StPat 62 (2015) 461-475
LA TEOLOGIA IN DIALOGO
CON LE CULTURE E LE RELIGIONI
Introduzione
In occasione di una allocuzione tenuta ad Ankara dinanzi alle autorità
turche il 28 novembre 2014 papa Francesco esortava a prestare ciascuno
la propria opera a favore della pace in Medio Oriente, manifestando la
convinzione che « per raggiungere una meta tanto alta e urgente, un contributo importante può venire dal dialogo interreligioso e interculturale, così
da bandire ogni forma di fondamentalismo e di terrorismo » 1. Notiamo che
anche in quella circostanza il pontefice affidava al dialogo interreligioso e
interculturale un compito assai arduo ma imprescindibile, contrassegnato
altresí da una duplice valenza, ossia la promozione della pace e la rimozione di quanto le è di ostacolo. Una tale fiducia nei confronti della disposizione dialogica interreligiosa e interculturale appare ormai consolidata nel
magistero pontificio, valendo peraltro da efficace stimolo e orientamento
all’azione dei piú diversi organismi ecclesiali, a loro volta impegnati a indicare le linee direttrici di una cultura del dialogo 2.
Anche le istituzioni deputate all’insegnamento e alla ricerca teologica
sono invitate a offrire il loro contributo in funzione dialogica. Le Facoltà
1
FRANCESCO, Incontro con le autorità, Ankara, 28 novembre 2014, in Il Regno-Documenti 21 (2014) 666.
2
Sul dialogo interreligioso vedi in particolare i seguenti documenti: L’atteggiamento
della chiesa di fronte ai seguaci di altre religioni (1984) del Segretariato per i non cristiani;
Dialogo e annuncio (1991) pubblicato congiuntamente dal Pontificio Consiglio per il dialogo interreligioso e la Congregazione per l’Evangelizzazione dei popoli; Il cristianesimo e le
religioni (1997) della Commissione teologica internazionale; la dichiarazione Dominus Iesus
(2000) della Congregazione per la Dottrina della fede. Utile è anche la raccolta di documenti: PONTIFICIO CONSIGLIO PER IL DIALOGO INTERRELIGIOSO, Il dialogo interreligioso nell’insegnamento ufficiale della chiesa cattolica (1963-2013), a cura di F. Gioia, Libreria Editrice
Vaticana, Città del Vaticano 20133. Sul dialogo interculturale vedi il documento Educare al
dialogo interculturale nella scuola cattolica. Vivere insieme per una civiltà dell’amore (2013)
della Congregazione per l’Educazione cattolica; vedi anche gli Atti della conferenza internazionale promossa dalla Congregazione per l’Educazione cattolica e dall’Associazione cattolica
internazionale degli Istituti di scienze dell’educazione (Roma, 27-28 marzo 2008): Educazione
interculturale e pluralismo religioso, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 2009.
Ricordiamo anche il documento Humanae personae dignitatem (1968) sul dialogo con i non
credenti pubblicato dall’allora Segretariato per i non credenti (cf. Enchiridion Vaticanum, 3,
Dehoniane, Bologna 198212, 619-657).
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di teologia assumono perciò tra i loro compiti specifici tanto la disponibilità a una maggiore apertura verso le culture e religioni, quanto l’approfondimento di una riflessione sui fondamenti, le modalità e i fini di tale
intento dialogico. Sin dall’origine del suo mandato la Facoltà teologica
del Triveneto ha accolto la sfida interreligiosa e interculturale come una
questione urgente a cui prestare adeguata attenzione. Si è trattato da una
parte della pratica dell’incontro con l’altro: ricordiamo a questo proposito
la permanenza per ragioni di studio e ricerca offerta a studenti e docenti
in terre lontane come il Giappone, l’India e il Libano. Ma soprattutto,
in corrispondenza alla vocazione specifica della Facoltà, l’impegno si è
concentrato sull’indagine, mediante corsi specialistici, convegni, simposi,
pubblicazioni e altre attività accademiche, delle modalità attraverso le quali
il cristianesimo può contribuire all’incontro di uomini educati nelle piú
diverse tradizioni religiose e culturali. Rileviamo inoltre che nel complesso
degli Istituti superiori di Scienze religiose afferenti alla Facoltà teologica
del Triveneto l’Issr di Padova si caratterizza per una particolare inclinazione all’esplorazione delle prospettive interreligiosa e interculturale, data
la sua costitutiva specializzazione in tali settori.
Nel presente contributo occasionato dal decennale della Facoltà
intendiamo proporre una riflessione centrata sul significato della svolta
dialogica operata dalla teologia contemporanea, una svolta che tra le altre
conseguenze ha portato a includere nei programmi degli studi teologici
anche corsi specifici sul dialogo interreligioso e interculturale. Riteniamo
però altrettanto utile mettere in evidenza i limiti di un dialogo che assuma come marcatori primari dei soggetti dialoganti i lineamenti religiosi e
culturali, risultato di una rappresentazione essenzialista di tali lineamenti
inadatta a riconoscere la ben piú complessa « identità plurale » che connota ogni essere umano.
La svolta dialogica della teologia
Che il dialogo rappresenti una parte integrante della missione di una
Facoltà teologica non potrà certo sorprendere chi sia avvertito delle piú
recenti dichiarazioni del magistero. Nel contempo non è però da dimenticare il limitato periodo temporale entro cui si inserisce tale orientamento dialogico, tanto da fare annotare a un teologo come Hans Urs von
Balthasar che « se si guarda ai due millenni di teologia cristiana, stupisce
che gli sia stato finora riservato cosí poco spazio » 3. È infatti opportuno
3
H.U. VON BALTHASAR, Introduzione al dramma. Teodrammatica, I, Jaca Book, Milano
1978, 35 (cit. in F. SANDRONI, Dialogo, in Firmana 19 [2010] 103).
Enrico Riparelli, La teologia in dialogo con le culture e le religioni
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considerare che solo pochi decenni ci separano dalla stagione in cui il
magistero ha assunto il dialogo tra i temi dei suoi pronunciamenti ufficiali,
una svolta senza dubbio epocale che ha preso per la prima volta sostanza
nella enciclica Ecclesiam suam pubblicata da papa Paolo VI il 6 agosto
1964, non a caso considerata « il vero manifesto del dialogo » 4. Grazie a
questa enciclica e all’impulso generato dai contributi del concilio Vaticano II il « colloquium » come categoria e disposizione trovava finalmente
spazio nella sfera della discussione teologica e dell’annuncio pastorale. Un
tale passaggio cruciale faceva peraltro eco al deciso stimolo in direzione
dell’« aggiornamento » avviato dal pontificato di Giovanni XXIII, nel corso del quale una chiesa in movimento aveva abbandonato una posizione
arroccata e sospettosa nei confronti del mondo.
In accordo con questo sfondo di fiduciosa apertura al mondo si inseriva quindi la prima enciclica esplicitamente dialogica, in cui Paolo VI
esprimeva la convinzione che mediante il dialogo la chiesa fosse essa stessa
chiamata a divenire « colloquio », costituendo quest’ultimo un « dovere
congeniale al patrimonio ricevuto da Cristo » 5. Lungi dal rinvenire alla
base del dialogo una mera ragione di convenienza, il pontefice ne riconosceva un esplicito fondamento teologico e assumeva la sua origine trascendente quale archetipo dell’incontro tra chiesa e mondo. In dipendenza
dal fondamento teologico del dialogo egli ricavava anche le modalità piú
consone a un confronto genuino – chiarezza, mitezza, fiducia, prudenza –
riassumibili nel gesto di una carità dialogica. Si tratta certo di un dialogo
con il mondo esterno alla chiesa, ma che non può prescindere da un altrettanto urgente dialogo « domestico », caratterizzato, secondo gli auspici
di Paolo VI, da una particolare intensità e familiarità. Che la relazione con
il mondo non sia però esente da risvolti drammatici lo precisava il pontefice allorché avvertiva che « questo immanente contatto della chiesa con
la società temporale genera per essa una continua situazione problematica,
oggi laboriosissima » 6. L’esortazione dialogica non si riferiva dunque affatto
a un generico slancio empatico, essendo piuttosto animata da un ben piú
impegnativo e laborioso « colloquium salutis » che si apriva, seguendo il
tracciato di tre cerchi concentrici, innanzitutto all’intera umanità, quindi
ai credenti in Dio e infine ai cristiani separati. Poiché il primo referente
del dialogo corrispondeva al cerchio piú ampio che abbracciava il mondo
4
P. CODA, Il dialogo con l’altro. La novità conciliare, in Vita monastica 65 (2011) 45.
PAOLO VI, Ecclesiam suam, in Enchiridion Vaticanum, 2, Dehoniane, Bologna
198112, 191.
6
Ibid., 181.
5
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intero, quest’ultimo risultava « approssimato » alla chiesa 7. Notiamo inoltre
che un tale « colloquium » con il mondo, i credenti e i cristiani separati
era in realtà inteso da papa Paolo VI come il terzo atteggiamento della
chiesa, coordinato intimamente « in rigorosa successione logica » 8 con un
esercizio di autocoscienza ecclesiale e un impulso di rinnovamento dei
propri membri. Un dialogo, quindi, che non solo non può trovarsi isolato rispetto ad altre iniziative complementari, ma che neppure può essere
confuso con un cammino privo di finalità veritative 9.
I padri raccolti in Concilio saranno a loro volta chiamati ad approfondire questa spinta germinale della Ecclesiam suam in alcuni documenti
esplicitamente marcati dalla relazione dialogica (la costituzione Gaudium
et spes 10, la dichiarazione Nostra aetate e il decreto Unitatis redintegratio),
ma anche in passaggi importanti della costituzione Lumen gentium, di
decreti come Ad gentes e Apostolicam actuositatem e della dichiarazione
Dignitatis humanae 11. Non è peraltro da trascurare il fatto che il Concilio
si sia soffermato piú diffusamente sul dialogo con il mondo che con le
altre religioni 12, collocando la relazione dialogica con queste ultime sullo
sfondo di un orizzonte ben piú esteso.
Reputiamo inoltre tutt’altro che irrilevante annotare che, cosí come
per l’Ecclesiam suam, anche per i padri conciliari non si trattava affatto
di promuovere un semplice atteggiamento di apertura, una entusiastica
empatia in rapporto all’altro, necessitando anche la disposizione dialogica
7
Cf. G. COLOMBO, Genesi, storia e significato dell’enciclica « Ecclesiam suam », in « Ecclesiam Suam ». Première Lettre Encyclique de Paul VI. Colloque International (Rome, 24-26
octobre 1980), Istituto Paolo VI-Studium, Brescia-Roma 1982, 145.
8
Ibid., 135.
9
La teologa Ann Michele Nolan nota che nell’enciclica Ecclesiam suam si opera una
originale composizione delle declinazioni platonica e buberiana di dialogo. « The unexpressed paradox is that the Buberian encounter is open-ended, whereas the platonic dialogue
has an end-point called truth that is able to be reached. Yet truth is already something
that the Church possesses: its dialogue “takes authority”, as we read in Ecclesiam suam,
from the truth that it affirms. This is the confused legacy of “dialogue” that reached the
Council Fathers »: A.M. NOLAN, A Privileged Moment: Dialogue in the Language of the
Second Vatican Council 1962-1965, Peter Lang, Bern 2006, 175.
10
È ampiamente riconosciuta l’influenza di Ecclesiam suam sulla redazione degli schemi
preparatori di questa costituzione (cf. COLOMBO, Genesi, storia e significato, cit., 157-158).
11
Cf. F. IANNONE, Una chiesa per gli altri. Il concilio Vaticano II e le religioni non cristiane, Cittadella, Assisi 2014; NOLAN, A Privileged Moment, cit.; D. RACCA, Il dialogo interreligioso nel concilio Vaticano II: aperture e limiti, in Rassegna di teologia 38 (1997) 637-663.
12
Osserva Giacomo Canobbio che « il termine “dialogo” nei documenti del Vaticano II si trova solo 10 volte (delle 56 ricorrenze complessive) riferito agli appartenenti alle
religioni diverse dal cristianesimo ». G. CANOBBIO, Chiesa religioni salvezza. Il Vaticano II e
la sua recezione, Brescia, Morcelliana 2007, 54.
Enrico Riparelli, La teologia in dialogo con le culture e le religioni
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di una adeguata preparazione, di una vera e propria educazione al dialogocolloquio 13. Cosí il decreto Ad gentes invita gli « operai evangelici » a conseguire una preparazione scientifica in vista del dialogo con le religioni e
le culture non cristiane, e lo stesso documento loda i laici che mediante i
loro studi promuovono la conoscenza dei popoli e delle religioni. La dichiarazione Nostra aetate raccomanda un rapporto fraterno tra cristiani ed
ebrei, relazione che – si precisa – è rafforzata dalla mutua conoscenza e
stima ottenute soprattutto con gli studi biblici e teologici. In Apostolicam
actuositatem incontriamo l’esortazione rivolta ai laici affinché si preparino
all’apostolato mediante la formazione al dialogo con i credenti e i non
credenti, mentre la Gravissimum educationis raccomanda espressamente
alle facoltà di scienze sacre di favorire il dialogo con i fratelli separati e
i non cristiani. Da quanto appena osservato si ricava che già i documenti
conciliari riconoscono espressamente alla disposizione dialogica grande
dignità nel contesto di un percorso di studi teologici, dignità non correlata a un mero dato di fatto contingente, ossia al pluralismo religioso
e culturale da cui le nostre società sono sempre piú contrassegnate, ma
che rinvia ben prima e ben piú allo stesso dialogo che Dio ha messo in
atto nei confronti dell’umanità, evento fondante che stimola e impegna la
riflessione degli esperti di scienze teologiche anche in prospettiva interreligiosa e interculturale.
Due nuovi « loci theologici »: le religioni e le culture
Dall’uso ancora generalizzato della categoria di « dialogo » da parte
di Paolo VI e del Vaticano II – dialogo aperto agli « uomini di buona
volontà » – nella teologia postconciliare ci si muoverà in direzione di una
valenza terminologica piú specifica. Appare infatti significativo che, pur
riferendosi alle religioni e culture, né il pontefice né il Concilio avevano
trattato approfonditamente delle questioni inerenti al dialogo interreligioso e interculturale, cosicché in quella fase germinale l’orizzonte dialogico
figurava per lo piú svincolato da tali qualificazioni regionali.
In epoca odierna le religioni e le culture appaiono invece costituire
il contesto principale entro il quale la teologia procede nel suo sviluppo,
13
A.M. Nolan nota che nei documenti conciliari il termine « dialogus » viene utilizzato
allorché il soggetto corrisponde alla chiesa come istituzione, mentre la parola « colloquium »
viene riferita alla relazione interpersonale tra credenti e tra uomini della comunità internazionale (cf. NOLAN, A Privileged Moment, cit., 221-225).
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cosí da imporsi alla riflessione quali veri e propri loci theologici esterni 14.
Tanto piú che nella enciclica Redemptoris missio papa Giovanni Paolo II
ha inteso autorevolmente riconoscere che « la presenza e l’attività dello
Spirito non toccano solo gli individui, ma la società e la storia, i popoli, le
culture, le religioni » 15. A ragione, dunque, il teologo domenicano Claude
Geffré individua nell’attuale contesto multireligioso e multiculturale una
funzione profetica dello straniero atta a provocare una migliore intelligenza
della propria identità di fede 16, cosicché la comprensione teologica delle
religioni e culture comporta una reinterpretazione attualizzante delle stesse
verità rivelate. Da ciò si comprende l’effetto stimolante dei suddetti loci
nei confronti delle varie discipline teologiche, tanto da far scrivere al teologo Jacques Dupuis che « piú che come un nuovo tema per la riflessione
teologica, la teologia delle religioni va vista come un nuovo modo di fare
teologia in un contesto interreligioso: un nuovo metodo per fare teologia
in una situazione di pluralismo religioso » 17.
Se abbiamo già registrato come la svolta dialogica rappresenti una
acquisizione contestuale all’evento conciliare, è ora da osservare che la
specifica prospettiva disciplinare denominata « teologia delle religioni »
è ancora piú recente. Infatti per molto tempo l’indagine teologica si era
limitata a confrontarsi con la questione della salus infidelium, affrontando
solo in tempi a noi piú prossimi il delicato interrogativo del ruolo salvifico
delle religioni, interrogativo che ha comportato travagliate discussioni circa
il disegno di una « teologia dialogica interreligiosa » 18 e il riconoscimento
di un pluralismo religioso di principio. Non è inoltre marginale l’annota14
Per le religioni come loci theologici esterni cf. M. NARO, Il metodo teologico e la
teologia delle religioni, in M. CROCIATA (cur.), Teologia delle religioni. La questione del
metodo, Città Nuova, Roma 2006, 18-22. Secondo Francesco Iannone anche l’ingresso al
Concilio dell’altro non cattolico e non cristiano può essere inteso come un locus theologicus
(cf. IANNONE, Una chiesa per gli altri, cit., 241-242). Osserva a sua volta il teologo Claude
Geffré: « Come l’ateismo ha potuto essere l’orizzonte in funzione del quale la teologia della
seconda metà del secolo XX reinterpretava le grandi verità della fede cristiana, cosí il
pluralismo religioso tende a diventare l’orizzonte della teologia del XXI secolo e ci invita
a rivisitare i grandi capitoli di tutta la dogmatica cristiana ». C. GEFFRÉ, Verso una nuova
teologia delle religioni, in R. GIBELLINI (cur.), Prospettive teologiche per il XXI secolo, Queriniana, Brescia 20062, 353.
15
GIOVANNI PAOLO II, Redemptoris missio, in Enchiridion Vaticanum, 12, Dehoniane,
Bologna 1992, 605.
16
Cf. C. GEFFRÉ, Il mistero del pluralismo religioso nell’unico progetto di Dio. Fondamento biblico e teologico, in CROCIATA, Teologia delle religioni, cit., 232.
17
J. DUPUIS, Verso una teologia cristiana del pluralismo religioso, Queriniana, Brescia
20034, 29-30.
18
ID., Il cristianesimo e le religioni. Dallo scontro all’incontro, Queriniana, Brescia
20022, 35.
Enrico Riparelli, La teologia in dialogo con le culture e le religioni
467
zione di Alberto Cozzi allorché rileva a proposito della odierna prossimità
tra uomini di diverse fedi che « nessuno dei fattori indicati all’origine di
questa situazione (informazioni, migrazioni, globalizzazione tecnologicoindustriale) è religioso e quindi teologico. Ciò significa che la nuova situazione che pone la domanda non è maturata all’interno dello sviluppo
delle religioni » 19. L’attenzione da parte della teologia nei confronti di uno
spettro plurale di prospettive disciplinari (storia delle religioni, filosofia,
sociologia, antropologia culturale, psicologia, pedagogia, diritto, ecc.) è
perciò sempre piú richiesta al fine di stabilire un confronto con la complessità dinamica del fenomeno religioso in un tempo di globalizzazione
avanzata.
Quanto detto a proposito della recente comparsa di una specifica
esplorazione consacrata alla teologia delle religioni vale ancor piú per la
teologia interculturale, la quale è un orizzonte di ricerca che se affiora nel
Concilio attraverso il decreto sulla attività missionaria Ad gentes appare
però ancor oggi caratterizzato da lineamenti incerti e da finalità non sempre chiare e coerenti 20.
Con l’avvio del processo di regionalizzazione del dialogo – ossia con il
passaggio dal dialogo rivolto a un generico « mondo » al dialogo indirizzato
in modo specifico alle religioni e culture – si sono quindi aperte nuove
prospettive, assieme a nuove domande, divenute oggetto di ampio dibattito
nell’ambito della ricerca teologica e perciò non trascurabili in vista della
acquisizione di competenze interreligiose e interculturali da parte di quanti
afferiscono ai percorsi di studi teologici. Per limitarci a richiamare alcuni
dei temi piú significativi oggi in discussione, basti citare la relazione tra
identità di fede e approccio dialogico all’altro; l’interrogativo sulle modalità con cui tutti gli uomini sono associati al mistero pasquale e ordinati
al popolo di Dio; il dibattito sulla unicità e universalità di Gesú Cristo in
ordine alla salvezza dell’umanità; le domande se i valori autentici rinvenibili nelle altre religioni siano già presenti nel cristianesimo e se le religioni
rappresentino delle mediazioni di salvezza per i loro seguaci; il significato
della pluralità delle religioni e culture nell’unico piano di salvezza di Dio;
il problema circa lo statuto, il metodo e le finalità specifiche della teologia
delle religioni e della teologia interculturale.
19
A. COZZI, Cristianesimo e religioni nel Biennio pedagogico-didattico, in Il cammino degli Issr: verifiche e prospettive. II Convegno dei presidi delle Facoltà teologiche e dei direttori
degli Istituti superiori di Scienze religiose, Roma 9-10 marzo 2010, 3 (www.chiesacattolica.it/
cci_new_v3/allegati/10742/Prof%20Alberto%20Cozzi.pdf).
20
Cf. E. RIPARELLI, Teologia nel pluralismo delle culture, in G. MANZATO-V. BORTOLINE. RIPARELLI, L’altro possibile. Interculturalità e religioni nella società plurale, EMP-FTTR,
Padova 2013, 269-278.
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Intrecci e confini del dialogo interreligioso e interculturale
Dopo avere considerato che a una prima fase di apertura dialogica
estesa al mondo è seguita nel dibattito teologico una seconda fase di piú
concentrata riflessione sulla relazione tra cristianesimo, religioni e culture,
notiamo a questo punto che le prospettive interreligiosa e interculturale
(e di conseguenza i corrispondenti quadri disciplinari) hanno però sinora
avanzato separatamente lungo il loro cammino, a riprova della limitata attenzione degli specialisti nei riguardi della loro interconnessione 21.
Da parte nostra siamo invece convinti che il tema della caratterizzazione
specifica di tale rapporto dovrebbe assumere grande rilievo anche in ambito teologico, tanto in fase di ricerca che di insegnamento. Consideriamo
ad esempio come nella teoria e pratica della inculturazione non di rado si
presupponga che la fede incontri semplicemente una cultura, lasciando di
conseguenza al margine l’esperienza religiosa a essa connessa. Mostrandosi
particolarmente attento a tale questione l’allora cardinale Joseph Ratzinger
poteva concludere:
Non dovremmo piú parlare propriamente di inculturazione ma di incontro delle culture o [...] di interculturalità. Infatti inculturazione presuppone
che una fede, per cosí dire, culturalmente spoglia si trasponga in una cultura
religiosamente indifferente. Processo in cui due soggetti fino a quel momento
estranei si incontrano e realizzano una sintesi. Ora, questa rappresentazione è
artificiosa e irreale, perché non esiste una fede priva di cultura e, al di fuori
della moderna civiltà tecnica, non esiste una cultura priva di religione 22.
In effetti nel corso dell’opera di inculturazione spesso accade che
la cultura dell’evangelizzatore entri in relazione con un’altra cultura già
21
Il documento della Commissione teologica internazionale Fede e inculturazione
(1989) dedica un accenno a questo tema allorché osserva: « Data la posizione rilevante
della religione nella cultura, una chiesa locale o particolare impiantata in un ambiente
socioculturale non cristiano deve tenere conto molto seriamente degli elementi religiosi
di quell’ambiente ». COMMISSIONE TEOLOGICA INTERNAZIONALE, Fede e inculturazione, in ID.,
Documenti 1969-2004, Edizioni Studio Domenicano, Bologna 2006, 372. La stessa Commissione nello studio Il cristianesimo e le religioni precisa che « l’inculturazione della fede non
può prescindere dall’incontro con le religioni che dovrebbe realizzarsi soprattutto attraverso
il dialogo interreligioso ». ID., Il cristianesimo e le religioni, in ID., Documenti 1969-2004,
cit., 554. E piú avanti rileva che nel corso del dialogo interreligioso « si rende necessario
un altro discernimento circa il vocabolario specificamente teologico, nella misura in cui esso
è tributario della cultura di ciascun partecipante al dialogo e della sua filosofia implicita.
Occorre pertanto prestare attenzione alla peculiarità culturale delle due parti, anche se
condividono entrambe la stessa cultura originaria ». Ibid., 592.
22
J. RATZINGER, Fede, verità, tolleranza. Il cristianesimo e le religioni del mondo, Cantagalli, Siena 20052, 66.
Enrico Riparelli, La teologia in dialogo con le culture e le religioni
469
animata da una tradizione religiosa, per cui si instaura nel contempo un
incontro con una religione non cristiana (dialogo interreligioso). Una eventualità, questa, che appare oggigiorno sempre piú reale anche alla luce
della cosiddetta « diaspora planetaria » del cristianesimo, ossia del suo
spostamento demografico in direzione di aree extra occidentali 23. Occorre
perciò convenire con il teologo indo-spagnolo Raimon Panikkar allorché
sottolinea che « ogni dialogo – compreso il dialogo religioso – dipende dalle posizioni culturali degli interlocutori. Trascurare le differenze culturali
che danno origine alle differenti credenze religiose porterebbe a inevitabili
malintesi » 24. In seguito alla tematizzazione dell’intreccio tra religione e
cultura la condivisibile conclusione a cui giunge Panikkar è che l’incontro
delle diverse religioni non si riduce a un confronto puramente religioso,
poiché è anche « un evento umano che segue lo sviluppo e i movimenti
della storia » 25. Se le culture e le religioni sono di fatto strettamente interconnesse, in funzione di un percorso di studi teologici si ricava che
« il modo giusto di studiare le religioni implica la conoscenza delle diverse
culture, che offre i modelli di intelligibilità (ed empatia) per lo studio di
ciascuna particolare religione (o gruppo di religioni) » 26. Si deve allora
riconoscere che il dialogo interreligioso non può procedere separato da
23
Cf. PH. JENKINS, La terza chiesa. Il cristianesimo nel XXI secolo, Fazi, Roma 2004;
F. MASTROFINI, Geopolitica della chiesa cattolica, Laterza, Roma-Bari 2006; J.L. ALLEN,
The Future Church. How Ten Trends are revolutionizing the Catholic Church, Doubleday,
New York 2009; PEW FORUM ON RELIGION AND PUBLIC LIFE, La geografia del cristianesimo
globale, in Il Regno-Documenti 57 (2012) 308-320; PH. JENKINS, Chiesa globale. La nuova
mappa, EMI, Bologna 2014.
24
R. PANIKKAR, Il dialogo intrareligioso, Cittadella, Assisi 20012, 111. Riteniamo utile
riportare per intero il seguente brano che bene chiarisce l’« inter-in-dipendenza » tra cultura
e religione: « Le leggi che regolano i rapporti tra le culture non sono le stesse che presiedono all’incontro delle religioni. Comunque, è attraverso un incontro di culture a livello
storico che è possibile un incontro religioso; e viceversa, questioni di religione hanno una
forte influenza sul problema culturale. Ho chiamato inter-in-dipendenza l’interdipendenza
e al contempo l’indipendenza tra cultura e religione, perché ogni sfera dell’essere ha la sua
ontonomia e ogni relazione è mutua. Queste relazioni potrebbero essere espresse dicendo
che ogni religione foggia una cultura, ma anche la cultura offre il suo contesto alla religione. Le due non sono né separabili né identificabili. L’uomo è un essere culturale e anche
religioso. Una religione può foggiare, fecondare o influenzare diverse culture e una cultura
può accogliere piú di una religione. Inoltre, quasi ogni grande religione pretende di avere
un valore transculturale, poiché sostiene che persisterà anche se la cultura che la ospita
dovesse essere distrutta. Analogamente, piú culture hanno una certa validità transreligiosa
perché non sono necessariamente legate a una particolare religione ». ID., Il Cristo sconosciuto dell’induismo. Verso una cristofania ecumenica, Jaca Book, Milano 20082, 79.
25
ID., Religione e religioni, in Opera Omnia, II, a cura di M. Carrara Pavan, Jaca
Book, Milano 2011, 88.
26
Ibid., 321.
470
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un dialogo interculturale (e viceversa), a meno di non immaginare una
relazione tra sistemi religiosi e culturali anziché tra uomini incarnati in
specifiche religioni e culture. Alla luce di questa caratterizzazione antropologica del dialogo interreligioso crediamo si possano interpretare anche
le parole di papa Benedetto XVI allorché precisava che « un dialogo interreligioso nel senso stretto della parola non è possibile, mentre urge tanto
piú il dialogo interculturale che approfondisce le conseguenze culturali
della decisione religiosa di fondo » 27. Da parte nostra poniamo inoltre la
domanda se l’abituale approccio al dialogo interreligioso e interculturale
come prospettive parallele non rappresenti forse l’espressione di una
inclinazione particolaristica occidentale – di un Occidente segnato storicamente dalla frattura tra religione e cultura – che si maschera però da
universalismo conciliatorio. Oggi invece – suggerisce l’orientalista Olivier
Roy – « è necessario ripensare il radicamento del religioso nel culturale
proprio nel momento in cui la globalizzazione ha indebolito la nozione di
culture nazionali o locali, senza proporre tuttavia una vera cultura-mondo.
La crisi del religioso è anche una crisi culturale » 28.
Posto in rilievo lo stretto legame tra dialogo interreligioso e interculturale, intendiamo a questo punto segnalare anche alcuni confini
dell’approccio dialogico, specie allorché esso sia riconducibile a un
piano specialistico come quello interreligioso e interculturale. Tali rilievi
sono da noi avanzati in funzione critico-costruttiva al fine di evitare le
insidie in cui può talvolta incorrere un pur sincero intento dialogico che
appaia però incerto nell’orientamento e avulso dallo sfondo concreto a
cui intende rivolgersi.
Abbiamo d’altra parte già notato che il dialogo stesso è solo una
particolare modalità, seppur importante, dell’annuncio cristiano, che non
può perciò esaurire lo spettro multiforme delle relazioni tra cristianesimo e mondo. Il dialogo è infatti una delle azioni della chiesa nella sua
missio ad gentes 29, cosicché anche il dialogo interreligioso e interculturale
rappresentano modalità particolari della piú estesa azione evangelizzatrice.
Ma un duplice limite è altresí rinvenibile nella stessa categoria di « dialogo », il quale è un concetto nato in Occidente (limite geografico-culturale)
e con una vasta gamma di significati (limite euristico) 30. Il limite conte27
BENEDETTO XVI, Lettera al senatore Marcello Pera, in M. PERA, Perché dobbiamo dirci
cristiani. Il liberalismo, l’Europa, l’etica, Mondadori, Milano 2008, 10-11.
28
O. ROY, Verso una nuova sintesi tra religione e cultura, in V. IANARI (cur.), Religioni
e violenza, Francesco Mondadori, Milano 2014, 174.
29
Cf. CONGREGAZIONE PER LA DOTTRINA DELLA FEDE, Dominus Iesus, in Enchiridion
Vaticanum, 19, Dehoniane, Bologna 2004, 1145, 1196.
30
Cf. I. MORALI, L’io cristiano tra identità e aperture: la questione del dialogo interre-
Enrico Riparelli, La teologia in dialogo con le culture e le religioni
471
stuale accompagna allo stesso modo anche le categorie di « religione » e
« cultura », entrambe debitrici della loro impronta genetica occidentale
tanto da non trovare sempre una terminologia corrispondente in altri
universi linguistici.
A riguardo dei confini specifici del dialogo interreligioso già autorevoli
documenti hanno precisato che esso non può essere assunto quale criterio
per determinare la sostanza della propria fede e che la pari dignità nel
dialogo si riferisce alle persone, non ai contenuti di fede 31; che sotto la
generica espressione di « dialogo interreligioso » sono rinvenibili in verità diverse forme di applicazione dello stesso 32; che anche nel corso di
questa azione dialogica è necessario essere avvertiti delle contraddizioni
e incompatibilità che possono sussistere tra la rivelazione cristiana e le
altre tradizioni religiose 33. A queste avvertenze alleghiamo da parte nostra
la considerazione che tale intento dialogico spinge talvolta a interpretare
una serie di accadimenti alla luce di un monocorde spettro religioso,
lasciando al margine o velando altre componenti di maggior peso nelle
reali dinamiche delle congiunture storiche. Come esempio emblematico
possiamo richiamare il frequente rimprovero rivolto alle religioni di essere
fomentatrici di violenza, da cui si ricava con naturalezza tutta l’urgenza
del dialogo interreligioso quale specifico antidoto a tali tensioni. Ma se,
come sovente accade, la componente religiosa funziona invece da catalizzatore e copertura in rapporto ad altri fattori maggiormente responsabili
del contesto di intolleranza, in tal caso una concentrazione ristretta al
dialogo interreligioso rischia di sviare l’attenzione dalle vere cause e quindi di mancare di strumenti idonei al superamento dei conflitti. L’abituale
(se non anche abitudinario) rimando alla questione della identità religiosa
in caso di tensioni tra gruppi umani dovrebbe perciò essere riorientato su
un piú vasto complesso di concause. Queste, invece di trovarsi sintetizzate
nell’onnicomprensiva categoria di « identità » – spesso intesa al singolare
ligioso in una visione di fede, in G. RIZZI-I. MORALI, Identità cristiana e confronto interreligioso, Edizioni Lussografica, Caltanissetta 2003, 85. Jean Daniélou osservava che la parola
« dialogo » è stata interpretata in differenti modi dopo il Concilio e invitava perciò la chiesa
a delineare piú precisamente i tratti di questa categoria (cf. J. DANIÉLOU, The Church in
Dialogue with the Contemporary World, in Universitas 27 [1985] 251-255).
31
Cf. CONGREGAZIONE PER LA DOTTRINA DELLA FEDE, Dominus Iesus, cit., 1196.
32
Cf. SEGRETARIATO PER I NON CRISTIANI, L’atteggiamento della chiesa di fronte ai seguaci
di altre religioni, in PONTIFICIO CONSIGLIO PER IL DIALOGO INTERRELIGIOSO, Il dialogo interreligioso nell’insegnamento ufficiale della chiesa cattolica, cit., 835-842.
33
Cf. PONTIFICIO CONSIGLIO PER IL DIALOGO INTERRELIGIOSO-CONGREGAZIONE PER L’EVANGELIZZAZIONE DEI POPOLI, Dialogo e annuncio, in PONTIFICIO CONSIGLIO PER IL DIALOGO
INTERRELIGIOSO, Il dialogo interreligioso nell’insegnamento ufficiale della chiesa cattolica, cit.,
954-955.
472
StPat 62 (2015) 2
come struttura monolitica e sostantivata piuttosto che riconosciuta nella
sua costitutiva pluralità variabile – o condensate nella sempre disponibile
formula di « violenza religiosa », necessitano di essere reperite con pazienza
e lucidità nel torbido intreccio ideologico di conflittualità economiche,
sociali e di altro genere, conflittualità che spesso amano presentarsi in
una veste ideologica elegante e perciò dirigono abilmente l’attenzione su
presunti fattori religiosi strumentalizzandone i simboli piú appariscenti.
Ricordiamo a questo punto quanto già suggerito a proposito della necessità per la teologia di entrare in relazione costruttiva con altre prospettive
disciplinari che le consentano di ampliare il proprio orizzonte di analisi e
di giungere cosí a una proposta piú consapevole del complesso mosaico
entro il quale si colloca l’odierno fenomeno religioso.
Dopo avere indicato alcune delle ragioni che spingono a evitare una
sorta di ipostatizzazione del dialogo interreligioso, intendiamo ora soffermarci sui confini della indagine interculturale, anche questi da riconoscere
in funzione critico-costruttiva in vista di un percorso dialogico responsabile. Innanzitutto è evidente che la prospettiva interculturale – entrata
dapprima in circolazione nell’ambito delle scienze umane, ma solo a partire dagli anni Sessanta del secolo scorso – è in stretta dipendenza dalla
basilare categoria di « cultura ». A sua volta questo concetto rivela un cosí
stretto legame con la categoria di « identità » da mostrare i segni di un
destino comune. Non a caso dire « cultura » o « identità culturale » – anche
quest’ultima un’espressione impiegata solo da pochi decenni – è fare uso
di una variante sinonimica. Data l’intima connessione tra le nozioni di
identità, cultura e interculturalità ne consegue che seppure quest’ultima ha
assunto di recente il ruolo di superamento fluidificante della denunciata
sostanzializzazione delle prime due categorie, di fatto appare collocarsi
nella medesima traiettoria di ciò che mira a superare. La nozione di interculturalità è infatti un loro derivato da cui è seguita come un’ombra
ma alle quali intende proporsi da salvagente dinanzi alle difficoltà in cui
esse versano nell’adattarsi a una modernità ormai fattasi « liquida ». Una
conseguenza niente affatto marginale di questa concatenazione degli anelli
identità-cultura-interculturalità è che la concentrazione sulla dimensione
interculturale attira con sé anche il discorso culturale e quindi identitario.
Piuttosto che limitare la forza attrattiva di queste due categorie rinvenibili alla sua base per spostarla verso altri orizzonti, l’interculturalità, pur
sollecitando una loro revisione, ne rimane allo stesso tempo ancorata.
Il limite piú evidente di una tale connessione risiede nel fatto che comunque l’essere umano è ancora interpretato attraverso una ristretta finestra
identitaria e culturale, dimenticando cosí che l’uomo è ben piú della sua
identità e ben piú della sua cultura, poiché egli vive l’esperienza – scrive
il filosofo tedesco Bernhard Waldenfels – di una « appartenenza nella non
Enrico Riparelli, La teologia in dialogo con le culture e le religioni
473
appartenenza » in rapporto alla cultura propria 34. Una fissazione eccessiva
sui miti della identità e della cultura rischia pertanto di essere solo in
apparenza superata da un accento altrettanto enfatico sul nuovo « mito »
della interculturalità 35, che comporta una sua sovraesposizione a discapito
di altre prospettive non meno urgenti e feconde.
È assai significativo, perciò, che già si facciano sentire le voci di studiosi che, associandosi a quanti esprimono fermo scetticismo nei confronti
della nozione di identità, dubitano fortemente della nozione di cultura
e quindi della derivata prospettiva interculturale. Ad esempio il filosofo
Wolfgang Welsch proprio a partire dalla contestazione della accezione
moderna di cultura coglie altresí le carenze della categoria di interculturalità sino a proporne la sostituzione con la nozione di « transculturalità »,
reputata piú adatta a esprimere la compenetrazione tra culture di fatto mai
omogenee (« identiche ») al loro interno 36. Come nel caso della identità
e della cultura, non sorprende affatto che in tempi recenti la categoria
di interculturalità, accanto a un trionfale successo, conosca anche prese
di posizione assai critiche nei suoi confronti. Ad esempio un esperto di
scienze della formazione come Walter Baroni è arrivato a pubblicare un
saggio intitolato espressamente Contro l’intercultura, in cui punta il dito
contro una lunga serie di manchevolezze della retorica interculturale 37.
Nonostante alcune criticità segnalate a carico della prospettiva interculturale, siamo nondimeno convinti che una riflessione piú disincantata
nei confronti di un suo possibile uso retorico e maggiormente consapevole
delle proprie coordinate contestuali sia dotata di grande valore, individuabile tanto nell’immaginare e creare nuove sovrapposizioni tra diverse
costellazioni culturali (funzione utopica), quanto nel denunciare la sempre
possibile ideologizzazione di un dialogo interculturale omogeneizzante
e solo in apparenza simmetrico (funzione critica e autocritica). Si tratta
perciò di mettere in atto – tanto nell’ambito della ricerca che in quello
didattico – una riflessione interculturale chiamata a essere anche altra da
34
Si tratta di una « appartenenza nella non appartenenza », dal momento che – chiarisce Waldenfels – « chi appartiene a una famiglia, a un popolo, a una classe, a una comunità religiosa o a una cultura, non vi appartiene mai in modo assoluto ». B. WALDENFELS,
Fenomenologia dell’estraneo, Raffaello Cortina, Milano 2008, 66.
35
Cf. R. DEBRAY, Il dialogo delle civiltà. Un mito contemporaneo, Marietti, Genova
2013.
36
Cf. W. WELSCH, Società transculturali, in G. COCCOLINI (cur.), Interculturalità
come sfida. Filosofi e teologi a confronto, Dehoniana Libri-Pardes Edizioni, Bologna 2008,
139-177.
37
Cf. W. BARONI, Contro l’intercultura. Retoriche e pornografia dell’incontro, Ombre
Corte, Verona 2013.
474
StPat 62 (2015) 2
se stessa, perché sempre tesa a un movimento di trasgressione del proprio
discorso che le consenta di esprimere la sua potenza creativa. La proposta
interculturale dovrebbe allora operare come un campo variegato e ospitale
ma sempre in tensione, atto a provocare già all’interno di ciascuna costellazione culturale una apertura responsabile (ecco il legame inscindibile
tra dialogo intraculturale e interculturale) e a favorire una relazione senza
alcuna velleità di fusione perché rispettosa di una estraneità che permane
in ogni caso come una sorta di « pungolo » 38.
Conclusioni
Nel tracciare le linee di riflessione proposte nel presente contributo
abbiamo dapprima seguito il filo dialogico tessuto dalla enciclica Ecclesiam
suam e irrobustito dai documenti conciliari, per concentrarci in seguito
sulla elaborazione in ambito teologico di prospettive piú mirate al dialogo
specifico con le religioni e le culture. Oltre a illustrare alcune sequenze
di una svolta paradigmatica che ha richiesto anche da parte delle scienze
teologiche una attenzione speciale, abbiamo creduto necessario indicare
assieme ai suoi fondamenti anche alcuni limiti intrinseci. Ogni dialogo
specifico, non escluso quello interreligioso e interculturale, deve essere
operato mantenendo sullo sfondo il quadro piú esteso (l’« umano ») da
cui procede e a cui si rivolge. In caso contrario, una enfatizzazione del
religioso e del culturale isolati dal piú ampio contesto umano rischia di
rendere ipervisibile sia il religioso che il culturale, a detrimento tanto della
feconda pluralità delle componenti identitarie, quanto di quell’« umano »
che ne sta a solido fondamento. Una ipostatizzazione del dialogo interreligioso e interculturale può cosí giungere a velare suo malgrado il mistero
di unità di tutta l’umanità, lasciando campo libero a quei comunitarismi
culturali e religiosi rispetto ai quali la chiesa – chiamata a essere « segno
e strumento dell’intima unione con Dio e dell’unità di tutto il genere
umano » 39 – non può che prendere le distanze. Ricordiamo perciò la
sollecitazione di Giovanni Paolo II a considerare che « le culture, quando
38
Sull’estraneo come « pungolo » che abita nel proprio delle culture sotto forma di
inquietudine e disturbo cf. B. WALDENFELS, Der Stachel des Fremden, Suhrkamp, Frankfurt
am Main 1990; ID., Fenomenologia dell’estraneità, Vivarium, Napoli 2002; ID., Estraniazione
della modernità. Percorsi fenomenologici di confine, Città Aperta Edizioni, Troina (En) 2005;
ID., The Question of the Other, The Chinese University Press-State University of New York
Press, Hong Kong-New York 2007; ID., Fenomenologia dell’estraneo, cit.
39
CONCILIO VATICANO II, Lumen gentium, in Enchiridion Vaticanum, 1, Dehoniane,
Bologna 198112, 284.
Enrico Riparelli, La teologia in dialogo con le culture e le religioni
475
sono profondamente radicate nell’umano, portano in sé la testimonianza
dell’apertura tipica dell’uomo all’universale e alla trascendenza » 40.
In un tale contesto dialogico – consapevole tanto delle proprie risorse
quanto dei propri confini – si inserisce la missione della Facoltà teologica
del Triveneto, chiamata, nei modi che le sono propri, a sostenere al suo
interno ma anche nel territorio circostante ogni iniziativa che promuova
l’incontro riconoscente tra coloro che amano far dono delle proprie ricchezze culturali e religiose. Un compito impegnativo, questo, assunto da
una istituzione accademica che aspira a rivolgersi a un mondo sempre piú
in preda alla chiusura dei comunitarismi e alla intolleranza dei fondamentalismi con parole che contribuiscano a purificare le relazioni, a sanare
le fratture. È evidente che solo un lavoro in rete con altre istituzioni
ecclesiastiche e secolari indirizzate al medesimo traguardo dialogico può
consentire la riuscita di un tale provvido ma allo stesso tempo gravoso
impegno.
ENRICO RIPARELLI
docente di Interculturalità e religione
Istituto superiore di Scienze religiose di Padova
Abstract
Theology in dialogue with the various cultures and religions. This contribution highlights the attention the Theological Faculty of Triveneto has always paid
to the inter-religious and inter-cultural prospects considered in a double contest.
This corresponds to the dialogic trend of modern Theology and to the increasingly
multiform religious and cultural panorama which characterizes our contemporary
society. Secondly the article focuses on the challenges implied in this dialogic disposition which, besides being aware of its invaluable contribution for a peaceful life
between men of different traditions, is able to recall the mystery of men’s unity.
40
GIOVANNI PAOLO II, Fides et ratio, in Enchiridion Vaticanum, 17, Dehoniane,
Bologna 2000, 1318.
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