful life between men of different traditions, is able to recall the mystery of men’s unity. 40 GIOVANNI PAOLO II, Fides et ratio, in Enchiridion Vaticanum, 17, Dehoniane, Bologna 2000, 1318. Copyright of Studia Patavina is the property of Facolta Teologica del Triveneto and its content may not be copied or emailed to multiple sites or posted to a listserv without the copyright holder's express written permission. However, users may print, download, or email articles for individual use.