SETTIMANE DI STUDIO
DELLA FONDAZIONE CENTRO ITALIANO DI STUDI
SULL’ALTO MEDIOEVO
LXIII
L’ALIMENTAZIONE
NELL’ALTO MEDIOEVO:
PRATICHE, SIMBOLI, IDEOLOGIE
Spoleto, 9-14 aprile 2015
TOMO
PRIMO
FON DAZIONE
C E NTR O I TALI ANO DI STUDI
S ULL’ALTO M E DIOE VO
SPOLETO
2016
INDICE
Consiglio di amministrazione e Consiglio scientifico della
Fondazione Centro italiano di studi sull’alto medioevo ..... pag.
IX
Intervenuti .....................................................................
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XI
Programma della Settimana di studio ................................
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XIII
MASSIMO MONTANARI, La fabbrica del cibo. Un percorso di gesti
e di idee .....................................................................
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1
JACOPO DE GROSSI MAZZORIN, I resti archeozoologici come strumento
di conoscenza dell’economia alimentare nell’alto medioevo ..........
Discussione sulla lezione De Grossi Mazzorin ....................
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21
83
LANFREDO CASTELLETTI, L’alimentazione nell’alto medioevo. Il
contributo dell’archeobotanica ...........................................
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87
MARIA CARLA SOMMA, Dal reperimento alla tavola: approvvigionamento e conservazione del cibo attraverso le fonti archeologiche .....
Discussione sulla lezione Somma ......................................
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165
209
ANTONI RIERA MELIS - MARIA SOLER SALA, La distribución y
los mercados de alimentos en el Mediterráneo Occidental (siglos
VIII-XII) ...................................................................
Discussione sulla lezione Riera Melis - Soler Sala ..............
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213
295
JEAN-PIERRE DEVROEY, La politique annonaire des Carolingiens
comme question économique, religieuse et morale ..................
Discussione sulla lezione Devroey ....................................
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299
353
UMBERTO LONGO, Una risorsa in più: miracoli e nutrimento nell’agiografia ..................................................................
Discussione sulla lezione Longo ........................................
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355
411
VI
INDICE
ALAIN DIERKENS, « Equus non prohibetur ad manducandum, tamen
non est consuetudo ». Goûts, dégoûts et interdits alimentaires
pendant le haut Moyen Âge ........................................... pag.
Discussione sulla lezione Dierkens .................................... »
413
445
VINCENT VANDENBERG, Les nourritures des affamés: décrire et
penser les aliments de substitution au haut Moyen Âge ............
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447
BRUNO LAURIOUX, Cuisine, médecine et diététique: traditions,
rencontres, distorsions entre le Ve et le XIIe siècle .................
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467
WANESSA ASFORA NADLER, Apicius in the early medieval manuscripts: medieval or roman cookery book? ............................
Discussione sulla lezione Asfora Nadler .............................
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493
515
MARIO CASARI, Ibrāhı̄miyya all’agresto: la rivoluzione gastronomica abbaside tra Oriente e Occidente ...............................
Discussione sulla lezione Casari ........................................
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519
551
FRANCESCA ROMANA STASOLLA, Luoghi e strumenti della cucina
nell’archeologia del quotidiano altomedievale .......................
Discussione sulla lezione Stasolla ......................................
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555
595
PETER STOTZ, Von Speisen und Getränken, vom Kochen und
vom Essen: Kulinarisches in der lateinischen Dichtung des
Mittelalters (bis etwa 1100) .............................................
Discussione sulla lezione Stotz ..........................................
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601
655
GINO FORNACIARI, « Tu sei quello che mangi »: le economie alimentari nelle analisi isotopiche di campioni medievali e postmedievali della Toscana ..................................................
Discussione sulla lezione Fornaciari ...................................
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657
667
VENCESLAS KRUTA, L’alimentation chez les Celtes: table des
Dieux et des héros, nourriture des mortels ..........................
Discussione sulla lezione Kruta .........................................
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671
683
LAURA PASQUINI, Il cibo nelle arti figurative ............................
Discussione sulla lezione Pasquini .....................................
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687
731
SILVANA VECCHIO, Il peccato di gola e la pratica del digiuno nella
cultura altomedievale ......................................................
Discussione sulla lezione Vecchio .....................................
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733
755
VII
INDICE
GABRIELE ARCHETTI, « Mensura victus constituere ». Il cibo dei
monaci tra Oriente ed Occidente ...................................... pag.
Discussione sulla lezione Archetti ..................................... »
757
797
ROSA FIORILLO, Il contributo dell’archeologia per la conoscenza
degli utensili della tavola nell’alto medioevo ........................
Discussione sulla lezione Fiorillo ......................................
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799
819
ANTONIO CARILE, Posto a tavola e gerarchia delle portate ..........
Discussione sulla lezione Carile ........................................
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821
847
PIER GIORGIO SPANU « Pultes et panem et merum » (aug. conf.
VI, 2, 1). Cibi e banchetti funerari tra tarda antichità e alto
medioevo .....................................................................
Discussione sulla lezione Spanu ........................................
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849
905
ALBAN GAUTIER, Festin et politique: servir la table royale dans le
haut Moyen Âge ..........................................................
Discussione sulla lezione Gautier ......................................
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907
935
MATHIEU ARNOUX, Manger ou cultiver: laboratores, oratores et
bellatores entre production et consommation (XIe-XIIIe siècle) ....
Discussione sulla lezione Arnoux ......................................
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939
963
FRANCESCO MOSETTI CASARETTO, Il banchetto sempiterno della
Cena Cypriani ...........................................................
Discussione sulla lezione Mosetti Casaretto .......................
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969
1011
GIULIO D’ONOFRIO, Il pane e il sale. La coena Domini e il
pensiero dell’alto medioevo (secc. V-XI) .............................
Discussione sulla lezione d’Onofrio ..................................
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1021
1059
PAUL TOMBEUR, La nourriture métaphore du monde et ombre du
divin ..........................................................................
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1063
FRANCESCO MOSETTI CASARETTO
IL BANCHETTO SEMPITERNO
DELLA CENA CYPRIANI
a Lucie Doležalová,
« cenatoria » amica
A Cana di Galilea 1, a ridosso del Medioevo, succede qualcosa
di strano. Non è tanto il fatto che un misterioso quanto inedito
re, di nome Gioele 2, decida di imbandire una festa di nozze;
1. L’edizione critica della Cena Cypriani, cui si riferiscono qui tutte le citazioni del
testo tardoantico, è quella di C. MODESTO ed., Studien zur « Cena Cypriani » und zu deren Rezeption, Tübingen, 1992. Le precedenti edizioni del testo si devono a K. STRECKER
ed., Iohannis diaconi versiculi de Cena Cypriani, München, 1978, pp. 857-900 (M.G.H.,
P.L.A.C., IV 2); Coena, Cypriano falso inscripta, P.L. IV, coll. 925-932. Una traduzione
italiana dell’opera (con l’ed. cit. dello Strecker a fronte) è apparsa per le cure di A. FONTANA, Anonymus. Coena Cypriani, Sotto il Monte (Bergamo) 1999. Per quanto riguarda,
invece, la tradizione manoscritta, oltre al già citato studio di Christine Modesto, si rimanda al volume di L. DOLEŽALOVÁ, Reception and Its Varieties. Reading, Re-Writing, and
Understanding « Cena Cypriani » in the Middle Ages, Trier, 2007.
2. Nella Rivelazione, infatti, un « re Gioele » non c’è, non esiste. La Sacra Scrittura
conosce soltanto due personaggi rispondenti al nome di « Gioele », nessuno dei quali
vanta, tuttavia, qualità regali: il beniamita Iohel filius Zechri (II Esr. 11.9); il profeta « minore » Iohel filius Fatuhel (Ioel 1.1), attivo in Gerusalemme, forse, nel V sec. a. C. e autore del breve libro omonimo veterotestamentario. Siamo quindi di fronte a un fantasma
parascritturale, così come strategicamente e retoricamente parascritturale è la Cena nella
sua globalità. Il regale e munifico ospite della Cena, dunque, è, a tutti gli effetti, una
maschera composita, una persona complessa, del tutto estranea alla storia biblica, ma che
si inserisce da protagonista nel quadro della cornice, ricalcando l’estrazione, il gesto e
l’auctoritas del suo evidente – quanto anonimo – predecessore biblico (cfr. Mt 22.2).
Georges Minois propende per una lettura decisamente agnitiva: « Gioele = Jahvé » (G.
MINOIS, Histoire du rire et de la dérision, s.l., 2000, Storia del riso e della derisione, trad. it. a
cura di M. CARBONE, Bari, 2004, p. 161); M. MANCA, Modalità del comico nella « Coena
Cypriani », in Riso e comicità nel Cristianesimo antico. Atti del convegno di Torino (14-16
Febbraio 2005), a cura di C. MAZZUCCO, Alessandria, 2007, p. 484, sottolinea, invece, il
contrasto comico insito nell’onomastico del personaggio: « Un re dal nome veterotestamentario, Gioele, dà un banchetto a Cana, località neotestamentaria. Viene dunque immediatamente esplicitata una ucronia il cui effetto dovrebbe essere di paradosso e dunque ridicolo ». Noi riteniamo, invece, che la comicità del personaggio sia, soprattutto,
970
FRANCESCO MOSETTI CASARETTO
quanto che a quella festa partecipi una folla surreale di – più o
meno affamati – personaggi vetero- e neo- testamentari (da Abramo all’apostolo Giovanni), che mai potrebbero incontrarsi perché
le loro esistenze sono spalmate su un arco temporale di circa duemila anni 3. È come se, d’un tratto, vedessimo cenare insieme Ermocrate, Giulio Cesare, Narsete, Eugenio di Savoia, Napoleone
Bonaparte e il generale Patton; ma non finisce qui.
Prima di mettersi a tavola, com’è costume, gli ospiti di re
Gioele fanno le prescritte abluzioni 4: tuttavia, pur trovandosi a
Cana, decidono di utilizzare l’acqua del Giordano, nonostante che
il fiume biblico non sia, topograficamente, proprio dietro l’angolo 5. Ancora: gli invitati si siedono, ma i loro posti nulla hanno a
che fare con una normale seduta cenatoria; al contrario, si tratta di
scranni disaggregati, bizzarri; spesso, decisamente ingombranti e,
legata a specifiche ed evocatrici risonanze, cfr., in merito, F. MOSETTI CASARETTO, Contaminazioni escatologiche di cornice per un modulo letterario: dalla metafora al testo, dal « banchetto » alla « Cena di Cipriano », in Studi Medievali, 43 (2002), pp. 587-593.
3. « Sotto il nome di san Cipriano, vescovo di Cartagine del III secolo, circolò per
lungo tempo, sino al secolo IX e anche più tardi, una curiosa composizione prosastica.
Ivi si narrava di un re d’Oriente, di nome Gioele, il quale, facendo nozze in Cana di
Galilea, convitò a banchetto, senza alcun riguardo per la cronologia, gran numero de’
personaggi del Vecchio e del Nuovo Testamento » (V. DE BARTHOLOMAEIS, Origini della
poesia drammatica italiana, Torino 1952, pp. 151-152); cfr. anche G. ORLANDI, Rielaborazioni medievali della « Cena Cypriani », in L’eredità classica nel Medioevo: il linguaggio comico.
Atti del III Convegno di Studio del Centro di Studi sul Teatro Medievale e Rinascimentale (Viterbo, 26-28 Maggio 1978), Viterbo, 1979, p. 19.
4. « Prima di mettersi a tavola si fa il bagno » (W. DEONNA - M. RENARD, Croyances
et superstitions de table dans la Rome antique, Bruxelles, 1961, A tavola con i Romani. Superstizioni e credenze conviviali, trad. it. a cura di M. FRATNIK, Parma, 1994, p. 110). Sul topos
cenatorio, cfr., ad esempio, PETRONIUS, Satyricon, 28.1 (Gaio Petronio. Satyricon, M. SCARSI trad. it. - G. CHIARINI praef., Firenze, 1996, p. 32). Sul particolare delle abluzioni e sul
suo significato nella Cena, cfr. MOSETTI CASARETTO, Contaminazioni cit. (nota 2), pp.
544-546.
5. Cana, infatti, si trova « a 6 km a N-E di Nazareth, sulla strada di Tiberiade » (R.
PACHE, Noveau Dictionnaire Biblique, Saint-Légier sur Vevey, 1806, Nuovo dizionario biblico, trad. it. a cura di G. MONTAGNA e S. GARGIULO, Napoli, 1987, p. 140) e, dunque,
lontano dal fiume biblico; cfr. anche p. 386. L’accostamento di Cana al Giordano, in
realtà, mostra il valore eminentemente simbolico di entrambi gli elementi topografici:
così come Cana viene citata dall’autore in quanto paradigma di festa nuziale, allo stesso
modo il Giordano viene evocato in quanto segno battesimale, con implicito riferimento
a Mt 3.4-6, 13-16; Mc 1.4-11; Lc 3.3, 21-22; Io 1.24-34. Cfr. MOSETTI CASARETTO, Contaminazioni cit. (nota 2), pp. 544-546.
IL BANCHETTO SEMPITERNO DELLA CENA CYPRIANI
971
cosa ancor peggiore, per nulla comodi. Eva, per esempio, siede su
un mucchio di foglie, Caino su un aratro, Abele sopra un secchio
per mungere, Noè, addirittura, sull’arca; Abramo sotto un albero
e Isacco su un altare; Giacobbe su una pietra e Mosè su un sasso;
Loth sta presso la porta, Gesù sul pozzo, Zaccheo sul sicomoro,
Matteo su uno sgabello e Pietro sulla cattedra; Giacomo su una
rete, Sansone su una colonna e Paolo resta in piedi; Esaù mormora: ma l’unico che ha diritto di lamentarsi è Giobbe perché gli
tocca in sorte di sedere nello sterco 6.
Se l’uomo è, davvero, un generatore di immagini « e abita un
mondo di immagini » 7, ebbene, la Cena Cypriani sembra, da subito, una sorta di innescato trasformatore di immagini in impressionistiche icone; una specie di lente tipologica e deformante, dove la realtà delle vicende bibliche muta nella surrealtà – erudita,
ma artefatta – di un segno dissacrante 8, che aspira a essere unico
6. Cfr. Cena Cypriani (MODESTO, ed. cit. [nota 1], p. 14.12-16.10): Primus itaque omnium sedit Adam in medio, Eva super folia, / Cain super aratrum, / Abel super mulgarium, /
Noe super archam, Iaphet super lateres, / Abraham sub arbore, Isaac super aram, / Iacob super
petram, Loth iuxta ostium, / Moyses super lapidem, Helias super pellem, / Danihel super tribunal, Tobias super lectum, / Ioseph super modium, Beniamin super saccum, / David super monticulum, Iohannes in terra, / Pharao in arena, Lazarus super tabulam, / Iesus super puteum, Zacheus super arborem, / Matheus in scamno, Rebecca super hydriam, / Raab super stuppam, Ruth super stipulam, / Tecla super fenestram, Susanna in orto, / Absalon in frondibus, Iudas super
loculum, / Petrus in cathedra, Iacobus super rete, / Samson super columnam, Heli super sellam,
/ Rachel super sarcinam; patiens stabat Paulus, / et murmurabat Esau, et dolebat Iob, quod solus
sedebat in stercore.
7. Cfr. G. CHERCHI, Tra le immagini. Ricerche di ermeneutica e iconologia, Fiesole (Firenze), 2002, p. 15: « L’uomo produce immagini, ne genera incessantemente, ne ha sia
dentro di sé (parvenze interiori intangibili, percettive, oniriche, mnestiche, intuitive, cognitive, allucinatorie... ) che fuori di sé (corpose apparenze che si offrono ai sensi e al
pensiero). L’uomo è dunque abitato da immagini e abita un mondo di immagini ».
8. Se ne accorge già Vinay, che, però, sembra poi non prestar fede alla bontà delle proprie intuizioni: « Ricordando che ogni volta è coinvolto con gli altri anche Gesù, è facile
immaginare come, appena barando un poco, si rischiasse di ridicolizzare tutta la Sacra Scrittura. Cosa che l’autore non sembra aver voluto se è vero, come si suppone, che la Cena sia
una parodia non già della Scrittura ma del biblismo di san Zeno di Verona » (G. VINAY, Alto
Medioevo latino. Conversazioni e no, Napoli, 2003, p. 304). In realtà, a parer nostro, l’intenzione evidente dell’Anonimo tardo-antico è proprio quella di voler parodicamente dissacrare il
Cristianesimo: cfr. MOSETTI CASARETTO, Contaminazioni cit. (nota 2), passim; vedi anche F.
MOSETTI CASARETTO, Cipriano e il suo doppio: Giovanni Immonide di fronte al problema attributivo
della « Cena », in Wiener Studien, 115 (2002), pp. 225-259. Pertanto, non concordiamo del
972
FRANCESCO MOSETTI CASARETTO
tratto emblematico. L’impressione, da subito, è che qui non ci sia
autentico anacronismo, ma, semmai, il surrealismo di una coesistenza in gran parte apparente: perché queste figure bibliche sono,
sì, giustapposte attorno allo stesso tavolo, ma restano sempre e comunque all’interno della propria pagina sacra; anche quando sembrano interagire fra loro, permangono, in realtà, dentro una bolla
tipologica, dalla quale traggono gestualità e vita.
Viene servito l’antipasto, interrotto dal sopraggiungere degli
immancabili ritardatari; quindi, il re invita tutti a indossare un’adeguata veste cenatoria e concede, all’uopo, l’uso del suo ricco
guardaroba personale. Abramo sceglie un’improbabile veste « passerina », Loth « sulfurea », Tecla « di fiamme »; « leonina » Daniele,
« aerea » Elia, « arborea » Eva; Giobbe – inutile dirlo – « tutta piaghe » 9. Ai convitati, poi, viene chiesto di mettersi ciascuno al
servizio dell’altro 10: cosa che fanno prontamente, ma per dar vita
a una raccapricciante scena collettiva di macellazione di un vitello,
comprato col denaro di Giuda, portato da Abramo, legato da
Raab con una funicella fornita da Gesù, colpito da Daniele con la
spada sguainata da Pietro, ucciso da Caino, scorticato da Elia, sviscerato da Tobia, dissanguato da Erode; poi, cotto da Rebecca e
assaggiato – ovviamente, per prima – da Eva 11.
tutto con MANCA, Modalità cit. (nota 2), p. 499, che tende a sfumare la carica irriverente della Cena: « Nella realtà, è probabile che la comicità della Coena sia stata vista, come in certe
trasmissioni televisive in cui si fa la caricatura dei potenti, più come omaggio scherzoso al testo biblico che come attentato alla sacralità, una trasgressione leggera che, come insegna Bergson, è foriera di comicità ».
9. Cfr. ANONYMUS, Cena Cypriani, 18.1-14 (MODESTO, ed. cit. [nota 1], p. 18): Primus itaque omnium accepit Zacharias albam, / Abraham passerinam, Loth sulphurinam, / Lazarus lineam, Ionas ceruleam, / Tecla flammeam, Danihel leoninam, / Iohannes trichinam,
Adam pelliceam, / Iudas argyrinam, Raab coccineam, / Herodes cardinam, Pharao marinam, /
Enoch celinam, Achar variam, / David nervinam, Helias aerinam, / Eva arborinam, Iob
biplagiam.
10. Si tratta di un abbassamento parodico della pratica delle cosiddette « diaconie », sulle
quali cfr. U. FALESIEDI, Le diaconie. I servizi assistenziali nella Chiesa antica, Roma, 1995.
11. Cfr. ANONYMUS, Cena Cypriani, 20.7-18 (MODESTO, ed. cit. [nota 1], p. 20): Vitulum adduxit Abraham, / alligavit Raab, resticulam porrexit Iesus, / pedes copulavit Helias, ferrum tradidit Petrus, / elisit Danihel, occidit Cain, / subportavit Abacuc, suspendit Absalon, /
pellem detraxit Helias, ventrem aperuit Hermocrates, / mediana suspendit Tobias, sanguinem effundit Herodes, / stercus proiecit Sem, aquam adiecit Iaphet, / lavit Heliseus, partes fecit Phalec,
/ numeravit Auses, salem misit Molessadon, / oleum adiecit Iacob, in focum imposuit Ariochus,
/ coxit Rebecca, prior gustavit Eva.
IL BANCHETTO SEMPITERNO DELLA CENA CYPRIANI
973
Si torna a tavola. Sfilano alcuni piatti minori; quindi: la cacciagione, la carne, il pesce. Il vino scorre a fiumi e porta alla scontata
ubriachezza. In realtà, ormai lo capiamo bene, a nessuno degli
ospiti di Gioele è concessa vera libertà di movimento: vivande e
bevande sono vincolate, personalizzate; sono già state assegnate dal
relativo segmento biblico di ciascuno, riscritto e riposizionato secondo la maschera cenatoria contenente. In pratica, qui ogni personaggio si comporta come un fantoccio obbligato: siede, mangia,
si traveste, beve, nella costrizione posturale del proprio retroterra,
trasformando sedia, cibo, stoffa, bevanda in parti di sé, del proprio
percorso esistenziale. In sostanza, la Cena Cypriani è un traliccio di
associazioni bibliche vincolate a uno sfondo cenatorio. Così, Giovanni il Battista deve per forza cibarsi della testa, Aronne della
lingua, Sansone della mascella, Tobia del fegato, Eva della costola,
Loth delle natiche 12, Caino del pescespada, Assalonne del capitone, Lazzaro di un’ombrina 13. E, quando si tratterà del vino, a Gesù toccherà il passito, a Giona il marsico e ad Abele il campano 14
mentre, sullo sfondo, Erodiade, al suono della cetra di Davide e al
ritmo del timpano di Maria, altro non potrà fare, che danzare 15.
Estratti dalla Scrittura, i commensali di Gioele dalla Scrittura non
12. Cfr. ANONYMUS, Cena Cypriani, 22.11-23 (MODESTO, ed. cit. [nota 1], p. 22): Primus ergo sustulit Iohannes caput, / cerebellum Absalon, linguam Aaron, / maxillam Samson,
auriculam Petrus, / oculos Lia, cervicem Holofernes, / arterias Zacharias, collum Saul, / armora
Agar, interanea Ionas, / sicotum Tobias, cor Pharao, / renalia Isaias, latus Adam, / costam
Eva, ilia Maria, / ventrem Sara, vulvam Helisabeth, / adipem Abel, femur Abraham, / caudam
Moyses, clunes Loth, / pedes Iacob, ossa collegit Ezechiel.
13. Cfr. ANONYMUS, Cena Cypriani, 22.25-24.11 (MODESTO, ed. cit. [nota 1], pp. 2224): Sustulit itaque asellum Iesus, / labionem Moyses, lupum Beniamin, / mugilem Abel, murenam Eva, / pelamidem Adam, locustam Iohannes, / gladium Cain, capitonem Absalon, / polypum Pharao, torpedinem Lia, / auratam Thamar, scarum Achar, / cantaridem David, allecem
Ioseph, / saxatilem Hieremias, umbram Lazarus, / soleam Iudith, irundinem Tobias, / argentillum Iudas, sepiam Herodes, / cornutam Esau, glaucum Ionas, / alopidam Iacob, salpam Molessadon, / denticem Isaias, araneum Tecla, / coracinum Noe, rubellionem Rebecca, / lacertum Golias, menam Maria, / helionem Samson.
14. Cfr. ANONYMUS, Cena Cypriani, 24.19-25 (MODESTO, ed. cit. [nota 1], p. 24): Passum bibebat Iesus, marsicum Ionas, / surrentinum Pharao, pellinum Adam, / laletanum Moyses,
creticum Isaac, / adrianum Aaron, arbustinum Zacheus, / arsinum Tecla, albense Iohannes, /
campanum Abel, signinum Maria, / florentinum Rachel.
15. Cfr. ANONYMUS, Cena Cypriani, 26.21-24 (MODESTO, ed. cit. [nota 1], p. 26):
Cytharam percussit David, / tympanum Maria, psalterium duxit Iubal, / choreas duxit Iudith,
cantavit Asaph, / saltavit Herodias, laudes dixit Azarias.
974
FRANCESCO MOSETTI CASARETTO
possono allontanarsi; gli è consentito unicamente di riproporre
ciò, che li caratterizza come personae, impronte su impronte.
A un certo punto, il banchetto giunge al termine. Il re, allora,
congeda gli invitati e li esorta a proseguire, comunque, i festeggiamenti, mutando ancora una volta d’abito e rincasando in giocosa e carnevalesca schiera. Ciononostante, per ogni cristiano che
si rispetti, la « cena » è sempre una ed è l’« Ultima »: in quanto tale, prevede un consequenziale « dopo-cena » di sangue, che una
simile parodia del Cristianesimo non poteva assolutamente perdersi. Così, il giorno dopo, gli stessi ospiti tornano per presentare i
doni di nozze, ma qualcosa va storto; c’è stato un furto nella sala
del banchetto, diversi oggetti sono stati portati via e Gioele, adirato, è deciso a punire il colpevole: ordina di arrestare, torturare e
indagare tutti quanti, indistintamente. Pertanto: Giovanni il Battista viene ancora decapitato, Abele ucciso, Adamo buttato fuori,
Giacobbe costretto alla fuga, Isaia straziato, lapidato Geremia, accecato Tobia; Eva è interrogata, Mosè non viene creduto, Caino
risponde « non so », Pietro è trattenuto, ma nega tutto 16. La Cena
Cypriani, in fondo, è ripetizione per rigidi fotogrammi di uno
stesso testo mentale, iterato fino all’etichettamento. Questi personaggi sono sì, « marionette senza più fili » 17, ma – proprio per la
loro intrinseca rescissione fabulatoria – sono marionette immobili
ovvero comparse ad « assetto visivo statico » 18, che vivono del lo16. Cfr. ANONYMUS, Cena Cypriani, 32.1-27 (MODESTO, ed. cit. [nota 1], p. 32): Quo
facto primus innocens decollatur Iohannes, / occiditur Abel, foras proicitur Adam, / timens obmutescit Zacharias, fugit Iacob, / queritur Enoch, turbatur Abimelech, / immutatur Nabuchodonosor,
deprecatur Abraham, / transfertur Helias, supprimitur Dina, / includitur Noe, impingitur Eglon,
/ suffigitur Iesus, dampnatur Danihel, / accusatur Susanna, alligatur Ioseph, / occiditur Maria,
tollitur Abacuc, / bestiis datur Tecla, in fornacem mittitur Ananias, / vinculis stringitur Samson,
perimitur Urias, / flagellatur Paulus, tenditur Isaias, / expoliatur Ionas, lapidatur Hieremias, /
excecatur Tobias, non creditur Moysi, / subducitur Abiron, suspenditur Absalon, / confunditur
Rebecca, transducitur Agar, / arguitur Pharao, relinquitur Israel, / addicitur Dathan, deprimitur
Chore, / copulatur Isaac, mittitur Nathan, / convincitur Amalech, maledicitur Iudas, / dehonestatur Mambres, cogitur Loth, / interficitur Finees, dimittitur Ofni, / timens moritur Heli, comprimitur Dina, / decipitur Esau, substringitur Saul, / dolet de facto Iob, interrogatur Eva, /
« nescio » clamat Cain, tenetur et negat Petrus.
17. E. ROSATI, Il riso dissimulato dall’ingegno. Parodia del rituale nella « Coena » di Giovanni
Immonide, in Dialettiche della parodia, a cura di M. BONAFIN, Alessandria, 1997, p. 126.
18. A. NICOLL, The Development of the Theatre. A Study of Theatrical Art from the Be-
IL BANCHETTO SEMPITERNO DELLA CENA CYPRIANI
975
ro esasperato quanto avulso sfavillare; vivono, cioè, della forte
pressione caricaturale, cui vengono singolarmente sottoposti 19.
In seguito a un’accurata perquisizione, il più giovane figlio di
Giacobbe, Beniamino, viene ritrovato in possesso della refurtiva;
e, tuttavia, poco dopo si scopre che il vero colpevole è Acan, figlio di Carmi 20. È consegnato agli stessi invitati perché facciano
giustizia. Gesù non aspettava altro: occasione accepta, afferra il flagrum e comincia, finalmente lui, a sferzare senza pietà 21. Blasfemo? Sì, senza dubbio; ma più del sacrilegio, qui conta l’incredulità, ovvero, conta la mano del lapsus, che, probabilmente, si cela
dietro le quinte del componimento: perché, non c’è dubbio, l’Anonimo autore della Cena Cypriani ha un rapporto culturale con la
storia sacra, non un rapporto cultuale, cioè di fede 22. Non a caso,
l’ultima immagine della Cena Cypriani è l’icona biblica per antonomasia dell’infidelitas, Sara, che, alle Querce di Mambre, ride
ginnings to the Present Day, London, 1927, Lo spazio scenico. Storia dell’arte teatrale, trad. it.
a cura di C. FALETTI, Roma, 1971, p. 12.
19. « L’aspetto che più colpisce in tutta l’opera è che le tessere del mosaico restano
tali, ossia che i diversi personaggi non entrano mai in contatto fra loro, ma ciascuno si
atteggia per conto proprio in posture e azioni del tutto avulse da quel che fanno gli altri; i loro atti o gesti o fogge vengono meccanicamente e artificialmente giustapposti,
ordinati per categorie e brutalmente elencati: modo e luogo in cui si siedono, natura e
pezzi dei cibi che consumano, abiti che vestono, etc. » (ORLANDI, Rielaborazioni cit. [nota
3], p. 20).
20. Cfr. ANONYMUS, Cena Cypriani, 34.13 (MODESTO, ed. cit. [nota 1], p. 34): Achar
filius Carmi. Nonostante il patronimico filius (!) Carmi, per evidente lectio facilior, il personaggio in Minois, Histoire du rire cit., p. 162 – forse, perché poco noto – cambia sesso e
diventa « Agar, la schiava, la concubina egiziana di Abramo, la madre di Ismaele ».
21. Cfr. ANONYMUS, Cena Cypriani, 34.15-20 (MODESTO, ed. cit. [nota 1], p. 34): Tunc
occasione accepta primus omnium / calce eum percussit Moyses, / abiit in complexo Iacob, / vestem detraxit Tecla, ad terram elisit Danihel, / lapide percussit David, virga Aaron, / flagello Iesus, medium aperuit Iudas, / lancea transfixit Eliezer.
22. Cfr. F. MOSETTI CASARETTO, Il riso inatteso di Rabano: la « Cena Cypriani », in Il
riso. Capacità di ridere e pratica del riso nelle civiltà medievali. Atti delle I Giornate Internazionali Interdisciplinari di Studio sul Medioevo (Siena, 2-4 Ottobre 2002), a cura di F.
MOSETTI CASARETTO, Alessandria, 2005, p. 104. « È molto indicativo il fatto che una storia simile, che persino oggi in una società laicizzata sarebbe considerata uno scandalo
blasfemo, abbia invece visto i natali negli ambienti ecclesiastici dei primi secoli della
Chiesa » (MINOIS, Histoire du rire cit. [nota 2], p. 162). Ci occuperemo di questi aspetti a
breve in altra sede.
976
FRANCESCO MOSETTI CASARETTO
della profezia di Dio e non crede al miracolo della propria grottesca fertilità (Gn 18.9-15) 23.
In fondo, la Cena Cypriani, governata da un re del tutto estraneo all’« epopea biblica » 24, ma il cui nome è un atto di fede reso
personaggio – Gioele > Iohel > « Yo’el » > « Yaweh El’ » 25 >
« L’Eterno è Dio » 26 > « Jhwh è Dio » 27 – è una « Bible inventée » 28: una para-Bibbia automatizzata, schematizzata, inceppata
sul meccanismo riproduttivo di un’interminabile serie di cliché, che
vengono sistematicamente ribaltati, comicizzati, ricodificati. Il
problema dell’odierna leggibilità di un simile testo, alla fine, è
quello comune a ogni messaggio parodico: emittente e destinatario qui devono appartenersi, devono, cioè, in qualche modo, co-spirare, « respirare insieme » ovvero essere culturalmente in accordo
sulla conoscenza e sul ricordo preciso della Scrittura 29. E noi,
spesso, non lo siamo. La narratologia dell’opera è esilissima, pressoché umbratile, ridotta alla mera posa dei personaggi 30; non è
tanto affidata agli « “atti” che via via compiono » 31, quanto agli
atti, che quegli stessi personaggi hanno già compiuto altrove e ai
quali la Cena figurativamente allude: si tratta, dunque, più di una
teoria di icone (non diremo sceneggiatura), che non di un vero e
proprio testo. In pratica, siamo di fronte a « ein Buch, das aus23. Cfr. ANONYMUS, Cena Cypriani, 34.28-9 (MODESTO, ed. cit. [nota 1], p. 34): Ridebat de facto Sara. Tunc explicitis omnibus domos suas repetiterunt.
24. ROSATI, Il riso cit. (nota 17), p. 125.
25. « Gioèle solo m. raro Di origine biblica (Yo’el, doppiamente teoforico, in quanto,
come Elia, contiene la ripetizione in due forma, Yaweh ed El’, del nome divino) » (E.
LA STELLA T., Santi e fanti. Dizionario dei nomi di persona, Bologna, 1993, p. 175).
26. PACHE, Nouveau cit. (nota 5), p. 381.
27. « Il Gioele che giudica il gruppo dei suoi ospiti biblici invece discende direttamente dall’etimologia del nome, Jahvé è Dio » (D. PARKER, Lo strano caso del polipo del faraone e altre questioni connesse, in Saggi su « Il nome della rosa », a cura di R. GIOVANNOLI,
Milano, 1999, p. 416).
28. A. LAPÔTRE, La « Cena Cypriani » et ses énigmes. Lettre à M. le professeur Strecker de
l’Université de Berlin, in Recherches de Science religieuse, 3 (1912), p. 500.
29. Così anche MANCA, Modalità cit. (nota 2), p. 484: « L’effetto che la Cena Cypriani
produce sul lettore moderno è paradossale: si potrebbe dire che il testo vada affrontato
con in mano una grammatica sottile e un dizionario voluminoso ».
30. « It is not quite a story » (DOLEŽALOVÁ, Reception cit. [nota 1], p. 16).
31. Così VINAY, Alto cit. (nota 8), p. 304.
IL BANCHETTO SEMPITERNO DELLA CENA CYPRIANI
977
schließlich von anderen Büchern spricht » 32: ovvero, di fronte a
un nucleo intertestuale 33, che costruisce il proprio significato riorganizzando, in funzione della propria orbita, un intero patrimonio culturale e per il quale non bisognerebbe tanto parlare di esegesi delle fonti, quanto di periegesi delle relazioni.
Tale è il paradosso della Cena Cypriani: quello di essere un componimento noiosissimo in sé, addirittura « da dormire in piedi » 34 per
il lettore enciclopedicamente impreparato a leggerlo; mentre, al contrario, divertente, se non, addirittura, esilarante per chi sia in grado di
riportarne in vita « le potenzialità comunicative » 35 ovvero in grado
di attualizzare mentalmente l’incessante serie di « freddure » bibliche,
di cui è composta. Perché la Cena Cypriani, in fondo, non è nient’altro che questo: un contenitore, un centone di « cabarettistiche » battute. Specializzate, d’accordo, da biblista; ma pur sempre di battute si
tratta. Non è stata composta per risultare « intollerabile » 36, ma per
far ridere 37. E, tuttavia, come non si può gustare la comicità di una
32. R. F. GLEI, « Ridebat de facto Sarra ». Bemerkungen zur « Cena Cypriani », in Literaturparodie in Antike und Mittelalter, a cura di W. AX - R. F. GLEI, Trier 1993, pp. 169 e sgg.
33. « L’intertestualità (...) lungi dall’essere un curioso effetto d’eco, definisce la condizione stessa della leggibilità letteraria. Di fatto non si colgono il senso e la struttura di
un’opera se non in rapporto a dei modelli (...) Rispetto a questi modelli di fondo, l’opera letteraria entra sempre in un rapporto di realizzazione, di trasformazione o di trasgressione. Fuori di questo sistema l’opera poetica è impensabile: la sua percezione presuppone una ’competenza’ nella decifrazione del linguaggio letterario (...) In altre parole: il processo di formazione che genera il testo letterario e permette la sua leggibilità,
prevede necessariamente l’assorbimento o la trasformazione di tutta una serie di altri testi; il processo di costruzione è in qualche misura un processo di assimilazione di linguaggi diversi operato da un testo accentratore che assume la responsabilità del nuovo
senso » (G. B. CONTE, A proposito dei modelli in letteratura, in Materiali e discussioni per l’analisi dei testi classici, 6, 1981, pp. 150-152).
34. Così VINAY, Alto cit. (nota 8), p. 304.
35. « Il testo è uno strumento comunicativo inerte e muto senza il lettore, che porta
o riporta alla vita le sue potenzialità comunicative » (C. SEGRE, Notizie dalla crisi. Dove va
la critica letteraria?, Torino, 1993, pp. 304-305).
36. ORLANDI, Rielaborazioni cit. (nota 3), p. 26.
37. Cfr. GLEI, « Ridebat » cit. (nota 32), p. 166: « Die Cena Cypriani ist viehlmehr, so
unsere These, ein für das ausgehende 4. Jh. typisches literarisches exercitium ingenii, das
nicht die Katechumemen lehren, sondern die schon Gelehrten zum Lachen bringen sollte ». Cfr. anche MANCA, Modalità cit. (nota 2), p. 484: « Si tratta (...) di un testo esplicitamente umoristico »; vedi anche p. 494: « Il successo comico della Coena è provato dal
gran numero di manoscritti che l’hanno trasmessa a dispetto di una potenziale censura
verso un testo imbarazzante; deve dunque esserci qualcosa di sbagliato nell’affermazione
978
FRANCESCO MOSETTI CASARETTO
barzelletta senza condividerne il retroterra allusivo, così non si può
gustare la comicità dalla Cena Cypriani senza condividerne, almeno in
parte, l’enciclopedia. Come direbbe Cesare Segre, « i limiti della nostra comprensione non ci autorizzano ad affermare che non c’è nulla
da comprendere » 38.
Viaggiando in autostrada, un giorno, mi sono trovato a dover
sorpassare un furgone, che, sulla fiancata, recava la scritta: « Abramo
Trasporti ». Non fa ridere, ma l’anonimo autore della Cena Cypriani
avrebbe riso. Perché gran parte della comicità della Cena sta proprio
lì, nel paradosso di un trasportatore, il cui nome è quello del viator
biblico per eccellenza, Abramo appunto, che, chiamato da Jhwh a
oltrepassare l’Eufrate, parte trasportando con sé, la moglie Sara, il figlio
di suo fratello, Lot, tutti suoi beni e tutti i suoi servi (Gn 12.4-5).
Abramo, nella Rivelazione, non è un trasportatore; ma lo diventa per
risum nel momento stesso, in cui l’etichetta « Abramo Trasporti » viene formulata. Ecco, la Cena Cypriani fa esattamente questo: riformula
la Bibbia sotto forma di etichette comiche e innesca così un processo
parodico di abbassamento e di riposizionamento comico di originarie
prospettive scritturali 39. È quasi un testo iniziatico. Non serve a conoscere la Bibbia, serve a divertirsi con la Bibbia. Il suo valore è
prettamente canzonatorio, ludico e ipertestuale. Chi non conosce la
Bibbia, non può ridere, ergo non può divertirsi. Rabano, nel IX sec.,
intelligentemente, rovescerà i termini: se ti vuoi divertire, impara a
conoscere la Bibbia: ma si tratta di una strumentalizzazione a fini catechetici 40. Ben altra, infatti, è la vivanda di questo convivio 41.
di Vinay per cui “come storia c’è da dormire in piedi” »; e p. 501, là dove si ribadisce
come la Cena sia un testo « accuratamente predisposto al fine – semplice e complicatissimo al tempo stesso – di far ridere un pubblico ».
38. SEGRE, Notizie cit. (nota 35), p. 303.
39. Lo sottolinea anche MANCA, Modalità cit. (nota 2), p. 493: « Non c’è dubbio che
la comicità della Coena sia tipicamente cristiana: le battute sono pressoché tutte “cristianismi” (...) Anzi, siamo forse ben al di là del “cristianismo” ».
40. Sulla specificità della rielaborazione rabaniana, cfr. F. MOSETTI CASARETTO, « Opus
imperfectum »: la « Cena Cypriani » secondo Rabano Mauro, in Actas del IX Congreso Internacional de la Asociación Hispánica de Literatura Medieval (A Coruña, 18 a 22 de Septiembre de
2001), A Coruña, 2005, pp. 205-219; ID., Il riso inatteso cit. (nota 22), pp. 99-119. Per
quanto riguarda il testo della Cena nuptialis, tradotto e commentato, cfr. Rabano Mauro Giovanni Immonide. La « Cena di Cipriano », a cura di F. MOSETTI CASARETTO - E. ROSATI, Alessandria, 2004, pp. 39-157.
41. DANTE ALIGHIERI, Convivium, I 1.14 (F. BRAMBILLA AGENO ed., Firenze, 1995, p.
6, riga 63).
IL BANCHETTO SEMPITERNO DELLA CENA CYPRIANI
979
Ucciso e sepolto il colpevole, Giuda riceve il compenso, Zaccaria benedice il Signore, Maria si stupisce. E mentre Sara non
riesce a trattenere il proprio riso 42, tutti questi fantasmi, quasi
spettri parodici per la memoria, dileguano chiassosi nella notte di
un mondo tardo-antico ormai prossimo all’estinzione, senza sapere
che, ben presto, si sarebbero ritrovati a banchettare ancora nell’Età
di Mezzo.
Il « gran pasticcio » 43 della Cena Cypriani termina così, mettendo in primo piano il sapido frammento di un riso scomposto e
scoronizzante. Non c’era, in tutta la Scrittura, miglior immagine
per concludere l’inesauribile trasgressione comica della Cena: primo riso della Bibbia, assieme a quello di Abramo (Gn 17.17;
18.12), il riso di Sara qui diventa l’ultimo 44. Esso è, per definizione, il riso improvvido, imprevisto; probabilmente, il più incredulo
e desacralizzante di tutta la Scrittura (nonostante la lettura di Hbr
11.11 e I Pt 3.6): prima e dopo l’epifania di Dio, prima e dopo il
frutto della Sua benedizione (Gn 18.12; 21.6). È il riso « che non
c’è, pur essendoci stato »; è quello negato, misconosciuto per senso di colpa (Gn 18.15: Negavit Sarra dicens non risi timore perterrita)
e, dunque, già in sé trasgressivo, già predisposto in Scriptura « a
travestire il serio ed obbligarlo a risuonare sul piano comico » 45.
Importare questo riso in un testo come la Cena Cypriani per concluderlo, significa inevitabilmente portarsi dietro tutta l’irriverente
detronizzazione del nihil impossibile Deo (Lc 1.37), che l’ha generato (Gn 18.13-14: Quare risit Sarra dicens num vere paritura sum anus
/ numquid Deo est quicquam difficile) e che collega Sara per Elisabetta a Maria (Lc 1.36-37: Et ecce Elisabeth cognata tua et ipsa concepit filium in senecta sua et hic mensis est sextus illi quae vocatur sterilis /
quia non erit inpossibile apud Deum omne verbum) su quella bizzarra
scena testuale, « stipata di figure – da Adamo a Gesù e oltre – che
normalmente nelle letture bibliche non vengono mai a contatto
tra loro » 46. Di più. Il riso di Sara, associato – com’è – all’imma42. Cfr. ANONYMUS, Cena Cypriani (MODESTO, ed. cit. [nota 1], p. 34.28): Ridebat de
facto Sara.
43. VINAY, Alto cit. (nota 8), p. 310.
44. Cfr. MOSETTI CASARETTO, Il riso inatteso cit. (nota 22), pp. 102-104.
45. M. BACHTIN, Tvorcestvo Fransua Rable i narodnaja kul’tura srednevekov’ja i Renessansa, s.l. 1965, L’opera di Rabelais e la cultura popolare. Riso, carnevale e festa nella tradizione
medievale e rinascimentale, trad. it. a cura di M. ROMANO, Torino, 1995, p. 98.
46. ORLANDI, Rielaborazioni cit. (nota 3), p. 19.
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FRANCESCO MOSETTI CASARETTO
gine basso-corporea della vecchia copulante e partoriente (Gn
18.10-12: Quo audito Sarra risit post ostium tabernaculi / erant autem
ambo senes provectaeque aetatis / et desierant Sarrae fieri muliebria /
quae risit occulte dicens / postquam consenui et dominus meus vetulus est
voluptati operam dabo), è grottesco 47 e imprime all’explicit del componimento il segno inconfondibile di quella « parodizzazione giocosa del sacro » 48, che l’attraversa ab initio usque ad finem.
« Ma infine questa roba cos’è? » 49 Che cos’è questo testo paradossale, che inizia come una parabola 50, fatto di « intollerabili » 51
elenchi 52 e di cifrate analogie; che cos’è questa confusa « cassa di
risonanza » 53 della Rivelazione, dove immagini nitide si sfocano,
dove singole identità si sdoppiano, dove gesti si replicano, volontà
dissacranti distorcono originali ortodossie; e dove non albergano
solo buoni e cattivi, ma anche giusti fatti empi e reprobi d’un
tratto immacolati? Cos’è questa assurda, onirica (s)cena nuziale, alla quale partecipano, scomposti, Adamo e l’apostolo Giovanni,
Eva e Maria, Abramo e Cristo, « mettendo in burletta Dio padre
e la celeste sua corte tutta quanta »? 54 E che « un uomo virtuoso
47. Cfr. BACHTIN, Tvorcestvo cit. (nota 45), pp. 31-32.
48. BACHTIN, Tvorcestvo cit. (nota 45), p. 94.
49. VINAY, Alto cit. (nota 8), p. 310.
50. Cfr. PARKER, Lo strano caso cit. (nota 27), p. 413 e M. BAYLESS, Parody in the Middle Ages. The Latin Tradition, Ann Arbor (Michigan), 1996, p. 19.
51. « Tale è la prosaica secchezza del testo – più spoglio ancora di ornamenti, se possibile, della sua fonte –, tale la sua antiletterarietà, tale il suo carattere piattamente elencatorio, che una lettura o tanto più un ascolto di esso doveva riuscire intollerabile millecent’anni fa quanto oggi » (ORLANDI, Rielaborazioni cit. [nota 3], p. 26; cfr. anche p. 22).
52. In realtà, tali elenchi, caratteristici della paratattica struttura narrativa del testo, altro non sono se non la parodia dei moduli di enunciazione tipici di alcuni libri vetero e
neotestamentari (cfr., ad esempio: Gn. 5.1-32; 10.1-32; 11.10-32; 22.20-24; 25.1-4; 36.140; 46.8-26; Nm. 1.1-14; 10.11-28; 26.1-51; 33.1-49; Ios. 12-21; I Sm. 30.26-30; II Sm.
23.8-39; III Rg. 4.1-19; I Par. 1-9; 11.11-46; 12.1-13; 14-3-6; 15.4-24; 23.6-24; 24.1-30;
25-27; I Esr. 2.1-59; 10.18-44; II Esr. 3.1-32; 7.6-70; 10.2-28; 11.3-36; 12.1-25, 31-42;
Mt. 1.1-17; Lc. 3.23-38; etc), oggi, probabilmente altrettanto intollerabili per il lettore
profano. Cfr. MOSETTI CASARETTO, Contaminazioni cit. (nota 2), p. 536.
53. « Die Cena Cypriani ist auf den thesaurus memoriae angewiesen, wie die Saiten des
Musikinstruments auf den Resonanzkörper » (T. RICKLIN, « Imaginibus vero quasi litteris
rerum recordatio continetur ». Versuch einer Situierung der « Cena Cypriani », in Peregrina curiositas. Eine Reise durch den orbis antiquus. Zu Ehren von Dirk Van Damme, a cura di A.
KESSLER - T. RICKLIN - G. WURST, Freiburg (Schweiz) - Göttingen, 1994, p. 227).
54. F. NOVATI, Studi critici e letterari, Torino, 1889, pp. 180-181.
IL BANCHETTO SEMPITERNO DELLA CENA CYPRIANI
981
come Cipriano » certo non avrebbe mai potuto allestire in quanto
« più degna di un infedele e di un buffone che non di un santo
martire... »? 55 Una parodia, uno scherzo conviviale o, davvero,
un « cruciverba a schema libero per esperti biblisti »? 56
Di questo paradossale banchetto di nozze tutto ci sorprende:
l’autore, il senso, le intenzioni, il contesto, i modelli e le fonti 57;
e tutto o quasi ci è oscuro, a cominciare dalla stessa data di composizione, che oscilla fra il III, il IV e il V sec. 58 Oggi, nessuno
scommetterebbe mai sulla possibilità che « una cotale insulsaggine » 59 possa varcare la soglia del Tardo Antico e inoltrarsi nel
« tempo della Cristianità » 60 totalizzante perché dopo il 476 i poli
della comunicazione letteraria cambiano rapidamente in quanto
rapidamente cambiano le condizioni storiche e politiche di produzione latina della cultura, che virano e si modellano sulle « specifiche esigenze di una civiltà culturale di impostazione monastica » 61. Eppure, « dopo la morte di san Cipriano », si può già sentire nelle biblioteche e negli scriptoria dell’Età di Mezzo « il tic55. U. ECO, Il nome della rosa, Milano, 1980, p. 440, che parafrasa la celebre frase del
Tillemont: « Le Festin est plus digne d’un Turc ou d’un boufon qui voulait se railler de
toute l’Ecriture, que d’un Martyr » (L. TILLEMONT, Mémoires pour servir à l’histoire ecclésiastique des huit premiers siècles, IV, I, Bruxelles, 1706, p. 196). E, tuttavia, cfr. STRECKER,
Iohannis diaconi versiculi cit. (nota 1), p. 861, nota 1: « Nomen Cypriani cum in codicibus
traditum sit, retinui, quamquam quin de episcopo Carthaginensi cogitari non possit nemo dubitat ». Sulle ragioni dell’attribuzione della Cena al martire Cipriano, cfr. MOSETTI
CASARETTO, Cipriano e il suo doppio cit. (nota 8), passim; vedi anche DOLEŽALOVÁ, Reception cit. (nota 1), pp. 29-32.
56. F. BERTINI, La « Cena Cypriani », in Il cibo culturale. Dal cibo alla cultura, dalla cultura al cibo, a cura di A. GUERCI, Genova, 1999, p. 375.
57. Sui modelli e sulle possibili fonti ispiratrici della Cena Cypriani, cfr. F. MOSETTI
CASARETTO, Modelli e antimodelli per la « Cena Cypriani »: il « teatro interiore », Zenone e...
Apuleio!, in Wiener Studien, 119 (2006), pp. 215-246; vedi anche DOLEŽALOVÁ, Reception
cit. (nota 1), pp. 20 e sgg.
58. Cfr. DOLEŽALOVÁ, Reception cit. (nota 1), p. 27: « I fully agree with Ricklin that
the range of time when CC [i.e. Cena Cypriani] might have been composed should be
increased from the beginning of the third century (...) till the end of the fifth century ».
Vedi anche RICKLIN, « Imaginibus » cit. (nota 53), pp. 230-238.
59. NOVATI, Studi critici cit. (nota 54), p. 178.
60. C. LEONARDI, L’eredità medievale, in Storia della letteratura italiana, I: Dalle origini a
Dante, a cura di E. MALATO, Roma, 1995, p. 65.
61. G. D’ONOFRIO, Storia della Teologia, I: I princìpi, Casale Monferrato, 1996, p. 72.
982
FRANCESCO MOSETTI CASARETTO
chettìo di una bomba a orologeria », prossima a deflagrare 62. La
Cena Cypriani è una bomba a orologeria perché la Cena Cypriani
è un complesso dispositivo semiotico, innescato e predisposto dal
Paganesimo durante la « guerra del riso fra cristiani e pagani », là
dove « il riso è stata un’arma anticristiana senza dubbio più efficace delle persecuzioni » 63. Finché esiste una cultura mentale cristiana – non tanto una cultura occidentale 64 – alla quale possa lucianamente dirigersi, la Cena resta un’opera, la cui esplosione è un
evento programmato, oltre che prevedibile.
Ancor di più, se questa cultura mentale è medievale ed è monastica. Perché? Perchè c’è una biblicità irresistibile dentro questo
testo, una provocazione esegetica, alla quale nessun autore dell’Età
di Mezzo, ecclesiastico o para-ecclesiastico che fosse, sarebbe mai
stato in grado di sottrarsi. Poco importa la profanazione comica
della Rivelazione, il fatto che la Heilsgeschichte qui sia un bersaglio
ludico, che le tipologie bibliche vengano concentrate per servire
all’irrisione, secondo un processo caricaturale o, perlomeno, molto
vicino all’impronta parossistica della caricatura 65. Per caustica, parodica e destabilizzante che sia, la Cena Cypriani resta pur sempre
uno straordinario viaggio intertestuale nella Scrittura e il Medioevo latino è sempre stato sedotto da simili pastiche a carattere sacro:
l’« esegesi per reminiscenza » 66, tipica della cultura monastica, vi
trovava piena rispondenza alle proprie forme mentali; e per tacitare lo scandalo di ogni impertinenza doveva bastare l’esposizione di
un’auctoritas rassicurante come quella ciprianea.
Il Medioevo scopre la Cena Cypriani come canovaccio possibile e come plot reinventabile a partire dal IX sec.: ovvero, quattrocento-seicento anni dopo la probabile data di composizione (III-V
62. PARKER, Lo strano caso cit. (nota 27), p. 417.
63. MINOIS, Histoire du rire cit. (nota 2), p. 153 e p. 152.
64. Cfr. G. BAGET BOZZO, Dio e l’Occidente. Lo sguardo nel divino, Milano, 1995, pp.
43, 46 e 51.
65. Con il termine « caricatura », ci riferiamo a quanto in H. BERGSON, Le rire. Essaire
sur la signification du comique, in Revue de Paris (1899), Il riso. Saggio sul significato del comico, trad. it. a cura di A. CERVESATO e C. GALLO, Roma-Bari, 1996, pp. 18 e sgg.
66. Fondata sul « gioco spontaneo delle associazioni, degli accostamenti, delle comparazioni » (J. LECLERCQ, L’amour des lettres et le désir de Dieu, Paris, 1957, Cultura umanistica e desiderio di Dio, trad. it. a cura del « Centro di Documentazione » dell’Istituto per
le scienze religiose di Bologna, Firenze, 1983, p. 99).
IL BANCHETTO SEMPITERNO DELLA CENA CYPRIANI
983
sec.). Rabano Mauro (855-856, Cena nuptialis 67), Giovanni Immonide (876-877, Cena Iohannis 68), Azelino di Reims (1047-1054,
Cena Azelini 69), l’Anonimo di Arras (XII 70-XIII 71 sec., Cena di
Arras 72) faranno di quel banchetto sempiterno una sorta di banchetto potenzialmente infinito, che, fra l’altro 73, giungerà a nuova
metabolizzazione perfino nel 1981, ne Il nome della rosa di Umberto Eco 74. Forse, Michail Bachtin aveva ragione quando affermava
che la Cena Cypriani ha la grande responsabilità di avere « inaugurato la tradizione letteraria conviviale del Medioevo » come forma
eterodossa di « simposio medievale » 75.
Come funziona la Cena Cypriani? Non è il Finnegans Wake
della cultura tardo-antica, ma ne rappresenta, sicuramente, il melting-pot. È puro divertimento con la Bibbia: un falso biblico per
67. HRABANUS MAURUS, Cena nuptialis (MODESTO, ed. cit. [nota 1], pp. 132-157); vedi
anche Rabano Mauro - Giovanni Immonide cit., pp. 94-157; MOSETTI CASARETTO, Contaminazioni cit. (nota 2), pp. 593-600.
68. IOHANNES DIACONUS, Cena Iohannis (MODESTO, ed. cit. [nota 1], pp. 178-201); vedi
anche Rabano Mauro - Giovanni Immonide cit., pp. 184-249. Per l’interpretazione della
Cena Iohannis, cfr. MOSETTI CASARETTO, Contaminazioni cit. (nota 2), pp. 600-604; ID.,
Cipriano e il suo doppio cit. (nota 8), passim.
69. AZELINUS REMENSIS, Cena Azelini (MODESTO, ed. cit. [nota 1], pp. 220-231). Sulle
caratteristiche di questa rielaborazione, cfr. F. MOSETTI CASARETTO, Azelino di Reims e il
fantasma della « Cena », in Studi Medievali, 45 (2004), pp. 79-119; ID., Contaminazioni cit.
(nota 2), pp. 604-608.
70. Così ritiene MODESTO, Studien cit. (nota 1), p. 243.
71. Così ritiene BAYLESS, Parody cit. (nota 50), p. 46.
72. ANONYMUS ATREBATENSIS, Cena Atrebatensis (MODESTO, ed. cit. [nota 1], pp. 244279). Cfr. anche BAYLESS, Parody cit. (nota 50), pp. 230-258. Sulle caratteristiche di questa rielaborazione, cfr. F. MOSETTI CASARETTO, Intorno alle corna della « Cena » di Arras, in
Poesía Latina Medieval (siglos V-XV), a cura di M. C. C. DÍAZ Y DÍAZ e J. M. DÍAZ DE
BUSTAMANTE, Firenze, 2005, pp. 801-815; ID., Contaminazioni cit. (nota 2), pp. 608-613.
73. Cfr. C. M. MONTI, La « Cena Cypriani » interpolata in un codice di Gerusalemme, in
Italia Medioevale e Umanistica, 36 (1993), pp. 235-248; L. DOLEŽALOVÁ, « Quoddam notabile
vel ridiculum »: An Unnoticed Version of the « Cena Cypriani » (Ms. Uppsala, UL C 178), in
Archivuum Latinitatis Medii Aevii, 62 (2004), pp. 137-160; ID., « Cena maletractati »: An
Unnoticed Version of « Cena Cypriani », in « Parva pro magnis munera ». Études de littérature
tardo-antique et médiévale offertes à François Dolbeau par ses élèves, M. GOULLET cur., Turnhout, 2009, pp. 195-244.
74. Cfr. ECO, Il nome della rosa cit. (nota 55), pp. 428 e sgg. Sulle caratteristiche di
questa rielaborazione, cfr. MOSETTI CASARETTO, Contaminazioni cit. (nota 2), pp. 613-617.
75. Cfr. BACHTIN, Tvorcestvo cit. (nota 45), pp. 315-316. Sull’idea della Cena come
simposio, cfr. MOSETTI CASARETTO, Contaminazioni cit. (nota 2), pp. 551 e sgg.
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FRANCESCO MOSETTI CASARETTO
esasperazione parodica 76, immersa com’è in un tessuto culturale,
che « in sostanza, parodiava tutto » 77. Certamente, non è un testo
cristiano, perlomeno non nel senso dell’ortodossia; al contrario, è
un sosia scoronizzante 78, blasfemo, dissacrante 79; una rapsodia inversa 80, la cui costituzione è funzionale a raggiungere un preciso
obiettivo: detronizzare il Cristianesimo attraverso l’egida di uno
dei suoi più insigni rappresentanti martiriali, Tascio Cecilio Cipriano (205 ca. - 258) 81.
Per farlo, l’Anonimo autore decide – in un tempo in cui
« dalla nuova religione etica il popolo si aspetta le stesse soddisfazioni che aveva avuto dal paganesimo: feste e banchetti » 82 – di
costruire il proprio erudito divertissement sulla contaminazione di
un’icona fondamentale dell’escatologia cristiana: « L’idea secondo
76. Nella misura in cui non si limita a una semplice derivazione passiva dalla Scrittura, ma dà vita a una pagina altera, virtuale, apocrifa, polisemica, ibrida, che non esiste né
dentro, né fuori la Rivelazione, ma le esiste accanto, come identità sdoppiata. Non a
caso, il Lapôtre parla di « Bible inventée par l’auteur de la Cena » (LAPÔTRE, La « Cena
Cypriani » cit. [nota 28], p. 500).
77. M. BACHTIN, Problemy poetiki Dostoevskogo, s.l. e d., Dostoevskij. Poetica e stilistica,
trad. it. a cura di G. GARRITANO, Torino, 1968, p. 166.
78. Ibidem.
79. Non concordiamo con MANCA, Modalità cit. (nota 2), p. 493, quando definisce la
Cena « un testo che, se pure un po’ dissacratorio, è perfettamente compatibile con il
programma educativo dei più rigidi Padri della Chiesa e con il progetto di sostituzione
integrale dell’apparato mitico pagano con il riferimento esclusivo al Libro ». Cosa pensasse il Cristianesimo della Cena lo comproverebbe lo stesso Fortleben medievale del testo, per il quale può essere: o riportata a giustezza esegetica, espungendo dal testo il riso
parodico e dissacrante (Rabano Mauro, Azelino di Reims, Anonimo di Arras); o, al
contrario, esasperata nella sua infrazione allo scopo di far leva proprio sulla trasgressività
dei contenuti (Giovanni Immonide). In entrambi i casi, dunque, l’incompatibilità della
Cena con l’ortodossia ci pare sancita in re ipsa. Il fatto che, poi, il testo originale sia stato
copiato e trasmesso nonostante la sua natura vagamente blasfema ed eterodossa non è significativo, dal momento che il Medioevo ha copiato e trasmesso testi di ogni genere,
senza operare alcuna effettiva censura.
80. Si cfr., ad es., la bella definizione della parodia data da Giulio Cesare Scaligero
nei suoi Poetices libri septem (1561), riportata da Massimo Bonafin: « La parodia è una rapsodia inversa, che con modificazioni verbali produce un senso comico » (M. BONAFIN,
Contesti della parodia. Semiotica, antropologia, cultura medievale, Torino, 2001, p. 11).
81. Cfr. MOSETTI CASARETTO, Cipriano e il suo doppio cit. (nota 8), pp. 225-259.
82. P. VEYNE, Le pain et le cirque. Sociologie historique d’un pluralisme politique, Paris,
1976, Il pane e il circo. Sociologia storica e pluralismo politico , trad. it. a cura di A. SANFELICE
DI MONTEFORTE, Bologna, 2013, p. 40.
IL BANCHETTO SEMPITERNO DELLA CENA CYPRIANI
985
cui la fase finale del regno prenderà l’aspetto di un banchetto preparato da Dio per i giusti » 83. Discumbere quippe nostrum, in regno
quiescere est 84. La simultaneità degli ospiti, l’apparente anacronismo
della Cena, allora, cessa subito di esistere come aporìa; anzi, la
presenza di quegli invitati è, addirittura, necessaria perché profeticamente richiesta e prefissata. È del tutto naturale, infatti, che all’abbondanza del convito celeste partecipi compatta la milizia santa
/ che nel suo sangue Cristo fece sposa 85. La Cena Cypriani, in sostanza, è un testo senza tempo o, meglio, un testo dove l’omnia tempus habent di Qohèlet (Ecl 3.1) si comprime e tutto accade simultaneamente. La compresenza a tavola di figure vissute in epoche diverse non può, né deve più sorprendere: il paradosso si risolve
con l’eterno presente della beatitudine; tutto il Cristianesimo può
e deve sedere, contemporaneamente, a quella mensa, in quanto quel
convito non è più storico, ma rimanda a una situazione trascendente, all’Empireo, là dove la serialità cronologica non ha più senso e vige, eternamente, la sintesi nuptio-cristologica dell’unanimitas
(Io 17.20-23) 86.
Ad nuptias venerunt, id est Christo crediderunt 87: la sceneggiatura
della Cena è una forma retorica ipertestuale 88, biblicamente parassitaria. Agisce sulla deformazione collaterale, più o meno « stonata » 89, del modello biblico-escatologico cristiano, di cui mimica83. A. SACCHI, Cibo, in Nuovo dizionario di teologia biblica, a cura di P. ROSSANO - G.
RAVASI - A. GIRLANDA, Cinisello Balsamo (Milano), 1988, p. 278.
84. GREGORIUS MAGNUS, Homiliae XL in Evangelia, I 13.4 (San Gregorio Magno. Omelie
sui Vangeli, H. A. HURTER ed. - G. CREMASCOLI cur., Roma, 1994, p. 168).
85. DANTE ALIGHIERI, Commedia, III: Paradiso, 31.2-3 (Dante Alighieri. Commedia, A.
M. CHIAVACCI LEONARDI cur., III, Milano, 1994, p. 855).
86. Cfr. MOSETTI CASARETTO, Contaminazioni cit. (nota 2), pp. 535-623.
87. AUGUSTINUS, Quaestiones in Evangelia, I 31 (A. MUTZENBECHER ed., Turnholti,
1980, p. 25, C.C.S.L. 44B).
88. « Chiamo ipertesto qualsiasi testo derivato da un testo anteriore tramite una trasformazione semplice (d’ora in poi diremo solo trasformazione) o tramite una trasformazione indiretta, che diremo imitazione » (G. GENETTE, Palimpsestes. La littérature au second
degré, Paris 1982, Palinsesti. La letteratura al secondo grado, trad. it. a cura di R. NOVITÀ,
Torino, 1997, p. 10).
89. « Ode è il canto; para significa « lungo », « a lato »; parodein, da cui deriva parodia,
sarebbe (di conseguenza?) il fatto di cantare a lato, quindi di cantare stonando, o in
un’altra voce, in controcanto – in contrappunto – o anche in un altro tono: deformare,
dunque, o trasporre una melodia » (GENETTE, Palimpsestes cit. [nota 88], p. 14).
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FRANCESCO MOSETTI CASARETTO
mente sfrutta linguaggio, tipologie, movenze e quant’altro, per
enfatizzarne, attraverso l’interferenza di un antimodello pagano, le
intrinseche debolezze e consumarne così, per risum, l’ideologia 90.
« Ein witziger Kopf 91 », l’Anonimo autore sa bene che « il comico della parodia implica una comunità di cultura » ed « è innanzitutto allusivo » 92; sa, quindi, che, per poter ottenere l’effetto di
detronizzazione ludica prefissato, deve riuscire ad allineare i due
insiemi contrapposti di Paganesimo e Cristianesimo in modo che
il primo possa comicamente ribaltare il secondo. Solo così, infatti,
solo realizzando una necessaria « giustapposizione di elementi incongrui » 93, egli riuscirà a provocare l’implosione per abbassamento del bersaglio parodico prescelto. In altri termini: per comprendere appieno la strategia del testo bisogna partire dalla sua etichetta paratestuale – cena, appunto – intendendola, non tanto in senso
astratto, metaforico, quanto in senso più concreto, storico-sociologico e di costume. Del resto, se ammettiamo che la Cena Cypriani
sia un testo parodico, dobbiamo pure ammettere che il riso
espresso dalla Cena Cypriani non sia un riso assoluto, fine a se stesso, ma un riso dal forte valore relativo.
Giudichiamo la Cena Cypriani per quanto esprime a livello
d’impianto: la cornice appare, da subito, capace di produrre e
contenere in sé, già solo a livello di situazione ambientale, un
equivoco comico, un calembour transcultuale. Perché nell’àmbito
della società tardo-antica lo spettro semantico del termine cena risultava ricco di un’ambivalente specularità: per i Pagani, era « l’avvenimento clou della giornata (...) il magic moment di Roma imperiale » 94, ludus decadente ed eccessivo (spesso correlato a pratiche
idolatre), contro il quale lo stesso Cipriano aveva espresso le proprie austere riserve 95; per i Cristiani, al contrario, « il banchetto
90. Cfr. BONAFIN, Contesti cit. (nota 80), p. 12 e 14.
91. P. LEHMANN, Die Parodie im Mittelalter, Stuttgart, 1963, p. 14.
92. L. OLBRECHTS-TYTECA, Le comique du discours, s.l. e d., Il comico del discorso. Un
contributo alla teoria generale del comico e del riso, trad. it. a cura di A. SERRA, Milano, 1977,
p. 130.
93. P. L. BERGER, Redeeming laughter. The comic dimension of human experience, New
York-Berlin, 1997, « Homo ridens ». La dimensione comica dell’esperienza umana, trad. it. a
cura di N. RAINÒ, Bologna, 1999, p. 76.
94. G. RACE, La cucina del mondo classico, Napoli, 1999, p. 168 e p. 365.
95. Cfr. CYPRIANUS CARTHAGINENSIS, Ad Donatum, 3 (M. SIMONETTI ed., Turnholti,
IL BANCHETTO SEMPITERNO DELLA CENA CYPRIANI
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era soltanto agape, atto di amore verso Dio e i fratelli e la cena era
quella eucaristica, in memoria di quella celebrata da Cristo alla vigilia della sua crocifissione » 96. A questo punto, si comprende bene quale sia l’infrazione di un testo, che, pur accreditandosi come
sosia simposiale delle « nozze di Cana » (Io 2.1-12) e della « parabola del banchetto di nozze » (Mt 22.1-14), si organizza, poi, come concreta situazione conviviale, sulla scansione delle portate di
una cena pagana (gustus, ferculum primum, secundum e tertium, nonché commissatio 97), con tutto ciò che questo innesto comporta in
termini di ibridizzazione (commensali « cristiani » partecipano a
una cena parabiblica nella forma, ma pagana nella sostanza).
Che la Cena Cypriani si proponga come un traslato dei banchetti romani appare
doppiamente importante. Non solo per confermare la continuità dei processi
culturali ma anche per le dinamiche che il clima bacchico, da saturnali pagani,
provoca nei partecipanti alla cena (...) sconvolge la gerarchia delle figure bibliche e rovescia in modi burleschi la sacralità austera dei protagonisti: il cibo scatena l’appetito e la golosità, il vino induce all’ebbrezza e al torpore così che
nessuno dei pur ascetici eroi e martiri del Vecchio e Nuovo Testamento riesce
a sottrarsi a tali desideri terreni o per meglio dire pagani 98.
Riassumendo: chiunque sia, l’autore della Cena Cypriani manifesta chiaramente di voler perseguire un preciso scopo: quello di
allestire una sorta di rivoluzionario carnevale, a metà fra Cielo e
Terra, fra il buffo giogo dello ius cenae e l’estasi futura degli Eletti.
1976, p. 4.41-45, C.C.S.L. 3 A); De lapsis, 14; 30 (M. BÉVENOT ed., Turnholti, 1972,
pp. 229.299-308; pp. 237.583-238.587, C.C.S.L. 3); De Dominica oratione, 18-19 (C.
MORESCHINI ed., Turnholti, 1976, pp. 101.327-102.352, C.C.S.L. 3 A); De zelo et livore,
10-17 (MORESCHINI ed., cit., pp. 80.174-85.321); etc.
96. RACE, La cucina cit. (nota 94), p. 20. Cfr. J. CARCOPINO, La vie quotidienne à Roma
à l’apogée de l’Empire, Paris 1939, La vita quotidiana a Roma all’apogeo dell’Impero, trad. it.
a cura di E. OMODEO ZONA, Roma-Bari, 2019, pp. 301-314, in particolare p. 314.
97. Cfr. MODESTO, Studien cit. (nota 1), pp. 58-63; 105-107; 112-121. « Una cena romana comprende solamente tre parti: la gustatio, la cena propriamente detta, di più portate (di regola tre, cena prima, secunda, tertia), e infine le secundae mensae; il tutto corrispondendo alla tripartizione dei nostri pasti moderni: antipasto e primi piatti, piatti principali,
dessert (...) Alla fine del pasto, nella libera commissatio del dessert, si bevono tre o nove
coppe » (DEONNA - RENARD, Croyances cit. [nota 4], pp. 102-103).
98. E. ROSATI, Introduzione, in Rabano Mauro - Giovanni Immonide. La « Cena di Cipriano », a cura di F. MOSETTI CASARETTO - E. ROSATI, Alessandria, 2004, p. 30.
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FRANCESCO MOSETTI CASARETTO
Per realizzarlo, si appropria del topos evangelico del « banchetto
nuziale » (Io 2.1-11; Mt 22.1-14; Lc 14.1-24), ben sapendo del suo
alludere all’allegoria di Cristo-« Sposo » (Io 3.29), all’Incarnazione
come « festa di nozze » 99, alla profezia del « banchetto escatologico » 100 (Is 25.6-8; Mt 8.11-12; Lc 13.23-30), alla « festa di nozze » a
tempo indefinito, che si svolgerà, per i soli beati 101, nella Gerusalemme celeste (Apc 19.7-9; 21.2), e lo rappresenta come lo spettacolo di un’anacronistica cena mondana, con tutte le epicuree dissolutezze di rito, alla quale, secondo Lattanzio, chiunque avesse
partecipato sarebbe tornato impuro e contaminato 102. Si può immaginare il valore comicamente irriverente, che doveva assumere
per il lettore tardo-antico constatare la paradossale presenza degli
eroi biblici a uno di questi vièti luxuriosa convivia e, al contempo,
il veder progressivamente precipitare, al ritmo serrato delle portate
di una trimalchionica abbuffata 103, l’immaginario simposiale del
compimento soterico, già consacrato dalla frugale cena pasquale di
Cristo e da Lui posto come sempiterna e spirituale cena futura 104.
99. Cfr. Mt 9.14-15. Cfr. anche Mc 2.18-20, Lc 5.33-35 e GREGORIUS MAGNUS, Homiliae XL in Evangelia II 38.3 (HURTER - CREMASCOLI, ed. cit. [nota 84], p. 520).
100. « Sarà un banchetto, al termine del travaglio della storia dell’umanità, a costituire
il compimento, riunendo intorno alla stessa mensa tutte le genti » (G. SAVAGNONE, Il banchetto e la danza. La vita spirituale nella società postmoderna, Milano, 1999, p. 28). Cfr. anche O. DA SPINETOLI, Matteo. Il vangelo della chiesa, Assisi, 1998, p. 259: « L’era messianica
è simboleggiata nell’immagine di un convito ».
101. Cfr. Lc 12.35-37 e Apc 3.20.
102. LACTANTIUS, De mortibus persecutorum, 37 (P.L. 7, col. 253A): Ut quisquis ad caenam
vocatus esset, inquinatus inde atque impurus exiret.
103. Gustus, ferculum primum, secundum e tertium, nonché commissatio, cfr. DEONNA RENARD, Croyances cit. (nota 4), pp. 102-103.
104. Et primo die azymorum quando pascha immolabant dicunt ei discipuli / quo vis eamus et
paremus tibi ut manduces pascha / et mittit duos ex discipulis suis et dicit eis / ite in civitatem et
occurret vobis homo laguenam atque baiulans / sequimini eum / et quocumque introierit dicite domino domus / quia magister dicit / ubi est refectio mea ubi pascha cum discipulis meis manducem
/ et ipse vobis demonstrabit cenaculum grande stratum / et illic parate nobis / et abierunt discipuli
eius / (...) / et præparaverunt pascha / Vespere autem facto venit cum duodecim / (...) / Et
manducantibus illis accepit Iesus panem / et benedicens fregit et dedit eis et ait / sumite hoc est
corpus meum / Et accepto calice gratias agens dedit eis / et biberunt ex illo omnes / et ait illis /
hic est sanguis meus novi testamenti qui pro multis effunditur / amen dico vobis / quod iam non
bibam de gemine vitis / usque in diem illum cum illud bibam in regno Dei (Mc 14.12-25).
IL BANCHETTO SEMPITERNO DELLA CENA CYPRIANI
989
Si spiega, così, per quale motivo, nonostante Mt 22.1-14 105,
siamo di fronte a non a un prandium, ma a una cena Cypriani 106:
perché solo una cena poteva essere capace di esprimere sia il sacrificio salvifico di Cristo, sia il kitsch opulento di un Trimalchione;
perché solo a cena, l’edonismo romano poteva incontrare, in un
buffo quanto improbabile perimetro eucaristico-triclinare, la caritas
cristiana; perché solo a cena era possibile far provocatoriamente
combaciare la figura conviviale eucaristica con il promittis ad cenam, nec venis? 107, violando l’icona del banchetto edenico 108 con la
gestualità abbassante di un banchetto romano 109.
La Cena Cypriani si conferma, quindi, un ibrido per essere risibile. Del resto,
in una religione ritualizzata come il cattolicesimo in cui tutto ruota attorno alla
ripetizione quotidiana della stessa cerimonia – con gli stessi gesti e le stesse parole in tutte le chiese – che riproduce l’ultimo pasto, la Cena, era inevitabile
che ne apparisse molto presto una deformazione comica sotto forma di parodia.
Dal pasto sacro al banchetto buffonesco il passo è breve 110.
La parodia non è mai un moto semiotico autonomo, ma derivato: per prodursi e per compiersi, può soltanto utilizzare l’energia, che riesce a sottrarre all’oggetto parodiato, contaminandolo.
E, tuttavia, la trasgressione della Cena non si ferma qui. Prendia105. « Cana », infatti, è più un riferimento all’emblema nuziale, che non al mero simbolo simposiale, cfr. MOSETTI CASARETTO, Contaminazioni cit. (nota 2), p. 539.
106. Lo si deve, in particolare, alla (finora) trascurata interferenza della cena di Lc 14.124. Cfr. PASCHASIUS RADBERTUS, In Mathaeum, X 22, 1.2 (B. PAULUS ed., Turnholti, 1984,
pp. 1070.150-151, C.C.C.M. 56B): Quod Matheus prandium dicit Lucas cenam vocat. Cfr.
MOSETTI CASARETTO, Contaminazioni cit. (nota 2), pp. 541-544; vedi anche pp. 577-586
e, in particolare, p. 584.
107. PLINIUS MIN., Epistolae, I 15: Septicio Claro Suo,1 (B. RADICE ed., Cambridge, Massachusetts, 1972, p. 46).
108. Cui l’Eucarestia stessa teologicamente rimanda (Mc 14.12-25) e che l’Anonimo sa
bene – e questo è interessante! – essere prefigurazione storica del banchetto escatologico
dei Giusti. Cfr. Lc 22.29: Ego [sc. Christus] dispono vobis sicut disposuit mihi Pater meus regnum / ut edatis et bibatis super mensam meam in regno. Il banchetto è descritto, soprattutto, nei Vangeli di Matteo e di Luca (Mt 8.11-12; 22.1-14; Lc 13.23-30; 14.1-24), e nell’Apocalisse (Apc 3.20; 19.7-9). Per questi aspetti si rimanda a MOSETTI CASARETTO, Contaminazioni cit. (nota 2), pp. 535-623.
109. Cfr. DEONNA - RENARD, Croyances cit. (nota 4), pp. 102-103.
110. MINOIS, Histoire du rire cit. (nota 2), p. 161.
990
FRANCESCO MOSETTI CASARETTO
mo in mano la bella fabella 111 delle nozze di Amore e Psiche, contenuta nel VI libro delle Metamorfosi di Apuleio:
§ 23. Sic fatus iuber Mercurium deos omnes ad contionem protinus convocare,
ac si qui coetu caelestium defuisset, in poenam decem milium nummum conventum iri pronuntiare. Quo metu statim completo caelesti theatro pro sede
sublimi sedens procerus Iuppiter sic enuntiat: « Dei conscripti Musarum albo,
adolescentem istum quod manibus meis alumnatus sim profecto scitis omnes.
Cuius primae iuventutis caloratos impetus freno quodam coercendos existimavi;
sat est cotidianis eum fabulis ob adulteria cunctasque corruptelas infamatum.
Tollenda est omnis occasio et luxuria puerilis nuptialibus pedicis alliganda.
Puellam elegit et virginitate privavit: teneat, possideat, amplexus Psychen semper suis amoribus perfruatur ». Et ad Venerem conlata facie: « Nec tu », inquit,
« filia, quicquam contristere nec prosapiae tantae tuae statuque de matrimonio
mortali metuas. Iam faxo nuptias non impares sed legitimas et iure civili congruas », et ilico per Mercurium arripi Psychen et in caelum perduci iubet. Porrecto ambrosiae poculo: « Sume », inquit, « Psyche, et immortalis esto, nec umquam digredietur a tuo nexu Cupido sed istae vobis erunt perpetuae nuptiae ».
§ 24. Ne mora, cum cena nuptialis affluens exhibetur. Accumbebat summum
torum maritus Psychen gremio suo complexus. Sic et cum sua Iunone Iuppiter
ac deinde per ordinem toti dei. Tunc poculum nectaris, quod vinum deorum
est, Iovi quidem suus pocillator ille rusticus puer, ceteris vero Liber ministrabat,
Vulcanus cenam coquebat; Horae rosis et ceteris floribus purpurabant omnia,
Gratiae spargebant balsama, Musae quoque canora personabant. <Tunc> Apollo cantavit ad citharam, Venus suavi musicae superingressa formonsa saltavit,
scaena sibi sic concinnata, ut Musae quidem chorum canerent, tibias inflaret
Saturus, et Paniscus ad fistulam diceret. Sic rite Psyche convenit in manum
Cupidinis et nascitur illis maturo partu filia, quam Voluptatem nominamus 112.
La fabula mostra sorprendenti prossimità con il componimento
dello pseudo Cipriano 113; una prossimità molto maggiore e molto
più convincente di quella che si è via via ipotizzata con altri testi,
quali l’Ad Neophytos post baptisma di san Zeno di Verona 114, il
111. Cfr. APULEIUS, Metamorphoseon libri XI, 6.25 (Apuleio. Le Metamorfosi o l’Asino d’oro, A. FO trad. comm., s.l., 2002, p. 280).
112. APULEIUS, Metamorphoseon libri XI, 6.23-24 (FO, ed. cit., pp. 278-280).
113. Benché, finora, non sia mai citata da alcuno studioso quale possibile paradigma
per la Cena Cypriani; per uno studio dei rapporti fra i due testi, cfr. MOSETTI CASARETTO,
Modelli e antimodelli cit. (nota 57), pp. 240 e sgg.
114. ZENO VERONENSIS, Tractatus, I 24 (II 38): post traditum baptisma (B. LÖFSTEDT ed.,
IL BANCHETTO SEMPITERNO DELLA CENA CYPRIANI
991
trentasettesimo capitolo delle Constitutiones Apostolorum 115, la « cena
di Trimalchione » 116, lo Iudicium Coci et Pistoris iudice Volcano di
Vespa 117, il Testamentum Grunii Corocottae Porcelli 118: al punto, da
farci ritenere che l’Anonimo, nel comporre la Cena Cypriani, abbia modellato le forme della propria irriverenza, ispirandosi alle
Metamorfosi. Non solo, infatti, la fabula di Apuleio appare congruente dal punto di vista retorico, strategico e strutturale 119; non
solo in essa si avverte lo svolgersi – seppur più contenuto – di una
medesima sceneggiatura paratattica, per così dire, da canovaccio
mimico; ma anch’essa: a) ruota sul doppio simbolo di un banchetto
di nozze; b) cui prende parte una folla di commensali sacri, eterni
e illustri (gli dèi e le dee dell’Olimpo); c) invitata da un allestitore, che ha contemporaneamente funzione di re e di divinità supreTurnholti, 1971, pp. 71-72, C.C.S.L. 22). Benché da più di quattrocento anni il sermone Ad Neophytos post baptisma di san Zeno di Verona circoli come una delle fonti cristiane più accreditate per la Cena Cypriani, la plausibilità di una stretta relazione di dipendenza della Cena Cypriani dall’Omelia è stata prima ridimensionata da Christine Modesto (MODESTO, Studien cit. [nota 1], pp. 108-111 e 116-117) e poi da noi stessi sconfessata, cfr. MOSETTI CASARETTO, Modelli e antimodelli cit. (nota 57), pp. 225-230). Vedi anche DOLEŽALOVÁ, Reception cit. (nota 1), pp. 21-22.
115. F. X. FUNK ed., Didascalia et Constitutiones Apostolorum, 2 voll., I, Paderborn,
1905, pp. 436-439. Sui rapporti fra la Cena e le Constitutiones Apostolorum, cfr. MOSETTI
CASARETTO, Modelli e antimodelli cit. (nota 57), pp. 230-232.
116. PETRONIUS, Satyricon, 26.7-78.8 (K. MUELLER ed., Stutgardiae et Lipsiae, 1995, pp.
21-76). Sui rapporti fra la Cena e il testo di Petronio, cfr. MOSETTI CASARETTO, Modelli e
antimodelli cit. (nota 57), pp. 232-235.
117. B. BALDWIN ed., The « Iudicium Coci et Pistoris » of Vespa, in Filologia e forme letterarie. Studi offerti a Francesco Della Corte, IV, Urbino, 1987, pp. 135-149. Sui rapporti fra
la Cena e lo Iudicium, cfr. MOSETTI CASARETTO, Modelli e antimodelli cit. (nota 57), pp.
235-238.
118. F. BÜCHELER ed., Testamentum Porcelli, in Petronii saturae, Berlin, 1963, pp. 346347. Cfr. anche B. Mocci ed., « Testamentum porcelli ». Una problematica parodia tardolatina, Innsbruck, 1981; N. A. BOTT ed., Testamentum porcelli, diss., Zürich, 1971, pp. 13-17.
Sui rapporti fra la Cena e il Testamentum porcelli, cfr. MOSETTI CASARETTO, Modelli e antimodelli cit. (nota 57), pp. 238-239.
119. Per esempio, in entrambi i testi è sempre l’avverbio temporale tunc a essere cardine di apertura della scena (l’incipit con l’avverbio tunc in posizione iniziale è il più frequente nella Cena Cypriani, cfr. 14.5; 16.11; 18.1, 4; 20.20; 22.7; 26.6; 30.3, 24; 34.15,
21, 29, MODESTO, ed. cit. [nota 1], p. 14; 16; 18; 20; 22; 26; 30; 34); in entrambi troviamo lo stratagemma stilistico di mutare di volta in volta l’ordine dei sintagmi, alternando
alla forma <nome> + <oggetto> o verbo> la variante trasposta, cioè <oggetto> o
<verbo> + <nome>; etc.
992
FRANCESCO MOSETTI CASARETTO
ma (Iuppiter 120); d) presentata come un secco elenco di personaggi;
e) ciascuno dei quali partecipa al convito in modo associativo; f)
ed è collegato, attraverso un identico principio fabulatorio analogico, a un oggetto o a un’azione relativo alla sua storia e alla sua
identità (ad esempio, Ganimede versa il nettare a Giove in quanto
suus pocillator, Vulcano è messo ai fornelli perché tipicamente legato al fuoco e alla fucina, Apollo cantavit ad citharam in quanto illustre poeta e citaredo, Panisco suona la zampogna in quanto « piccola divinità che rappresenta una sorta di Pan » 121, etc). Di più.
Anche la fabula di Amore e Psiche – come la Cena 122 – termina
con immagini connesse alla gravidanza e al parto: Sic rite convenit
in manum Cupidinis et nascitur illis maturo partu filia 123. Una somiglianza grottesca, che acquista maggior rilievo se si ragiona sulla
qualità ludica del nascituro: « Voluttà » (quam Voluptatem nominamus 124), là dove, nella Cena si allude alla nascita di Isacco cioè del
« Riso » (Gn 21.6). Non c’è molta distanza fra i due segni.
Alla fine, sembra davvero che l’Anonimo tardo-antico abbia
guardato al paradigma apuleiano come alla matrice mediante la
quale confezionare le diverse scene del suo testo; ma qual è il
senso di un simile coinvolgimento? Parodico. In entrambi i componimenti siamo di fronte non a una cena di nozze terrena (cioè
storica), ma celeste (cioè metastorica). Questo vuol dire che, teologia a parte, la situazione conviviale della Cena è equiparabile alla
situazione conviviale descritta in Apuleio, anzi: sembra quasi esserne la traduzione cristiana. Di più. Ad aumentare quest’impressione, interviene anche l’a-temporalità, in cui sono calate le due
cornici: le nozze di Amore e Psiche, infatti, vengono definite
« eterne » (perpetuae nuptiae 125), esattamente come « eterne » 126 sono
120. APULEIUS, Metamorphoseon libri XI, 6.23 (FO, ed. cit. [nota 111], p. 278).
121. FO, ed. cit. (nota 111), p. 613.
122. Che si conclude, citando in rapida sequenza le tre puerpere tipologiche della Storia
Sacra: Confunditur Helisabeth, stupet Maria, ridebat de facto Sarra (ANONYMUS, Cena Cypriani,
34.27-28, MODESTO, ed. cit. [nota 1], p. 34) Cfr. MOSETTI CASARETTO, Il riso inatteso cit. (nota
22), pp. 102-104; GLEI, « Ridebat de facto Sarra » cit. (nota 32), p. 153 e sg.
123. APULEIUS, Metamorphoseon libri XI, 6.24 (FO, ed. cit. [nota 111], p. 280).
124. APULEIUS, Metamorphoseon libri XI, 6.24 (FO, ed. cit. [nota 111], p. 280).
125. APULEIUS, Metamorphoseon libri XI, 6.23 (FO, ed. cit. [nota 111], p. 278).
126. Cfr. ad esempio, HRABANUS MAURUS, Allegoriae in sacram Scripturam, C (P.L. 112,
coll. 892D-893A): « Caena » est dulcedo contemplationis, ut in Evangelio: « Homo quidam fe-
IL BANCHETTO SEMPITERNO DELLA CENA CYPRIANI
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le nozze dell’Agnello (= il « banchetto edenico »), che avranno
luogo nella Gerusalemme celeste (Apc 19.7-9, 21.2). Così, se Apuleio innesca e fa (scherzosamente) deflagrare la tipologia del « teatro celeste » 127, altrettanto scherzosamente la Cena Cypriani innesca
e fa deflagrare la tipologia del « teatro di Cristo » 128, posta all’explicit della Storia della Salvezza 129. E ciò significa, in definitiva, che
l’infrazione della Cena Cypriani è una sacrilega violazione di témenos, di confine sacro 130, nella piena consapevolezza del valore trasgressivo e paradossale rappresentato da una così blasfema ibridizzazione (i personaggi biblici sostituiscono a tavola gli dèi pagani; il
banchetto eterno nuziale di Cristo è virtualmente parificato al
banchetto eterno nuziale di Amore e Psiche, etc). E significa, parimenti, che l’intentio operis, espressa dal dispositivo testuale, è, inequivocabilmente, quella di realizzare una grande profanazione comica 131. Perché?
cit caenam magnam », recubuit super pectus eius, quod quilibet perfectus reficitur in contemplatione
a sapientia Christi. « Caena » refectio vitae aeternae, ut in Evangelio: « Homo quidam fecit coenam magnam », quod ad refectionem electis suis vitam perducit aeternam.
127. APULEIUS, Metamorphoseon libri XI, 6.23 (FO, ed. cit. [nota 111], 278).
128. Cfr. NOVATIANUS, De spectaculis, 10.4 (G. F. DIERCKS ed., Turnholti, 1972, p. 179,
C.C.S.L. 4).
129. In convivio nuptiali non initium sed finis quaeritur (HIERONYMUS STRIDONIUS, In Matthaeum, III 1738-1739, D. HURST - M. ADRIAEN ed., Turnholti, 1969, p. 202, C.C.S.L.
77); Quid hora coenae, nisi finis est mundi? (GREGORIUS MAGNUS, Homiliae XL in Evangelia,
II 36.2, HURTER - CREMASCOLI, ed. cit. [nota 84], p. 484); Idcirco autem hoc convivium Dei
non prandium sed coena vocatur: quia post prandium coena restat, post coenam vero convivium
nullum restat. Et quia aeternum Dei convivium nobis in extremo praeparabitur, rectum fuit ut hoc
non prandium, sed coena vocaretur (GREGORIUS MAGNUS, Homiliae XL in Evangelia, II 36.2,
HURTER - CREMASCOLI, ed. cit. [nota 84], p. 484); Per coenam aeternum et ultimum convivium designatur (GREGORIUS MAGNUS, Homiliae XL in Evangelia, II 38.1, HURTER - CREMASCOLI, ed. cit. [nota 84], p. 518); Per cenam illam ultimum convivium quod habitaturi sunt
sancti in regno Dei utique designatur (PASCHASIUS RADBERTUS, In Matthaeum, X 22, 1.2, PAULUS, ed. cit. [nota 106], p. 1070.153-161); Hic nuptiae vitae caelestis et in resurrectione suscipiendae aeternae gloriae sacramentum est (ILARIUS PICTAVIENSIS, In Matthaeum, 22.3, J. DOIGNON ed., Paris, 1979, p. 144, S.C. 258).
130. « La struttura culturale di una società normalmente consiste in due cerchi concentrici: uno interno che è costituito esclusivamente dal sacro, ed uno esterno che, sebbene sia in relazione con il sacro, ha una circonferenza difesa con minor vigilanza e che
descriviamo come secolare o profana » (N. FRYE, Mito metafora simbolo, trad. it. di C.
PEZZINI PLEVANO e F. VALENTE GORJUP, Roma, 1989, p. 49).
131. Cfr. BAYLESS, Parody cit. (nota 50), p. 33. « The Cena satirizes the use of earthly
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FRANCESCO MOSETTI CASARETTO
Mettiamo un punto fermo. La Cena Cypriani nasce dalla provocazione di una precisa humus: quella dello scontro apologetico sul
« teatro-spettacolo » di epoca basso-imperiale 132. In questo senso, la
Cena è un testo parodico: in quanto la parodia si dà come risultato
del contatto (della frizione) fra « modelli » e « antimodelli » culturali 133, ovvero, si dà come spazio letterario conteso fra la regola e l’infrazione. La rescissione culturale della societas Christianorum dai ludi
scaenici da un lato – « controcorrente rispetto alla pratica sociale della
città tardoantica » 134 – e il contemporaneo tentativo di recupero creativo, da parte di quella stessa societas, delle categorie teatrali dall’altro,
costituiscono il presupposto storico perché la Cena Cypriani possa essere stata concepita come testo 135.
Tertulliano, De spectaculis: Si scenicae doctrinae delectant, satis nobis litterarum est 136. La storia della Cena Cypriani come testo parodico parte da qui, dal paradosso di questo invito, che è molto più di
una semplice trovata omiletica per allontanare i Cristiani dalle arene e dai « teatri »: è il tentativo di assimilare la Bibbia a uno spettacolo auto-referenziale 137. Il retroterra è noto. Per opporsi al dilagare degli spettacoli, la vera religio si autopercepì, si ridefinì, miterms to convey the realities of a divine state »; vedi anche MINOIS, Histoire du rire cit.
(nota 2), p. 161: « Il tema del banchetto è doppiamente o triplicemente parodico ed
evoca al contempo i banchetti antichi, quello che Giuliano l’Apostata aveva descritto, in
onore di Cerere, e i banchetti evangelici della parabola raccontata da Matteo ».
132. Sul quale cfr. L. LUGARESI, Il teatro di Dio. Il problema degli spettacoli nel cristianesimo
antico (II-IV secolo), Brescia, 2008. Sul fenomeno in generale, cfr. CARCOPINO, La vie quotidienne cit. (nota 96), pp. 232-283.
133. Cfr. M. CORTI, Modelli e antimodelli nella cultura medievale, in Strumenti critici, 35
(1978), pp. 3-29; CONTE, A proposito cit. (nota 33), passim; in particolare, cfr. MOSETTI
CASARETTO, Modelli e Antimodelli cit. (nota 57), passim.
134. LUGARESI, Il teatro di Dio cit. (nota 132), p. 10.
135. Cfr. F. MOSETTI CASARETTO, Il teatro mediolatino (secc. V-XII), in G. CHIARINI - F.
MOSETTI CASARETTO, Introduzione al teatro latino, s.l., 2004, pp. 140-141; vedi anche MOSETTI CASARETTO, Cipriano e il suo doppio cit. (nota 8), pp. 236-259.
136. TERTULLIANUS, De spectaculis, 29.4 (E. DEKKERS ed., Turnholti, 1954, p. 251,
C.C.S.L. 1).
137. In proposito, cfr. anche quanto in F. MOSETTI CASARETTO, Le prospettive di carta
del teatro mediolatino, in La scena assente? Realtà e leggenda sul teatro nel Medioevo. Atti delle
II Giornate Internazionali Interdisciplinari di Studio sul Medioevo (Siena, Certosa di
Pontignano, 13-16 Giugno 2004), a cura di F. MOSETTI CASARETTO, Alessandria, 2006,
pp. 47-90; in particolare, le pp. 62-66; vedi anche MOSETTI CASARETTO, Il teatro mediolatino cit. (nota 135), pp. 140-141.
IL BANCHETTO SEMPITERNO DELLA CENA CYPRIANI
995
meticamente, « teatro »: teatro-altro, luogo ludico-altro, autorizzato, sacro, morale, edificante, il solo degno d’essere guardato. Ebbene, è nella prospettiva di questo conato ri-modellizzante 138, che
si può comprendere lo scopo, la comicità e l’irriverenza della Cena Cypriani. La condanna della teatralità demagogica, prestata a
soddisfare « i desideri della carne » (Rm 13.14) di un pubblico decadente e massificato, era già delle classi colte e aristocratiche romane (Cicerone, Seneca, etc); ma, mentre la posizione pagana era
rinunciataria, cioè passiva, in quanto limitata al disprezzo intellettuale ed estetico 139, la posizione cristiana, invece, appariva reattiva
perché propositiva: Habet Christianus spectacula meliora, si velit, habet
veras et profuturas voluptates, si se recollegerit 140.
Per il Cristianesimo si trattava, insomma, di costruire un’autentica alternativa drammatica, che riuscisse ad appropriarsi dell’intera gamma espressiva della « spettacolarità » antica, per sovrascriverla ed estirparla, così, dalla società.
Quis est iste circissarius? Quis est iste amator et laudator illius venatoris, illius
histrionis? (...) Quid ergo facimus, fratres? Dimissuri eum sumus sine spectaculo? Morietur, non subsistet, non nos sequetur. Quid ergo facimus? Demus pro
spectaculis spectacula. Et quae spectacula daturi sumus Christiano homini,
quem volumus ab illis spectaculis revocare? 141
La risposta è scontata:
Scripturis, inquam, sacris incumbat Christianus fidelis: ibi inveniet condigna fidei spectacula. Videbit instituentem Deum mundum suum et cum ceteris ani138. « Ogni qualvolta compare nella cultura un’ideologia o un programma in qualche
modo deviante, si crea un processo semiotico conflittuale dentro la società fra il « diverso », che abbisogna di nuovi modelli strutturanti, cioè di nuove strutture semiotiche, e il
già codificato, che sovrasta con le proprie altrimenti orientate » (CORTI, Modelli e antimodelli cit. [nota 133], p. 9).
139. Cfr. MOSETTI CASARETTO, Le prospettive cit. (nota 137), pp. 57 e sgg. « Per gli autori
pagani che prendono le distanze da questo o da quell’aspetto della spettacolarità loro contemporanea si tratta spesso di una questione estetica più che morale, di stile più che di sostanza, e le ragioni della loro ripulsa non attingono praticamente mai la profondità, l’ampiezza e la radicalità del giudizio cristiano » (LUGARESI, Il teatro di Dio cit. [nota 132], p. 24).
140. NOVATIANUS, De spectaculis, 9.1 (DIERCKS, ed. cit. [nota 128], p. 177).
141. AUGUSTINUS, Enarrationes in Psalmos, 39.8-9 (E. DEKKERS - I. FRAIPONT ed., Turnholti, 1956, pp. 431.30-432.8, CCSL 38).
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FRANCESCO MOSETTI CASARETTO
malibus homines, illam admirabilem fabricam melioremque facientem. Spectabit mundum in delictis suis, iusta naufragia, piorum praemia impiorumque supplicia, maria populo siccata et de petra rursus populo maria porrecta. Spectabit
de caelo descendentes messes, non ex areis aratro impressas. Inspiciet flumina
transitus siccos refrenatis aquarum agminibus exhibentia. Videbit in quibusdam
fidem cum igne luctantem, religione superatas feras et in mansuetudinem conversas. Intuebitur et animas ab ipsa iam morte revocatas, considerabit etiam de
sepulcris admirabiles ipsorum comnsummatorum iam vitas corporum redactas.
Et in his omnibus iam maius videbit spectaculum, diabulum illum qui totum
detriumphaverat mundum sub pedibus Christi iacentem. Quam hoc decorum
spectaculum, fratres, quam iocundum, quam necessarium, intueri semper spem
suam et oculos aperire ad salutem suam! Hoc est spectaculum quod videtur
etiam luminibus amissis, hoc est spectaculum quod non exhibet praetor aut
consul, sed qui est solus et ante omnia et super omnia, immo ex quo omnia,
Pater Domini nostri Iesu Christi, cui laus et honor in saecula saeculorum 142.
La stessa linea escatologica della Storia della Salvezza, con i suoi
eroi, i suoi protagonisti e i suoi martiri si rendeva, di colpo, « teatro »,
dramma di Dio. Un dramma, uno spettacolo, che appariva totalmente
introiettato, al quale si assisteva nel buio della memoria, nella solitudine della propria mente; per il quale la vista e l’udito del corpo non erano più necessari, anzi: venivano considerati come aggressori dell’anima
e della sua quiete. In pratica, il Cristianesimo, nello sforzo di contrastare mimi e gladiatori, tentò di sospingere il concetto di rappresentazione oltre il Finito, piegandolo sull’immaginario, per fare dell’evento
spettacolare un evento traslitterato, l’esito proiettivo di un raccoglimento e di una meditazione, ritenute essenziali per la Salvezza individuale. Questo processo di metaforizzazione « teatrale » della pagina sacra, trasformata in alia spectacula, in spectacula Christianorum sancta perpetua gratuita 143, fu omogeneo, ripetutamente proposto e iterato, soprattutto in sede omiletica 144; si tratta, pertanto, di posizioni diffuse, condivise e iterate da quasi tutta la pubblicistica cristiana tardo-antica, tanto
da poter costituire una reale piattaforma enciclopedica per quella società di Pagani e cristiani in un’epoca d’angoscia 145.
142. NOVATIANUS, De spectaculis, 10.1-4 (DIERCKS, ed. cit. [nota 128], pp. 179-179).
143. TERTULLIANUS, De spectaculis, 29-30 (DEKKERS - FRAIPONT, ed. cit. [nota 136], pp.
251-253).
144. Cfr. su questo LUGARESI, Il teatro di Dio cit. (nota 132), pp. 8 e sgg.
145. E. R. DODDS, Pagan and Christian in an Age of Anxiety, Cambridge (Massachusset-
IL BANCHETTO SEMPITERNO DELLA CENA CYPRIANI
997
Vista in questa prospettiva, la Cena Cypriani non è soltanto
una brillante parodia della Bibbia: la Cena Cypriani è, anche e soprattutto, una brillante parodia della Bibbia come surrogato teatrale, come « teatro » interiore. Per questo, è scritta come una sceneggiatura, che descrive « chi deve fare cosa » nel quadro di
un’improbabile scena escatologico-triclinare. È più parodia della
morale, che non parodia del sacro; in fondo, non è stata scritta
tanto per irridere il Cristianesimo, quanto per irridere il paradosso
della Bibbia arbitrariamente venduta come condignum fidei spectaculum 146. La sua ispirazione sta tutta nel prendere alla lettera la metafora apologetica della Rivelazione come « teatro », già diffusa dall’omiletica cristiana, organizzarla e automatizzarla in scenette cenatorie da destinare idealmente allo scomposto ludibrio di quei mimi o di quei pantomimi, che, sin dai tempi della persecuzione religiosa contro i Cristiani, avevano fatto dello stile di vita e della
ritualità della nuova « setta » uno dei loro bersagli preferiti 147. La
Scrittura propugnata come « spettacolo-altro », il solo degno di essere guardato con gli « occhi del cuore » in quanto « miraggio del
puro teatro interiore » 148, attraverso la Cena Cypriani comicamente
implode, diventando realtà dei mimi; essendo richiamata alla storia
da quegli stessi turpi istrioni; venendo sottratta alla meditazione e
meccanizzata nel copione di una giostra finita, grottescamente e
irriverentemente comica 149.
Riassumendo: al passaggio fra Tardo-Antico e Medioevo, circola in Occidente un nuovo modello di « teatralità », corrispondente a una concezione propagandistica, apologetica, virtuale del
« teatro »; la Cena Cypriani vi si oppone come irriverente risposta
ludica, come espressione della cultura dell’antimodello; come forma non lontana, in fondo, dai tentativi di legittimazione degli
spettacoli, che taluni Cristiani, riluttanti ad abbandonare i « teats), 1965, Pagani e cristiani in un’epoca d’angoscia. Aspetti dell’esperienza religiosa da Marco
Aurelio a Costantino, trad. it. a cura di G. LANATA, Firenze, 1988.
146. NOVATIANUS, De spectaculis, 10.1 (DIERCKS, ed. cit. [nota 128], p. 178).
147. « È proprio dall’astensione dagli spettacoli che i pagani riconoscono che qualcuno
si è fatto cristiano » (LUGARESI, Il teatro di Dio cit. [nota 132], p. 11).
148. R. TESSARI, La drammaturgia da Eschilo a Goldoni, Roma-Bari, 2002, p. 50; vedi
anche ID., Teatro e antropologia. Tra rito e spettacolo, Roma, 2004, p. 109.
149. Cfr. MOSETTI CASARETTO, Cipriano e il suo doppio cit. (nota 8), pp. 246-259.
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FRANCESCO MOSETTI CASARETTO
tri », avrebbero condotto, strumentalizzando, specularmente, in
chiave « teatrale » alcuni passi biblici, quasi a voler controbattere
l’Apologetica tardo-antica con i suoi stessi mezzi. Novaziano:
« Ubi », inquiunt, « scripta sunt ista, ubi prohibita? Alioquin et auriga est Israel
Helias et ante arcam David ipse saltavit. Nabla, cinyras, tympana, tibias, citharas, choros legimus. Apostolus quoque dimicans caestus et colluctationis nostrae
adversus spiritalia nequitiae proponit certamen. Rursum cum de stadio sumit
exempla, coronae quoque collocat praemia. Cur ergo homini Christiano fideli
non liceat spectare quod licuit divinis litteris scribere? » 150
È dalla bassa fermentazione di simili misunderstandings, di simili
equivoche speculazioni, che nasce quell’irriverente « piccola Bibbia per figure animate » 151, che è l’ipertestuale Cena Cypriani. Perché di qui a una mimizzazione della Scrittura-teatro come contrappunto o canzonatura apologetica, il passo è breve: basterà ribaltare le stesse coordinate ideologiche, rovesciando topograficamente 152 l’apologia in parodia, per avere a disposizione l’intera
Rivelazione come sterminata sceneggiatura comica. Il mimo, si sa,
« pésca in un immaginario comune » 153.
La Cena, però, non ci è stata tramandata come Tertulliani, bensì come Cypriani; è quindi evidente che tutta l’architettura semiotica di questo testo necessariamente deve ricadere, per associazione e/o per assimilazione, sulla figura di Cipriano. Secondo l’orientamento critico oggi prevalente la Cena non è realmente opera di Tascio Cecilio Cipriano, ma è di un autore anonimo, che,
proprio in quanto tale, evidentemente, si esclude possa chiamarsi
« Cipriano » 154. Non è cosa di poco conto. Significa che il titolo
150. NOVATIANUS, De spectaculis, 2.3 (DIERCKS, ed. cit. [nota 128], pp. 168-170).
151. TESSARI, La drammaturgia cit. (nota 148), p. 57.
152. « Nel realismo grottesco l’abbassamento di ciò che è alto non ha affatto un carattere formale o relativo. L’alto (verch) e il basso hanno qui un significato rigorosamente e
unicamente topografico » (BACHTIN, Tvorcestvo cit. [nota 45], p. 26).
153. M. OLDONI, La « scena » del Medioevo, in Lo spazio letterario del Medioevo, 1: Il Medioevo latino, II: La circolazione del testo, Roma, 1994, p. 493.
154. Cfr. F. BRUNHÖLZL, Geschichte der lateinischen Literatur des Mittelalters, I. Band, s.l.,
1975, Histoire de la litterature latine du Moyen Age , I / 2: L’époque carolingienne, trad. fr. a
cura di H. ROCHAIS, Turnhout, 1991, p. 289. « Oggi... nessuno ammette più che il santo
vescovo di Cartagine, il quale suggellava nel 258 col proprio sangue una vita tutta consacrata alla più nobile propaganda, siasi abbassato a comporre una cotale insulsaggine »
IL BANCHETTO SEMPITERNO DELLA CENA CYPRIANI
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dell’opera non è « Cena », di Cipriano; ma « Cena di Cipriano »,
di Anonimo 155. Il complemento di specificazione Cypriani è sottratto alla sua apparente funzione attributiva e viene, invece, assorbito dalla metafora del testo. Con il nome « Cipriano », quindi,
non dobbiamo intendere un elemento possessivo esterno, di paternità empirica, ma un elemento possessivo interno, di paternità
mimetica della Cena. Più chiaramente: l’attribuzione a Cipriano
non è un fatto storico, ma fabulatorio. Cipriano è autore del testo per
finta. A che scopo?
Esiste un unico punto di incontro, un unico luogo mentale,
che, nel rendere possibile l’accostamento del Martire africano alla
Cena, è in grado di salvare la coerenza della tradizione manoscritta
così come la valenza di questa attribuzione. Questo spazio è il più
economico nel quale importare la questione della paternità, essendo quello nel quale il testo viene universalmente collocato per
avere senso compiuto: è, ancora una volta, la parodia 156. In una
prospettiva parodica, infatti, non ci troviamo di fronte a un testo
« non si sa come attribuito a Cipriano » 157, ma di fronte a « un travestimento parodico di tipo carnevalesco e conviviale di tutta la
Sacra Scrittura » 158 a partire dall’irriverenza di questa attribuzione; a
partire, cioè, dalla comicità, che scaturisce dalla « troppa audacia »
con cui questo componimento si mischia alle opere del Vescovo
(NOVATI, Studi critici, cit. [nota 54], p. 178); « Essa [sc. la Cena] non ha sicuramente alcun
rapporto con San Cipriano (...), nella cui opera veniva di solito inclusa » (BACHTIN, Tvorcestvo cit. [nota 45], p. 313); « La prima cosa da dire sulla Coena di Thascius Caecilius
Cyprianus (...) è che l’ha scritta qualcun altro » (PARKER, Lo strano caso cit. [nota 27], p.
413); « L’operetta non può essere attribuita al santo vescovo di Cartagine » (FONTANA,
Anonymus cit. [nota 1], p. 6); « It has been generally agreed that CC has nothing to do
with Saint Cyprian » (DOLEŽALOVÁ, Reception cit. [nota 1], p. 29). Cfr. anche MODESTO,
Studien cit. (nota 1), pp. 79-80.
155. E così giustamente appare, infatti, nell’intestazione del volume di FONTANA, Anonymus cit. (nota 1): Anonymus, Cena Cypriani. La possibilità che il testo originariamente
si chiamasse solo Cena e, in un secondo tempo, venisse attribuito al vescovo Cipriano,
non ci sembra né filologicamente sostenibile (in base alla tradizione), né economica, date le dissimiglianze fin qui rilevate fra il Cartaginese e il componimento stesso. Cfr., tuttavia, MODESTO, Studien cit. (nota 1), pp. 80-81.
156. Cfr. BACHTIN, Tvorcestvo cit. (nota 45), pp. 95-6; LEHMANN, Die Parodie cit., pp.
12-16; etc.
157. VINAY, Alto cit. (nota 8), p. 337.
158. BACHTIN, Tvorcestvo cit. (nota 45), p. 18.
1000
FRANCESCO MOSETTI CASARETTO
cartaginese 159. Ecco: la forma Inclytus seu martyr Cyprianus pater 160 –
talmente elevata da assurgere al sommo grado della santità – viene
riempita e contaminata dalla volgarizzazione basso-corporea della
Cena, la cui narratologia si limita « ad estrarre dalla Bibbia, dal
Vangelo e da altri testi sacri tutti i dettagli corporei che hanno
una funzione abbassante (...) e materializzante » 161. L’intensità e la
pienezza del riso è qui direttamente proporzionale alla distanza,
che l’aulico copre, con meccanica escursione, nel precipitare verso
il basso. Del resto, la parodia è comica soltanto quando « mette in
luce la fragilità interiore di ciò che viene parodiato » 162: e quale
maggiore fragilità, quale maggiore inconsistenza del mettere in
comunicazione l’austerità del Martire africano e la buffonesca sceneggiata della Cena, vero « caos incapsulato », che irride la Rivelazione e « porta dentro di sé sotto forma di pietà (...) il completo
rovesciamento di un mondo stabile ma troppo angusto » 163? Qui
risum poterit stringere marmor erit 164.
Tutt’altro che assurdo 165, il rapporto eponimico fra Cipriano e
la Cena è ridicolo 166. La Cena è parodia della Bibbia ovvero la Cena è parodia del Cristianesimo: ma lo è per l’egida di Tascio Cecilio Cipriano, che del Cristianesimo stesso è uno dei più insigni
rappresentanti martiriali. Egli è, così, autore / allestitore della Ce159. NOVATI, Studi critici cit. (nota 1), p. 266. « È noto come per parodia si intenda l’imitazione, con la quale una forma elevata viene riempita di un contenuto volgare. La
parodia è imitare ciò che è nobile mediante il meschino, non corrispondenza di forma e
contenuto, scimmiottamento, traduzione da tragico in comico » (O. M. FREJDENBERG,
L’origine della parodia, in Dialettiche della parodia, a cura di M. BONAFIN, Alessandria, 1997,
p. 1).
160. Cfr. THEODULPUS AURELIANENSIS, De libris quos legere solebam, 6 (E. DÜMMLER ed.,
Berolini, 1881, p. 543, M.G.H., P.L.A.C., I).
161. BACHTIN, Tvorcesto cit. (nota 45), p. 25.
162. V. J. PROPP, Problemy komizma i smecha, Moskva 1976, Comicità e riso. Letteratura e
vita quotidiana, trad. it. a cura di G. GANDOLFO, Torino, 1988, p. 75.
163. PARKER, Lo strano caso cit. (nota 27), p. 417.
164. IOHANNES DIACONUS, Suppositio eiusdem ad Papam, 10 (MODESTO, ed. cit. [nota 1],
p. 200).
165. « Chiameremo assurdo ciò che è in contraddizione con una necessità logica, o geometrica, e ridicolo ciò che è incompatibile con una necessità morale ». (OLBRECHTS-TYTECA, Le comique cit. [nota 92], p. 141).
166. Cfr. MOSETTI CASARETTO, Cipriano e il suo doppio cit. (nota 8), pp. 238 e sgg.; vedi
anche MINOIS, Histoire du rire cit. (nota 2), p. 161.
IL BANCHETTO SEMPITERNO DELLA CENA CYPRIANI
1001
na per anticlimax, per quella ieratica santità di sangue, che mai lo
consentirebbe 167. Incipit caena Sancti Cypriani Martyris 168, in realtà, è
la prima battuta comica del testo. D’accordo, oggi non fa ridere,
perché « la situazione comica è determinata da quella sociale » 169 e
perché il comico, a differenza del tragico, non è universale, ma
relativo e contestuale: per essere efficace, deve essere attualizzato 170; e, tuttavia, basterà sostituire quell’eponimo troppo antico e
chiamarla, per esempio, « Cena di Ratzinger » per recuperare, almeno in parte, il valore ludico dell’infrazione. Insomma, se la Cena è davvero una « bomba a orologeria » 171, pronta ad esplodere,
Cipriano ne è, senza dubbio, il detonatore 172.
167. Fra l’altro, il finale della Cena, con l’episodio della tortura degli invitati, altro
non pare, se non la grottesca sceneggiatura di una persecuzione martiriale: e, forse, non
è un caso che questo lungo elenco di supplizi s’inauguri proprio con una decapitazione,
denominatore martiriale comune fra Giovanni il Battista e il vescovo Cipriano, anch’egli
« decollato », cfr. Acta Cypriani, rec. alt., 4.1 e sgg. (A. A. R. BASTIAENSEN ed., Milano,
1987, pp. 226 e sgg.).
168. Cfr. MODESTO, Studien cit. (nota 1), p. 14.
169. « La cultura del comico realizza la stessa importante funzione sociale di tutti i sistemi simbolici: traccia i confini tra insider ed outsider. La cultura del comico è al tempo
stesso inclusiva ed esclusiva » (BERGER, Redeeming cit. [nota 93], pp. 113-114).
170. « Occorre più cultura per ridere su Rabelais di quanto non ne occorra per piangere sulla morte di Orlando paladino » – « Il tragico giustifica la violazione (in termini di
destino, passione o altro) ma non elimina la regola. Per questo è universale: spiega sempre perché l’atto tragico deve incuterci timore e pietà. Il che equivale a dire che ogni
opera tragica è anche una lezione di antropologia culturale, e ci permette di identificarci
con una regola che magari non è la nostra (...) Il comico pare popolare, liberatorio,
eversivo perché dà licenza di violare la regola. Ma la dà proprio a chi questa regola ha
talmente introiettato da presumerla come inviolabile. La regola violata dal comico è talmente riconosciuta che non c’è bisogno di ribadirla (...) Il comico non ha bisogno di
reiterare la regola perché è sicuro che essa è nota, accettata e indiscussa, e ancor più lo
rimarrà dopo che la licenza comica ha permesso – entro uno spazio dato e per maschera
interposta – di giocare e di violarla » (U. ECO, Il comico e la regola, in Sette anni di desiderio, Milano, 1995, pp. 253-258).
171. PARKER, Lo strano caso cit. (nota 27), p. 417.
172. Cipriano era un’icona, addirittura, predisposta per essere aggredibile: fu in prima
linea contro la spettacolarità del Basso Impero (cfr. LUGARESI, Il teatro di Dio cit. [nota
132], pp. 7 e sgg.) e insorse « contro le antiche forme di spettacolo, e in particolare contro il mimo e contro il riso e gli scherzi dei mimi »; la Cena, dunque, verrebbe assegnata
al Vescovo africano proprio per la palese, comica discordanza dell’atto con la persona
(OLBRECHTS-TYTECA Le comique cit. [nota 92], p. 234). Non va dimenticato, poi, come la
tradizione tardo-antica e medievale assegnasse a Cipriano la responsabilità della composi-
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FRANCESCO MOSETTI CASARETTO
Ciò detto, sgombriamo il campo da ogni equivoco: la Cena
Cypriani non è l’ultimo luogo attestato di intersecazione fra « gesto » e « testo » prima del Medioevo perché la Cena Cypriani non
è « teatro », al contrario: attesta come il processo di cristallizzazione testuale del teatro, alle soglie del Medioevo, sia una effettiva
realtà, che spinge verso la totale letteralizzazione della scena, dei
gesti, della corporeità ovvero verso un’intimizzazione intellettuale
del « teatro » 173.
Quelle scene potranno forse essere teatrali, dunque intese ad approfondire simbolicamente temi e valori come esercizio di crescita spirituale ed esistenziale
dei soggetti che partecipano all’azione, ma certo non spettacolari, ossia costruite
con la consapevolezza di offrirsi allo sguardo altrui, in funzione del quale assumono la propria forma 174.
Non si tratta, dunque, di una reale partitura o di un canovaccio destinato alla recitazione, perlomeno non nei termini in cui
zione del De spectaculis, oggi ritenuto di Novaziano (DIERCKS, ed. cit. [nota 128], pp.
162-163 e p. 167 nota I, 1; vedi anche P.L. 4, coll. 779-788) nel quale si manifesta a più
riprese lo sforzo polemico di promuovere un teatro cristiano in corde da opporsi ai tam
vana, tam perniciosa, tam sacrilega spectacula (NOVATIANUS, De spectaculis, 8.2, DIERCKS, ed.
cit. [nota 128], pp. 176-177). Inoltre, stando ad Agostino, Cipriano e il mondo dissacrante dei mimi sarebbero stati legati da un filo doppio, storico e immaginario: questo
mondo scomposto e irridente avrebbe aggredito il Martire, con una sorta di accanimento derisorio, perfino post mortem, sul luogo del martirio, profanandolo con ripetute, trasgressive rappresentazioni di spettacoli mimici (cfr. AUGUSTINUS, Sermones, 311.5.5, Opere
di sant’Agostino, XXXIII, Roma, 1986, p. 640; P.L. 38, col. 1415). I confratelli di Cipriano, poi, si definivano convivae eius (PONTIUS, Vita Cypriani, 15.5, A. A. R. BASTIAENSEN ed., Milano, 1997, p. 40) e sempre Agostino riferisce che una mensa Cypriani, proprio là dove si era scatenata la petulantia saltatorum, è davvero esistita (AUGUSTINUS, Sermones, 310.2, Opere di sant’Agostino, XXXIII, Roma, 1986, pp. 633-634; P.L. 38, col.
1413). La « detronizzazione burlesca » (BACHTIN, Tvorcestvo cit. [nota 45], p. 14) della Cena, allora, si compirebbe proprio nell’associazione eponimica con il martire Cipriano,
« gesto ridicolo » (cfr. OLBRECHTS-TYTECA, Le comique cit. [nota 92], p. 231) indispensabile perché questa profanazione comica del Cristianesimo si orienti e si perfezioni. Perseguitata nello spazio fisico, la petulantia saltatorum rivendicherebbe il proprio posto alla
mensa Cypriani ed edificherebbe il mythos di una mensa surreale, di un’altera cena, extratemporale, doppio ludico e sosia parodico della cena celeste, che, per scoronizzazione
parodica, fa imbandire al martire Cipriano Per altri paralleli fra la figura di Cipriano e la
Cena, cfr. DOLEŽALOVÁ, Reception cit. (nota 1), pp. 30 e sgg.
173. Cfr. su questo, MOSETTI CASARETTO, Le prospettive cit. (nota 137), pp. 47-66.
174. L. ALLEGRI, Teatro e spettacolo nel Medioevo, Roma-Bari, 1990, p. 129.
IL BANCHETTO SEMPITERNO DELLA CENA CYPRIANI
1003
noi, oggi, intendiamo il concetto di performance teatrale. Nei suoi
geni programmatici non vi è alcuna occupazione dello spazio,
neppure in forma deittica. Di per sé, la Cena è irrappresentabile: è
scritta al perfetto, là dove « nel teatro domina (...) il presente nel
suo divenire » 175; è priva di qualsiasi partitura drammatica; è priva
di una reale azione; progredisce solo grazie agli sporadici interventi di una voce narrante fuori campo; ha un faticoso andamento
elencatorio; ha un numero elevato di personaggi, cui dovrebbe fare eco un numero altrettanto elevato non di attori, ma di fugacissime comparse, ché la loro presenza sulla scena durerebbe solo il
tempo necessario per pronunciarne il nome. No. Seneca muore
nel 65 d. C. e tutt’oggi si discute se i suoi drammi fossero ancora
destinati alla rappresentazione; dopo quasi quattrocento anni di assoluto silenzio della recitazione drammatica, di certo, la Cena non
è « teatro » 176. Al massimo, potremmo forse immaginare per quest’opera un tipo di rappresentazione pantomimica 177 (o mimica 178),
175. C. SEGRE, Teatro e romanzo. Due tipi di comunicazione letteraria, Torino, 1984, pp. 6-7.
176. Su questi aspetti, cfr. F. MOSETTI CASARETTO, Assenza della scena: assenza del teatro?, in La scena assente. Realtà e leggenda sul teatro nel Medioevo. Atti delle II Giornate Internazionali Interdisciplinari di Studio sul Medioevo (Siena, Certosa di Pontignano, 1316 Giugno 2004), a cura di F. MOSETTI CASARETTO, Alessandria, 2006, pp. IX-XVII; ID.,
Le prospettive cit. (nota 137), pp. 47-90; ID., Il teatro mediolatino cit. (nota 135), pp. 133141. L’effettiva teatralità della Cena, tuttavia, è stata, da alcuni, sostenuta: « La Cena
Cypriani è senza possibilità d’errore una commedia, una commedia in germe » (PARKER,
Lo strano caso cit. [nota 27], p. 417); anche DE BARTHOLOMAEIS, Origini cit. (nota 3), p.
156. Di un tentativo moderno di rappresentazione del testo dà resoconto M. MAYMONE
SINISCALCHI, Spettacoli conviviali dall’antichità classica alle corti italiane del Quattrocento (Viterbo,
27-30 maggio 1982), in Studi Medievali, 34 (1983), pp. 407-413.
177. « Si trattava di opere nelle quali un danzatore – a volte anche più danzatori –
rappresentavano mimicamente lo svolgersi dell’azione, mentre un coro o dei cantori offrivano il testo che l’accompagnava » (C. P. THIEDE, Ein Fisch für den römischen Kaiser,
München, 1998, La nascita del Cristianesimo. Ebrei, Greci, Romani e la morte del mondo antico, trad. it. di E. GATTI, Milano, 1999, p. 57). « Secondo l’Ermini, il D’Amico, ed altri
studiosi, si tratta di un vero e proprio pantomimo » (E. FRANCESCHINI, Il teatro postcarolingio, in I problemi comuni dell’Europa post-carolingia, Atti della II Settimana di studio del
Centro Italiano di Studi sull’Alto Medioevo (6-13 Aprile 1954), Spoleto, 1955, p. 301
[ora anche in: ID., Scritti di filologia latina medievale, II, Padova, 1976, pp. 788-801]). « La
Cena è un pantomimo, genere notissimo specialmente nel IV e V secolo » (F. ERMINI,
La letteratura Latina del Medio Evo. La Letteratura del Secolo IX in Italia, dispense univ. a.
a. 1934-1935, Roma, s. d., p. 25).
178. « Il mimo era una forma di rappresentazione teatrale che raggiungeva tutti gli
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FRANCESCO MOSETTI CASARETTO
alla remota maniera del « teatro » Kathakali, speculando su quella
« diffratta » idea di teatro poi archiviata da Isidoro, per cui testo e
gesto sarebbero elementi scollati, di pertinenza di due distinte figure sceniche: una voce narrante, che recita o canta il testo, e un
attore muto (mimo), che trasforma il testo in gesto 179; o anche solo azzardare l’idea di una sola fruizione « aurale », magari affidata
all’esecuzione di un « performer-lettore » 180, pubblico o privato.
Tuttavia, guardiamo il testo: a parer nostro, la Cena Cypriani non
mostra di voler cercare un’intesa con uno spettatore (anche qualora si trattasse di un mero ascoltatore 181), ma con un lettore. Perché
si tratta, sì, di un universo parodico, che vive delle proprie giocose infrazioni, ma di infrazioni comunque erudite, terminologiche,
da cogliere nella loro formulazione alfabetica più che visiva e/o
uditiva; da ricostruire a tavolino, come una sorta di puzzle esegetico, fatto di frammenti scomposti e, poi, comicamente rimescolati. La Cena è una teoria di lacune 182, un « cubo di Rubik » da ristrati della società. Diversamente dalla pantomima, qui entravano in scena uno o più attori senza coro e senza l’accompagnamento degli strumenti musicali, ma erano loro stessi
a parlare e a cantare » (THIEDE, Ein Fisch cit. [nota 177], p. 58).
179. Theatrum est quo scena includitur, semicirculi figuram habens, in quo stantes omnes inspiciunt (...) Scena autem erat locus infra theatrum in modum domus instructa cum pulpito, qui pulpitus orchestra vocabatur; ubi cantabant comici, tragici, atque saltabant histriones et mimi (...) Orchestra autem pulpitus erat scenae, ubi saltator agere posset, aut duo inter se disputare. Ibi enim
poetae comoedi et tragoedi ad certamen conscendebant, hisque canentibus alii gestus edebant (...)
Mimi sunt dicti Graeca appellatione quod rerum humanarum sint imitatores; nam habebant suum
auctorem, qui antequam mimum agerent, fabulam pronuntiarent. Nam fabulae ita conponebantur
a poetis ut aptissimae essent motui corporis (ISIDORUS HISPALENSIS, Etymologiae, XVIII 42-49,
W. M. LINDSAY ed., Oxonii, 1991, pp. 295-297).
180. MANCA, Modalità cit. (nota 2), pp. 497 e sgg; p. 501.
181. Cfr. su questo F. MOSETTI CASARETTO, L’Arcivescovo e la « Cena », in Rabano
Mauro - Giovanni Immonide. La « Cena di Cipriano », a cura di F. MOSETTI CASARETTO E. ROSATI, Alessandria, 2004, pp. 80-88. Concorda su queste linee anche MANCA, Modalità cit. (nota 2), p. 497: « La Coena e la sua comicità sono anzitutto fatti linguistici, legati spesso indissolubilmente alla parola e agli effetti di suono. Notevole è la frequenza
dell’omoteleuto, favorito dal meccanismo di associazione sopra analizzato; si fa tuttavia
ricorso anche all’omoarcto (Raab super stuppam, Rachel super stipulam). In alcuni casi si arriva quasi alla rima – subducitur suspenditur confunditur traducitur – non per volontà esplicita
dell’autore, ma come semplice risultato del cumulo di effetti ».
182. In generale, sul tema, cfr. N. GARDINI, Lacuna. Saggio sul non detto, Torino, 2014;
cfr. poi U. ECO, « Lector in fabula ». La cooperazione interpretativa nei testi narrativi, Milano,
1997, p. 52 e W. ISER, The Act of Reading. A Theory of Æsthetic Response, Baltimore,
IL BANCHETTO SEMPITERNO DELLA CENA CYPRIANI
1005
solvere e da ricondurre al suo originale, giustificativo disegno: solo così si può riderne. Quando si giunge alla portata degli aquatilia, per esempio, Adamo prende un pelamide 183 cioè un giovane
tonno: ebbene, qui l’associazione fra personaggio e cibo è giustificata da un denominatore comune di tipo linguistico-enciclopedico, non figurale. Tutto s’impernia, infatti, sul termine limus, reperibile sia in Adamo (formato de limo terrae, cfr. Gn 2.7), sia, appunto, nel pelamys (così denominato perché vive nel fango). Ci si
chiede: come potrebbe essere efficacemente esplicitato, su una
scena mimica o pantomimica, un simile gioco di parole? Facendo,
forse, tenere in mano a un improbabile attore travestito da Adamo, per pochi secondi, un esagerato pesce di legno recante la
scritta pelamys? Al contempo, anche immaginando una mera lettura recitata, quanto sarebbe percepibile e quanto decifrabile un segnale frastico di questo genere da chi semplicemente ascoltasse il
testo alla velocità della sua espressione senza avere l’opportunità, al
contempo, anche di leggerlo, con tutti i vantaggi visivi e riflessivi,
che la lettura offre? No, a parer nostro, se, davvero, la festa di
Gioele è stata concepita per parodiare l’idea di « teatro » interiore,
lo è stata per parodiare una lettura della Bibbia, che si facesse « teatro » nella mente del lettore. Non è neppure un gioco 184. Al limite,
davvero un « cruciverba a schema libero per esperti biblisti » 185:
naturalmente, se intendiamo tutto questo come un puro paragone, non come un tentativo ermeneutico ovvero come ipotesi sull’intentio operis. E, comunque, un cruciverba non si rappresenta, si
risolve sulla carta, leggendolo.
La Cena Cypriani è il più famoso replicante della letteratura latina medievale perché il futuro del Tardo-Antico è il Medioevo;
e il Medioevo, millenario Day-After dell’Impero Romano d’Occidente, coltiva parametri ricostruttivi. Un Medioevo, per il quale
1978, L’atto della lettura. Una teoria della risposta estetica, trad. it. di R. GRANAFEI, Bologna,
1987, p. 249.
183. ANONYMUS, Cena Cypriani, 22.22 (MODESTO, ed. cit. [nota 1], p. 22).
184. L’idea della Cena come « gioco » è stata avanzata da L. DOLEŽALOVÁ, Reception of
obscurity and obscurities of reception: the case of the « Cena Cypriani », in Listy Filologiké, 125
(2002), pp. 187-197; vedi anche ID., Reception cit. (nota 1), pp. 28-29. Dissente MANCA,
Modalità cit. (nota 2), p. 495.
185. BERTINI, La « Cena Cypriani » cit. (nota 56), p. 375.
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FRANCESCO MOSETTI CASARETTO
la Bibbia resta il libro « a cui era impossibile sottrarsi » 186; e che
tende ad assorbire quanto sente suo o, in qualche modo, sente di
poter far suo. Così, quando arriva nelle mani di Rabano Mauro,
la Cena Cypriani purga subito le proprie parodiche colpe. All’Arcivescovo di Magonza non importa nulla o quasi di convivialità
romana o di letterarie cene profane 187, ma molto più di contenuti
biblici e di appigli per la memoria. E poiché « leggere, come
mangiare, è un’attività predatoria » 188, Rabano si comporta da predatore letterario e decide di rifunzionalizzare il tutto in senso catechetico. La Cena Cypriani « alla maniera di Rabano Mauro » 189 è
un altro testo: de-parodizzato, aggiustato, modificato per servire a un
altro scopo. Se la parodia aveva ribaltato la Bibbia, Rabano ribalta, a
sua volta, la parodia: opera una sorta di reazionario capovolgimento, rovesciando ex cathedra il « caos incapsulato » 190 della sceneggiatura tardo-antica e restituendo al mittente il suo rivoluzionario,
dissacrante, gioco di sponda.
Più tardi, su questa strada, lo seguiranno, con progressiva sbavatura e annacquamento, con ulteriore rallentamento comico, il
monaco Azelino e l’Anonimo di Arras 191. Perché la proverbiale
plasticità della Cena Cypriani, il suo non-essere-più-testo, ma un
canovaccio prestato all’interpolazione continua, traccia sempre riutilizzabile, ri-plasmabile, re-inventabile, nasce proprio in seno al
pragmatismo di Rabano, dentro a quell’urgenza di riformare
un’opera, che sembrava sfidare il proibizionismo monastico contra
risum 192 a partire dal suo stesso perimetro culturale. Dopo Rabano
– fatta eccezione per l’Immonide – la Cena diventerà un compo186. LEONARDI, L’eredità medievale cit. (nota 60), p. 71, nota 3.
187. Cfr. anche MODESTO, Studien cit. (nota 1), p. 166.
188. N. FRYE, Words with Power, San Diego, New York and London, 1992, Il potere
delle parole. Nuovi studi su Bibbia e letteratura, trad. it. a cura di E. ZORATTI, Scandicci (Firenze), 1994, p. 136.
189. VINAY, Alto cit. (nota 8), p. 345.
190. PARKER, Lo strano caso cit. (nota 27), p. 417.
191. Cfr. MOSETTI CASARETTO, Contaminazioni cit. (nota 2), pp. 604-613; ID., Azelino
di Reims cit. (nota 69), passim; ID., Intorno alle corna cit. (nota 72), passim.
192. Cfr. J. LE GOFF, I riti, il tempo, il riso. Cinque saggi di storia medievale, Roma-Bari,
2001, pp. 162 e sgg. E, tuttavia, sul riso medievale cfr. anche R. GRÉGOIRE, Le risate dei
monaci medievali: gli « ioca monachorum », in Il riso. Capacità di ridere e pratica del riso nelle
civiltà medievali. Atti delle I Giornate Internazionali Interdisciplinari di Studio sul Me-
IL BANCHETTO SEMPITERNO DELLA CENA CYPRIANI
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nimento sedentario, invecchiato: non vorrà più saperne di irrisioni, ius cenae, di blasfemi conviti, d’imprevedibilità, sfarzose vesti
cenatorie, di mimi e pantomimi, di « attori d’intrecci ridicoli » 193.
Gravata dai suoi stessi contenuti, divenuti ormai troppo digressivi,
s’impiglierà nelle pastoie di un lumeggiare fuori luogo, utile solo a
produrre l’imbavagliamento parodico e l’appesantimento dell’opera. In pratica, alla fine, il testo frana sull’esplicitazione del proprio
non detto 194. Così, depotenziata del suo portato scoronizzante e
privata di ogni mobile irrequietezza, la Cena verrà piegata a diventare un ortodosso, scolastico florilegio. Ecco, la medievale
moltiplicazione della Cena Cypriani ha inizio quando qualcuno, di
fronte all’opera tardo-antica avverte un difetto di senso, uno sfasamento nella globalità biblica del soggetto, non si rassegna e reagisce creativamente ai propri dubbi, emendando quelle trasgressive
libertà, che ritiene, in un modo o nell’altro, corruttele, errori;
senza sapere che, a livello ermeneutico, il problema non quasi è
mai nel testo, ma nelle lacune culturali di chi lo guarda. Per questo, come abbiamo già avuto modo di scrivere, la Cena Cypriani
muore sulla soglia del Medioevo: perché nel passaggio dalla società del Tardo-Antico a quella del Medioevo, il retroterra pagano
resta appiccicato alla Cena Cypriani come un corpo estraneo, come il riferimento storico tangibile a un’enciclopedia, che non si
conosce più (o non si vuol più conoscere). Così, la Cena Cypriani
non è nessuna delle sue riscritture, né esse sono in grado di manifestarne pienamente l’essenza e/o lo scopo; semplicemente, la Cena è diventata, nel tempo, ciò che ciascuno dei suoi improvvisati
demiurghi ha voluto che fosse.
dioevo (Siena, 2-4 Ottobre 2002), a cura di F. MOSETTI CASARETTO, Alessandria, 2005,
pp. 77-97.
193. Cfr. M. OLDONI, Culture del medioevo. Dotta, popolare, orale, Roma, 1999, p. 59.
194. « Un testo si distingue (...) da altri tipi di espressione per una sua maggiore complessità. E motivo principale della sua complessità è proprio il fatto che esso è intessuto
di non-detto. “Non-detto” significa non manifestato in superficie, a livello di espressione:
ma è appunto questo non-detto che deve venir attualizzato a livello di attualizzazione di
contenuto. E a questo proposito un testo, più decisamente che ogni altro messaggio, richiede movimenti cooperativi attivi e coscienti da parte del lettore (...) Il testo è dunque intessuto di spazi bianchi, di interstizi da riempire, e chi lo ha emesso prevedeva
che essi fossero riempiti e li ha lasciati bianchi » (cfr. ECO, « Lector » cit. [nota 182], pp.
51-52).
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FRANCESCO MOSETTI CASARETTO
E tuttavia, alla fine di questo discorso, a noi interessa sottolineare la vis di Giovanni. Perché, fra tutti i rielaboratori medievali
della Cena Cypriani, Giovanni è, senza dubbio, quello che più di
ogni altro sembra aver interpretato lo spirito originale del testo.
Colpisce l’atteggiamento disinvolto del diacono romano che pare imitare il
comportamento dei mimi sulla scena, quando spingevano la loro irriverenza sino a ridicolizzare gli oggetti stessi del culto e quei loci communes della dottrina,
cari allo spirito dei credenti 195.
La qualità specifica della Cena Iohannis è proprio questa: quella
di spalmare esplicitamente la Cena Cypriani sul mimo, quella di riconoscere il testo come una partitura mimica. Non è un’ipotesi
filologica dell’Immonide: è – ancora – provocazione, rafforzamento della carica irridente del componimento tardo-antico. Sub specie
theatri, Giovanni scherza con lo scherzo tardo-antico e per Iohannem la Cena si estremizza. In un contesto come quello mediolatino, in cui mimo e spettacolo sono stigmatizzati come il grado zero della tollerabilità per la cultura cristiana, il diacono romano non
solo rispolvera la blasfema Cena Cypriani e ne rimette in circolo la
potente e trasgressiva carica parodica, ma ne rinverdisce l’imbarazzante e dissacrante ilarità con l’aggiunta della cantilenante versificazione ritmica tipica degli istrioni; la dà idealmente in pasto a un
vecchio e grottesco scurra, Crescenzio, che farà ridere tutti a crepapelle quando, impedito dalla sua balbuzie, cercherà di enumerare tutti i complicati nomi biblici degli ospiti di re Gioele, accompagnandosi con un nutrito repertorio di oscenità; ne fa uno spettacolo immorale, che dedica all’Imperatore e, soprattutto, al Papa,
incarnazione vivente di motti sapienziali, secondo i quali la « tristezza è preferibile al riso », la « casa di pianto » è preferibile alla
« casa dove si fa festa » perché è là dove si ride che dimorano gli
stolti (Ecl 7.2-4) 196.
Ad cenam venite cuncti Cypriani martiris 197: nel Prologo immonideo la Cena si riveste della propria metafora, diventa un evento al
195. ROSATI, Il riso cit. (nota 17), p. 135.
196. Cfr. MOSETTI CASARETTO, Contaminazioni cit. (nota 2), pp. 600-604; ID., Il teatro
latino cit. (nota 135), pp. 155-157.
197. IOHANNES DIACONUS, Cena Cypriani, I 6.1 (MODESTO, ed. cit. [nota 1], p. 178).
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quale partecipare meta-fisicamente. Ci si va, non la si legge o vi si
assiste; si viene invitati ad andarci come commensali, perché Giovanni
vuole che il fruitore si percepisca comparsa del venite ad nuptias di
Mt 22.4 e, attraverso il parametro del proprio rapporto proiettivo
con il testo, misuri quello, altrettanto proiettivo e caricaturale, del
martire Cipriano con il testo, messo, parodicamente, ai fornelli
dell’opera e che lui, Giovanni, dal lido di Ostia, sarebbe in grado
di scorgere – con l’excessus di uno sguardo che oltrepassa il tempo
prima dello spazio – a Cartagine, mentre scrive la Cena su consunte tavolette cerate e intanto la recita ridacchiando 198.
Cos’ha davvero visto l’Immonide nella Cena Cypriani? Cos’ha
davvero capito, nella Roma del IX sec., Giovanni della Cena
Cypriani? Lui risponde evasivo: Ludere me libuit 199, « mi piacque
scherzare »; ma la Cena Iohannis è lì e ci dice che, come la Cena
tardo-antica, strumentalizza e assorbe figurativamente il mimo in
quanto fattore destabilizzante di irrisione; che, come quella, non è
un canovaccio, né la partitura per una rappresentazione, ma la parodia di un « teatro della mente », il cui primo fruitore, per assurdo, sarebbe l’icona del Cristianesimo, il Papa, che assiste agli spettacoli; che assiste a quello spettacolo; che ride a crepapelle assistendo a
quello spettacolo.
Aveva ragione il Vinay: l’Immonide è proprio un « bell’ingegno che incuriosisce » 200.
198. IOHANNES DIACONUS, Cena Cypriani, III 1.1-4 (MODESTO, ed. cit. [nota 1], p. 198).
199. IOHANNES DIACONUS, Cena Cypriani, IV 1 (MODESTO, ed. cit. [nota 1], p. 200).
200. VINAY, Alto cit. (nota 8), p. 342.
Discussione sulla lezione Mosetti Casaretto
LARIOUX: a propos de la Cena Cypriani, je voudrais simplement signaler
que certains des produits – notamment les poissons – cités dans le texte
ne se trouvent en fait pas dans la Bible mais, en revanche, sont mentionnés
dans les listes gastronomiques encore connues à l’époque (par exemple celle
qui figure dans les Satires Ménippées de Varron).
MOSETTI CASARETTO: La ringrazio per questa Sua gentile osservazione, che mi consente di ribadire come la Cena Cypriani sia un testo,
effettivamente, situato alla confluenza di due tradizioni coesistenti, quella
pagana e quella cristiana, e si « alimenti » – perdoni l’anfibologia – di
entrambi gli apporti. Del resto, non potrebbe essere diversamente: la Cena è parodia e per innescare il gioco parodico è necessario che si verifichi
una sorta di tensione contrastiva fra « modelli » e « antimodelli » culturali, là dove i secondi aggrediscono i primi. La portata degli aquatilia, cui
Lei fa riferimento, terminologicamente, si appoggia soprattutto (anche se
non solo) sull’apporto della Naturalis historia di Plinio; benché, poi, ciò
che giustifica l’attribuzione di ciascuna portata di pesce, è e resta sempre
la Scrittura ovvero resta la personale, individuale storia biblica, che sedimenta alle spalle di ogni commensale. E questo, di là da ogni ragione terminologica, è ciò che conta perché così si costruisce il significato del testo.
In altri termini: dalla fonte classica ricaviamo l’umbra (ombrina) come
specie ittica e come pietanza, ma il fatto che Lazzaro se ne serva non è
dovuto a quella fonte, ma alla sua sepoltura biblica, che lo rende ontologicamente umbra (fantasma, parvenza tenebrosa); la qual cosa, per di più,
poiché il nostro autore è un « fantasmagorico » parodista, innesca anche
un secondo calembour, dovuto al fatto che, nel contesto simposiale, umbra era detto l’ospite, per così dire, « imbucato » cioè il non invitato al
banchetto, ma che comunque vi partecipava perché condottovi da altri.
Quindi, è vero: il catalogo ittiologico della Cena è importato da fonti
1012
LA DISCUSSIONE
extra-scritturali, ma dal punto di vista narratologico questo dato riguarda
solo la partita doppia dei debiti e dei crediti testuali, ermeneuticamente
passa in secondo piano. La Sua osservazione, in ogni caso, sottolinea bene la natura duplice, cristiano-pagana del componimento; di più: si può
estendere un po’ a tutte le portate della Cena. Per esempio, anche e soprattutto alla scena della libagione, là dove l’elenco delle diverse qualità di
vini, di cui gli ospiti di Gioele si servono, non deriva, sicuramente, dalla
Bibbia. E, tuttavia, è sempre e solo la Bibbia a giustificare l’impiego di
ciascun vino perché è la Bibbia, che trasforma l’associazione in battuta e
la battuta in riso. Siamo di fronte a un testo tardo-antico, scritto da un
autore, che, molto probabilmente, non è cristiano, ma, come e forse più di
un Celso, conosce abbastanza bene il Cristianesimo e si diverte a scoronizzarlo anche attraverso il gioco di simili ibridizzazioni; le quali, del resto, altro non fanno che accentuare il senso trasgressivo della stessa partecipazione di tutti questi commensali biblici alla paradossale cena di re
Gioele. Una cena, che diventa credibile nel suo essere pagana e mondana,
proprio se non sottovaluta l’esattezza e l’attualità di alcuna citazione
« gastronomica ».
STELLA: ti ringrazio molto per una relazione di così brillante scrittura
e per l’analisi della diffusione del De spectaculis di Novaziano sotto il
nome di Cipriano come possibile concausa della pseudepigrafia. Vorrei sollecitare una tua riflessione sulla possibilità (da te esclusa, se capisco bene)
che la versione ritmica della Cena Cypriani di Giovanni Immonide si
possa collocare nel contesto, che sembrava evidente anche a Orlandi e De
Marco, di una rappresentazione pubblica: mi sembra difficile negarlo se si
considerano il prologo del buffone, il suo linguaggio comico, il suo rivolgersi a un pubblico presente. Si è pensato alle manifestazioni di tipo carnevalesco chiamate laudes Cornomanniae che si tenevano nel sabato in albis sul prato dinanzi al Laterano. Naturalmente nessuno ha pensato e
penserebbe a un’azione scenica con più attori, che si sa essere sconosciuta
all’alto medioevo, piuttosto alla recitazione di testi ad alta voce con eventuale accompagnamento mimico attestata dal teatro romano post-classico fino probabilmente a Rosvita e al XII secolo. Il fatto poi che un autore serioso come Giovanni si sia dedicato alla rielaborazione ritmica della Cena
invita secondo me a una maggiore prudenza nell’escludere attribuzioni di
opere di un certo genere letterario a un autore solo perché non si conoscono
altre sue prove nel medesimo ambito.
LA DISCUSSIONE
1013
MOSETTI CASARETTO: caro Francesco, sono io che ti ringrazio per la
generosa attenzione, che hai voluto prestare al mio intervento e, soprattutto, per avermi dato, con la tua domanda, il modo di chiarire meglio il
mio pensiero in merito alle intenzioni della Cena Iohannis. È vero: nel
Prologus, nell’Epilogus e nella Suppositio ad Papam, l’Immonide afferma di voler destinare la sua Cena a una rappresentazione mimica o
pantomimica; e, per buona misura, pare assegnarla già al gesto di un individuato scurra, il vecchio e malridotto Crescenzio. La questione, così, è
aperta: cos’è la Cena per Giovanni? È, davvero, la trasformazione dell’irrappresentabile Cena Cypriani nel canovaccio per il mimo di un Medioevo, notoriamente, privo di scena e di teatro? Tutto sta nel capire come
dobbiamo recepire le parole dell’Immonide, se in senso storico o fabulatorio. Ovvero: dobbiamo prenderle alla lettera, e considerarle alla stregua di
una vera e propria dichiarazione d’intenti oppure dobbiamo considerarle
come una mera provocazione letteraria, in linea con lo spirito istrionesco e
parodico della Cena stessa? Conosco bene le posizioni dell’Orlandi e della De Marco, che, giustamente, hai menzionato; così come conosco posizioni affini di altri studiosi – l’Allegri, per esempio – i quali hanno ritenuto di dare fiducia illimitata alle affermazioni – peraltro, esplicitamente
ludiche – di Giovanni: ma non mi sento di condividerle. Il fatto è che le
parti accessorie della Cena Iohannis hanno assunto, per costoro, una valenza critica determinante. Il tono comicamente ammiccante e, per così dire, vagamente « imbonitorio », utilizzato da Giovanni per esaltare l’aspetto ludico del testo, a parer nostro, è stato da loro del tutto travisato:
hanno considerato Prologus, Epilogus e Suppositio come sedi attendibili della genuina espressione del punto di vista dell’autore. Tuttavia, vorrei
ricordarlo, si tratta pur sempre di una serie testi letterari, non di una serie
di documenti storici o notarili; e di una serie di testi, in cui l’autore sta
chiaramente scherzando con il suo lettore, del quale cerca la divertita complicità. Da sempre, del resto, la letteratura si nutre, in prima istanza, di
finzione ovvero di simulacri di realtà. Ebbene, chi si trova a leggere criticamente le parti accessorie della Cena Iohannis non può fare a meno,
credo, di notarne l’atmosfera canzonatoria, burlesca, a metà fra il divertito
e l’irridente, che tutte le pervade; atmosfera, fra l’altro, sfruttata da un
autore, fattosi, da subito, personaggio del testo e che si finge egli stesso
istrione (Prologus, 1.1-2) allo scopo di recitare per finta una « satira,
che avrebbe fatto scoppiare dal ridere la pancia di Codro » (Prologus,
1.3-4), l’antico re di Atene, il quale, come attesta Agostino, provocava
con il canto i suoi nemici (De civitate Dei, 18.19). Nella Roma del-
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LA DISCUSSIONE
l’876, non sappiamo chi, fra le maschere citate nell’Epilogo, siano i nemici, che Giovanni intende provocare: forse, tutti o nessuno (Anastasio,
bibliotecario apostolico; Gauderico, vescovo di Velletri e nunzio del Papa;
Zaccaria, consigliere del Papa e primate di Anagni; l’infido Formoso, cardinale scomunicato, ma sino ad allora nunzio del Papa alla corte di Carlo
il Calvo); ma lasciamo stare. Nella prospettiva finzionale della Cena,
Giovanni è uno scurra, che resta alla porta ovvero ai margini di un confronto storico – quello sì – davvero drammatico. Sappiamo, però, che questa Cena è satira (Prologus, 1.3) perché, come tale, è provocatoria; perché si inserisce nel solco di quel sovvertimento ridicolo, che già l’Anonimo
estensore della Cena Cypriani aveva diretto al Cristianesimo nella Tarda Antichità. Giovanni non è tanto interessato alla Cena in sé e per sé,
quanto a ciò che la Cena rappresenta in quanto trasgressione: l’irrisione
dei mimi, la parodia del sacro, il riso come distruttore di icone. Certo,
Giovanni non gioca la sua partita sullo stesso tavolo dell’Anonimo tardoantico, sa che « il poeta, senza vergogna, cambia musa col mutare dei
tempi » (Suppositio, 11); però, di quel precedente, lui, ha capito lo spirito irriverente ed è sul dato di quell’irriverenza, che intende speculare.
Mi chiedo: possiamo, davvero, prendere sul serio l’Immonide, quando è
lui stesso a confessarci ludere me libuit, « mi piacque scherzare » (Suppositio, 1)? Lo scopo giocoso di Giovanni è dichiarato, è lì, è nel riverbero del testo, è uno smalto evidente, che ricopre ogni singola parola, nessuna esclusa. Giovanni, in realtà, non sta affermando nulla, si sta divertendo, sta scherzando: dargli retta è un po’ come dar retta a Rabelais
quando dice « io bevo solo alle ore canoniche come la mula del Papa ».
Giovanni definisce la sua Cena « sacerdotalis lusus » (Prologus, 3.4),
approntato per il grasso divertimento del Pontefice romano (!): e lo prega
di accettare questo suo « scherzo », del quale, « se vorrà, potrà ridere »
(Suppositio, 1-2). Possiamo, plausibilmente, ritenere che si tratti di un
autentico consiglio e non del fatto che il Diacono romano stia ri-orientando
la carica irridente della Cena originale per dirigerla verso il Papa stesso
come icona alto-spirituale da ribaltare? Quando chiama la Cena « imperialis iocus » (Prologus, 4.4) e la raccomanda all’imperatore Carlo il
Calvo (841-877) perché la rappresenti durante i suoi trionfali banchetti allo scopo di istruire il proprio esercito (!), siamo sicuri di poter prestar fede
a un simile suggerimento? All’idea della Cena come « Bibbia senza sforzo » per la soldataglia dell’Imperatore? È un pubblico di discenti plausibile? Capace di interagire con i complessi meccanismi di riferimenti scritturali, che un simile testo prevede? Di più. Quando Giovanni trasforma Ci-
LA DISCUSSIONE
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priano in un ilare ossimoro predisposto per il riso del lettore, quando lo
rende un paradosso comico e, distruggendo ogni rapporto causale fra il Vescovo e la Cena, che non sia parodico, ritrae il Martire ludibundus
(Epilogus, 1.3), in un quadro « bacchico » (Vinay), mentre ridacchia nel
comporla, ebbro di pampini e di uve (Prologus, 2.3), non riusciamo ancora a convincerci che Giovanni stia scherzando? Neppure quando usa
parodicamente il verbo canto in iunctura con papa Tascius (Epilogus,
1.1), per abbassare un verbo specializzato in senso liturgico-recitativo alla
masticazione non dei Salmi, ma a quella dell’irriverente Cena? Neppure
quando chiama Cipriano scriba prudentissimus (Prologus, 2.4), alludendo a I Tim 3.2 (Oportet ergo episcopum inreprehensibilem esse / ... / sobrium prudentem) e a quella virtus, la prudentia, che è
del tutto incompatibile con il riso (Prv 10.23: Quasi per risum stultus
operatur scelus sapientia autem est viro prudentia) e con la dimensione conviviale in genere (cfr. Ecl 7.3-5; Prv 23.20-21; Is 5.11-12; II
Pt 2.13; etc)? Neppure quando impietosamente scompone la ieraticità del
Santo martire, che Giovanni certifica di aver « visto » dal lido di Ostia a
Cartagine mentre scrive la Cena con mano malferma su una logora tavoletta cerata, grazie all’excessus di uno sguardo, che oltrepassa il Tempo
prima dello Spazio? Se c’è un tratto caratterizzante, che possiamo attribuire alla rielaborazione di Giovanni, ebbene, quel tratto è proprio la
sovversione di ogni realismo nel senso di una forte accentuazione comicoparodica. Come scrive Pavel Florenskij, la prospettiva è « solo una delle
possibili interpretazioni del mondo, legata a un ben determinato modo di
sentire e di comprendere la vita »: siamo proprio certi che la grammatica
di Giovanni sia quella di un odierno regista cioè quella di un messaggio
di servizio, dal significato letterale, alfabetico? Personalmente, non riesco a
credere che, quando Giovanni parla del vecchio e malridotto Crescenzio –
un concentrato caricaturale di maschera basso-corporea – e delle sue scurrilità, si stia riferendo a un progetto concreto di rappresentazione. Certo,
allude alla Cornomannia: ma quella sorta di Carnevale è solo un colore
sullo sfondo, che accentua, proprio per il suo valore concreto, il valore paradossale del ludus giovanneo. A ben guardare, ogni particolare, nella rielaborazione immonidea, tende alla stridente decostruzione di ogni realtà,
verso una radicalizzazione carnascialesca, tutta mentale del testo e, dunque, verso una concezione totalmente fabulatoria e immaginaria della Cena. Prendere Giovanni alla lettera, a parer mio, vuol dire contraddire lo
spirito del testo, che è ridicolo e grottesco. No. Per me, la Cena Iohannis non è un canovaccio, né è la partitura di una rappresentazione. Stru-
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LA DISCUSSIONE
mentalizza e assorbe il mimo come fattore destabilizzante di irrisione, come icona derisoria, ma non gli dà né un palco, né il prato antistante il
Laterano per gesticolare le sue comiche affabulazioni. Questo è, ancora
una volta, « teatro della mente », anche se, con cortocircuito comico, ride
di se stesso. Il rimaneggiamento immonideo si svolge nel segno della percezione estetica della Cena ovvero nel segno della sua attualità formale. Ad
cenam venite cuncti Cypriani martiris (Prologus, 6.1-4): Giovanni
scherza con lo scherzo tardo-antico, ma lo fa dall’interno, innestandosi
perfettamente sulle dinamiche, che lo guidano e lo giustificano, per potenziarne l’effetto comico. Fa il verso al venite ad nuptias di Mt 22.4: un
calco, attraverso il quale la fictio varca i confini della cornice, esonda fuori
e dentro il testo. Per Iohannem la Cena Cypriani si apre, diventa un
insieme osmotico, reciproco. L’Immonide entra nel gioco delle rifrazioni
testuali e si fa servus di Cipriano (già finto patrocinatore del banchetto);
si fa esecutore dell’exi in vias et sepes et conpelle intrare ut impleatur domus mea (Lc 14.23). La partecipazione di Mt 22.1-14 e di Lc
14.16-24 non è più ristretta alla sola Cena; si dilata, si allarga; non
giustifica più solo l’opera originale, ma corrobora la sua stessa riscrittura.
Di più. Attraverso l’implicita allusione al quoscumque inveneritis vocate ad nuptias (Mt 22.9), l’ammiccamento critico nei confronti della
storia, che accomuna sempre l’emittente e il destinatario previsto di un testo parodico, improvvisamente rinverdisce, trova di nuovo un esito immanente. Perché, così facendo, l’invito a cena di Cipriano viene spostato
avanti di quattrocento, seicento anni: quell’invito, non resta più lettera
morta in un testo morto, ma colpisce direttamente la corte pontificia di
Giovanni VIII e la corte imperiale di Carlo il Calvo: ovvero, il duplice
pubblico, che Giovanni provoca come desiderato orizzonte di attesa e che,
proprio per la sua duplicità, non può darsi contemporaneamente come vero
destinatario (dunque, è immaginario). La stessa proposta dell’invito a cena è irridente, ché: da un lato, non è possibile disattenderla senza autocondannarsi alla dannazione eterna (cfr. Lc 14.24); dall’altro, non è possibile accettarla senza essere equiparati ai pauperes ac debiles et caeci
et claudi cooptati in vias (cfr. Lc 14.21). Naturalmente, non pretendo
di avere ragione: ma per tutto questo clima rabelaisiano ante litteram,
che qui si respira, per la risibilità e l’ironia, che caratterizzano le parti accessorie della Cena Iohannis, non sono propenso a prendere sul serio gli
assunti in esse contenuti e a ritenere che l’Immonide stia proponendo una
vera rappresentazione pubblica della Cena, in qualunque forma tale rappresentazione si possa immaginare. Non lo sarei neppure se avessi le pro-
LA DISCUSSIONE
1017
ve storiche che, nella Roma del IX sec., uno scurra di nome Crescenzio
– come le laudes Cornomanniae – è realmente esistito. Per quanto riguarda, poi, la necessaria prudenza – se capisco bene il senso della tua
ultima osservazione – nel dissociare per presunta incompatibilità la figura
di Cipriano dalla Cena tardo-antica perché Giovanni Immonide, funzionario attivo presso la Curia pontificia, non ha disdegnato di occuparsi di
un simile testo, posso rispondere che – fatta salva ogni doverosa cautela –
l’orientamento critico oggi prevalente ritiene assai poco probabile, per le
varie e complesse ragioni da te conosciute, che Tascio Cecilio Cipriano
possa aver composto la Cena a lui stesso intitolata. E, in ogni caso, se
guarderemo alla qualità delle successive rielaborazioni del testo, potremo
notare come mentre quelle che hanno conservato lo spirito trasgressivo e
intemperante dell’originale sono ascrivibili esclusivamente alla mano di un
autore laico (Giovanni Immonide e Umberto Eco), quelle che ne hanno,
al contrario, spuntato l’irriverenza, trasformandola in dossologia, sono di
chiara estrazione monastico-ecclesiastica (Rabano Mauro, Azelino di
Reims, Anonimo di Arras). La qual cosa, seguendo la logica del tuo pensiero, dovrebbe confermare la scarsa plausibilità dell’attribuzione della Cena alla mano del Vescovo cartaginese. Del resto, lo stesso Giovanni ci dà
prova di ritenere che il riferimento al Martire africano sia solo ed esclusivamente comico: quando fa di Cipriano un meta-Cipriano, personaggio
di se stesso e, al contempo, raddoppiamento caricaturale e grottesco di se
stesso, riconoscendolo nella sua originaria realtà strumentale di paradosso,
l’Immonide ci dice, infatti, per via implicita, che in questa esibita attribuzione egli avverte solo tutta la forza comica di quella incompatibilità tra
forma e sostanza, che è alla base di ogni parodia, mai l’autentica firma di
un autore.
CARILE: la sua penetrante analisi semiologica della Cena Cypriani
mi ha richiamato il problema, che non sono riuscito a risolvere, delle parodie di cerimonie e persone sacre messe in scena come spettacolo sia in pubblico sia a corte da parte di Michele III figlio di Teodora, restauratrice del
culto delle immagini nell’843, egli stesso ispiratore e finanziatore delle
missioni di cristianizzazione nella Penisola Balcanica. Michele III sembra
farsi gioco del sacro anche pubblicamente e soprattutto in un ambiente altamente simbolico come il Sacro Palazzo. D’altra parte la legislazione
teodosiana proibiva la messa in scena ad opera di mimi di episodi delle
sacre scritture. Michele III intendeva offendere la religione cristiana oppure
godeva di un tipo di spettacolo e di umorismo per noi incomprensibile se
1018
LA DISCUSSIONE
non negativo? È una domanda che pongo a me stesso da tempo. D’altra
parte il divieto ai mimi di rappresentare fatti sacri fin dal IV secolo, la cerimonialità in chiave scoptica di Costantino V, sembrano indizi di una
messa in scena teatrale dei fatti sacri forse non sempre intesa in senso negativo dal pubblico di quei secoli.
MOSETTI CASARETTO: La ringrazio per la Sua domanda, alla quale,
per la mia scarsa frequentazione del contesto bizantino, mi è assai difficile
rispondere in modo pertinente: La prego, quindi, di scusarmi se, nella
mia replica, potrò dire delle ingenuità. Preciso subito di non essere esattamente a conoscenza di quali forme assumesse il farsi privatamente e/o
pubblicamente gioco del sacro di Michele III: dunque, non saprei neppure
suggerirne la natura delle intenzioni – se l’offesa o l’umorismo. A quanto
mi è dato di sapere, però, Michele III non godeva affatto di buona reputazione; Giovanni Scilitze (XI-XII sec.) lo tratteggia come un imperatore
dissoluto e scialacquatore, inviso al popolo e, addirittura, maledetto dalla
propria madre. E tuttavia, poiché il 25 Settembre dell’867 lo stesso Michele III venne ucciso da Basilio il Macedone, che con il regicidio operò
un drastico cambio di dinastia, mi domando se questa connotazione così
caricaturalmente negativa, se questa concentrazione di accuse e di nefandezze, che la successiva tradizione storiografica attribuisce compattamente
a Michele III, non possa essere ascrivibile a una sorta di propaganda post
eventum messa in campo dalla nuova dinastia macedone; dunque, se, in
sostanza, non possa essere letta più come una superfetazione calunniosa
fabbricata ad arte, dovuta al necessario discredito, che si doveva gettare sul
personaggio per giustificarne la violenta soppressione, che non a reali fatti
storici. Con ciò, è ovvio, le mie sono mere ipotesi e, da mediolatinista,
non sta a me rispondere sulla questione. Per il resto, posso solo qui, genericamente, rammentare le teorie a suo tempo espresse da Michail Bachtin,
secondo il quale di inconciliabilità fra serio e faceto, di separazione fra alto-spirituale e basso-corporeo si può davvero parlare solo a partire dalla
Controriforma; e ricordare anche le puntualizzazioni, in merito, di Aaron J. Gurevič, per cui il Medioevo avrebbe detronizzato il sacro avendolo
dentro di sé: quindi, non stigmatizzandolo come un bersaglio esposto, ma
rigenerandolo come un elemento introiettato della propria cultura. Se ciò è
vero, noi, poiché collocati cronologicamente a valle della Controriforma, ci
troveremmo, spesso, in grave difficoltà a comprendere perfettamente le forme del riso in atto nel mondo medievale, in quanto quel mondo non
avrebbe mai percepito – a differenza nostra – come davvero irriverente il
LA DISCUSSIONE
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farsi beffe del sacro (purché, immagino, lo scherzo fosse rimasto contenuto
entro certi limiti). Di là dalle note « feste dei folli », dal Carnevale o
dalle citate laudes Cornomanniae, testi quali gli ioca monachorum
starebbero lì a confermarlo, così come certe pagine dei Carmina Burana o
dei Carmina Cantabrigensia, o la stessa rielaborazione della Cena
Cypriani operata da parte di un personaggio tradizionalmente ieratico e
austero quale Rabano Mauro. Per quanto riguarda, poi, il divieto fatto ai
mimi in vigore nel IV sec., cui Lei fa accenno, posso solo ribadire quanto
già detto nel corso del mio intervento e, cioè, che lo scontro fra Pagani e
Cristiani in atto nel Tardo Antico aveva assunto anche le forme di una
vera e propria « guerra del riso », di cui i mimi erano sicuramente i principali protagonisti: evidentemente, i loro spettacoli divertivano una parte
del pubblico e ne offendevano un’altra, che, prevalendo, li censurò, pur
non avendo la forza di estinguerli concretamente. Credo che la Cena
Cypriani trovi qui, in questa tensione dialettica, la sua humus e il suo
innesco. In che misura, però, queste dinamiche culturali abbiano influito
sull’evoluzione dello spettacolo grottesco nel mondo bizantino mi è, purtroppo, impossibile specificarlo.