BOLLETTINO DI STORIA
DELLE
SCIENZE MATEMATICHE
Anno XXXV · Numero 2 · Dicembre 2015
PISA · ROMA
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ISSN 0392-4432
ISSN ELETTRONICO 1724-1650
SOMMARIO
Argante Ciocci, Luca Pacioli e l’Archimede latino
165
Elisabetta Ulivi, Sul maestro Iacopo da Firenze autore del Tractatus
algorismi
185
Maria Giulia Lugaresi, Le raccolte italiane sul moto delle acque
«Bollettino di storia delle scienze matematiche» · Vol. XXXV · 2015 · Fasc. 2
201
LUC A PACI O LI E L’ A RC HIM ED E LATIN O
Argante Ciocci
Abstract: The fame of Archimedes
in the Renaissance relied chiely upon the translation of the greek mathematician’s works which had been
accomplished by Iacopo da San Cassiano around the mid-XV century.
The following article is meant to depict the process by which Pacioli’s
Summa ensued from Iacopo’s translation. Consequently, we may conceive
that the Scholar from San Sepolcro,
in his vulgarization of the proposition I.33 of De sphaera et cylindro, took
the cue from Iacopo San Cassiano’s
handwritten Latin translation of
Archimedes’ lore.
1. L’ Archimede latino di Iacopo da San Cassiano
I
ntorno alla metà del XV secolo l’umanista cremonese Iacopo da San
Cassiano (1410 ca. - 1454 ca.) tradusse dal greco in latino molte opere di
Archimede.1
La versione di Iacopo, caldeggiata dal papa Niccolò V, non comprendeva il ¶ÂÚd ÙáÓ ç¯Ô˘Ì¤ÓˆÓ (De luitantibus corporibus), che Guglielmo di
Moerbeke nella sua traduzione del XIII secolo2 aveva trovato in un
codice greco (oggi perduto) e indicato con B da Heiberg,3 e si limitava
alle opere contenute nei manoscritti della famiglia A,4 e cioè nell’ordine: De sphaera et cylindro (¶ÂÚd ÛÊ·›Ú·˜ ηd Î˘Ï›Ó‰ÚÔ˘), Circuli dimensio
(K‡ÎÏÔ˘ ̤ÙÚËÛȘ), De conoidalibus et sphaeroidalibus iguris inventa (¶ÂÚd
ÎÔÓÔÂȉ¤ˆÓ ηd ÛÊ·ÈÚÔÂȉ¤ˆÓ), Inventa circa helicas, hoc est spirales lineas et
Argante Ciocci,
[email protected]
1 Su Iacopo da San Cassiano (noto anche come Iacobus Cremonensis e Giacomo da Cremona) e la sua traduzione cfr. D’Alessandro, Napolitani 2012a; a loro si deve anche l’identiicazione dell’autografo di Iacopo con il codice Nouv. Acq. Lat. 1538 della Bibliothèque Nationale de
France. Di diverso avviso è Clagett 1978, p. XX e pp. 416-61. Sulla traduzione latina di Iacopo cfr.
D’Alessandro, Napolitani 2012a, parte III, pp. 191-236.
2 La traduzione latina di Guglielmo (oggi conservata presso la Biblioteca Apostolica Vaticana
Ottob. Lat. 1850) conobbe scarsa circolazione nel Medioevo: cfr. Clagett 1978, pp. 1238-1241. Napolitani 2007 (p. 29) arriva a sostenere che «fu praticamente inutilizzata».
3 Archimedis opera 1915, III, pp. LIII-LVIII.
4 Il codice A (IX sec. oggi perduto), uno dei capostipiti della tradizione archimedea, fu alla base
della difusione del testo greco di Archimede nei secc. XV e XVI: cfr. Archimedis opera 1915, III, pp.
IX-XLIII.
«Bollettino di storia delle scienze matematiche» · Vol. XXXV · 2015 · Fasc. 2
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argante ciocci
spatia dictis lineis contenta (¶ÂÚd ëϛΈÓ), Planorum aequeponderantium
inventa vel centra gravitatis planorum (¶ÂÚd åÛÔÚÚÔÈáÓ), Quadratura
parabolae, id est portionis contentae a linea recta et sectione rectanguli coni
(TÂÙÚ·ÁˆÓÈÛÌe˜ ·Ú·‚ÔÏɘ), Tractatus de arenae numero (æ·ÌÌ›Ù˘).1
Nella traduzione di Iacopo, inoltre, erano compresi i commenti di Eutocio alle seguenti opere: ¶ÂÚd ÛÊ·›Ú·˜ ηd Î˘Ï›Ó‰ÚÔ˘, K‡ÎÏÔ˘ ̤ÙÚËÛȘ,
¶ÂÚd åÛÔÚÚÔÈáÓ.
L’Archimede latino di Iacopo da San Cassiano nella seconda metà del
XV secolo si difuse soprattutto grazie a due personaggi:2 il cardinale
Bessarione e Francesco Cereo di Borgo San Sepolcro.3 Bessarione, probabilmente già nel 1455, prese in prestito dalla Biblioteca Vaticana i
«quinterniones aliqui in Latino de geometria Archimedis et certi in pergameno versu».4 Tali «quinterniones», che Napolitani e D’Alessandro
identiicano con l’autografo di Iacopo e cioè con il Nouv. Acq. Lat. 1538,5
permisero l’allestimento del Marciano V. A sua volta l’esemplare marciano fu poi alla base della revisione del Regiomontano che, trovandosi
in Italia tra il 1461 e il 1467, non soltanto ne trasse copia, ma intervenne
sull’antigrafo per correggerne le igure geometriche più difettose: l’esito
delle sue fatiche è rappresentato dal codice N (Nürnberg, Stadtbiblio1 La sola divergenza rispetto all’ordine presente nei testimoni greci della famiglia A è quella di
posticipare l’Arenarius alla Quadratura parabolae. Cfr. il conspectus operum dei principali testimoni
della famiglia A in Archimedis opera 1915, III, p. XCI. Oltre a tali manoscritti e al perduto codice
greco B utilizzato da Guglielmo di Moerbeke, il terzo ramo della tradizione di Archimede è
costituito dal palinsesto costantinopolitano C: cfr. Netz, Noel 2007 (ma al riguardo di alcune
prese di posizione di questi autori si legga Morelli 2009, p. 206). Il codice C è stato recentemente
pubblicato in trascrizione e in riproduzione: cfr. The Archimedes Palimpsest 2011.
2 La traduzione di Iacopo, realizzata alla metà del XV secolo fu copiata numerose volte. Di tali
copie oggi si conoscono i seguenti testimoni (cfr. Clagett 1978, pp. 328-331; seguo i sigla utilizzati da D’Alessandro, Napolitani 2012a):
E = El Escorial, Real Biblioteca San Lorenzo, F III 9 (1541-42);
F = Firenze, Biblioteca Riccardiana, 106 (sec. XV);
N = Nürnberg, Stadtbibliothek, Cent. V 15 (1461-1476);
Na = Paris, Bibliothèque Nationale, Nuov. Acq. Lat. 1538 (sec. XV med.);
O = Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Ottob. Lat. 1157 (sec. XVI);
P = Paris, Bibliothèque Nationale, Lat. 7220 (sec XVI);
Pa = Paris, Bibliothèque Nationale, Lat. 7221 (sec XV med.);
U = Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Urb.Lat. 261 (1458-1468);
V = Venezia, Biblioteca Nazionale di San Marco, Lat. Z 327 8=1842, (1455-1458).
Sull’autografo di Iacopo (Na) cfr. D’Alessandro, Napolitani 2012a, parte II, pp. 81-127.
3 Rimando il lettore alle ricerche di D’Alessandro, Napolitani 2012a, parte II, pp. 129-190,
per ripercorrere il lungo cammino che mediante Bessarione, Regiomontano e il Venatorius conduce l’Archimede di Iacopo ino all’editio princeps di Basilea del 1544.
4 Sull’intera vicenda e sullo stemma codicum, che rivede in molti punti la ricostruzione di Clagett, cfr. D’Alessandro, Napolitani 2012a, parte II, pp. 187-190.
5 Cfr. D’Alessandro, Napolitani 2012a, parte II, pp. 118-122.
luca pacioli e l ’archimede latino
167
thek, Cent. V 15). Questa prima linea di difusione, che ha il suo centro
di diramazione nel codice V di Bessarione, culminò con l’editio princeps
di Archimede stampata a Basilea dal Venatorius nel 1544.
Nella seconda metà del XV secolo l’Archimede di Iacopo seguì però
una seconda via di difusione, aperta dall’opera di Francesco dal Borgo.1
È proprio a questa igura di architetto e umanista che – come vedremo –
è legata la rinascita di Archimede a Sansepolcro.
Dopo che nel 1458 Bessarione lo restituì alla Biblioteca Vaticana l’autografo di Iacopo (Na) passò nelle mani di Francesco dal Borgo,2 che lo
utilizzò per approntare il lussuoso Urb. Lat. 261 (U). Da U, giovandosi anche dell’autografo di Iacopo, Piero della Francesca trasse poi l’apografo
F (Biblioteca Riccardiana di Firenze, ms. 106).3
Sansepolcro, la città di Francesco Cereo, di suo cugino Piero della
Francesca e di Luca Pacioli, nella seconda metà del XV secolo divenne
una delle sedi del ricupero umanistico di Archimede e uno dei luoghi in
cui si cominciò a cercare di assimilarne la geometria per spingersi oltre
le colonne d’Ercole della matematica antica.
Che Sansepolcro fosse diventata una nuova patria per Archimede lo si
evince da un promemoria di Leonardo da Vinci risalente al 1502. Leonardo, infatti, annota sul f. 2r del Manoscritto L:
Borges ti farà avere Archimede del vescovo di Padova e Vitellozzo quello da il
Borgo a San Sepolcro.
Dopo l’incontro con Pacioli, Leonardo è assorbito dai suoi studi di geometria e, oltre agli Elementi di Euclide, cerca di procurarsi manoscritti
delle opere di Archimede. Mediante «Borges»,4 conta di avere una traduzione latina di Archimede dall’arcivescovo di Padova, Pietro Barozzi;5 da
1 Francesco dal Borgo è legato all’Archimede latino di Iacopo da San Cassiano anche per il fatto
che l’autografo di Iacopo porta un’iscrizione (f. 1r) apposta da una mano recenziore, successiva
alla stesura del Nouv. Acq. Lat 1538, che attribuisce la traduzione proprio a Francesco Cereo:
«archimedes de sphera et kylindro liber primus, interpetre (!) francico (!) cereo de
burgo sancti sepulchri». Cfr. su questo argomento D’Alessandro, Napolitani 2012a, pp.
187-190.
2 Su Francesco dal Borgo cfr. Pagliara 1997, pp. 692-696; Banker 1992, pp. 54-56; Frommel
1983-1984.
3 Banker 2005, pp. 165-169; Manescalchi, Martelli 2007; D’Alessandro-Napolitani 2012b,
pp. 75-106; D’Alessandro, Napolitani 2012a, pp. 174-186; Ciocci 2012a, pp. 43-64.
4 Borges è identiicato da Pedretti con l’arcivescovo di Bourges, Antonio Boyer, cardinale del
titolo di S. Anastasia in Roma (Pedretti 1977, II, p. 333). Solmi invece identiicava nel «Borges»
di Leonardo Cesare Borgia: Solmi 1910, p. 20 n. 5; Solmi 1907, p. 137. Il «Borges» di cui parla Leonardo è Cesare Borgia anche per Marani 1992, p. 25 e per Vecce 2006, p. 408, nota 43.
5 Pietro Barozzi fu vescovo di Padova dal 1487 al 1507. In questo periodo Leonardo dovette
procurarsi tramite «Borges» l’Archimede latino in possesso del porporato. Questo codice del ve-
168
argante ciocci
Vitellozzo Vitelli invece spera di ottenere l’Archimede di Borgo Sansepolcro. Dietro questa annotazione di Leonardo c’è probabilmente la segnalazione ricevuta dal suo maestro di geometria: fra’ Luca dal Borgo.
Pacioli oltre a sapere dove si trovavano le copie di Archimede conosceva
anche chi potesse procurarle a Leonardo. Aveva infatti insegnato per tre
anni Euclide a Camillo Vitelli, fratello di Vitellozzo, come racconta nel
Trattato di architettura dedicato ai lapicidi di Sansepolcro:1
E non manco con lo Magniico e degno condoctiero S. Camillo Vitelli de la cità de Castello legendoli io per anni tre el sublime volume del nostro Euclide.
Il promemoria del Manoscritto L nel quale Leonardo annota il luogo
(Sansepolcro) e la persona (Vitellozzo) che può procurargli Archimede
forse è riconducibile alle informazioni ricevute da Pacioli.2
Ma «quello da il Borgo a San Sepolcro» è l’Archimede latino di Iacopo?
Prima di abbozzare un’ipotesi di risposta a questo interrogativo è opportuno ora analizzare la Summa di Pacioli per ricercare indizi e tracce
della versione latina di Iacopo da San Cassiano.
2. Le tracce dell’ Archimede latino nella Summa
All’interno delle opere di Pacioli, come ha mostrato Clagett nella sua
monumentale opera dedicata ad Archimedes in the Middle Ages, si riscontrano fonti archimedee tipicamente medioevali, caratterizzate da una
tendenza ad usare i teoremi del Siracusano in chiave esclusivamente pratica e applicativa, e fonti rinascimentali, quali ad esempio la traduzione
di Iacopo da San Cassiano, che prediligono l’aspetto teorico della geometria e danno luogo talvolta a goi e incerti tentativi di ricostruzione
delle dimostrazioni di Archimede.3
Limitando il discorso alla Summa, possiamo subito rilevare che le fonti medioevali, iltrate attraverso la Practica geometriae di Leonardo Pisano,
caratterizzano soprattutto il Trattato di geometria che Pacioli espunge dal
Codice Palatino 577 della Biblioteca Nazionale di Firenze.4 Le parti
invece che più risentono della versione latina di Iacopo da San Cassiano
sono quelle risalenti a frate Luca, e testimoniano un tentativo di assimilazione dell’opera di Archimede che si distacca dalla tradizione abachiscovo di Padova è forse il codice latino O (Ottob. Lat. 1850). Per l’identiicazione di questo manoscritto con l’Ottob. Lat. 1850, ritenuto l’autografo di Guglielmo di Moerbeke, cfr. Archimedis
opera 1915, pp. LXVI, seguito da Clagett 1978, pp. 508-510.
1 Pacioli 1509, c. 24v.
2 Ciocci 2012b, pp. 23-33.
3 Clagett 1978, pp. 435-436; Rose 1975, pp. 53-55; Napolitani 1998, p. 82.
4 Cfr. Ciocci 2003, pp. 239-262.
luca pacioli e l ’archimede latino
169
stica medioevale e apre la strada agli studi rinascimentali dei lavori del
Siracusano.
Le tracce dell’Archimede latino di Iacopo sono ben visibili nelle ultime
carte della sezione geometrica dell’opera di Pacioli. Si prenda, ad esempio, il libro De sphaera et cylindro. Di quest’opera di Archimede si utilizza,
infatti, alla ine del Trattato di geometria pratica contenuto nella Summa,
soprattutto la proposizione 33 del libro I, nella quale si dimostra che la
supericie della sfera è quadrupla del cerchio massimo in essa contenuto.
Questa proposizione, che insieme alla successiva riguardante il volume,
costituisce il risultato più importante del libro De sphaera et cylindro, viene utilizzata da Pacioli per la soluzione dei problemi sui segmenti sferici
contenuti nel Particularis tractatus circa corpora regularia della Summa.1 I
56 problemi presenti in questa parte della Summa – come è noto – derivano integralmente dal Trattato d’abaco di Piero, ma alcune aggiunte di
Pacioli relative ad Archimede sono degne di attenzione in quanto costituiscono indizi rilevanti della presenza dell’Archimede latino di Iacopo da
San Cassiano nell’opera del frate di Sansepolcro.
Nella Summa, infatti, Pacioli integra il testo del Trattato d’abaco di Piero con due citazioni di Archimede («per quello che dici Archimede»
probl. nº 51, e «per la ragion sopraditta di Archimede», probl. nº 53).
Entrambe le citazioni riguardano la proposizione I. 42 del De sphaera et
cylindro.2
Probabilmente frate Luca ha letto questa proposizione dalla traduzione latina di Iacopo da San Cassiano, dove è numerata come quarantesima del primo libro e ha aggiunto al testo di Piero una sua traduzione volgare dell’enunciato. La proposizione, nella traduzione latina di Iacopo
(Na), aferma:
Supericies cuiuscumque portionis spaerae, quaequidem portio sit dimidia
spaera minor, aequalis est circulo cuius semidiametros equatur lineae illi quae
1 I problemi sui segmenti sferici risolti da Piero sono contenuti alla ine del Particularis tractatus circa corpora regularia, che chiude l’ottava distinzione della seconda parte della Summa. La
citazione di Archimede, l’unica peraltro contenuta nel Trattato d’abaco di Piero, compare in un
problema contenuto a f. 106v del Codice Ashburnhamiano 359* della Biblioteca Medicea Laurenziana di Firenze (Piero della Francesca 1970, p. 228; cfr., ora, Piero della Francesca
2012, vol. I, p. 184): «Egl’è un corpo sperico che il suo diametro è 7 bracci. Domando quanto sirà
la superiice. Ecci molti modi a saperlo. Primo è che montiplichi il diametro suo, ch’è 7, via la sua
circumferentia, ch’è 22, che fa 154: e tanto è la sua supericie. Et Archimede dici ch’è, omni
supericie de spera, 4 tanti che la supericie del magior circulo de quella medesima spera. Et il
magior circulo à diametro ch’è 7, che produci de supericie 38 ½ che, montiplicato per 4, fa 154:
commo de sopra. Sì che di’ che la supericie de la spera, che il diametro suo è 7 sia 154». Questo
problema è il nº 11 contenuto nella Summa a c. 69r (Pacioli 1494).
2 Cfr. Clagett 1978, vol. III, p. 455.
170
argante ciocci
a vertice portionis ad circunferentiam
circuli ducta sit, qui circulus portionis
est basis.1
Il problema nº 53, a diferenza del
Trattato d’abaco di Piero,2 riporta
nella Summa, la versione volgare di
Pacioli della proposizione I.42 del
De sphaera et cylindro usata anche
nel caso precedente:
Fig. 1. L. Pacioli, Summa, seconda parte
c. 73r. Figura del problema nº 51.
per la ragion sopraditta di Archimede
che vole che la supericie de ciascuna
portione de sphera sia equale al cerchio el cui semidiametro sia la linea
che si move da la summità del cono e
vene ala circumferentia de la basa de
ditta portione.3
La proposizione I.42 del libro De sphaera et cylindro contiene la dimostrazione del procedimento risolutivo usato nei problemi nº 51 e nº 53 che si
leggono a c. 73r della seconda parte della Summa. Il problema 51, che è il
primo dei 7 sui segmenti sferici, è così formulato (Fig. 1):
Egli è una sphera il cui diametro è 14. Levone con una linea piana tanto che
taglia del diametro 4 braccia. Domando quanto che levarà de la supericie de la
detta sphera e quanto farà la linea dividente.
La soluzione del problema viene ottenuta da Piero della Francesca nel
Trattato d’abaco – che è la fonte diretta di questa parte dell’opera di Pacioli – con l’uso, anche se non esplicitamente dichiarato, delle proposizioni I.33 e I.42 del De sphaera et cylindro di Archimede e della proposizione 2 della Circuli dimensio:
Havemo ditto nelli corpi spherici che la supericie de la sphera è 4 tanto che la
supericie del magior circulo de la sphera. E dicesse che a multiplicare il diametro de la sphera nella circumferentia del magior cerchio produciva la supericie de tutta la sphera. Adonca multiplicando 14 via 44 fa 616, per la supericie
1 Nouv. acq. Lat 1538, f. 36v, proposizione numerata 40 del De sphaera et kylindro liber primus
(= Sph. Cyl. I.42 Heiberg). Per una traduzione italiana moderna del testo di Sph. Cyl I.42, cfr. Archimede 1974, pp. 172-174: «La supericie di qualunque segmento sferico minore di un emisfero
è uguale ad un cerchio il raggio del quale è uguale al segmento di retta condotto dal vertice della
sezione sulla circonferenza del cerchio-base del segmento sferico».
2 Cfr. Piero della Francesca 2012, vol. I, pp. 203-204.
3 Pacioli 1494, seconda parte, c. 73r.
luca pacioli e l ’archimede latino
171
di questa sphera. Ora per trovar quella parte che leva quella linea che taglia del
diametro 4 [braccia], multiplica 4 nel resto del diametro ch’è 10, fa 40 e R40 è la
½ de la linea dividente e tutta è R160. Or tu hai chel diametro ad è 14, e la linea
dividente bc R160, che è corda e sega il diametro in ponto e: hai che be, R40, che
è la ½ del bc e lo ae che è saetta è 4; multiplicalo in sé fa 16, giognilo con 40 fa
56. Donca ab è R56, el quale se vol doppiare commo R, fa R224. Multiplica in
sé fa 224; pigliane li 11/14, per quello che dici Archimede, ne ven 176 e tanto sia la
supericie di quella portione menore che l’axis è 4 e lo diametro de la sua basa
è R160 [corsivo nostro].1
Gli altri 6 problemi che seguono il nº 51 richiedono in un modo o nell’altro il ricorso ai risultati ottenuti da Archimede nella Circuli dimensio o
nel De sphaera et cylindro. Può essere benissimo, come aferma Clagett,
che Piero, quando scrive il Trattato d’abaco, non conosca ancora l’Archimede latino di Iacopo ma si limiti ad usare i suoi teoremi secondo lo stile
della tradizione abachistica.2 Certo è che Pacioli, prima del 1494 e cioè
prima della pubblicazione della Summa, ha integrato il testo di Piero con
alcuni puntuali riferimenti a proposizioni archimedee, tradotte in volgare a partire dalla versione latina di Iacopo da San Cassiano.
Un altro indizio della presenza dell’Archimede latino di Iacopo nella
Summa è costituito da un brano inerente alla Circuli dimensio. In un passo della Summa di c. 74v Pacioli, a proposito del rapporto fra diametro e
circonferenza, aferma:
Archimede in lo suo 3º libro che fa de quadratura circulo ci mostra la proportione del suo diametro ala circumferentia esser magior che tripla sexquioctava
e minore che tripla sexquiseptima.3
1 Ibidem.
2 L’analisi di alcuni problemi del Trattato d’abaco, che richiedono l’uso di proposizioni archimedee, induce Clagett a pensare che in questo trattato di Piero, la fonte usata dal pittore non sia
tanto la traduzione di Iacopo da San Cassiano, quanto un’opera medievale (Clagett 1978, vol.
III, p. 385). Tra le fonti elencate da Clagett: (1) Savasorda, Liber embadorum, cap. 4, probl. 24; (2)
Leonardo Pisano, Practica geometriae, (3) Verba iliorum di Banu Musa; (4) De curvis supericiebus
Archimenidis, di Giovanni di Tineme; (5) Iohannes de Muris, De arte mensurandi, cap. 10. Per lo
studioso americano l’opera di Fibonacci, e cioè la Practica geometriae, è senza dubbio quella dalla
quale maggiormente dipende il Trattato d’abaco di Piero.
3 Nell’ottava distinzione dello stesso Trattato di geometria frate Luca ritorna sulla questione cercando di spiegare perché la soluzione archimedea, esposta precedentemente nella 4ª distinzione,
di moltiplicare il diametro per 3+1/7 risulta la più accettabile: «E benché di sopra in questo mostrassemo de quadrare i cerchi e sue parti nella distinctione 4ª, al capº. primo, a carti 26, questo
fo facto solo con lo presuposito de Archimede che in lo suo 3º libro che fa de quadradura circulo ci mostra la proportione del suo diametro ala circumferentia esser magior che tripla sexquioctava e minore che tripla sexquiseptima; unde per questo inora ci siamo irmati a questo
chel diametro moltiplicato via 3 1/7 facia la sua circunferentia, che con precisione non è da mettere, ma poco varia, commo dici Ptolomeo, quantità non sensibile. Se tu domandi perché più a
3 1/7 che 3 1/8 ci siamo fermati: si fa perché menore è la diferentia da 3 tanto e 1/7 ala circunfe-
172
argante ciocci
In simboli, se C/d = :
1
1
3 + < < 3+
8
7
L’uso di moltiplicare il diametro per 3+1/7 – rileva Pacioli – dipende semplicemente dal fatto che «menore è la diferentia da 3 tanto e 1/7 ala circunferentia, che non è da 3 tanto e 1/8». In questo caso frate Luca sostituisce 3+10/71, che è il valore del rapporto tra il perimetro del poligono
di 96 lati inscritto nel cerchio e il diametro calcolato da Archimede, con
3+1/8. Ma da dove viene l’indicazione «magior che tripla sexquioctava»?
Visto che questo valore del rapporto fra la circonferenza e il diametro
non è presente né in Guglielmo di Moerbeke (Ott. Lat. 1850, e quindi in
B) né nei testimoni greci della famiglia A noti ad Heiberg,1 deriva sicuramente dalla traduzione latina di Iacopo da San Cassiano, che alla ine
della terza proposizione della Circuli dimensio riporta questo valore di
3+1/8 («maiorem esse quam triplam sesquioctavam, minorem vero
quam triplam sesquiseptimam»).2
La stessa citazione di Pacioli conferma che siamo di fronte all’Archimede tradotto da Iacopo da San Cassiano: il frate di Sansepolcro infatti
si riferisce ad «Archimede in lo suo 3º libro», e l’opera sulla misura del
cerchio appare dopo i due libri De sphaera et cylindro proprio nella traduzione latina di Iacopo da San Cassiano contenuta in Na.
Che Pacioli abbia letto la traduzione latina di Iacopo da San Cassiano
lo si evince del resto dal fatto che inserisce al termine dell’ottava distinzione del suo Trattato di geometria pratica la dimostrazione archimedea
della proposizione I.33 del De sphaera et cylindro, riproducendone i
passaggi deduttivi. È lecito concludere quindi che frate Luca conoscesse
rentia, che non è da 3 tanto e 1/8, e per questo s’è facto. E sel si havesse aponto la proportione
del diametro ala circunferentia aponto ancora quadraremo el cerchio e sue parti» (Pacioli 1494,
seconda parte, c. 74v). Sulla volgarizzazione della Circuli dimensio nel codice Pal. 577 della Biblioteca Nazionale di Firenze, pubblicato da Pacioli nella sezione geometrica della Summa, rimando il lettore allo studio di Clagett 1978, vol. III, pp. 424-435. Sulle diferenze fra il Palatino
577 e la Summa cfr. Ciocci 2003, pp. 239-245.
1 Archimedis opera 1915, Prolegomena, p. XCI.
2 Cfr., a questo proposito, Clagett 1978, vol. III, p. 435. La conclusione della proposizione 3
del libro Circuli dimensio nella versione di Iacopo suona così (Nouv. Acq. Lat. 1538, f. 56r della Biblioteca Nazionale di Parigi): «Quare multo magis circumferentia circuli maior erit sua diametro
quam tripla superdecies partiens septuagesimas primas. Unde colligitur circuli circumferentiam
sua diametro maiorem esse quam triplam sesquioctavam, minorem vero quam triplam sesquiseptimam». Sulla base di questa e altre anomalie presenti nel testo latino di Iacopo P. D’Alessandro e P. D. Napolitani ipotizzano l’esistenza di un antigrafo greco usato da Iacopo da San Cassiano
diverso da quelli ino ad ora noti. Cfr. D’Alessandro, Napolitani 2012a, parte III, pp. 191-236.
luca pacioli e l ’archimede latino
173
in modo diretto la versione latina del libro ¶ÂÚd ÛÊ·›Ú·˜ ηd Î˘Ï›Ó‰ÚÔ˘,
approntata da Iacopo da San Cassiano, e la utilizzasse per la versione in
volgare della dimostrazione archimedea.1
3. Pacioli e l ’ autografo di Iacopo
Ma quale fu il codice consultato da Pacioli? L’Urb. Lat. 261 (U), come
suppone Clagett? Il cosiddetto Archimede di Piero (F) del codice 106 della
Biblioteca Riccardiana di Firenze? L’Archimede latino di Bessarione (V),
contenuto nel codice marciano Lat. Z. 327? O addirittura l’autografo di
Iacopo da San Cassiano (Na)?
Se si confronta il testo della proposizione I.33 del De sphaera et cylindro
dei quattro codici latini con la volgarizzazione contenuta nella Summa
non emergono indizi in grado di dirimere la questione e quindi di appurare se Pacioli abbia consultato il manoscritto urbinate di Francesco
Cereo, il Riccardiano di Piero, il Marciano di Bessarione o l’autografo di
Iacopo. Dal confronto delle igure, però, si dovrebbe concludere che il
testo utilizzato da Pacioli in queste pagine della Summa sia o il codice di
Bessarione (V) o l’autografo di Iacopo (Na).2
Nel manoscritto denominato F (Biblioteca Riccardiana di Firenze, 106)
la proposizione attualmente numerata I.33 è indicata con il numero 32
(Fig. 2, all’interno del cerchio A, e della igura sottostante).
1 Sui motivi che inducono a pensare che la fonte di Pacioli sia il codice Urbinate Latino 261 cfr.
Clagett 1978, vol. III, pp. 416-461, e in particolare p. 449.
2 Gli altri testimoni noti dell’Archimede latino di Iacopo vanno esclusi dall’analisi delle possibili fonti della Summa di Pacioli per le seguenti ragioni: E (El Escorial, Real Biblioteca San Lorenzo, F III 9, a. 1541-1542), P (Paris, Bibliothèque Nationale, Lat. 7220, sec XVI) e O (Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Ottob. Lat. 1157, sec. XVI) sono posteriori alla Summa e
risalgono al XVI secolo; Pa (Paris, Bibliothèque Nationale, Lat. 7221, sec. XV med.), pur risalendo
alla metà del XV secolo è totalmente privo di igure e quindi non può essere il manoscritto dal
quale Pacioli ha tratto la igura della proposizione I. 33 De sphaera et cylindro (sulla descrizione e
sulla datazione di questi manoscritti cfr. D’Alessandro, Napolitani 2012a, p. 84 e pp. 331-344).
In linea del tutto teorica si potrebbe considerare anche la possibilità che Pacioli abbia potuto consultare N (Nürnberg, Stadtbibliothek, Cent. V 15, a. 1461-1476), negli anni (1461-1467 ca.) del primo soggiorno di Regiomontano in Italia. Dopo che Regiomontano lasciò l’Italia il suo Archimede latino inì a Norimberga, fuori dalla portata di Pacioli. La probabilità che Pacioli negli anni
Sessanta del XV secolo sia venuto in contatto con Regiomontano e/o con Bessarione, abbia consultato l’Archimede latino di Iacopo in N e/o V, abbia trascritto il testo e copiato la igura della
proposizione I.33 De sphaera et cylindro e poi, dopo circa trenta anni, la abbia pubblicata nella Summa, è pressoché nulla. Pacioli, infatti, nel 1461, quando Regiomontano cominciava la sua trascrizione dell’Archimede latino di Iacopo, aveva tra i 13 e i 15 anni (sulla biograia di Pacioli cfr. Ulivi 2009; su Regiomontano cfr. Malpangotto 2008, pp. 21-32): per motivi biograici sembra
quindi che una sua consultazione di N sia da escludere, anche perché Pacioli – che non manca di
ricordare nelle sue opere i personaggi illustri conosciuti nella sua vita errabonda – non cita mai
né Regiomontano né Bessarione.
174
argante ciocci
Fig. 2. Riccardiano 106, L’Archimede di Piero, Prop. I.33, numerata I.32.
De sphaera et Cylindro, f. 25r.
Piero della Francesca costruisce i poligoni inscritti e circoscritti alla
circonferenza in modo che i lati delle due igure risultino paralleli. La
stessa igura è presente nel Codice Urbinate Latino 261 di Francesco dal
Borgo (f. 23r) (Fig. 3). Piero e prima di lui suo cugino Francesco evidentemente ritennero tale igura più idonea a illustrare il testo della proposizione rispetto a quella che trovarono nell’autografo di Iacopo, dove il
poligono circoscritto alla circonferenza è ruotato di /4 rispetto al poligono inscritto.
Nella Summa Pacioli non segue Piero (F) né Francesco dal Borgo (U)
ma riproduce la igura dell’autografo di Iacopo. Che si tratti dell’Archimede latino degli umanisti e non di quello di Guglielmo di Moerbeke
(Ottob. Lat. 1850), oltre che dalla igura, che è la stessa di quella usata in
U e in F, lo si evince dalle lettere che la accompagnano: la circonferenza
della sfera è infatti indicata dalle lettere efgh e non EZHT, come invece è
segnata da Guglielmo; nel testo inoltre la traduzione di Moerbeke ripor-
luca pacioli e l ’archimede latino
175
Fig. 3. Urb. Lat. 261: proposizione I.33 (numerata I.32). De sphaera et Cylindro, f. 23r.
ta G invece di c, che compare in tutta la tradizione umanistica risalente a
Iacopo.
Se il disegno della igura può essere assunto come indizio dirimente
per scoprire quale sia il codice su cui Pacioli ha studiato l’opera di Archimede allora dobbiamo concludere che questo codice è o il Marciano di
Bessarione (V) o l’autografo di Iacopo (Na).
Fra le due opzioni non ci sono riscontri graici o testuali concludenti
a favore dell’una o dell’altra, ma la biograia di Pacioli e le vicende di
Na, lasciano pensare che frate Luca si sia servito dell’autografo di Iacopo, anziché della copia di Bessarione. La biblioteca del cardinale Nice-
176
argante ciocci
no, infatti, dopo il 1468 e ino al termine degli anni ’90 del XV secolo
era praticamente inaccessibile, anche a personaggi del calibro di Aldo
Manuzio,1 e pertanto delle due possibilità prospettate (V o Na) ne resta
soltanto una, e cioè che Pacioli si sia servito dell’autografo di Iacopo da
San Cassiano.
È molto probabile quindi che a Sansepolcro frate Luca abbia potuto
consultare Na, studiare Archimede e inserire la volgarizzazione della
proposizione I.33 del libro De sphaera et cylindro nella Summa. L’autografo di Iacopo, infatti, dopo varie vicissitudini – il prelievo in prestito di Bessarione dalla Biblioteca Apostolica Vaticana nel 1455 e la restituzione nel
1458 – era pervenuto prima nelle mani di Francesco dal Borgo che lo aveva utilizzato per far allestire U e poi in quelle di Piero della Francesca che
lo utilizzò per integrare il suo codice archimedeo F delle igure mancanti in U.2 Il codice Na anche dopo la morte di Piero della Francesca restò
per qualche tempo a Sansepolcro. Quando nel 1502 Leonardo (presumibilmente su suggerimento di Pacioli) annotava sul f. 2r del Manoscritto
L: «Borges ti farà avere Archimede del vescovo di Padova e Vitellozzo
quello da il Borgo a San Sepolcro», l’autografo di Iacopo poteva trovarsi
ancora a Sansepolcro. Il fatto che Leonardo lo chiami l’Archimede «da il
Borgo a San Sepolcro» è del resto spiegabile anche con l’inscriptio del codice Na, che recita testualmente:
Archimedes De Sphaera et Kylindro Liber Primus Interperte Francico Cereo de
Burgo Sancti Sepulchri.
Quella che abbiamo proposto nell’identiicare in Na l’Archimede «da il
Borgo a San Sepolcro» è dunque un’ipotesi plausibile, che apre peraltro
nuove piste di ricerca sulla eventuale presenza dell’Archimede latino di
Iacopo nei manoscritti di Leonardo da Vinci; ma certo sembra invece il
fatto che Luca Pacioli si servì dell’autografo di Iacopo di San Cassiano per
1 Nel 1468 Bessarione formalizzò l’atto con il quale lasciava il suo patrimonio librario alla Repubblica di Venezia. L’atto originale di donazione della biblioteca bessarionea, che si trova oggi
presso la Biblioteca Marciana, nel codice Lat. XIV, 14 = 4235, imponeva alla Serenissima la tutela
e la custodia per i libri, e chiedeva che fossero posti in una sede degna di loro e dei lettori. Contrariamente alle sue esplicite disposizioni che prevedevano un facile e ampio accesso al pubblico
dei lettori, la biblioteca di Bessarione rimase chiusa in 57 casse di legno, all’interno di una stanza
del Palazzo Ducale, sigillata da un muro «securum et fortem, qui libros ipsos claudat», e per più
di trenta anni quelle casse risultarono inaccessibili, tanto che nemmeno il celebre Aldo Manuzio
riuscì a consultare i codici di Bessarione. Cfr. Zorzi 1987, pp. 107-109; Zorzi 2002, pp. 93-121; cfr.,
inoltre, Labowsky 1979.
2 Sull’Archimede di Francesco (U) e quello di Piero (F) cfr. D’Alessandro, Napolitani
2012b, pp. 75-106; D’Alessandro, Napolitani 2012a, parte II, pp. 182-186; Ciocci 2012a, pp.
43-64.
luca pacioli e l ’archimede latino
177
Fig. 4. Biblioteca di San Marco a Venezia. Lat. Z. 327 (= 1842),
f. 87v. De sphaera et cylindro, Prop. I.33, numerata I.31.
scrivere le due pagine della Summa contenenti la lunga e contorta dimostrazione della proposizione I.33 del libro De sphaera et cylindro di Archimede.
178
argante ciocci
Fig. 5. Nouv. Acq. Lat. 1538 (BN di Parigi).
L’Archimede di Iacopo da San Cassiano, c. 29r, prop. I.33 (numerata I.31).
4. Conclusioni
L’Archimede latino di Iacopo di San Cassiano è uno degli esempi signiicativi del ruolo che l’Umanesimo giocò nel rinnovamento delle scienze
matematiche.1 Intorno ad Archimede si coagularono l’interesse biblioilo ed erudito di un papa (Niccolò V); le fatiche esegetiche di un traduttore, conoscitore del greco e non digiuno di matematiche (Iacopo da San
Cassiano); l’infaticabile attività di reperimento dei codici antichi di un
cardinale umanista (Bessarione); le competenze rainate di un grande
matematico che conosceva il greco (Regiomontano); e le abilità nel disegno e nella geometria di un architetto (Francesco Cereo) e di un grandissimo pittore e prospettivo (Piero della Francesca).
La rinascita di Archimede nel Quattrocento è legata a personaggi di
primo piano nel vasto panorama della civiltà del Rinascimento. Di questo
variegato campionario di mecenati, umanisti, matematici e artisti, non
1 Sulla questione del rapporto fra umanesimo e scienza moderna rimando il lettore a Ciocci
2009, pp. 37-58, con relativa bibliograia.
luca pacioli e l ’archimede latino
sembra far parte Luca Pacioli. Il
suo ruolo nella febbrile e appassionante attività umanistica di recupero, traduzione dal greco ed edizione dei classici della matematica è
piuttosto marginale. Anche quando sente il bisogno di pubblicare
una nuova edizione degli Elementi
che restituisca centralità alla geometria classica e in particolare al
linguaggio delle proporzioni, frate
Luca ricorre all’Euclide medioevale del Campano anziché servirsi di
recenti traduzioni dal greco.1
Lo stile della sua opera, del resto,
è ben lontano da quello degli umanisti: scrive, infatti, in volgare anziché in latino; si rivolge ai «pratici
vulgari» e non ai «dotti»; e anche
quando usa prevalentemente fonti
matematiche latine del mondo dei
dotti si riallaccia agli antichi (Euclide e Archimede) tramite autori
medioevali (ad esempio Boezio,
Giordano Nemorario e lo stesso
Fibonacci). Eppure Pacioli non è
estraneo al rinnovamento delle
matematiche innescato dall’umanesimo. Certo non possiede la conoscenza del greco di Regiomontano, né è in grado di progettare un
rinnovamento delle scienze matematiche mediante un programma
editoriale come quello prospettato
nel 1464, proprio da Iohannes Müller.2 Non ha nemmeno le compe1 Su Pacioli e l’edizione di Euclide cfr.
Ciocci 2009, pp. 187-196.
2 Sul programma di rinnovamento delle
matematiche di Regiomontano cfr. Malpangotto 2008,pp. 69-126.
179
Fig. 6. Figura della prop. I.33
nella Summa di Luca Pacioli, c. 74r.
180
argante ciocci
tenze che consentono a Piero di cimentarsi nel disegno delle igure geometriche inerenti al testo di Archimede; ma frate Luca è pienamente consapevole di vivere nell’età della Rinascita e promuove il rinnovamento
della matematica con tutte le sue forze intellettuali.
Non sarà protagonista nel recupero ma è sicuramente in prima linea
nel divulgare i classici della matematica e della civiltà antica: lo fa, ad
esempio, con Euclide e con Vitruvio.1 Non deve sorprendere quindi che
nella Summa Pacioli divulghi non soltanto uno dei risultati più importanti
della geometria di Archimede – la prop. I.33 del De sphaera et cylindro –
ma anche un nuovo-antico modo di strutturare il discorso matematico e
in particolare un nuovo-antico modo di dimostrare i teoremi.
Rispetto allo stile abachistico della Summa, che procede per soluzioni
di problemi e non per dimostrazioni di teoremi, queste due pagine archimedee (cc. 73v-74r) costituiscono infatti una vera e propria anomalia.
Anche laddove nell’opera pacioliana compaiono parti ‘teoriche’ e dimostrazioni delle regole pratiche, si riscontra sempre l’utilizzo di numeri e
calcoli esempliicativi, alla maniera di Fibonacci o del commento di Campano agli Elementi di Euclide.
La prova, invece, in questo caso è ricostruita esclusivamente nel suo
schema deduttivo e si distingue pertanto dalla tipica procedura della
esempliicazione ‘numerica’ che frate Luca adopera nella Summa. In secondo luogo essa dimostra un’assimilazione del testo archimedeo, anche
se soltanto limitatamente a questa speciica proposizione I.33 e con esiti
non completamente positivi, nettamente diversa da quella di matrice
abachistica. Ciò che conta qui non è il risultato applicativo della proposizione ma lo schema di deduzione.
Il testo di Archimede, inoltre, viene sottoposto ad un indispensabile
processo di rielaborazione, soprattutto per quelle parti della dimostrazione che sono lasciate dal Siracusano all’abilità matematica del lettore.
Pacioli, infatti, ricostruisce la prova non tanto sulla base delle precedenti proposizioni del testo di Archimede già dimostrate (De sphaera et cylindro I libro; propp. 2, 3, 25, 28, 30, 32) ma soprattutto sulla base di alcune
proposizioni degli Elementi di Euclide. La dimostrazione, sebbene viziata da un errore nella seconda parte, denota un carattere tutt’altro che
pratico del testo pacioliano: la geometria pura in questo caso è completamente sganciata da qualsiasi applicazione pratica.
È signiicativo quindi dell’impatto avuto dalla riscoperta umanistica
dei classici sul rinascimento della matematica il fatto che Archimede,
1 Su Pacioli e la rinascita vitruviana cfr. Ciocci 2003, pp. 73-90.
luca pacioli e l ’archimede latino
181
oltre ad essere assimilato nel linguaggio proprio della matematica abachistica per cavarne regole pratiche utili a risolvere problemi geometrici
– come accade in alcuni problemi del Trattato d’abaco di Piero, riportati
anche nella Summa, o anche nella terza e quarta parte del Libellus de quinque corporibus regularibus e nella versione volgare di Pacioli – venga studiato da frate Luca per ‘emulare’ la struttura deduttiva delle dimostrazioni geometriche.
Nella ricostruzione della prova della proposizione I.33 del De sphaera
et cylindro, che legge direttamente dall’autografo di Iacopo (Na), Pacioli
mette da parte tutto l’armamentario abachistico di esempliicazioni
aritmetiche utilizzate nella spiegazione di proposizioni geometriche e si
limita ad usare soltanto il linguaggio delle proporzioni codiicato nel V
libro degli Elementi di Euclide.
Alla rinascita di questo linguaggio e all’insegnamento della geometria
euclidea frate Luca dedicò buona parte della sua vita di insegnante e matematico. Il Compendium de divina proportione e l’edizione degli Elementi
del 1509 portavano infatti a compimento quel processo di matematizzazione del sapere avviato già nella Summa, consistente nell’applicare la
struttura dimostrativa codiicata da Euclide sia alle scienze che alle arti.1
In questa rivoluzione culturale che prevedeva il ritorno degli antichi
Pacioli si trovò a condividere gli obiettivi degli umanisti e anche se, nel
caso di Archimede, restò ai margini del faticoso lavoro di recupero, traduzione ed edizione dei testi del Siracusano, è innegabile l’impegno che
profuse per comprenderlo e divulgarlo.
Nella sua posizione di ponte culturale fra la matematica dei dotti e
quella dei «pratici vulgari» frate Luca non solo volgarizzò l’Archimede latino degli umanisti ma tentò anche di assimilarne linguaggio e strategie
dimostrative. In questi primi balbettii nella vecchia lingua della nuova
scienza moderna, e cioè nella lingua delle proporzioni, Pacioli non fu il
solo e non fu il primo. Piero della Francesca e suo cugino Francesco
Cereo, nella singolare veste di editori di Archimede, sfruttarono sì la traduzione dal greco di Iacopo da San Cassiano, ma nel corredare di igure
appropriate i loro codici furono costretti a assimilare non soltanto i risultati archimedei ma anche il suo linguaggio matematico.2 Per quanto
incompleti e infarciti di errori, questi tentativi di riportare a nuova vita la
geometria di Archimede, compiuti da «abachisti» su testi approntati da
umanisti, preannunciano l’alba della nuova scienza.
1 Cfr. Ciocci 2003, pp. 41-63.
2 Cfr. D’Alessandro, Napolitani 2012b, pp. 75-106; D’Alessandro, Napolitani 2012a,
parte II, pp. 182-186.
182
argante ciocci
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Pervenuto in redazione il 2 gennaio 2014
com p o sto i n c a r att e re da n t e m onotype da lla
fa b ri z i o se rr a e d i to re, pisa · ro m a .
sta m pato e ri l e gato nella
t i p o g r a f i a d i agna n o, agna n o pisa n o (pisa ).
*
Dicembre 2015
(cz 2 · fg 21)