SCHEGGE DI STORIA BRINDISINA
dalle origini all’annessione al Regno d’Italia
2013
?- 300 aC Brindisi Preistorica
300aC -500dC Brindisi Romana
500-1070 Brindisi nell’Alto Medioevo
1070-1194 Brindisi Normanna
1194 -1268 Brindisi Sveva
1268-1442 Brindisi Angioina
1442-1496 Brindisi Aragonese
1496-1509 Brindisi Veneziana
1509 -1713 Brindisi Spagnola
1713-1734 Brindisi Austriaca
1734-1860 Brindisi Borbonica
SCHEGGE DI STORIA BRINDISINA…
2013
SCHEGGE DI STORIA BRINDISINA dalle Pagine Web del Gruppo Archeo.........................
SCHEGGE DI STORIA BRINDISINA dalle Sconfinate Pagine del Web............................
? - 300aC Brindisi Preistorica
300aC-500dC Brindisi Romana
SCHEGGE DI STORIA BRINDISINA dalle Sconfinate Pagine del Web...... 500-1070
SCHEGGE DI STORIA BRINDISINA dalle Sconfinate Pagine del Web............................
Brindisi nell’Alto Medioevo
1070-1194 Brindisi Normanna
SCHEGGE DI STORIA BRINDISINA dalle Sconfinate Pagine del Web................................................. 1194-1268
SCHEGGE DI STORIA BRINDISINA dalle Sconfinate Pagine del Web.................................... 1268-1442
Brindisi Sveva
Brindisi Angioina
SCHEGGE DI STORIA BRINDISINA dalle Sconfinate Pagine del Web.............................. 1442-1496
Brindisi Aragonese
SCHEGGE DI STORIA BRINDISINA dalle Sconfinate Pagine del Web............................... 1496-1509
Brindisi Veneziana
SCHEGGE DI STORIA BRINDISINA dalle Sconfinate Pagine del Web.................................... 1509-1713
SCHEGGE DI STORIA BRINDISINA dalle Cronache dei Sindaci di Brindisi ......................
Brindisi Spagnola
1713-1734 Brindisi Austriaca
SCHEGGE DI STORIA BRINDISINA dalle Cronache dei Sindaci di Brindisi ................... 1734-1860
Brindisi Borbonica
SCHEGGE DI STORIA BRINDISINA…
“Schegge di Storia brindisina” é una raccolta di cento schede nelle quali si
presenta in sequenza cronologica e molto riassunta la storia di Brindisi, la “Filia
solis” dell´imperatore Federico II, la romana “Brundusium” e la messapica
“Brunda”, dalle sue origini pre-romane fino alla sua annessione al Regno
d´Italia, nel 1860.
La raccolta non pretende essere un libro di storia, né pretende costituire un
relato storico completo, ma é semplicemente solo una raccolta di “schegge”, di
note e appunti cioè, sulle vicende più rappresentative della plurimillenaria
storia della città, raccontate in maniera puntuale semplice e, spero, amena.
Gli spunti principali di queste “schegge” provengono dalla “Cronaca dei Sindaci
di Brindisi” per gli anni dal 1529 al 1860; mentre per i precedenti, dalle origini
fino al 1529, gli spunti provengono tutti dalle sconfinate pagine del web.
GIANFRANCO PERRI
2013
SCHEGGE DI STORIA BRINDISINA…
Nel nome di Teodoro e di due colonne l’Adriatico si serra, fra Brindisi e Venezia, definendo
un modello culturale che rende il mare veicolo di modelli culturali. Il vertice meridionale,
l’insenatura che parve potersi proporre quale metafora di una testa di cervo, apre sullo
Jonio e sul Mediterraneo centrale proponendosi quasi come chiave per l’accesso a quel
mare che la Serenissima considerava di proprio esclusivo dominio. In questa funzione, a
un tempo di proiezione verso l’esterno e di salvaguardia dell’interno, può comprendersi la
plurimillenaria vicenda dei bacini portuali su cui hanno prospettato le città che, di tempo
in tempo, sovrapponendosi le une alle altre, hanno avuto come elemento di continuità il
nome di Brindisi.
Città invisibili sono celate allo sguardo dal costruirsi e decostruirsi sempre nello stesso
luogo; non è difficile tuttavia, in particolare sui rialti che prospettano il seno di ponente,
scorgere tracce e indizi non irrilevanti. Città certo invisibili ma che, al visitatore attento, si
disvelano nei rocchi di età romana che, quasi come relitti di un naufragio, paiono sparsi
per vie e piazze, terrapieni che, come quelli di via Camassa, si rivelano riutilizzati e
reinterpretati come contenimento, difesa, pareti di fondo di minime abitazioni, edifici che,
dal basso verso l’alto, propongono, in successione, sovrapposizioni romane, medievali,
rinascimentali e moderne.
Quanto Lecce pare offrirsi, quasi con sfrontatezza, allo sguardo con l’opulenza dei suoi
esterni, tanto Brindisi pare nascondersi; terra di mercanti, a facciate sobrie si oppongono
interni smaglianti. Qui il barocco si dispiega e si contiene in forme che non declinano
horror vacui ma piuttosto ricerca costante della misura nell’eco, in certo senso, della
grande tradizione classica.
L’ultima, in ordine di tempo, delle città chiamate Brindisi reca su di sé i segni tragici del
secolo breve con memorie narrate da quelle che possono considerarsi steli celebrative che
si pongono in continuità con le colonne del porto e che su questo, come quelle,
prospettano: il Monumento Nazionale al Marinaio d’Italia e il memoriale delle vittime del
terrorismo.
In questo viaggio nel tempo e nello spazio il volume di Gianfranco Perri accompagna come
amico discreto, evidenziando il celato, definendo con nuovi significati ciò che apparirebbe
evidente, fornendo nuove chiavi di lettura della città. Lo fa con la passione di chi ama una
terra che, per motivi di amore e di lavoro, ha dovuto lasciare ma cui sempre ritorna; il suo
sguardo è perciò da un lato quello di un senso interno, determinato dai suoi vissuti, l’altro
di chi è capace di cogliere ricchezza e contraddizioni del proprio luogo d’origine
ponendosene, in qualche modo, sia pur inconsapevolmente, all’esterno.
L’invito di Gianfranco Perri è allora quello di essere turisti nella propria città, d’avere la
capacità di guardarla con stupore e meraviglia, di scoprirla ogni giorno in nuovi e diversi
significati.
Giacomo Carito
SCHEGGE DI STORIA BRINDISINA…
… Pagine
dalle Sconfinate
Pagine del
Web
... dalle
Web del Gruppo
Archeo
PARTE I
di Gianfranco Perri
I primi abitanti brindisini, quelli preistorici, sembra
che risalgano a circa 12.000 anni fa, all´ultima era
glaciale del Paleolitico superiore. Ne sono prova gli
utensili in selce ritrovati a Torre Testa, lungo la
costa nord brindisina. Sempre sulla costa, sono
anche stati fatti ritrovamenti che attestano
insediamenti risalenti al Neolitico, tra 8.000 e 6.000
anni fa; all`età del rame, tra 6.000 e 4.500 anni fa; e
all`età del bronzo, tra 4.500 e 3.000 anni fa.
Altri ritrovamenti risalenti alla protostoria sono
stati fatti sugli scogli di Apani e nella zona
denominata Punta delle Terrare, adiacente a Santa
Apollinare, dove il ritrovamento di ceramica del tipo
miceneo, prova essere esistiti antichi contatti e
scambi commerciali con le civiltà dell´Egeo.
Il lavoro degli archeologi in Punta delle Terrare, ha
permesso infatti una datazione di reperti al periodo
del bronzo medio, quindi d´età micenea, quando
certamente antichi navigatori si insediarono in
quella posizione, strategica per i loro traffici ed al
contempo generosa di acqua dolce come attestano
gli antichi canali di Fiume piccolo e di Fiume grande,
con allo stesso tempo un retroterra ubertoso e ricco
di cacciagione.
Nel sito sono state trovate diverse strutture di
capanne protette da mura di cinta a secco; gli scavi
abbondano di ceramica domestica liscia, preparata a
mano con argille di provenienza locale, e ceramica di
importazione con decorazione appenninica di motivi
a spirale o a meandri ottenuti con l’incisione.
L´abbondante presenza di scarti di cucina e
vasellame, ha permesso di constatare che quegli
antichi abitanti di Brindisi furono dediti alla raccolta
di molluschi, alla pesca, all´allevamento, alla caccia, e
alla lavorazione della lana.
Per ritrovare a Brindisi un qualche elemento di
carattere più storico che preistorico, bisogna poi
giungere prossimi al VII secolo aC, con la necropoli
messapica ritrovata in via Tor Pisana.
Ormai tutti gli storici concordano infatti pienamente
sulle origini messapiche di Brindisi, Brunda
appunto, prima di divenire la Brundusium romana
in quel 267 aC, quando Brunda fu probabilmente
l´ultima città importante ad essere incorporata ai
domini italici di Roma, dopo la vittoria degli eserciti
repubblicani romani nelle guerre sannitiche e la loro
successiva conquista di Taranto nel 272 aC e quella
di Reggio nel 271 aC seguite alla sconfitta
dell`epirota Pirro, accorso invano in aiuto di quelle
due ultime ed importanti roccaforti greche in
territorio italico.
Però i consensi degli storici si vanno via via
diradando quando si tratta di definire chi fossero i
Messapi, da dove e quando fossero giunti e quale
fosse l`estensione del loro territorio, la Messapia, e
quale la loro relazione territoriale politica e
culturale con i vicini.
I Romani infatti, quando conquistarono la Messapia,
oltre a mutarne il nome in Calabria, seppellirono con
le loro memorie storiche tutto ciò che poterono
vedere di quel popolo e di quei territori e che
poterono eventualmente conoscere dei loro
antecedenti. E unendo a ciò la consolidata
tradizione che quasi sempre vede inevitabilmente
avvolgere nelle leggende locali la storia delle antiche
colonizzazioni, si possono intuire molto bene le
ragioni di tante incertezze.
SCHEGGE DI STORIA BRINDISINA…
… dalle Sconfinate Pagine del Web
PARTE II
di Gianfranco Perri
La tradizione storica ha da sempre puntato sulla
grecità dei Messapi, sul fatto cioè che quelle
popolazioni fossero originarie dell`Epiro e non della
poco più nordica Illiria, una distinzione comunque
non certo trascendente considerata la contiguità
territoriale di quelle terre e di quei popoli siti sulla
sponda adriatica dirimpettaia al tacco dello stivale
italico.
I Messapi, di lingua comunque greca, furono pastori
e agricoltori, ma furono anche e soprattutto abili
domatori di cavalli, tenaci combattenti a cavallo, e
buoni arcieri. Inizialmente non vivevano in vere e
proprie città, ma in piccoli gruppi di capanne sparse
nel territorio ed i cui abitanti però si riunivano in
centri fortificati, in caso di attacchi esterni o per
celebrare feste e riti.
E` anche storicamente abbastanza accreditata la tesi
secondo la quale, inizialmente la regione della
Japigia comprendesse quasi tutta l`attuale Puglia e
che solo in un secondo momento si sia di fatto
suddivisa in Daunia al nord, Peucezia al centro e
Messapia al sud. Come del resto la stessa Messapia
successivamente fu suddivisa tra i due popoli
contigui: i Messapi a est e i Sallenzini, i greci di
Taranto, nella Sallenzia a sudovest sulla costa ionica,
a partire dalla fondazione della spartana Taranto nel
708 aC.
A Brindisi, che pur giunse ad essere annoverata tra
le città messapiche importanti, non ci sono infatti
resti di edifici messapici, mentre sono stati ritrovati
numerosi loro reperti ceramici e alcune tracce di
cinte murarie.
L`invasione messapica con l`insediamento di quelle
genti epiriche nel meridione pugliese si fa risalire a
un periodo compreso nel secondo millennio aC, più
probabilmente nella sua seconda metà, e quasi tutti
gli storici concordano anche sul fatto che gli Japigi,
provenienti invece dall`Illiria, li avevano preceduti
forse di non molto e si erano stanziati forse
preponderantemente
nel centro nord della
penisola pugliese.
I Messapi invece,
approdati sulle coste
adriatiche
più
meridionali del tacco
italico, dopo aver
formato nuclei di
colonizzazione
costieri penetrarono
il loro nuovo paese
fino ad occupare
tutto il territorio
approssimatamente
compreso tra l`istmo
di Brindisi-Taranto a
nord,
e
il
promontorio di Leuca
a sud: la penisola
indruntina, la futura
Terra d`Otranto.
Topograficamente a Brindisi, i Messapi occuparono
inizialmente, intorno al secolo VIII aC, la collinetta
che si affaccia sul seno di ponente del porto interno
e poi, nel VII secolo aC si stanziarono nella penisola e
nel corso del VI secolo aC la città venne difesa da
mura che seguivano il percorso delle attuali via
Armengol, via Fornari, via Casimiro e la banchina del
porto. Due o forse più zone necropolari erano
all´esterno di questo circuito di mura; e non è
escluso che un circuito esterno più ampio
racchiudesse un´area molto più vasta, come si
riscontra anche in altre importanti città messapiche.
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… dalle Sconfinate Pagine del Web
PARTE III
di Gianfranco Perri
Poco più di 400 anni, quelli immediatamente
precedenti all`era romana, coesisterono, e non di
certo pacificamente, i Messapi e i Greci tarantini:
secondo Aristotele, dopo la seconda guerra
messenica, alcuni cittadini di Sparta, nati dall`unione
adulterina delle madri lacedemoni con i loro schiavi,
emigrarono verso la Magna Grecia e fondarono una
colonia in Taranto costringendo poi gli autoctoni
messapici a rifugiarsi a Brindisi.
Seguirono secoli di rivalità lotte e guerre aperte dei
Messapi contro i Tarantini con esiti alterni fino a
quando, nel 473 aC, sollecitati dalla vendetta e dal
timore del comune pericolo rappresentato da quella
repubblica cresciuta in potenza e vigore, Messapi e
Peucezi e forse anche Dauni si coalizzarono con un
esercito di 20.000 unità contro la città stato di
Taranto che chiese l`aiuto di Reggio, l`altra capitale
della Magna Grecia. Ma finalmente, dopo alcuni anni
di quella guerra greco-japigica, gli Japigi ebbero in
quell`occasione la meglio e quasi annientarono
Tarantini e Reggini.
alla disgregazione di tutti i territori della futura
Terra d`Otranto, e finendo con il favorire la
conquista romana e la colonizzazione di tutta la
penisola, che divenne Calabria.
Fino ad allora, fino a quando cioè non vennero
sottomessi del tutto dai Romani, gli Japigi ed in
particolare i Messapi, anche se fortemente
influenzati dalla cultura greca, sia quella originale
d`oltre mare e sia successivamente quella grecotarantina ben più vicina y più presente, erano stati in
grado di mantenere durante vari secoli una propria
importante identità ed autonomia.
Taranto comunque evitò il suo totale annientamento
e si riprese. Anche se mai risulta che Taranto sia mai
riuscita a vincere in maniera sostanziale sui Messapi,
si registrarono però episodi di locali vittorie
tarantine e di loro conquiste parziali espugnando
anche intere città messapiche, tra le quali resta
famosa anche se ancora in parte enigmatica, la
barbara distruzione con il rispettivo saccheggio di
Carovigno, Carbina, un episodio questo avvenuto
forse pochi anni prima o forse pochi anni dopo
quella grande guerra greco-messapica.
Forse con la conquista di Carovigno, i Tarantini
speravano
aprirsi
un
controllo
costiero
sull`Adriatico, una testa di ponte dalla quale sarebbe
stato più facile attaccare Brindisi, ma questa restò
comunque solo un`aspirazione mai concretizzata.
Taranto rifiorì definitivamente sotto il principato di
Archita, ma alla sua morte, nel 347 aC, discordie
interne la indebolirono nuovamente e sotto le
rinnovate minacce dei Messapi si rivolse al re
dell`Epiro, che accorse in suo aiuto intraprendendo
una guerra di logoramento contro i Messapi.
Di fatto, le lotte tra Greci autoctoni ed alloctoni, cioè
tra Tarantini da una parte e Messapi e Japigi più in
generale dall`altra, si protrassero per anni fino alle
guerre sannitiche, contribuendo al logoramento ed
Brindisi fu praticamente l´ultima città messapica ad
essere incorporata ai domini italici di Roma, in
quell´anno 267 aC e nonostante ciò, era destinata a
rivelarsi essere la più fedele alleata di quell`urbe
repubblicana, e poi imperiale:
“Ove il mare Adriatico bagnando l`estrema parte
d`Italia, si distende entro la penisola, che Japigia
dagli antichi si nominava, quivi è formato dalla
natura il porto di Brindisi: porto il più celebre che
immaginar si possa in tutta l`antichità, e che
racchiudendo in se stesso più porti, oltremodo si
rese rinomato né tempi della Roma repubblicana…”
- Annibale De Leo, 1846 –
300aC – 500dC
Brindisi romana
PARTE I
SCHEGGE DI STORIA BRINDISINA…
… dalle Sconfinate Pagine del Web
di Gianfranco Perri
Intorno al 350 aC, l´anno 400 circa dalla fondazione
di Roma, mentre nella regione dei Salentini Brindisi
era messapica, la ancor giovane repubblica romana
già dominava sul Lazio, sulla Campania
settentrionale e sulla città etrusca di Veio, ed aveva
stretto alleanze con diverse altre città e altre
popolazioni minori. I Sanniti, confinanti con i
Romani, erano padroni di quasi tutto il resto della
Campania e del Molise e cercavano di espandersi
ulteriormente: nell´entroterra verso la Lucania, e
lungo la costa tirrenica a discapito delle colonie della
Magna Grecia. Nel 343 aC, Capua fu attaccata dai
Sanniti e chiese aiuto a Roma: scoppiò la prima delle
tre guerre sannitiche che con sorti alterne e
progressive estensioni geografiche, si prolungarono
fino al 290 aC, quando Roma vinse definitivamente.
I Romani, che già avevano prolungato da Capua a
Benevento la via Appia costruita nel 312 aC dal
censore Appio Claudio Cieco, la completarono fino a
Brindisi per assicurarsi una comoda via di
penetrazione, attraverso il suo strategico porto,
verso la Grecia e le regioni dell´Illiria. Brindisi
divenne quindi la testa di ponte per l´espansione
romana, e il suo porto gioco un ruolo fondamentale
già nella prima guerra punica (264 aC–241 aC) vinta
dai Romani sui Cartaginesi. Poi il porto di Brindisi
ospitò nel 229 aC, durante la guerra contro i pirati
illirici che infestavano tutto l´Adriatico, un´intera
flotta di vascelli e due legioni, che salparono verso
l´altra sponda per sottomettere la regina Teuta.
Già nella seconda delle tre guerre sannitiche fu
coinvolta la regione pugliese in cui, i nordici Apuli
appoggiarono Roma, gli Japigi restarono neutrali, e
la più meridionale città messapica, Brindisi, si
schierò accanto ai Romani, conservando l´alleanza
anche nella terza e definitiva guerra (298-290 aC).
Poi, tra il 280 aC ed il 275 aC, la repubblica romana
si trovò ad affrontare l´esercito del re della
Macedonia, l´epirota Pirro, alleato di Taranto,
importante città della Magna Grecia che si opponeva
all'espansionismo romano. I Romani riuscirono a
battere Pirro, consolidando l´egemonia romana
sull´intera Magna Grecia, ad eccezione della Sicilia.
Taranto con gran parte dei territori salentini, fu
conquistata dai Romani nel 272 aC. Poi fu la volta di
Reggio nel 271 aC e dei pochi altri ridotti di
resistenza, fino al completamento, nel 267 aC con il
consolato di Attilio Regolo e Giulio Libone,
dell´unificazione della penisola sotto il dominio di
Roma, da Rimini a Reggio.
In quell´anno 267 aC Brindisi fu l´ultima città ad
essere incorporata ai domini italici di Roma, e fu
colonizzata nel 244 aC, ma lo fu in condizioni
privilegiate ed infatti i suoi abitanti ebbero gli stessi
diritti di cittadinanza “la civitas” di quelli di Roma,
con magistrati locali, un proprio senato, una moneta
coniata in piena autonomia, etc., stabilendosi a
Brindisi in quella data una florida colonia di Romani,
e tra loro molte famiglie nobili e consolari. Brindisi
fu inoltre, fin dall´89 aC, tra le poche città che
nell´ordinamento politico romano ostentarono il
titolo di Municipium, la massima delle varie
categorie previste.
Con le guerre annibaliche il porto di Brindisi
divenne sede permanente di una poderosa flotta
romana, dapprima in funzione anti cartaginese e
dopo la vittoria di Annibale sui Romani nella
battaglia di Canne nel 226 aC, assunse con l´ausilio
di intere legioni, anche il compito strategico più
complesso della difesa delle coste italiane dal re
macedone Filippo. Annibale non riuscì mai a
penetrare Brindisi, come invece poté fare con la
vicina Taranto, e Brindisi resto sempre fedele a
Roma, anche quando nel 209 aC alcune delle colonie
si rifiutarono di continuare la lotta contro i
Cartaginesi, ed in quell´occasione il senato di Roma
manifestò riconoscenza pubblica verso la città. Poi
finalmente, nel 201 aC, Scipione l´Africano sconfisse
Annibale, ponendo così fine alla seconda guerra
punica.
300aC – 500dC
Brindisi romana
PARTE II
di Gianfranco Perri
Tra le tante famiglie nobili brindisine, celebre
doveva divenire quella nel seno della quale nel 220
aC nacque Marco Pacuvio, niente meno che il padre
della tragedia nella lingua latina, figlio di una sorella
di Ennio da Rudie il quale era stato qualche tempo a
Brindisi, cosí come tanti altri personaggi importanti
ed influenti di quella Roma repubblicana.
Brundusium, detta anche Calabrum, fu considerata
dai Romani “caput regionis”, cioè la città più
importante della regione, che da essa prese il nome
di Calabria, e infatti Augusto riordinando le regioni
dell´impero, chiamerà l´attuale regione pugliese con
il nome di Apulia et Calabria.
Brindisi, oltre che per il suo porto e la pescosità delle
sue acque, fu decantata anche per la fertilità della
sua campagna, da sempre famosa per la quantità e la
qualità del vino. Strabone, il più grande geografo
dell´antichità, attestava che l´agro brindisino era
migliore del tarantino; Varrone e Plinio lodarono la
vigna brindisina; Ennio decantò il sarago brindisino
“Brundusii sargus bonus est”.
Alla sconfitta di Annibale ad opera di Scipione,
seguirono altri anni di guerre, ed una nuova serie di
spedizioni romane salparono dal porto di Brindisi
verso le conquiste orientali. Intorno al 170 aC Roma
decise di debellare completamente il regno di
Macedonia, anche per contrastare la pirateria che
nell´Adriatico imperversava in quegli anni, spesso
all´ombra della protezione di quei territori. E Roma
lo fece allestendo flotte ed eserciti che salparono da
Brindisi ad adempiere il mandato del senato della
SCHEGGE DI STORIA BRINDISINA…
… dalle Sconfinate Pagine del Web
repubblica. Ed in pochissimi anni, la conquista della
Macedonia é del 168 aC, anche quella missione fu
portata a termine. Poi con la conquista di Corinto,
nel 146 aC, la Grecia fu integrata con la provincia di
Macedonia, e quello stesso anno 146 aC registro la
fine della terza e ultima guerra punica con la
distruzione di Cartagine.
Con l’assoggettamento a Roma dell´oriente, Brindisi
divenne terminale, oltre che della via Appia, anche
della via Marittima, la strada costiera lungo
l´Adriatico, e della via Minucia, che dall´Abruzzo
scendeva verso il Sannio e da qui in Puglia a
completare il sistema viario che aveva come cardine
il porto di Brindisi. E gli abitanti brindisini
stabilirono
relazioni
di
amicizia con molti di quei
popoli orientali conquistati dai
Romani, attivando con loro
anche
buone
relazioni
commerciali.
Per
Brindisi
seguirono anni in cui, sebbene
l´importanza militare venne a
scemare,
mancando
gli
interventi dei Romani in grandi
guerre con l´oriente come
quelle che si erano susseguite
negli ultimi cent´anni, crebbe
per il porto
l´importanza
commerciale, legata ancora
una volta alla sua posizione
geografica privilegiata ed alla
sapiente integrazione della
densa rete stradale, con quella delle numerose e
floride rotte marittime.
Di questo periodo è anche originario il detto “fare un
brindisi” che é quell´augurio, che accompagnato al
gesto dell´alzata dei calici, é di gran lunga il più
utilizzato e il più famoso al mondo.
In quegli anni i giovani nobili romani venivano
mandati in Grecia per acculturarsi nella culla di
Cartesio, Ippocrate, Pitagora e di tanti altri celebri
intellettuali. Naturalmente quei Romani partivano
dal porto di Brindisi, e fu lì che si cominciò a recitare
l´augurio di “Potersi rincontrare a Brindisi”. Un
augurio che si diffuse in altre città di mare con il dire
“facciamo come a Brindisi” e che nel tempo passó
poi al più diretto “facciamo un brindisi” che, per
augurare il bene o per più semplicemente
festeggiare, si diffuse in tutto il mondo.
300aC – 500dC
Brindisi romana
PARTE III
SCHEGGE DI STORIA BRINDISINA…
… dalle Sconfinate Pagine del Web
di Gianfranco Perri
Gli ultimi cent´anni della Roma repubblicana, furono
preludio e testimoni delle lotte politiche che
sfociarono in una lunga serie di guerre civili: la
prima combattuta tra Silla e Gaio Mario nell´82 aC,
con la successiva rivolta di Spartaco dal 73 aC al 71
aC; la seconda combattuta tra Pompeo e Cesare dal
49 aC al 45 aC; e la terza combattuta tra Marco
Antonio e Ottavio dal 44 aC al 30 aC, seguita dalla
fondazione dell´impero.
E la Brindisi romana fu teatro importantissimo e
spesso protagonico di gran parte di quegli eventi
trascendenti.
Dopo iniziali successi militari che il ribelle Spartacus
con il suo esercito di gladiatori e di schiavi ottenne
sull´esercito romano, lotte interne al movimento
rivoltoso ne minarono la forza militare ed iniziarono
i rovesci di un esercito che giunse a contare 120.000
uomini. Il cerchio degli eserciti di Roma si cominciò
a stringere intorno al quello ribelle di Spartaco, il
quale decise di dirigersi verso Brindisi nel tentativo
di imbarcarsi. Però l´ennesima scissione degli
schiavi galli e germani, gli portò via una buona metà
dell´esercito che mosse contro Crasso, e fu da questi
annientato. Mentre Spartaco, che con l´esercito
rimastogli fedele era sulla strada per Brindisi, fu
informato dell´imminente approdo in quel porto di
Lucullo e decise di piegare verso nord, scontrandosi
con le truppe del suo terzo inseguitore, Pompeo. E
così, poco a nord di Brindisi si svolse la battaglia
finale: 60.000 gladiatori e schiavi, tra i quali lo stesso
Spartacus, morirono, anche se il corpo del famoso
condottiero non fu mai trovato: era l´anno 71 aC.
E a Roma, dopo la morte di Lucio Cornelio Silla,
erano riprese le lotte tra i partiti e soprattutto tra
Gneo Pompeo e Caio Giulio Cesare. Pompeo nel 60
aC stipulò un accordo privato con Caio Giulio Cesare
e Licinio Crasso, che portò ad una spartizione di
potere tra le tre parti contraenti ed alla nascita del
primo triumvirato. A Cesare spettò il consolato per
l´anno seguente, Crasso divenne governatore della
Siria e ottenne il comando delle legioni nella guerra
partica, e a Pompeo venne invece affidato il governo
della Spagna. Cesare, terminato il suo mandato, nel
58 aC partì per la Gallia e nell´arco di sette anni
riuscì a sottometterla.
In quel mentre Crasso era morto
durante una sfortunata spedizione
partita dal porto di Brindisi contro i
Parti, e a Roma si erano riaccese le lotte
tra le diverse fazioni politiche. Il senato,
per riportare l´ordine, si rivolse a
Pompeo offrendogli la carica di console
senza collega e, cedendo alle sue
richieste,
respinse risolutamente la
richiesta di Cesare di passare dal
governo della Gallia al consolato. E non
solo, Cesare ricevette dal senato l´ordine
di abbandonare il governo della Gallia e
l´esercito. In risposta Cesare oltrepassò
il Rubicone con una legione e si diresse a
Roma, segnando l´inizio della seconda
guerra civile: era l´anno 49 aC.
Pompeo intraprese la fuga da Roma per la Grecia, e
con un piccolo esercito e con la maggior parte dei
senatori, giunse a Brindisi per da lì organizzare
l´imbarco. Cesare cinse d´assedio la città e, non
avendo a sua disposizione una flotta, penso di poter
impedire la fuga di Pompeo sbarrando l´uscita del
porto. Inizio a costruire una diga in terra e pietre per
chiudere lo stretto d´uscita dal porto interno e non
riuscendoci, proseguì utilizzando zattere ed
infiggendo pali. Il tentativo peró fallì e Pompeo
s´imbarcò di notte con i suoi soldati e Cesare entro a
Brindisi senza colpo ferire ed incontrando in città un
clima a lui alquanto favorevole.
Cesare stesso descrisse quel porto di Brindisi nel suo
“De bello civili” ed il famoso Andrea Palladio
rappresentó quell´episodio brindisino in una
incisione stampata nel libro con cui si pubblico la
versione in lingua volgare dei “Commentari di C.
Givlio Cesare”, editato a Venezia nel 1575.
300aC – 500dC
Brindisi romana
PARTE IV
SCHEGGE DI STORIA BRINDISINA…
… dalle Sconfinate Pagine del Web
di Gianfranco Perri
L´anno successivo alla fuga di Pompeo da Brindisi,
furono invece i pompeiani con la flotta di Libone a
tentare l’assedio al porto di Brindisi ove erano
asserragliati i cesariani. Libone con le sue 50 navi
occupó brevemente l´isola di Pharos, l´attuale
Sant´Andrea, nel tentativo non riuscito di impedire
ad Antonio di portare i soccorsi agli assediati.
Finalmente, in quello stesso 48 aC Cesare, salpando
dal porto di Brindisi con il suo esercito, raggiunse
Pompeo a Farsalo in Grecia dove Pompeo, con un
esercito numericamente due volte più grande di
quello di Cesare, venne sconfitto dai veterani delle
guerre galliche, meglio addestrati al combattimento
e devoti al loro comandante. Pompeo fuggì in Egitto
presso Tolomeo, padre di Cleopatra, che convinto di
fare un favore a Cesare, lo fece decapitare. Ma Cesare
non lo gradì e lo fece abdicare a favore della figlia.
Brindisi, municipio romano prestigioso, presentava
a quei tempi un interessante aspetto urbano.
La città giaceva su due colline separate da una
vallata, in mezzo alla quale c´erano la Basilica o
Palazzo di giustizia e, più vicino alla colonne, il
tempio di Apollo e Diana. Più in alto, verso i giardini
e le mura, nell´interno delle cinta della città, c´erano
altri edifici e le terme pubbliche e vi scorreva,
seguendo il taglio della vallata, l´acquedotto. Nella
parte più bassa e più vicina al porto, sorgeva un
vasto bacino, a forma di parallelogramma, atto a
raccogliere le acque marine. Il molo isolato, sul quale
svettavano le due colonne, ne limitava un lato.
All´altra estremità sorgeva il foro circondato da vari
edifici e, intorno al bacino, pieno di vascelli in
carenaggio e in costruzione o sul punto di partire,
s´innalzavano palazzi e templi. Al di là delle due
colonne, sulle quali erano assise statue d´Italia e
della Grecia, vi erano l´ingresso del porto e l´aperto
mare.
Oltre ai tempi alle divinità pagane, oltre ai teatri e
agli altri edifici necessari e comuni in una città
romana importante, dei quali non é rimasta notizia,
restano in Brindisi avanzi e memoria d´altre opere
romane. Ancor oggi esiste la via Lata, con lo stesso
nome di quella di Roma. Dai tempi al sole ed alla
luna si fabbricò la chiesa di San Leucio, e da quelli a
Apollo e a Diana, l´odierna cattedrale. Esisteva anche
un tempio dedicato al solo Apollo, sulla sponda del
corno sinistro opposta alla città, la quale sponda a
tutt´oggi si chiama Sant´Apollinare. Dalle rovine
dell´anfiteatro ubicato nell´attuale rione Cappuccini,
nel periodo federiciano si estrassero materiali per il
rafforzamento dell´assetto difensivo del porto e
delle fortificazioni del castello.
Due vie, a detta di Lenio Strabone, collegavano Roma
a Brindisi: «una a man dritta,
per i Pedicoli, o Peucezi, Dauni
e Sanniti; l´altra a man sinistra,
l´Appia carrozzabile, tirando
per Oria, piegava sino a
Taranto, e s´indirizzava per
Venosa; e poi ambedue si
univano a Benevento».
La nobile famiglia brindisina di
Marco Lenio Flacco aveva
trasformato la sua casa in una
sorta di cenacolo di cultura, e
tra i suoi ospiti ci furono anche
Orazio e Cicerone, suo amico di
vecchia data e che divenne
familiare in quella casa che lo
ospitò anche in circostanze, nel 58 aC, molto
complicate e molto rischiose, fino a quell´ultima
volta, dopo la battaglia di Farsalo, quando a Brindisi
Cicerone vi rimase per circa un anno in pena, perché
in una città devota a Cesare, suo nemico politico.
Anche il poeta Orazio dimorò parecchie volte a
Brindisi, quasi sempre in partenza o in arrivo dal
mare.
A Roma, Cesare, dopo aver annichilato Pompeo, era
in pochissimi anni divenuto signore incontrastato e
quasi onnipotente, peró ciò non impedì che alle idi di
marzo del 44 aC venisse assassinato nel senato con
23 pugnalate.
300aC – 500dC
Brindisi romana
PARTE V
SCHEGGE DI STORIA BRINDISINA…
… dalle Sconfinate Pagine del Web
di Gianfranco Perri
Pochi anni dopo l´assassinio di Cesare, fu la volta
della terza guerra civile romana, questa tra Marco
Antonio e Ottavio Caio, Ottaviano, pronipote di
Cesare e suo erede. Antonio nel 40 aC sbarcò a
Brindisi, occupò la città e respinse le forze di
Ottaviano che volevano ricacciarlo in mare. Ma era
una guerra fratricida fra ex cesariani e, grazie alla
mediazione
dell´onnipresente
Mecenate,
si
addivenne al “Foedus Brundisinum”, la famosa pace
brindisina, e con Marco Lepido si fondo il secondo
triunvirato. Ad Antonio andò
l´Oriente, ad Ottavio la Spagna e a
Lepido l´Africa. E a Brindisi Marco
Antonio sposò Flavia, sorella di
Ottaviano, e per l´evento giunsero
in tanti a Brindisi, tra i quali Asinio
Pollione, percorrendo la via
Numicia.
La pace durò meno di un decennio.
Ottavio sfruttando l´amore sorto
tra Marco Antonio e Cleopatra per
mettere il senato contro Marco
Antonio, accompagnato nel 31 aC
da Agrippa, Mecenate e decine di
senatori che lo sostenevano,
radunò nel porto di Brindisi
centinaia di navi, forse la più
grande flotta che avessero visto
fino ad allora quelle acque, e la
vittoria su Antonio gli arrise ad
Azio.
Dopo Azio, Ottavio rimase a
Brindisi 27 giorni osannato dal
popolo e da tutti i magistrati i
senatori e i cavalieri che vi aveva
fatto confluire, e in una pubblica
cerimonia nel tempio di Apollo e
Diana, sacrificó agli dei per
ringraziarli
della
vittoria
“confestimque coepit nomari Caesar”, cominciando
così a farsi chiamare Cesare. Ad immortalare quel
tale avvenimento, il senato ordinò che fossero eretti
due archi di trionfo, uno a Roma e l´altro a Brindisi,
ma di quest´ultimo però, non vi è più traccia.
E appena due anni dopo, nel 29 aC, fu ancora il porto
di Brindisi ad accogliere da vincitore Ottaviano che
aveva ripreso l´Egitto dalle mani di Antonio. I
Brindisini in onore del futuro Cesare Augusto
innalzarono un arco di trionfo, poi rappresentato a
Roma sulla colonna traiana. Questo, uno dei primi
archi trionfali costruiti fuori Roma, venne
trasformato nella medievale Porta Reale, ubicata nei
pressi del porto e distrutta inopinatamente nel ‘700
dal Pigonati durante i lavori di bonifica del porto.
Dopo la vittoria su Marco Antonio, Ottaviano
divenne
l´incontrastato
signore
di
Roma,
accentrando su di se tutte le varie cariche che gli
venivano conferite dal senato: contemporaneamente
fu console, tribuno, censore, primo senatore e
pontefice massimo. Nel 27
aC giunse anche il titolo di
Augusto. Tornò ancora a
Brindisi
al
capezzale
dell´amico Publio Virgilio
Marone, supremo cantore
di Roma, che qui si spense il
21 settembre del 19 aC.
Cesare Ottaviano Augusto,
naturalmente era anche il
comandante dell’ esercito,
che finalmente nell´anno 8
aC lo onorò del titolo di
imperatore. Il suo saggio
governo durò 45 anni, dal
29 aC al 14 dC, anno della
sua morte, e il senato
romano fece erigere in suo
massimo onore l´Ara Pacis.
Publio Virgilio Marone, fu il
sommo poeta romano,
autore
dell´Eneide,
e
l´evento della sua morte a
Brindisi
venne
anche
immortalato da Dante nella
Divina commedia: “Vespero
è già colà dov’è sepolto / lo
corpo dentro al quale io
facea ombra / Napoli l´ha, e
da Brandizio è tolto”.
Meno di un anno dopo la morte di Virgilio, a Brindisi
nel 20 dC giunse per mare Agrippina maior,
riportando in patria le ceneri di Germanico, suo
marito morto in Antiochia. Un episodio questo
immortalato dall´oleo di Benjamin West del 1768, in
cui si osserva Agrippina attraversando ali di folla in
lutto, sulla scena del porto romano di Brindisi. Ed a
Brindisi, dice Tacito, morì anche l´avvelenatrice di
Germanico, Martina Maga.
300aC – 500dC
Brindisi romana
PARTE VI
SCHEGGE DI STORIA BRINDISINA…
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di Gianfranco Perri
E dopo Augusto, a Brindisi andarono anche molti
degli altri imperatori suoi successori: Vespasiano nel
70 dC, Marco Aurelio, Settimio Severo possibile
fautore delle due colonne romane e, quello che senza
dubbio ha lasciato il segno più tangibile, Traiano.
Poi anche Adriano, Eliogabalo nel 220 dC, e molti
altri, i cui nomi non furono registrati dalla storia,
forse perchè, essendo il porto di Brindisi la via
naturale per cui dall´oriente si passava all´occidente,
e viceversa, gli storici antichi probabilmente non si
curarono di farne la dovuta menzione.
L´imperatore Traiano é da
ricordare a Brindisi anzi tutto
per la famosa via Traiana, che
partendo
da
Benevento
abbreviava il tragitto tra Roma
e Brindisi passando per
Egnazia lungo il litorale
adiatico, e poi continuava fino
ad Otranto, passando anche
per Lecce.
Poi, anche per il pozzo Traiano,
che riposa ancora al di sotto
del
piano
stradale,
in
coincidenza della confluenza
di via Pozzo Traiano con la
salita di via San Dionisio e via
Annunziata. Il pozzo, che fu in
efficienza fino a tutto l´800, è
attualmente raggiungibile solo
attraverso
un
tombino.
Riforniva d’acqua tutta l’urbe
che a quel tempo contava con
ben 24 fontane pubbliche.
L´ultima visita al pozzo fu fatta
nel 1898, dopo un espurgo
dell´amministrazione
del
comune ed in quell´occasione
fu stilata una rilevazione con
piani e materiale fotografico, di
cui peró non sembra esserci
piú traccia. Il pozzo viene
descritto da Nisi come una
costruzione grandiosa e nel
’600 si raccontava come nel
suo sotterraneo vi fossero
molti magnifici archi e volte
spaziose d´altezza di una
statura d´uomo.
Il pozzo si compone di due camere divise da un
diaframma con varie aperture. Due vasche, una di
raccolta e l´altra di chiarificazione. Nella prima, più
grande e rettangolare e munita di una scaletta per la
manutenzione e per attingere acqua, immettevano
quattro cunicoli da opposte direzioni e ad altezze
differenti rispetto al fondo, con la funzione di
raccogliere le acque di tutto il bacino acquifero di
una zona certo molto vasta. Una volta raccolta e
decantata, l´acqua attraverso uno sfioratore di
superficie passava nella seconda vasca provvista di
una bocca di estrazione. Sui lati lunghi di
ogni vasca tre grossi pilastri in pietra da
taglio, per un totale di dodici,
sorreggevano gli archivolti. Un´opera
idraulica grandiosa e veramente
sorprendente, per essere stata costruita
quasi 20 secoli orsono.
Per quello che é invece di gran lunga il
più famoso e più caratterizzante
monumento di Brindisi, anche se
romano con molta probabilità, non si
dispone di dati oggettivi che ne
registrino la data della costruzione, né il
nome di chi lo ideò, o di chi lo volle
erigere. Ferrrando Ascoli, così lo
descrive: «Sopra la collina prospicente
l´imboccatura del porto sulla quale é
situata la città, furon dai Romani
innalzate due grandiose colonne. Per chi
arriva dal mare, esse si presentano
gigantesche,
enormi.
Lo
stile
architettonico di queste colonne é
evidentemente romano. Distanti 25
palmi l´una dall´altra, con la base di otto
pezzi, son alte ben 80 palmi. Il corpo
colonnare col capitello scolpito dai volti
di sirene, é di pezzi undici. Esse furono
probabilmente erette verso la fine del X
secolo.
Al disotto del rialzo dove sorgono le due
colonne, esiste un corridoio sotterraneo
che giunge tortuosamente fino alla
chiesa di Santa Teresa. Questa specie di
tunnel, probabilmente opera romana, é
largo e alto 3 metri. Vi si discende per
mezzo di pozzi, e dove vada a terminare
resta tutt´ora ignoto, né si conosce
quando e da chi fu costruito».
500dC - 1000
Brindisi nell´Alto Medioevo
PARTE I
SCHEGGE DI STORIA BRINDISINA…
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di Gianfranco Perri
Praticamente tutti i libri ed i resoconti di storia
brindisina, dopo più o meno dilungarsi sulle incerte
e suggestive origini di Brindisi e quindi sulle sue
vicissitudini storiche pre-romane, dedicano -e con
buona ragione- moltissimo spazio a celebrare la
Brindisi romana con la sua storia, ricca di tanta
gloria ed interpretata da tantissimi personaggi di
statura universale, partendo all´incirca dal 300 aC,
quando la messapica Brindisi si schierò decisamente
accanto ai romani contro i Sanniti in quelle guerre
che finalmente videro vincitrice Roma, entrandone
così privilegiatamente nell´orbita con i cittadini di
Brindisi godendo di tutti i diritti e i privilegi di quelli
di Roma, e concludendo con il 395 dC, anno in cui
l´impero romano fu diviso in due, quello d´occidente
e quello d´oriente, segnando ció
per Brindisi l´inizio di una lenta ma
inesorabile
e
prolungata
decadenza, che fino al 476 si
accompagnò in pratica, con la
decadenza
stessa
dell´impero
d´occidente al quale continuò ad
appartenere fino alla deposizione
di Romolo Augustolo, ultimo
imperatore,
ad
opera
del
germanico Odoacre il quale, dopo
una breve parabola della quale
Brindisi non risentì, cedette nel
493 il controllo della penisola ai
nordici Ostrogoti condotti da
Teodorico.
Per Brindisi seguirono 500 anni di
tempi bui, tra più o meno oscure e
straniere dominazioni, e più disastrose distruzioni,
naturali e non: gli anni dell´alto medioevo.
In tutti quegli anni a dominare su Brindisi ci furono
per lo più i Bizantini, anche detti Greci, che altri non
erano che le genti e gli eserciti del più longevo
impero romano d´oriente, che a più riprese si
alternarono con i vari conquistatori nordici di turno,
quali gli Ostrogoti e i Longobardi, e con i ben più
irregolari saltuari e crudeli pirati di turno, i Saraceni
o gli Slavi. E fu, alla fine, un nuovo conquistatore
nordico che portò finanche a Brindisi quella stabilità
che i Bizantini non erano riusciti ad instaurare e che
era mancata durante più di 500 anni.
Furono i Normanni, che scesero dal nord negli anni a
cavallo dell´anno 1000 e che giunsero a conquistare
Brindisi nel 1070. Poi, in successione fino al 1500,
sarà la volta degli Svevi, degli Angioini, degli
Aragonesi e dei Veneziani.
Quindi fu la volta degli Spagnoli e finalmente, con
l´incoronazione nel 1519 di Carlo V a imperatore del
Sacro Romano Impero Germanico, quello stesso
Carlo già Carlo I di Spagna e Carlo IV di Napoli, regno
al quale apparteneva Brindisi, anche a Brindisi
toccò essere governata in maniera stabile. La
dominazione spagnola infatti, con l´assegnazione
nel 1556 dei regni di Spagna di Napoli e di Sicilia a
Filippo, figlio di Carlo V, si prolungò fino a dopo la
dissoluzione, avvenuta nel 1806, dell´impero sacro.
Vari re spagnoli regnarono ininterrottamente su
Brindisi fino al 1714, quando
subentrarono gli austriaci
che però vi restarono solo
fino al 1734, anno in cui
l´Austria fu costretta a cedere
tutto il Napoletano e la Sicilia
ai Borbone, che con Carlo III
formarono un nuovo regno
indipendente, quello che si
doveva chiamare delle Due
Sicilie e che tra vicissitudini
varie ebbe comunque una
vita relativamente lunga: fino
al 1860, anno dell´impresa
dei Mille e della conseguente
annessione al futuro regno
d´Italia.
Ebbene, anche quella storia
brindisina che va dal 1000 al 1500, e poi anche
quella degli anni del ´500, del ´600, del ´700 e
dell´800 fino appunto alla sua annessione al regno
d´Italia, nei libri di storia e nei resoconti, anche se
non sempre molto celebrata, é sicuramente molto
raccontata e documentata, quanto ed in alcuni casi
molto più di quella della romanità.
Al confronto invece, resta alquanto orfana di padri
raccontatori e documentatori la storia brindisina di
quei 500 anni, di quei tristi e bui 500 anni trascorsi
tra il 500 dC ed il 1000: gli anni cosidetti dell´alto
medioevo.
Ed é perciò che credo valga sempre la pena
raccontarne, di quella storia, quel che si può di quel
che, anche se spesso a mala pena e poco, si conosce.
500dC - 1000
Brindisi nell´Alto Medioevo
PARTE II
SCHEGGE DI STORIA BRINDISINA…
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di Gianfranco Perri
Con la deposizione nel 476 dC dell´imperatore
Romulo Augustolo ad opera del proprio esercito
imperiale liderizzato dal generale romano di origini
germane Odoacre e con la proclamazione di questi a
re d´Italia, avendo declinato quella di imperatore
dichiarandosi patrizio dell´imperatore romano
d´Oriente Zenone, cessa ufficialmente di esistere
l´impero romano d´Occidente.
Dopo qualche anno, l'imperatore d'Oriente Zenone,
per liberarsi della ormai scomoda presenza di
Odoacre, inviò in Italia Teodorico re degli Ostrogoti,
perché reggesse la penisola per conto dell´Impero
bizantino ed a questi Odoacre cedette il regno nel
493. Teodorico riunì tutta l´Italia e anche le isole
sotto la propria sovranità mantenendo la struttura
dell'amministrazione romana e, pur essendo ariano,
strinse rapporti rispettosi con la chiesa di Roma.
deposto dai Goti che elessero al suo posto Totila,
uomo di singolari virtù, il quale ridiscese con un
grosso esercito alla riconquista del meridione
italiano e Brindisi, presidiata dal piccolo esercito
lasciato da Belisario, cadde senza contesa
nuovamente sotto i Goti, dopo solo otto anni di
indipendenza da questi.
Belisario dovette ritornare in Italia e si diresse da
Otranto, mai riconquistata dai Goti, a Roma per
combattere Totila, mentre il suo generale Giovanni,
che si era fermato a Durazzo in attesa di navi per
trasportare i suoi soldati, si diresse a Brindisi
riuscendo fortunosamente a sgominare i Goti che la
custodivano e a liberarla nuovamente, e oltre a
Brindisi riliberò dai Goti buona parte del regno di
Napoli: il Salento, la Lucania e l´Abruzzo.
Durante i 60 anni che durò in Italia il regno
dei Goti, Brindisi fu governata da vari
ministri stando il re in Ravenna, la capitale.
La città non sentì particolari disagi durante
tutto il regno di Teodorico, che durò ben 25
anni, né durante quelli dei suoi immediati
successori, Amalesunta sua figlia e quindi
Atalarico suo nipote.
Poi fu la volta di Theodato, un re avaro
tiranno e despota, che stimolò ben presto la
reazione dell´imperatore d´Oriente, già
impaziente di perseguire il sogno della
riunificazione di tutto l´impero romano.
Fu Giustiniano I, l´imperatore d´oriente
succeduto a Zenone nel 527, che invió nel
535 gli eserciti bizantini ad invadere l´Italia al
comando del generale Belisario. La pirrica
riconquista dell´Italia però, dopo una lunga guerra
durata quasi vent´anni, rappresentò di fatto la
rovina della penisola con le sue ricchezze e le sue
città devastate e con la popolazione massacrata:
Baduila, re degli Ostrogoti, detto Totila, rase
completamente al suolo la città di Brindisi nel 546.
Appena giunto in Italia Belisario libero i territori
meridionali abbandonati dai Goti in ritirata,
agevolato dall´appoggio ricevuto dalle popolazioni,
che, come quelle di Brindisi, erano ansiose di
liberarsi dell´odiato re tiranno Theodato. Ma quella
prima riconquista romana durò ben poco, giacché
rientrato Belisario a Costantinopoli, Theodato fu
Ma Totila, avuta la meglio sull´esercito imperiale di
Belisario, si volse alla riconquista del Sud. Brindisi fu
al centro di alterne prolungate e tragiche lotte che la
videro finanche, nel 546, rasa al suolo da Totila al
quale poi successe il bellicoso Teia, mentre anche
Belisario era stato sostituito da un altro generale
bizantino, Narfete Caeriero.
E con loro la guerra proseguì ancora per anni, e con
la guerra proseguirono le disgrazie per Brindisi e
per i brindisini che finalmente videro coronata dalla
vittoria la loro posizione, costantemente favorevole
ai Bizantini, all´imperatore Giustiniano I ed al suo
generale Narfete, eunuco ma valoroso guerriero, il
quale alla fine sconfisse definitivamente i Goti,
scacciandoli per sempre dall´Italia nel 553.
500dC - 1000
Brindisi nell´Alto Medioevo
PARTE III
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Giustiniano, giá imperatore d´oriente dal 527, fu
l´ultimo imperatore di Bisanzio con origini romane,
ed accarezzó il sogno di riunificare l´impero, e con
tale proposito guerreggiò in Italia contro gli
Ostrogoti, dal 535 e per vent´anni, in una guerra che
alla fine, nel 553 appunto, vinsero i Bizantini, ma che
costo all´intera penisola italiana, e a Brindisi in
prima linea, una lunga serie di distruzioni e di gravi
carestie. É registrato che Baduila, re degli Ostrogoti,
detto Totila, rase al suolo la città di Brindisi nel 546.
Con questo ventennale conflitto greco-gotico, i
Bizantini poterono reintegrare l´Italia all´impero
romano d´oriente, e nella parte più a sud della
penisola italiana fondarono il ducato di Calabria, che
comprendeva anche la Puglia. Ma il dominio
bizantino nel meridione d´Italia non era destinato a
rimanere incontrastato, e per quell´occasione in
particolare doveva durare ben poco: solo fino a
quando, nel 568, emigrarono in massa dalle loro
terre nordiche, l´attuale Ungheria, scendendo in
Italia, i Longobardi.
Taranto e Brindisi, il nome Calabria cominciò ad
essere utilizzato più per designare il solo Bruzio,
mentre per il Salento cominciava ad essere utilizzato
il nome di Terra d´Otranto.
Con la conversione ufficiale al cristianesimo dei
Longobardi, avvenuta a cavallo tra i secoli VII e VIII,
a Brindisi si diffuse il culto di San Leucio, un grande
evangelizzatore di origini egiziane che era stato il
primo vescovo di Brindisi, città in cui morì e fu
sepolto nella prima metà del II secolo o, più
verosimilmente, del IV o V secolo, sotto il re
ostrogoto, Teodosio II.
I Longobardi, che posero la loro capitale italiana a
Pavia, non possedendo una flotta, non riuscirono ad
espugnare stabilmente le città costiere salentine e
nel 605, dopo aver cercato a lungo di conseguire uno
sbocco sul mare, Arechi I, duca di Benevento
caposaldo longobardo di tutta l´Italia meridionale,
stipulò una instabile tregua con i Bizantini, che durò
fino a quando l´imperatore Costante II sbarcò a
Taranto nel 663, liberando temporalmente la Puglia
dalla irregolare presenza longobarda, senza però
poter liberare Benevento, energicamente difesa dal
duca Romualdo. Poi, dopo l´omicidio dello stesso
Costante II, avvenuto in Sicilia, a Siracusa nel 668, i
Longobardi occuparono lo strategico ducato di
Calabria recuperando molti dei territori pugliesi, tra
cui Taranto e Brindisi, che in quello stesso anno ne
uscì nuovamente distrutta e quindi occupata dai
Longobardi di Romualdo.
Il ducato di Calabria, che era sorto bizantino nel VI
secolo aggregando la regione del Brutium, l´odierna
regione calabrese, alle terre allora possedute dai
Bizantini nel Salento, la Calabria dei romani,
estendeva i suoi confini settentrionali lungo una
sorta di muraglia difensiva costruita tra Bari e
Brindisi a salvaguardia del territorio dalla minaccia
dei Longobardi. Quando però questi cominciarono a
rioccupare parte del Salento, ed in particolare
Però, nel 768 gli abitanti di Trani s´impadronirono
del corpo del santo portandolo nella loro città e da lì
fu poi traslato a Benevento, dove ancora si conserva,
tranne un braccio che nel secolo IX fu riportato a
Brindisi dal vescovo Teodosio. Per quell´occasione e
per collocarvi quel suo resto, i Brindisini costruirono
una grande chiesa all´estremità del ponte grande,
presso la fontana grande, poi Tancredi, nel supposto
luogo esatto dove l´apostolo era sbarcato a Brindisi.
500dC - 1000
Brindisi nell´Alto Medioevo
PARTE IV
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I Longobardi rimasero in Italia per circa due secoli,
fino al 774, e sulla città di Brindisi dominarono
incontrastati per più di ottant´anni continui, fino a
che furono scalzati, ancora una volta e
definitivamente, dai Bizantini che in quel 774
rioccuparono tutto il Salento, buona parte della
Calabria, la Sicilia, la Sardegna, e gran parte della
Campania, mentre il resto d´Italia passava sotto la
sfera d´influenza dei Franchi di Carlo Magno,
incoronato imperatore da Papa Gregorio II nella
basilica di San Pietro la notte di Natale dell´800,
quando così nacque il Sacro Romano Impero.
Nell´anno 727, l'imperatore
bizantino Leone III aveva
ordinato che in tutte le
province dell´Impero fossero
rimosse e distrutte le reliquie
e le immagini sacre, o icone,
dando luogo al fenomeno
dell´iconoclasta. Scoppiarono
ovunque
gravi
rivolte,
capitanate dai monaci che si
rifiutarono di obbedire e che
fuggendo
dai
massacri
lasciarono le loro terre di
origine,
terre
egiziane,
palestinesi, siriane e turche. Si
trattava principalmente di
monaci
basiliani,
così
chiamati in quanto fedeli a
San Basilio, iniziatore di
quell´ordine monastico di
origine orientale, e nella loro
diaspora privilegiarono la
Puglia, considerata posto
naturale dove rifugiarsi al di
là del mare e dove furono ben
accolti dalle popolazioni contadine locali.
I monaci crearono ovunque cenobi cripte eremi
tempi e monasteri, raccogliendo intorno ad essi la
popolazione e con la loro presenza attiva finirono
con l´impregnare molti di quei territori, di cultura e
costumi greco-bizantini che dovevano poi, e anche
abbondantemente, sopravvivere allo stesso dominio
bizantino.
Nel corso di quella plurisecolare presenza bizantina,
oltre ai monaci basiliani, giunsero in Puglia anche
truppe provenienti dalla Grecia, dalla Tracia, dalla
Cappadocia, dall´Armenia, dalla Russia, e da tante
altre terre, e molti di quei soldati successivamente
decisero di risiedere nel tacco d´Italia. Inoltre, a
causa delle tante invasioni mussulmane, affluirono
in Puglia dalle regioni orientali dell´impero, anche
profughi intellettuali e ceti dirigenti. E in alcuni casi
infine, furono gli stessi imperatori ad inviare coloni
o schiavi per ripopolare alcuni dei territori pugliesi.
Essenzialmente ci furono ben due importanti
immigrazioni bizantine verso la Puglia. La prima e
già citata fu quella degli iconofili, i monaci basiliani
che
si
dissero
anche
Cologeri
e
che
bizantineggiarono la regione,
favoriti dal distacco di essa da
Roma e dalla sua contemporanea
dipendenza da Costantinopoli. La
seconda importante immigrazione
fu quella dei coloni che dal
Peloponneso furono ad abitare i
luoghi abbandonati dai Saraceni,
sotto la guida di alcuni generali
bizantini buoni amministratori,
quali furono Niceforo Foca e poi,
di seguito, anche un altro savio
protospatario, chiamato Lupo.
La flotta militare bizantina in
Puglia ebbe basi a Bari, Taranto,
Otranto e Brindisi, il cui porto
però non ebbe l´importante ruolo
svolto in età romana, già che a
quel tempo sull´Adriatico fu
soprattutto Otranto il porto
d´imbarco per l´oriente e la base
navale di maggior rilevanza
strategica.
Brindisi infatti, pur restando per
quasi trecento anni sotto gli esosi e fiscali governi
bizantini, trascorse quasi tutti quei tre secoli in
prevalente decadenza, poco protetta e di fatto
spesso abbandonata da quell´impero d´oriente,
anch´esso decadente. E dovette, inoltre e pertanto,
soffrire tante e continue scorribande, con saccheggi,
occupazioni e distruzioni da parte dei Saraceni, i
quali sbarcati in Sicilia nell´827, da lì
imperversarono sui vari territori bizantini. Nell´838
una imponente flotta musulmana espugnò e
saccheggiò Brindisi, nell´840 Taranto subì la stessa
sorte e nell´847 anche Bari cadde.
500dC - 1000
Brindisi nell´Alto Medioevo
PARTE V
SCHEGGE DI STORIA BRINDISINA…
… dalle Sconfinate Pagine del Web
di Gianfranco Perri
A Brindisi i Saraceni bruciarono e derubarono molte
chiese lasciando in piedi, non senza denudarle,
quelle di San Leucio e di Santa Maria del Ponte,
riducendo la città a un paesello e costringendo il suo
vescovo Teodosio, intorno all´anno 700 dC, a
rifugiarsi a Oria, più interna e meno soggetta alle
scorribande saracene.
Inevitabilmente si aprirono anche importanti fronti
di lotta interna allo stesso cattolicesimo, tra i seguaci
dei pontefici romani e quelli dei riti bizantini dei
Greci, che di fatto ed a lungo dovettero convivere. I
pontefici cercarono di estendere la loro gerarchia
ecclesiastica, mentre i Greci di Terra d´Otranto
aderirono finalmente allo scisma d´oriente del 1054.
A Brindisi i monaci basiliani fondarono eremi e
monasteri e tra questi quello che, distrutto dai
Saraceni nel secolo IX conservando in piedi solo
parte del chiostro, fu poi ricostruito dai Normanni
ed intitolato a San Benedetto. Un altro monastero,
pure distrutto dai Saraceni e ricostruito dai
Normanni
con
l´imposizione
della
regola
benedettina, fu quello di Sant´Andrea, che i monaci
basiliani fondarono sull´isola all´ingresso del porto.
Quando ai Greci si alternavano nel governo della
città i vari duchi o re italiani, spesso filoromani, si
sopprimevano le strutture religiose basiliane per
sostituirle con quelle benedettine. Pontefici e re
sopprimevano i vescovati greci e instavano ad
abbandonare le chiese greche che venivano poi fatte
demolire perché cadenti. Una sorte questa toccata
probabilmente alla chiesa di San Basilio che con
relativa torre era ubicata sulla collina alle spalle
dell´albergo delle Indie Orientali, ed a quella di San
Giovanni dei Greci di fronte al mare, e che potrebbe
anche aver sofferto la chiesetta circolare detta di San
Giovanni al Sepolcro, forse in origine tempio pagano.
Anche la chiesa della Santissima Trinità, detta pure
di Santa Lucia, fu ricostruita sui resti di una
costruzione basiliana del secolo VI, e infatti la cripta
sembra conservare molti elementi della prima
chiesa.
Si diffuse e si moltiplicò in quei secoli, anche il
fenomeno delle grotte abitate dagli anacoreti che
con questa modalità di eremitaggio tentavano anche
di sfuggire alle persecuzioni saracene. Si trattava
ovviamente di ubicazioni fuori le mura urbane,
disseminate nelle campane prevalentemente in
colina. A Brindisi importanti grotte furono rinvenute
nell´isola di Bara, quella poi detta di Sant´Andrea, e
nelle isole Pedagne.
Nel 996 il vescovo Gregorio si fece accordare
dall´imperatore greco il titolo di arcivescovo di
Brindisi e anche quello di protocattedra della sua
chiesa, però la diocesi arcivescovile di Brindisi passo
definitivamente alla chiesa romana solo nel secolo XI
quando, intorno al 1070 il vescovo greco di nomina
imperiale Eutasio, già obbligato a mantenere come i
suoi predecessori la liturgia latina, passo
decisamente dallo scisma d´oriente alla comunione
della chiesa romana, con l´arrivo e il sopravvento
definitivo dei Normanni.
500dC - 1000
Brindisi nell´Alto Medioevo
PARTE VI
SCHEGGE DI STORIA BRINDISINA…
… dalle Sconfinate Pagine del Web
di Gianfranco Perri
In tutti quegli anni bizantini, i Saraceni furono
combattuti, più che dalle armi bizantine, da quelle
veneziane e dei re del nord d´Italia, come Sicardo
che fu sconfitto dagli arabi nell´839 e come Ludovico
II, che a partire dall´844 li perseguì a più riprese
rincorrendo il sogno di riunificare sotto il suo regno
l´intera penisola italiana e che, nominato nell´855
imperatore del Sacro Romano Impero, nell´867
riuscì a stanarli da Bari, Taranto e Brindisi, aiutato
però più dal Papa che dai Bizantini, che poterono
comunque restaurare il loro potere amministrativo
su tutta la Puglia, che fu così
incorporata nella regione Thema
di Langobardia. Ed anche in
questa occasione però, a
Brindisi toccò ancora una volta
essere distrutta.
l´esoso e fiscale governo bizantino del catapano
Giovanni Curcuas, che era a quel tempo il massimo
rappresentante dell´imperatore Basilio II nella
Thema Langobardia.
Una rivolta tutta pugliese, ma che alla fine certo
impedì ai Bizantini poter contrastare efficacemente
l´arrivo degli intraprendenti avventurieri Normanni
che, scendendo dalle brume del nord, dopo quasi un
secolo di lotte riuscirono a conquistare anche l´Italia
meridionale, occupando Brindisi nel 1070.
Ma neppure questa volta, per la
martirizzata Brindisi fu la fine
delle invasioni, tanto che nel
922 dovette perfino subire
quella dei pirati Slavi che la
lasciarono in macerie.
E in macerie la trovò infatti il
nobile militare bizantino, il
protospatario Lupo, inviato
dall´imperatore Basilio II per
proseguire l´opera di ricostruzione già iniziata nel
968 dal suo predecessore, il generale Niceforo Foca,
il quale rese possibile lo stabilirsi di un catapanato
di Bari, avviò la ricostruzione di Brindisi e Taranto, e
forzò l´interdizione del rito latino in quella parte
bizantina d´Italia. Il nome di Lupo si legge
nell´iscrizione che, parzialmente conservata, é posta
sulla base della colonna romana rimasta i piedi.
Durante tutti quegli anni che protagonizzarono la
fine della presenza formale dei Greci in tutta l´Italia
meridionale, nonostante le tante crudeli e costanti
scorribande arabe, si dovette anche assistere al duro
contrasto tra i dogmi teologici degli imperatori
bizantini e le pressanti azioni proselitiste del papato
e del cristianesimo di Roma, appoggiate queste di
volta in volta dagli occasionali re di turno.
L´iscrizione parla di una ricostruzione che certo ci
deve essere stata, anche se poco documentata, e che
certo fu lenta e progressiva, e durò molto tempo,
tanto da proseguire anche dopo la fine del
lunghissimo periodo di dominio bizantino nell´Italia
meridionale.
Si sopprimevano i calogerati, convertendoli in
monasteri benedettini, si sostituivano i vescovati
greci con i latini, proibendo di ordinare i papi -preti
greci- riducendosi man mano il loro numero e
togliendo loro la direzione delle parrocchie e
proibendo loro di officiare nelle chiese latine.
Un dominio ormai sempre più contrastato, con
ferocia dagli arabi, ma con più efficacia dai pontefici
romani, più o meno direttamente appoggiati dalle
armi dei vari sovrani d´Italia.
E così, dopo alterne prese di posizione, il favore delle
popolazioni italiane fini per privilegiare il papato
romano. E tuttavia, le potestà, regia ed ecclesiastica,
non riuscirono ad estirpare del tutto il culto, i
costumi e la lingua d´oriente, fortemente radicati
nelle popolazioni.
Nel 1009, capeggiata da Melo di Bari e poi anche da
suo figlio Agiro Melo, esplose la rivolta contro
Brindisi Normanna
1070 - 1194
PARTE I
SCHEGGE DI STORIA BRINDISINA…
… dalle Sconfinate Pagine del Web
di Gianfranco Perri
Esattamente, e solamente, un secolo e un quarto
duró la presenza dei Normanni a Brindisi. Eppure, in
così corto tempo, «questi settentrionali, scaltri da
superare l´astuzia greca, ostinati nei propositi, dai
lunghi mantelli, dal capo raso, dal portamento divoto
che avevano del prete e del masnadiero» lasciarono
in ereditá a Brindisi tante loro tracce e anche tante
cose concrete.
A quelle lotte appartiene quel leggendario episodio
in cui una notte, con la lusinga di una resa pattuita,
furono attirati in città 40 cavalieri normanni con i
loro scudieri, per essere poi trucidati e decapitati, e i
loro corpi gettati in alcuni pozzi detti da quel
momento “fetenti” e le teste inviate a Durazzo, quali
trofei di guerra.
Ruggero, Roberto, Goffredo, Margarito,
sono alcuni dei personaggi che
rievocano i Normanni a Brindisi. E poi la
Cattedrale, la chiesa di San Benedetto, la
fontana Tancredi, tutte fatte edificare
dai Normanni, si possono ancora
contemplare, a fronte di tante loro altre
costruzioni andate perdute nel tempo,
come lo fu ad esempio il monastero
benedettino che, sui ruderi di quello
anteriore basiliano, era stato costruito
sull´isola di Sant´Andrea, andato
distrutto intorno al 1500.
I Normanni “uomini del nord” erano
popolazioni scandinave formate da
diversi gruppi etnici, costituite da
mercanti, navigatori, predoni, guerrieri.
Gruppi di guerrieri normanni giunsero
in Italia meridionale all´inizio del secolo
XI, e nel 1030 il capo normanno Rainolfo Drengot
ottenne dal duca di Napoli, per cui aveva
combattuto, la signoria di Aversa. Roberto il
Guiscardo, della famiglia Altavilla signori di
Coutances in Normandia, conquistò Puglia, Calabria
e Campania, mentre il fratello Ruggero, al termine di
una guerra durata dal 1061 al 1091, tolse la Sicilia
agli arabi. Nel 1130, Ruggero II, figlio del Guiscardo,
costituí il regno di Sicilia, riunendo poi, nel 1139,
tutto l´intero mezzogiorno d´Italia sotto i Normanni.
Alla morte del re Guglielmo II, nel 1189, la sua erede
Costanza d´Altavilla, moglie dell'imperatore Enrico
VI, legò le sorti del regno di Sicilia a quelle
dell´impero sacro romano, trasmettendo il regno al
figlio e futuro imperatore, Federico II di Svevia.
Fu nel 1070, dopo una decina di anni di lotte che con
vicende alterne ebbero Brindisi come oggetto della
disputa tra i Bizantini ed i Normanni, quando questi
ultimi, capitanati da Roberto e con suo fratello
Ruggero assediando la città, vinsero su Niceforo
Caranteno,
l´ultimo
governatore
bizantino,
rappresentante dell´imperatore d´oriente.
Roberto, assegnò il governo di Brindisi a suo nipote
Goffredo, il figlio di Ruggero, il quale, con il titolo di
conte, volle da subito riprendere la ricostruzione di
Brindisi che era già stata intrapresa dal protospata
bizantino Lupo, dopo l´ennesima distruzione che la
città aveva subito, quella volta nel 922, ad opera dei
pirati Slavi. Goffredo, con sua moglie Sighelgaida, si
prodigò per far rinascere la città costruendo nuovi
edifici, e si prodigò per far ritornare a Brindisi
l´arcivescovo, che era stato trasferito ad Oria
durante il periodo delle incursioni saracene.
Goffredo, con tale obiettivo, inizio la costruzione
della Cattedrale, poi distrutta nel terremoto del
1743, e riuscí a portare a Brindisi il papa Urbano II
nel 1089 per fargli consacrare il perimetro.
L´arcivescovo tornò a Brindisi nel 1095 e la
costruzione in stile gotico con pavimento a mosaico,
si completo nel 1143, e Ruggero III figlio di Tancredi
vi fu incoronato re di Sicilia nel 1191, primo fra i
Normanni ad esserlo fuori da Palermo, e l'anno
successivo lí, si unì in matrimonio con Irene, figlia di
Isacco Angelo imperatore di Costantinopoli.
Brindisi Normanna
1070 - 1194
PARTE II
SCHEGGE DI STORIA BRINDISINA…
… dalle Sconfinate Pagine del Web
di Gianfranco Perri
L´appello lanciato il 27 novembre 1095 dal papa
Urbano II invitando i cristiani ad armarsi per
liberare la Terra Santa e Gerusalemme dal dominio
dei Turchi, colse il normanno Ruggero, signore di
Brindisi, assediando Amalfi e cosí decise inviare a
quella prima crociata il figlio ancor ventiquattrenne,
Tancredi, con lo zio Boemondo, signore di Taranto,
che era il fratello di Ruggero: era l´anno 1097.
Boemondo e Tancredi s´imbarcarono a Brindisi per
raggiungere Reggio dove si approntava il grosso
della spedizione crociata sotto la guida di Goffredo
di Buglione. E Tancredi fu tra i primi ad entrare a
Gerusalemme il 15 luglio 1099.
Erano iniziati i tempi delle crociate, ed il regno dei
Normanni coincise infatti con i tempi del massimo
fervore religioso per la liberazione del Santo
Sepolcro, per cui i crociati d´Italia e
di altre regioni occidentali, in
grande quantità s´imbarcavano da
Brindisi per la Terra Santa.
Dimorando in questa città mentre
aspettavano le navi e ospitandosi o
ricoverandosi nei vari ospedali,
come quello di San Martino che era
presso il monastero di Santa Maria
Veterana detto delle monache nere
di San Benedetto, quello di Santa
Maria dei Teutoni che sorgeva nei
pressi del castello di terra, e poi
quello dei Gerosolimitani, detto del
Santo Sepolcro, nei pressi della
Cattedrale. I Templari invece
avevano il loro albergo ospedale,
forse, nei pressi di San Giovanni al
Sepolcro. Ed in quei tempi fondavasi a Brindisi
anche il convento degli Agostiniani col nome di
Santa Maria della Grazia, in prossimità dell´attuale
porta Mesagne.
Negli ultimi anni del regno dei Normanni, visse a
Brindisi Margarito, detto Margaritone, che fu un
grande ammiraglio, leale militare e ministro
consigliere di due re normanni: di Guglielmo II il
buono, e del suo successore, Tancredi, di fatto
l´ultimo dei re normanni.
Margarito compì numerose gesta sul mare per conto
di Guglielmo il buono, alcune delle quali anche in
aiuto dei crociati che lottando in Terra Santa si
erano incontrati in gravi difficoltà.
Famosa era la dimora che Margarito si era fatta
costruire in prossimità della chiesa di San Paolo, “la
domus margariti” «una casa per quei tempi assai
splendida, che doveva avere bagni, giardini, forni
adiacenti», la stessa che nell´ottobre 1225 fu donata
da Federico II all´ospedale dei Teutonici, e che fu poi
anche sede della zecca imperiale. Margarito
nell´anno 1194, quello stesso della morte di
Tancredi e della fine del regno normanno, fondo in
Brindisi un monastero, fuori porta Lecce, la cui
chiesa fu poi detta di Santa Maria del Ponte. Ma
avvicinandosi la fine del regno dei Normanni,
decadde anche la fortuna di Margarito, il quale morì
solo qualche anno dopo, nel 1197.
Tancredi era nato a Lecce ed era stato conte di
quella città, nel 1189 fu incoronato re di Sicilia alla
morte di Guglielmo II il buono, ed in occasione del
matrimonio di suo figlio,
Ruggero III, avvenuto nel 1192
nella cattedrale di Brindisi, fece
ricostruire la romana “fontana
grande”, che da allora in poi fu
chiamata “fontana Tancredi”.
Ruggero III a Brindisi sposò
Irene Angelo, figlia di Isacco II,
imperatore
bizantino, e a
Brindisi avvenne anche la sua
investitura ufficiale a re, in
attesa della cerimonia di
incoronazione che si sarebbe
dovuta svolgere a Palermo.
Il giovane Ruggero prese in
mano le redini del regno, al
fianco del padre Tancredi, ma
nel dicembre 1193, all'età di 19 anni, morì. Al suo
posto Tancredi designò re di Sicilia l´altro figlio,
Guglielmo III, di soli 9 anni, affidando la reggenza
alla moglie Sibilla. Lo stesso Tancredi morì l´anno
dopo, a 55 anni, nel 1194.
Quando nel 1194 Enrico VI, imperatore di Germania,
figlio di Federico Barbarossa, padre di Federico II e
marito di Costanza figlia di Ruggero II, scese in Italia
a reclamare i diritti dinastici sul regno di Sicilia, lo
invase e designò Irene, vedova di Ruggero, a moglie
del fratello Filippo di Svevia, segnando con tutto ciò
la fine della dinastia dei Normanni in Italia e dando
inizio a quella degli Svevi, naturalmente anche a
Brindisi.
1054-1254 Brindisi al tempo delle Crociate
La I, la II e la III con la Brindisi Normanna
PARTE I
dalle Pagine di brindisiweb.it
di Gianfranco Perri
Con lo scisma del 1054 e la successiva e ormai
insanabile frattura con la cultura bizantina, la Puglia
divenne la frontiera occidentale della cristianità
romana e Brindisi in particolare, con il suo porto,
costituiva una delle frazioni più importanti di quella
frontiera ed era imbarco preferito alla volta
dell'oriente. Fu pertanto del tutto naturale, che
anche per le crociate, da Brindisi si salpasse per la
Terra Santa.
Provenendo dal nord Europa, i pellegrini e i
crocesignati, attraversando le antiche vie romane,
l’Appia e la Traiana, giungevano a Brindisi passando,
lungo il tragitto finale da Bari a
Brindisi,
sull’Egnazia,
e
sostando nelle varie stazioni di
accoglienza dell’epoca, talune
presso le comunità rupestri,
altre nelle cripte basiliane e
nelle lame, e mai senza aver
sostato e pregato ai piedi di
quell’edicola votiva che, a
partire dall’età angioina, era
dedicata alla Madonna di
Gallico, Jaddico.
Vari ospedali e luoghi di
dimora per i cavalieri e per i
pellegrini diretti in Terra
Santa, erano presenti in
Brindisi con le sedi dei
Teutonici, dei Templari, dei Lazzariti, dei Giovanniti,
degli Ospedalieri del Santo Spirito e dei Canonici del
Santo Sepolcro, oltre che con le istituzioni locali
quali gli ospedali San Tommaso, Tutti i Santi,
Sant'Egidio e San Martino.
L'Ordine dei Cavalieri Ospedalieri, poi divenuti di
Malta, era in Brindisi sin dal 1156 con la casa di San
Giovanni de Hospitale e successivamente con la
chiesa di San Giovanni dei Greci e l'adiacente
albergo, mentre la presenza in città dei Cavalieri
Templari, sembra risalisse al 1196: l'ubicazione
della loro Domus, con annessa chiesa di San Giorgio
al Tempio, non è del tutto accertata, per alcuni
studiosi era nei pressi della stazione ferroviaria, i
bastioni San Giorgio appunto, per altri era nei pressi
della chiesa del Santo Sepolcro.
Il 5 aprile del 1097 partì da Brindisi alla volta
di Durazzo, il principe normanno di Taranto,
Boemondo, insieme ai suoi cavalieri, tra i quali
Tancredi il giovane figlio del fratello Ruggero,
principe di Brindisi. La spedizione si unì in
Costantinopoli alle altre truppe crociate capeggiate
da Goffredo di Buglione. Era la prima crociata che,
bandita da Papa Urbano II nel 1095, si protrasse dal
1096 al 1099. L'intervento di Boemondo e quello di
Tancredi furono determinanti per la conquista di
Antiochia, nella Siria settentrionale, riuscita dopo
otto mesi di un duro assedio e preludio alla
liberazione di Gerusalemme.
La seconda crociata non interessò Brindisi, mentre
per la terza crociata, che si protrasse dal 1189 al
1192, Riccardo Cuor di Leone, sovrano d’Inghilterra
in sosta a Messina prima della spedizione, nell'aprile
1191 decise di incontrare a Brindisi la madre
Eleonora di Aquitania e la promessa sposa,
Berengaria di Navarra. Il re inglese prese dimora
nella casa, nota per la sua fastosità, dell’ammiraglio
brindisino Margarito, che aveva servito i Normanni.
E il 15 luglio dello stesso 1191 arrivo da Tiro a
Brindisi il re di Francia Filippo Augusto, per
prendere la guida della crociata insieme a Riccardo e
a Federico I, il Barbarossa. Quest'ultimo però morì in
viaggio prima di arrivare in Terra Santa, annegando
in un fiume in Cilicia.
La terza crociata non ebbe il successo sperato e le
truppe inglesi solo riuscirono a conquistare alcune
città della costa, ma Gerusalemme rimase nelle mani
di Saladino.
1054-1254 Brindisi al tempo delle Crociate
La IV, la V e la VI con la Brindisi Sveva
PARTE II
dalle Pagine di brindisiweb.it
di Gianfranco Perri
Nel marzo del 1197, nonostante la morte di Enrico
VI che l’aveva organizzata, dal porto di Brindisi
salparono per la quarta crociata, 30 navi di
crocesignati tedeschi che si erano concentrati in
Puglia agli ordini di quell’imperatore: due navi,
appena levate le ancore, affondarono per il forte
vento e partenze successive si ebbero in maggio e
giugno.
Durante la quinta crociata, che si protrasse dal 1217
al 1221, Brindisi e Messina furono i porti di ritrovo e
di partenza per gli eserciti europei verso i luoghi
santi. Dal porto di Brindisi salpò nel 1217 Pietro II di
Courtenay, incoronato dal pontefice Onorio III quale
imperatore latino di Costantinopoli, con un
mediocre esercito e con la flotta veneziana per la
conquista di Durazzo, ma dopo un'infausta
navigazione venne sconfitto e catturato sull'altra
sponda adriatica, dove morì in prigionia.
Nel 1212 da Brindisi partì anche il cosiddetto
esercito dei bambini, organizzato da un dodicenne
predicatore, il pastorello tedesco Nicholas, che era
riuscito a convincere e raggruppare 8000 coetanei
raccontando che avrebbe camminato sul mare e
sarebbe riuscito a convertire al cristianesimo gli
infedeli in Terra Santa. Senza aver ottenuto la
benedizione del Papa, i piccoli crociati si recarono ad
Ancona, dove secondo la profezia il mare si sarebbe
aperto davanti a loro, ma ciò non avvenne.
Nel settembre del seguente anno, dopo una sosta di
circa 12 mesi a Brindisi, una flotta di crocesegnati
riuscì a partire verso Cipro agli ordini del legato
papale, il vescovo Pelagio. Federico II nel marzo del
1221 inviò da Brindisi a Damietta una flotta di 40
galere ben armate, ma finalmente, questa quinta
crociata fallì miserabilmente con la triste sconfitta
dell'8 settembre 1221.
Giunti poi a Brindisi, l'arcivescovo Gerardo quasi
moribondo cercò vanamente di opporsi e di
persuadere gli adolescenti ad abbandonare l’assurdo
progetto, ma questi, dopo aver subito ladrocini e
violenze, riuscirono a trovare alcune navi dirette ad
oriente, dove però furono venduti come schiavi.
Nel 1215 venne a Brindisi il beato francescano
Egidio d'Assisi accompagnato da un confratello, e i
due frati restarono in città per qualche tempo in
attesa di un imbarco. Poi, fra il 1219 e il 1220 ci fu il
tentativo del frate Francesco d’Assisi di convertire al
cristianesimo il sultano e il futuro Santo, di ritorno
dal suo pellegrinaggio in Egitto ed in Terra Santa,
quasi certamente approdò a Brindisi.
Federico II aveva promesso solennemente di
diventare crociato durante la cerimonia della sua
incoronazione a re dei romani in Acquisgrana, e
l’impegno fu rinnovato a Roma cinque anni dopo, nel
1220, allorché divenne imperatore del sacro impero,
per così portare a termine quanto non era riuscito ai
suoi predecessori della casa Hohenstaufen: il nonno
Federico I, detto il Barbarossa, morto durante la
terza crociata nel 1190 e il padre Enrico VI deceduto
nel 1197 poco prima di partire da Brindisi per la
quarta crociata.
Il papa Onorio III pertanto, sollecitò con insistenza a
Federico II di intraprendere la spedizione promessa,
ma l'imperatore chiese piú volte di posporla per
potersi occupare dei tanti problemi sorti nel suo
regno, ed il papa gli concesse di malavoglia il rinvio.
1054-1254 Brindisi al tempo delle Crociate
La VI Crociata: degli scomunicati di Federico II
PARTE III
dalle Pagine di brindisiweb.it
di Gianfranco Perri
Nel 1227, dopo poco più di un anno dal matrimonio
di Federico II, celebrato nella Cattedrale di Brindisi il
9 novembre 1225, con la giovane Isabella, la figlia di
Giovanna di Brienne e regina di Gerusalemme, il
quasi centenario papa Onorio III morì, e il suo
successore, Gregorio IX, si dimostrò subito meno
disponibile a rinviare la crociata ormai da troppo
tempo posposta, ed impose quindi di fatto a
Federico II di partire.
E così la città di Brindisi,
che nel corso di più di un
secolo di spedizioni crociate
aveva recitato spesso un
ruolo di notevole rilievo, fu
scelta come unico porto di
raduno e partenza della
sesta crociata che doveva
essere condotta dal sovrano
più
carismatico
del
medioevo, Federico II di
Svevia, il quale chiamò a
raccolta a Brindisi principi e
cavalieri crociati per dare
seguito finalmente alla
spedizione. Ermanno di Salza, maestro dell'Ordine
dei Teutonici, diffuse la notizia e nel volgere di
qualche mese da tutta Europa giunsero in Puglia
migliaia di guerrieri guidati da uomini intrepidi
come Ludovico, langravio di Turingia. Alla fonda del
porto di Brindisi la flotta imperiale, composta da 50
tra galere e navi da trasporto, era pronta ad
imbarcare le decine de migliaia di armati convenuti
in numero esorbitante, 60000 dalla sola Inghilterra.
Le imbarcazioni furono però insufficienti ad ospitare
tutte le guarnigioni e presto cibo e acqua
scarseggiarono. Tra condizioni igienico-sanitarie
precarie, il disagio e il caldo torrido provocarono
una terribile pestilenza malarica, che in breve fece
strage di crocesignati, tanti dei quali si sparsero per
tutta l'Italia diffondendo il male. Gli ospedali, anche
se numerosi, quelli dei Benedettini di Santa Maria
Veterana e quelli degli ordini militari attivi in città,
Teutonici, Templari e Ospedalieri, non furono
sufficienti e nel cimitero attiguo l'ospedale di San
Martino vennero sepolti numerosi crociati deceduti
per quella pestilenza. Tra le vittime anche i vescovi
di Angiò e di Augusta.
In agosto finalmente la flotta iniziò il viaggio verso la
Terra Santa: il 24 agosto partì il primo contingente,
seguito dal secondo il 1 settembre e dal terzo l'8, con
Federico II ed il luogotenente Ludovico, il langravio
di Turingia. Però erano entrambi ammalati e tre
giorni dopo, a Otranto, Ludovico morì e Federico
decise di rimanere, affidando il comando di tutta la
flotta al duca di Limburgo.
La notizia giunse a Gregorio IX e il pontefice,
sentitosi
ingannato,
non perdonò
l’imperatore
e
il
29
settembre ad
Anagni lanciò
la scomunica
contro
lo
svevo. In una
lettera
inviata a tutti
i
vescovi,
Gregorio IX
accusò
Federico II di aver organizzato il raduno
dell'esercito in un periodo caldo in luogo
notoriamente malsano, di simulare la sua malattia
per trattenere i crociati e di non aver esitato ad
uccidere Ludovico per impossessarsi dei suoi beni.
Federico II, che si era recato a Pozzuoli per una cura
di bagni, decise di partire l’anno seguente e, appena
guarito, riprese le preparazioni per la crociata e
inviò 500 cavalieri in avanguardia. Poi, il 28 giugno
1228, si imbarcò sulle navi di nuovo radunate a
Brindisi dando finalmente l'avvio alla sesta Crociata,
l’unica interamente partita da Brindisi e passata alla
storia come la crociata degli scomunicati. Il papa
Gregorio IX commentò: "Noi ignoriamo quale stolto
consiglio egli abbia seguito o, meglio, quale diabolica
astuzia lo abbia indotto, senza penitenza e senza
assoluzione, a lasciare in segreto il porto di Brindisi,
non facendo intendere con sicurezza dove sia
diretto".
In realtà però, il papa o era in malafede o era
disinformato, perché l'imperatore aveva delineato
pubblicamente con dettagli e con chiarezza, sia la
meta e sia gli scopi della sua spedizione.
1054-1254 Brindisi al tempo delle Crociate
La VI Crociata: degli scomunicati di Federico II
PARTE IV
dalle Pagine di brindisiweb.it
di Gianfranco Perri
La flotta predisposta a Brindisi da Federico II per la
sesta crociata, imbarcò solo un esiguo esercito e
numerosi pellegrini, e dopo la sosta a Corfù e a
Cipro, giunse a San Giovanni d'Acri il 7 settembre
1227. Da qui il conte di Malta e l'arcivescovo di Bari
ritornarono in Italia per chiedere al papa Gregorio
IX, però vanamente, la revoca della scomunica.
L'accoglienza dei crocesignati di Federico II in Terra
Santa non fu pertanto delle migliori: buona parte
degli ordini cavallereschi, molti cristiani e il
patriarca di Gerusalemme, non accettarono quel
sovrano che aveva intrapreso la spedizione
nonostante la scomunica papale.
Sui luoghi santi regnava il sultano Malek Al-Kamil, il
quale era in buoni rapporti con Federico II e grazie a
questa amicizia, ed alla intensa trattativa
diplomatica condotta dall'emiro Fakhr-ed-Din, si
giunse ad un accordo pacifico, poi sancito con il
trattato di Jaffa del 18 febbraio 1229, con il quale
Gerusalemme passò sotto il controllo cristiano per
dieci anni, insieme a Betlemme, Nazareth e parte
della fascia costiera, mentre in cambio,
ai
musulmani veniva consentito l'accesso ai luoghi di
culto.
La sesta crociata quindi si concluse pacificamente
senza alcun spargimento di sangue, grazie ad una
abile mossa diplomatica, che se pur contribui a
valorizzare la figura dell'imperatore, creò ulteriori
dissidi con il Papa, il quale, scandalizzato per quel
trattato di pace con gli infedeli, lanciò l'interdetto,
chiese la disubbidienza dei sudditi e invase il regno
servendosi di Giovanni di Brienne, suocero di
Federico II, pronto a vendicarsi dell'imperatore il
quale, sposando sua figlia Isabella, nel mentre già
morta, gli aveva di fatto usurpato la corona di
Gerusalemme auto-incoronandosi.
Federico II ritornò come re di Gerusalemme con due
sole galere in Italia e sbarcò a Brindisi il 10 giugno
1229, seguito da un contingente armato e prima di
trasferirsi a Barletta organizzò la riconquista del
regno, che in parte era stato occupato dalle armate
papali e di Giovanni di Brienne.
In Puglia solo tre città erano rimaste fedeli a
Federico II: Barletta, Andria e Brindisi. E a proposito
dell'arrivo in porto dell'imperatore, lo storico
Kantorowicz, che fu biografo federiciano, commenta:
"era tanto stupefacente quell’avvenimento, che al
vedere le insegne imperiali gli abitanti della città
non credevano ai propri occhi, perché già avevano
pianto Federico II per morto. Solo quando videro in
persona Federico, capirono la menzogna del papa e
grande fu il giubilo con cui l’imperatore fu accolto
dai suoi fedeli brindisini, e in brevissimo tempo si
propagò la notizia del suo arrivo".
La partecipazione di Brindisi alle crociate vide come
ultimo atto l’episodio dello sbarco di Luigi IX di
Francia durante la settima crociata, che si protrasse
dal 1248 al 1254, ricordato dalla tradizione locale
anche perché vide collegato a questo evento,
l’episodio della processione del Cavallo Parato in
occasione del Corpus Domini. Ma questo è tutto un
altro racconto.
Brindisi Sveva
1194-1268
PARTE I
SCHEGGE DI STORIA BRINDISINA…
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di Gianfranco Perri
La morte nel 1194 di Tancredi, re dei Normanni, era
stata preceduta di qualche mese da quella precoce
del diciannovenne figlio Ruggero III designato suo
successore, mentre il secondo figlio Guglielmo III era
ancora troppo piccolo, aveva solo 9 anni. E così
Enrico VI, figlio di Federico Barbarossa e marito di
Costanza d´Altavilla figlia dell´anteriore re
normanno Ruggero II, pretese e finalmente ottenne
in reggenza la corona del Regno di Sicilia, che dopo
la sua morte avvenuta nel 1197 andò al figlio
Federico II di Svevia, incoronato il 18 maggio 1198 a
soli 4 anni e che ne prese possesso compiti i 14.
Gli Svevi della casata degli Hohenstaufen dovevano
peró governare solo per pochi decenni, fino al 1268,
ma quelli furono anni importanti per Brindisi perché
tutti i governanti svevi ebbero in molta
considerazione la città, e soprattutto la ebbe
Federico II, l´imperatore del Sacro Romano Impero,
di gran lunga il più importante e famoso degli Svevi,
al quale fu attribuito il celebre saluto alla città,
pronunciato al suo rientro dalla Terra Santa dopo
aver concluso con successo la sesta crociata: «Filia
Solis Ave, nostro gratissima Cordi».
Brindisi ai tempi di Federico II progredì in tutti i
campi, dall´economico al culturale e sperimentò
anche una rigogliosa rinnovazione urbana fino ad
assumere un aspetto veramente regale.
Nell´area adiacente al futuro castello svevo, si
costruì un ospedale con monastero e con la chiesa
intitolata a Santa Maria dei Teutonici, il tutto peró fu
poi abbattuto per ricavarvi la Piazza d´armi.
Federico II migliorò la cinta muraria, con la
ricostruzione del fornice a sesto acuto di Porta
Mesagne e con la costruzione del grande Castello di
terra, una maestosa fortezza quadrilatera con agli
angoli quattro torri e circondata da un fossato.
Restaurò il porto e lo dotò di un Arsenale.
In quegli stessi anni, intorno al 1235, fu costruita la
chiesa di San Domenico con annesso monastero,
detta in seguito del Cristo o del Crocefisso quando
un facoltoso veneziano di ritorno dall´Oriente con un
prezioso Crocifisso dovette sostare vari giorni a
Brindisi a causa di una forte tempesta. Il priore di
San Domenico suggerì al veneziano di far sbarcare il
Crocefisso per farlo riposare in un luogo consono,
cioè in chiesa. Però nessuno poté più smuovere il
Crocefisso dal suo posto ed il veneziano dovette
accontentarsi di un dito, l´indice della mano destra.
Durante il dominio svevo, a Brindisi operò una
importante zecca, che affiancava nel regno quella di
Messina: vi si coniavano i tarí, gli augustali d´oro e i
denari apuliensi. La sede fu nella Domus Margariti.
Alla morte di Federico II, avvenuta il 13 dicembre
del 1250, i suoi titoli passarono per diretta
discendenza al figlio legittimo Corrado IV, mentre
all´illegittimo figlio Manfredi toccò la luogotenenza
del Regno di Sicilia, che però divenne trono a tutti gli
effetti con la morte prematura di Corrado IV.
Manfredi peró risultò essere un sovrano poco amato
e per le sue chiare ambizioni espansioniste, entro
ben presto in conflitto con il papa francese Urbano
IV, il quale chiese aiuto a Carlo D´Angiò, figlio del re
di Francia Luigi VIII e fratello del successivo re Luigi
IX, incoronandolo a Roma re di Sicilia. Brindisi fu
l´unica città della Puglia che si schierò con il papa e
comunque Manfredi la riprese nel 1256 e ne chiuse
la zecca, trasferendola a Manfredonia.
Finalmente Manfredi morirà in battaglia campale
presso Benevento nel 1266, e Corradino di Svevia, il
giovane figlio di Corrado IV, scese in Italia nel
tentativo di riscattare i possedimenti della famiglia,
ma la sua spedizione, dopo aver subito una rovinosa
sconfitta a Tagliacozzo nel 1268, ebbe termine
tragicamente con la sua decapitazione. Il regno
italiano degli Svevi della casata degli Hohenstaufen
era finito ed era iniziato quello degli Angioini con
Carlo I D´Angiò.
Brindisi Sveva
1194-1268
PARTE II
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di Gianfranco Perri
Nel 1250, mentre il Regno di Sicilia era governato
dagli Svevi, Luigi IX re di Francia e fratello di Carlo
D´Angiò, nel tentativo di strappare agli infedeli il
Santo Sepolcro durante la settima crociata che si
protrasse dal 1248 al 1245, nei pressi del Cairo a ElMansura cadde prigioniero di Saladino, il quale si
dichiarò disposto a ridargli la libertà in cambio di
una ingente somma di denaro, che il re
personalmente si sarebbe dovuto procurare mentre
in ostaggio presso Saladino sarebbe rimasta l´ostia
consacrata che, per concessione papale speciale, il
devotissimo re di Francia portava sempre con sé.
Luigi IX giunse a
Brindisi e Federico
II,
che
per
quell´epoca era a
pochi mesi dalla
sua dipartita, fece
coniare il denaro
occorrente
nella
sua zecca della
città:
30.000
marche d´oro con
le quali Luigi IX si
presentò a Damiata
al
cospetto
di
Saladino
per
pagare il riscatto
pattuito e farsi
restituire
l´ostia
consacrata.
Saladino impressionato dalla lealtà di Luigi IX non
volle il denaro e restituì l´ostia consacrata. Quei
denari ¨tornarono¨ quindi a Brindisi e da
quell´episodio furono detti ¨Tornesi¨, anche perché
comunque avevano fatto ¨tornare¨ liberi i Francesi
dalla prigionia in Terra Santa.
Il re Luigi IX fece in seguito ritorno a Brindisi, ma il
furore dei venti impossibilitò che la sua nave
potesse attraccare e fini con l´arrenarsi su uno
scoglio a circa tre miglia dalla città.
Sapendo dell´abitudine del sovrano francese di
viaggiare con l´ostia consacrata, appena giunta in
città la notizia del quasi naufragio, l´Arcivescovo
Pietro II in persona volle recarsi sul posto
accompagnato da tutto il clero e da buona parte del
popolo di Brindisi, e data la sua avanzata età penso
bene di servirsi di un cavallo per coprire più in fretta
quel relativamente lungo tragitto.
Appena giunto sul luogo del naufragio, nei pressi
della poi nominata Torre Cavallo, l´Arcivescovo si
accostò alla nave e dalle mani del cappellano di
bordo, Roberto de Sorbon, prese in consegna il
prezioso calice contenete l´ostia consacrata e lo
portò trionfalmente fino alla Cattedrale, in
processione con il popolo che a piedi seguiva il
cavallo con il cavaliere ed il suo prezioso carico.
Fu quella la prima volta in cui l´Eucaristia veniva
processionata al di fuori delle mura di una chiesa. E
fu per quell´episodio storico che dopo qualche anno
la bolla papale di Urbano III ¨transiturus¨ del 1264
instituì in tutta
la
chiesa
universale
la
processione del
Corpus Domini.
E a Brindisi, in
ricordo
di
quella
prima
volta,
fu
concesso
a
tutt´oggi l´uso
del
tutto
peculiare
di
usare il cavallo.
La tradizione,
unica in tutto il
mondo, é detta
infatti
del
¨cavallo parato¨.
L´Arcivescovo per la circostanza monta sempre su
un cavallo bianco, coperto da un manto anch´esso
bianco. Il gruppo, fino al 1716 era sormontato da
due parasoli realizzati con penne di pavone, ma poi
si ricorse ad un più semplice ombrello di broccato
d´oro.
Oggi, per difendersi dal sole cocente del giugno
brindisino, si usa un baldacchino quadrato sorretto
da sei persone: l´Arcivescovo, uscendo dalla
Cattedrale e poi ritornandovi, porta in processione il
Sacramento per le vie principali della città montato
sulla groppa di un cavallo bianco parato,
accompagnato dal clero, dalle autorità locali civili e
militari e dai rappresentanti dell´Ordine dei
Cavalieri di Malta e dell´Ordine Equestre del Santo
Sepolcro di Gerusalemme, in quella che é certamente
la cerimonia più antica e significativa che Brindisi
conserva.
Brindisi Angioina
1268 – 1442
PARTE I
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di Gianfranco Perri
Decapitato Corradino di Svevia nel 1268, i Francesi
della casata D´Angiò poterono assumere il trono del
Regno di Sicilia con Carlo I e con la benedizione del
pure francese papa Clemente IV. Avrebbero regnato
per quasi duecento anni.
Anche il re Carlo I D´Angiò, come prima di lui quasi
tutti i re normanni e quelli svevi, si prese speciale
cura di Brindisi, che visitò più volte riconoscendone
da subito il grande valore strategico, sia militare che
commerciale. E fu lui che fece costruire la torre, poi
conosciuta come Torre Cavallo, nei pressi del luogo
del naufragio di suo fratello Luigi IX re di Francia,
affinché vi si ponesse un faro onde i naviganti
potessero evitare gli infortunii frequenti nelle notti
buie e tempestose.
A quel tempo, il canale che dal porto
esterno immetteva in quello interno
s´era quasi ostruito, a conseguenza di
quel famoso tentativo “incompiuto”
di chiuderlo disposto nel 49 aC da
Giulio Cesare nella sua guerra civile
contro il fuggitivo Pompeo, rendendo
il porto quasi impraticabile ai grossi
bastimenti d´allora. Gli Angioini
vollero correggere quel gravissimo
inconveniente
ed
in
effetti
effettuarono alcuni lavori tendenti a
migliorare la critica situazione.
A difesa del porto di Brindisi da possibili e probabili
attacchi di nemici provenienti dal mare, il re Carlo I
predispose varie opere: fece porre sul canale una
catena di ferro che veniva tesa tra due torri durante
la notte e ritirata sotto una tettoia durante il giorno.
Fece costruire un secondo castello di terra, sulla
collina adiacente all´attuale stazione portuaria. Ed
inoltre fortificò, ampliandolo considerevolmente, il
Castello svevo.
Grande importanza ebbe con Carlo I l´arsenale
marittimo che fu costruito, imponente e fu poi più
volte ampliato e potenziato, in prossimità del futuro
scalo ferroviario marittimo.
Altra opera importante che il re Carlo I D´Angiò curò
a Brindisi fu la zecca, per la cui importanza fece
costruire un nuovo apposito locale in sostituzione
dell´antica sede sveva non più funzionale, la Domus
Margariti, la quale fu donata ai frati minori che la
ridussero a convento al quale successivamente, nel
1322, affiancarono una grande chiesa: San Paolo.
I progetti, o forse sogni, espansionistici concepiti dal
francese Carlo I D´Angiò, che includevano finanche la
conquista d´Oriente e che avevano in Brindisi un
naturale forte riferimento strategico, furono però
bruscamente interrotti dallo scoppio dei moti
rivoltosi in Sicilia: i Vespri siciliani del 1282. E
quando il re s´avviava a Brindisi per assumere di
persona il comando dell´armata con cui
riintraprendere la campagna di riduzione dei ribelli,
la morte lo colse a Foggia, il 7 gennaio del 1285.
A Carlo I D´Angiò succedette il figlio Carlo II, detto lo
zoppo, che però era stato fatto prigioniero dagli
Aragonesi sostenuti dai ribelli di Sicilia e così la
reggenza del regno, ora a Napoli perché senza la
Sicilia caduta in mano agli Aragonesi, toccò alla
madre Beatrice. Carlo II D´Angiò ottenne la libertà
nel 1302 mediante il trattato di Caltabellotta,
stipulato con Giacomo II d´Aragona che era re di
Sicilia e fratello di Alfonso III re d´Aragona e di
Federico II d´Aragona, tutti e tre figli di Pietro III re
d´Aragona e di Costanza di Hohenstaufn, figlia di
Manfredi, il figlio illegittimo di Federico II di Svevia.
Era ufficialmente nato il Regno di Napoli, autonomo
dal Regno di Sicilia, la sola isola, che resto aragonese.
Ma la partita per il dominio della Sicilia non si era
ancora conclusa e le ostilità tra Angioini e Aragonesi
si rinnovarono e proseguirono per parecchi anni,
finché Alfonso III fu indotto a stipulare un trattato
per cui la Sicilia sarebbe ritornata angioina dopo la
morte del fratello Giacomo II, ed invece morí prima
lui e Giacomo II tenne per se il regno d´Aragona
lasciando poi nel 1296 quello di Sicilia al fratello
Federico II (detto III in memoria del suo famoso
antenato svevo Federico II), che proseguì l´infinita
guerra, contro Carlo II e poi, dal 1309 in avanti,
contro Roberto D´Angiò, di lui figlio e successore.
Brindisi Angioina
1268 – 1442
PARTE II
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di Gianfranco Perri
Anche se é documentata sulla costa brindisina
l´esistenza già durante il periodo romano di torrifaro, furono i re normanni che iniziarono a edificarvi
costruzioni che fungessero oltre che da fari e da torri
di avvistamento, anche da primi baluardi di difesa.
Poi, anche i re svevi continuarono ad usare quelle
torri spesso integrandole e rinforzandole.
Però fu nel periodo angioino, ed in particolare
durante i regni di Carlo I e Carlo II, che si sentì
l´esigenza di una maggiore fortificazione, e fu in quel
periodo infatti, sul finire del secolo XIV, che vennero
costruite le due Torri all´imbocco del canale
d´entrata al porto interno e la Torre Cavallo
immediatamente a Sud del porto, e probabilmente
anche una torre cilindrica sull´isola di Sant´Andrea.
Un primo sistema difensivo di torri costiere
brindisine che fu poi, qualche secolo dopo intorno al
1560, integrato da altre quattro torri: Torre
Mattarelle ancora più a Sud e poi Torre Penne, Torre
Testa e Torre Guaceto a Nord del porto.
La prima delle due Torri all´imbocco del porto
interno fu completata al principio del 1279 sulla
terra ferma sul lato di ponente, mentre per la
seconda, costruita in mare, il processo fu più sofferto
e durò fino a quasi la fine dell´anno. Intorno alle
torri si costruirono anche delle fortificazioni di
piccola mole, utili ad ospitare le guardie e i serventi
della catena che, disposta tra le due torri ogni notte
ed in caso di pericolo, chiudeva l´accesso al canale.
Quelle due torri furono più tardi sostituite da due
grossi pilastri i quali furono anch´essi messi in
disuso quando nel 1577 fu completata la costruzione
del Forte a mare, che rese inutile la catena.
La torre adiacente alla sponda di Sant´Apollinare
ruinò presto e con le sue fondamenta e strutture
circondanti formò la secca detta angioina,
finalmente scavata con i lavori di metà 800, mentre
l´altra rimase in piedi abitata da guardie doganali
fino a quando, nel 1775, il Pigonati la fece abbattere,
con la Porta Reale e tant´altro, al fine di utilizzarne i
materiali per la sua pressoché inutile opera di
‘riaprimento’ del canale.
In quanto alla Torre Cavallo, nel 1275 il brindisino
Pasquale Facciroso alla sua morte lasciò cinquanta
once d´oro perché nel luogo detto Scoglio del Cavallo
fosse costruita una torre con faro. Il re Carlo I
D´Angiò mostrò subito un fortissimo impegno
personale a quella realizzazione, tanto da ordinarne
dopo qualche anno il completamento a spese del
governo secondo un disegno che lui stesso aveva
fatto in occasione di un suo sopralluogo in Brindisi:
pianta circolare di 15 metri di diametro, altezza di
22 metri, due volte strutturali più un sottopalco, ed
un coronamento merlato alto 1 metro.
Successe però che, ...per forti venti mareggiate errori
nel progetto e materiali scadenti..., la torre non
ancora completata, crollò. Il sovrano allora dispose
che il già costruito fosse interamente abbattuto e che
si provvedesse immediatamente ad una sua solida
ricostruzione e fu così che, solo nel 1301 sotto Carlo
II D´Angiò, la Torre Cavallo risultò finalmente
terminata.
Brindisi Angioina
SCHEGGE DI STORIA BRINDISINA…
1268 – 1442
PARTE III
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di Gianfranco Perri
Nei primi anni del regno di Carlo II D´Angiò, che
iniziato nel 1285 duró fino alla sua morte avvenuta
nel 1309, Brindisi soffrì una forte e lunga carestia,
forse a causa della prolungata guerra contro gli
Aragonesi insediatisi in Sicilia e della lunga dimora
in porto della flotta militare, che per la guerra in
corso includeva anche quella della base di Napoli.
Che il processo fu celebrato in Santa Maria del
Casale, non significa che lo fu dentro la attuale
Chiesa, che non esisteva in quanto edificata nel 1322
da Caterina di Valois Principessa di Taranto,
incorporandovi nell´interno un´antica cappella, ma
piuttosto in qualche convento o edificio adiacente
che dal titolo della cappella prendeva nome.
Nel 1298 la guerra giunse anche alle porte di
Brindisi, quando la città difesa dal capitano francese
Goffredo Granvilla, resistette all´assedio dal capitano
aragonese Ruggiero Loira che in poco tempo aveva
già preso Otranto e Lecce.
Quanto alla circostanza che per la celebrazione
dell´infame processo fosse stato scelto un luogo
solitario in aperta campagna, ciò si spiegherebbe col
fatto che si trattava di un “processo” che, per le
assurde cose che si sarebbero dette e per le palesi
ingiustizie di procedura e di sostanza che si
sarebbero consumate, sembró più opportuno agli
organizzatori, Carlo II D´Angiò re di Napoli e suo
cugino Filippo il Bello re di Francia, di tenere il più
lontano possibile da occhi e orecchie altrui.
Per quegli stessi anni Ruggero Flores, che era nato a
Brindisi nel 1267 da una nobildonna brindisina ed
era rimasto orfano del padre tedesco Riccardo Blum
morto combattendo con Corradino di Svevia nella
battaglia di Tagliacozzo contro l´esercito angioino,
era già un esperto ufficiale di marina e, sdegnato con
Carlo II d'Angiò per aver questi confiscato i beni del
padre, passò a combattere con gli eserciti aragonesi
e nel 1299, da vice ammiraglio, fu l´artefice della
liberazione di Messina dall´assedio angioino.
Dopo il 1302, l´ammiraglio brindisino passò a
combattere al servizio dell´imperatore d´Oriente
Andronico II in guerra contro gli Ottomani,
ottenendo numerose vittorie contro i Turchi,
guadagnando molto prestigio e la considerazione
dell´imperatore, che peró gli valse anche l´invidia del
figlio Michele, erede al trono, che sospettoso di quel
prestigioso soldato, di grande successo e non ancora
quarantenne, lo fece assassinare nel 1305.
Carlo II D´Angiò fece costruire a Brindisi la chiesa di
Santa Maria Maddalena e nel 1305 la donò ai padri
predicatori del convento di San Domenico.
Dopo la morte di Carlo II, l´ascesa al trono del Regno
di Napoli di suo figlio Roberto D´Angiò coincise con
un triste e tragico episodio che si consumo a Brindisi
nell´estate del 1310: «L´iniquo processo contro tutti
i Templari del Regno di Napoli celebrato in Santa
Maria del Casale».
Per quel processo dovette essere trasferito a
Brindisi tutto l´apparato della “giustizia” e la scelta
della sede indica che Brindisi doveva rappresentare
nel regno, il luogo di maggiore attività e di maggiore
frequenza di quei cavalieri, come del resto lo
dimostrano numerose altre circostanze.
Santa Maria del Casale sede nell´agosto 1310 del
“Processo a tutti i Templari del Regno di Napoli ”
>
Furono architettati ben 127 capi delle accuse più
assurde e con le più evidenti calunnie, fatte
sostenere da falsi testimoni prezzolati, nonché con
pretese confessioni estorte con la tortura. L´autorità
papale del debole Clemente V non ebbe energia
sufficiente per infrenare e tener testa a tanta
ignomia. Gli arcivescovi di Brindisi e di Benevento,
che erano stati officiati tra i giudici, solo trovarono la
forza di rifiutarsi di intervenire al processo.
Gli inquisitori si insediarono il giorno 15 maggio e
procedettero in tutta fretta alla sentenza contro gli
indifesi Templari, detenuti e torturati nel castello di
Barletta, impediti di prendere parte al processo che
si svolgeva a loro insaputa. Gli imputati furono
condannati, i beni incamerati e l´ordine soppresso.
Brindisi Angioina
1268 – 1442
PARTE IV
SCHEGGE DI STORIA BRINDISINA…
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di Gianfranco Perri
Alla morte del re Carlo II D´Angiò, nel 1309 fu
incoronato re di Napoli suo figlio Roberto D´Angiò
che doveva governare a lungo, fino alla sua morte
nel 1343, e sopravvivendo pertanto al suo grande
nemico aragonese, Federico III re di Sicilia che
invece morì nel 1337.
Roberto cominciò il suo governo alleggerendo le
tasse ed estendendone il pagamento a feudatari e
baroni che ne erano stati esenti fino ad allora.
Il 9 marzo 1315, decretó che le unità di pesi e misure
per il commercio, anarchicamente dissimili da città a
città e da villaggio a villaggio, fossero uniformate per
lo meno a livello regionale, e per la Terra d´Otranto
stabilí che fossero proprio quelle di Brindisi a
prevalere “... osservando che la città di Brindisi é più
famosa che le altre città e terre di tutta la provincia”.
Intorno al 1320, gli Ospitalari edificarono sulla riva
del corno destro del porto interno, quello del seno di
ponente, una chiesa in onore di San Giovanni con
annesso un loro albergo, e nella stessa data si inizio
la costruzione del tempio di San Paolo che culminò
nel 1322, con anche l´annesso convento che fu
abitato dai padri Francescani.
Il re Roberto D´Angiò morì lasciando in eredità alla
nipote Giovanna I un regno angioino alquanto
indebolito, sia sul piano internazionale che su quello
interno, e per Brindisi vennero anni tristissimi. Alla
carestia del 1345 e alla desolazione delle cruente
lotte cittadine tra i potentati familiari dei Cavallerio
e dei Ripa, s´unì la celebre terribile peste del 1346
che ridusse alla miseria totale la città, già assegnata
al principato di Taranto di Filippo.
Giovanna I, che risultò essere una regina alquanto
stravagante, con lo scisma d´Occidente del 1381 si
schierò a favore dell´antipapa Clemente VII e fu
scomunicata dal papa Urbano VI il quale incoronò re
di Napoli Carlo III di Durazzo appartenente ad un
ramo angioino secondogenito, che si diresse in armi
a Napoli e assunse il trono nel 1382.
Clemente VII in Avignone incoronó allo stesso trono
di Napoli il fratello di Carlo V di Francia, Luigi
D´Angiò il quale cominciò a preparare la conquista
del napoletano, allorché Carlo III fece assassinare
Giovanna e molti dei suoi cortigiani fra cui Angela
Buccella di Brindisi.
Luigi d'Angiò invase il reame nel corso del 1384 ed
in poco tempo giunse a Brindisi che, giá stremata di
forze e di denaro, tentò opporglisi, ma fu presa e
barbaramente saccheggiata. In seguito però, ancora
nei pressi di Brindisi, l´esercito di Luigi fu sconfitto
dal capitano durazziano Alberico da Barbiano e da lì
a poco Luigi D´Angiò morì d´improvviso a Bisceglie e
Carlo III di Durazzo rimase sovrano assoluto di
Napoli, ma per poco, finché morì avvelenato in
Ungheria nel 1386. Gli succedettero sul trono di
Napoli il figlio Ladislao e poi la figlia Giovanna II.
Durante il regno di Ladislao, Brindisi, che già non
faceva parte né del principato di Taranto né della
contea di Lecce, rimase a lungo in possesso diretto di
Margarita, la madre del re, per poi passare a
Giovanni Antonio Del Balzo Orsini, figliastro del re.
Con la morte di Ladislao nel 1414, salì al trono sua
sorella Giovanna II, donna volubile e di costumi
alquanto disinvolti, che dopo aver fomentato
l´avvicendamento di protettori a vario titolo di un
regno sempre più debole ed anarchico, giunta all´età
di sessantacinque anni e resa molto gracile dalla vita
dissoluta, morì nel 1435 dopo aver appena adottato
a ereditiero Renato D´Angiò. Ma tra i vari adottati e
revocati, si annoverava anche il potente re di Sicilia,
Alfonso D´Aragona il quale, sostenuto anche da
Giovanni Antonio Orsini Del Balzo ora principe di
Taranto, dopo moltepici e alterne vicende riuscì ad
avere la meglio su Renato D´Angiò nel 1442.
Questo secondogenito casato angioino però, con
quasi sessant´anni di non-governo napoletano, lasciò
Brindisi in uno stato pietoso, dopo un prolungato
periodo calamitoso: a saccheggi, incendi, carestie,
pesti e quant´altro propri delle guerre e guerriglie
urbane, sopraggiunse a più riprese il terremoto, e
nel 1429 la peste, e nel 1430 l´alluvione.
Brindisi Aragonese
1442 – 1496
PARTE I
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di Gianfranco Perri
Fu nel 1442 quando il re Alfonso V d´Aragona e I di
Sicilia, vincendo la partita durata 7 anni su Renato
D´Angiò, riuscì ad impossessarsi del Regno di Napoli
riunificando con il titolo di ‘Rex Utriusque Siciliae’, il
territorio dell´antico stato che era stato normanno e
svevo e insediandone la capitale nella città campana.
E Brindisi era signoreggiata dal principe di Taranto,
Giovanni Antonio Orsini Del Balzo, il quale con
l´ascesa al trono dell´aragonese Alfonso I aveva
acquistato ancor più prestigio e potere, essendo
stato uno dei più entusiasti ed effettivi sostenitori
del nuovo sovrano in lotta contro l´ultimo re
angioino.
Preoccupato il principe Orsini dalla potenza in
franca ascesa dei Veneziani ed ossessionato, con una
qualche ragione, dall´idea che quelli potessero dal
mare impadronirsi con facilità Brindisi, per
impedirlo maturò ed attuò nel 1449 uno
stratagemma strano quanto malaugurato che alla
fine doveva rivelarsi funesto in estremo per Brindisi:
«... Là dove l´imboccatura del canale era attraversata
da una catena assicurata lateralmente alle torrette
site sulle due sponde, fa affondare un bastimento
carico di pietre, ed ottura siffattamente il canale da
permetterne il passaggio solo alle piccole barche.
Non l´avesse mai fatto! Di qui l´interramento del
porto, causa grave della malaria e della mortalità
negli abitanti. Meglio forse, e senza forse, sarebbe
stato se alcuno dei temuti occupatori si fosse
impadronito di Brindisi, prima che il principe avesse
potuto mandare ad effetto il malaugurato disegno.
Fu facile e poco costoso sommergere un bastimento
carico di pietre e i posteri solo conobbero la fatica e
il denaro che abbisognò per estrarlo e render libero
nuovamente il canale. Più dannosa ai cittadini fu
questa precauzione del principe, che temeva di
perdere un brano del suo stato, che non tutte le
antecedenti e seguenti devastazioni. L´opera
inconsulta del principe fu naturalmente malveduta
dalla città, la quale prevedeva le tristi conseguenze.
Ma il fatto era compiuto...» “Ferrando Ascoli, 1866”.
A parte questo ‘dettaglio’, Brindisi sotto il principe
di Taranto ed il re Alfonso I, godette di un po’ d´anni
di tranquillità e persino di risveglio, anche se pur
sempre molto lontana dall´antico e meno antico
splendore. Tra le importanti città salentine non era
certo l´ultima, neanche per popolazione che intorno
al 1450 aveva raggiunto tremila fuochi, più di 15000
abitanti. Ma una tremenda sventura sovrastava:
Sullo scorcio di dicembre del 1456, il 5, un terribile
terremoto interessò gran parte del Regno di Napoli,
e Brindisi fu tra le città più colpite “...e la rovina
coperse e seppellí quasi tutti i suoi concittadini e
resto totalmente disabitata... e al terremoto seguì la
peste, la quale invase la città e troncò la vita a quel
piccolo numero di cittadini ch´erano sopravvissuti al
primo flagello... ”.
Il 27 giugno del 1458 morì in Napoli il re Alfonso I e
gli succedette il figlio, illegittimo ma poi legittimato,
Ferrante, Ferdinando I di Napoli, che dovette
combattere vari nemici esterni e l´avversione di
molti dei suoi baroni, primo tra tutti il principe
Orsini di Taranto che continuò a despotizzare su
Brindisi fino alla sua morte avvenuta, con giubilo dei
brindisini, nel 1463, forse ucciso da sicari del re.
I Brindisini accolsero con grande entusiasmo il re
Ferrante, Ferdinando I, il quale in gratitudine volle
occuparsi del bene della sventurata città, e con
decreto regio del 10 marzo del 1465 gli proferì
importantissimi privilegi, grazie ai quali Brindisi
poté in breve tempo, riedificarsi e ripopolarsi.
Con la rovinosa sconfitta subita dai Veneziani a
Negroponte il 12 luglio del 1470, ad opera dei Turchi
di Maometto II già insediatosi a Costantinopoli, le
coste adriatiche del Regno di Napoli divennero
insicure e Ferrante dispose la fortificazione di
Brindisi, incaricandola al figlio Alfonso, mediante il
completamento della cinta muraria su tutto il fronte
del mare e prevedendo, dirimpetto all´imboccatura
del porto interno dalla parte di levante, la presenza
di una grande porta, intitolata da Alfonso in onore a
suo padre il re Ferrante, ‘Porta Reale’.
Brindisi Aragonese
1442 – 1496
PARTE II
SCHEGGE DI STORIA BRINDISINA…
… dalle Sconfinate Pagine del Web
di Gianfranco Perri
Nel 1480, Maometto II, il turco giá padrone di
Costantinopoli, decise conquistare Brindisi ed inviò
una potente flotta al comando di Akmet-Giedik, ma
le sfavorevoli condizioni del mare impedirono di
raggiungere Brindisi e la flotta fu spinta a Sud. Così,
il 28 luglio del 1480 Otranto fu attaccata e dopo due
settimane di assedio fu sopraffatta nonostante
l´eroicità della difesa: gli abitanti morti in battaglia, o
martirizzati, o schiavizzati. Otranto rimase in mano
ai Turchi per un anno esatto, fino a quando, dopo la
morte di Maometto II e dopo lungo assedio postogli
da Alfonso, ai Turchi fu permesso di ritirarsi.
Ferrante morì il 25 gennaio del 1494 e sul trono gli
successe il figlio Alfonso II, che peró presto abdicó in
favore del proprio figlio Ferdinando II, detto
Ferrantino, nell´intento di evitare l´invasione del
regno da parte di Carlo VIII di Francia, il quale
pretendeva la successione come erede degli
Angioini. Ma la mossa non sortì gli effetti sperati e
anche Ferdinando II, seguendo le orme del padre
Alfonso II, dovette fuggire nello stesso 1495 in Sicilia
da dove, appoggiato da Venezia, mantenne una
guerra di guerriglia, capeggiata da Federico I fratello
minore di Alfonso II, contro i Francesi.
Quello stesso anno 1481, Brindisi fu fatta
ulteriormente fortificare da Ferrante, re Ferdinando
I, ordinando al figlio Alfonso la costruzione di una
prima fortezza a forma di torre quadrata sulla punta
piú occidentale dell´isola di Sant´Andrea, all´ingresso
del porto, e che i Turchi denominarono Castello
Rosso dal colore che a certe ore sembrava assumere
la pietra di carpano con cui era stata fabbricata: era
sorto il Castello Alfonsino, detto anche Aragonese.
In quella dura e
crudele guerra,
Brindisi
si
schierò sempre
al fianco degli
Aragonesi,
a
differenza
di
molte altre città
salentine, tra le
quali Lecce e
soprattutto
Taranto,
che
furono invece
partigiane
francesi. Ed in
riconoscimento
di ciò, il re
Ferdinando II fece anche coniare una moneta con
incisa la frase ‘fidelitas brundusina’ e con sul
rovescio lo stemma della città con le due colonne.
Poi nel 1483 furono invece i Veneziani che tentarono
la conquista di Brindisi allestendo una flotta al
comando di Giacomo Marcello, il quale penso bene
non attaccarla dal mare e sbarcò a Guaceto da dove
inizio la marcia di conquista su Brindisi.
Ma Pompeo Azzolino, nobile e coraggioso brindisino,
organizzò un gruppo di cittadini ed uscì all´incontro
di Marcello, affrontandolo e sconfiggendone le
truppe fino a rigettarlo in mare. Al rientro in città
Azzolino fu accolto trionfalmente dai suoi
concittadini che disposero sulla facciata del suo
palazzo, di rimpetto al mare sul corno destro nelle
Sciabiche, una tavola di marmo a memoria del fatto.
Alfonso proseguì le opere di fortificazione di Brindisi
e nel 1485 munì di un grande antemurale la torre già
costruita sull´isola di Sant´Andrea trasformandola in
castello, e nel 1492 fece praticare un largo fosso per
tagliare l´isola affinché il mare, passando per questo,
circondasse il castello da ogni parte. E il re Ferrante
fece rinforzare anche il Castello di terra, facendo
erigere sulla sponda esterna del fosso un altro muro
di cinta e agli angoli fece costruire quattro baluardi
rotondi. Poi fece coprire il fosso con una solida volta
così da ricavare una strada interna protetta e
sormontata da rifugi interrati, e finalmente fece
spianare dentro del forte una piazza vuota di sotto,
per poterla minare in caso di necessità.
Finalmente gli Aragonesi conservarono il regno, ma
divennero ‘debitori’ di Venezia alla quale avevano
dato in pegno e a garanzia di quanto ricevuto, il
possesso delle città di Trani Otranto e Brindisi, che
passarono infatti ai Veneziani: il 30 di marzo 1496
nel Duomo di Brindisi si formalizzò la consegna tra
Priamo Contareno, rappresentante del Doge di
Venezia Agostino Barbarigo, e il notaio Geronimo De
Imprignatis, inviato del re di Napoli.
Il re di Napoli e di Sicilia, Ferdinando II d´Aragona,
con una lettera volle spiegare ai Brindisini le ragioni
e la supposta temporalità di quella cessione e poi, in
segno della sua elevata considerazione verso la città,
fece battere una moneta con incisa la frase ‘fidelitas
brundusina’ e con sul rovescio l´effige di San
Teodoro in uniforme di soldato con sullo scudo lo
stemma cittadino delle due colonne.
Brindisi Veneziana
1496 – 1509
SCHEGGE DI STORIA BRINDISINA…
… dalle Sconfinate Pagine del Web
di Gianfranco Perri
Nonostante la diffidenza e anzi l´aperto malcontento
che caratterizzò l´animo dei Brindisini a fronte della
cessione della propria città ai Veneziani, stipulata da
parte dell´aragonese re di Napoli nel 1496, la nuova
situazione doveva rivelarsi alquanto positiva: il Doge
Agostino Barbarigo non solo confermò tutti i
privilegi concessi a Brindisi dai governanti
aragonesi, ma addirittura ne aggiunse altri
importanti, fra cui quello che le galere veneziane,
dovendo passare nei paraggi di Brindisi, dovessero
entrare in porto e rimanervi per tre giorni.
I Brindisini esternarono presto la loro soddisfazione
e Venezia da parte sua seppe premiarli di
conseguenza, ed in breve tempo crebbe
notevolmente il rispetto reciproco e la simpatia tra i
Brindisini e i Veneziani. E Brindisi conobbe anni di
benessere e di espansione dei propri commerci,
traffici e industrie.
Però l´11 novembre del 1500 si stipulò in Granada
un accordo tra il re di Spagna Ferdinando il
Cattolico, marito di Isabella di Castilla, e il re di
Francia Luigi XII, per spartirsi il Regno di Napoli di
Federico I, succeduto a suo nipote Ferdinando II
morto prematuramente nel 1496. L´accordo
prevedeva la Campania e gli Abruzzi per il re di
Francia, e la Calabria e la Puglia per il re di Spagna.
Poi l´accordo sfociò in guerra aperta tra Spagna e
Francia, proprio sulla disputa per il Tavoliere delle
Puglie, alla fine della quale, nel 1507, gli Spagnoli
ebbero la meglio e Ferdinando il Cattolico divenne il
nuovo padrone del Regno di Napoli, la cui
investitura ebbe dal papa Giulio II.
E fu nel pieno di questa guerra che
ebbe luogo il 13 febbraio del 1503
la famosa Disfida di Barletta tra i 13
cavalieri
italiani
filo-spagnoli
capitanati da Ettore Fieramosca e i
13 cavalieri francesi capitanati da
Charles de Torgues: il duello fu
vinto dai cavalieri italiani.
Venezia rimase neutrale in quella
guerra, anche perché occupata a
lottare contro i Turchi, e dei benefici
di quella neutralità poté usufruire
anche Brindisi. Però, la prosperità
goduta dalla città sotto il dominio
veneziano, finalmente duró poco.
Venezia fu infatti attaccata da una Lega di
innumerevoli nemici coordinati dal papa Giulio II e
liderizzati dall´imperatore Massimiliano d´Austria
ed alla fine dovette soccombere, e per salvare il
salvabile sacrificò parte dei propri possedimenti,
specificamente quelli che erano reclamati dal papa e
dagli Spagnoli.
Nel 1509 Brindisi venne consegnata agli Spagnoli
dai Veneziani che ne avevano tenuto il possesso
durante tredici anni. Il marchese Della Palude prese
in consegna la città e le sue due fortezze, cioè il
castello di terra e quello di mare, in nome di
Ferdinando il Cattolico, l´aragonese re di Spagna.
Anche questa volta nonostante le preoccupazioni dei
Brindisini, il cambio di governo risultò inizialmente
accettabile: gli Spagnoli da conquistatori del regno, e
ci sarebbero rimasti duecento anni, ratificarono i
privilegi di Brindisi e ne concessero di nuovi, il re
Ferdinando concesse un indulto generale ed il viceré
di Napoli, il conte di Ripacursia, permise che il porto
di Brindisi fosse aperto alla bandiera turca, per così
fomentarne ancor più i commerci.
Il 15 gennaio 1516 morì Ferdinando il Cattolico e gli
succedette il nipote Carlo d´Asburgo, figlio di sua
figlia Giovanna la Pazza e di Filippo il Bello arciduca
d´Austria e figlio dell´imperatore Massimiliano. Così
nel 1519 Carlo, morti tutti gli antecessori, i nonni
Ferdinando e Massimiliano, congiunse a soli 19 anni
le corone dell´impero e degli stati austriaci e
spagnoli. E nel 1520 nella cattedrale di Aquisgrana
fu incoronato imperatore del Sacro Romano Impero
con il nome di Carlo V.
Brindisi
Spagnola
1509 - (1529) - 1713
SCHEGGE DI STORIA BRINDISINA…
… dalle Sconfinate Pagine del Web
di Gianfranco Perri
Nel 1503 la corona di Spagna istituì nel Regno di
Napoli un vicereame che restò possedimento diretto
dei sovrani iberici fino al 1713, mantenendo in
Napoli il viceré e tutti gli organi amministrativi più
importanti, e avvicendando nelle varie province del
regno governatori e capitani di guarnigione sempre
spagnoli. La nuova struttura amministrativa, benché
fortemente centralizzata, si basò su un sistema
feudale in cui i baroni ebbero rafforzata la propria
autorità e i privilegi fondiari, ed il clero vide
accrescere il proprio potere
politico temporale e spirituale.
Nel 1509 Brindisi fu ceduta alla
Spagna dai Veneziani e quando nel
1516 Carlo V successe sul trono di
Spagna a suo nonno Ferdinando il
Cattolico, tra le prime iniziative di
re di Napoli fece ispezionare le
difese delle cittá costiere, e a
Brindisi inviò l´architetto militare
Ferdinando de Alarcón il quale
osservò come fossero insufficienti
a garantire la difesa da terra, per
cui si dispose a far realizzare varie
strutture, restando a Brindisi in
qualità di castellano generale della
città fino alla sua morte nel 1549.
Inizio la costruzione del bastione di San Giorgio e
ristrutturó ed ampliò quello di San Giacomo. Poi,
adiacente a Porta Mesagne costruita nel 1243 ai
tempi dello svevo Federico II, inizió a edificare un
bastione su cui vi é ancora inciso su pietra lo
stemma reale di Carlo V al quale restó intitolato quel
bastione. Inoltre potenziò Porta Lecce, che era stata
fatta costruire da Ferdinando d´Aragona nel 1467, e
anche su di essa collocò lo stemma di Carlo V
affiancandolo al suo e a quello della città di Brindisi,
e completandola con cortine murarie laterali.
E di nuovo giunse la peste a Brindisi, nel mese di
luglio del 1526, di certo introdotta e favorita dalle
tante truppe che vi si avvicendavano di continuo,
transitandovi e soggiornandovi in condizioni
igieniche del tutto deprecabili. L´unica reale misura
decretata per contrastarla fu l´erezione di un tempio
a San Rocco, poi ribattezzato con il titolo di Santa
Maria del Carmine e affiancato dal monastero dei
padri Carmelitani, sulla via d´entrata alla città da
Porta Mesagne, e che diede il nome a via Carmine.
Ad agosto del 1528 la città, attaccata dal generale
romano Simone Tebaldo al comando di 16000
soldati, tra Francesi Veneziani e Romani, fu costretta
ad arrendersi e, quando Tebaldo fu fortunosamente
abbattuto da un proiettile, fu saccheggiata dalle
soldatesche allo sbando che poi si ritirarono.
Il 20 novembre 1528, una delle due colonne romane
che avevano sfidato per secoli le intemperie dei
tempi, cadde senza apparente ragione:
«... il pezzo supremo resto sopra l´infimo, mentre
quelli compresi fra la base e il capitello, caddero a
terra. Nessuna disgrazia successe, i pezzi caduti
furono poi portati a Lecce ed il pezzo supremo
vedesi ancora al giorno d´oggi con meraviglia
rimanere attraversato sull´infimo...».
Guerre, pestilenze, saccheggi, stragi e quant´altro
avevano ridotto per quegli anni il Regno di Napoli,
come del resto quasi tutta l´Italia, a miserrime
condizioni nelle quali le popolazioni patirono a
lungo il supplizio delle soldatesche feroci e
licenziose, fino a quando giunse l´anelata pace con il
trattato di Cambrai del 5 agosto 1529, con il quale la
Spagna del trentenne imperatore Carlo V estese a
tutto il Regno di Napoli il suo dominio.
Fra le condizioni della pace si incluse che Carlo V
avesse il diritto di nominare nel regno 18 vescovi e 7
arcivescovi, tra i quali quello di Brindisi. E da quel
momento la chiesa brindisina, che fino ad allora era
appartenuta ai pontefici, divenne regia, garantendo
al regno, con la nomina di prelati spagnoli,
l´affidabilitá di una città strategicamente importante.
SCHEGGE DI STORIA BRINDISINA ...
... dalle Cronache dei Sindaci di Brindisi
ccc ccccccccccc
Ho sfogliato il libro della CRONACA DEI SINDACI DI BRINDISI 1787-1860 di
Rosario Jurlaro, che mi é stato gentilmente regalato in una delle mie recenti
visite a Brindisi dall`amico Giuseppe Silvio Rubini Neritene. É un malloppo di
650 pagine al netto di introduzione, bibliografia, indici etc.
É certo un po’ pesante da leggere, ma definitivamente interessante, visto che
tratta dai fatti spiccioli della compra vendita di qualche lotto di terreno o
della costituzione di una qualche banda municipale a quelli trascendenti come
ad esempio i successi del 1860 con l´annessione al Regno d´Italia. Questo
volume é il secondo delle Cronache dei Sindaci, il primo invece abbraccia gli
anni precedenti, dal 1529 al 1787, editato da Jurlaro, é di Pietro Cagnes e
Nicola Scalese.
Mentre a notte inoltrata sfogliavo questo bel mattone, mi é sorta l´idea di
poterne fare materia prima dalla quale magari estrarre una nuova rubrica
settimanale, in sostituzione di quella dello scorso anno dedicata a
commentare le foto del gruppo Brindisini la mia gente. Ne ho parlato con
Gianmarco, il mio amico e direttore di Senzacolonne, il quale con la sua
consueta gentilezza e disponibilità ha subito mostrato entusiasmo per la mia
proposta. E così, detto fatto, ecco qui avviata la rubrica.
Ogni volta racconterò un qualche episodio o momento brindisino scritto nei
libri delle Cronache, che mi risulti poter essere di particolare interesse per i
lettori di Senzacolonne, selezionandolo alternamente tra quelli più
significativi appartenenti alla ‘storia maiuscola’ e quelli più spiccioli e
quotidiani appartenenti alla ‘storia minuscola’ della città.
Con i vari numeri della rubrica andrò sequenzialmente a ritroso nel tempo,
partendo cioè dalla fine del 1860, con l´annessione di Brindisi al nuovo Regno
e proseguendo all´indietro, con la prima metà dell´800, poi con il ´700, poi con
il ´600 ed infine con il ´500.
Qui di seguito però la sequenza é riportata in stretto ordine cronologico:
dal 1529 al 1860.
1529 - 1559
Brindisi da Carlo V a Filippo II
SCHEGGE DI STORIA BRINDISINA ...
... dalle Cronache dei Sindaci di Brindisi
ccc cccccccccc c
di Gianfranco Perri
Con l`anno 1529 inizia formalmente la "Cronaca dei
Sindaci di Brindisi I" di Pietro Cagnes e Nicola
Scalese, raccolta integrata e pubblicata da Rosario
Jurlaro: “...e verso la fine di quell´anno, dopo la peste
nel 1526, dopo il crollo della colonna romana nel
1528 e dopo l´assalto e il saccheggio nel 1529,
Brindisi era giunta allo stremo e la sua popolazione
si era ridotta a meno di 400 fuochi, circa 2000
abitanti, un minimo mai più toccato...”
Nel 1529 era sindaco di Brindisi
Giacomo De Napoli e nello stesso
anno
gli
seguì
nell´incarico
Domenico Casignano. L´arcivescovo
di Brindisi era Girolamo Aleandro, il
governatore della provincia di Terra
d´Otranto era Ferdinando Loffredo, il
viceré a Napoli era Filiberto di
Chalon principe d´Orange, e il re di
Napoli, di Spagna, etc. era
l´imperatore Carlo V. Il castellano
generale della città era Fernando de
Alarcón e il suo vice Giovanni
Glianes. Il mastro portolano e
doganiere maggiore era Giovanni
Michele Salvatori.
In quel 1529, a Brindisi vennero
restituiti tutti i privilegi che nel
passato erano stati concessi da
Ferdinando I d´Aragona e Ferdinando II il Cattolico,
e che erano stati revocati dal commissario Girolamo
Morrone a causa dell´atteggiamento cittadino,
erroneamente valutato come ostile all´imperatore,
nell´invasione subita da Veneziani e Francesi.
Il 4 marzo 1533 fu battezzato a Brindisi Ferrante
Fornari, figlio di Lucio e Orsola del Bo, il brindisino
Ferrante sarà poi reggente della regia cancelleria e
del consiglio collaterale del regno. Nel 1536 Carlo V
inviò a Brindisi una colonia di greci Coronei che
tenne in uso la liturgia greca nella città fino al 1680,
e nei primi decenni fu il loro sacerdote, Antonio
Pirgo, che nella Cattedrale celebrò con il rito greco
vari battesimi di bambini coronei, e non solo.
Nel 1539 fu comandato dall´imperatore «... che si
discacciano dalla città gli ebrei, parendo che colle
loro usure divorassero le sostanze de popoli e
seminassero con l´esempio l´empietà loro. Pure
alcuni di loro restarono in Brindisi nella cristiana e
in buono et onorevol stato ...».
Nel 1541 fu restaurata la Fontana Tancredi e nel
1544 fu rafforzata la guarnigione militare «azocché
la città non sia offesa de la armata turchesa qual se
ritrova in le acque de Sicilia ...». Per il 1545 la
popolazione di Brindisi si era decisamente ristabilita
raggiungendo i 1206 fuochi, più di 6000 abitanti.
Tra il 1554 ed il 1556 Carlo V decise di ritirarsi
gradualmente, lasciando il titolo imperiale con gli
stati austriaci al fratello Ferdinando e il trono di
Spagna con quello di Napoli e
la Sicilia al figlio Filippo II, il
quale governo per più di
quarant´anni.
Nuovo viceré a Napoli fu
Ferdinando di Toledo duca
d´Alba e a Brindisi, dal 1558
al 1562 fu sindaco Giovanni
Maria Stefanio, per ben
quattro anni a causa dei litigi
che per la sua successione
sorsero tra gli elettori, i
gentil´uomini o nobili e i
nobili viventi più popolari, e
la questione della successione
si protrasse fino alla morte di
Stefanio, sopravvenuta nell´
agosto del 1562.
Il 22 luglio 1559 fu battezzato, da Don Giovanni
Sguri, Giulio Cesare Russo, figlio di Guglielmo e di
Elisabetta Marsella: Giulio Cesare si fece francescano
con il nome di Frate Lorenzo da Brindisi e fu
beatificato da Pio IV nel 1783, fu canonizzato da
Leone XIII nel 1881 e fu proclamato ‘doctor
apostolicus’ da Giovanni XXIII nel 1959.
L´8 novembre 1559 entró in funzione il nuovo
ospedale di Brindisi intitolato a Santa Maria della
Pietà «... in area et planicie archiepiscopalis maioris
ecclesie» mentre il vecchio, vicino alla chiesa di San
Giacomo presso il porto, era giá in disuso da anni.
E nel 1560 nacque a Brindisi Giovanni Maria
Moricino, medico e filosofo, autore di una
monumentale storia di Brindisi il cui manoscritto
intitolato “Antiquità e vicissitudini della città di
Brindisi dalla di lei origine sino all'anno 1604” fu poi
plagiato e pubblicato da Andrea Della Monica in
Lecce nel 1674 sotto il titolo “Memoria historica
dell´antichissima e fedelissima città di Brindisi”.
1559: si inizia a costruire
Forte a mare
SCHEGGE DI STORIA BRINDISINA ...
... dalle Cronache dei Sindaci di Brindisi
ccc cccccccccc c
di Gianfranco Perri
Come diretta conseguenza del rinnovato timore di
nuove scorrerie e saccheggi da parte dei Turchi,
sotto i primi anni del nuovo sovrano re di Spagna e
di Napoli, Felipe II, si cominciò a costruire il forte
dell´isola “Forte a mare” contiguo al Castello
Alfonsino. I lavori iniziarono tra il 1558 e il 1559.
«... Pareva, et era vero, alli gegnieri reali, che in
quell´isula oltre il castello restasse voto fuori tanto
spazio del riamanente scoglio, e che in esso
potevano l´inimici aver larga piazza da formarvi
alloggiamenti e batterie, come nella guerra di
Lautrech s´era per esperienza visto ...».
L´isola di Sant´Andrea andava allargandosi man
mano a che s´inoltrava a maestro, e così la nuova
fortezza assunse quasi la forma di un triangolo
isoscele il cui vertice era sull´antico castello. Sugli
angoli di base, di cui l´uno mira a settentrione e
l´altro mira a mezzogiorno, fu eretto un fortissimo
del castello e trasformandolo in una darsena di
collegamento tra le due strutture, per poter cosí
impedire al nemico che avesse eventualmente
conquistato una fortezza di passare facilmente
sull´altra. Forte e castello furono per un po’ uniti da
un ponte di pietra che scavalcava il fossato;
successivamente peró quel ponte fu sostituito con
uno levatoio di legno per poter piú facilmente
isolare le due strutture in caso di necessità.
I lavori durarono in tutto 46 anni, a causa delle varie
difficoltà tecniche e dell´indisponibilità dei materiali,
ma anche a causa delle molteplici modifiche ed
aggiunte al progetto iniziale, una delle quali fu il
taglio praticato nel 1598, trasversale all´isola nel
punto in cui finiva la nuova fortezza, verso maestro,
con l´intenzione d´isolarla completamente creando
un canale tra il porto esterno ed il mare Adriatico
aperto.
Forte a mare e Castello Alfonsino
-mappa spagnola del 1739-
cavaliere con terrapieno e con larga piazza al di
sopra. E in ognuna delle due cortine che dalla
fortezza vecchia si distendono lateralmente fino agli
angoli alla base, furono fatti due baluardi, e dalla
parte interna delle mura furono fabbricate grandi e
comode caserme adatte per alloggio di soldati e
ricoperte da solida volta ridotta a strada utile per il
passaggio delle artiglierie.
Si convenne poi di lasciare le due fortezze disunite,
ingrandendo e approfondendo il fosso già praticato
da Alfonso d´Aragona al momento della costruzione
1558... si inizia a costruire
Forte a mare
SCHEGGE DI STORIA BRINDISINA ...
... dalle Cronache dei Sindaci di Brindisi
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1566: arrivano a Brindisi
i Padri Cappuccini
SCHEGGE DI STORIA BRINDISINA ...
... dalle Cronache dei Sindaci di Brindisi
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di Gianfranco Perri
Sul finire di novembre del 1560 morì l´arcivescovo
Francesco Aleandro e gli successe Gian Carlo Bovio,
che era nato a Brindisi nel 1522 da un nobile
bolognese e una nobile brindisina, Giulia Romano.
Bovio nel 1566 chiamò a Brindisi i padri Cappuccini
e gli fece edificare, in terreno localizzato tra i
torrioni di San Giacomo e San Giorgio, il monastero
con una chiesa intitolata all´Annunziata, poi
chiamata dell´Addolorata o della Pietà.
«... A di 19 novembre, giorno di martedì, 1596, ad
ore 18 fu ammazzato don Daniele Coci, arcidiacono e
vicario capitolare, per averlo trovato Luca Ernandez
in casa di Giovanni Tafuro con sua sorella, moglie di
detto Giovanni, dove detto Luca fu pigliato carcerato
dai soldati della compagnia spagnola e portato in
Lecce e dopo in Napoli... ».
Il 13 settembre 1598 morì in Spagna il re Filippo II, e
gli successe il figlio Flippo III.
Ma dopo pochi anni, nel 1577,
insoddisfatti cedettero tutto ai
frati Minori e costruirono un
nuovo monastero fuori le mura
con annessa la chiesa, dei
Cappuccini
appunto,
e
apparentemente edificando un
suolo appartenuto all´antico
anfiteatro romano, a quel tempo
già in buona parte distrutto. Poi,
nel 1568, lo stesso Bovio
concesse ai frati Minori di San
Francesco di Paola la chiesa di
Santa Maria del Casale, e lì vi
edificarono un monastero.
Nel 1569 fu costruita la Torre
Testa, d´accordo al piano di
rafforzamento
delle
difese
costiere che previde costruire
sul litorale brindisino anche le torri Penna nel 1570,
e poi Mattarelle e Guaceto, che affiancarono tutte la
preesistente, Torre Cavallo.
Il successore di Bovio, l´arcivescovo Bernardino di
Figueroa, nobile spagnolo, nel 1571 istituì un
convento di vergini cappuccine sotto la regola di
Santa Chiara ed a sue spese eresse il loro monastero
nei pressi della Cattedrale.
Nel 1576 il prestigioso letterato brindisino Lucio
Scarano, che era nato nel 1540, fu nominato priore
dell´Università dei filosofi di Bologna e fu poi tra i
fondatori dell´Accademia veneziana.
Il 4 novembre del 1585 vi fu a Brindisi un
grandissimo diluvio e molte persone annegarono, e
il 6 gennaio 1587 vi fu una grandissima nevicata,
misurandosi 9 palmi di neve depositata.
Nel 1592 si stampò a Venezia “Il martirio di San
Teodoro”, una rappresentazione sacra in rima,
composta dal poeta brindisino Antonio Monetta.
«... Giovanni Battista Monticelli di Brindisi, che aveva
combattuto con propria compagnia a Lepanto nel
1570 ed in altri tempi in altre battaglie al servizio
del re, ottiene per la sua famiglia e per sé la patente
di nobiltà, nonostante l´opposizione dei nobili
brindisini Sebastiano Del Balzo e Teodoro Pando che
dicevano il padre suo, Pietro, fosse stato maestro
d´ascia povero e vile...». «... E il 26 maggio del 1600, il
brindisino Pasquale Villanova fa pubblica promessa
di non giuocare ai dadi né ad altro giuoco, sotto pena
di far eseguire per la chiesa del Carmine un quadro
del valore di venticinque ducati...».
L´11 gennaio 1601 fu battezzata in Brindisi Camilla
“exposita cuius parentes ignorantur” e il 16 fu
battezzato Francesco “naturalis filius universitatis”.
E molti altri battesimi di “espositi” si registrarono in
Brindisi durante quei primi anni ed anche nei
successivi del nuovo secolo XVII... un fenomeno
legato agli arrivi ed avvicendamenti in Brindisi di
nuove compagnie di soldati spagnoli.
Il governatore Aloysio de Torres
e la sua famosa fontana del 1618
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... dalle Cronache dei Sindaci di Brindisi
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di Gianfranco Perri
Nel 1618 a Brindisi, il governatore spagnolo -fu un
buon governatore- era il capitano Pedro Aloysio De
Torres, e la città si era relativamente ripopolata
raggiungendo i 10000 abitanti, un limite che non era
destinato a mantenersi troppo a lungo e che dopo un
nuovo e pronunciato decadimento sarebbe ritornato
solo sul finire della vita dello stato
napoletano, nel 1860.
Poi da lì, si provvide a stabilire una tubatura
sotterranea che portò l´acqua alla marina al disotto
delle colonne, dove dalle bocche di due teste di
cavallo sgorgava copiosamente per andare a
confondersi colla vicina acqua del mare.
Nonostante i dintorni della città
sovrabbondassero d´acqua potabile, in
città scarseggiava non poco, e i cittadini
per rifornirsene giornalmente erano
costretti a trasportarsela da fuori le mura.
Aloysio De Torres decise di affrontare il
grave problema, responsabile di frequenti
epidemie, progettando un acquedotto che
fece realizzare con il contributo
monetario dei cittadini abbienti.
Una prima fontana in città fu creata più o
meno a metà camino tra il bastione di San
Giorgio, nelle cui vicinanze c´era l´acqua, e
il porto, e da lì una tubatura trasporto
l´acqua fino alla piazza della plebe nel
mezzo della quale il governatore Aloysio
fece
fabbricare
una
fontana
monumentale:
«... Il luogo della caduta delle acque si fabbricò tutto
di marmi, e prima si sollevò una colonna che servì
per base d´una gran conca di bellissimo marmo, che
da quattro teste di cavalli lavorate di bronzo, gitta
abbondantissime acque, e doppo sin´alzó più su
un´altra colonna, benché più delicata della prima,
dalla quale scorressero l´acque nell´imediato vaso
grande predetto dalla bocca di quattro mezzi
cavalletti di bronzo col capitello vagamente lavorato,
e cinto d´una corona reale...».
Finalmente, il governatore fece scolpire sull´esterno
della grande vasca di marmo la seguente iscrizione:
“Petro Aloysio de Torres praetori; quod romano
emulatus, authoritate et industria sua; Philippi tertii
regis; et Petri Gironis ducis Osunae. Pro regis
auspiciis, ac civium labore et impensa, aquarum
ductus temporum et Mali Gulielmi injuria destructos
restituerit, atque repurgato funiculo veteri et
instaurato fornice novo ad struxerit, ac sinuoso
tractu per tubos, fistulas et salientes in urbe per
traxerit: ordo, populusque brundusinus parte
commoditatis et ornamenti memor et gratus post
annum salutis MDCXVIII”.
Nel 1621 morì il re Filippo III e gli succedette sul
trono di Spagna il figlio Filippo IV.
Il 18 settembre 1628 fu sepolto nella sua cappella
della chiesa di San Paolo, Giovanni Maria Moricino,
autore del manoscritto “Memoria historica della
città di Brindisi”. Egli fu medico e sindaco di Brindisi.
«A di 16 dicembre 1631, ad ore ventitré, piovette
cenere, sino a sei ore de notte, e alzò mezzo palmo».
San Lorenzo da Brindisi
1559 - 1619
Santa Maria degli Angeli
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... dalle Cronache dei Sindaci di Brindisi
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di Gianfranco Perri
Nel 1604 giunse alla sua città natale di Brindisi, Frà
Lorenzo Russo, generale dell´ordine dei Cappuccini,
uomo di singolare valore, dottrina e santità.
prezzo di tutte quattro le case insieme, e quanta sarà
la lunghezza e la larghezza di tutto il sitio, e che
spesa si può diudicare per fabbricarvi detta chiesa di
Santa Maria degli Angeli in forma di croce ...».
Fu quello della chiesa con l´annesso monastero per
le sorelle cappuccine, che essendo incrementato il
loro numero e la loro fama rimanevano ormai strette
nella sede originaria in piazza della Cattedrale, un
progetto che Frà Lorenzo perseguì fino alla sua
realizzazione. E così, disimpegnando la carica di
precettore spirituale di Massimiliano, duca di
Baviera, convinse il potente duca a farsi promotore
di quel progetto, tanto che nel 1609 il proprio duca
inviò dalla Baviera il progetto con importanti
finanziamenti, e se ne cominciò la costruzione.
La costruzione durò una decina d´anni ininterrotti,
con un risultato favoloso: un monastero splendido
ed una chiesa suntuosa «... havvi tuttora in questa
chiesa un Cristo in croce d´avorio, alto circa due
palmi, tutto d´un pezzo meno le due braccia
maestrevolmente congiunte al corpo ...».
Giulio Cesare Russo nacque a Brindisi il 22 luglio del
1559, da Guglielmo e Elisabetta Marella, ambedue di
famiglia onoratissima. Morto il padre fu mandato a
Venezia a convivere con lo zio Pietro fino a quando
fu a Verona ove indossò l´abito cappuccino il 24
marzo 1576 con il nome di Lorenzo.
Frà Lorenzo studiò filosofia, teologia e lingue morte
e viventi, imparando il latino, il boemo, il tedesco, lo
spagnolo, il francese, il greco e l´ebraico. Ebbe una
folgorante carriera ecclesiastica giungendo presto
alla carica di Generale dell´Ordine. Fu famoso in
tutta Europa e fu incaricato di rilevatissimi affari, di
chiesa e di principato, da tre pontefici e due
imperatori, dal re di Spagna e dal duca di Baviera.
Morì presso la corte del re Filippo III in Lisbona, in
data 22 luglio 1619, nel giorno del suo compleanno
numero sessanta.
Il 6 luglio 1607, stando a Brindisi, Frà Lorenzo
scrisse in una lettera per Giovanni Leonardo Ripa:
«... Io ho pensato che sarebbe bene pigliare quella
casa la quale sta congionta con quella di mia nipote
ed in più quella che sta congionta con il cortiglio ch´é
innanzi alla casa grande, per avere piazza più larga.
Mi farà grazia d´avvisarmi, se si potranno avere, e il
1647 a Brindisi prima che a Napoli
la rivolta dei quartieri marinari
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... dalle Cronache dei Sindaci di Brindisi
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di Gianfranco Perri
Intorno all´anno 1647 a Brindisi, ed in tutto il regno,
erano già trascorsi quasi cento cinquant´anni da
quando Carlo V aveva aggregato l´Italia meridionale
alla sua monarchia di Spagna, e la situazione
generale non poteva essere peggiore:
«Perduta la libertà, il domino spagnolo fu penetrante
e la corruzione e il pervertimento furono grandi.
L´abitudine al lavoro, disprezzata; i beni delle
famiglie destinati al primogenito con i cadetti
condannai alla impotenza ed esclusi dal matrimonio,
forzati se maschi al chiericato o alla milizia e se
femmine al chiostro.
dottor Ludovico Scolmafora, con tutti li mobili che
stavano dentro, ma il detto Ludovico scampò, come
ancora ammazzarono un giovine che si
addomandava mastro Carlo Della Verità, e lo
trascinorono dietro un cavallo per tutta la città, e
furono abbrugiate tutte le case dei Della Verità».
La corruzione passata dalle corti alla nobiltà e da
questa al popolo. L´ordine e l´economia scomparsi, il
fasto e il lusso imperavano. Si coltivava più
l´apparenza che la sostanza, in casa miseria e fame e
fuori grandezza e sfarzo. Il clero e la nobiltà
comandavano e tutti erano cavalieri, baroni,
marchesi, conti, eccellenze, illustri e chiari.
I terreni rimanevano incolti; le rendite cessarono; il
lusso e le imposte crescevano. I viceré non miravano
ad altro che a radunar danari, e delle entrate del
regno, due terzi passavano in Spagna per pagare i
soldati degli eserciti spagnoli. La giustizia era lenta,
la magistratura venale. La vita e le proprietà erano
poco sicure.
Il viceré Don Rodrigo Ponce de León, per fare fronte
a nuove spese di guerra, il 3 gennaio 1647 pubblico
un decreto stabilendo nuovi gravami e colpendo con
quelli nientemeno che la vendita della frutta,
principale alimento commercializzato nelle province
meridionali, specialmente durante l´estate. E così la
popolazione cominciò a mormorare il malcontento.
A Brindisi era sindaco il nobile Ferrante Glianes
quando, il 5 giugno 1647, scoppiò la rivolta:
«Il sindaco Glianes fu pigliato da casa sua, fu lapidato
dal popolo e fu portato carcerato in una casa sotto la
marina, dove lo trattennero tutto il giorno, e poi la
sera lo mandarono libero in sua casa, e il
capopopolo, o vero i capipopolo, furono Donato e
Teodoro Marinazzo, e levorono le gabelle, non
facendoli osservare come era solito. Il 5 del
successivo mese di agosto fu fatto sindaco dal
popolo il nobile Benedeto Leanza, mentre la
popolazione stava ancora sollevata e tumultuante,
avendo fatti molti danni, e morte d´alcuni, con
abbrugiare molte case, fra le quali vi fu il palazzo del
La rivolta delle Sciabiche brindisine aveva, anche se
di poco, preceduto quella ben più trascendente
napoletana comandata dal famoso Masaniello, che
mise a ferro e fuoco Napoli e pose in serio pericolo la
stabilità del regno intero, e che fu finalmente domata
nel sangue dalla corona spagnola nell´aprile del
1648, dopo quasi un anno e con non pochi sforzi.
E a Brindisi, il 3 settembre del 1648 «... essendo
sindaco Francesco Ronzana, venne un auditore
reale, cognominato Aras, accompagnato da
cinquecento persone armate, quali uniti con li nobili
diedero l´assalto al quartiere della marina, e furono
presi tutti i capipopolo con altri aderenti, e furono
portati a Lecce e poi a Napoli, e nel 1650 furono
sottoposti a giudizio. Quattro capipopolo furono
giustiziati, Donato e Teodoro Marinazzo, Gregorio
Adorante e Carlo D´Aprile alias Micoli. Marco
Scatigno s´avvelenò da se stesso dentro le carceri, e
Alessandro Lepre e Oratio Sinopo andarono in
galera, e molti altri se ne fuggirono».
1650–1700 a Brindisi
50 anni ‘mediocri’
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di Gianfranco Perri
Nei primi giorni di marzo del 1656 scoppiò una
terribile peste a Napoli, che ne risultò decimata. La
peste durò circa otto mesi e tutte le province del
regno furono presto infettate, meno quella di
Calabria e quella di Terra d´Otranto.
Brindisi e tutta la provincia “… per l´intercessione di
Sant´Oronzo ed altri santi protettori fu liberata da
detto contagio”. E così Carlo Stea, che
per quell´epoca era sindaco di Brindisi,
“... offerse li pezzi della colonna romana
cascati cento anni prima, alla città di
Lecce per erigerla, e si ponghi sopra la
statua di Sant´Oronzo”.
Il sindaco seguente, Giovanni Antonio
Cuggió, mai acconsentì. Il seguente
sindaco, Carlo Monticelli Ripa, resto
sempre opposto e accordo inviare a
Napoli supplica al viceré Gaspar de
Bracamonte
di
annullare
la
disposizione già emanata di consegnare
i pezzi della colonna caduti alla città di
Lecce, ma non ci fu nessun risultato
positivo. Succedete il sindaco Andrea
Vavotico il quale, previo ordine di S.E.
consegnò a malincuore i sette pezzi
includendo il capitello: era giunto il
1660 ed i Leccesi impiegarono un anno
intero e continuo per trasportarli,
deteriorandone parte di essi e anche
rompendo il capitello.
Erano
quelli
anni
in
cui
spadroneggiavano in tutto il regno
banditi e briganti perseguitati da
esercito e polizia: il 31 marzo 1664,
essendo governatore
a Brindisi il
napoletano Onofrio Mormile, furono
giustiziati Martino Sumarano di
Martina e Donato Capasa di Brindisi
“pubblici ladri e scorridori di
campagna”.
L´arcivescovo di Brindisi era lo
spagnolo Francesco De Estrada, il quale
nel 1665 fondo il collegio delle Scuole
Pie nel restaurato convento dei padri
Celestini, un evento quello che doveva
poi rivelarsi molto importante per la
vita cultuale della città.
Ed in quello stesso anno, il 17 settembre, morì il re
Filippo IV e gli succedette il giovane figlio Carlo II,
sotto la reggenza della madre, Maria Anna d´Austria.
Il 13 agosto 1671, un paio di mesi prima della sua
morte, l´arcivescovo Francesco De Estrata benedisse
la chiesa della confraternita delle anime del
purgatorio, costruita a spese dei fedeli brindisini e
dedicata a San Sebastiano. E il 25 aprile 1672, i padri
di Santa Teresa fondarono la chiesa ed il
loro convento, nel quartiere che giá
allora si chiamava ‘degli Spagnoli’.
Erano quelli anche anni di continue
scorribande dei Turchi, nella più grave
della quale, il 5 agosto 1673, fu
saccheggiato Torchiarolo, con 4 paesani
morti e 84 fatti schiavi.
Il 10 ottobre 1676, i Turchi sbarcarono
tra Torre Penna e Torre Testa ed
assaltarono varie masserie spingendosi
fino alle porte del Casale. E a seguito di
ciò, si decise di completare la cortina
difensiva compresa fra il torrione
Inferno e Porta Mesagne.
Ed erano quelli anche tempi di carestie,
la più grave delle quali si verificò
nell´anno 1694, una carestia generale di
grano, di vino, d´orzo, di fave e di tante
altre sorti di cose commestibili.
E per colmo di sventura, l´8 settembre,
“…alle ore 18 circa, stando l´aria
ventosa, successe in questa città un
orrendo terremoto, che durò per spatio
di un credo posatamente recitato, con
aver tre volte una dopo l´altra scosso la
terra, e tremare le mura delli abitanti, e
il mare si scommosse più di mezz´ora
continua, con terrore e spavento di tutti
li cittadini. Per gratia di nostro Signore
Gesù Cristo, non successe danno
alcuno”. Né questo fu tutto: il seguente
29 settembre, si produsse un disastroso
incendio nel monastero di San
Benedetto che ne distrusse una buona
metà, obbligando le monache di
clausura ad uscire e a rifugiarsi nel
vicino monastero della chiesa di Santa
Maria degli Angeli.
1701-1713: a Brindisi
fine del governo spagnolo
transizione al governo austriaco
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Il primo novembre del 1700 morì il re di Spagna
Carlo II senza figli e lasciando come suo erede il
diciassettenne duca Filippo D'Angiò, nipote di sua
sorella Maria Teresa di Spagna e di suo marito, il re
di Francia Luigi XIV. Però anche Leopoldo I
d´Asburgo, imperatore del Sacro Romano Impero,
era cognato di Carlo II, perché marito di un´altra
sorella del re morto, e pertanto, anche suo nipote
l´arciduca Carlo d´Austria, avanzava quegli stessi
diritti successori.
E così, fu guerra: la guerra di successione spagnola,
che fu combattuta tra il 1701 e il 1713 e che vide
schierati da una parte la Francia, la Spagna, la
Baviera e l'arcivescovato di Colonia, mentre
dall´altra, l´Inghilterra, l´Austria e gli altri stati
tedeschi del Sacro Romano Impero.
Dopo più di dieci anni di guerra e dopo laboriose
trattative, il 13 luglio del 1713 fu firmato il trattato
di Utrecht, che sancí la fine della guerra di
successione spagnola e con il quale Filippo D´Angiò
venne riconosciuto legittimo re di Spagna con il
nome di Filippo V, e in cambio la Spagna dovette
cedere all´Austria vari suoi possedimenti europei tra
i quali il regno di Napoli, all´Inghilterra la rocca di
Gibilterra e al duca Vittorio Amedeo II di Savoia la
Sicilia con il relativo titolo regio.
Filippo V, che era di fatto un francese nato a
Versailles nel 1683 e che regno fino alla sua morte
nel 1746, fu il primo re di Spagna della dinastia dei
Borbon, Borbone in spagnolo, la
stessa che perdura fino ai nostri
giorni. E fu lui l´ultimo re di
Spagna a regnare su Napoli con i
suoi viceré, fino appunto al
1713, quando dopo poco più di
200 anni la Spagna cedette il
regno di Napoli all´Austria.
A Brindisi in quegli anni della
guerra di successione, quegli
avvenimenti
internazionali
ebbero in qualche misura la loro
ripercussione e costituirono di
fatto una specie di transizione
tra il vecchio, prolungato e
deteriorato dominio spagnolo
ed il nuovo dominio austriaco,
destinato invece ad avere una
vita breve.
Il 16 maggio dl 1701, a Brindisi si cominciò a
‘inchiancare’ la Piazza di basso, quella dove c´era la
famosa fontana De Torres, e i lavori si conclusero il
9 febbraio del 1706.
Nel mese di settembre del 1703 giunsero nel porto
di Brindisi quattro grosse galere napoletane, una era
la San Diego ed un´altra la San Giovanni Battista, ed
il 16 novembre di quello stesso anno, ben quattro
compagnie di dragoni soggiornarono in città per
alcuni giorni.
Il 20 luglio 1707 giunse a Brindisi la notizia che
l´esercito austriaco era entrato a Napoli e il
castellano del Castello di terra, senza aver ricevuto
alcun ordine o disposizione in merito, inalberò la
bandiera imperiale. Il castellano del Forte a mare
non fu invece dello stesso avviso e trascorsero giorni
di tensione che videro persino lo scambio di qualche
cannonata. Tutta la città finalmente si schierò con
l´impero e lo festeggiò sfrenatamente durante ben
otto giorni con manifestazioni festose d´ogni genere,
alle quali finalmente si associò anche il Forte a mare.
Il 21 aprile 1708 giunse a Brindisi con settanta
soldati ussari e tedeschi, il generale imperiale conte
di Caraffa, e per due giorni ispezionò i due castelli e
tutte le altre istallazioni militari. E il 23 e 24 di
giugno 1709 stazionarono nel porto di Brindisi
cinque galere e quattro vascelli di guerra maltesi.
E anche nel 1711 ci furono in città otto giorni di
feste e festeggiamenti popolari militari e clericali,
inneggianti questa volta
all´elezione a imperatore di
Carlo VI nella città di
Francoforte. E poi, per tutto
l´anno 1712, una gran peste
animale infestò tutte le
masserie facendo strage di
vacche e buoi.
Nel mese di dicembre 1713
giunsero in porto un totale
di
19
grosse
tartane
napoletane stracolme di
soldatesche con le loro
famiglie, e dopo un mese
salparono per Fiume da dove
avrebbero presto raggiunto
l´Ungheria per servire nell´
esercito imperiale.
Brindisi Austriaca
1713 – 1734
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Il 6 marzo 1714 si firmò il tratto di Rastadt, che
venne a complementare quello stipulato l´anno
precedente in Utrecht e a legittimare il definitivo
passaggio del regno di Napoli agli Austriaci. Carlo VI
d´Asburgo, imperatore del sacro romano impero e
kaiser d´Austria, assunse così anche il nuovo titolo di
re di Napoli, con il nome Carlo III, e nominò viceré il
conte Wirich Philipp von Daun.
Gli Austriaci, in veste di nuovi governati, giunsero
formalmente a Brindisi il 4 giugno 1715. Erano 150,
compresi capitano tenente ed ufficiali. Nei giorni
seguenti si stanziarono nel Forte a mare e nel
Castello di terra, sloggiando i soldati spagnoli e le
loro famiglie, in totale 800 persone delle quali 700
da Forte a mare e 100 dal Castello di terra.
L´antipatia che i brindisini avevano maturato per
quel momento verso gli Spagnoli era così grande che
nessuno volle prestarsi per il trasporto e lo sbarco
delle loro masserizie.
E quando, il 18 giugno, giunse in città il general
austriaco Valles e si rese nota la disposizione che
permetteva ai soldati spagnoli di porsi al servizio
dell´esercito austriaco, a patto che gli anziani
raggiungessero subito Napoli ed i giovani l´Ungheria,
solo pochi si arruolarono e moltissimi preferirono,
pur se in miseria, rimanere a Brindisi. Un mese dopo
però, una nuova disposizione austriaca reintegrò gli
artiglieri e gli ufficiali spagnoli ai loro posti nel
Castello di terra e nel Forte a mare.
Nell´anno 1716 l´arcidiocesi di Brindisi ebbe
finalmente, dopo otto anni di vacanza, un nuovo
arcivescovo, Paolo de Villana Perlas, il quale trovò
l´episcopio in stato d´abbandono e si apprestò al suo
ricondizionamento, con annessa costruzione del
Seminario, la cui prima pietra fu posata il 26 maggio
1720. Peccato che per la costruzione del Seminario
l´arcivescovo ordinò impiegare materiali estratti
dall´antichissimo tempio di San Leucio, che si
trovava in stato di deterioro, commettendo con ciò
un delitto irreparabile.
Nel 1720 ci fu una nuova guerra ordita da Filippo V
di Spagna che non si era rassegnato alla perdita di
tanti dei suoi possedimenti europei, ma ne ebbe la
peggio e con un nuovo trattato, di Cambrai, la Sicilia
fu assegnata a Carlo VI sottraendola a Amedeo di
Savoia il quale fu compensato con la Sardegna. Così
le Due Sicilie si riunirono sotto l´imperatore Carlo VI.
Agli inizi del 1729 una malattia epidemica cominció
ad attaccare i Brindisini e vi fu anche una grande
carestia, di denaro, di grano, di fave, di orzo e di
tutto, alla quale finalmente si pose parziale rimedio
mandando navi a comprare nei porti vicini. Ed il 25
aprile di quell´anno, all´una di notte, si sentì un
terribilissimo terremoto. E un altro altrettanto forte
ne fu registrato il 19 di marzo 1731, seguito da una
replica importante il giorno 21. Poi ne seguirono
molti altri: 8 luglio, 17 settembre e 18 novembre.
Molte edificazioni rimasero lesionate e la Cattedrale
fu seriamente danneggiata.
Il 23 luglio 1730 approdò una
tartana napolitana con l´ordine
d´imbarcare per Napoli tre
grossi cannoni del Castello di
terra con 500 loro palle. Uno si
chiamava ‘il veneziano’ di 59
libre di palla, l´altro si chiamava
‘il castrato’ di 55 libre, e il terzo
‘mezzo sagro’ di 11 libre di
palla. Ed in città si manifestò
grande dispiacere per quel
trasloco che fu considerato
essere indizio di abbandono da
parte del governo reale.
E la pace durata 10 anni era
scaduta: gli Spagnoli avevano
deciso di intraprendere la loro
rivincita sugli Austriaci.
1734: gli Spagnoli riconquistano Brindisi
ma sono i Borbonici del Regno di Napoli
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Nell´ambito della denominata guerra di successione
polacca, tra gli anni 1734 e 1735, la Spagna di
Filippo V di Borbone invase il regno di Napoli,
conquistandolo così alla dinastia borbonica. Carlo di
Borbone, figlio di Filippo V, fece il suo ingresso
trionfale a Napoli il 10 maggio 1734 ed il 15 Filippo
V proclamò l´indipendenza del Regno di Napoli,
nominando re suo figlio Carlo di Borbone. Quindi
una novità non certo da meno, il Regno di Napoli
diveniva autonomo, non più un possedimento
spagnolo o austriaco ma un regno con re proprio e
dinastia propria. In quello stesso anno Carlo di
Borbone, re di Napoli, invase anche la Sicilia
sconfiggendo gli Austriaci e intitolandosi quindi,
anche re di Sicilia.
A Brindisi, il 24 marzo 1733 era giunto l´ordine che i
soldati austriaci partissero per Barletta a
congiungersi con il grosso delle truppe tedesche
giunte da Fiume e dove l´anno seguente sarebbero
arrivati da Napoli, prima il feldmaresciallo Giovanni
Carafa e poi anche il viceré austriaco Giulio
Borromeo Visconti, il quale si spostò poi a Taranto, il
20 aprile 1734.
Il 22 aprile approdarono a Brindisi una nave, un
pinco e quattro tartane con 1500 soldati tedeschi, e
il giorno seguente giunsero in porto altri quattro
fregatoni carichi di altrettanti soldati.
Poi il 7 maggio, proveniente da Taranto, giunse a
Brindisi il viceré Visconti, con tutta la sua corte, i
suoi ministri, ufficiali, guardie e seguito al completo,
ed accompagnato anche dal marchese di Ottaviano,
viceré austriaco di Sicilia.
E dopo un soggiorno di otto giorni, il 15 maggio, tutti
partirono per Bari e da lì il viceré s´imbarcò
nottetempo per Trieste, mentre i soldati al suo
seguito si diressero a Bitonto dove si scontrarono
con l´esercito spagnolo rimanendone sconfitti.
Dopo Bari Taranto e Lecce, anche Brindisi, da ultima,
capitolo ai soldati spagnoli, ai quali finalmente si
arresero le guarnigioni tedesche del Castello di terra
e da ultime, dopo quasi tre mesi e per mancanza di
viveri, quelle del Forte a mare, il 10 settembre 1734.
Brindisi era cosí tornata in potere degli Spagnoli e il
ritratto del re Carlo di Borbone venne esposto al
Sedile e i festeggiamenti, ai quali tanto avvezza era la
città, si prolungarono per tre giorni interi ed
altrettante notti.
Quando Carlo prese le redini del governo, la giustizia
era lenta e arbitraria, la finanza malamente regolata,
il clericato straordinariamente numeroso e il
monacato eccessivamente ricco. La milizia
balordamente organizzata, i magistrati pochi e quei
pochi inetti, le imposte applicate a capriccio, i titoli
venduti, i soldati ingaggiati e i condannati e i
vagabondi arruolati. Immunità di ogni genere in
favore della chiesa, e niente strade, niente traffici,
niente commerci.
La politica iniziale del sovrano borbonico, re di
Napoli e re di Sicilia, fu all´insegna di riforme
orientate a modernizzare l´amministrazione e
l´erario dello stato e a favorire i commerci. In
particolare il re Carlo volle attuare interventi
tendenti a limitare il potere ecclesiastico e quello
baronale, e volle provvedere a incrementare la
sicurezza e la prosperità del regno.
La Mappa Spagnola di Brindisi
- 1739 - (circa ?)
SCHEGGE DI STORIA BRINDISINA…
… dalle Sconfinate Pagine del Web
di Gianfranco Perri
La famosa “Mappa Spagnola
di Brindisi” la si fa risalire al
1739 in base alla data che
oggi appare essere apposta
al piede della leggenda. Però
tale data, A.D. 1739, é scritta
con caratteri diversi dagli
altri, il ché farebbe pensare
ad una aggiunta, magari
legata alla data dell´episodio
riportato nella Cronaca dei
Sindaci di Brindisi:
«...al di 12 detto (marzo
1739), arrivo il maresciallo
don Andrea de los Coves
spagnuolo, con tre ingegneri,
e con due commissarij
d´artiglieria, e due volontari,
cioè un colonnello, e un
tenente colonnello; e detto
maresciallo era il primo
ingegnere del re, e questi pigliorono la pianta del
Forte, del Castello di terra, e di tutta la città, con
misurate tutte le strade della città, e mura...».
La mappa spagnola di metri 1,25 x 2,05 s´intitola
“Plano y Mapa En que se comprende la Ciudad de
Brindesi sus Castillos de mar y tierra, Puerto piccolo
y Grande con porción de los contornos de su
Campaña en la Provincia de Otranto“.
Fu tracciata con una penna d´inchiostro acquarello
su carta in parte filigranata, tra la fine del secolo
XVII e l´inizio del XVIII, quindi tra il periodo che
precedette la fine del vice regno spagnolo e quello
che vide l´inizio del regno dei Borbone a Napoli.
La mappa fu recuperata in extremis a Palermo da
Domenico Guadalupi, già segretario del cardinale
Pignatelli poi arcivescovo di Salerno, fu da lui
portata a Brindisi e gelosamente custodita, prima di
essere consegnata al Museo
Civico in San Giovanni al
Sepolcro.
Prima del suo restauro,
eseguito da Lidiana Miotto nel
1986, la mappa spagnola era
incollata nel suo insieme su una
tela di lino che a sua volta
aderiva su un supporto ligneo
con una fascia centrale di
congiunzione. I vari chiodi
usati, arrugginendosi, avevano
compromesso il documento. Il
tutto
era
variamente
e
pesantemente
macchiato.
Finalmente la mappa era stata
alterata da lunghi strappi e
fenditure, da ossidazione, muffe
e ammanchi.
1734-1741 a Brindisi e nel Regno
Anni di tensioni tra Stato e Chiesa
SCHEGGE DI STORIA BRINDISINA ...
... dalle Cronache dei Sindaci di Brindisi
ccc cccccccccc c
di Gianfranco Perri
A Brindisi erano sorte serie tensioni tra i pubblici
amministratori civili, gli eletti consiglieri il sindaco e
il governatore da una parte, e il clero nella persona
dell´arcivescovo Andrea Maddalena, un napoletano,
dall´altra. Le tensioni accumulate si formalizzarono
in occasione di alcuni episodi specifici, per sé banali.
Probabilmente il clima di scontro fu anche favorito
dall´ambiente poco favorevole al clero che si era
creato fin dall´ascesa al trono del nuovo sovrano
Borbone, quando questi l´11 luglio 1735 informò
alla città che “...tutti li familiari dell´arcivescovo,
cursori, sagrestani e preti, pagassero le gabelle, e
non fossero più franchi...”
relativo al ‘ius prohibendi’ per la barca della marina,
quella del Casale, di fatto una concessione dalla
quale l´arcivescovo otteneva, affittandone il diritto,
da 60 a 70 ducati l´anno. Questo decreto cittadino fu
impugnato e rimesso ai tribunali e, di fatto, presto si
ritorno allo status quo, e l´arcivescovo di Brindisi
continuò durante ancor più di cent´anni a riscuotere
per quella concessione.
Nel gennaio 1738, in occasione dei festeggiamenti
per il matrimonio del re Carlo con Amalia
Walsbonga, figlia quindicenne del re di Polonia, il
monsignore che officiava le cerimonie religiose in
sostituzione dell´arcivescovo, assente perché a
Napoli a causa di quelle insorte tensioni, negò al
consigliere Lorenzo Ripa che ‘la pace e l´incenso’ si
desse a tutti i consiglieri presenti e non solo al
sindico e al governatore. E poco dopo, per ripicca, il
sindico Tomaso Cantamessa, negò all´arcivescovo
che il predicatore della città anziché fare il
quaresimale nella chiesa di Santa Teresa, lo facesse
nella Cattedrale in sostituzione del predicatore
arcivescovile che si era ammalato. Fu la goccia che
fece traboccare il bicchiere e le relazioni si ruppero
completamente e la parola passo ai tribunali, prima
a quelli di Lecce e poi a quelli di Napoli.
La sentenza regia circa ‘la pace e l´incenso’ da Napoli
fu pronunciata il 10 settembre e tentò di essere
salomonica stabilendo “...che gli Eletti poteano fare a
meno di intervenire alle funzioni religiose ufficiali,
senza che per questo incorressero nella censura; ma
che andandovi, non avevano diritto né all´incenso né
alla pace, e dovevano accompagnare l´arcivescovo,
finita la funzione, fino alla porta d´ingresso del suo
palazzo...”
La città volle interpretare la sentenza come una
vittoria, gli Eletti non sarebbero andati alle funzioni
religiose dell´arcivescovo, e si fecero suonare a
distesa le campane dell´orologio.
E, naturalmente, le tensioni tra gli amministratori
cittadini e l´arcivescovo, non cessarono. Il giorno
seguente alla sentenza, il sindico radunò nel Sedile il
parlamento cittadino e, tra altre misure, decreto
decaduto il diritto del quale godeva l´arcivescovo
Nell´agosto del 1741, dopo anni d´insistenza da
parte del re Carlo Borbone, si firmò tra la Santa Sede
e la Corte di Napoli il “Trattato di Accomodamento”,
un concordato con il quale scemarono molte delle
immunità reali, locali e personali che si tolleravano
nel Regno delle Due Sicilie in favore della Chiesa: si
stabilì che sui propri beni la chiesa pagasse metà dei
tributi e si ordinò la formazione di un catasto al
rispetto, ordine che a Brindisi giunse il 26 settembre
del 1742 e immediatamente si nominò una
commissione composta da sei deputati civili e due
ecclesiastici, un agrimensore ed un estimatore di
campagne. Lo stato borbonico timidamente si
modernizzava.
A Brindisi il 20 Febbraro 1743
un terremoto terribilissimo
SCHEGGE DI STORIA BRINDISINA ...
... dalle Cronache dei Sindaci di Brindisi
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di Gianfranco Perri
A Brindisi «...a dí 20 febbraro 1743, giorno di
mercoledì, all´ore ventitré e tre quarti fu in questa
città un terribilissimo terremoto, che in tre repliche
durò minuti due, e fu così orribilissimo che rovinò
tutte l´abitazioni, palazzi, molti caduti e molti non
atti ad essere abitati, ma tutte le case generalmente
danneggiate, e risentite molto.
Il domo non più atto a farsino i sacrificj e le funzioni
divine, tanto che i capitolari officiarono a Santa
Chiara... E fu così spaventoso, che ritirandosi il mare
faceansi vedere aperture della terra, et il molo di
Porta Reale diviso in tre parti...
Il novo Seminario precipitato dalla facciata, e così
pure tre camere del palazzo del monsignore
arcivescovo Maddalena. Ai Cappuccini cadè la
campana e cascò pure la campana delli Agostiniani.
Un frate zoccolante, morì per esserli cascato un
muro sopra, avanti il palazzo Blasi alla marina. E
morì pure avanti la Conserva una figliola di tre anni
coricata in letto, che le cascò la casa sopra.
A 26 detto, venne a Brindisi il signor Mauro Manieri
di Lecce, ingegnere, e mastro Pascale di Martano,
muratore, li quali consigliarono a monsignore
Maddalena che se ne calasse dal suo palazzo, atteso
il pericolo che minacciava lo smantellare la
Cattedrale... che si incominciò il 28 e si fini di
demolire il primo marzo la prima nave, o sia lamia di
mezzo del domo...».
La tradizione vuole che nell´occasione di quel
terremoto, la statua della Madonna della Assunta
della chiesa di San Paolo, aprisse le mani che teneva
pria congiunte, quasi in atto di chiedere al Signore di
placare l´ira divina sulla città.
Per quell´anno, la processione della domenica infra
ottava del Corpus Domini andò al Sedile, dopo per li
Granafei, e l´Arcivescovato, volto per le Scuole pie, e
poi volto per Santa Ippolita, e si ritirò agli Angioli. E
la processione del giovedì, ottava del Corpus Domini,
uscì dagli Angioli, s´indirizzo per Santa Ippolita, per
San Paolo, nella qual chiesa entro preceduta da quei
religiosi con fiori e torce accese; andò a Santa
Teresa, avanti la chiesa benedisse a vista il castello,
poi uscì e calò per la marina per avanti Montenegro,
volto per San Giovani, entro a Santa Chiara, salì per il
caduto domo, entro nella chiesa delle Scuole pie,
volto per avanti l´arcidiacono Stea, per la Concordia,
per avanti Santa Ippolita, e si ritirò.
Nonostante i lavori di demolizione del duomo
procedessero con tutte le possibili cautele, il 20 di
giugno a mezzogiorno, crollò fragorosamente la
metà della chiesa e la notte seguente, alle quattro,
crollò il campanile, con due campane che non erano
state ancora ammainate, delle quattro che ce
n´erano in tutto. Il 17 luglio si pose finalmente la
prima pietra per le fondamenta della nuova
Cattedrale dalla parte dell´ospedale civile.
E giacché le disgrazie sempre s´accompagnano, in
quello stesso anno, mentre Brindisi si trovava
ancora sotto l´incubo della disgrazia patita, giunse
una forte carestia di grano. Mancava ancora la peste,
e giunse puntualmente nei primi giorni di giugno,
minacciando dalla città di Messina che ne era stata
abbondantemente colpita. E si implementarono tutte
le possibili misure di controllo dal mare, su tutta la
costa da San Cataldo a Villanova.
L´11 luglio improvvisamente morì l´arcivescovo
Andrea Maddalena al quale successe Antonino
Sersale, nato a Sorrento in una famiglia patrizia. Il
nuovo arcivescovo si adoperò da subito affinché
giungesse a felice termine la costruzione del
Seminario che era stata intrapresa dall´arcivescovo
Paolo de Villana Perla e che era stata trascurata dal
Maddalena: il 21 novembre del 1744 fu la solenne
apertura con ben quaranta convittori.
Anche la ricostruzione della Cattedrale fu portata a
termine e l´arcivescovo Sersale la benedisse il 26
giugno del 1749. In seguito, nel settembre del 1750,
il Sersale lasciò Brindisi per recarsi alla sua nuova
destinazione di Taranto e fu rimpiazzato
dall´arcivescovo Giannangelo De Chiocchis.
Ferdinando IV re nel 1759 e la
riapertura del porto nel 1778
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... dalle Cronache dei Sindaci di Brindisi
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di Gianfranco Perri
Il 9 luglio 1746 morì il re di Spagna Filippo V, padre
di Carlo re di Napoli, e gli successe il suo quarto
figlio, Fernando VI. Dopo quasi un anno, il 13 giugno
1747, nacque a Napoli il primo figlio maschio del re
Carlo che fu chiamato Filippo, il primo erede
napoletano del nuovo regno, però nato malato.
Nel 1754 Brindisi conta con 8104 abitanti: 3565
nell´area della parrocchia della Cattedrale; 1376 in
quella di Santa Lucia; 1341 in quella di Santa Maria
del Monte; e 1822 in quella di Sant´Anna. Sommando
inoltre i religiosi, le monache, i militari, i forestieri, i
viandanti e i pellegrini, circa 600 in tutto, la
popolazione raggiunge un totale di 8604 abitanti.
L´incipiente ammodernamento e la pur modesta
prosperitá che caratterizzarono gli anni del governo
di Carlo di Borbone sul regno di Napoli, furono
troncati dalla morte del re di Spagna Ferdinando VI,
il 10 agosto del 1759, il quale non avendo prole
lasciò il regno a suo fratello Carlo, il re di Napoli. Il
nuovo re di Napoli fu Ferdinando IV, terzo giovane
figlio di Carlo, che fu affiancato dal reggente, il
ministro Bernardo Tannucci, fino al raggiungimento
della maggiore età, nel 1768 anno in cui sposò Maria
Carolina, figlia dell´imperatore d´Austria Francesco I.
Essendo sindaco il dottor Stefano Palma, il 20
settembre 1763, si principio la fabbrica del nuovo
orologio, e si fini nel mese di aprile l´anno 1764: si
tratta della settecentesca Torre dell´orologio, che
venne a sostituire la più modesta e già fatiscente
torre seicentesca, e che nel 1956 doveva poi essere
ignobilmente demolita dagli ignobili amministratori.
In quell´anno 1763 a Brindisi si contavano undici
conventi: della Maddalena, del Crocefisso, di San
Paolo, del Carmine, dei Teresiani, delle Scuole Pie, di
San Francesco di Paola, dei Gesuiti, di San Benedetto,
degli Angioli e di Santa Chiara.
Il 6 febbraio 1771, alcuni cittadini dichiarano con
atto pubblico che nei pressi della chiesa dell´
Annunziata, parrocchia vicariale, vi é da certo tempo
con scandalo di tutta la città, una “casa di malaffare”.
E il 20 settembre 1771 alcuni altri cittadini
dichiarano, anche loro con atto pubblico, che la
chiesa dei frati Minimi di San Francesco di Paola
situata al basso di Porta Reale, fu edificata tra il
1747 e il 1748 con fondamenta più grandi di quelle
della precedente chiesa dedicata a San Giacomo, la
quale era angusta e sotterranea, che si calava da
quattro a cinque scalini, e per tal motivo demolita.
Ferdinando IV di Borbone non fu un re grande come
lo fu suo padre, ma ebbe l´enorme merito di aver
soccorso e di fatto salvato Brindisi, preoccupandosi
del riaprimento del suo porto.
Nel 1775, Ferdinando IV inviò a Brindisi due
ingegneri, i più rinomati del regno per le opere
idrauliche, con il compito di determinare i
provvedimenti necessari al risanamento del porto e
della città intera: Vito Caravelli, professore di
matematica e Andrea Pigonati, tenente colonnello
del genio. I due ingegneri fecero studi e compilarono
progetti che sottoposero al re. Le loro proposte
furono approvate e ritornarono a Brindisi per
l´attuazione di quanto avevano progettato.
I lavori, intesi a mettere in comunicazione le acque
esterne con quelle interne, iniziarono il 4 marzo del
1776 sotto la direzione del Pigonati e la
soprintendenza di Giovanni Granafei dei marchesi di
Carovigno. Il 28 marzo 1776 approdò nel porto una
polacca proveniente da Napoli, carica di vari attrezzi
e legnami destinati all´opera. Nell´aprile del 1777
vennero a Brindisi i regi sciabbecchi con cento
forzati per i lavori del porto. E il 26 dicembre
vennero altri duecento presidiari scortati da cento
granatieri. Quello stesso anno Pigonati fece anche
riempire con terra le paludi fuori porta Lecce e
vicine la chiesa nominata del Ponte, che fu demolita
lasciandovi al suo posto solo una piccola cappella.
Pigonati consegnò l´opera compiuta il 30 dicembre
1778: a 2 anni 9 mesi e 22 giorni dall´inizio lavori.
1776 – 1778: Andrea Pigonati
apre -temporalmente- il canale
SCHEGGE DI STORIA BRINDISINA…
… dalle Sconfinate Pagine del Web
di Gianfranco Perri
Nell´anno 1776, quando Andrea Pigonati dette
principio ai lavori di riapertura del canale che
comunicava il porto esterno con quello interno, le
paludi che rimanevano al centro del passaggio nei
momenti di alta mare si ricoprivano con 26
centimetri d´acqua, mentre nei momenti di bassa
marea le acque scomparivano del tutto e le secche
rimanevano scoperte fino a 50 centimetri in alcuni
punti.
A stento, e solamente nelle alte maree, si poteva
passare per il canale con una barchetta. Il porto
interno era un lago stagnante dove potevano
navigare solo le barchette e i lontri.
I lavori avanzarono tra tante difficoltà, non ultima
quella dell´insufficienza e della impreparazione della
mano d´opera locale, per cui si dovette ricorrere ai
forzati ed anche alle donne.
A causa della poca disponibilità di grosse pietre
necessarie all´esecuzione del progetto, Pigonati
penso bene di poter utilizzare i ruderi di vecchie
costruzioni, e così dispose la demolizione di alcune
vecchie case site in prossimità di Porta Reale e dei
blocchi residui della stessa. E impiego anche le
pietre estratte dalla superstite torretta angioina che
era stata fabbricata per l´operazione della catena di
chiusura del canale.
Il 23 maggio del 1777, due tartane austriache
provenienti da Ragusa cariche di cuoi poterono
passare felicemente il canale ed ancorare nel porto
interno prossime alla città: all´epoca il canale aveva
già raggiunto i 2,60 metri di profondità. E nell´aprile
del 1778 il pilota brindisino Francesco Allò poté per
primo entrare fino in vicinanza della porta Reale con
un bastimento carico e ripartire carico d´olio: la
larghezza del canale era già stata ampliata e la
profondità aveva raggiunto 5,20 metri. E il 26 giugno
di quello stesso anno, entro felicemente nel porto
interno il bastimento olandese Giovine Adriana con
con una portata di ben 3740 ettolitri di grano.
Alla consegna dell´opera, il 30 dicembre 1778, il
canale, con la bocca rivolta a greco-levante, era
lungo 1861 palmi compresi i moli e le scogliere, era
profondo 18 palmi e largo 183 palmi verso la rada e
162 palmi allo sbocco nel porto interno. Le sponde
del canale furono rivestite di banchine murarie che
furono prolungate con due pennelli sporgenti nel
porto esterno.
Ma dopo pochissimi anni il canale cominciò a
riempirsi, le paludi nel porto interno iniziarono a
rinnovarsi e la malaria fece ritorno: Pigonati aveva
commesso un grossolano errore all´orientare
l´imboccatura del canale a greco-levante.
La questione del Porto di Brindisi: 1a Parte
... una questione di sempre e per sempre...
SCHEGGE DI STORIA BRINDISINA ...
... dalle Cronache dei Sindaci di Brindisi
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di Gianfranco Perri
Tra le "Cronache dei Sindaci di Brindisi I" e "II", non
c´é dubbio che il filo conduttore sia il porto di
Brindisi il quale, regalo di una natura prodiga e
generosa, per la reiterata incoscienza degli uomini e
per un lunghissimo periodo della storia della città, é
stato la causa del suo languire e del suo decadere,
tanto che sul finire del secolo XVIII la città era
ridotta ad un oscuro villaggio di circa 6000 anime, al
centro di una delle plaghe malariche più micidiali
dell` intero regno di Napoli.
Fin dal 1500 nel parlamento del regno di Napoli, si
disse che era indispensabile e inderogabile risolvere
il problema del restauro del porto di Brindisi. Poi,
nel novembre 1778, dopo quasi tre anni di lavori
affidati dal re di Napoli Ferdinando IV a Andrea
Pigonati, l´ostruzione che aveva isolato il porto e la
città tutta durante tantissimi anni, fu
finalmente rimossa. Ma un grave errore
di ingegneria commesso nel definire
l´orientazione del canale, fini per rendere
vano quell´ingente sforzo, e dopo pochi
anni e vari tentativi di rimediare a
quell´errore, il porto di Brindisi era di
nuovo perduto e precluso ai grandi
traffici navali.
Ma quali erano state le cause di tale
disastro ambientale? In primo luogo,
anche se con effetti parziali, i residui
delle palafitte fatte piantare nel 49 aC da
Giulio Cesare durante la guerra civile per
impedire la fuga di Pompeo. Poi, e con effetti
totalmente devastanti, le due tartane zavorrate, che
il principe di Taranto, Giovanni Antonio del Balzo
Orsini, fece affondare nel 1450 per impedire che la
città cadesse preda della flotta veneziana. E quindi, e
naturalmente negli anni, i limi e le sabbie
provenienti dalle paludi circostanti e quelli che le
maree portavano dal porto esterno all’interno, poi le
alghe che vi crescevano e i residui solidi che
liberamente scolavano dalla città stessa.
Poi, dopo una cinquantina d´anni di riabbandono
quasi totale da quell`errore, e di vari tentativi
frustrati, fu grazie alla lungimiranza di un altro re
Ferdinando, il II e nipote di quel IV, che importanti
brindisini guidati dall´illustre cittadino Giovanni
Monticelli,
poterono
in
extremis
evitare
l´abbandono definitivo dell` insalubre porto di
Brindisi, che era arrivato ad essere propugnato a
favore di quello di Gallipoli, altro capoluogo
distrettale: infatti, tra il 1827 e il 1829, c´erano stati
nella desolata città 1117 nascite a fronte di 2323
morti.
Ferdinando II alla fine del 1830 era giunto al trono
delle Due Sicilie giovannissimo, con la morte del
padre Francesco I, figlio di Ferdinando IV di Napoli
che dopo la definitiva sconfitta dei francesi era
tornato al trono di Napoli con il nuovo titolo di re
Ferdinando I delle Due Sicilie.
Era il 1834 quando il re Ferdinando II nomina una
prima commissione per la compilazione di un
progetto definitivo di rilancio del porto di Brindisi. E
due anni dopo, la commissione «composta di tre
uffiziali del genio di terra e di mare, da un uffiziale
della reale marina e da un architetto civile» presentò
il progetto basato su 11 punti.
Nonostante l´enorme spesa prevista, i lavori furono
appoggiati
dal
sovrano,
che
nominò
a
sopraintendere l´Opera uno dei componenti la
commissione, il colonnello del genio Albino Mayo, e
si recò a Brindisi di persona per dare impulso
sovrano al grande progetto.
Ma dopo lunghi sette anni, a metà del 1842, ben
poco si era fatto. Non era infatti destinata ad essere
facile quella rinnovata impresa, la quale di fatto si
protrasse per decenni, tra le venturose e le tragiche
vicissitudini sociali politiche e militari che si
succedettero a cavallo di ben due secoli,
sopravivendo alla stessa fine del re e del regno delle
Due Sicilie ed alla conseguente annessione di
Brindisi, nel 1860, al regno di Sardegna e poi, al
nuovo regno d´Italia nel 1861.
1787-1789: Lo scienziato svizzero
Carl Ulysses von Salis visita Brindisi
SCHEGGE DI STORIA BRINDISINA ...
... dalle Cronache dei Sindaci di Brindisi
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di Gianfranco Perri
Con l`anno 1787 inizia formalmente la "Cronaca dei
Sindaci di Brindisi II" raccolta e pubblicata da
Rosario Jurlaro: un anno in cui gli assolutismi già
spingevano gli animi liberi d`Europa a rivoluzioni
come la francese del 1789 e la napoletana di soli
dieci anni dopo.
Ma a Brindisi era già, ed anzi e meglio detto, era
ancora, viva la questione inesaurita ed inesauribile
del porto e del suo risanamento: Nicola Vivenzio,
avvocato fiscale del reale patrimonio, fu inviato a
Brindisi dal re di Napoli, Ferdinando IV di Borbone,
nel 1788 assieme ad una segreta commissione, a
scandagliare le acque del porto esterno e a verificare
la situazione della bonifica del
porto
interno,
di
nuovo
impantanato e putrido da fare
ammalare e morire.
rimproverare ai brindisini la loro indolenza, perché
lavorano solo quattro ore al giorno e passano il
rimanente della giornata nelle taverne, cercando di
affogare nel vino la loro miseria?».
Poi, ricordò che «...alcuni anni addietro, l`ingegnere
Pigonati fu mandato qui con l`ordine di rimettere il
porto in stato da servirsene, ma forse per ignoranza
o altra ragione, i lavori vennero così mal eseguiti,
che la città è tuttora così miserabile e insalubre
com`era prima della sua venuta. Sebbene siano
appena passati soli dodici anni dacché l`opera di
Pigonati è stata compiuta, già il canale è bloccato
dalle alghe e dalla rena.
La questione sanitaria della città
era così grave che in quello
stesso anno fu a Brindisi lo
scrittore inglese sir Richard
Hoare Colt, «ma fu impedito a
entrarvi essendosi ammalato
alle porte, ancor prima di
entrarci».
Poi nell`aprile dell`anno dopo,
1789, l`economista svizzero Carl
Ulysses von Salis-Marschlins
visitò Brindisi e scrisse: «...A
misura che ci avvicinavamo alla città si
presentavano regioni di miseria e di desolazione,
che fa pena vedere lì incolta una campagna
benedetta dal suolo fertile e dal clima più propizio!
Gli antichi ed estesi avanzi di un rovinato castello,
segnano l`entrata. Larghe strade con case rovinate,
cortili ricoperti di erbe, miserabili tuguri appoggiati
a vecchie mura e contenenti i più squallidi
rappresentanti dell`umanità, precedono varie chiese
e conventi e poche case abitabili, dove 5000 persone
sono giornalmente esposte ai lenti ma inevitabili
effetti della febbre malarica. L`abbandono totale in
cui è stato lasciato il porto, ha dato vita a paludi
estesissime che circondano il paese, e riempiono
l`aria di esalazioni pestilenziali, per cui non esiste
più un volto roseo in Brindisi: la febbre malarica
regna durante tutto l`anno, e sono pochi quelli che
tirano innanzi la loro miserabile vita sino all`età di
sessant`anni.
E con quale giustizia si può
Nel porto interno, un braccio è molto più lungo
dell`altro: il ramo settentrionale, si spinge per un
miglio e mezzo nella campagna, è largo 800 palmi
nel punto più stretto, e misura 50 palmi di
profondità; mentre quello verso sud è lungo solo un
miglio, è largo 750 palmi e profondo 17 palmi nel
punto più basso. Il primo ha un letto melmoso,
mentre il secondo lo ha di arena».
E per concludere, von Salis-Arschlins sentenziò:
«Quello che è realmente da sorprendere, è come il
governo non abbia ancora pensato a un nuovo
progetto per risollevare la misera città, ridonandole
la posizione più importante d`Italia, con solamente
l`aprirne e quindi ripulirne il suo grandissimo porto.
Essendomi fermato a lungo su questo soggetto,
Brindisi, che oltre ad essere importante per se
stesso, serve a dimostrare come pensa e come agisce
il governo del regno di Napoli, saluterò con un addio
questo disgraziato paese».
1791: Brindisi raccontata
dallo studioso galatinese
Baldassarre Papadia
SCHEGGE DI STORIA BRINDISINA ...
... dalle Cronache dei Sindaci di Brindisi
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di Gianfranco Perri
I giorni 4 e 5 maggio 1791 Baldassarre Papadia,
studioso galatinese, amico di Annibale De Leo,
l`arcidiacono che sarà poi arcivescovo, fu a Brindisi.
«...Così dopo molte ore di penoso cammino giunsi in
Brindisi. Città è questa che non presenta alcuna
ombra di bello a chi la mira dalla parte di terra, ma
che, guardata dal suo invidiabile porto, è amena e
vaga.
...Ha molte chiese e monasteri e son da vedersi la
Cattedrale, che fu rifatta dal
principio di questo secolo ed è
ornata e spaziosa, e la Madonna
degli
Angeli
chiesa
delle
monache
cappuccinelle,
finanziata da Massimiliano duca
di Baviera nel 1606, a prieghi del
beato Lorenzo da Brindisi. Il
palazzo dell`arcivescovato è
comodo, come bastantemente
grande è il Seminario.
...Due
forti,
ossia
castelli,
difendevano Brindisi, quel di
terra verso borea, poco distante
dalle mura, e l`altro di mare
eretto su d`uno scoglio nell`imboccatura del famoso
porto e dirimpetto alla città. Il primo si può dire che
è diruto totalmente. Era una delle più veste e solide
fortezze, aveva sotterranei immensi e spaziosi. Che
amene e grandiose vedute dalle sue altezze
rovinose! Tutto però ora casca e dà materiale a
qualche fabbrica che si costruisce o in città o fuori.
L`altro si conserva ancora, e dove sta riposto
qualche pezzo d`artiglieria buono. Questo difende le
due imboccature in mezzo a cui è sito, per dove
passano le navi per entrare nel porto.
...Nel porto si son versati dei tesori per nettarlo, ma
di netto altro non vidi che un canale che si è formato
dal lido dove fa il carico su dei piccoli battelli e tira
alle due descrittevi imboccature per retta linea, il
quale canale conviene incessantemente nettare
dall`alga e dall`arena che il vento d`est senza
intermissione accumula e imbocca: vidi pochi
lavoratori prezzolati, pochi forzati impiegati, e molti
ispettori.
... Taccio delle lagune che circondano quell`infelice
città nella quale, nei tempi estivi, si respira un`aria la
più malsana e dallo spiacevole lezzo. I viveri non
sono qui cari. Il vino è mediocremente buono. I
fogliami sono abbondanti, teneri e saporosi, anche se
le campagne però sono, lo dico con pena, mal
coltivate e per la maggior parte incolte per
mancanza di braccia. Il pesce è più scarso che
abbondante, non per colpa del mare, ma per pura
infingardaggine della bassa gente, che si contenta
viver povera nell`ozio, che di sussistere agiata colla
pesca.
...Altra cosa sono i nobili, puliti ed affabili, e quei
pochi ch`ebbi l`onore di trattare mi confusero colle
di lor garbate maniere.
...Il mio amico Annibale De Leo e suo zio Ortensio,
celebre antiquario e uomo di lumi e di cognizioni,
che, son pochi giorni, la morte rapì, aveano di
famiglia un museo e una biblioteca che è ricca
d`ottimi libri ed ha la raccolta di tutti gli scrittori che
hanno parlato delle cose di questa provincia, così
editi come inediti. Il museo contiene piccola sì, ma
preziosa raccolta di monete urbiche ed imperiali,
così in oro come in argento ed in bronzo. Le corniole
ed i cammei accrescono non poco splendore al
museo per la di lor bellezza e rarità, né mancano
statuette antiche di bronzo e di marmo, tra le quali
s`ammira qualche lapida originale che contiene
dell`iscrizioni appartenenti a quella antica città.
Intatto è l`archivio, così della città, come di quel
capitolo. Fin dal secolo XI comincia infatti quella
Chiesa a numerare le sue pergamene, e sono pochi
gli archivi che esistono nel regno così doviziosi e ben
conservati. Le bolle e i diplomi che mi fe' vedere il
signor De Leo, appartengono a quella nobile città e
gli aveva tutti egli trascritti».
1792: a Brindisi i primi echi SCHEGGE DI STORIA BRINDISINA ...
... dalle Cronache dei Sindaci di Brindisi
della rivoluzione francese
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di Gianfranco Perri
Il 1789 fu l`anno della mitica rivoluzione francese il
cui eco non tardò certamente molto a raggiungere le
popolazioni del regno di Napoli, ivi comprese quelle
di Brindisi.
E infatti, già per l`anno 1792 nelle "Cronache dei
Sindaci di Brindisi" è possibile ritrovare le prime
notizie premonitrici di quelle tante altre destinate a
susseguirsi e a moltiplicarsi negli anni prossimi a
venire, impulsate dall`animosità di una popolazione
intelligente quanto coraggiosa, dall`animo liberale e
libertario.
Una notizia prima y per tutte, impossibile da averne
potuto prevedere la trascendenza per il momento in
cui si produsse: "Il 22 gennaio 1792 fu battezzato da
Annibale De Leo, arcidiacono e futuro arcivescovo,
Giovanni Luigi Crudo, nato il giorno precedente, il 21
gennaio 1792, da Benedetto, dottore in legge che fu
regio governatore e giudice in Brindisi, e da Anna
Plantera di Veglie. Suo nonno, omonimo e anche lui
dottore in legge, fu marito di Teresa Errico del fu
Onofrio. Si trattava nientemeno che di Giovanni
Crudomonte il quale era destinato ad essere con gli
anni, fra i più noti ed attivi patrioti artefifici
dell`Italia meridionale per la causa dell`unità
nazionale".
Mentre alla fine dell`anno 1792 era sindaco a
Brindisi Giovanni dei marchesi Ripa, l`arciprete
Leucio Ripa ricavò i seguenti dati demografici,
parrocchia per parrocchia:
Cattedrale, maschi 1161 e femmine 1294:
Sant`Anna, maschi 590 e femmine 619: Santa Lucia,
maschi 385 e femmine 406; Annunziata, maschi 328
e femmine 336. In totale erano 5119 gli abitanti. I
sacerdoti erano 34 più 1 diacono, i chierici 5, i
monaci e frati sacerdoti 60, i monaci e frati laici 32,
le monache ed educande 73. Nell`annata nacquero
199, di cui 104 maschi dei quali 44 morirono entro
l`anno. Dei maggiori di un anno i morti furono 406.
Sul finire dell`anno, venne finalmente quasi
completata la costruzione del campanile della
Cattedrale, che era stata iniziata dall`arcivescovo
Giovanni Battista Rivellini nel 1780. Quello originale
era andato distrutto, così come gran parte dell`intera
cattedrale, nel terremoto del 20 febbraio 1743.
«Sin dal 1792, intorno a Teodoro Monticelli, nato a
Brindisi, nel rione Sciabiche, il 5 ottobre 1759, si
raccoglieva il primo club giacobino sorto a Napoli, e
forse in Italia, trasformazione di una già operante
loggia massonica.
Monticelli Teodoro era figlio cadetto del barone
Francesco Antonio e di Eleonora dei conti di Sala.
Compì i suoi primi studi presso i Padri Scolopi delle
Scuole pie, si trasferì poi a Lecce dai Padri Celestini
dove prese l’abito talare; passò al collegio di
Sant`Eusebio di Roma, e infine nel 1792 giunge a
Napoli per insegnare filosofia, e qui trascorre tutta la
sua vita di studio, di insegnamento e di ricerca. Morì
a Pozzuoli il 5 ottobre 1845.
Teodoro Monticelli fu uno dei primi in Italia ad
infervorarsi ed a soffrire per le nuove idee di libertà
e di emancipazione sviluppatesi nell`ambiente
illuministico napoletano, e che dalla rivoluzione
francese del 1789 ebbero impulso all`azione, onde la
sua figura giganteggia eroicamente nel processo
della congiura giacobina del 1794 e in quello del
1798: fu tra i pochissimi che s`impose, per
incrollabile saldezza di carattere».
1793: Con una colonia di Greci
1874:
il governo e i nobili cittadini
tentano ripopolare Brindisi
SCHEGGE DI STORIA BRINDISINA ...
... dalle Cronache dei Sindaci di Brindisi
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di Gianfranco Perri
Era così critica la situazione sanitaria della
popolazione di Brindisi, che sul finire del secolo
XVIII si temette per lo spopolamento totale della
città a seguito delle numerose morti che superavano
di gran lunga le nascite e che avevano ridotto a circa
5000 anime una popolazione che ne aveva contate in
passato fino a centomila.
«Finalmente nel 1793, per ripopolare la città, fu
chiamata una intera colonia greca dell`isole Jonie,
cui furono assegnati per i primi soccorsi dodicimila
ducati e molti territori incolti di pertinenza delle
comunità religiose, oltre a tantissime altre
agevolazioni e privilegi specialmente concessi. E per
vieppiù incoraggiarla fu istallata una commissione
particolare che era preseduta dall`arcivescovo
Giambattista Rivellini e il governatore della nazione
Nicola Vivenzio, presso la quale fossero le
risoluzioni su gli affari di quella. Furono parimenti
assegnate due chiese per l`esercizio del culto
religioso, una dentro la città detta di San Antonio
Abate, e l`altra fuori della chiesa di Mater Domini,
ossia San Lionardo poi da loro intitolata a San
Giorgio, officiate da due sacerdoti dello stesso rito,
pensionati dalla corte. Ma poiché detta colonia era
della gente oziosa di quella nazione, consumati i
sopradetti soccorsi un dopo l`altro fecero ritorno
nella loro patria, senza restituire minimamente,
come invece da accordo solennemente e
formalmente convenuto, tutto quanto ricevuto».
Molti anni dopo, Giovanni Monticelli, a proposito di
quegl`immigrati greci, ebbe così a commentare:
«Credendo il re assicurata l`Opera del porto, cercò di
accrescere la popolazione di quella città, con
chiamarvi, a grandi spese, numerosa colonia di greci;
dei quali pur giunse una parte a Brindisi; ma vi
stette oziosa per pochi anni, e poi disparve. Invece di
agricoltori e di artefici, si accolsero 300 etoli,
chiamati armatollini, cioè briganti di terra e di mare,
che non coltivarono alcun palmo della terra loro
assegnata, né esercitarono alcun`arte; ma ben
divorarono i soccorsi pecuniari loro somministrati
per lo spazio di tre anni, dal governo nazionale e dai
nobili cittadini, e poi disparvero».
Ed in quello stesso periodo, nello "Status animarum"
compilato da Leucio Ripa, il meticoloso arciprete
della chiesa Cattedrale, risultano in Brindisi le
seguenti distinte famiglie.
Primo ceto «nobili patrizi»: De Dominicis, De Los
Reyes, De Napoli, Laviano, Leanza, Montenegro,
Monticelli, Monticelli Cuggiò, Palma, Perez, Pizzica,
Rascaccio, Ripa, Sala, Scolmafora, Terribile, Vavotici,
Villanova. Secondo ceto «nobili viventi»: Armengol,
Brancasi, Capodieci, Catanzaro, Della Ragione,
Ernandez,
Marinone,
Martinez,
Mugnozza,
Santabarbara, Solazzi, Stea, Trandafilo. Terzo ceto
«vivono nobilmente»: Basile, De Leo, Geofilo, Lubelli,
Romano. Terzo ceto «Galantuomini e civili»:
Basimeo, Ruggiero, Blasi, Capobianco, Chiodi,
Casanoba, Dario, D`Errico, De Castro, Marzolla,
Orlando, Ronzini, Scaziolo, Serio, Verga. «Dottori in
legge»:
Crudo, D`Aprile, D`Ippolito, Giaconelli,
Orlando. «Notai»: Carrasco, De Pace, D`Ippolito,
Mazzotta, Resta, Tagliento. «Dottori fisici»: De
Marzo, D`Ippolito, Guerra, La Colina, Mazzotta,
Salsedo, Statila, Tagliento, They. «Chirurghi»:
Alessano, Marseglia, Pagliara, Scazioto. «Speziali di
medicine»: Arsenio, Bembo, Leone, Oliva, Spada.
«Giudici»: Libardo, Pedio. «Negozianti maggiori»:
Balsamo, Candilera, Gerardi, Nichitichi, Sierra.
1796: Brindisi tra ¨timore di Dio¨
e alcune timide opere pubbliche
SCHEGGE DI STORIA BRINDISINA ...
... dalle Cronache dei Sindaci di Brindisi
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di Gianfranco Perri
Nelle carte del fondo curia dell`archivio diocesano di
Brindisi, sta un esemplare a stampa dell`editto reale
dato in Napoli il 21 febbraio 1796, riguardante la
santificazione delle feste con l`astensione dal lavoro:
abbondanza, lini fini e bambagia; ed il mare dà
copioso e saporito pesce. La sua popolazione
finalmente ascende a sei mila in circa, sotto la cura
spirituale d`un parroco canonico e di tre economi».
«Ne' giorni festivi le fanciulle e i fanciulli devono
andare in chiesa, alla dottrina cristiana. E si facciano
tener chiuse tutte le botteghe, a riserba di quelle che,
o sono destinate a commestibili ed altro per lo
sostentamento della vita, o hanno bisogno di essere
tenute aperte per ricevere l`ingredienti. Solo si
tollerano che possano restare mezze chiuse le
botteghe de' zigarellari, dei barbieri, dei
parrucchieri e de' tabaccari. Le taverne e le cantine
devono restare sorvegliate per non fare giochi di
carte di nessuna sorta; né giuochi d`invito,
volgarmente detti di 'padrone e sotto', né fare
'conversazioni' con femmine»
«Nell`anno 1795 in 96, si costruì, sotto la direzione
dell`ingegnere Carlo Pollio per incarico ricevuto dal
re Ferdinando IV di occuparsi delle opere del porto,
il nuovo Lazzaretto nel fianco sinistro del porto
interno, che prima era sull`isola si San Andrea. Vi
furono erette diverse stanze, e un magnifico edifizio
formato di mattoni con diversi colori, ove si erigge il
tribunale sanitario, e tutte le descritte fabbriche
furono circondate da un muro per la sicurezza della
pubblica salute. Ma a giudizio di Pasquale Camassa,
il luogo e il modo, dimostrò nel Pollio, responsabile
delle opere di restauro del porto, grande ignoranza
tecnica, oltre che in idraulica, anche in relazione agli
stabilimenti quarantenari.
Francesco Sacco, in quello stesso anno 1796 editava
il suo "Dizionario geografico-istorico
del regno di Napoli" in cui, così trattò
di Brindisi:
«Si ammirano in questa città, cinta di
mura dalla parte di terra e difesa da
due fortezze; un suntuoso duomo
ufiziato da ventitré canonici; tre
chiese filiali di mediocre disegno
sotto i titoli di Santa Lucia,
dell`Annunziata e di Sant`Anna; un
conservatorio di donzelle e di donne
sotto l`invocazione di Santa Chiara;
due monasteri di monache nobili,
l`uno
benedettine,
e
l`altro
francescane; e nove conventi di
regolari, cioè, de' padri carmelitani
scalzi, de' domenicani due, de'
minimi di San Francesco, de'
riformati, de' carmelitani calzi, e de'
cappuccini. Otre a ciò v`è un collegio
de' padri delle Scuole Pie, un Seminario capace di
molti alunni e fornito di tutte le scienze necessarie
all` istruzione della gioventù; due spedali, uno per
gl`infermi militari e l`altro per gli poveri della città; e
sei confraternite laicali sotto l`invocazione, di San
Sebastiano, della Vergine Addolorata e del
Purgatorio.
...Le produzioni del territorio sono grani, legumi,
frutti saporiti, vini generosi, olj eccellenti, agrumi in
Fu anche colmata e rialzata sul livello del mare la
strada della Mena, nel mezzo
della quale passava un canalone
che la bisecava e in cui si
ricevevano le acque del mare
che s` imboccavano in quello e
da ponente e mezzogiorno, le
acque che calavano dai rialti
della città e che, ristagnando
cagionavano aria micidiale. I
residui di molti pezzi di legno di
barche e di altri attrezzi
pescarecci avean fatto credere,
che era un ramo del porto. La
strada così riformata si chiamò
Carolina, come la regina. Vi
furono formati de canali
sotterranei, che con declivio
artificioso ricevessero le acque
della città e le portassero a
mare, senza che questo potesse
in avvenire parteciparli le sue. Infine, dall`arsenale
sino alla barca di Santa Maria, furono formate delle
banchette di smisurati macigni».
Il canonico Tommaso Cinosa, da testimone diretto,
ricordò: «il re, che aveva molto a cuore l`opere del
restauro, fu a Brindisi e volle di persona visitar
l`opera del porto il 27 aprile del 1797, e colle reali
sue mani volle scandagliare i fondi del canale».
SCHEGGE DI STORIA BRINDISINA ...
... dalle Cronache dei Sindaci di Brindisi
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di Gianfranco Perri
Il 20 agosto 1797, passando da Brindisi il letterato e
pittore francese Antoine-Laurent Castellan, scrisse
sulla città e sui suoi cittadini: scrisse pagine e
pagine, e qui si riporta una selezione di quelle
pagine “sulla Cittá”.
«Abbiamo gettato l´ancora sulla costa ovest, presso
un serbatoio d´acqua, con vista al Castello costruito
su rocce a fior d´acqua, e che occupa il centro del
grande porto e ne comanda le due entrate. Il gran
serbatoio sotterraneo, scavato nella massa rocciosa,
é riempito da una sorgente molto fresca e copiosa
che nasce dalle rocce che sono a ridosso della costa e
che alimenta le “fontanelle” delle quali parlò anche
Plinio, situate appunto nella parte occidentale del
grande porto.
Una scialuppa ci trasporta verso il porto interno, in
cui si entra da uno stretto canale aperto da poco per
far uscire le acque del mare che, finché sono rimaste
chiuse e stagnanti, si corrompevano, esalavano
vapori mefitici ed erano occasione di crudeli
malattie. Adesso l´acqua comincia a scorrere di
nuovo, e l´aria sta
diventando un po’
più pura e le febbri
meno micidiali, ma
ci sono ancora tante
esalazioni
nauseabonde.
Il porto interno si
divide in due bracci
che penetrano nella
terra, entrando a
destra e a sinistra:
abbiamo
preso
quest´ultima direzione per recarci al palazzo
Lazzaretto, anch´esso costruito molto di recente,
all´estremità della città, in riva al mare. Gli altri
lavori ordinati dal governo, languono; vi sono
occupati solo forzati guidati e guardati a vista da un
numero quasi uguale di soldati, per la maggior parte
invalidi.
La città di Brindisi sorge su una lingua di terra il cui
angolo sporgente si trova di fronte all´entrata del
porto, e qui s´innalza un´alta colonna antica di
marmo bianco, che termina con un capitello
composito molto ricco. A fianco si vedono il
piedistallo e la base di una colonna simile, che é
stata trasportata a Lecce. Le tante chiese, coperte di
tetti piatti, o di cupole schiacciate, con i loro
campanili quadrati e arcate movimentate sostenute
da colonnine, offrono lo stile d´architettura
longobarda che precedette il Rinascimento, stile dal
carattere di molto superiore a quello di un gran
numero di monumenti dei secoli scorsi, in cui la
bellezza plastica scompare sotto la ricchezza di
ornamenti inutili e di elementi architettonici del
tutto ridicolamente involuti.
Se l´interno della città é triste e deserto, le fabbriche
che offre nel suo largo sviluppo sono di un bello
stile. E poi, palme, cipressi ed alcuni altri alberi che
si levano qua e là fra le case e contrastano con le
fabbriche, rendono la vista pittoresca e piacevole.
Costeggiando il cordone spesso interrotto delle
mura, si trova il castello, le cui torrette son in un
certo qual modo ombreggiate dalle nubi di corvi che
sono i loro soli abitanti. Si nota la solida costruzione
composta da pietre tra esse perfettamente
combacianti, e che sembrano essere andate oltre il
tempo.
Non lungi, si trova
un´antica fontana
che
chiamavano
Appia, oggi Fontana
Tancreti.
Alcuni
fanno risalire la sua
costruzione
a
Appio il cieco, altri
a Traiano. Ha due
serbatoi quadrati
attraversati da un
arco, con un tetto
piramidale
di
pietra. Il cartiglio e le iscrizioni occupano il centro
del muro tra i due serbatoi, uniti da un canale che fa
da abbeveratoio per le bestie, e forma in un certo
qual modo il basamento della fonte. Il governatore
de Torres, la riattivò nel 1618 e vi furono attaccate
tutte le altre fontane della città.
E poi, le tante rovine: terme, tombe, mosaici, vecchi
pezzi di mura, cui si assegnavano denominazioni
fastose: qui la casa deve spirò Virgilio; vicino, quella
dove Cicerone, divorato dall´ inquietudine e indeciso
tra i due rivali che si contendevano l´impero del
mondo, attendeva lo sviluppo di quella grande
tragedia; più lontano, i resti dei palazzi, dimora di
Pompeo o Cesare».
SCHEGGE DI STORIA BRINDISINA ...
... dalle Cronache dei Sindaci di Brindisi
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di Gianfranco Perri
Il 20 agosto 1797, passando da Brindisi il letterato e
pittore francese Antoine-Laurent Castellan, scrisse
sulla città e sui cittadini: scrisse pagine e pagine, e
qui si riporta una selezione di quelle pagine “sui
Cittadini”.
«Dopo circa due settimane di quarantena, trascorsa
tra l´imbarcazione, il Lazzaretto e il bagnasciuga
della fontana, finalmente sbarchiamo in città. Non
c´é una sola locanda decente a Brindisi, ma si offre
l´ospitalità
con
una
franchezza
ed
un
disinteressamento degni dei tempi antichi. La gente
agiata adatta un padiglione o un appartamento della
sua casa come foresteria, destinata a ricevere gli
stranieri o i viaggiatori, e poi pratica nei loro
confronti tutte le virtù dell´ospitalità. Ci ospita Don
Pippo, Philipe They, un giovane amico appartenente
ad una famiglia rispettabile della Provenza,
stabilitasi in questo paese da lungo tempo. Nella sua
casa ci accolse con una colazione, delle bibite e altre
bevande d´ogni tipo.
Si sa che il nome di questa
cittá esprime in tutta Italia
gli auguri che si formulano
quando si beve alla salute
di qualcuno. La parola
brindisi
deriva
dall´abbondanza e dall´ottima qualità dei vini di
Brindisi, o dal debole dei suoi abitanti per i piaceri di
Bacco, o dall´uso che qui si aveva, d´improvvisare
alcune rime ad ogni bicchiere di vino che si beveva;
uso che esiste ancora in alcune città d´Italia e
persino in Roma. Però, un saggio antiquario di
Brindisi, dà a questa parola una più nobile e più
antica etimologia: egli la fa risalire ai romani, i quali
avevano l´usanza di accompagnare i parenti e gli
amici fino a Brundisium, o di venire ad incontrarli
qui al loro ritorno, ed egli fa derivare l´espressione
“far brindisi” dal nome del luogo in cui avvenivano
gli addii, gli auguri per la buona riuscita del viaggio,
e dove poi ci si rivedeva, al ritorno, per la prima
volta.
Peró, la città é povera, non ci sono quasi affatto
botteghe, e non hanno che gli articoli di prima
necessità. Se si vuole il più piccolo oggetto di lusso,
bisogna farlo venire da Lecce, Barletta, e persino da
Napoli. Le malattie hanno spopolato intere strade, il
popolo si nutre poco e male, e stuoli di mendicanti
premono alle porte di chiese e conventi, dove si
distribuisce minestra. La maggior parte dei bambini
non raggiunge la pubertà; gli altri, pallidi e senza
forza, trascinano un´esistenza triste e dolorosa che
finisce spesso con spaventose malattie. Gli ammalati
son tanto numerosi, che un solo ospedale no é piú
bastato, e ce n´é voluto un secondo; e gli abitanti
diminuiscono ogni giorno, soprattutto durante i
caldi.
Chi abita in campagna pare godere di maggiore
agiatezza, anche a giudicare dall´abito delle donne,
che é molto ricercato. In generale però, il costume
degli abitanti di Brindisi ci é parso singolare; un po’
meno quello delle donne, le quali accettano più o
meno le mode francesi e inglesi, mentre gli uomini
vestono ancora come in Francia cinquant´anni fa.
Senza esagerare, la metà degli abitanti della città
popola i conventi: in un luogo in cui mancano le
industrie, il commercio, e quindi ci sono poche
ricchezze, si preferisce la vita in comunità a quella di
una normale famiglia; essa é meno costosa e offre
risorse
ben
maggiori. D´altronde
i monasteri hanno
un
reddito
e
proprietà, le quali,
essendo inalienabili,
sono al sicuro dalle occasioni che spesso depistano
la fortuna dei privati. L´esiguità dei mezzi della
maggior parte delle famiglie le pone nell´
impossibilitá di dedicarsi ai dispendiosi piaceri della
società. Nei conventi si é accolti; qui si trova una
certa compagnia; si fanno parecchi tipi di giochi; si fa
musica; i parlatori divengono veri salotti e in alcuni
si fa a meno persino della ruota e della grata. Per ciò,
giovani allevati sin dall´infanzia in un luogo che di
convento ha il nome senza averne l´austerità, lo
preferiscono al mondo che non conoscono e persino
alla casa paterna. Qui non godrebbero infatti dei
piaceri offerti da quei ritiri religiosi, dei quali si fa
loro apprezzare ogni fascino per convincerli a
pronunciare, fin dall´età di quattordici anni, dei voti
che procureranno loro, per il resto della vita,
un´esistenza
almeno
assicurata,
se
non
assolutamente indipendente. Il maggiore della
famiglia, destinato a perpetuarne il nome, eredita la
totalità di un esiguo patrimonio e i cadetti, ridotti a
una legittima ancor più esigua, entrano in qualche
comunità, o partono con cappa e spada, a cercar
fortuna».
SCHEGGE DI STORIA BRINDISINA ...
... dalle Cronache dei Sindaci di Brindisi
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di Gianfranco Perri
Il 20 agosto 1797, passando da Brindisi il letterato e
pittore francese Antoine-Laurent Castellan, scrisse
sulla città e sui cittadini: scrisse pagine e pagine, e
qui si riporta un episodio di quelle pagine “sui
Cittadini”.
«Passando un giorno sul lungomare, siamo stati
colpiti dalla folla che si accalcava alla porta d´una
casa dove si udiva musica. Ci fanno spazio e ci
invitano anche ad entrare in una stanza bassa che
serviva, da parecchi anni, da teatro per vedere le
formalità osservate per la guarigione della puntura
della tarantola.
I muri di questa grande
stanza erano ornati di
ghirlande di foglie, di
mazzolini di fiori e di
pampini con i loro
frutti;
erano
stati
persino appesi, di tanto
i tanto, degli specchietti
e nastri di tutti i colori;
una
compagnia
numerosa
sedeva
intorno
all´appartamento,
e
l´orchestra occupava un
angolo: era composta
d´un violino, d´un basso,
d´una chitarra e d´un
tamburo basco. Ballava una donna: aveva solo
venticinque anni, e gliene avresti dati quaranta; i
suoi tratti regolari, ma alterati da un´eccessiva
magrezza, gli occhi spenti, l´aspetto triste ed
abbattuto, contrastavano con la sua toilette molto
ricercata e variopinta di nastri e merletti d´oro e di
argento; le trecce dei capelli erano sciolte, e un velo
bianco le ricadeva sulle spalle; ballava senza
sollevarsi, con noncuranza, girando senza posa su se
stessa e molto lentamente; le due mani tenevano le
cocche di un fazzoletto di seta muovendolo al di
sopra della testa, che talvolta rovesciava all´indietro:
in quello stato ella ci offriva assolutamente la posa di
quelle baccanti che si vedono su certi bassorilievi
antichi. Il motivo che si suonava in quel momento
era languido, cadenzato, e ripetuto a capo fino a
sazietà. Dopo si cambio motivo senza interrompere
il tempo; questo motivo era meno lento, e un terzo
divenne più intenso, precipitoso e saltellante. Questi
brani di musica formavano una successione di
rondò, o quello che noi francesi chiamiamo ‘pot
pourri’. Si passava dall´uno all´altro, ritornando
infine al primo, per concedere un po’ di tregua a
colei che ballava, e permetterle di rallentare il passo,
senza però smettere di ballare; ella seguiva il
movimento della musica; e, come la musica si
animava, lei si agitava e girava con più intensità; ma
il sorriso non tornava sulle labbra esangui, la
tristezza continuava ad essere stampata nello
sguardo, rivolto ora verso il soffitto, più spesso verso
terra, oppure a caso, senza fissare nulla, benché si
cercasse di distrarla
con ogni sorta di
mezzi.
Le offrivano fiori e
frutta; lei li teneva un
momento in mano, poi
li
gettava;
le
presentavano
anche
fazzoletti di seta di
diversi colori; lei li
scambiava col suo, li
agitava in aria per
alcuni istanti e li
restituiva
per
riprenderne
altri.
Parecchie donne della
compagnia hanno in
seguito partecipato e
ballato con lei, in modo da attirare la sua attenzione
e di ispirarle gioia, ma senza potervi riuscire. Il
violento esercizio che lei sembrava prendere a
malincuore e con una sorta di trascinamento
irresistibile, doveva stancarla molto; il sudore le
scendeva dalla fronte; il petto era affannoso, e ci
hanno informato che tale stato sarebbe terminato
con una completa cessazione delle facoltà; che allora
la si doveva trasportare al letto; che l´indomani, al
risveglio, avrebbe ricominciato a ballare e che i
giorni seguenti avrebbero usato lo stesso rimedio,
finché le fosse stato procurato un sollievo. Lo
spettacolo aveva qualche cosa di penoso e mi ha
molto più intensamente colpito quando ho appreso
l´interessante storia di quella malata: non é stata
punta dalla tarantola, benché ne sia persuasa, però
la si lascia nell´errore per nasconderle o per farle
dimenticare la vera causa del suo stato, e per non
toglierle ogni speranza di guarigione».
1797-1798: Brindisi tra fatti ordinari SCHEGGE DI STORIA BRINDISINA ...
... dalle Cronache dei Sindaci di Brindisi
e qualche evento straordinario
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di Gianfranco Perri
Il 24 ottobre 1797 l`arcidiacono Annibale de Leo,
nato a San Vito degli Schiavoni, in diocesi di Ostuni il
16 giugno 1739, ordinato sacerdote il 5 giugno 1762,
laureato in diritti Canonico e Civile a Napoli il 7
agosto 1762, canonico cantore e vicario capitolare
brindisino, ottenne la nomina regia ad arcivescovo
di Brindisi e fu consacrato in Roma dal cardinale
della Somaglia il 2 febbraio 1798.
Nel 1797 si pubblicò il "Dizionario del regno" di
Lorenzo Giustiniani, dove tra le note di economia si
legge: «Nel mare di Brindisi si
pesca ancora un certo testaceo
bivalve, dal quale ne cavano quella
lana, che vendono a' tarantini,
eccellenti
lavoratori
della
medesima, riducendola ad un
bellissimo filo, che si dice lana
penna. Le fave, i brindisini hanno
una
maniera
particolare
di
cuocerle, ed è quella d`infornarle,
ma in modo preparate, che le
mandano in regalo, essendo
buonissime. Le donne lavorano
delle variate paste di finissima
semola, le quali vengono ricercate
da ogni dove, ed è per quella
popolazione un capo di commercio,
e di guadagno. Le medesime
lavorano anche bene la bambagia, i
peli di lepri e di conigli, facendo
della bambagia fini dobletti, e de' secondi calze,
guanti, camiciole e barettini, che sono molti
ricercati».
Il 2 settembre 1798 giunse a Lecce il dispaccio per la
leva forzosa, che fu disapprovato dalle popolazioni
del regno; allora dal bagno penale di Brindisi
evasero a frotte i malandrini, ingrossarono le file dei
fuggiaschi della leva e misero a soqquadro la città.
Nel 1798 fu fondata da Annibale De Leo la biblioteca
pubblica arcivescovile di Brindisi. Il decreto regio fu
accompagnato dalla seguente lettera di Carlo De
Marco, ministro segretario di Stato, amico e
familiare di De Leo, datata il 7 settembre 1798 da
Napoli: «Illustrissimo e reverendissimo signore. Tra
tutte le opere degne dell`episcopal cura, nelle quali
V.S. si va con universal approvazione esercitando, il
re con occhio di special considerazione ha
riguardato lo stabilimento di una bella pubblica
biblioteca, ch`ella si propone di fondare, non sol
collocandovi tutti i libri di vario sapere da lei in gran
numero e con ingente spesa per lungo spazio di
tempo raccolti, ma sì dotandola di annua speciosa
rendita per il suo mantenimento. Quindi la M.S.,
dopo aver interpellata non meno la real Accademia
delle Scienze e Belle Lettere e dopo che la real
Camera si è degnata approvar le leggi da V.S.
ordinate per la conservazione e aumento della
suddetta biblioteca, ha comandato che si interponga
il regio assenso».
Quell`anno 1798, e per già la
seconda volta, dopo quella
del 1796, il brindisino
Teodoro
Monticelli
fu
processato a Napoli, «per
giacobina congiura» e fu
condannato a scontare alla
Favignava la pena di 7 anni
infliattagli.
E fu nel 1798, che il ministro
brindisino Carlo De Marco
tentò di far evitare la guerra
contro i francesi, esprimendo
al re il suo consiglio di non
intervento armato a fianco di
Austria, Inghilterra, Russia e
Turchia. Egli disse: «V.M. non
deve entrare in un nuova
guerra contro la Francia, e
dovete riputarvi fortunato d`aver conchiuso con essa
una pace gloriosa. I nostri popoli faticati non
vogliono sentir parlar di guerra. Serbando V.M. la
neutralità, farete la felicità vostra e loro: laddove la
guerra mi fa prevedere delle conseguenze fatali per
esse, e per il vostro trono. Io vi consiglio piuttosto a
seguire l`esempio del re di Spagna, e qualora non
vogliate essere alleato della Francia, né lo siate
neppur nemico. Vi prego profittate, or ch`è tempo, di
questa occasione per restringere i vincoli del sangue
e dell`amicizia con vostro fratello. L`Austria e
l`Inghilterra procurano di fare i propri vantaggi colla
rovina altrui, ed esse vi abbandoneranno, tosto lo
crederanno opportuno. V.M. si troverà allora senza
forze e senza risorse, i popoli disgustati e senza
protezione. La pace sola potrà render tranquillo e
sicuro il vostro trono, e felici i nostri popoli».
Il re non lo ascoltò, ma ascoltò la moglie, e fu guerra!
SCHEGGE DI STORIA BRINDISINA ...
... dalle Cronache dei Sindaci di Brindisi
ccc ccccccccccc
di Gianfranco Perri
I fatti: Dieci anni prima, il 14 luglio 1789, scoppia la
rivoluzione francese. Il 21 gennaio 1793 il re di
Francia Luigi XVI è ghigliottinato, così come, il 16
ottobre, la moglie Maria Antonietta di Asburgo
Lorena, sorella di Maria Carolina regina di Napoli e
moglie del re Fernando IV. Il 23 ottobre 1798 il
regno di Napoli entra in guerra, con Austria
Inghilterra Russia e Turchia, contro la Francia ed è
sconfitto dai francesi comandati da Championnet. Il
21 dicembre il re Ferdinando IV, con la famiglia e la
corte, lascia Napoli di nascosto sul vascello inglese
Vanguard per Palermo, proclamandosi lì Ferdinando
I del regno di Sicilia. L`11 gennaio 1799 si firma
l`armistizio e a Napoli scoppia la guerra civile tra
monarchici, i lazzari, e repubblicani, i giacobini. Il 20
gennaio i francesi entrano a Napoli e il 23 gennaio
viene proclamata la Repubblica Napoletana, o
Partenopea.
Era questi invece un corso, Raimondo Corbara, e
volò subito questa voce per le province ed in meno
di dodici giorni furono spedite a Brindisi molte
deputazioni. Il corso fu consigliato, anche dalle
principesse francesi, a secondare pel meglio l`errore,
e sostenne bene la sua parte, e con una certa autorità
volle e ottenne si sedasse il tumulto e che fossero
posti in libertà gli arrestati. Lo stesso consiglio fu
suggerito alle deputazioni alle quali non si
nascondeva la verità, e tutte, accettando il consiglio
di seguire il comune errore, gli protestarono, in
nome del legittimo sovrano, il costante loro
attaccamento e fedeltà. Dopo ciò, il principe di scena
Corbara, si imbarcò per Corfù onde ottenere, egli
diceva, dalle potenze alleate che la sitavano,
soccorso e truppe regolari a difesa contro i nemici
francesi, quando venissero in queste province.
E a Brindisi... «Dal 24 gennaio 1799 non
giunsero notizie nè da Napoli né da Lecce. Il 4
febbraio Vittoria e Adelaide, principesse di
Francia e zie di Luigi XVI, giunsero nel porto
di Brindisi, associate da una nobile comitiva
che fuggiva dalle truppe francesi, in attesa di
un sicuro imbarco per Corfù, dove furono poi
portate da due fragate Russe.
L`8 febbraio si seppe a Lecce, e quindi nella
provincia, della fuga del re da Napoli a
Palermo e della proclamata Repubblica. La
notte del 14 febbraio, il popolo di Brindisi
tumulto contro quelli che nella città
congiurassero contro il re, pretendendo così di
prenderne la difesa. Gli abitanti del quartiere della
marina, sciabicoti, erano alla testa della rivoluzione
che nel seguente giorno 15 divenne assai grave.
Quasi tutti i gentiluomini, e l`arcivescovo Annibale
De Leo, furono arrestati e tradotti al castello. Si
sarebbe forse passato a misure più gravi se non
fosse stato per un avvenimento provvidenziale.
Sull`ore 16 si sparse la voce, infondata, che il
principe ereditario di Napoli fosse in incognito tra
un gruppo di emigrati corsi, che erano giunti in città
in cerca di un imbarco per Corfù, essendosi
dichiarati contrari alla rivoluzione francese. Tanto
bastò perché non si pensasse più a perseguire i
giacobini, ma ad onorare il principe, che fu portato
alla chiesa Cattedrale su un cocchio tirato sulle
spalle.
Il 9 aprile giunse un vascello francese nominato
Generoso, seguito da quattro trasporti con mille
uomini da sbarco, viveri e munizioni di guerra.
S`impegnò l`azione col Forte a mare che, mal
provveduto di guarnigione e di munizioni di guerra,
capitolò dopo tre ore di valida resistenza. Anche la
città dette i segni della resa, e poi spedì sul vascello
una deputazione parlamentare, composta dalle
autorità, fra le quali l`arcivescovo. Questa fu
benignamente accolta e fu assicurata che sebbene la
città sarebbe occupata dalla truppa, pure questa vi
entrerebbe da amica. Dopo lo sbarco, quella stessa
notte, un tentato attacco per terra, da parte di una
massa di sanfedisti, fu respinto. Dopo solo otto
giorni, premurati da replicati ordini del generale di
Bari, inchiodati i cannoni e buttata in mare la
polvere della fortezza, tutti i soldati francesi
evacuarono la città».
Fine della repubblica napoletana SCHEGGE DI STORIA BRINDISINA ...
e sue ripercussioni in Brindisi
di Gianfranco Perri
La Repubblica Napoletana del 1799, sostenuta
dall`esercito francese, ebbe una vita molto effimera,
formalmente dal 23 gennaio all`8 luglio, quando il re
Ferdinando IV di Napoli, scortato dalla flotta inglese
di Nelson, ritornò da Palermo, dove si era rifugiato
dopo che l`esercito repubblicano dei francesi lo
aveva sconfitto.
Era accaduto che il cardinale Fabrizio Ruffo,
sbarcato il 7 febbraio in Calabria in nome del
sovrano Borbone, facendo leva sull`odio delle masse
contadine
nei
confronti
dei
proprietari,
sommariamente identificati tutti nei giacobini, riesce
a controllare tutta la regione e avanzare poi in
Basilicata e in Puglia, da dove in aprile le truppe
francesi sgomberano in seguito alle
notizie delle sconfitte subite in
Lombardia a opera degli austriaci: il
16 aprile, dopo soli 8 giorni di
occupazione, le truppe francesi, che
giunte dal mare avevano conquistato
Brindisi, lasciano la piazza dirette a
Bari.
La riconquista di Napoli da parte del
cardinale Ruffo, avvenuta il 13
giugno, fu notificata alle province
lontane da molti corrieri. A Lecce la
notizia giunse il 26, a Brindisi il 27, e
si fecero feste e baldorie.
Agli ultimi repubblicani trincerati in
Castel Sant'Elmo, il cardinale Ruffo
offrì una capitolazione onorevole, che l'ammiraglio
Nelson non avallò, così nei mesi seguenti, nel
tribunale speciale del nuovo regno delle Due Sicilie,
si celebrarono i processi contro i repubblicani: su
circa 8000 prigionieri processati, 124 furono
condannati a morte, 222 all'ergastolo, 322 a pene
minori, 288 alla deportazione, 67 all'esilio e 6 furono
graziati.
In carcere a Portici e ai Granili, risultarono essere di
Brindisi il militare Giovanni Pagliara, nato nel 1777
figlio del dottor fisico Giacinto e di Saveria Carasco, e
lo studente Cherubino Balsamo, nato nel 1776 figlio
di Domenico e di Grazia Maiorano di Piano di
Sorrento. E a Lecce furono processati Giuseppe e
Pietro Montenegro, fratelli e padri celestini. Però, tra
tutti i brindisini, certamente il più compromesso con
la causa giacobina fu il savio Teodoro Monticelli, il
quale si salvò dal patibolo del 29 ottobre 1799, solo
... dalle Cronache dei Sindaci di Brindisi
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perchè, trascorsi già tre anni di prigionia nel Castel
Sant`Elmo, era poi stato condannato di nuovo dal
Tribunale della Gran Causa dei Rei di Stato, nel
processo del 1798, ad altri sette anni nella torre di
Favignana, in Sicilia. Nel 1801, dopo la pace con i
francesi, fu invece dal re graziato e fatto liberare, con
tutti i prigionieri politici.
Ci fu però un altro illustre brindisino al quale il
destino in questa circostanza non fu favorevole:
Carlo De Marco, ministro e consigliere del re di
Napoli Ferdinando IV, al quale vanamente sconsigliò
la guerra contro i francesi nel 1798, contrastando in
questo il primo ministro Acton e, sopratutto, la
regina Carolina, la quale odiava ciecamente i francesi
da quando avevano ghigliottinato sua sorella Maria
Antonietta.
Lo
storico
Antonio
Lucarelli a proposito delle
cause che fecero cadere la
repubblica e tornare i
Borbone a Napoli, scrisse:
«Non a torto il nostro
conterraneo Carlo De
Marco,
apprezzato
consigliere
ed
acuto
estimatore degli eventi,
durante il maggio, quando
correvano a rovina le sorti
della
democrazia,
interrogato circa i rimedi
da opporre a tanto male,
rispose che non ne conosceva alcuno che fosse stato
efficace in quel momento, e aggiunse che se
Ferdinando Borbone aveva procurato di rovesciare
egli stesso il suo trono, i repubblicani avevano fatto
di tutto per irreparabilmente fare crollare la
repubblica».
«E fu così che S.E. Carlo De Marco, dopo quaranta
anni di segretario e di consigliero di Stato, nell`anno
1799 fu dal re spogliato, delle cariche e dei soldi,
rimanendo nell`età di anni 89 com`un privato
sconosciuto, tirando innanzi la sua decrepita età,
vendendo della roba rimastagli per poter vivere, e
avendo, due anni prima, donato al re in denaro ed in
argento ducati 40 mila. Poi si è compiaciuta S.M. a
gennaro 1802 di dargli una pensione di ducati 3000
l`anno per quei altri pochi anni che potrà vivere
essendo nato egli 11 novembre dell`anno 1711, e
morì d`anni 93, nel 1804».
1800: Mentre a Napoli si restaurava col terrore SCHEGGE DI STORIA BRINDISINA ...
A Brindisi un anno senza grandi novitá
... dalle Cronache dei Sindaci di Brindisi
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di Gianfranco Perri
Mentre a Napoli con il regno restaurato, ancora
durante l´anno 1800 si consumava violentemente la
repressione, richiesta fortemente voluta e da Nelson,
l´ammiraglio inglese che aveva riposto sul trono di
Napoli il Borbone Ferdinando IV, anche in molte
altre province del regno vennero nominati tribunali
speciali, che gareggiavano con quello di Stato,
ch´esisteva in Napoli, nel rigore contro gli accusati, i
rivoluzionari, repubblicani e giacobini che aveano
fondato o solo appoggiato l´effimera repubblica
partenopea.
A Brindisi per fortuna la situazione si
consumo in relativa calma, e tra i
brindisini non ci furono altri
processati formalmente, oltre al
militare Giovanni Pagliara e allo
studente
Cherubino
Balsamo,
processati a Napoli, e i due padri
celestini,
fratelli
Montenegro,
processati a Lecce.
«Il 3 gennaio 1800, per garantire i
beni che erano stati consegnati in
prestito dalla Chiesa alla regia corte,
Annibale de Leo, arcivescovo di
questa città di Brindisi, si costituisce
alla presenza del notaio Pasquale
Giaconelli e del giudice regio ai
contratti Pasquale Pedio, per asserire
che tiene presso di sé la copia legale
dell´istrumento dell´ impiego degli
argenti della mensa arcivescovile di
detta città fatto con la regia corte stipulato a 10
ottobre 1798 dal regio notar Vincenzo Portanova,
come pure tiene presso di sé copia legale della
lettera dell´illustri signori delegati da S.M. per dargli
impieghi segnata 27 novembre detto anno diretta al
signor marchese Pietro de Pretis Fraggianni
sopraintendente della decima coll´acto della
presentata a 4 dicembre detto anno. Quindi, esso
monsignor arcivescovo, per maggior cautela sua e
de’ successori arcivescovi a detta mensa
arcivescovile,
ha
deliberato,
perché
non
disperdersino, darle tali copie di scritture, come le
da, al suddetto dottor e regio notaro per conservarle,
ed estrarne dalle medesime tante copie per quante
ne saranno richieste». Ciò nonostante però, come lo
stesso De Leo aveva previsto, i sovrani mai fecero
solvenza di quella consegna ricevuta.
Il 31 marzo 1800, donna Giuseppa Secchia, vedova
del notaio Francesco Caracasco, dichiarò in pubblico
atto: «Come nella notte essendo stato assalito da
insulto apoplettico suo marito, verso le ore quattro
circa, Pasquale Alessano, fratello di Mauro, primo
marito di Giuseppa Secchia, venne e si prese dalla
sacca del calzone dello stesso che stava
all´appendirobbe di abeto, una chiave con cui aprí il
baulo ch´era di pertinenza di detto suo marito, dal
quale n´estrasse un involo grosso di denaro, che per
il peso se lo dové appoggiare sul lombo,
sostenendolo colla mano,
qual
essendoli
stato
richiesto per darcelo, lo
stesso Alessano le rispose:
no, no li tengo io. E così se li
portò seco, senza sapere
dove li ripose, non avendolo
potuto assistere, perché
piangeva
l´imminente
perdita del suo marito».
Il 6 maggio 1800, verso
l´ore otto circa dalla città di
Lecce parti il preside,
Tomaso Luperto, non tanto
borbonico,
con il suo
segretario Pipino Pedai, e il
giorno dopo, verso l´ore
ventitré, arrivo a Lecce il
nuovo preside, che doveva
poi risultare essere l´ultimo,
marchese della Schiava casata Mastrillo, borbonico,
col suo assessore signor Pellegrini.
Nel settembre del 1800 fu a Brindisi una compagnia
di comici. L´arcivescovo De Leo Annibale, regio
consigliere a latere, emise un editto il 22 dello stesso
mese, nel quale, tra l´altro, si puó leggere:
«Ingiungiamo che niuno degli ecclesiastici di
qualsiasi grado concorra per vedere, e sentire le loro
rappresentanze sceniche, sotto pena, per li già
promossi a’ sacri ordini, di sospensione, e d´inabilità
a conseguirli rispetto ai promovendi. In questo
medesimi incontro ripetiamo il divieto, che i canoni
fanno agli ecclesiastici di assistere ai giuochi che si
fanno nelle botteghe, spezierie, ed altri ridotti, ove
concorre ogni sorta di gente; molto piú interdiciamo
loro di giuocar ivi a carte di giuochi anche leciti,
attesa l´ammirazione, e lo scandalo de’ secolari».
SCHEGGE DI STORIA BRINDISINA ...
... dalle Cronache dei Sindaci di Brindisi
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di Gianfranco Perri
Dopo che fu firmato il trattato di pace fra il Re di
Napoli, ora chiamato delle Due Sicilie, e la
Repubblica Francese, a Firenze il 28 marzo 1801, le
navi francesi rimasero nel litorale adriatico per far
rispettare che «Tutti i porti de' regni di Napoli e di
Sicilia saranno chiusi a tutti i bastimenti di guerra e
di commercio turchi ed inglesi fino alla conclusione
tanto della pace definitiva tra la Repubblica francese
e quelle due potenze e tanto delle differenze insorte
tra Inghilterra e le potenze del nord Europa,
particolarmente tra la Russia e l`Inghilterra. I detti
porti resteranno al contrario aperti a tutti
bastimenti di S.M. imperiale di Russia, ed agli stati
compresi nella neutralità marittima
del nord, come la Repubblica francese
e i suoi alleati. E se in conseguenza di
questa determinazione S.M. il re si
trovasse esposta agli attacchi de'
turchi, o degl`inglesi, la Repubblica
francese s`impegna a mettere alla
disposizione di S.M. per essere
impiegato alla difesa de' suoi stati, e
dopo la sua domanda, un numero di
truppe uguale a quello che le sarà
spedito in aiuto da S.M. imperiale di
Russia».
L`articolo venne disatteso e vi furono
vere battaglie, tra navi inglesi,
francesi e napoletane.
«Il 13 giugno 1801 verso le quattro
del pomeriggio, un brigantino
borbonico, il Lipari, che recava a bordo 64 soldati al
comando del tenente di vascello Ruggiero Settimo,
ed era seguito da una polacca sorrentina carica di
frumento, entra nel porto di Brindisi. Erasi quivi
appena ancorato, quando appaiono quattro vascelli
britannici, i quali cannoneggiano con violenza le due
navi, che minacciano di affondare gravemente
colpite. Gl`inglesi quindi accorrono con una squadra
di lancioni, e catturate le artiglierie insieme al
comandante col pilota, tentano di trascinar seco i
legni pericolanti. A questo punto intervengono i
francesi e divampa furiosa la mischia, a cui
partecipano le fortezze brindisine: granatieri
francesi e marinari britannici trovano la morte».
Dai registri dei morti della Cattedrale di Brindisi
però, non risultano decessi francesi per tale evento.
Ma risultano morti nell`ospedale regio, senza i
sacramenti, molti dei soldati francesi che erano nel
circondario della città e che venivano sepolti nelle
chiese, alcuni con famiglia, decimati i più dalle
febbri malariche.
A Mesagne, vi era alloggiato e mantenuto con vitto
un battaglione costituito da 350 soldati francesi.
Questi e tutti gli altri, tra il 30 di aprile e il 5 di
maggio dell`anno 1802, giusto gli accordi firmati l`11
aprile dai francesi e dagli inglesi nel trattato di pace
ad Amiens, avrebbero dovuto sgombrare la
provincia di Terra d`Otranto dove si erano
comportati da conquistatori. Non lo fecero e
cominciarono solo dopo a partir a più riprese.
L`esercito francese infatti,
fece ufficialmente ritorno
in Terra d`Otranto e in
provincia di Bari, il 15
luglio 1803, per le
difficoltà sorte tra francesi
e inglesi. Agli ultimi di
dicembre
Francia
vi
mandò le truppe cisalpine,
composte di veneti, di
genovesi, di romani, di
siciliani, e di leccesi.
Volevano
che
si
chiamassero
italiani,
benché fossero frammisti
a polacchi. A Brindisi i
soldati
francesi
mancarono
solo
dal
maggio 1802 al luglio
1803, e a Lecce, nell`aprile del 1804, se ne contavano
oltre 3000, sotto il comando del generale Lechi.
ll 15 novembre 1805, nacque a Brindisi Giovanni
Tarantini, da Vincenzo e Apollonia Polito «fu
arciprete e fu archeologo, amicissimo del prof.
Henzen dell`Istituto germanico in Roma e di Teodor
Mommsen, prese anche parte al IV Congresso
internazionale di orientalisti a Firenze e al
Congresso preistorico di Bologna».
Ferdinando IV di Borbone, indotto dalla regina,
festeggiò la vittoria del 21 ottobre 1805, dell`armata
inglese sulla flotta franco-spagnola a Trafalgar, e
questo fu uno dei vari pretesti perché i francesi
rioccupassero il suo regno facendolo di nuovo
fuggire da Napoli per la Sicilia, il 23 gennaio 1806.
Fu deposto dai francesi il 13 febbraio dello stesso
anno quando Giuseppe Napoleone entrò in Napoli, il
quale, nel maggio, fu proclamato re.
SCHEGGE DI STORIA BRINDISINA ...
... dalle Cronache dei Sindaci di Brindisi
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di Gianfranco Perri
Il 26 ottobre 1805 il re Ferdinando I del regno delle
due Sicilie ratifica un trattato con l´Austria, la Russia
e la Svezia contro la Francia, eppure il 9 di quello
stesso mese, cioè solo 17 giorni prima, aveva
ratificato con la Francia un trattato col quale da una
parte egli si obbligava a mantenersi neutrale, e
dall´altra la Francia si obbligava a sgombrare dal
regno, entro 30 giorni, le truppe che vi teneva in
forza del trattato di pace concluso il 28 marzo 1801
a Firenze.
Napoleone, indignato, dopo la
vittoria di Austerliuz e dopo la pace
di Presburgto, muove contro Napoli
e vi manda suo fratello Giuseppe con
37 mila combattenti, assistito dal
generale
Massena.
Subito
abbandonato da Inglesi e Russi, il re
Ferdinando I allora fugge, anzi
rifugge a Palermo, il 23 gennaio
1806, e il 14 febbraio le truppe
francesi entrano a Napoli, e a
maggio Giuseppe Bonaparte é il
nuovo re del regno delle Due Sicilie:
é ormai passato infatti il tempo delle
repubbliche giacobine e Napoleone
é già imperatore dei francesi dal 2
dicembre 1804, e re d´Italia dal 26
maggio 1805.
Il marchese della Schiava fu l´ultimo
“preside” della provincia di Terra
d´Otranto e il 7 marzo 1806 fu nominato, dal
governo napoleonico, il conte Francesco Anguissola,
che da allora in avanti, si chiamò “intendente“ fino a
quando si venne a chiamare “prefetto“. Lecce fu
capoluogo della provincia che fu divisa in due
sottintendenze, quella di Taranto e quella di
Mesagne, nel cui distretto furono compresi i comuni
di Campi, Salice, Francavilla, Oria, San Vito degli
Schiavi, Ostuni, Martina, Ceglie e Brindisi. Mariano
Monticelli, brindisino, fu il primo sottintendente di
Mesagne. Sindaco di Brindisi era già Teodoro
Vavotici, e ci rimase per ancora un paio d´anni. I
corpi rappresentativi dei comuni presero il nome di
“decurionati“ e a parteciparvi furono chiamati i
possidenti, in numero di 10 e che avessero non
meno di 48 ducati di rendita nelle città da 3000 a
6000 abitanti, e in numero del 3 per mille degli
abitanti e con non meno del doppio di rendita nelle
città più popolose. L´elezione dei decurioni era
affidata al sorteggio, e quella del sindaco e dei
deputati alle varie commissioni comunali, con un
voto di maggioranza.
Assunto al trono del regno Giuseppe Bonaparte, vari
brindisini audaci e coraggiosi onorarono il nuovo
sovrano dando ai propri figli, con il battesimo, il
nome Giuseppe Napoleone, ma in tutta la provincia
non
mancarono
gli
oppositori.
L´abate
Antonio
Tanza,
vicario
generale
dell´
arcidiocesi
di
Taranto,
informò in quella città «che la
sera del 17 luglio si era
congiurato contro i francesi
per far seguire la rivoluzione,
il massacro e, alle ore 18,
l´incendio
del
palazzo
arcivescovile. L´azione fu
sventata per l´intraprendenza
dello stesso Tanza e del clero
tarantino. Anche a Manduria
in quei giorni fu scoperta una
congiura, e altra congiura
sincrona, fu sventata a
Brindisi, ma i congiurati non
furono acciuffati.
Tra i “briganti filo-borbonici”
che combatterono contro I
napoleonidi vi fu anche tale “Brindesi“, che non si sa
se fosse cittadino di Brindisi.
Il 2 agosto 1806 il nuovo re abolì la feudalità e il 12
dello stesso mese stabilì «che tutte le popolazioni del
regno mantengano un maestro ed una maestra per
insegnare i primi rudimenti a’ fanciulli».
Inoltre, tra agosto e dicembre 1806 si stabilì «che
non si riconoscesse più alcuna differenza fra i ceti, e
che tutti i cittadini potessero aspirare ai pubblici
impieghi, purché avessero la qualità di proprietario
probo e idoneo, e che le università fossero sottratte
ai baroni e risentissero esclusivamente la direzione
dell´autorità governativa».
Il 14 novembre 1806, con determinazione sovrana,
furono nominati i docenti dell´Università di Napoli e
il brindisino illustre Teodoro Monticelli, di antica
fede giacobina, ebbe la cattedra di Teologia morale.
SCHEGGE DI STORIA BRINDISINA ...
... dalle Cronache dei Sindaci di Brindisi
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di Gianfranco Perri
Quando Giuseppe Bonaparte era ancora comandante
in campo dell´armata imperiale francese di Napoli,
aveva determinato «in nome dell´imperatore de’
francesi e re d´Italia, nostro augustissimo fratello e
sovrano» la continuazione ed il restauro della via
Egnazia, da Napoli fino alla Puglia.
E il 5 marzo del 1808, l´adesso re
delle Due Sicilie, Giuseppe Bonaparte
emanò il decreto per la costruzione e
direzione di una strada rotabile da
Bari a Lecce. «Il primo tratto da Bari
a Monopoli. Il secondo tratto da
Monopoli
ad
Ostuni
passerá,
abbandonandovi l´attuale via della
marina, per Fasano. Il terzo tratto da
Ostuni a Lecce si condurrà per
Brindisi, e poi, passando per
Tuturano, San Pietro Vernotico,
Torchiarolo e Surbo, perverrà a
Lecce. La suddetta strada sarà fatta a
spese del tesoro del regno e delle
offerte volontarie delle popolazioni
che vorranno concorrere alla spesa,
sia in danaro, in generi, in trasporti, o
in giornate di travagliatori».
L´amministrazione reale di Giuseppe
Bonaparte in Napoli ebbe però vita
breve, perché nel maggio del 1808,
Napoleone lo trasferì in Spagna
nominandolo re ed il 1° agosto lo sostituì,
nominando re di Napoli suo cognato, marito di sua
sorella minore, Carolina, Gioacchino Murat, già
maresciallo dell´impero.
Il 24 e 25 ottobre, il consiglio generale della
proivincia di Terra D´Otranto, dopo aver fatto notare
che i fondi per le strade regie e consolari non erano
ancora pervenuti, propose la riadattazione delle più
importanti vie provinciali, quelle che da Lecce,
capitale e centro della provincia, si irradiavano
verso le cittá principali del Salento: Otranto,
Taranto, Gallipoli e Brindisi.
Il consiglio passo quindi a discutere le proposte del
distretto di Mesagne, relative alla necessità di
“nettare il porto di Brindisi” e del distretto di Lecce,
relative a “riattarsi” i porti di Gallipoli e Otranto; ma
concluse che «tali opinioni non essendo ancora
assicurate, non potevano essere avallate dall´
assemblea; e aggiungeva che in opere di tanta
importanza tuttavia non bisognerebbe mai
trascurare di consultare i paesani, giacché si é
osservato costantemente che gl´ingegneri i quali di
tratto in tratto sono stati spediti, hanno
ordinariamente formati de’ piani stravaganti, e
spesosi, ragione per cui o non hanno avuto effetto, o
sono andati avanti
molto male».
I francesi chiusero
molte case religiose in
tutto il regno, e Brindisi
non fu l´eccezione.
L´arcivescovo De Leo
ne
fu
molto
rammaricato e Vito
Guerreri,
a
tal
proposito,
scrisse:
«Quel che però lo
trafisse nel cuore e a
non darsene pace infin
che visse, fu la general
soppressione
degli
ordini religiosi eseguita
tra il 1808 e il 1809
dagli
invasori.
Zelantissimo qual era
del
suo
pastoral
ministero, non senza
sospirarne, vide tolte
alla sua Chiesa ben nove case religiose che ne avevan
formato la più bella decorazione, tanto per
l’istruzione morale e scientifica, quanto pe’ soccorsi
giornalieri che ne riceveva la povertà, e quanto
finalmente, per la perdita di soggetti, de quali valersi
poteva da ottimi, laboriosi e assidui collaboratori
della vigna di Gesù Cristo affidata al suo ministero».
Il 1º gennaio 1809, il re Murat introdusse nel regno
il Codice Napoleonico, giá alla fine del 1808
pubblicato a Napoli tradotto all´italiano dall´
originale francese emanato il 21 marzo del 1804, il
quale, tra le varie riforme, legalizzò, per la prima
volta, il divorzio, il matrimonio civile e l´adozione,
cosa che non venne molto gradita dal clero. Il Codice
Napoleonico ebbe un´importanza trascendente,
assieme ad altri suoi codici, quello di procedura
civile (1806), quello del commercio (1807), quello
penale
(1810).
Quel
Codice
Napoleonico
ammodernò lo stato e finí per confluire poi nel
codice civile italiano del 1865.
1808 -1811: Tra repressione
e amministrazione del regno
SCHEGGE DI STORIA BRINDISINA ...
... dalle Cronache dei Sindaci di Brindisi
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di Gianfranco Perri
Durante il suo regno, Murat fondò, con decreto del
18 novembre 1808, il Corpo degli ingegneri di ponti
e strade, origine della Facoltà di ingegneria a Napoli,
la prima in Italia, e la cattedra di agraria nella
medesima università, ma condannò alla chiusura,
con decreto del 29 novembre 1811, l'antica scuola
medica salernitana, buon esempio di università in
tutto il mondo. Inoltre avviò opere pubbliche di
rilievo non solo a Napoli, ma anche nel resto del
regno, come ad esempio il riattamento del porto di
Brindisi.
La nobiltà apprezzò la riorganizzazione
dell´esercito sul modello francese. I
letterati apprezzarono la riapertura
dell´Accademia Pontaniana e l´istituzione
della nuova Accademia reale, e i tecnici
apprezzarono l´attenzione data agli studi
scientifici e industriali. I commercianti
erano i più scontenti, per il blocco
imposto ai commerci di Napoli dagli
inglesi, blocco che rovinava gli affari e
contro il quale lo stesso Murat tollerava e
favoriva il contrabbando che costituiva
una ragione per accordargli il favore
popolare.
Ma
Murat
affrontò
pure
molta
opposizione, anche armata. I soldati della
legione leccese, tornati dalla festa della
bandiera tenutasi a Napoli il 25 marzo
1809, furono impegnati a reprimere un moto
insurrezionale tentato dal partito borbonico per
mezzo
di
Antonio
Mirabelli,
napoletano
diciannovenne, il quale, spacciatosi per il principe
ereditario Leopoldo Borbone, andava sollevando le
campagne del brindisino, tra Francavilla e Oria. E
nell´aprile «dalla piazzaforte di Taranto, infrante le
muraglie per via di arnesi furtivamente introdotti,
evadono i prigionieri che puntano i cannoni sulla
città e, sparando all´impazzata, uccidono o feriscono
i miseri cittadini; molti galeotti fuggono altresì dai
castelli di Lecce e Brindisi, dandosi convegno nel
bosco di Arneo. Dalle carceri di Brindisi evasero
venti forzati e tra di loro il colonnello Marulli di
Barletta».
A seguito della generale soppressione di tutti i
monasteri e conventi del regno, nel 1809 in Brindisi
toccó anche a quello dei conventuali della chiesa di
San Paolo, dove vi era l´altare dell´Immacolata
Concezione. Fu in quell´occasione che la chiesa passo
dall´amministrazione dell´arcivescovo a quella della
confraternita dell´Immacolata, grazie alla quale la
chiesa doveva poi esser salvata dalla decretata
demolizione.
Il 19 febbraio 1810 fu emanato un decreto con il
quale si disponeva l´impianto di vivai in tutti i
comuni di intendenza e sottintendenza. Il
rimboschimento nelle province era stato proposto al
re dal brindisino Teodoro Monticelli unitamente al
tarantino Gagliardo.
Agli inizi del 1811 il
governo invió, per
ispezionare i porti
della costa adriatica del
regno,
il
principe
Cariati
che
si
accompagnó con il
signor
Maurin,
costruttore di vascelli e
il signor Vincenzo
Tironi, costruttore, il
quale
presentó
la
proposta tecnica e di
spese per le opere da
eseguire
per
il
risanamento del porto
di
Brindisi:
«Le
operazioni da eseguire
dovranno
essere
impiegate per far ricevere qualunque flotta navale
numerosa, oltre quel numero di bastimenti
mercantili che col tempo potranno pervenire per un
florido e ricco commercio. Ma prima di tutto, le
operazioni dovevano essere impiegate per
distruggere tutte le cause mandanti aria malsana»
Nel dicembre dell´anno 1811, nello stato delle anime
delle parrocchie Cattedrale e Vicariali di Brindisi,
risultavano 2768 maschi e 2862 femmine, fanciulli
prima dei sette anni erano 527 e fanciulle 488, celibi
maschi 1766 e femmine 1480, coniugati 2686,
vedovi 200 e vedove 496. Possidenti erano 539,
impiegati ad arti liberali 93, preti 45, frati 15,
monache 53, addetti ad arti meccaniche e contadini
783, artisti e domestici 526, marinai e pescatori 217,
mendici 104 e mendiche 176. Nell´anno erano nati
legittimi 119 maschi e 113 femmine, illegittimi 8
maschi e 8 femmine; nuovi domiciliati maschi 203,
femmine 160. Erano morti maschi 120, femmine
119, fanciulli e fanciulle 220.
1815: Fine di un imperatore SCHEGGE DI STORIA BRINDISINA ...
... dalle Cronache dei Sindaci di Brindisi
fine di un re e fine di un´epoca
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di Gianfranco Perri
Il 1813, regnando sulle Due Sicilie Gioacchino Murat,
cognato di Napoleone, fu un anno importante per
Brindisi.
di servi della pena che si credeano indispensabili per
isfangar quei porti con i cavafango ordinarj a sandali
ed cucchiaroni».
Il 22 aprile il re Murat fu a Brindisi, proveniente da
Lecce, dove era giunto il giorno prima e da dove
aveva decretato la requisizione in Brindisi, per
pubblica utilità, di alcuni locali e di enti ecclesiastici.
I conventi degli agostiniani, dei teresiani, dei
conventuali e dei paolotti, furono usati dal comune,
mentre quelli dei domenicani, della Maddalena e del
Crocefisso, furono ai militari.
Il 30 gennaio 1814, dieci giorni prima che morisse,
l´arcivescovo Annibale De Leo, che già era oratore
dell´Accademia arcivescovile di Napoli, accademico
dei Planomaci di Venezia, dell´Arcadia di Roma, degli
Immaturi di Napoli, socio corrispondente della Regia
società dell´Incoraggiamento per le scienze naturali
e per la naturale economia del regno, dell´Accademia
di storia e di antichità, cavaliere dell´Ordine delle
Due Sicilie e commendatore dello stesso ordine,
membro
ordinario
della
Societá di agricoltura di Lecce
e presidente della stessa, socio
corrispondente della Societá
agraria
della
Calabria
citeriore, socio ordinario della
Società
economica
della
provincia di Lecce, ecc., con il
suo testamento, tra l´altro,
«Dispose della sua ricca
biblioteca e dei residui del suo
museo in beneficio del
pubblico,
assegnando
un
fondo, perché di continuo si
aumentasse».
E nello stesso giorno, il 21 aprile
1813, il re istituì un quarto distretto
nella provincia di Terra d´Otranto con
capoluogo in Gallipoli e volle mutare
nome e sede della sottintendenza di
Mesagne trasferendola in Brindisi, che
da allora diventava capoluogo del
distretto omonimo. E nel maggio di
quell´anno fu trasferita, nei locali
dell´ex convento dei francescani in
San Paolo, la sottintendenza ch´era
stata per un decennio nell´ex
convento dei celestini in Mesagne, e si
portò da Mesagne a Brindisi anche il
comando di battaglione.
Stando in Brindisi invece, il 22 aprile,
il re firmò il decreto con cui
l´arcivescovo di Brindisi é autorizzato
a stabilire in quel comune una pubblica biblioteca
dotata co’ particolari suoi fondi, la qual vien posta
sotto l´immediata direzione degli arcivescovi pro
tempore della Chiesa di Brindisi, nella dipendenza
dal ministro dell’interno. E firmò anche un decreto
per accettar l´offerta de’ negozianti di pagare una
sovraimposta sul dazio dell´olio, al fine di costruire
un fondo da utilizzare per costruire due ponti e la
strada per Lecce.
Il 3 settembre 1813 quello di Brindisi fu dichiarato
“Porto militare” assieme a Gaeta, Baia, Crotone,
Manfredonia e Taranto.
Nel 1814, il Castello di Terra di Brindisi fu, dal re
Gioacchino Murat, convertito in Bagno penale. E
vent´anni dopo, F.A. Monticelli scriveva: «Il bagno e
tutto quello ch´era necessario pe’ servi della pena si
trova in Brindisi dal 1814, quando si convertì il
castello di Federico in bagno per aver più centinala
Con i famosi 100 giorni di
Napoleone, Murat fu di nuovo
al suo fianco e, combattendo la
guerra austro-napoletana per difendere il proprio
trono, venne finalmente sconfitto nella battaglia di
Tolentino, il 2 maggio 1815.
Nel porto di Brindisi, in quel finire di aprile, avevano
riparato la fregata Cerere, la corvetta Fama, la
fregata Carolina e il brigantino Calabrese, ma dopo la
sconfitta del 2 maggio, furono bloccate dalla squadra
inglese del commodoro Campbel.
Seguì alla disfatta, il caos: «A intiere compagnie, i
disertori laceri e affranti scorrevan le Puglie.
Sbandata la gendarmeria, disarmate le guardie,
intercettate le vie da innumeri predoni, intendenti e
sottintendenti obbligati ad abbandonar le loro sedi,
galantuomini e proprietari sbigottiti dall´infuriar del
brigantaggio e dall´anarchia». Questa la situazione
mentre Murat veniva deposto il 19 maggio 1815 e il
Borbone ritornava sul trono di Napoli.
1815-1818: Tempo di restaurazione
e tempo di “briganti”
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di Gianfranco Perri
Dopo la decennale parentesi “francese“ dei
napoleonici, e questa volta all´ombra delle armi
austriache, ritornano sul trono del regno delle Due
Sicilie i Borbone, ancora con Ferdinando che, un po’
per farsi ben riaccogliere, e un pó perché fa sempre
“moda“, nei suoi primi atti da sovrano reinsediato, si
dimostra buono, magnanimo e pure generoso, anche
con i vinti, e il 1° maggio del 1815, proclama:
«Assicuriamo le libertà civile e individuale. Le
proprietà saranno inviolabili e sacre. Le imposizioni
saranno secondo le forme che saranno prescritte
dalle leggi. Il debito pubblico sarà garantito. Le
pensioni, i gradi e gli onori militari
saranno conservati, come anche
l´antica e nuova nobiltà. Ogni
napolitano
sarà
ammissibile
negl´impieghi civili e militari. Nessun
individuo potrà essere ricercato, né
inquietato per le opinioni e per la
condotta politica che ha tenuto
anteriormente
al
nostro
ristabilimento, in qualunque tempo ed
in qualunque circostanza che sia.
Quindi, concediamo l´amministra,
senza interpretazione né eccezione
qualunque».
Il 24 ottobre 1816, nacque a Brindisi
Cesare Braico, dal dottore fisico
Bartolomeo e Carolina Carasco.
Durante quella prima metà dell´800
prese parte attivissima ai rivolgimenti politici con
Poerio, Pironti e Settembrini, e poi nel 1860
partecipò alla spedizione dei Mille.
L´11 marzo 1817, fu emanata la legge che
prescriveva stabilire un Camposanto in ciascun
comune del regno «perché il costume di seppellire i
cadaveri umani in sepolture stabilite dentro, o vicino
i luoghi abitati, abolito fra le più colte nazioni, non
potrebbe ulteriormente essere tollerato nel nostro
regno, senza pregiudizio grave della salute
pubblica». E a Brindisi, il 7 aprile il decurionato
deliberò far costruire il Camposanto.
Il 20 ottobre 1817, nacque a Brindisi Raffaele Rubini,
da Settimio e Maria Giuseppa Gargiulo. Matematico
illustre, fu docente dell´università di Napoli, e negli
ultimi suoi anni vissuti a Brindisi, dipinse e scrisse
poesie, anche in dialetto.
Il “brigantaggio“, prima anti-napoleonico ed adesso
anti-borbonico, continuava ad imperversare nel
regno, ed era moto attivo nelle Puglie.
Nel febbraio 1818, il generale irlandese Richard
Church, governatore delle province pugliesi di Terra
di Bari e di Terra d´Otranto, fu in Brindisi ospite del
suo amico Giacomo Montenegro, nobile oriundo
montenegrino appartenente alla famiglia dei
principi di quel paese e da moli anni stabilito a
Brindisi. E lí, da quella casa, l´irlandese si fece
sfuggire rocambolescamente, l´ardito famoso capobriganti, l´ex prete Ciro Annicchiarico:
«Proprio la sera in cui stava
per giungere al palazzo
Montenegro il generale con il
suo stato maggiore, Ciro
Annicchiarico si presentò a
Giacomo con fare minaccioso,
intimandogli di nasconderlo
dall´esercito che lo veniva
perseguendo da Grottaglie.
Ma Giacomo lo avvertì della
pericolosa situazione e, da
filantropo quale era, gli diede
parola di aiutarlo a sparire,
però per sempre, da casa sua,
ormai piena dei soldati del
governatore, già ivi giuntovi a
pernottare. Gli fece indossare
abiti femminili di sua sorella
con cappuccio, e con la faccia coperta da un velo lo
fece accompagnare da un ragazzo che, portandogli
un fagotto, lo avrebbe prima condotto sulla spiaggia,
fatto attraversare il porto e poi fatto sbarcare dietro
il castello. Ma dopo aver attraversato i corridoi e le
scale, al momento di uscire s´imbatterono in un
giovane capitano degli ussari il quale, molto
galantemente, tentò importunare la bella signora
chiedendole mostrare il suo volto, allorché il
colonnello Bentz, che era a portata di voce,
rimproverò il capitano e il Ciro ne approfittò per
andarsene. Sorrisi, scherzi e commenti seguirono
sulla possibile identità di quella signora “amica del
Giacomo“ e quei sui suoi occhi “cosí penetranti...
quasi quanto quelli del brigante Ciro”.
Giacomo volle spiegare al suo amico irlandese
l´accaduto e questi, ammirato dal rispetto alla parola
data dal Giacomo al brigante, lo perdonò».
1818: Un prestigioso turista visita Brindisi
Il barone inglese Richard Keppel Craven
SCHEGGE DI STORIA BRINDISINA ...
... dalle Cronache dei Sindaci di Brindisi
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di Gianfranco Perri
E´ il 24 maggio del 1818: «...Brindisi, in un primo
momento, appare una localitá interessante per le
molte reminescenze che suscita e le vestigia che
ancora conserva della sua antica importanza, ma
l´immaginazione deve stare all´erta e sorreggere
quest´illusione, o poche ore saranno piú che
sufficiente per distruggerla.
...Arrivai a Brindisi da Lecce, ed entrai attraversando
un ponte che oltrepassa uno stretto braccio di mare,
subito seguito dalla porta della cittá. Sulla destra
osservai il portale di una chiesa gotica, Santa Maria
del Ponte, con un disegno ricco ed una esecuzione
perfetta.
...Il porto per il quale era cosí rinomata nei tempi
antichi, dettagliatamente descritto da Strabone e da
tanti altri autori, mantiene ancora i
suoi vecchi confini, cosí come la
particolare forma che dá il nome
alla cittá: anche capacitá e sicurezza
restano inalterate, ma la poca
profonditá dell´entrata rende inutili
questi vantaggi.
...Il castello, una delle piú belle
costruzioni del genere che abbia
mai visto, é situato a circa mezzo
miglio dalla cittá, tra questa e l´altro
ponte, che racchiude il lato nordoccidentale del porto, le cui acque,
che qui sono maggiormente
profonde, bagnano le fondamenta di un´immensa
torre circolare che fiancheggia questo edificio, difeso
sulla terraferma da un profondo fossato.
...Tra il castello e questo lato del porto, vicino alla
strada c´é una fontana, che si dice sia una
costruzione romana. Su ciascuno dei lati vi é una
nicchia da cui scorrono due esigui ruscelli d´acqua
molto buona, che si riversano in un bacino di riserva
piú grande, ora cosí pieno di terra e pietre che il
terreno sottostante é diventato una pozza di fango.
Andai ad osservare la differenza di gusto che, si
diceva, esiste tra le due fonti, a riprova del fatto che
derivano da due sorgenti separate. Una superficie
rovinata e senza forma, conserva i nomi dei romani
da cui fu costruita la fontana, del re Tancredi il
Normanno che in seguito la restauró, e
dell´imperatore Carlo V che l´allargó ed abbellí.
Quest´ultimo nome é certamente visibile cosí come
lo stemma e la caratteristica aquila aperta, ma non
riuscii a vedere alcuna traccia delle precedenti
iscrizioni.
...Uno dei piú significativi resti antichi a Brindisi é
una colonna di marmo, alta circa 50 piedi, che
comprende basamento e capitello: i suoi angoli sono
ornati da busti di varie divinitá marine mentre al
centro sono scolpiti i volti di Marte, Pallade, Nettuno
e Giove. Il basamento e la base del pilastro dell´altra
colonna che é a fianco, sono ancora al loro posto, ma
la parte superiore, abbattuta al suolo senza una
causa apparente, rimase lí fino al 1663, quando
portarono i pezzi a Lecce per ricomporla con il
proposito di sostenere la statua di Sant´Oronzo. Il
trasporto fu mal fatto, tanto che le teste del capitello
furono rottre e rozzamente sostituite.
La Cattedrale é un grande e brutto edificio, non
possiede nulla di notevole, tranne un mosaico
pavimentale ed alcuni seggi nel coro, intagliati in
modo particolare. Fu inizialmente dedicata a San
Teodoro, ma dopo la ricostruzione dalla quasi totale
distruzione di un terremoto, fu posta sotto la
protezione di San Pelino.
...Il porto esterno, sul lato nord é formato da
un´estesa catena di rocce basse, alla cui estremitá su
un´isola, si innalza un forte usato come faro,
cittadella e stazione telegrafica. La parte piú antica
del forte fu costruita da Alfonso d´Aragona, e fu in
seguito ampliata da Carlo V ed ancora allargata nel
1614 da un governatore spagnolo. L´estremitá
dell´isola su cui si trova il forte, é separata dal resto
da un fossato e da un ponte levatoio. In passato
questa parte era usata come Lazzaretto per la
posizione particolarmente adatta... ».
Baron Richard Keppel Craven
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di Gianfranco Perri
Il 26 marzo 1819 furono abrogati il codice civile, il
codice penale ed il codice di commercio vigenti
durante gli anni ”dell´occupazione militare
francese”, e si stabilì che andava in vigore il codice
per il regno delle Due Sicilie.
L´11 settembre 1819 fu stipulato l´atto con il quale il
sindaco Giovanni Sala aggiudicava a Giacomo Bruni,
muratore domiciliato in Brindisi, l´appalto per la
costruzione del Camposanto su disegno di Francesco
Bruni e Benedetto Marzolla. Per cautela, al Bruni
furono ipotecati i suoi beni, quelli della madre
Ludovica Pagliara e quelli della zia Maddalena
Pagliara.
i modi lo sfratto di essi da questo comune, che si
ottenne non completamente poiché pochi de’
medesimi qui rimasero esercitando il mestiere di
caffettiere, o la professione di cappottaro».
Sull´eco dei fatti di Spagna, anche nel regno delle
Due Sicilie i fermenti carbonari passarono all´azione
ed il 1° luglio gli ufficiali di cavalleria Michele
Morelli e Giuseppe Silvati danno il via, con il loro
ammutinamento, alla rivolta che costringerà
Ferdinando I di Borbone a concedere la costituzione
e la reggenza a suo figlio Francesco I, che l´accettò
inizialmente con un atteggiamento benevolo. E l´11
Nell´ottobre 1819, finalmente fu
nominato arcivescovo di Brindisi
Giuseppe Maria Tedeschi di
Castellaneta, dopo che Antonio
Barretta, nominato con la morte di
Annibale De Leo, non aveva mai
preso l´incarico, per motivi di
salute. Il nuovo arcivescovo giunse
a Brindisi il 15 febbraio del 1820.
Il 7 marzo il decurionato deliberò
che il pesce pescato dai brindisini
doveva essere venduto ai cittadini
e non ai forestieri. L´8 marzo Giovanni Maranzino di
Tuturano, ritirò dal sindaco il premio di 5 ducati
concessigli per avere ucciso un lupo nelle campagne
di Brindisi, e aver mozzate le orecchie e portate alla
casa comunale. Il 21 marzo si concesse nullaosta alla
compagnia dei giovani dilettanti di Francavilla per la
recita di quattro produzioni teatrali, ”non avendo
trovata cosa che osti alla religione, al governo ed al
buon costume”. Il 25 marzo, non essendoci stata
neve durante l´inverno e pronosticando che non ve
ne sarebbe stata ancora, il decurionato aveva
pensato d´importarla, per la necessità dell´estate,
dall´Albania.
Nel consiglio decurionale del 2 maggio 1820 fu
discussa la necessità di riparare Porta Mesagne e fu
accettata la proposta, avanzata da don Oronzo
Catanzaro, d´acquisto della chiesa diruta di Sant´
Antonio Abate per la colonia greca «per l´esercizi del
di loro culto, anche se essi erano un complesso di
uomini oziosi ed inerti, tanto che ad essi fu sospesa
la giornaliera frequentazione di denaro, e poi
cominciaron a divenir pericolosi ed infesti agli altri
abitanti della città, e si fu nel dovere di cercar in tutti
luglio vi fu in Brindisi la lettura della costituzione
con cerimonia in Cattedrale e discorso
dell´arcivescovo.
«Fra le persone politicamente più riscaldate
dell´ambiente brindisino v´era Giuseppe Capece da
Cisternino, capo della “vendita dei Liberi Piacentini”
e, quando fu proclamata la costituzione, fece cucire
una bandiera tricolore con gli emblemi carbonari,
che, benedetta, fu portata al Forte da Carlo Marzolla
e sostituita a quella di S.M. Al suo fianco c´era anche
Francesco Doria, capitano del Lazzaretto. A Brindisi,
altri immischiati nei moti carbonari del 1820 furono
anche Carlo Berardi e Vito Montenegro, gestori di
farmacia, ed in Napoli, con la causa del generale
Guglielmo Pepe, c´erano stati i carbonari brindisini
Pietro Magliano e Domenico Nervegna.
Nella notte del 17 novembre 1820 avvenne in
Brindisi un attacco con violenza e ferite, a una
pattuglia del reggimento Real Corona accasermato
nel castello di terra. L´attacco fu attribuito a
Giovanni Crudo, Luigi d´Amico e Nicola Moricchio.
Dal bagno penale dello stesso castello di terra, il 25
novembre si fa rapporto sull´evasione di galeotti.
1821: Ancora una controrivoluzione
e ancora una restaurazione
SCHEGGE DI STORIA BRINDISINA ...
... dalle Cronache dei Sindaci di Brindisi
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di Gianfranco Perri
A seguito dei moti di Napoli del 1820, capeggiati dal
generale Guglielmo Pepe contro il re Ferdinando I, le
potenze della Santa Alleanza, riunite a Lubiana,
decisero l´intervento armato contro i rivoluzionari
che nel regno delle Due Sicilie avevano obbligato il
re a proclamare la costituzione e a nominare
reggente il figlio Francesco I. E il 7 marzo del 1821
l´esercito austriaco guidato dal principe di
Metternich,
sconfisse
quello
napoletano
costituzionalista del generale Guglielmo Pepe in
Rieti, ed entro a Napoli il 24 marzo; ci doveva
rimanere per anni, chiudendo subito il neonato
parlamento. Il re Ferdinando I revocò la costituzione
ed ordinò la restaurazione.
A Brindisi, in quei tempi, il 10 marzo, era
nato, da Andrea e Cecilia Saracino,
Giuseppe Domenico De Roma. Fu patriota
e scrittore: Nel 1848 prese parte
attivissima alla rivoluzione e fu
incarcerato nel 1850 e nel 1857. Nel 1860
fu nominato professore di lettere nel liceo
Palmieri di Lecce, dove morì il 24 ottobre
1889, dopo aver diretto per anni il
giornale “Brindisi”.
Il ritorno in carica dei ministri fedeli a
Ferdinando I, portò a condanne per i
liberali compromessi che avevano
propugnato la costituzione del 1820;
molti furono esiliati, e tra questi vi fu
Francesco Pennetti di Brindisi.
Il 3 ottobre, nel mentre l´intendente della
provincia di Terra d´Otranto assicurava il
re e il governo che «felicemente nella
provincia non esisteva alcuna comitiva la quale
incedesse per la campagna commettendo misfatti e
delitti; che la sicurezza dei pubblici cammini e delle
campagne non era turbata e che quindi, non
esistevano fatti da richiamare le misure
straordinarie di rigore», la giunta di scrutinio però
condannava, e nel circondario di Brindisi furono
destituiti Francesco Doria capitano del Lazzaretto,
Lucio Alessano chirurgo della real Marina, Antonio
d´Ippolito ricevitore del registro, Angelo Lupariello
giudice di Mesagne, Luigi Antonucci cancelliere di
Mesagne, Giovanni Specchia e Oronzo Tanzarella
notai di Ostuni, Carlo Demilato notaio di Francavilla
e Giuseppe De Cesare cancelliere comunale in
Brindisi.
Il 20 giugno 1821, il decurionato di Brindisi approvò
la costituzione del corpo delle guardie civiche e
precisò che non potevano farne parte individui che
erano appartenuti alle proscritte società segrete,
proibizione valida anche per le nomine di altri
impiegati pubblici.
Il 21 giugno, giorno del Corpus Domini, alcuni
carbonari «fecero insultare mosignor vescovo di
Brindisi che andava a cavallo colla processione:
fecero sparare a mare dentro al porto due cannonate
per spaventare il cavallo, e così succedette e il
povero prelato si rompeva il collo, e si
abbinchiavano di risa i bricconi».
La sera del 21
giugno del 1821,
quattro carbonari
compromessi per i
fatti politici del
1820, Francesco del
Buono,
Luigi
D´Amico, Francesco
Bianchi
e
il
sacerdote
Santo
Chimienti,
tentarono
d´imbarcarsi per la
Grecia sopra un
battello
greco
battente bandiera
inglese ch´era in
porto. «Ma della
cosa si era avuto
sentore, ed era
stato disposto un
appiattamento di dodici gendarmi a cavallo e di altra
gente. Alle due e mezza di notte fu avvistato il
bastimento, e avutine segnali con razzi, i fuggitivi si
incamminarono al luogo stabilito per l´imbarco. Li
accompagnava come guida un fratello di Santo
Chimienti, Antonio, il quale, seguito da un villano
conducente un asino carico di bagagli, fu il primo ad
urtare contro gli appostati. Fermato costui e datosi
l´allarme, gli altri fuggitivi col villano e l´asino si
dispersero e il bastimento si dileguò. Invano le
autorità si adoperarono per far parlare l´arrestato
Chimienti; egli rimase fermo nel dare una versione
evasiva sino a che, dopo quattro mesi di prigionia,
non fu liberato. Nessuna traccia si rinvenne dei
quattro datisi alla clandestinità».
1822 e 1824: a Brindisi
anni di penuria d´acqua
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di Gianfranco Perri
Il 1822 fu anno di penurie a Brindisi:
«...Da ché l´autunno dell´anno 1821 fu così secco, che
si fece la semina quasi senz´acqua. L´inverno del
1822 poi fu anche secco colla primavera. Non si ebbe
l´acqua che una sola volta nel corso dell´inverno, ed
un´altra alla primavera di poca quantità e
pochissima durata, cosicché si disperava della
raccolta.
Il 12 giugno 1824, Giustino Jacobis, appartenente
alla congregazione di San Vincenzo de’ Paoli, e
futuro santo delle missioni in Abissinia, fu
consacrato sacerdote nella Cattedrale di Brindisi,
dall´arcivescovo
monsignor
Giuseppe
Maria
Tedeschi.
Si ebbero però delle gran gelate. La
penuria
dell´acqua
fece
perdere
intieramente il raccolto delle fave e il
pascolo per l´armenti, e la primavera non
fu di alcuno utile alli stessi armenti.
Li paesi convicini trasportarono l´acqua da
siti lontani, tanto per uso della popolazione
che per l´armenti. Le nostre masserie e la
città istessa stan soffrendo ne vasi d´acqua
l´istessa mancanza, e cosa ne avverrà nella
imminente stagione estiva?».
Il 28 marzo 1823, uno shooner inglese, una
goletta a tre alberi, comandato dal tenente
Michael Setter, proveniente da Augusta di
Sicilia, con l´equipaggio di quindici
persone, approdò a Brindisi. E con
meraviglia, i brindisini avrebbero poi visto
quel comandante inglese scandagliare
indisturbato in diversi punti il fondo del
porto e rilevare la pianta delle coste del
porto e dell´isola delle Petagne, non senza
essersi informato di una certa sorgente che
era detta “delle fontanelle”, e se fosse stata
capace di fornire una flotta. L´intendente,
Ferdinando Cito dei marchesi di
Torrecurso, ne riferì subito al ministro e gli
soggiunse che da qualche giorno, nella provincia di
Terra d´Otranto, si parlava di una imminente guerra
tra le potenze costituzionali e il re di Napoli e che tali
voci erano anche state confermate dal “Monitore
pubblicato con data 27 marzo 1823” in cui era stato
inserito il regolamento per la reclutazione dei corpi
nazionali dell´armata.
Il 15 dicembre fu emanato un decreto reale
riguardante le nuove tariffe doganali sopra ciascuna
somma d´olio che si estrae dal porto di Brindisi:
saranno riscosse grana 20, oltre al dazio stabilito
nella presente tariffa, per essere il prodotto
destinato a costituire un fondo da utilizzare per la
costruzione di due ponti e della strada per Lecce.
Nella Cattedrale vi fu posta a ricordo l´epigrafe,
quando il Papa Paolo VI, il 16-10-1975, lo proclamò
santo.
«L´autunno dell´anno 1824 fu anche scarso in modo
di acqua, che più e più masserie del feudo buttarono
a terra le semenze, che in terre leggiere tardò ad
uscire, ma a terre tenaci e forti, non uscì. Cosicché la
prima acqua si ebbe a 6 gennaro 1825, e così
continuò gennaro, con pioggia continua. La
campagna va ad invidia, e li seminati ritardati dalla
semina non compariscono. Dalli 8 gennaro sino alli
24 febbraro non si ebbe più acqua, per cui la
campagna, e l´armento andavano molto malamente.
In marzo ed aprile si ebbe l´acqua, e la raccolta riuscì
felicissima, che s´andiede fino al 16 per uno».
1825: La Chiesa di San Paolo SCHEGGE DI STORIA BRINDISINA ...
si salva dalla demolizione
... dalle Cronache dei Sindaci di Brindisi
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di Gianfranco Perri
In quell`inizio d´anno 1825, il 3 gennaio,
improvvisamente morì il re Ferdinando Borbone, IV
di Napoli e I delle Due Sicilie, e gli succedette sul
trono il figlio Francesco I, di salute molto
cagionevole.
fece rappresentanza alla prelodata maestà sua di
esserci già adempita con tutte le regole dell`arte la
già cennata restaurazione, con averci erogato più
centinaia di ducati, e che perciò si fosse compiaciuta
trasferirgliene la totale proprietà».
A Brindisi era sindaco il medico Giuseppe Pino ed
era sottintendente Luigi De Marco, il signor Pietro
Fischetto era priore della venerabile confraternita
della Beatissima Vergine Immacolata Concezione.
Era
arcivescovo
Giuseppe
Maria
Tedeschi, che però in
quello stesso anno
morì il 18 marzo e «da
vari
documentati
comportamenti suoi,
sembrò essere stato
un
reazionario
borbonico».
Cito
Ferdinando
era
l`intendente
della
provincia di Terra
d`Otranto,
con
capoluogo Lecce e
comprendente oltre a
quello di Lecce, i
distretti di Brindisi,
Taranto e Gallipoli.
Così fu, e così fu salvata dalla demolizione la
antichissima chiesa di San Paolo, subendo
sostanziali cambiamenti, tra cui la facciata che,
essendo pericolante, fu rifatta e arretrata di circa
E fu proprio Pietro
Fischetto che «ricevé ordini dalla polizia urbana di
lasciare libera la chiesa di San Paolo, e demolirsi per
la di lei vetustà, mentre minacciava pericolo di
cadere sulle abitazioni limitrofe, e cagionarvi
danno».
«Di tutto ciò, pria di divenirsi alla demolizione, se ne
fece rappresentanza al re nostro augusto sovrano,
Dio guardi, da detta confraternita per implorare la
grazia d`esser ceduta in sua piena proprietà la chiesa
predetta, onde così restaurarsi poi a spese della
medesima confraternita.
E con ministeriale de' quattordici settembre di detto
anno 1825, con suo real rescritto, Francesco I delle
Due Sicilie, si benignò dire che se la chiesa suddetta
si restaurerebbe a spese di detta confraternita, non
sarebbe per incontrare difficoltà veruna di darla poi
in proprietà ad essa confraternita; ed in effetti non si
mancò da confratelli della medesima di farne la
restaurazione, e dietro di questa nuovamente ne
otto metri rispetto alla precedente.
La Chiesa di San Paolo Eremita fu edificata, con
l'annesso convento, nel 1322, sul sito donato dal re
Carlo I d'Angiò ai francescani, dove in precedenza
era situata la casa di Margarito da Brindisi. Le pietre
quadrate con le quali il tempio fu edificato facevano
infatti parte della "domus Margariti".
Conservata nella chiesa e molto venerata è la
macenula della Vergine Immacolata, definita anche
Madonna del terremoto in quanto creduta
miracolosa per aver dato scampo alla città durante il
terremoto del 20 febbraio 1743.
La tradizione orale delle nostre mamme, racconta
che la mattina presto dopo quel terremoto, la statua
della madonna fu ritrovata in prossimità della porta
d´ingresso della chiesa con le mani aperte come
volendo placare il terremoto: quelle stesse mani che
la madonna originariamente e fino ad allora, aveva
avuto congiunte.
SCHEGGE DI STORIA BRINDISINA ...
... dalle Cronache dei Sindaci di Brindisi
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di Gianfranco Perri
Nel giugno 1828 Craufurd Tait Ramage, il precettore
irlandese in casa del console britannico a Napoli,
passò da Brindisi. Poi, pubblicò i suoi "Ricordi del
Ramage" nel "The Nook and Biways of Italy".
«...Mentre si inoltrava il tramonto, guardavo con
ansia davanti a me nella speranza di scorgere le
mura di Brindisi, quando fui colto da un tremendo
temporale, mentre mi trovavo in un bosco dove il
mio mulattiere affermava che
erano stati compiuti molti
assassinati e rapine. Però
finalmente,
poco
dopo
il
tramonto, attraverso una porta
semi-diroccata entrai in una
città che aveva un aspetto
malconcio e deserto. Ma è
sempre così nelle città italiane di
notte, perché non vi sono
lampioni nelle strade.
Brindisi è una città molto antica
nota ad Erodoto, padre della
storia che visse nel 450 a.C.
L`ottimo porto situato in
posizione molto vantaggiosa per
controllare
l`Adriatico,
fin
dall`antichità deve aver attirato
l`attenzione
delle
nazioni
marinare. La città divenne il più
importante centro navale dei
romani lungo la costa, perché il
suo porto era abbastanza grande
da consentire a tutta la flotta di
trovarvi riparo sicuro. Qui nell`83 a.C. sbarcò Silla di
ritorno dalla mitridatica guerra e nel 57 a.C. sbarcò
anche Cicerone di ritorno dall`esilio. Durante la
guerra tra Cesare e Pompeo, la città fu teatro
d`importanti operazioni militari e fu qui che dopo la
morte di Cesare, il giovane Ottaviano assunse per la
prima volta il nome di Cesare. È noto ai cultori della
letteratura classica il viaggio compiutovi da Orazio,
quando accompagnò Mecenate e Cocceto per
concludere un accordo amichevole tra Antonio e
Ottaviano. Poi, nel 19 a.C. vi morì il grande poeta
romano Virgilio, di ritorno dalla Grecia.
Anticamente vi erano due porti, uno interno e l`altro
esterno, ma ora l`ingresso al porto interno è quasi
completamente ostruito dalla sabbia ed il porto
stesso è divenuto poco più di una palude, e la
malaria dilaga.
...Dovunque si volga lo sguardo, l`occhio è colpito da
una maestosa colonna di marmo cipollino, alta quasi
quindici metri, il cui capitello è tutto adornato di
figure rappresentanti gli dei marini: al centro di ogni
lato sono raffigurati i volti di Giove, Nettuno, Marte e
Minerva. Vicino a questa colonna ve ne è un`altra, di
cui sono rimaste solo la base e il piedistallo:
precipitò a causa del terremoto nel 1528.
...In
lontananza
si
scorgeva un bel castello
al limite nord- occidentale
del
porto,
le
cui
fondamenta
venivano
lambite dalle acque del
porto e, dalla parte verso
terra, da quelle di un
profondo fossato. Fu
costruito da Federico II e
completato da Carlo V.
Ora adibito ad ignobili usi,
è una volgare prigione e
risuona del fragore delle
catene
di
comuni
malfattori.
Vi è in questa città una
biblioteca di cui avevo
sentito parlare fin da
quando ero a Napoli. È
abbastanza grande e
contiene in prevalenza
opere di teologia, poiché è
un lascito del penultimo
arcivescovo di Brindisi, Annibale De Leo. Annesso
alla biblioteca vi è un piccolo museo, dove è raccolta
una collezione di vasi antichi e monete.
...Lasciai Brindisi per mare, sotto il sole cocente di
mezzogiorno e mentre nel porto interno
procedevamo lentamente a remi, provavo un
irresistibile senso di soffocamento e di languore.
Attraversammo
quindi
il
porto
esterno:
l`imboccatura è protetta da alcune piccole isolette
sulla maggiore delle quali, Sant`Andrea, sorge un
castello fatto erigere da Alfonso II. Anticamente su
quest`isola esisteva pure un faro simile a quello di
Alessandria. La nostra rotta era tra le isolette e la
terra ferma. Da li, la città di Brindisi con il suo
castello, che si trova su di un terreno leggermente
elevato, aveva un aspetto molto imponente...».
1829: Lo svizzero Charles Didier
passa da Brindisi e ce la racconta
SCHEGGE DI STORIA BRINDISINA ...
... dalle Cronache dei Sindaci di Brindisi
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di Gianfranco Perri
«Passata ad Otranto, poi a Gallipoli, la vita marittima
era un tempo tutta concentrata nella città di
Brindisi. A Brindisi si approntavano le invincibili
flotte, destinate dai romani alla conquista
dell`oriente. Effettivamente il suo porto è un
miracolo della natura, in una zona così unita e così
scoperta: una grande rada formata da due moli
naturali, la cui entrata è protetta da un castello. In
fondo al porto, un canale, che comunica con un
bacino circolare, il quale si sviluppa intorno alla
città, e che doveva essere
d`un meraviglioso effetto
quando le navi romane, nel
loro fasto, vi dondolavano.
Si distinguono ancora le
colonne che Cesare aveva
fatto erigere all`entrata del
porto per bloccarvi Pompeo.
La sua decadenza ha inizio da
questo momento, il 49 a.C.
Queste colonne trattennero
mucchi di sabbia che si
accumularono, e poi nel
1450, altri completarono la
rovina del porto, facendovi
colare a picco imbarcazioni
piene di pietre. Tutti quegli
ostacoli avevano lasciato
soltanto un passaggio molto
stretto, e così poco profondo,
che solo le piccole barche
potevano arrivare al bacino.
Non
rinnovandosi
più
l`acqua, essa divenne una
palude pestilenziale. Sono
stati fatti in seguito alcuni
lavori per allargare il canale,
anche molto recentemente,
ma sono insufficienti e
nondimeno il porto è per metà colmato.
Non rimane più nulla del fasto di Brindisi, nemmeno
le rovine. Due o tre secoli fa, si vedevano ancora un
teatro, delle terme, un tempio del sole e della luna;
tutto ciò è stato distrutto, forse per costruire il forte
marittimo e il seminario. Rimangono soltanto un
frammento di mura reticolari alla porta di Napoli, e
un pozzo, il traiano, la cui costruzione ricorda la
grandezza romana.
Delle due colonne che s`innalzavano sul porto, una si
è conservata intera per miracolo; dell`altra non
restano che il piedistallo e un solo pezzo del fusto
rovesciato, messo di traverso, senza dubbio a causa
di terremoto. Queste due colonne di marmo bianco,
alte cinquantadue piedi, essendo l`altezza del fusto
troppo grande in rapporto al diametro, risultavano
sproporzionate. Si è molto discusso sulla loro
destinazione. Siccome si trovavano di fronte
all`ingresso del porto, si è affermato che
sostenessero un faro, ma ciò è
poco credibile. È più probabile
che fossero lì erette solo per
segnare il termine della via Appia.
Decimata dalla malaria, la
popolazione di Brindisi è scesa,
da centomila abitanti a seimila:
nel 1829 sono nati 270 e sono
morti 484.
Brindisi passa per pochissimo
civilizzata
e
per
poco
industrializzata. Le campagne dei
dintorni sono vere steppe deserte
e spesso paludose, dove si può
camminare un giorno intero
senza incontrare un viso umano e
senza trovare un albero, sotto cui
ripararsi dal sole.
Brindisi è la patria del poeta
tragico Pacuvio, nipote di Ennio; e
si sa che nel 19 a.C. vi morì
Virgilio, e che nel 20 d.C. la
vedova di Germanico vi fece
sbarcare le ceneri del suo sposo,
avvelenato in oriente.
Nel Medio Evo Brindisi fu teatro
di solennità nunziali. Nel 1192, vi
furono celebrate le nozze di
Ruggero figlio maggiore di Tancreti, con Irene, figlia
dell`imperatore greco, Isacco. Più tardi furono
celebrate le nozze di Federico II con Iole, figlia di
Giovanni di Brienne, il quale aveva ottenuto il titolo
di re di Gerusalemme dalla moglie, la regina Maria.
Anche Federico II ricevette in dote questo titolo
durante il rito nuziale, e lo stesso fu anche
confermato a Carlo d`Angiò; per cui infine è rimasto
al re di Napoli».
1830: Rivoluzioni oltralpe
e cospirazioni a Brindisi
SCHEGGE DI STORIA BRINDISINA ...
... dalle Cronache dei Sindaci di Brindisi
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di Gianfranco Perri
«Si giunse così all`anno critico, al 1830. Gli eventi
d`oltralpe costituiscono un incentivo a più accese
speranze ed i settari di Brindisi, tra loro Domenico
Nervegna, Pietro Magliano, e Giovanni Crudo (non
ancora Crudomonte), si riuniscono di notte in casa di
Francesco Perez».
In Francia era scoppiata la seconda rivoluzione e il
re Borbone, Carlo X, fu deposto e sostituito da Luigi
Filippo d`Orleans. E in Polonia la rivoluzione, detta
cadetta, era divampata contro il dominio della
Russia imperiale.
E a Brindisi «A tre ore e più di notte dell`8 febbraio,
nel palazzo di Francesco Perez s`intratteneva una
comitiva, della quale facevano parte parecchi
attendibili. La polizia picchia più volte, ma invano;
da ultimo, ritornata con rinforzo di gendarmeria e
rinnovato il tentativo, il portone fu aperto.
la prima settimana, 22 la seconda, 20 la terza, 21 la
quarta, 12 la quinta; dai 5 agli 11 manipoli per
settimana; 5 ragazzi per la terra, e galeotti in
numero imprecisato.
Nell`ottobre 1830 vi fu un complotto nel Bagno
penale di Brindisi «contro il felice governo e che ha
relazione con Napoli e Campobasso». Rivelatori
della congiura furono Salvatore Caragiali e
Francesco Santoro, detenuti. Imputati nella congiura
furono Giuseppe Bibone, capo, Luigi Melino,
Giuseppe Odierna, Giuseppe Silvestri, Rocco Paoletti
e Francesco Gambarella, detenuti. Per acquistare le
armi
era
incaricato
Teodoro
Cromio,
soprannominato Ciuccio che era il venditore di vino
nel Forte, che aveva per complice a Bernardino
Campagnolo.
Il commissario, entrato in una sala, vi trovò persone
dell`uno e dell`altro sesso, parte in piedi, parte
sedute, mentre Felice Quarta e Moisè della Corte
suonavano due strumenti musicali.
Fra gli altri vi trovò "il famosissimo settario, don
Giovanni Crudomonte, uomo irriconciliabile con
l`attuale sistema di cose, tenente legionario, già gran
maestro dell`ordine carbonaro portato a fare
innovazioni politiche, colpevole di più immiscenze
settarie ed altri fatti criminosi anche dopo il marzo
1821, ed uno di quelli che durante il nonimestre
finsero condanna a morte e bruciarono l`effigie del
principe di Metternich nella pubblica piazza di
questo comune". Vi erano ancora Pietro Magliano
che nel 1820 si era distinto come rivoluzionario
nella capitale, Domenico Nervegna molto attaccato
al sistema e settario graduato.
Il commissario, che dal ritardo ad aprire comprese
trattarsi di ben altro che di una festa danzante,
ingiunse a tutti di sciogliersi. I sorpresi uomini
furono trattenuti sotto mandato per quindici giorni e
nessuna molestia toccò alle signore».
Il 12 marzo 1830, alla conclusione di una missione di
redentoristi,
fu consacrato dall`arcivescovo di
Brindisi, Pietro Consiglio, "il Calvario" su via Santa
Margherita, eretto a devozione dalla famiglia
Tedesco.
I lavori per la costruzione eseguiti sotto la direzione
del capo d`opera Francesco Bruni durarono dal 1 di
marzo al 3 di aprile. Furono impiegati, 16 muratori,
I denunziati, vecchi carbonari di varie province,
d`accordo coi compagni di Napoli e Campobasso,
intesi i moti di Francia, si proponevano, disarmato il
corpo di guardia, di darsi alla campagna per farvi
seguaci e iniziare così la rivoluzione.
1830 - 1831 a Brindisi :
dal passaggio di un anonimo viaggiatore francese
al salvataggio dei naufraghi di uno shooner inglese
SCHEGGE DI STORIA BRINDISINA ...
... dalle Cronache dei Sindaci di Brindisi
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di Gianfranco Perri
«1830: ...Alla fine di una strada, ora ridente perché
fiorita, e ora importuna perché polverosa, appare
Brindisi, dove Roma tutta intera si trasferì, per
lanciarsi di là con le sue legioni, Pompeo, Cesare, e il
suo senato diviso, nelle pianure di Farsalo, dove essa
non sorse che per subire il gioco del più pericoloso
fra i suoi cittadini. Capita per le città ciò che capita
per gli individui, e spesso il loro solo aspetto è
sufficiente per esprimere agli occhi di un viaggiatore
intelligente le vicissitudini che esse provarono.
Brindisi, oggi tristezza e rovine, è nel numero delle
città famose soltanto per le glorie e per le miserie.
Una colonna colossale è subito
ciò che vi si scorge, poi case da
cui fuoriescono ciuffi di palme
dalle sempreverdi foglie, e i
campanili che si raggruppano in
questo quadro architettonico,
sono sufficienti per renderlo
imponente e grandioso.
Brento, figlio di Ercole, fu, si
dice, il fondatore di Brindisi,
dove due colline, separate da
una stretta valle, sorgevano per
renderne l`interno pittoresco
quanto vasto. Due templi, l`uno
dedicato a Apollo e l`altro a
Diana sua sorella, vi brillavano a
gara, e sul luogo che occupava
quest`ultimo si eleva ai nostri
giorni la Cattedrale costruita nel
dodicesimo secolo da Ruggero,
dapprima duca, e dopo re di Sicilia.
Oltre a quella colonna alta sessantatré piedi, due
altre fatte posare da Cesare, dal fusto elegante e dal
marmo più puro, brillano all`ingresso del porto, un
tempo pieno delle triremi romane.
- Cicerone, che nel 48 a.C. qui portò in giro la sua
crudele incertezza, mentre aspettava i sanguinosi
risultati di Farsalo - Virgilio, che qui nel 19 a.C. morì
-Agrippina, che vi portò le ceneri del suo Germanico,
appaiono in successione tra queste mura, dove si
crede ancora di vederli errare...».
Il 23 agosto 1830, il Comune di Brindisi nominò il
canonico Giovanni Tarantini, che era in Napoli per
completare i suoi studi, per assolvere l`incarico di
rappresentante ufficiale della città presso la corte, il
governo e gli uffici addetti per la causa della bonifica
del porto e il prosciugamento delle paludi mefitiche
che erano intorno alla città, si perché gli abitanti non
si vedessero di giorno in giorno diminuiti in numero
per effetto della cattiva aria.
Nel 1830 infatti, il numero dei nati a Brindisi era
stato 229 ed il numero dei morti 686, e fu anche per
questo che nel 1831, l`illustre brindisino Giovanni
Monticelli si recò alla capitale del regno per
presentare e pubblicare nel Gabinetto Bibliografico e
Tipografico di Napoli, la sua prima edizione delle
famosa "Difesa della città e porti di Brindisi".
L`1 ottobre 1831 il muratore Giuseppe Bruno fu
dalla
pubblica amministrazione incaricato di
restaurare la Fontana Tancreti.
Prima delle feste di Natale di quel 1831, uno shooner
inglese ebbe la disgrazia di essere dalla tempesta, e
nel corso della notte, gettato sugli scogli presso la
torre detta della Penna, a poca distanza e fuori dal
porto esteriore di Brindisi. Apertasi la poppa,
l`equipaggio sarebbe tutto perito, perché i cavalloni
non permettevano gettarsi a nuoto, e giungere a
terra. Tre marinai di Brindisi ebbero il coraggio di
buttarsi a mare ed uno di loro ebbe la forza di
resistere all`impeto dei cavalloni in mezzo agli
scogli, e prendere il capo d`una fune che gettarono in
mare i naufraghi disperati, i quali con questo
soccorso furono salvati.
1833: due visitanti regali SCHEGGE DI STORIA BRINDISINA ...
nello stesso anno a Brindisi
... dalle Cronache dei Sindaci di Brindisi
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di Gianfranco Perri
Ottone di Wittelsbach, figlio di Luigi I re di Baviera,
era stato eletto re di Grecia il 7 maggio 1832; accettò
il 5 ottobre e assunse il trono il 6 febbraio 1833.
Per andare in Grecia il principe Ottone scelse di
recarsi a Brindisi l`11 gennaio 1833 per poi ripartire
verso Corfù il 14 seguente.
«Fu cagione di alta gioia l`arrivo del principe Ottone
di Baviera in Brindisi, nel cui porto avean già date le
ancore i quattro legni da guerra, ov`erano imbarcati
i quattro ministri delle grandi potenze, che fecero la
ricognizione della sua sovranità al governo ellenico.
L`immenso entusiasmo con che i brindisini
salutarono quell`astro polare dell`attuale
incivilimento greco, e le fastose manifestazioni
di quei tre giorni che fu tra loro, erano indice di
quella morale dipendenza, che dicesi anche
gratitudine, generata nella coscienza del popolo
dall`amorevole disinteresse degli augusti suoi
avi in pro della ragione e del paese,
nell`edificare di proprio danaro il ricco tempio
degli Angioli, fatto costruire da San Lorenzo da
Brindisi agli inizi del '600. (L`avo qui citato, è
Massimiliano I Wittelsbach, detto il Grande,
duca di Baviera e principe elettore del Sacro
Romano Impero, vissuto tra il 1573 e il 1651).
E fu tanta e tale la benevolenza del principe,
che oltre di avere amabilmente, svestito del
regio orgoglio, onorati tutti d`un domestico
sorriso, volle anche infuturar loro la ereditaria
alleanza di affetto in un`autografa lettera, che a
memoria duratura del generoso sentire di quel
magnanimo reale di Grecia gelosamente
conservasi nella cittadina biblioteca».
Dopo soli pochi giorni, sabato 19 gennaio 1833, in
provincia di Terra d`Otranto fece un terremoto, alle
ore 11¼ prima e alle 11¾ dopo.
Il 2 maggio 1833 partì per Brindisi, provenendo da
Lecce e proseguendo per Foggia, dove lo attendeva
la regina Maria Cristina di Sardegna, il re Ferdinando
II. Fu quella la prima di una lunghissima serie di
visite del sovrano alla città ed al suo porto.
In contemporaneo l`intendente Emanuele Caruso
riportò il racconto del salvataggio di un bambino
caduto in un pozzo e sollecitò chi di dovere a far
costruire sponde protettive ai pozzi che ne erano
sprovvisti:
«Il dì 18 del mese andante, una contadina per nome
Maddalena Giannino di anni 27 attingeva acqua da
un pozzo sito in campagna profondo palmi
quarantuno, venticinque de' quali coverti d`acqua.
Presso di lei si tratteneva in puerili trastulli un figlio
di anni due, che per disgrazia vi cadde dentro. La
madre in ciò vedere fugge all`istante implorando alle
grida soccorso; ma meglio riflettendo, ritorna, e
decide gittarsi anch`essa ivi dentro, lusingandosi di
poter salvare il ragazzo, o pure perire con lui.
Eseguisce in fatti l`ardito disegno, e stringendosi alla
fune con cui tirava l`acqua, dopo che ebbe ligato il
capo di essa in una
colonna, scende nel
pozzo; ma la fune
perché debole a
sostenerla,
si
spezzò, e la fece
piombare al fondo
delle acque. Ciò
non la scompose, e
senza perder di
mira il di lei caro
oggetto lo rinviene
nelle acque, e colla
destra luttando col
pericolo, e colla
morte, e facendo
uso
di
quei
prodigiosi sforzi,
che
la
natura
somministra in tal
rincontri estremi,
giunge a guadagnare un grosso macigno, cui
s`inerpica, e salva così la propria vita, e quella del
pargoletto suo figlio.
Sopravvenuta intanto altra gente vennero estratti
entrambi, e senza di aver riportato alcun male. Il
Caruso, intendente, gratificava questa generosa
madre dandole ducati sei, ed elogiandola presso il
governo, spero che possa ottenere un compenso più
vistoso... Intanto ho creduto d`inserire questo fatto
straordinario nel presente giornale, acciò sia alla
conoscenza di tutti, e perché i sindaci nel rimanere
ammirati, dispongano, a prevenire così tristi
avvenimenti, che tutt`i pozzi a pian terreno, esistenti
ne' rispettivi territori di loro giurisdizione, e coverti
al di sopra a spese de proprietari».
1835: Per Brindisi SCHEGGE DI STORIA BRINDISINA ...
Anno di statistiche e altro
... dalle Cronache dei Sindaci di Brindisi
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di Gianfranco Perri
Nel 1835 Stefano Palma era il sindaco di Brindisi e
Mango era il sottointendente.
mano, 2 fabbriche di sapone, 3 concerie e c`erano
anche 2 fabbriche di creta lavorata.
Benedetto Marzolla, illustre brindisino, stando in
Napoli in quell`anno 1835, nella sua qualità di
responsabile del "Real officio topografico della
guerra" compilò il celebere "Gran dizionario
geografico statistico-storico del regno delle Due
Sicilie". E la città di Brindisi aderì subito all`invito
del suo illustre figlio, fornendogli tutte le notizie
statistiche
indispensabili
da
lui
richieste,
compilandole
con
scrupolosa cura:
Le fontane, che erano 9 di cui una sola nel centro
urbano e precisamente nella Piazza dei
commestibili, fornivano tutta l`acqua necessaria per
la popolazione.
«In quel tempo, in
Brindisi la popolazione
era prevalentemente
composta da contadini
pescatori ed artigiani,
e comprendeva 7.504
unità, di cui 3.417
uomini e 4.087 donne.
Questi abitanti, che
avevano riconosciute
"docili
e
buone
maniere, inclinavano
un po’ all`inerzia".
Si contavano ben 16
boschi che fornivano
tutto il legname necessario alla costruzione di carri
agricoli, aratri e piccole barche da pesca.
Il bestiame era così ripartito: 190 cavalli, 80 muli,
500 asini, 620 buoi, 400 vacche, 11.000 pecore, 130
maiali, 6.000 capre, 8.000 polli.
L`agricoltura era assai fiorente e si producevano in
gran quantità grano, avena, vino, formaggi, lana e
cotone. Mancavano invece, legumi, frutta, granturco,
olio e patate. Esistevano 21 mulini nell`abitato e altri
49 in campagna. I forni erano 61, di cui 11
nell`abitato e gli altri 50 nelle masserie.
In tutta la città vi era una sola trattoria, mentre le
bettole erano 90. Di 8 alberghi, uno solo, situato
nella rua Maestra, era alquanto decente e poteva
alloggiare fino a 8 persone. Un ospedale civile e uno
militare potevano accogliere, rispettivamente, 20 e
80 ammalati.
L`industria era costituita da 2 fabbriche di acquavite,
1 di pasta a macchina e di varie altre fabbriche a
Il porto esterno e quello interno avevano un ottimo
ancoraggio, ma il secondo non era accessibile a legni
di grossa portata. Si contavano stabilmente 56
barche da pesca e 3 da trasporto.
Il clero presente era
formato
dall`arcivescovo, un
vicario generale, un
arcidiacono,
un
cantore,
un
tesoriere,
un
arciprete,
21
canonici, 12 preti e
29
monaci.
Le
chiese erano 17, di
cui 4 parrocchie, 4
con confraternite e
9
per
la
celebrazione delle
messe ed altre
funzioni religiose.
In quanto alle professioni e mestieri di prima
necessità: medici 7; avvocati 15; notari 4; farmacisti
6; salassatori 10; levatrici 4; agrimensori 3; muratori
40; falegnami carpentieri 30; ferrari 13; armieri 3;
sartori 80; pellettieri 3; calzolai 80; barbieri 13;
beccari 10».
Negli Annali civili del dicembre di quello stesso anno
1835, furono anche indicate le mansioni che erano
assegnate ai sindaci della città:
«Responsabilità sullo stato civile e ufficio di
vigilanza sulla situazione sanitaria e sulla morale di
tutta la popolazione. In dettaglio: statistica morale;
elemosine; istruzione pubblica; medici e medicine
gratuite agli infermi poveri; beneficienza pubblica;
salubrità dell`aria; cibi e bevande nocive; farmaci
nocivi; malattie contagiose; vaccinazioni; idrofobia
ed epizoozia. Infine ufficio di conciliazione e
vigilanza su tutto ciò che riguardava la sicurezza e "il
comodo de' cittadini": alloggi; traporti; statistica
industriale; leva dei soldati e convogli militari».
1838-1843 Francesco Monticelli - Sindaco
Atti di ordinaria amministrazione
SCHEGGE DI STORIA BRINDISINA ...
... dalle Cronache dei Sindaci di Brindisi
ccc ccccccccccc
di Gianfranco Perri
Il 28 giugno 1838, il decurionato di Brindisi
deliberò: la sistemazione della strada congiungente
Porta Mesagne a Ponte grande; la riattivazione della
fontana pubblica di Farene sotto le Sciabiche;
l`acquisto di munizioni e la riparazione di 10 fucili
per le guardie urbane; gli aggiornamenti degli
stipendi al maestro di scuola, al medico condottato,
al cerusico assimilato al medico, all`orefice Giuseppe
Zaccaria "regolatore dell`orologio del capoluogo" in
sostituzione di Giuseppe Arsenio che non era
contento dello stipendio; l`affidamento all`ingegnere
Lorenzo Turco di stabilire il valore locativo di quella
parte del Bastione S. Giacomo addetto ad uso di
macello; la tutela dal degrado e dai ladri dell`ex
convento domenicano annesso alla chiesa del Cristo,
dove i ladri facevano cadere le tegole dei tetti per
mascherare i furti.
E il 23 agosto si deliberò restaurare la chiesa di
Santa Maria di Loreto da usare come chiesa del
Camposanto e che i cadaveri dalla città al
Camposanto si dovessero
trasportare con carretta a
mano o tirata da animale
cavallino, essendovi ormai
una popolazione di 8000
abitanti, e che per
giungere al Camposanto vi
era la distanza di un
miglio e forse più. Però i
cadaveri continuarono ad
essere portati a spalla
perché mancava una
strada rotabile e da mesi
perciò, anche se vi era il
carro, non lo si usava.
Poi, il 16 giugno 1840, si
deliberò di dare un
compenso al sacrestano
per fermare i cadaveri, prima del trasporto al
Camposanto, nella Chiesa del Cristo o Crocifisso, e
poi traghettarli per quel braccio di levante del porto
interno. Ma nel mese di maggio 1842 un demente
bruciò il battello che si usava per il trasporto dei
cadaveri e bruciò anche una parte dei sotterranei
contigui alla cappella del Camposanto.
Il 15 settembre 1840 si discusse nel decurionato la
proposta di alcuni cittadini che offrivano di alberare,
a proprie spese, le piazze e le vie più larghe della
città.
Il 25 settembre si deliberò per la costruzione nei
cantieri di Taranto di un nuovo battello per il
collegamento tra Brindisi e il Casale.
Il 10 agosto 1841 fu proposto l`istituzione di un
ospedale e di una farmacia e di eliminare gli stipendi
ai 7 medici per poter comprare medicine e cibo: «I
medici erano attenti a curare senza distinzione per
legge, in modo che non adempiendosi si potrà per le
vie regolari domandare che gli venisse tolto il
diploma a costui che si rifiuta». La proposta non
prosperò.
Il 3 novembre, il decurionato riunito deliberò
procedere alla demolizione della chiesa di San
Giovanni dei Greci.
Il 30 maggio 1842 mediante atto del notaio
Gioacchino Giaconelli fu costituita una banda
musicale in Brindisi: «...Don Antonio Virgilio fu
Raffaele musicante di
Oria prese impegno di
formare e dirigere la
banda...».
Seguono
svariate
pagine
di
contratto,
con
23
clausole rigorosissime e
contenenti dettagli di
ogni tipo. A quei tempi
infatti, le bande musicali
erano un qualcosa di
veramente molto serio a
Brindisi.
Nel maggio 1843, su
proposta del sindaco e
di
don
Raffaele
Monticelli-Cuggiò,
si
chiese autorizzazione al
re per costruire un teatro stabile finanziato parte dal
Comune e parte da vari cittadini privati.
Il 3 luglio, con atto notarile, si stipulò l`accordo con
Oronzo Cappelli di Giacomo, che era capomastro
muratore, per costruire un faro sulla torre del
cavaliere del Forte a mare. Cappelli aveva infatti
vinto l`appalto su progetto degli ingegneri del genio
approvato dal direttore dell`Opera del porto, il
tenente colonnello Albino Mayo.
La questione del Porto di Brindisi: 2a Parte
... una questione di sempre e per sempre...
SCHEGGE DI STORIA BRINDISINA ...
... dalle Cronache dei Sindaci di Brindisi
ccc ccccccccccc
di Gianfranco Perri
Fu il reale decreto del 27 agosto 1842 di Ferdinando
II «per la bonificazione del porto di Brindisi», che
diede nuovo impulso al progetto di recuperazione
del porto di Brindisi, dopo più di 60 anni
dall´insuccesso dell´opera del Pigonati. Fu
formalmente istituita l`Opera del porto e fu
confermato suo responsabile il colonnello del genio
Albino Mayo fino alla sua morte avvenuta in Brindisi
il 4 maggio 1848, poi ricordato anche come
progettista poco accorto e come dilapidatore dei
beni dello stato. L`Opera del porto fu poi
formalmente soppressa nel 1867.
Quella bonifica era stata voluta ed implorata dagli
amministratori e dalla stessa popolazione anche
attraverso la pubblicazione delle tre difese dei tre
savi Monticelli, collaborati da
Benedetto Marzolla e da Giovanni
Tarantini. Le manifestazioni di
popolo furono finanche ricordate
da un poema di Giuseppe
Domenico De Roma, che fu
addirittura
stampato
su
“L´omnibus pittoresco” di Napoli
nel gennaio 1843.
si fosse recato munito degli strumenti rurali e di
panieri, presentandosi al direttore dell´Opera».
Nel 1845 re Ferdinando II fu a Brindisi per verificare
i lavori di bonifica e perché vi erano «interessi
sovrani per il porto alla vigilia dell´apertura del
canale di Suez». Vi tornò ancora per lo stesso
motivo, nel 1846 e il 26 maggio 1847.
E proprio in quel 1847 doveva giungere una prima
svolta fondamentale, anche se non comunque
definitiva, quando, grazie all´impegno di Teodoro
Monticelli ed all’ingegno del tenente di vascello
Mario Patrelli e con la costante presenza del
colonnello Albino Mayo, si completo la modifica
dell´orientamento del canale che, così rivolto verso
tramontana, risolse il problema del suo periodico
Subito dopo il decreto reale, il 4
settembre 1842, il consiglio dei
decurioni di Brindisi discusse la
tassa di 1000 ducati annui di una
contribuzione decennale per
l´Opera del porto, la prima di una
lunga serie di tante successive
tasse imposte per quello scopo.
Nello stesso 1843, Domenico Cervati
pubblico a Napoli il saggio «Pensieri per riaprire e
ristaurare stabilmente la foce e restaurazione del
porto di Brindisi» composto di fogli venticinque.
La costruzione dell´Opera ebbe principio nel 1843
«dallo scavo del porto coll´abbassamento dell´isola
angioina, coll´apertura del canale borbonico,
abbattendo le vecchie banchine che vi faceano
argine, e portando le acque alla stessa refluenza
primiera sulle spiaggiate dei giardini». Per la
costruzione dell´Opera fu necessario ricorrere alla
manodopera forastiera e venne pubblicato avviso
che «sarebbe stato ammesso chiunque volesse
prestarsi ivi a zappare e trasportar terra, purché vi
insabbiamento e della sua conseguente ostruzione.
Poi, i lavori furono sospesi con l´inizio del 1848, a
seguito del precipitare dei fatti politici e militari di
quell´anno, per essere ripresi, di fatto, solamente
nel 1854.
Nel 1849 comunque, dopo la morte improvvisa del
colonnello Albino Mayo,
veniva, per sovrano
comando, nominata una seconda commissione
«composta da due ingegneri dei ponti e strade, due
uffiziali del genio, ed un uffiziale della reale marina»
la quale aggiornò il progetto in corso di esecuzione,
incorporandovi qualche modifica e qualche nuova
opera accessoria. Il nuovo progetto e i costi
addizionali associati furono approvati dal re.
...per Brindisi : Storia sofferta
di una ottocentesca Ferrovia
di Gianfranco Perri
Il decreto del 1842 con cui re Ferdinando II aveva
costituito l`Opera del porto «per la bonificazione del
porto di Brindisi e de' terreni adiacenti», fu da lì a
poco complementato con un altro decreto, datato 29
ottobre 1844, con il quale si stabilì nel porto di
Brindisi la «Scala franca di merci e generi forestieri,
che saranno custoditi in magazzini chiusi da alto
muro di cinta, con delle porte distinte per
l`immissione e l`estrazione».
Ma non solo: il sovrano, certo amministratore
lungimirante, già pensava all`integrazione del porto
di Brindisi con la ferrovia. La Napoli-Portici infatti,
che era stata da lui inaugurata il 3 ottobre 1839 con
doppio binario e 7,25 chilometri di lunghezza, fu la
prima ferrovia italiana.
Il 19 maggio 1847, Thomas Waghorn, il famoso
pioniere delle rotte transcontinentali, scrisse al
primo ministro di Inghilterra, lord Palmestron, per
modificare la linea della
Valigia
d`oriente
prevedendo, con l`aiuto
delle linee ferrate, il suo
passaggio
attraverso
Brindisi.
Il 16 agosto 1852 il re
decretò una concessione
per la costruzione della
ferrovia per Brindisi, a
Benedetto Albano, il quale
con tale fine aveva già
costituito in Londra una
società per i capitali
necessari
a
detta
intrapresa. Però il 16 novembre, su richiesta del
ministro dei lavori pubblici, il re annullò l`appalto
perché
«Il signor Rothschild, inglese, voleva
condizionare
il
contratto
di
costruzione
all`accettazione del premio monetario per miglio
inglese, anziché miglio napoletano». Il miglio inglese
uguala un chilometro 609 metri, quello napoletano
un chilometro 852 metri: probabilmente un
malinteso in buona fede, ma comunque sufficiente
ad annullare l`operazione.
Il 7 aprile 1855, il re Ferdinando II stipulò una nuova
convenzione, questa con l`ingegnere Emanuele
Melisurgo di Bari, della Società finanziatrice per la
ferrovia Napoli-Brindisi, poi detta delle Puglie,
essendo referenti delle sottoscrizioni azionari anche
SCHEGGE DI STORIA BRINDISINA ...
... dalle Cronache dei Sindaci di Brindisi
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i due fratelli Nervegna e Teodoro Ripa di Brindisi. Ed
il 16 aprile, il re firmò il decreto in cui concesse la
costruzione e l`esercizio della ferrovia allo stesso
ingegnere Melisurgo, che l`aveva anche progettata.
Pietro Palumbo nella sua "Storia di Lecce" scrisse
che il 30 gennaio 1856 era stata prospettata la
possibilità di innestare al progetto della ferrovia
delle Puglie, la tratta Brindisi-Lecce.
L`11 marzo del 1856 vi fu a Napoli l`inaugurazione
dei lavori, alla quale però il re non intervenne
perché, per ragioni politiche, aveva cambiato
atteggiamento nei confronti dell`opera.
Sul "Poliorama pittoresco" fu pubblicata la relazione
della cerimonia dell`inaugurazione e a Napoli, nel
1857, fu anche pubblicato un opuscolo contenente la
"Confutazione delle così dette riflessioni economiche
legali intorno alla comandita per la ferrovia delle
Puglie".
Nel discorso letto il 6
maggio
1558
dall`intendente della
provincia di Terra
d`Otranto, Carlo-Sozi
Carafa, si dice: «I
miglioramenti
del
porto di Brindisi sono
anche collegati ad
uno scopo più ampio,
quello
della
costruzione
della
ferrovia
che
lo
congiungerà a Napoli.
Però il progetto del dinamico ed intraprendente
ingegnere di Bari fallì miseramente, per
l`incomprensione e l`avarizia dei possidenti dei
terreni da attraversare, l`arretratezza e la miseria
delle popolazioni, nonché per l`indifferenza se non
per l`ostilità del governo.
Nel 1862 toccò al parlamento del giovane regno
d`Italia,
approvare la costruzione della linea
ferroviaria Ancona-Foggia-Brindisi, che fu affidata
alla Società delle Ferrovie Meridionali ed il tronco
finale, Bari-Brindisi, fu aperto il 29 gennaio 1865 e
solennemente inaugurato il 25 maggio dello stesso
anno dai principi Umberto e Amedeo di Savoia. La
tratta ferroviaria Brindisi-Lecce fu aperta qualche
mese dopo, il 15 gennaio del 1866, e dopo altri venti
anni toccò alla linea Brindisi-Taranto.
Una descrizione molto dettagliata
del porto di Brindisi datata 1853
SCHEGGE DI STORIA BRINDISINA ...
... dalle Cronache dei Sindaci di Brindisi
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di Gianfranco Perri
Nel 1853 l`ingegnere Luigi Giordano, di Bari,
pubblicò una sintesi della storia delle opere di
recupero e bonifica del porto di Brindisi: dal primo
importante tentativo fatto dal Pigonati nel 1774,
passando per i progetti mai del tutto attuati del
Pollio nel 1789, e poi descrivendo in dettaglio le
opere indicate dalla prima commissione reale del
1834 e quelle indicate dalla seconda reale
commissione del 1849. E l`ingegnere Giordano
incluse la seguente dettagliata descrizione fisica del
porto corrispondente a quell´anno 1853.
«Vuolsi distinguere il porto di Brindisi in due parti,
tra loro congiunte da un canale di comunicazione. La
esteriore, che propriamente può dirsi rada, di
lunghezza palmi 6000 dal ridetto canale sino ad
incontrare l`isola del Forte di mare. La profondità
delle acque in questa rada, tra i limiti di palmi 14 a
45, finiva con altezze minime presso al canale; la
traversia principale è nella direzione di E-NE. La
parte interna costituisce propriamente il porto; essa
si divide in due rami, nel mezzo dei quali è la città. Il
primo di sì fatti rami detto occidentale, ha la
lunghezza di palmi 6500 fino ad
incontrare il ponte grande su la strada
per Lecce, la larghezza media é di palmi
1200. Il secondo verso oriente, ha la
lunghezza di palmi 4500, ed arrestasi a
palmi 1200 sottocorrente al ponte piccolo
su la stessa strada per Lecce, la sua
larghezza media è palmi 800. La
profondità delle acque é maggiore nel
primo che nel secondo ramo, ma spesso
interrotta da bassi fondi, principalmente
nel punto in cui si uniscono i rami ed in
prossimità del lido.
A questi rami del porto seguono due
ampie e profonde vallate, le quali
rispettivamente son chiamate dai due
ponti di cui abbiamo discorso. Quivi le
acque impaludavano, del pari che nello
spazio il quale rimane fra il limitare del
secondo ramo del porto ed il rispondente
ponte su la strada di lecce.
Tra il porto interno e la rada è uno stretto che li
pone in comunicazione. Scarsissima é la profondità
delle sue acque, e verso la parte interna veniva
distinto in due canali dall`isola Angioina da cui
quello di levante toglieva il nome, nell`atto che
l`altro di ponente si denominava Borbonico.
Procedendo dal ridetto stretto di comunicazione
verso la rada, è su la destra la costa di Cala Murena,
dalla quale partono due vaste paludi. L`una,
denominata fiume piccolo, rimane in un burrone
profondo, distante dallo sbocco del canale
percorrendo il lido palmi 2800, la lunghezza è palmi
3800, la larghezza media palmi 500. L`altra,
dimandasi fiume grande, dista dalla precedente
palmi 8000, ha la lunghezza di palmi 5800, la
larghezza media di palmi 1100. Ad oriente dello
sbocco di fiume piccolo nella rada è una secca di
pietra mazzaro, che s`inoltra nel mare per la
lunghezza di 1500 palmi.
Questa costa di Cala Murena, e più quella parte che
tra i due burroni intercede, ha per lunghi tratti una
scarpa verso il mare quasi verticale, di più o men
notevole altezza, composta di terra, bolo e tufo
carpino, disposti per lunghi e spessi strati; una sì
fatta scarpa così pronunziata è normale alla
direzione dei venti boreali, che la pongono in
franamento continuo. A sinistra della stessa rada è la
Costa Guacino la quale, composta dagli stessi
materiali
della
opposta costa, è più
soggetta
a
franamenti per la
sua esposizione ai
venti orientali, e
nella parte prossima
al canale, anche a
quelli della traversia.
La lunghezza di
quella linea di sì
fatta costa, che più ai
franamenti rimane
esposta,
è
circa
palmi 5500.
Un
due
miglia
all`incirca
dallo
sbocco del canale
nella rada, ed alla
distanza minima di
palmi 2200 dalla
costa destra, sono le così dette Pedagne; scogli di
alquanta estensione, che di pochi palmi si elevano
dal livello del mare. La mentovata isola del Forte di
mare, la quale quasi limita la lunghezza della rada,
rimane circa 2200 palmi distante dalla Costa
Guacino. Questa isola è divisa in due da un canale
cavato appositamente nel masso per isolare il forte».
Gli Anni 50 : quelli del secolo XIX
Anche a Brindisi Anni di cospirazioni
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di Gianfranco Perri
La rivolta scoppiata a Palermo il 12 gennaio 1848
rimbalzó nel continente e il re Ferdinando II,
preoccupato, l´11 febbraio promulgò la costituzione.
Ma non fu sufficiente, e la rivolta, che continuó con
episodi che si susseguirono nelle province del regno
durante tutto l´anno ed il seguente, fu ferocemente
soppressa. Il 15 maggio 1849 Palermo venne
rioccupata dalle truppe borboniche e il 13 settembre
il maresciallo Marcantonio Colonna entró nel
capoluogo della Terra d´Otranto. Inizió così una
lunga stagione di persecuzioni, arresti, processi e
condanne, che si protrasse per tutti gli anni ´50.
Tra centinaia di condannati, molti i patrioti
brindisini, e tra di loro Cesare Braico e Giovanni
Crudomonte, che fu condannato a 24 anni nel Bagno
penale di Procida.
Il 22 febbraio 1850, venne nominato intendente
della provincia di Terra d´Otranto, Carlo Sozi-Carafa
e il 2 marzo 1850,
200 notabili di
Brindisi
sottoscrissero una
petizione al re
perché abrogasse
la costituzione del
febbraio 1848 e li
governasse «con
quelle istituzioni e
con quelle leggi,
che il paterno
cuore della M.V.
sente
meglio
emanare per la
tranquillità
e
prosperità del suo popolo». Il 5 marzo dello stesso
anno, anche il sindaco Pietro Consiglio e i 18
decurioni di Brindisi inoltrarono al re la stessa
petizione. E finalmente il 6 marzo anche la Chiesa di
Brindisi, con il suo primicerio Giovanni Tarantini,
testificò la volontà del popolo, marinai e contadini, a
volere che il re abrogasse quello statuto « per due
anni interi funesta causa di tanti mali».
Il 19 agosto 1852 fu scoperto un complotto per
«commetter la fuga dal Bagno di Brindisi, e
cospirazione a fin di portare strage e saccheggio in
città». Furono trovati «emblemi e distintivi settari
consistenti in una bandiera tricolore e sette nastri
simili, poesie di G. Berchet, carta con la scritta Dio e
il popolo, poesia "La toletta" di L. Corabi, e tante
lettere sovversive».
Nel 1853 fu istruito il processo politico nella gran
corte criminale di Lecce a carico di Vincenzo Zocchi
e Donato Stefanachi, di Lecce, Nicola Carbone di
Capua, e Giuseppe Nisi di Brindisi, per «discorsi
tendenti a spargere il malcontento contro il governo,
tenuti nelle carceri di Lecce». E a fine anno, le carceri
di Brindisi «sotto l´orologio» accolsero Camillo
Monaco di Oria, che era in città a domicilio forzoso
per le turbolenze politiche in cui era stato
immischiato nella capitale, quando il 18 ottobre
«con temeraria audacia mazziniana accompagnata
da disprezzo, mentre trovavasi in teatro a Brindisi la
sera che ivi festeggiavasi l´onomastico del re, un
momento prima che l´orchestra intuonasse l´inno
borbonico, uscì fuori con disprezzo restituendosi poi
dopo che fu terminato il cantarsi dell´inno».
Nel mese di agosto
1855
vi
fu
«cospirazione con
discorsi e scritti
tendenti a spargere
il
malcontento
contro il governo»
e per ciò a Lecce fu
processato, con i
due detenuti Pietro
Gorgia e Domenico
Romeo,
il
presidiario
del
Forte di Brindisi
Luigi Sivo.
Nel 1856 furono scoperti in Brindisi i verbali di un
circolo repubblicano nel botteghino di Cesare
Chimienti, e con lui furono processati per
«associazione illecita e per cospirar contro il
governo» Domenico Balsamo, Giovanni Crudomonte,
Cesare Gioia, Giovanni Bellapenna, Ignazio Mele,
Giuseppe Camassa, Tommaso Quarta, Giovanni
Laviani e don Pasquale Marangio di San Pietro V.
Il 10 Luglio 1857 vi fu istruttoria penale a Vincenzo
Greco, detenuto politico del Bagno penale, accusato
di aver steso uno «scritto criminoso per provocare
gli abitanti del regno ad armarsi contro l´autorità: il
proclama ai leccesi ...perché soccorrano i fratelli di
Sicilia e Cilento che già hanno cominciato a disertare
dalla tirannide».
1851 e 1853 : Brindisi vista
da due illustri viaggiatori
SCHEGGE DI STORIA BRINDISINA ...
... dalle Cronache dei Sindaci di Brindisi
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di Gianfranco Perri
Nel febbraio 1851 Gustave Flaubert, lo scrittore
francese autore del celebre Madame Bovarý, sbarcò
a Brindisi tornando dalla Grecia, e annotò le
telegrafiche impressioni seguenti:
Nell´antichità era il primo, per importanza, porto di
mare della costa orientale italiana e località abituale
di transito per l´Illiria e la Grecia, ma oggi é molto
decaduta.
«Lunedì 10 febbraio: Vista di Brindisi con coste
basse, forte e porto - Marinai in maglione - Musicista
ambulante e giovanotto rosso, in cappottino di
velluto e basco calzato sull´orecchio - Ipertrofia di
cuore - Dogana con il commissario di polizia Strade bianche e tortuose, teatro, albergo di Cupido Cena - Passeggiata fuori città, strada, aloe, angolo
fortificato, colore arancio del sole, calma - Contadini
e contadine che ritornano dai campi - “Buona sera!”
- Ritorno in albergo - Teatro “La figlia del conte
Orloff“ - Notte in grandi letti.
Il porto interno, spazioso e ben protetto, é infatti ora
insabbiato e accessibile soltanto da alcune piccole
imbarcazioni. Quelle più grandi devono rimanere in
quello esterno, più esposto al vento, sul cui lato nord
si trova una fortezza con il faro e il telegrafo.
Martedì 11 febbraio: La mattina aspetto Max che é
andato a fare il giro della città - Polizia - Partiti
proprio a mezzogiorno Vecchia carrozza tappezzata in
rosso su alte ruote; tre cavalli
neri, piume di pavone in testa.
Il padrone, omone in berretto
di seta sotto il cappello bianco,
ci accompagna; dietro oltre il
cocchiere, c´é un ragazzo a
cassetta. Usciti per il luogo in
cui ieri sera siamo stati a
passeggio - Strada dritta,
pianura piatta, molto verde,
ben coltivata; il mare a destra,
ben presto lo si perde di vista Una fattoria - Passo falso, ci
fermiamo, la terra é polverosa,
friabile, spessa – Boschetto di
quercioli – Operai lavorano per
fare ponti sulle inondazioni».
Il 16 marzo 1853, Wilhelm
Vischer, esploratore botanico
svizzero, costeggiando l´Italia
per recarsi in Grecia da Trieste,
ove si era imbarcato sulla nave
a
vapore
“Mamudie“
appartenente
al
Lloyd
austriaco, scrisse:
«Alle cinque della sera ci
ancorammo vicino Brindisi,
l´antica Brundisium.
Un´altra fortezza, di maggiori dimensioni, domina il
porto interno. A sud di questo porto si estende la
città, che, vista dal mare, fa una bella impressione.
Sugli edifici urbani si erge la vecchia Cattedrale, con
una grande cupola ed il campanile separato da
questa. Nella zona esterna sul mare, si elevano due
antiche colonne, di dimensioni possenti, che sono
visibili da lontano: l´una
é
interamente
conservata, l´altra risulta
diroccata.
L´intera costa orientale
d´Italia
dal
monte
Gargano sino a Brindisi, é
abbastanza
piatta,
proprio in contrasto con
la
costa
occidentale
calabrese, dove i monti si
innalzano direttamente
dal mare.
Su bassi dossi collinari
della costa pugliese, che
si trovano a una certa
distanza dal mare, si
scorgono
numerose
località, da lontano molto
belle nel loro biancore
scintillante. La zona di
Brindisi é invece molto
piatta e risulta poco
salubre.
Dopo alcune ore di sosta
per imbarcare merci e
passeggeri, lasciammo il
porto e puntammo verso
la costa dirimpettaia del
mare Adriatico».
I fari del Porto di Brindisi SCHEGGE DI STORIA BRINDISINA ...
costruiti nella seconda metá dell´800
... dalle Cronache dei Sindaci di Brindisi
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di Gianfranco Perri
«La novella torre di un faro già sorge imponente
presso a quella doganale di Penne, a breve distanza
dalla foce boreale di quel porto esterno; ed un altro
sta per essere intrapreso sulla secca di fior d´acqua
detta Petagna, per servire di guida a’ navigli che,
nelle oscure e burrascose notti dell´Adriatico, non si
arrischiano di presente a entrarvi per l´angustia
dell´unico varco orientale tra il Forte a mare, e
cotesto basso fondo.
Copiosi ammanimenti di ottimi materiali si stanno
importando per così importante costruzione:
novello tra mille pegni dell´augusta speciale
protezione, che la maestà del re N.S. accorda alla
floridezza, ed alla prosperità del commercio, ed a
quanto altro possa formare la felicità del reame».
«Il 3 luglio 1843 fu appaltata al capomastro
muratore Oronzo Cappelli di Giacomo, la costruzione
di un faro sulla torre del cavaliere del Forte a mare,
su progetto calcolo e supervisione degli ingegneri
del genio».
Il faro delle Pedagne, dei tre il solo ancora in piedi
come in origine, progettato nel 1834 fu eretto su
basamento circolare nel 1859. La portata del suo
fascio di luce è di circa 13 miglia nautiche.
Cominciò a funzionare a partire dal 1° febbraio del
1861, consentendo ai naviganti di identificare
facilmente l’imboccatura del porto e quindi evitare
possibili collisioni con gli altri quattro isolotti
presenti nella zona, oltre a due semisommersi.
Questo un frammento del lunghissimo discorso letto
il 6 maggio 1858 dall´intendente della provincia di
Terra d´Otranto, Carlo Sozi-Carafa.
Si tratta di un faro di V° ordine che, situato in Lat.:
40° 39.4′N e Long.: 17° 59.4′E, é attualmente ancora
in funzione come fanale rosso.
Ed in effetti, un paio d´anni prima, l´11 marzo 1857,
la costruzione del faro di Torre Penna era stata
appaltata a Sebastiano Di Fiore del fu Michele, col di
lui figlio Marco Fiore, marinai in Brindisi domiciliati.
La costruzione si eseguì puntualmente con carpano
importato via mare dalle cave di Casa l´Abate.
La sua torre bianca sorge al di sopra della casa
cilindrica disabitata, dove sono ancora presenti gli
alloggi dei guardiani con cinque stanze e due cucine,
oggi in completo degrado. In passato, e neanche
tanto remotamente, era custodito da tre fanalisti che
si avvicendavano tra loro, interessandosi anche della
manutenzione.
Il faro del porto di Brindisi invece, quello principale
del Forte a mare, era stato costruito già una decina
d´anni addietro.
Il pilota del porto imbarca e sbarca immediatamente
al di fuori della linea Punta Riso - Faro Pedagne.
Il 15 gennaio del 1859
re Ferdinando II fu a Brindisi
SCHEGGE DI STORIA BRINDISINA ...
... dalle Cronache dei Sindaci di Brindisi
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di Gianfranco Perri
Il 15 gennaio 1859, il re Fernando II di Borbone, già
molto malato, passo da Brindisi, e Raffaele De Cesare
in «La fine di un regno» ricordo che, rispetto alle
altre terre e alle altre città visitate durante quel
viaggio in Terra d´Otranto «dimostrazioni più
clamorose aveva preparate Brindisi».
Racconta De Cesare che i brindisini erano tutti fuori
dell´abitato, con il sindaco Pietro Consiglio e con il
sottintendente Mastroserio che, zoppo per cronica
infermità, aveva fama di zelantissimo ed era temuto,
si diceva, persino dallo stesso intendente Carlo SoziCarafa, nonché dai sindaci, decurioni e guardie
d´onore di tutto il circondario.
All´ingresso della città, era stato rizzato un arco
altissimo, sul quale si leggeva l´epigrafe seguente:
«Al benamato sovrano restitutore della sua salute,
Brindisi riconoscente, de’ suoi figli la vita consacra».
Attorno all´arco stava schierato un battaglione dei
cacciatori, con la banda municipale.
Il sovrano e la regina, Maria
Cristina
di
Savoia,
si
recarono al Duomo, dove
furono
ricevuti
dall´arcivescovo monsignor
Raffaele Ferringo, buona e
gioviale persona nativa di
Napoli, che per quella
speciale circostanza aveva
indossato il piviale fin dalle
prime ore del mattino;
dall´arcidiacono
Giovanni
Tarantini, il dotto uomo
brindisino che il re già
conosceva, e dal capitolo
tutto.
I sovrani attraversarono
l´ampia Cattedrale in mezzo
a due fila di seminaristi e di
canonici, dietro ai quali
stavano soldati e gendarmi, e
poi una turba di popolo. Il re
si moveva con difficoltà e sembrava che soffrisse
molto.
Cantato il Te Deum e ricevuta la benedizione, il re e
tutto il suo seguito salirono sull´episcopio annesso
alla chiesa, dov´era preparata una lauta refezione, e
dove si compì il ricevimento delle autorità e relativo
baciamano.
Il re chiese all´arcivescovo notizie sui liberali di
Brindisi e specialmente su Giovanni Crudomonte,
che era stato condannato a 24 anni di ferri per i fatti
del 1848 e chiuso nel Bagno penale di Procida.
Il sottintendente qualche giorno prima aveva
chiamato Francesco Crudomonte, figlio sorvegliato
di Giovanni, e gli aveva ingiunto, per mezzo del
commissario di polizia, di radersi la barba,
considerata simbolo di tendenze rivoluzionarie.
Il re era sofferentissimo e tremava dal freddo.
Dichiarò di non voler mangiare e, alle insistenze
della regina, prese un’ostrica, di quelle gigantesche
che si trovavano allora nel porto di Brindisi e,
dicendo con molta cavalleria: «questa la mangio
perché é veramente brindisina», ne inghiottì una
parte soltanto.
Gli altri presenti mangiarono lautamente e tra loro il
duca di Calabria, figlio del re, che fece grandi lodi del
pane di Brindisi, che trovava eccellente.
Al tocco, si discese dall´episcopio; già erano pronte
le carrozze, e fra le grida, non molto clamorose, della
folla e gli augurii e gli inchini delle autorità, si parti
per Bari.
Ferdinando II morì a Caserta il 22 maggio di quel
1859 e gli succedette il figlio Francesco II
(Frangischiello).
La questione del Porto di Brindisi : 3a Parte
... una questione di sempre per sempre...
SCHEGGE DI STORIA BRINDISINA ...
... dalle Cronache dei Sindaci di Brindisi
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di Gianfranco Perri
Il 17 gennaio 1856 si svolse una pomposa cerimonia
di «inaugurazione di nuove opere nel porto di
Brindisi».
Un capitolo si era concluso, non certo l´ultimo, e per
l´occasione,
Raffaele
Rubini
scrisse
un
componimento poetico stampato nella litografia
dell´intendenza di Lecce, in cui era stato definito
provvido e pio re Ferdinando II. L´esemplare del
foglio stampa posseduto dal proprio autore,
contiene però correzioni autografe ed espressioni di
pentimento a margine di quei versi in cui erano
espressi giudizi favorevoli ed elogi per re
Ferdinando II e per Carlo Sozi-Carafa, intendente.
«É questo un documento che esprime il travaglio
umano e ideologico di uno dei più illustri personaggi
dell´800 brindisino».
In un discorso letto il 6 maggio 1858 da quel già
citato intendente, c´é scritto: «Nel porto di Brindisi,
oltre a tutti gli altri lavori che sono in corso, e che
non saranno procrastinati affatto, verranno tosto
intrapresi i cavamenti del fondo, precisamente nel
canale d´ingresso al porto interno, la quale cosa
influirà potentemente a migliorare le relazioni
commerciali della provincia, perché potranno
comodamente ancorare nello stesso, anche i legni di
grossa portata. Sono di molta importanza le
Il 28 dicembre 1860, nel pieno dei fermenti legati
all`annessione del regno delle Due Sicilie al regno di
Sardegna, Alfonso De Carlo, il nuovo governatore
della provincia di Terra d´Otranto, bandì il concorso
d´appalto di una nuova serie di lavori programmati e
già approvati, per il porto di Brindisi, la costruzione
d`una parte della banchina nel seno di ponente: un
chiaro segnale di quanto fosse importante e
prioritaria per i brindisini quella secolare questione
del porto.
È del resto ben documentata l`insistenza dei
brindisini, fin dai primissimi giorni del nuovo corso
storico: Il 16 ottobre 1860, il garibaldino Eduardo
D`Accico, influente patriota brindisino, scrisse da
Napoli, da poco più di un mese occupata da
Garibaldi, per rispondere a un`ultima richiesta per i
restauri del porto avanzata al nuovo governo
nazionale dalla municipalità di Brindisi, attraverso
Giuseppe De Roma.
«Per il porto e nel porto si mossero ancora i cittadini
e i nuovi immigrati perché in quello specchio
d´acqua pensarono di vivere ancora le proprie liete o
tristi giornate speranzosi d´incontrarsi, come di fatti
si erano incontrati e continuarono a incontrarsi, con
i cittadini di tutto il mondo, fratelli non soltanto
italiani».
Sanford Robinson Gifford - 1860
banchine che si stanno costruendo per garantirne gli
argini in modo da non andar corrosi e franati
dall`impeto e dal contatto dei flutti. Le opere di
bonifica che sono già compiute hanno fatto mutare
la fisionomia di Brindisi e di tutte quelle circostanti
contrade».
Questo terzo capitolo chiude la serie sul porto di
Brindisi, ma non perché la materia si sia conclusa,
anzi, tutt`altro. La serie si chiude qui solo perché con
il 1860, anno di annessione di Brindisi al regno dei
Savoia, si concludono le “Cronache dei Sindaci di
Brindisi” di Rosario Jurlaro, fonte iniziale di questa
raccolta di: “Schegge di storia brindisina”.
1860: Anche Brindisi SCHEGGE DI STORIA BRINDISINA ...
entra nel Regno d´Italia
... dalle Cronache dei Sindaci di Brindisi
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di Gianfranco Perri
Il 7 settembre del 1860 Giuseppe Garibaldi aveva
fatto il suo ingresso trionfale a Napoli, già
abbandonata dal re Francesco II che solo poco più di
un anno prima, il 2 maggio 1859, aveva assunto il
trono dopo la morte di Ferdinando II. A Napoli, il
plebiscito celebrato il 21 ottobre aveva sancito
l´annessione del regno delle Due Sicilie al regno di
Sardegna, ed il 26 ottobre c´era stato l´incontro a
Teano tra Garibaldi e il re Vittorio Emanuele II. A
Brindisi, dal 6 agosto era sindaco Domenico
Balsamo, che era succeduto a Pietro Consiglio,
sindaco dal settembre 1856.
Eugenio Raffaele de Cesare fu invece processato con
l´accusa di «attacco e resistenza con violenza e vie di
fatto, senza i caratteri di violenza pubblica contro gli
agenti di forza pubblica la sera del 14 ottobre».
Mentre per fatti accaduti quella stessa sera furono
processati per «asportazione di armi vietate»
Francesco Marinaro, Carlo D´Arpe, Antonio Catalano,
Giovanni Lapruzzo, Girolamo Zaccaria, Nicola
Morelli e Leopoldo Decimo.
E cosa successe dopo l´annessione al regno sardo?
E per quel passaggio storico anche molti altri
patrioti brindisini si erano offerti ed avevano
sofferto: tra i Mille, il medico Cesare Braico
rappresentò, e con meritata fama, Brindisi e i
brindisini.
Ma, anche se meno famosi, ce ne furono tanti e tanti
altri. Nel solo 1860, per esempio:
Francesco D´Accico, era stato processato per aver
tenuto un «discorso tendente a spargere il
malcontento contro il real governo». Solo qualche
mese prima, in febbraio, era stato processato
Antonio Tassone per «cospirazione contro la sacra
persona del re e contro il real governo in quanto, con
altri ignoti, appartenente a «setta mazziniana». E
nello stesso febbraio fu anche processato Mariani
Laudadio di Casoli, detenuto del bagno penale nel
castello di terra, per «ricettazione di carte settarie e
conservazione di carte sediziose tendenti tutte a
distruggere l´attuale forma di governo, con eccitare i
sudditi e gli abitanti del regno ad armarsi contro
l´autorità reale». Tra le carte sequestrate, due copie
di un proclama che iniziava cosí: «Italiani, con
questo sacro nome io vi appello al tribunale
tremendo del mondo intero».
L´addetto alla corrispondenza del regio corpo
telegrafico di Brindisi, il 15 luglio trasmette
all´intendente di Lecce: «Questa mattina alle ore 5
sono stati trovati in vari punti di questa città vari
cartelli tricolori imitanti la stampa con la leggenda
Viva Garibaldi, Viva la Sicilia, Viva l´Indipendenza
Italiana. Furono defissi».
Leopoldo Decimo, Oronzo Ciampa e Pasquale
Calabrese, furono processati in agosto per «tentativo
di guerra civile tra gli abitanti di una stessa
popolazione, inducendoli ad armarsi gli uni contro
gli altri».
Salvatore Panareo scrisse che, una volta caduta la
monarchia borbonica «qualche arresto disposto dal
sottogovernatore Magno, lo sfratto dalla città di
alcuni retrivi, fra i quali qualche ecclesiastico che
non voleva persuadersi della ineluttabilità del
destino, e il lodevole contegno della guardia
nazionale, poterono ricondurre rapidamente la
calma in Brindisi».
L´arcidiacono e dotto Giovanni Tarantini «per il suo
tenace attaccamento al Borbone e per la sua attività
propagandistica antiliberale» fu confinato in Torre
Santa Susanna. E per «discorsi che il 31 ottobre
hanno avuto in mira solo di spargere il malcontento
contro l`attuale governo, distogliendo dal prender
servizio nella marina italiana» fu processato
Vitantonio Calò. Nel 1861 Brindisi entrò nel regno
d`Italia appena costituito.
1860 a Brindisi : SCHEGGE DI STORIA BRINDISINA ...
Fine di una storia e
inizio di un`altra storia
... dalle Cronache dei Sindaci di Brindisi
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di Gianfranco Perri
La Cronaca dei Sindaci di Brindisi II dal 1787 al 1860
di Rosario Jurlaro, continuata su quella di Cagnes e
Scalese dal 1529 al 1787, è preceduta da
un`introduzione in 47 pagine di Jurlaro, e mi è
sembrato quanto mai doveroso oltre che opportuno
riportarne qui, iniziando questa rubrica di "Schegge
di storia brindisina", un breve frammento, che altro
non è che l`ultima sua pagina, quella che conclude il
relato delle cronache con l`anno 1860. Anno della
fine di una storia e dell`inizio di un`altra storia, la
storia di Brindisi non appartenente più al regno di
Napoli o delle Due Sicilie che dir si voglia, ma
appartenente al regno di Sardegna e quindi poi,
regno d`Italia.
«Non è ancora accertato il tempo e il luogo in cui fu
espressa la triste preghiera "Iddio fai campare il re
tiranno perché non venga un altro più tiranno". Fu
forse nel meridione d`Italia, quando sembrò
concluso il cammino percorso con la speranza di
godere la libertà e di vivere in eguaglianza e
fraternità.
L`eguaglianza, che in tanti avevano pensato di poter
godere come figli di un unico padre, e la fratellanza,
invocata perché non vi fossero più fratricidi,
venivano disattese.
L`impresa garibaldina a giro di vite aveva caricato
come asini i meridionali, li aveva portati in campo
per ottenere molto meno di quanto avevano sperato,
una miseria: "una cinquina". E così, una sentenza in
versi pose con giudizio di popolo, perché sentenza
popolare, in discussione il risultato delle lotte
risorgimentali italiane:
"Giuseppi Garibaldi,
a picca a picca
ndi mesi la varda,
ndi mesi la varda
cu totta la ncina,
scemmu alla macchia
pi nna cinquina"
Volutamente e in maniera subdola era stato
attribuito dai capi di stato europei all`istituto
repubblicano, quello voluto da Giuseppe Mazzini,
spirito
anarchico,
di
un`anarchia degenere e
non pulita, come ogni
onesto
uomo
poteva
desiderarla per il governo
di se stesso nei rapporti
con gli altri.
Fu confusione e le lobby,
anche quelle dei massoni,
trincerate
dietro
gli
inganni,
differirono
l`aspettativa di quasi un
secolo.
Vi fu delusione quando ci si accorse che veniva a
mancare, alla parte più cospicua d`Italia dei tanti
staterelli con la liberazione dai Borbone, la libertà
per la quale fin dal 1799 non pochi si erano
sacrificati.
Eduardo
D`Accico,
un
brindisino che non fu
storico né letterato né
filosofo, in una sua lettera
ci da motivo per riflettere
sugli esiti di questa trama
ordita ai danni d`Italia che
repubblica è poi stata,
com`era nei voti, dopo quasi un secolo di un`altra
monarchia voluta per inerzia di un popolo che,
ancora schiavo del suo passato, non fu determinante
nemmeno il 2 giugno 1946, giorno di quel riscatto
nazionale che per i più è forse ancora in fieri».
BIBLIOGRAFIA STORICA ESSENZIALE DI BRINDISI
in ordine cronologico
GIOVANNI MORICINO Antiquità e vicissitudini della città di Brindisi dalla di lei origine
sino all'anno 1604 Manoscritto inedito (MSS, Vol. 37) Biblioteca Arcivescovile De Leo,
Brindisi
ANDREA DELLA MONICA Memoria historica dell´antichissima e fedelissima città di
Brindisi Lecce 1674 presso Pietro Micheli. Queste Memorie sono un plagio sfacciato
dell'Antiquitá e vicissitudini della città di Brindisi di Giovanni Maria Moricino. Del Della
Monica risulta originale solo l'XI Capitolo del libro V, che tratta degli avvenimenti dal 1604
(anno della morte di Moricino) al 1671 nelle pp. 689-716 dell'opera a stampa Forni, Bologna,
1972 pp. 716
PIETRO CAGNES & NICOLA SCALESE Cronaca dei Sindaci di Brindisi dall’anno 1529 al
1787 e narrazione di molti fatti avvenuti in detta città Manoscritto Biblioteca
Arcivescovile De Leo (MSS, Vol. III) pp. numerate 319, oltre l'indice. Stampa in Edizioni Amici
della A. De Leo, Brindisi 1978 pp. 636
ANNIBALE DE LEO Dell'antichissima città di Brindisi e suo celebre porto Stamperia della
Società Filomatica, Napoli 1846 In 8°, pp. 111
ROSARIO JURLARO Cronaca dei Sindaci di Brindisi dall’anno 1787 al 1860 Stampa in
Edizioni Amici della A. De Leo, Brindisi 2001 pp. 731
FERRANDO ASCOLI La storia di Brindisi scritta da un marino Tipografia Malvolti & C.,
Rimini 1886 In 8°, pp. 527
PASQUALE CAMASSA Guida di Brindisi Stab. Tip. D. Mealli, Brindisi 1897. Con illustrazioni
(II edizione). In 16°, pp. 232
VITTORIO AMEDEO CARAVAGLIOS Il porto di Brindisi. Illustrazione storica, geografica,
tecnica, economica, corporativa, statistica e tariffaria Napoli 1942
NICOLA VACCA Brindisi ignorata. Saggio di topografia storica Vecchi & C. Editori, Trani
1954 pp. 356
GIUSEPPE CANDILERA Parliamo di Brindisi con le cartoline Schena Editore, Fasano 1985
NADIA CALAVERA I palazzi di Brindisi Schena Editore, Fasano 1986
ALBERTO DEL SORDO Toponomastica brindisina del centro storico Schena Editore,
Fasano 1988
GIACOMO CARITO Brindisi Nuova Guida Edizioni Hobos, Oria 1994
ANTONIO CAPUTO Memorie brindisine Edizioni Hobos, Oria 2004
ALAGGIO ROSANNA Brindisi Medievale: natura santi e sovrani in una città di frontiera
Editoriale Scientifica Napoli 2009
Senza Colonne News
5 de Diciembre 2013
SCHEGGE DI STORIA BRINDISINA dalle origini all`annessione al Regno d`Italia
di Gianfranco Perri
Gianfranco Perri, anche in questa sua recente visita a Brindisi, tanto breve quanto intensa
come ci ha ormai abituato, non ha tralasciato di portare con se un regalo per i suoi amici di
¨Brindisini la mia gente¨. Un regalo questa volta specialmente interesante ed apprezzato: un
suo libro appena stampato intitolato ”SCHEGGE DI STORIA BRINDISINA dalle origini
all`annessione al Regno d`Italia”.
Gianfranco Perri ci ha detto che “Schegge di Storia brindisina” é una raccolta di cento
schede nelle quali si presenta in sequenza cronologica e molto riassunta la storia di Brindisi, la
“Filia solis” dell´imperatore Federico II, la romana “Brundusium” e la messapica “Brunda”,
dalle sue origini pre-romane fino alla sua annessione al Regno d´Italia, nel 1860. La raccolta
non pretende essere un libro di storia, né pretende costituire un relato storico completo, ma é
semplicemente solo una raccolta di “schegge”, di note ed appunti cioé, sulle vicende piú
rappresentative della plurimillenaria storia della cittá, raccontate in maniera puntuale
semplice e, spero, amena. Gli spunti principali di queste “schegge” provengono dalla “Cronaca
dei Sindaci di Brindisi” per gli anni dal 1529 al 1860; mentre per i precedenti, dalle origini fino
al 1529, gli spunti provengono tutti dalle sconfinate pagine del web.
E il professore Giacomo Carito, a proposito di questa raccolta di G. Perri, ci ha poi detto: “Nel
nome di Teodoro e di due colonne l’Adriatico si serra, fra Brindisi e Venezia, definendo un
modello culturale che rende il mare veicolo di modelli culturali. Il vertice meridionale,
l’insenatura che parve potersi proporre quale metafora di una testa di cervo, apre sullo Jonio e
sul Mediterraneo centrale proponendosi quasi come chiave per l’accesso a quel mare che la
Serenissima considerava di proprio esclusivo dominio. In questa funzione, a un tempo di
proiezione verso l’esterno e di salvaguardia dell’interno, può comprendersi la plurimillenaria
vicenda dei bacini portuali su cui hanno prospettato le città che, di tempo in tempo,
sovrapponendosi le une alle altre, hanno avuto come elemento di continuità il nome di Brindisi.
Città invisibili sono celate allo sguardo dal costruirsi e decostruirsi sempre nello stesso luogo;
non è difficile tuttavia, in particolare sui rialti che prospettano il seno di ponente, scorgere tracce
e indizi non irrilevanti. Città certo invisibili ma che, al visitatore attento, si disvelano nei rocchi
di età romana che, quasi come relitti di un naufragio, paiono sparsi per vie e piazze, terrapieni
che, come quelli di via Camassa, si rivelano riutilizzati e reinterpretati come contenimento,
difesa, pareti di fondo di minime abitazioni, edifici che, dal basso verso l’alto, propongono, in
successione, sovrapposizioni romane, medievali, rinascimentali e moderne.
Quanto Lecce pare offrirsi, quasi con sfrontatezza, allo sguardo con l’opulenza dei suoi esterni,
tanto Brindisi pare nascondersi; terra di mercanti, a facciate sobrie si oppongono interni
smaglianti. Qui il barocco si dispiega e si contiene in forme che non declinano horror vacui ma
piuttosto ricerca costante della misura nell’eco, in certo senso, della grande tradizione classica.
L’ultima, in ordine di tempo, delle città chiamate Brindisi reca su di sé i segni tragici del secolo
breve con memorie narrate da quelle che possono considerarsi steli celebrative che si pongono in
continuità con le colonne del porto e che su questo, come quelle, prospettano: il Monumento
Nazionale al Marinaio d’Italia e il memoriale delle vittime del terrorismo.
In questo viaggio nel tempo e nello spazio il volume di Gianfranco Perri accompagna come amico
discreto, evidenziando il celato, definendo con nuovi significati ciò che apparirebbe evidente,
fornendo nuove chiavi di lettura della città. Lo fa con la passione di chi ama una terra che, per
motivi di amore e di lavoro, ha dovuto lasciare ma cui sempre ritorna; il suo sguardo è perciò da
un lato quello di un senso interno, determinato dai suoi vissuti, l’altro di chi è capace di cogliere
ricchezza e contraddizioni del proprio luogo d’origine ponendosene, in qualche modo, sia pur
inconsapevolmente, all’esterno.
L’invito di Gianfranco Perri è allora quello di essere turisti nella propria città, d’avere la capacità
di guardarla con stupore e meraviglia, di scoprirla ogni giorno in nuovi e diversi significati.”
Il libro di G. Perri, presentato in una bella veste tipografica a colori, si fa leggere
amichevolmente, senza stancare e senza impegnare il lettore il quale, grazie alla rigorosa
sequenza cronologica ed al formato in schede che occupano ognuna una sola pagina, può
leggerlo tutto d`un fiato, oppure può consultarlo anche solo puntualmente, o può leggerne
poche pagine alla volta, magari quelle relative ad un determinato periodo storico.
L`aver sapientemente ed agilmente condensato in sole 100 pagine l`intero arco
plurimillenario della storia di Brindisi, è merito non da poco, ed il libro costituisce un invito
entusiasta diretto sopratutto, anche se non esclusivamente, ai ragazzi e ai giovani studenti
brindisini che hanno purtroppo sempre meno occasioni e meno stimoli per conoscere la storia
della propria città, o quanto meno per avvicinarsi ad essa.
Eppure quanto importante sarebbe farlo proprio dai banchi di scuola, dove invece non è
neppure minimamente previsto trattare del tema: incredibile ma vero!
Emblematico quello che Gianfranco Perri ha voluto scegliere quasi a motto del suo libro:
“Io ti dico che se ne le tue vene non circola l`eredità dei millenni, che se nel tuo cuore non canta il
poema de le lontane memorie, tu non sei un uomo, non rappresenti un popolo, nè puoi vantarti
d`essere membro d`una nobile città” - Cesare Teofilato.
Gianfranco Perri ha potuto portare con se a Brindisi solo poche decine di copie per alcuni dei
suoi amici, ma con il nuovo anno farà giungere a Brindisi un importante numero di altre copie.
Però, chi è interessato può consultare il libro nella Biblioteca Provinciale e lo può anche
consultare online a questo link:
http://issuu.com/gianfrancoperri/docs/schegge_di_storia_brindisina
Senza Colonne News
5 de Diciembre 2013
BRINDISI "filia solis"
Nella parte più a nord del Salento è situata Brindisi, città antichissima crogiolo
di culture e teatro di vicende entrate a buon diritto nei manuali della grande
storia, città nobile e antica che secondo alcuni si dovrebbe chiamare Brunda. E'
noto a tutti che questo nome significa testa di cervo, non in greco o latino, ma
in lingua messapica, il porto di Brindisi ha infatti la forma di una testa di
cervo, le cui corna abbracciano gran parte della città. Il porto è famosissimo in
tutto il mondo e da ciò nacque il proverbio che sono tre i porti sicuri della
terra: Iunii, Iulii, et Brundusii (De situ Japygiae - Il Galateo, 1558).
La parte più interna del porto è cinta da torri e da una catena; quella più
esterna la proteggono gli scogli da una parte e una barriera di isole dall'altra:
sembra l'opera intelligente di una natura burlona, ma accorta. La costa, che
dal monte Gargano fino a Otranto è quasi rettilinea ed incurvata in brevi
tratti, nei pressi di Brindisi si spacca ed accoglie il mare, formando un golfo
che si insinua nella terra con uno stretto delimitato, come già detto, dalle torri
e dalla catena. Un tempo, questa stretta imboccatura era profondissima e
poteva essere attraversata con navi di qualsiasi grandezza.
Da questo stretto, il mare si riversa per un lungo tratto dentro la terraferma
attraverso due fossati naturali che circonvallano la città; è sorprendente,
soprattutto nel corno destro, la profondità del mare che in qualche punto,
dicono, supera i venti passi. La città ha all'incirca la forma di una penisola, tra
i due bracci di mare. Sul corno destro, ha una fortezza di straordinaria fattura,
costruita con blocchi di pietra squadrata per volere di Federico II, e poi ha il
castello Alfonsino, il Forte a mare dei brindisini.
Brindisi è cresciuta sul più orientale porto d'Italia che ne ha determinato il
destino. Le colonne terminali della via Appia, specchiandosi dall'alto della loro
scalinata nelle acque del porto interno, vigilano su quella che la tradizione
vuole come l'ultima dimora di Virgilio. E poi Brindisi cela tantissimi altri
frammenti di storia, le cui testimonianze sono ancora leggibili nel tessuto
urbano, attraverso itinerari che si devono percorrere per ammirare l'eleganza
dei suoi numerosi palazzi, le maestose dimore dei Cavalieri Templari, la
ricchezza del suo patrimonio chiesastico e da ultimo, per scoprire l'essenza
autentica della città che il grande Federico II definì "filia solis", esaltando la
mediterranea solarità di questo straordinario avamposto verso l'Oriente.