© Italiano LinguaDue, n. 2. 2015. I. Paccagnella, Cherubini (1814) nella storia della prima lessicografia
dialettale
CHERUBINI (1814) NELLA STORIA DELLA PRIMA
LESSICOGRAFIA DIALETTALE
Ivano Paccagnella1
1. Ad apertura della sua avvertenza «Al lettore» nella prima edizione (1814) del suo
Vocabolario milanese-italiano, Cherubini (1814: V) scriveva:
Ebbe già a dire un dotto del secolo scorso che se tutte le città d‟Italia che
non hanno la bella sorte di esser bagnate dall‟Arno, si recassero a tessere i
respettivi lor dizionarj, appiglierebbesi con lieve fatica in ognuna di esse il
bel volgare toscano, e così diverrebbon comuni a tutti gl‟Italiani le sue
ricchezze.
Il riferimento (e Cherubini lo esplicita in nota) è al Vocabolario veneziano e padovano di
Gasparo Patriarchi, citato nell‟edizione del 1796 (non nella prima del 1775,
sostanzialmente identica), sulla base della «distinta menzione» del Saggio sulla filosofia delle
lingue2.
Com‟è ben noto, parlando dei neologismi, insieme al «fondo della lingua già ricevuta
e approvata» (come dire i neologismi per derivazione), al serbatoio lessicale greco-latino
(specialmente per la terminologia tecnico-scientifica) e al francese, Cesarotti metteva in
primo piano i dialetti:
Il secondo fonte sono i dialetti nazionali. Può permettersi al dialetto
dominante la primazia sopra gli altri, non la tirannide. Tutti i dialetti non
sono forse fratelli? non son figli della stessa madre? non hanno la stessa
origine? non portano l‟importanza comune della famiglia? non
contribuirono tutti ne‟ primi tempi alla formazion della lingua? Perché ora
non avranno il diritto e la facoltà d‟arricchirla? […] Perché vorremmo noi
stabilire un assioma opposto, e creder barbari tutti gl‟italici fuorché quelli
d‟una provincia, anzi pure d‟una città? Il diritto della Toscana di confluire
all‟ampliazione della lingua non soffrirà per avventura gran controversia. Ma
come accordarlo senza orrore ai Napoletani, ai Romagnuoli, ai Lombardi?
Non è questo un imitar la pazzia di Caracalla, che donò la cittadinanza
romana a tutto l‟imperio? Sì certamente quando si omettessero
1
Università degli Studi di Padova.
Com‟è noto, fu composto riorganizzando materiali accumulati da tempo, nel corso del 1785 e stampato
nel dicembre dello stesso anno a Padova (Cesarotti, 1785), fu riedito a Vicenza (Cesarotti, 1788), con
l‟aggiunta di un «ragionamento sopra la filosofia del gusto» e quindi fu inserito, con il titolo: Saggio sulla
filosofia delle lingue applicato alla Lingua Italiana con varie note, due Rischiaramenti e una Lettera, nel I volume delle
Opere dell‟Abate Melchior Cesarotti Padovano, stampato a Pisa, presso la Tipografia della Società
Letteraria (Cesarotti, 1800).
2
106
© Italiano LinguaDue, n. 2. 2015. I. Paccagnella, Cherubini (1814) nella storia della prima lessicografia
dialettale
indistintamente i loro vocaboli senza necessità, senza bisogno, senza scelta,
lasciandogli nella loro rozzezza, e nelle spoglie municipali; ma non già
quando vengano in supplemento d‟altri che mancano al dialetto principale;
quando si trascelgano con giudizio, quando si raddrizzino e s‟acconcino alla
foggia già convenuta, secondo l‟analogia delle forme; quando infine siano
ben costrutti, ben derivati, espressivi, noti o intelligibili a tutta l‟Italia,
convenienti, non disarmonici; del qual ordine se ne trovano molti in ognuna
delle nostre città, più d‟uno de‟ quali è degno forse di preferenza sopra il suo
corrispondente registrato nel Vocabolario. (Puppo, 1979: 385)
Cesarotti «vede nel patrimonio lessicale dialettale una delle riserve di caccia
dell‟italiano»3. Ed è vero che «se i dialetti italici non furono nella loro totalità nobilitati
dagli scrittori, molti però dei loro vocaboli trovandosi sparsi nelle loro opere, sono già
divenuti abbastanza nobili, ed entrano a formar il corpo di quella lingua comune di tutti
gli uomini colti d‟Italia, che non credono lorda e schifosa ogni parola che non sia
purgata nell‟Arno»4, ammettendo nel vocabolario comune i vocaboli dialettali, ben
costrutti e adattati, non solo in «supplemento d‟altri che mancano al dialetto principale»,
ma in sostituzione, se più degni, di quelli registrati nella Crusca perdurando nel
convincimento che non c‟è dialetto che «purgato dagl‟idiotismi plebei, emendato colle
regole d‟una giudiziosa grammatica, e maneggiato da scrittori illustri non possa
contribuire alla ricchezza e all‟ornamento della lingua scelta d‟Italia, che sola deve
dominare nelle scritture più nobili»5.
Nella «Parte Quarta» del Saggio, Cesarotti iniziava il capitolo XVI con il progetto di
costituzione di un corpus di tutti i vocabolari dialettali, fondamento di una lessicografia
dialettale autonoma rispetto al piano della Crusca:
Far uno studio di tutti i dialetti nazionali, e tesserne dei particolari
vocabolari6, studio raccomandato a ragione dallo stesso de Brosses e dal
sensato Muratori7, studio curioso insieme e necessario per posseder
pienamente la lingua italiana, per conoscer le vicende e trasformazioni dello
stesso vocabolo, e sopra tutto per paragonar tra loro i diversi termini della
stessa idea e le varie locuzioni analoghe; valutarne le differenze, rilevar i
diversi modi di percepire e sentire dei vari popoli, indi trarre
opportunamente partito da queste osservazioni, e supplir talora con un
dialetto alle mancanze d‟un altro. (Puppo, 1979: 437)
Alla conclusione del Saggio Cesarotti auspicava la compilazione di singoli vocabolari
dialettali e di due vocabolari, uno «più breve, e fornito solo del necessario, per uso
giornaliero di chi vuole intendere e maneggiar la lingua» (Puppo, 1979: 439), l‟altro
«d‟ampia mole e di molteplici ed importanti ricerche per utilità delle varie classi degli
eruditi e ragionatori», «aumentato notabilmente di vocaboli specialmente relativi alle arti
e alle scienze». Ancora una volta il problema era quello del “vocabolario”, proprio
3
Folena, 1983: 69.
Puppo, 1979: 386.
5 Puppo, 1979: 413.
6 Passo che verrà ben evidenziato da Cherubini (1814: VI), nella avvertenza «Al lettore», nota 2.
7 Il riferimento è probabilmente alla Dissertazione XXXII sopra le antichità italiane, cioè Dell’origine della lingua
italiana, per cui cfr. il volume Marazzini (a cura di), 1988.
4
107
© Italiano LinguaDue, n. 2. 2015. I. Paccagnella, Cherubini (1814) nella storia della prima lessicografia
dialettale
quando la Crusca aveva appena prodotto l‟enorme sforzo della Quarta edizione (17291739).
Annotando l‟espressione «particolari vocabolari», Cesarotti (Puppo, 1979: 437)
precisava le proprie intenzioni appunto con un elogio del Vocabolario del Patriarchi:
Così fece nel dialetto padovano il fu Ab. Gasparo Patriarchi, accademico di
Padova. Intendentissimo di tutte le finezze della lingua toscana, egli volle
facilitarne l‟uso ai suoi concittadini, e con tale oggetto compilò un
vocabolario vernacolo mettendo a fronte d‟ogni vocabolo e idiotismo
padovano l‟equivalente toscano tratto dai migliori autori, senza restringersi
ai soli citati della Crusca. Il paragone non è sempre a svantaggio nostro.
cogliendo subito la direzione dell‟impresa dell‟altro abate padovano: facilitare l‟uso della
lingua toscana in tutte le sue «finezze» ai dialettofoni padovani con un vocabolario che
raffrontasse vocaboli e modi di dire propri padovani con l‟equivalente toscano dedotto
dagli autori («i migliori») e dalla Crusca. Stringato ed incisivo il giudizio: «Il paragone
non è sempre a svantaggio nostro», cioè del dialetto padovano nativo.
Il riferimento specifico al Vocabolario di Patriarchi da parte di Cesarotti non è però né
casuale né neutro o ingenuo e serve come caso esemplare per rovesciarne l‟intenzione di
favorire la sostituzione della terminologia dialettale con la toscana in quella di una
integrazione e di un completamento del toscano pescando dal serbatoio dei dialetti, non
nella loro rozzezza spontanea, ma quando siano «ben costrutti, ben derivati, espressivi,
noti o intelligibili a tutta l‟Italia, convenienti, non disarmonici». Se per Patriarchi il
toscano, «certo non ha bisogno delle lingue straniere (come taluno che non lo studia a
torto si persuade) per esprimere propriamente, e con somma chiarezza, quanto
rinchiude tutta la moltitudine delle opere della natura», per Cesarotti l‟apporto dialettale
è imprescindibile per la consistenza stessa della lingua («le vere ricchezze assolute e
comparative»), in un confronto sistematico dei «termini de‟ vari dialetti italiani» per una
scelta de «il più chiaro, il più comune, il meglio dedotto, il più espressivo, il più
conveniente» (Puppo, 1979: 438). In tal modo, conclude Cesarotti, «si verrebbe a
conoscer con molto miglior fondamento la copia o la sterilità dei dialetti nostri, e quindi
la totale e vera ricchezza della lingua nazionale». E, alla fine, ribalta su posizioni
antipuristiche le argomentazioni del purista Patriarchi sulla totale autosufficienza del
toscano.
2. In piena sintonia Cherubini (1814: V) annotava:
Se le voci toscane soltanto od anche altre usate fuor di Toscana abbiano
diritto ad arricchir la nostra lingua, è quistione su cui, ad onta di quanto ne
fu detto e scritto, sono tuttora assai differenti le opinioni; quello in che è
forza che ognun convenga, si è la necessità in cui trovasi ogni Italiano di ben
conoscere e scrivere ogni voce esprimente idea o cosa qualunque, com‟ella si
trova registrata ne‟ dizionarj della sua lingua (che pur di voci toscane sono
pressoché per intiero composti) e non altramente, ove pur si voglia esser
generalmente inteso. Di fatto, scriva o stampi un Milanese la parola Dandinn,
e quale, non dirò forestiero, ma né men Italiano (da noi Milanesi in fuori)
potrà comprendere una tal voce, non trovandosi di essa menzione ne‟ codici
108
© Italiano LinguaDue, n. 2. 2015. I. Paccagnella, Cherubini (1814) nella storia della prima lessicografia
dialettale
della lingua nostra, in cui tutte son passate a rassegna le migliori voci che
usarono gli ottimi fra gl‟italiani scrittori? E quel che dello scrivere e dello
stampare dicasi anche del parlare, giacché voglia in paese estero, od anche
fra noi, ad un forestiero che abbia imparata la nostra lingua, voglia, dico, il
Bresciano dar a comprendere il suo gasol o gatigol, il Veneziano le sue
catizzole, ed il Milanese i suoi galitt, egli non ne capirà nulla di certo, e
vanamente andrebbe cercando notizia di tai parole sui dizionarj; quando che
se del toscano solletico si servissero eglino per esprimergli la loro idea, ben
presto ne rinverrebbe il valore (se già nol conoscesse) nel minore de‟
dizionarj italiani.
Se Dandinn è ovviamente nel suo vocabolario
Dandinna, e quasi sempre al pl., dandinn. Falde. Caide. Così diconsi due strisce
di panno o simile, attaccate dietro alle spalle dell‟abito o gonnellino de‟
bambini, per le quali vengono sostenuti nel farli camminare. Vengono anche
dette maniche da pendere, cioè pendenti. V. Alb. enc. In Falda. Tegnì per la
dandinna o per i dandinn, o Tegnì la dandinna. Tener la briglia. Corrisponde al
francese volgare Mener à la lisière, e vale reggere, sovvenire altrui nella sua
condotta.
come anche galitt:
Galitt (e secondo il Varon Galitegh). Sollletico. Diletico. Dileticamento. Diliticamento.
Fa i galitt. Dileticare. Diliticare. Solleticare. Stuzzicare altrui leggermente in
alcune parti del corpo che toccate incitano a ridere e a sguittire. I Greci
hanno in questo senso γαργαλίζω.
Gatìgol (e gasol, che vi rinvia) era nel Vocabolario bresciano e toscano del 1759:
Diletico. Solletico. § Fa i gatìgol. Deleticare. Diliticare. Che è stuzzicare altrui
leggermente in alcune parti del corpo, che toccate incitano a ridere, e a
squittire. § La consiensa l‟è come ‟l gatìgol, ch‟el sènt, e ch‟el no sènt. V.
Vôcia.
e catizzole nel Patriarchi (con il rinvio da Catarigole):
Catizzole. Solletico, diletico, grattaticci. § No temer le catizzole. Non teme
grattaticcio, si dice di colui che non teme piccole cose, o d‟esser solleticato. §
Patir le catizzole. Temere il diletico. § La coscienza è come le catizzole, chi le
sente, e chi no le sente. La coscienza è come il camoscio, che vien per tutti i versi.
con singolare coincidenza del proverbio allegato e della sua spiegazione (sotto Vôcia: «La
cosciènsa l‟è fata a vôcia. La coscienza ell‟è come il camoscio, che vien per tutti i versi»).
Doveva essergli ben noto il vocabolario bresciano, opera collettiva e quasi spontanea
degli alunni del Seminario («frutto nato e cresciuto nel Vostro Episcopale Seminario, e
da quelle piccole piante prodotto [...]»), e con ogni probabilità sotto la direzione del
109
© Italiano LinguaDue, n. 2. 2015. I. Paccagnella, Cherubini (1814) nella storia della prima lessicografia
dialettale
Rettore dello stesso Seminario, Bartolomeo Pellizzari, cui spesso il Vocabolario è
attribuito8.
Già nella prefazione del Vocabolario bresciano è più volte ribadita la funzione
educativa, nella direzione che va dal dialetto al toscano, non «come ad alcuno per
avventura potrebbe sembrare, di dare notizia al Pubblico del nostro linguaggio,
servendoci del Toscano quasi d‟interprete [...] ma piuttosto di formare della Lingua
nostra un indice, che a noi particolarmente, e a‟ nostri Compatrioti servisse come di
Repertorio, e di Chiave per rinvenire al bisogno le parole, e i modi di dire Toscani, che a
nostri equivagliano», ancor più esplicitamente per «agevolare a tutta questa Provincia per
dolce e facil modo l‟apprendimento della Toscana Favella». L‟esigenza non è quella di
permettere la comprensione dei lessemi dialettali (la «nostra [favella] dai più creduta
rozza e incolta») ma, ancora una volta con una direzione che va dal dialetto alla lingua,
«per cotal mezzo rendere […] agevole il ritrovamento de‟ termini Toscani, quanto ci è
facile il saper quelli, che tutto dì abbiam sulle labbra». Gli allievi del Seminario bresciano
cozzavano evidentemente con la difficoltà di orientarsi nella ricerca nel Vocabolario
della Crusca «o d‟altri a quel modo orditi», dove l‟ordine alfabetico non permette di
«poter ritrovare in essi un vocabolo, un ribobolo, un proverbio, se prima non se n‟abbia
notizia per ricercarvelo», ma anche con i «Vocabolarj domestici», in cui «difficilissimo
riesce oltremodo lo strologare sotto quale di tanti membri, in cui è divisa, e suddivisa
l‟opera, riposta stia e collocata la dizione, o frase, che vi si ricerca». A partire dal
bresciano sarà invece agevole «riscontrare bell‟e ammannito qualunque vocabolo, o
proverbio Toscano, che gli occorra di adoperare»: una ricerca “di servizio”, dunque, in
funzione del toscano, qualora a un bresciano venisse «il gricciolo […] di toscaneggiare
nelle cose più famigliari, di cui se n‟ha meno contezza». E contrario, viene redatto (e
collocato alla fine del vocabolario) un «Indice Toscano, e Bresciano», per permettere il
riconoscimento nel dialetto di voci e locuzioni toscane (con una sommaria indicazione
di frequenza segnalata dalla marcatura con asterisco) trovate all‟interno dei singoli
lemmi: *«a comodo di chi, scontrando per entro a tutta l‟Opera alcuna voce Toscana da
se non intesa, voglia saperne la spiegazione, cercandola nel Vocabolario sotto il termine
Bresciano, che qui le sta accanto: e anche per chi col Toscano brami venire in
cognizione del Bresciano», del tipo: «A Babboccio. V. A stampa», «a bacio. Al vagh».
L‟intestazione del Vocabolario bresciano al toscano9 si spiega con il ricorso sistematico al
Vocabolario della Crusca (nell‟edizione veneziana di Pitteri del 1741, esplicitamente
citata) e al Vocabolario toscano dell’arte del disegno di Filippo Baldinucci (1681) e con i
raffronti sulle Voci Italiane d’Autori di Crusca del Bergantini (appena edite nel 1748), sui
Modi Toscani ricercati nella loro origine di Sebastiano Paoli (1740), ricordati entrambi anche
da Del Bono, sul Malmantile, nell‟edizione annotata di Firenze del 1740 (dopo la princeps
postuma e pseudonima del 1676), sulla traduzione toscana di Bartolomeo Corsini della
Conquista del Messico (1733) e sui Flores italici di Angelo Monosini (1606)10. Come appare
subito chiaro, una completezza di indagine linguistica, una presenza nel dibattito
linguistico contemporaneo, una modernità e una accuratezza bibliografica che
8
Cfr. Melzi, 1848-1859: III, 261.
«E Toscano appunto, anzi che Italiano ci è paruto bene d‟intitolarlo sì per distinguerlo meglio dal nostro,
che a ragione Italiano pur esso potrebbe appellarsi».
10 Elencati con esattezza bibliografica nella «Tavola delle abbreviature degli Autori de‟ quali sono tratte le
voci, e maniere di dire Italiane non trovate ne‟ Vocabolarj della Crusca, e del Disegno».
9
110
© Italiano LinguaDue, n. 2. 2015. I. Paccagnella, Cherubini (1814) nella storia della prima lessicografia
dialettale
difficilmente si attagliano a dei «Giovani studenti». Alle definizioni di questi vocabolari11,
bilanciate (il termine è nella prefazione) dal valore dell‟uso dialettale, si ricorre per
«rilevare il vero e legittimo senso delle parole Toscane» e verificarne la conformità con il
bresciano («accertarsi, che quello significassero, che le nostre significano»), segnalando le
discordanze * («Dove la Crusca spiega Cocitura quell‟acqua, o altro liquore, in cui sia stata
cotta qualsivoglia cosa, noi abbiamo ristretto tal voce a due delle nostre Brovadùra, e
Scòt»), adattando la «descrizioni d‟alcune voci» e rinviando all‟indice delle parole toscane
(«come in questo Gatèi de la cùna Arcioni, indicando colla V. vedi il luogo, dove la usano
in tal significamento»)12.
Gatèi de la cúna. Arcioni. Per que‟ legnetti, sù quali si ferma la culla. V. Cúna.
In assenza di una tradizione letteraria locale («la patria nostra non ha Autori, che
scritto abbiano […] nel materno idioma, se non forse qualche Commediajo, o
Leggendajo»), il vocabolario si fonda sull‟uso, sulla competenza dei seminaristi, sulla
memoria linguistica, sull‟«inchiesta» mirata alle espressioni dei diversi linguaggi tecnici13,
con estensione ai dialetti lombardi contigui (si citano come fonti la traduzione in
bergamasco del Goffredo di Tasso fatta da Carlo Assonica nel 1670, le poesie milanesi di
Domenico Balestrieri14 ma anche il Vocabolista bolognese di Montalbani) e il riscontro dei
vocabolari etimologici secenteschi di Ottavio Ferrari, di Gilles Ménage o le indicazioni
del Muratori15.
Nella Prefazione al proprio Vocabolario veneziano e padovano Patriarchi citerà con rilievo il
dizionario bresciano:
Se tutte le Città dell‟Italia, che non hanno la bella sorte d‟esser bagnate
dall‟Arno (come fece lodevolmente prima di me quella di Brescia) si
recassero a tessere in cotal forma i rispettivi lor Dizionari […]16.
Di tutto ciò, ma specialmente di quella che modernamente chiamiamo indagine sul
campo (ma attenzione: anche la citata Prefazione parla, a proposito delle spiegazioni dei
termini tecnici, di «fors‟anche troppo importune inchieste»), come anche delle sintetiche
11
Ma anche al commento al Malmantile di Paolo Minucci, a Anton Maria Biscioni e Anton Maria Salvini e
a informatori «Medici, Chirurghi, Conciaossi, e Speziali» per voci mediche «e distintamente dei semplici»,
cioè le erbe medicinali i loro preparati.
12 Diversamente da Del Bono, ma anche da come «anno costumato di fare altri Vocabolaristj», non c‟è
riscontro con il latino.
13 Trascrivo il passo finale del II capitolo della Prefazione, che ben esplicita il metodo ma anche
l‟entusiasmo dell‟esplorazione e della caccia linguistica (si noti il braccheggiava) dei giovani vocabolaristi:
«Quanti poi qua venivano pel servigio del Seminario Berrettaj, Collarettaj, Divettini, Chiavajuoli, e d‟ogni
maniera Artieri, quando uno, quando l‟altro era per dolce modo da noi stimolato a darci per giunta delle
derrate qualche termine confacente all‟arte sua, e al suo mestiere. Trasferitici poi in Villa nelle vacanze chi
cercando razzolava per le miniere, pe‟ forni, per le fucine; chi rovistava le cascine, i pecorili, le carbonaje;
chi braccheggiava pe‟ torcitoj, per le cartiere, pei fattoj, e lanifici; e chi finalmente per le une, e chi per le
altre arti della Bresciana tutta tracciando, quel capitale di natio Linguaggio abbiamo raggranellato, ed
unito, che qui diamo ora spartito e disteso».
14 Le Rimm Milanes erano ancora fresche di stampa (pubblicate da Ghisolfi a Milano nel 1744). Alla
versione della Liberata Balestrieri lavorò fra il 1743 e il 1758, a ridosso cioè del Vocabolario.
15 Anche se poco avanti si ribadirà, sul modello della Crusca, di essersi «astenuti in tutto, e per tutto
dall‟assegnare l‟etimologia, e l‟origine di qualsivoglia voce».
16 Da Patriarchi, 1775.
111
© Italiano LinguaDue, n. 2. 2015. I. Paccagnella, Cherubini (1814) nella storia della prima lessicografia
dialettale
norme premesse in «Avvertenza» sugli accenti e la pronuncia della «lingua» (anche nel
frontespizio: «materna lor lingua», non si parla qui di dialetto) bresciana, Cherubini avrà
tenuto conto nel suo Vocabolario milanese.
3.
Il vedere pertanto nobilissime città d‟Italia essersi de‟ lor dizionarj con
replicate edizioni provviste, l‟osservarne consigliata la compilazione dal
chiarissimo abate Cesarotti, e l‟aver io letto d‟altronde essere stata mira un
tempo del Balestreri d‟arricchirne questa nostra patria, m‟incoraggiò a tal
segno che un lavoro intrapreso sulle prime a bel diletto e per mio privato
vantaggio, proseguii poscia ed estesi quanto più potei per farne parte a‟ miei
concittadini.
Al di là del topos del lavoro iniziato per puro piacere personale, va messo in evidenza
come Cherubini faccia sì tesoro della «Parte Quarta» del Saggio di Cesarotti (Cherubini,
1814: VI, nota 2) ma abbia soprattutto ben presente i riferimenti di Balestreri a un
«picciol Vocabolario che sto compilando» per spiegare «vocaboli astrusi e proverbj
milanesi assai lontani dalle maniere toscane» (Cherubini, 1814: VI, nota 3). E come
conosca bene quei dizionari delle nobilissime città d‟Italia: Napoli, Venezia, Padova,
Brescia, Ferrara e Torino (in quest‟ordine, nella nota che Cherubini appone: «Si veda
appresso a questa Prefazione l‟Indice delle abbreviazioni»).
Venezia e Padova per Cherubini vuol dire Patriarchi.
Patriarchi dal 1765 lavora per dieci anni alla redazione del Vocabolario veneziano e
padovano. Nella Prefazione Gasparo sottolinea da una parte «lo studio della lingua
Toscana» che «si coltiva comunemente in questa Città», dall‟altra la presenza nelle
scritture di «certe disconvenienze ed improprietà e di voci, e di modi, che ne sfigurano
tutto il bello». Scopo del Vocabolario è allora fornire a chi toscano non è ma in toscano
volesse scrivere «con esattezza di stile», le indispensabili conoscenze lessicali e
fraseologiche, le locuzioni, i proverbi e i modi di dire. Il dizionario17 che l‟abate
padovano compila ha intenzionalmente la funzione di rinvenire in maniera pronta e
agevole «le voci Toscane che ci abbisognano», e, di più, specialmente nel settore tecnico
(«i termini delle arti, e conseguentemente de‟ loro modi, azioni, ed ordigni», per cui è
necessario «rinvenire le voci Toscane che ci abbisognassero, e principalmente delle
manifatture, o de‟ mestieri meno pregiati e più vili»), far affacciare «alla prima occhiata»
dei vocaboli, modi, frasi e proverbi veneziani e padovani «le voci Toscane
corrispondenti alle nostre». Non è dunque certo questione (peraltro qui ancora
prematura) né di conservazione glottologica né di valorizzazione etnologica della
tradizione dialettale veneziana e padovana, ma di funzionalizzazione alla scrittura
toscana da parte di non toscani per quanto «intendenti quanto si vuole del bel linguaggio
Toscano». Nel «bollor del comporre», nota Gasparo, non sempre vengono prontamente
alla penna i vocaboli toscani «propri e precisi», il serbatoio lessicale e idiomatico
disponibile è primariamente quello nativo: «non può non sapere, né, quando pur lo
volesse, dimenticarsi giammai il parlar materno, e le voci natìe».
Abilità di Patriarchi è quella di coniugare un‟indagine diretta della situazione dialettale
contemporanea:
17
Così nella «Prefazione», anche se il titolo poi sarà Vocabolario.
112
© Italiano LinguaDue, n. 2. 2015. I. Paccagnella, Cherubini (1814) nella storia della prima lessicografia
dialettale
Per maggior sicurezza ho interrogati gli uomini più periti e nell‟uno e
nell‟altro Dialetto, e posso anche dire che non ci fu donnicciuola, manovale,
artigianello, lavoratore, e fino a qualche ragazzo, a cui colle frequenti
ricerche io non abbia spezzato il capo parecchie volte […]
con il riscontro in primo luogo del Vocabolario della Crusca e della lessicografia di area
genericamente cruscante, ma anche di «un vasto corpus di opere e di autori ai quali si può
attingere in particolare quel lessico tecnico – artigianale, artistico, materiale – che si
presentava naturalmente come il più esposto, negli “Scrittori”, all‟influenza del dialetto
proprio per via della rarità del corrispondente lessico toscano nei testi della tradizione
letteraria»18:
Io mi sono rivolto prima d‟ogn‟altro al gran Vocabolario della Crusca
nell‟Edizione colle giunte, e a quello del Baldinucci dell‟Arte del disegno.
Non ho mancato di rivedere il Flos Italicae Linguae del Sig. Monosini, le
Voci Italiani d‟Autori approvati dalla Crusca del P. Bergantini, i modi di dire
Toscani del P. Paulo, l‟Ercolano del Varchi, il Vocabolario Cateriniano del
Gigli, quello del Sig. Pasta sopra i termini medici, la Calligrafia del Sig. Ricci
Fiorentino, le Origini di Ottavio Ferrari, e la dotta Dissertazione del Sig.
Muratori d‟immortale memoria intorno all‟etimologia d‟alcune voci Italiane.
Volli consultare altresì il Dizionario di marina, recato ultimamente dal
Francese in nostra favella, ancorché il traduttore non sia molto accurato
nell‟assegnare le voci proprie Toscane, e le rivela spessissimo alla Francese.
Ho letto con attenzione tutte le annotazioni fatte dall‟erudito Anton Maria
Salvini sopra la Fiera, e la Tancia del Buonarroti, sopra il Pataffio del Latini,
e sopra alcuni altri Scrittori che fanno testo di lingua; quelle ezandio del
Minucci al Malmantile del Lippi; per non parlare delle Opere del Sig.
Cocchi, del Redi, del Firenzuola, di Pier Crescenzi, del Berni, e di tanti altri
libri Comici, e serii in prosa ed in verso che nel gran Vocabolario sono citati.
Da tutti questi, come pure dalla tersa, ed elegantissima Versione dello
Spettacolo della Natura fatta da un Fiorentino, che la materna lingua, più
che altro aveva studiato, io trascelsi quelle parole e maniere di dire che
mancano nel Dizionario della Crusca, e n‟ho spesse volte, come potrà
vedersi, citato il libro suddetto.
Come si vede, il regesto non è granché dissimile, nella sostanza, da quello del
Vocabolario bresciano o da quello di Del Bono, con l‟aggiunta innovativa del Dizionario
istorico, teorico e pratico di marina di Alexandre Savérien, da poco (1769) tradotto
dall‟edizione francese del 1758. Anche la mozione e la direzione non sono dissimili.
Patriarchi però parte dal dato di fatto di una lunga apertura veneta alla tradizione
letteraria toscana, basata su dati, per così dire, lessicalmente oggettivi:
Tale e tanta è la moltitudine delle parole Toscane che si ritengono e nel
contado, e dentro alla nostra Città, che è proprio una meraviglia. Io sarei
quasi per dire che nessun‟altra Città di Lombardia ne può contar tante.
«Siccome non in ogni terreno alligna ogni pianta, così anche ci son de‟ vocaboli e guise di favellare
accostumate fra noi, che non lo sono del pari in Toscana, e per lo contrario, onde mancando la cosa da
nominarsi, conviene ancora che manchi con essa il proprio vocabolo». Cfr. Tomasin, 2008.
18
113
© Italiano LinguaDue, n. 2. 2015. I. Paccagnella, Cherubini (1814) nella storia della prima lessicografia
dialettale
Non ne dà una spiegazione storico-linguistica («Donde ciò sia provenuto a me non
ispetta il deciderlo»), ma si limita a registrarne alcuni esempi «così di passo», in una
sommaria distinzione sociolinguistica (voci di contado, voci di città, «domestiche
locuzioni») e settoriale («termini delle arti», voci di marineria, dell‟arte degli speziali,
dell‟architettura, per cui si invita a un confronto «co‟ maestri dell‟arte, e cogli
Scarpellini», modernamente diremmo a un‟indagine sul campo).
Marca anche la continuità non solo d‟uso ma di riflessione storico-linguistica
(«Ancorché lo studio della lingua Toscana si coltivi comunemente in questa Città, e si
scriva dai più con puro e accurato stile non meno in verso che in prosa dietro alle tracce
de‟ vecchi autori […]»), senza pertanto escludere nelle «scritture» (nell‟edizione del 1796
saranno «componimenti») «certe disconvenienze, ed improprietà e di voci, e di modi»,
specialmente nell‟uso di «parole domestiche, e di maniere famigliari Toscane, e più che
altro de‟ termini delle arti, e conseguentemente de‟ loro modi, azioni, ed ordigni».
In concreto, nel vocabolario di Patriarchi compaiono i termini padovani diversi da
quelli toscani per significato o per grafia («accozzamento e suon delle lettere»). Nota
puntualmente al proposito:
Altro val nappa, gallinella, martorello, marangone presso i Toscani, ed altro fra
noi; e quanto non è discrepante il termine bugarolo, festaroec. Dal ceneracciolo, e
dal Ciambellaio de‟ sopraddetti?
Si rilevi che anche il Vocabolario bresciano, parlando di voci «innestate di significato
generico appo noi, per accozzarvene altre di sentimento specifico presso ai Toscani»,
cita «Marengó de vèze Bottaio» (Vocabolario…, 1759: XXVII).
Compaiono anche vocaboli assenti nel «gran Vocabolario della Crusca»19 perché
troppo bassi e triviali (gli esempi sono cerniera, luchetto, pettorina, invernessa, cedrara) ma
buoni per riportare locuzioni dialettali e proverbi.
La strutturazione della voce procede per accostamento al lemma dialettale dei
corrispondenti toscani20, variamente articolati («quanti ho potuto raccorre sinonimi, e
frasi, e modi varii di dire») secondo una distinzione noi diremo oggi sociolinguistica e di
registri stilistici («secondo lo stile, che a ciascun piacesse d‟usare, umile, famigliare,
giocoso»). La fraseologia ridonda sul semplice significato e Patriarchi allarga la stessa
voce accreditata dalla Crusca in una molteplicità di locuzioni. Si veda, a titolo di
19
Patriarchi dichiara sua fonte primaria per «i vocaboli, i modi, e i riboboli Toschi, equivalenti ai nostrali»
il «gran Vocabolario della Crusca dell‟Edizione colle giunte». Si tratta indubbiamente della quarta
impressione del Vocabolario degli Accademici della Crusca, iniziato a stampare a Firenze nel 1729 e finito nel
1738 da Domenico Maria Manni, cugino dello stesso Gasparo. La notazione «Edizione colle giunte» rinvia
però in maniera fin troppo precisa («Impressione napoletana secondo l‟ultima di Firenze con la giunta di
molte voci raccolte dagli autori approvati dalla stessa Accademia») al frontespizio dell‟edizione napoletana
di Giovanni Di Simone pubblicata fra il 1746 e il 1758 (un‟altra edizione, «accresciuta di molte voci
raccolte dagli autori approvati dalla stessa Accademia», era stata edita a Venezia da Francesco Pitteri nel
1763).
20 Qui un interessante accenno ai forestierismi (ma sono qui da includere probabilmente anche i
dialettismi), alla terminologia tecnica e alla nomenclatura, in una prospettiva “puristica”: «[...] la ricchezza
dell‟idioma toscano, che certo non ha bisogno delle lingue straniere (come taluno che non lo studia a torto
si persuade) per esprimere propriamente, e con somma chiarezza, quanto rinchiude tutta la moltitudine
delle opere della natura, delle arti, e degli umani concetti [...]».
114
© Italiano LinguaDue, n. 2. 2015. I. Paccagnella, Cherubini (1814) nella storia della prima lessicografia
dialettale
esempio, la voce «Macaroni», «Gnocchi, ignocchi, maccheroni»: l‟unica locuzione, «Aspetar
che i macaroni casca in boca» ha due riscontri toscani ampiamente chiosati:
Aspettar che le lasagne piovano in gola. Si dice di chi vuol conseguire alcuna cosa,
e non fa dal canto suo niente per conseguirla. A porco peritoso non cade in bocca
pera mezza: Cioè ai timidi che non s‟arrischiano di farsi incontro alla sorte,
rare volte ella si offerisce di per se.
Significativamente, Cherubini (1814) alla stessa voce riporta come primo significato di
«Maccaron»
Cannoncino. Sorta di pasta a foggia di cannoncino da cuocersi in più maniere
(che in Patriarchi è il significato secondo, lemmatizzato all‟alterato diminutivo:
«Macaroncini de pugia ec. Cannoncini, sorta di pasta a foggia di cannoncini») e
successivamente quello “proprio”, con una lunga glossa esplicativa che affianca la
traduzione:
Maccherone più propriamente fra i Toscani vale vivanda di pasta di farina di
grano distesa sottilmente in falde, e cotta nell‟acqua,
cui segue l‟identico modo proverbiale:
Speccià che vegnagiò i macaroni. Aspettar a bocca aperta le lasagne. Aspettar che le
lasagne piovano in bocca o in gola. Dett.[ato] di ch.[iaro[ signif.[icato.
Fin dalla Prefazione del ‟75 Gasparo sembra rilevare, insieme alle difficoltà subentrate
ad un iniziale entusiasmo, la coscienza di una certa insufficienza dello stato redazionale e
insieme l‟intenzione di una revisione e di un completamento del lavoro. Revisione che
Cherubini (nell‟indice bibliografico iniziale) attribuisce, nella seconda edizione del ‟96, a
Bartolomeo Gamba (che a Milano era stato fra il 1811 e il 1812): «Mi sono servito della
seconda edizione padovana del Conzatti, 1796, più ricca assai della prima per le aggiunte
che mi fu asserito esserle state fatte dalla dotta penna del sig. Gamba».
Interessante – soprattutto in direzione di Cherubini – è la definizione delle entrate
lessicali con serie sinonimiche (ordinate spesso secondo criteri casuali, di “gusto”
personale, «lo stile, che a ciascun piacesse d‟usare»):
[…] ho posti a fronte d‟un comune vocabolo quanti ho potuto raccorre
sinonimi, e frasi, e modi varii di dire, affinchè secondo lo stile, che a ciascun
piacesse d‟usare, umile, famigliare, giocoso, trovasse quelli begli, e
ammanniti, nè gli mancasse il mezzo di far più adorni i suoi componimenti
coll‟adoprar varietà di locuzioni, e di aggiunti, cosa tanto raccomandata da‟
maestri d‟arte.
ancora una volta orientate più sul toscano:
[…] a mostrar la ricchezza dell‟idioma Tosco, che certo non ha bisogno
delle lingue straniere (come taluno che non lo studia a torto si persuade) […]
115
© Italiano LinguaDue, n. 2. 2015. I. Paccagnella, Cherubini (1814) nella storia della prima lessicografia
dialettale
e finalizzate soprattutto alla determinazione dei lemmi tecnici e scientifici:
[…] per esprimere propriamente, e con somma chiarezza quanto rinchiude
tutta la moltitudine delle opere della natura, delle arti, e degli umani concetti
[…]
o le voci espressive, come
Chietin, o sia ipocrito. Bacchettone, torcicollo, baciapile, spigolistro, stroppiccione,
ipocritone, graffiasanti, pinzocherone, santinfizza, gabbadeo, che gratta i piedi alle
dipinture, che dà il lustro ai marmi, che ha il collo a vite, baciapolvere, falso divoto.
definito con due traducenti (ipocrito, falso divoto), quattordici fra sinonimi e
circonlocuzioni, aumentati ancora al femminile:
Chietina. Picchiapetto, salamistra, culifessa, graffiasanti, pinzoccherona, santifizza.
Malm. Tute le chietine xe ostinà. Bacchettona, superba e capona; è come il corno
dura, vota, torta e pungente. v. f.
E se in Patriarchi, la voce «Marzoco» è definita con tre sinonimi: «Capo duro, capassone,
balordo», in Cherubini «Marzocch» è definito dal solo «Babbeo», che però rinvia al
significato metaforico di «Articiocch» definito con ben 92 traducenti (non in ordine
alfabetico ma espressivo):
Babbeo. Babbione. Babbaleo. Bretto. Ignocco. Babbuasso. Babbaccio. Buaccio.
Baccellaccio. Baccellone. Baccel da vedove. Bacchillone. Baccellone da sgranar con
un’accetta. Bachiocco. Badalone. Baggiano. Baggianaccio. Balogio. Balocco. Baloccone.
Barbacheppo. Barbagianni. Barlacchio. Baseo. Fagiuolo. Navone. Pascibietola.
Pacigreppi. Pisellone. Pisellaccio. Santoccio. Sermestola. Ser Mestola. Cenato. Cogliluva.
Cogliluvio. Fantoccino. Nuovo granchio. Nuovo pesce. Nuovo o dolce grappolo o
grappola. Bescio. Fantoccio. Gocciolone. Bietolone. Gnatone. Marmocchio. Giandone.
Galeone. Moccicone. Moccolone. Lavaceci. Lasagnone. Ignatone. Leccapestelli. Pacchiano.
Pappacchione. Palamidone. Zugo. Nibbiaccio. Uccellaccio. Mazzamarrone.
Mangiamarroni. Merlotto. Mellone. Mestola. Tulipano. Arfasatto. Chiurlo. Ceppo.
Ciocco. Decimo. Tempione. Uccellone. Uccello. Zoccolo. Zufolo. Corbellone. Bombero.
Brachierajo. Pappalardo. Pappalasagne. Scempione. Moccione. Pioppo. Tambellone.
Pollebro. Bighellone.
Questa tendenza all‟amplificazione sinonimica si può però invertire, come nella serie di
locuzioni del Patriarchi da omo:
Omo al tempo. Uomo attempato, attempatetto; e’ non è come l’uovo fresco, nè di oggi,
nè di ieri, si dice di chi è uomo di età. Omo ben atraversà. Uomo atticciato.
Omo bon da niente. Uomo da succiole, da essere imboccato e comandato. Omo bon
da tuto. v. omo da tuto. Omo che no perdona. Uomo fello, vendicativo, di mal
pelo, di schiatta di can botolo. Omo che se ostina. Persona di sua testa, e rotto; uomo
di sua opinione, provano, capone, caparbio. Omo d‟afari. Uom da faccende. Omo da
de fora. Uomo di contado, uomo di villa, forese. Omo da fidarse intieramente.
Uomo da mettergli il capo in grembo, uomo di ricapito, val capace di eseguir bene le
cose; uomo di condotta. Omo da tuto o che se comoda a tuto. Uomo di tutta
botta, da bosco e da riviera, da basto e da sella, che ha sacco ad ogni formento, che ha
116
© Italiano LinguaDue, n. 2. 2015. I. Paccagnella, Cherubini (1814) nella storia della prima lessicografia
dialettale
cimiero ad ogni elmetto, che ha unguento per ogni piaga, val atto a qualunque cosa, e
si prende così in buona, come in cattiva parte. Omo de bona testa. Uomo di
buona testa. Omo de comun. Capo di villa. Omo de garbo. Uomo di conto, uomo
degno di stima, e uomo di garbo, di tutta botta, che diede buon saggio di se. Omo de
legno. Appiccacappe, sost. stanga, legno per sostener vesti ec. Cappellinaio, per
attaccarvi i cappelli. Omo de parola. Uomo della sua parola, cioè che mantien la
promessa. Omo de poche parole. Uomo cheto, che fa poche ciarle, o parole. Omo
de proposito. Omaccione da bene, o di garbo, val d‟ottime qualità. Omo fredo.
Cencio molle, pulcin bagnato, vale di poco spirito, cacacciano, che si caca sotto,
Sal. semiuomo. Omo roto. Uomo scorretto, vizioso, che dà pel mezzo ad ogni libidine e
dissolutezza ch’è profondato, o invasato ne’ vizi, scorrettaccio. Omo sconto. Uomo
cupo, ritenuto. Omo tagià a l‟antiga. Uomo abbozzato all’antica. § L‟omo
propone, e Dio dispone. L’uomo ordisce, e la fortuna tesse. § Omeni i vol esser,
omeni. Dove è uomini, è modo; e vale che dove si trovano uomini, si trova
modo di venir a capo di qualunque cosa. § Un poco per omo. Un poco per ogni
capo d’uomo, per ciascheduno.
rispetto a quelle di Cherubini:
Omm che va a l‟antiga. Zazzerone.
Omm de gesa. (che anche dicesi Omm de Dio o del Signor). Uomo d’anima. Vale
uomo che attende alle cose spirituali.
Omm cucch. Uomo fredo, impotente. Vale Uomo inetto alla generazione.
Omm de mett a less e a rost. Uomo di tutta botta o da bosco e da riviera. Uomo
che si adatta a ogni cosa.
dove però crescono le locuzioni, i proverbi, i rinvii (e i commenti):
L‟omm parponn e Dio disponn. L’uomo ordisce e la fortuna tesse. Dett. Di ch.
Sig.
Restà lì comè l‟omm de preja (che altrimenti si direbbe Restà de prencisbecch o
de stucch o Restà lì come quell de la mascarpa). Impietrire. Insassare. Allibire. Restare
come un uomo di paglia. Vale quanto restare sopraffatto, stordito, maravigliato.
– Sulla statua così detta L’omm de preja, che ha dato luogo fra noi a questa
frase figurata, si può leggere il Giulini nel vol. 2° delle sue Memorie, alla pag.
274 e seguenti.
La tropp sinzeritaa la menna l‟omm a l‟ospedaa, On boccon de pover omm,
Omm visaa l‟è mezz difes, No gh‟è barba d‟omm che ghe le possa fa, Omm
de scimmia o cont i baffi o de bonn rossumm, Omm de strasc o de rivi, ecc.
ecc. V. Ospedaa, Boccon, Visà, Barba, Rossumm, Rivi ecc. ecc.
Giugà a l‟omm e la donna. V. Giugà.
Bell‟omm. Balsamino. Sorta di fior noto.
4.1. Con «vocabolario della città di Napoli» Cherubini rinviava al Vocabolario delle parole
del dialetto napoletano che più si scostano dal dialetto toscano, opera anonima di Ferdinando
Galiani21, rivista e integrata da Francesco Mazzarella Farao e pubblicata nel 1789 a cura
dell‟Accademia dei Filopatridi (cui Cherubini fa riferimento nell‟«Indice delle
21 Galiani nel 1779, sempre in forma anonima, aveva dato alle stampe Del dialetto napoletano, dove sosteneva
il primato del napoletano aulico sul toscano.
117
© Italiano LinguaDue, n. 2. 2015. I. Paccagnella, Cherubini (1814) nella storia della prima lessicografia
dialettale
abbreviature e degli autori citati in quest‟opera»). Anche in questo caso il criterio è
quello selettivo del discostamento dal toscano («non già dare un Vocabolario esteso di
tutta la lingua, che troppo sarebbe, siccome in verità era la nostra prima idea»), definito
dialetto allo stesso modo del napoletano (anche se poi parla della «Lingua generale
Italiana»); discostamento che si realizza più sul piano fonomorfologico che su quello
propriamente lessicale:
[…] parole del Dialetto Napoletano […] che per più gran parte non si
discostano dalla medesima [sc. Lingua Italiana], se non in quanto la propria
maniera nostra di dar loro una qualche inflessione, o alterazione (giusta la
caratteristica, e l‟indole del Dialetto) le rende più, o meno differenti nel
suono.22
Nell‟«Avvertimento» si dichiara che la lemmatizzazione è fatta sui lemmi-base, ad
esempio l‟infinito verbale e non i participi o i deverbali: così Rascagnare («Graffiare de’ gatti:
Dallo Spagnolo Rascunar, che dinota lo stesso») ma non Rascagnatura, Rascagno (che
compare però nel vocabolario: «Rascagno, sgraffiatura, v. sgraffegnatura»)23; o il
sostantivo Arteteca («Impazienza, inquietudine, moto perpetuo, irrequiete, voglia di muoversi, e di
toccare, che hanno i fanciulli», dove va segnalata la tecnica della definizione per serie
sinonimica) rispetto ai derivati e alterati Artetechella, Artetecusa o anche il verbo
Artetechiare.
Nell‟intenzione, comune ai lessici di fine secolo, di «facilitare l‟intelligenza del nostro
Dialetto agli Stranieri», nel caso di forme polisemiche si registrano solo quelle diverse
dall‟italiano: così filo nel senso di „paura‟ e non di „refe‟. Si omettono anche: le voci
disusate «e taluna di quelle, che usaronsi per ingiurie, o per laidezze, delle quali ha il
Dialetto nostro il non pregevole pregio d‟esser enormemente ricco».
La caratteristica più evidente sarà la curiosità etimologica, su cui il Vocabolario finisce
per ironizzare: «Come saranno accolte ricerche etimologiche, discussioni critiche,
avvertimenti grammaticali sulla pettola24, sul taficchio25, sul sosamiello26, sullo strunzo verace!».
22
Galiani, Mazzarella Farao, 1789: IX («Avvertimento»).
Una nota spiega l‟incongruenza con l‟ampliamento fatto dagli Accademici Filopatridi rispetto all‟idea di
vocabolario del Galiani.
24 «Parte bassa d‟avanti, e di dietro della camicia. Pare, che originariamente siasi chiamata pettola la parte
della camicia, che copre il petto alle donne, e le mammelle, e che sola si vede, ed oggi dicesi pettiglia. Ma
come tutto declina, e va in giù in questo mondo, ciò sarà avvenuto anche alla pettola, che oggi è l‟infimo
della camicia». La voce è asteriscata, quindi di Galiani, com‟è detto nella premessa «Lo stampatore a chi
legge» (Galiani, Mazzarella Farao, 1789: IV).
25 «Tafaro, culo, lo stesso che Taficchio», «Tafanario. Culo. Dicesi anche taficchio. Forse dal greco ταφος,
sepolcro, sia per la puza, o per esser così l‟uno, come l‟altro, via universae carnis». Per inciso, Tafanario è anche
in Patriarchi: «Posteriore, culiseo, tafanario. v. cuzzo» (con il rinvio da «Martin. Cocchiume, forame, posteriore,
preterito, tafanario. Sal. v. cuzzo», e ovviamente da cuzzo (con ampia serie sinonimica); «Cuzzo per culo.
Cupola, meleto, ano, civile, fondamento, culiseo, il bel di Roma, belvedere, sesso posteriore, mela, chiappe, cocchiume. § Aver
in cuzzo. Aver nel zero o nel dua, o dietro via, dietro a casa, aver alcuno nella tacca del zoccolo, cioè aver in culo. § Far
cuzzo. v. cuzzare.», cui peraltro, con usuale circolarità sinonimica rinviano anche «Bero. Sedere, cupola,
cocchiume. v. cuzzo § Aver tanto de bero. Aver un culo badiale, o grande quanto una badia. § Mostrare o
scoverzere tanto de bero. Squadernare le natiche» e «Cesto per natiche. v. cuzzo».
26 «Sosamiello. Corrotto di Sesamello. Marzapane, dolce fatto anticamente con mele, e semi di sesamo;
genere di semenza alquanto aromatica assai gustata ne‟ paesi d‟Oriente, e di là venuta a noi fin dal tempo
degli antichi Romani, oggi andata affatto in disuso. A questi marzapani, che oggi si fanno con fior di farina
di grano, e mele, e qualche pezzetto di cedro candito, ed altri aromi, e sono altri inasprati, cioè verniciati di
23
118
© Italiano LinguaDue, n. 2. 2015. I. Paccagnella, Cherubini (1814) nella storia della prima lessicografia
dialettale
Com‟è ben noto, l‟interesse per l‟etimologia è poco più che saltuario in Cherubini27,
quantunque nell‟avvertenza «Al lettore» insista sulle derivazioni e gli etimi che poteva di
frequente trovare nel Varon milanes28 (cogliendone correttamente al tempo stesso
l‟inconsistenza, la pseudoetimologia):
Già da gran tempo fa, il Varon de Milan si occupò d‟andar rintracciando
l‟etimologia di alcuni vocaboli milanesi, in realtà quasi tutti ignoti a‟ Milanesi
d‟oggidì, facendoli derivare (forse con più spirito che apparenza di verità)
dal latino e dal greco. Non fia quindi meraviglia se, compilando io un
Dizionario vernacolo, anche della derivazione, o, per dir forse più
esattamente, della somiglianza che hanno molte sue dizioni con quelle
d‟altre lingue mi sia di quando in quando occupato. Tra la noja che seco
mena un lavoro simile a questo mio, io dovea pur ristorarmi con quel po‟ di
dilettevole che per me si potea trarre dalla parte etimologica del linguaggio, e
dalla storica di noi che, soggetti successivamente e da secoli a varie nazioni,
impresso portiamo nel nostro dialetto il testimonio della loro dominazione.
Si veda, spigolando ad apertura di pagina, la derivazione dal greco:
Ornigà (v. a. corrispondente alle più moderne nostre Rugattà o Tanfusgnà).
Frugacchiare. Rovistare. Il Var. mil. cava questa voce dal greco ορνύω» o
«Bragià. V. Sbragià. Dal greco βραυκάω (idest raucesco, quasi dal gran gridare
si diventi rauchi) dice il Var.
Ben più rilevante e continuo è il confronto e il rinvio alle lingue straniere a lui
ben note29, soprattutto il francese:
Osscoll (T. milit.) Gorgiera (così l‟Alb[erti] Bass[ano]). Arnese che gli
ufficiali portano al collo quando sono in fazione. Dal francese Hausse-col,
il tedesco:
Bretella. Straccale* (fior.). Cigna. Tirante * (lucch.). V. fr. che vale cinghia,
cordone di canapa, filo di cuojo o simili da tener su le brache. I Tedeschi
hanno Hosenhebe,
l‟inglese:
Bodin. Puddingo. Vivanda dilicatissima composta di riso o mollica di pane, di
uva passa e di zucchero e midolla di manzo, ed anche d‟altre maniere. La
voce puddingo (tratta dall‟ing. pudding (non registrata dai dizionarj, è usata
dall‟Alg.[arotti] in una sua lettera all‟A. Gaspare Patriarchi,
e poi lo spagnolo:
zucchero, altri no, si dà costantemente la figura d‟un S. Quindi tiene le gamme a sosamiello, vale quanto dir:
tiene le gambe storte».
27 Cfr. Danzi, 2001 (in part. «Sul primo “Vocabolario milanese”», II, «Lessicografia dialettale e lingua
italiana»: 84-85).
28 Cfr. Lepschy, 1978.
29 Cfr. Danzi, 2001: 84.
119
© Italiano LinguaDue, n. 2. 2015. I. Paccagnella, Cherubini (1814) nella storia della prima lessicografia
dialettale
Brisa. Brezza. Vento che anche gli Spagnuoli dicono Brisa e i Francesi Brise,
molto spesso il provenzale:
Pajrœu (o Pairœu). Pajuolo. Vaso di metallo rotondo, con manico di ferro
arcato, ch‟è strumento da cucina, e serve per bollirvi entro checchessia. –
Anche i Provenzali hanno Pairolo in questo senso.
4.2. Il vocabolario ferrarese del Nannini edito nel 1805 è, cronologicamente, il più
vicino al Cherubini. Anche in questo caso diventa facile rimarcare l‟analogia del
riferimento alla mozione “didattica” del vocabolario, quel voler supplire all‟imbarazzo
mancando di «corrispondenti voci e frasi della pura lingua italiana» per esprimere «certe
voci e frasi del paese». Topico è anche il motivo del «capitale di voci più analoghe alle
italiane, e un accento meno viziato», che però non esime dalla necessità di compilare una
raccolta di voci ferraresi «le più difficili a ridursi in buon italiano». Anche in questo caso,
su Cherubini deve aver fatto presa l‟integrazione del Nannini della ricerca
vocabolaristica con «l‟opera di alcuni colti Amici, e anche di Toscani intelligenti» e la
distinzione del dialetto cittadino dalle varietà locali, «dal punto centrale del Basso Po, sia
verso la Transpadana, sia all‟Ovest, o al Sud, o al Sud-Est del Dipartimento»; e infine
l‟auspicio (“cesarottiano”, per così dire) di un progetto di vocabolari dialettali: «sarebbe
desiderabile che ogni Dipartimento della Monarchia Italiana» (siamo nel 1805, in pieno
regno napoleonico) «avesse un amminicolo di tal natura».
«ego plantavi», conclude Nannini, ad excusatio degli eventuali errori, omissioni e
inadeguatezza di quello che ha voluto fosse un vocabolario «portabile». Ben lontano
quindi dalle intenzioni e dai risultati di Cherubini 1814.
Per molti aspetti il Vocabolario piemontese (è l‟unico dei vocabolari che non dia una
corrispondenza con il toscano, come fanno i più, o l‟italiano) di Maurizio Pipino (1783)
è un‟ulteriore conferma del metodo che anche Cherubini verrà adottando.
In maniera assai sintetica Pipino farà riferimento alla consultazione di diversi
vocabolari «più ricchi» confrontati nelle «diverse edizioni» (con riferimento alla Crusca,
probabilmente), all‟esame di «quegli Scrittori, che mi parvero atti a somministrarmi
qualche lume», ma soprattutto dirà di aver «interrogati parecchj viventi e Franzesi,» –
perché questa è ovviamente la lingua di contatto, forse più dello stesso italiano – «e
Toscani versatissimi nel loro idioma».
Un vocabolario fatto per l‟«uso» e il «comodo» dei piemontesi, che si definisce come
un «vocabolario domestico» (integrato da una «Raccolta de‟ nomi derivanti da dignità,
gradi, uffizj, professioni, ed arti», vocabolario tecnico-burocratico, per così dire, e da una
raccolta dei verbi di uso più comune e di altri elementi grammaticali), aperto alla
terminologia tecnica, «i termini proprj degli stromenti delle arti, e dell‟agricoltura». È
rilevante che Pipino distingua «tre varj modi di parlare il nostro dialetto» osservati a
Torino («questa Capitale»): il Cortigiano, parlato alla corte sabauda (la dedicataria
dell‟opera è Maria Adelaide Clotilde Saveria di Francia, principessa di Piemonte), che si
differenzia soprattutto a livello di pronuncia* («I Cortigiani, per esempio, i Nobili, come
anche le Persone letterate, e colte fanno sentire una ë aperta, ed una ę muta in parecchi
vocaboli, laddove sentesi in bocca della gente più ordinaria, e de‟ plebei in vece della ë
aperta in alcune voci, una a, ed in alcune una ę muta, ed al luogo di questa pure una a.
120
© Italiano LinguaDue, n. 2. 2015. I. Paccagnella, Cherubini (1814) nella storia della prima lessicografia
dialettale
Onde i primi dicono sofiët, blët, bufët, taborët, nët, libër, bavër, otobër, frësch, cręd o crëd, vęd o
vëd, ec. mentre gli altri pronunziano sofiàt, blat, bufàt, taboràt, nat, libęr,bavęr, otòbęr, frasch,
crad, vad, ec. »); il Volgare, la lingua cittadina d‟uso comune; il Plebeo, parlato dal «minuto
popolo», con distinzione per aree provinciali, il Provinciale, appunto, da cui si differenzia
il Contadinesco.
Come si vede, un quadro di variazioni diatopiche e diastratiche che sicuramente,
insieme alla dichiarazione esplicita di un sistema di definizioni sinonimiche, avrà attirato
l‟attenzione di Cherubini (val la pena di ricordare la lettera a don Luigi Alvergna sul
cremonese del 15 gennaio 1824, probabilmente per le carte preparatorie della
Dialettologia italiana: «Se il dialetto contadinesco di codesti contorni diversificasse
essenzialmente dal Cittadinesco, pregola a voler compiacersi di notare ambe le
maniere»30).
4.3. Che invece Cherubini non citi mai né il dizionario trilingue siciliano-italiano-latino
del gesuita Del Bono (1751) né quello etimologico sempre trilingue di Pasqualino (1785)
si può spiegare con la scarsa conoscenza e quindi il minore interesse di Cherubini in
generale per i dialetti meridionali. Nella raccolta di materiali per quella che voleva essere
un po‟ la summa conclusiva del suo lavoro, la Dialettologia italiana, in un elenco che
comprende «ciciliano, milanese, comasco, svizzero, lodigiano, tortonese, pavese,
bresciano, mantovano, veronese, padovano, napoletano, veneziano, cremonese,
cremasco, bergamasco, genovese, piemontese, bolognese, ferrarese, friulano, sardo»31,
con un ordine a dir il vero singolare, se mette in primo piano il siciliano e interpone il
napoletano fra padovano e veneziano, c‟è la netta prevalenza dei dialetti lombardi e
settentrionali, a fronte dell‟assenza totale di materiali per i dialetti centrali, mentre fra i
dialetti meridionali si registrano solo napoletano e siciliano.
Sarei però portato ad escludere che li ignorasse, stanti il suo habitus scientifico e la sua
precisione documentaria. Probabilmente l‟insistenza di entrambi questi autori
sull‟etimologia, come pure sul latino (anche per uno come lui che di un fortunato
vocabolario italiano-latino era stato compilatore!) lo portavano a non prendere in
considerazione questi due vocabolari.
5. Più che trarre delle conclusioni, vorrei proporre alcune considerazioni sulla prima
edizione del Vocabolario milanese-italiano, su cui pesa il giudizio del Manzoni, in una nota
lettera a Giuseppe Borghi del 25 febbraio 1829:
Un gran tesoro è per me il vocabolario milanese; e non potrei dire
abbastanza quanto io pregi quel lavoro, e ne sia grato all‟autore; ma, come
lavoro umano, ha i suoi difetti; e il principale è certamente quello d‟essere
fatto un po‟ troppo sui libri, e un po‟ poco sull‟Uso.
Certo Manzoni si riferiva alla tradizione letteraria milanese, non alle fonti
vocabolaristiche dialettali, tutte peraltro tese, come scrive già Del Bono, a «agevolare
30
31
Cfr. Masini, 2008: 536.
Cfr. Masini, 2008: 542.
121
© Italiano LinguaDue, n. 2. 2015. I. Paccagnella, Cherubini (1814) nella storia della prima lessicografia
dialettale
[…] ai meno esperti l‟uso di quelle due lingue Toscana, e Latina, che per la loro
eleganza, dolcezza, e leggiadria con qualsivoglia delle morte, o vive favelle, di parità, se
non forse anche di maggioranza contender la possono»32. L‟uso che di questi antecedenti
fa Cherubini non è solo libresco. Sotto questo aspetto, non è stata mia intenzione dare
un‟interpretazione teleologica, per così dire, della presenza e dell‟uso dei vocabolari
dialettali settecenteschi nel primo Vocabolario milanese-italiano. Come dire che anche la
semplice citazione bibliografica (spesso non si va oltre quella) dei vocabolari a lui
precedenti non è semplice riscontro libresco o, come si dice oggi con un brutto
anglismo, la presa d‟atto dello “stato dell‟arte”, ma deve essere vista come un momento
di verifica su materiali da utilizzare caso per caso (i riscontri alle singole voci) o come
una fase critica, di valutazione di quanto fatto in precedenza, per poi imboccare una
strada personale: nuova e di sicuro diversa.
Questo sembrerebbe valere innanzi tutto per la lingua “di destinazione”, che nella
maggior parte dei vocabolari settecenteschi (Pellizzari, Patriarchi, Galiani) viene definita
«toscano» e solo dal Nannini (ma siamo già al 1805) «italiano», mentre Pipino, più
orientato solo alla propria lingua (e anche più sintetico), titola Vocabolario piemontese. Ma
vale anche più per la direzione del rapporto dialetto-toscano, nel senso che in tutti gli
altri vocabolari si insiste su una funzione ancillare del dialetto all‟apprendimento o al
buon uso (ovviamente letterario) del toscano. Quest‟ultimo aspetto, che pure c‟è, in
Cherubini finisce per passare in secondo piano.
È evidente che il riferimento alla lessicografia dialettale più o meno contemporanea
vale a fornirgli l‟autorizzazione e gli strumenti per la propria operazione, ma anche e
forse più a rapportare il milanese con gli altri dialetti italiani33. Ancora qualche scheda;
per il veneziano:
Meneghin, Meneghina, Meneghinada, Meneghinasc, Meneghinesc,
Meneghinon …Sono tutte voci denotanti la persona o le azioni di un
Milanese o di una Milanese, e, più particolarmente del volgo: il Meneghin delle
commedie milanesi o simili fa l‟ufficio dello Stenterello de‟ Fiorentini, del
Pantalone de‟ Veneziani e di altrettali caratteri. Vogliono gli eruditi che
questo nome di Meneghin sia sincopato da Domeneghin, ed altri che provenga
da Domenega o sia Servitor de la domenega. Anche il Voc. Ven. (in
Domeneghin) ha Servo domenicale.
che è esatta citazione del Patriarchi («Domeneghin. Servo domenicale») o anche
Birœu (T. de Calz.). … Bulletta di legno che serve a congegnare la
solettatura d‟una scarpa. Il Voc. Ven. non so con quale autorità dà per nome
it. corrispondente a questo Stecca.
che è la voce
Lissarin. Bussetto, stecca, arnese di bossolo usato da‟ calzolai per lustrare le
scarpe.
32 Del
Bono, 1751-1754.
In una fase in cui uno studio organico e strutturato dei dialetti costituiva, ovviamente, una branca
scientifica ancora non toccata.
33
122
© Italiano LinguaDue, n. 2. 2015. I. Paccagnella, Cherubini (1814) nella storia della prima lessicografia
dialettale
del Patriarchi; per il napoletano:
Abaaghicc. Chiericuzzo. Chericuzzo.Nome denotante dispregio ed abbiezione
nelle persone di questa classe. I Nap. direbbero uno Scolagarrafelle, cioè
Scolaorzœu.
che è esatta citazione (anche nella grafia fonetica) del Galiani:
Scolagarrafelle. Epiteto ingiurioso dato ai giovani chierici delle Sacrestie, che
sogliono di foracchio beversi, e scolare i rimasugli del vino, che resta nelle
garafine servite per la messa.
per il piemontese:
Code…….. Quel bossolo che si mettono a cintola i contadini, entro a cui
ripongono la cote. Forse non sarebbe maldetto Portacote. Dicesi anche di
quel vaso di legno che portano seco i falciatori, in cui ripongono acqua per
bagnare la cote quando vogliono affilare la falce, e questo dubito che sia il
Corno da bere del Dizionario. I Piemontesi lo chiamano anch‟essi Coé.
che è esattamente
Coè. (Vaso di legno, che portano seco i falciatori, in cui ripongono acqua per
bagnare la cote, quando vogliono affilare la falce).
del Pipino. Diverso è il discorso per i riscontri con il toscano vivo34, con l‟uso parlato,
ossia le registrazione delle varietà diatopiche toscane, per cui vale quanto ben
documentato da Danzi (2001), per i rinvii alle poche forme pistoiesi, livornesi,
volterrane, alle scarse aretine, a quelli più ricorrenti del fiorentino parlato e del lucchese
(contrassegnate dalle didascalie «(*) fiorentino», «(*) lucchese»); anche se non va
dimenticato il precedente del Patriarchi del ricorso ad un informatore fiorentino
privilegiato:
Quanto ad alcune parole e maniere che non mi venne fatto di rinvenire
dopo la lettura di tante opere degli autori sopraccennati, e sono specialmente
quelle più famigliari e dimestiche, non ho tralasciato di chieder consiglio al
sig. dr Francesco Torreggiani Fiorentino, che per mia buona sorte capitò qui
per istudiare l‟Anatomia sotto il celebre sig. professor Caldani, ed ebbi il
vantaggio di conversar seco due anni quasi ogni sera. Oh quanti vocaboli e
modi appresi da lui, quanti ne aggiunsi, quanti ne ricorressi! Senza la voce
d‟un erudito Toscano era impossibile ch‟io le trovassi, o le risapessi
giammai.
«Nuovo non era il riferimento alla lingua parlata di Firenze, come mostra il precedente di Patriarchi […]
ma la disponibilità del ricercatore a immergersi nel contesto sociale, per cogliere la lingua nel suo farsi».
Cfr. Danzi, 2001: 64 e ss. che dimostra l‟attenzione di Cherubini a «una Toscana linguisticamente non
unitaria, il cui lessico appariva vario e frammentato», documentata anche dal progettato viaggio in
Toscana, dalle inchieste sul campo e dal contributo degli amici e corrispondenti toscani, Federico Guasti,
Carlo Grossi, i lucchesi Domenico Cervelli e Pietro Maggesi (Danzi, 2001: 73).
34
123
© Italiano LinguaDue, n. 2. 2015. I. Paccagnella, Cherubini (1814) nella storia della prima lessicografia
dialettale
Ultima annotazione. Già nei vocabolari settecenteschi si affaccia sporadicamente la
curiosità per le varietà diastratiche dei dialetti. Valga il caso, ancora, di Patriarchi (a
proposito della comunanza di frasi, dizioni, proverbi con il toscano) che nota:
Tale e tanta è la moltitudine delle parole Toscane che si ritengono e nel
contado, e dentro alla nostra Città, che è proprio una meraviglia. Io sarei
quasi per dire che nessun‟altra città di Lombardia ne può contar tante.
Donde sia ciò provenuto a me non ispetta il deciderlo. Io seguirò il mio
argomento, registrandone alcune così di passo. Del contado sono fortume,
grembiule, vangile, galdere, virtudioso, pieve, coltra, superbiosa, terribile per
turibile. Della Città: pilacchera, zatta specie di popone, massaro, infinocchiare,
taroccare, straculo, spalliera, ragazzo, rocchetto, smargiasso, brustolare, olla, cubattolo,
trappola, pastoso, ed altre senza novero […].
Cherubini è attento alle variazioni, anche se nella prima edizione è più sbilanciato
verso il «nostro favellare di città» e solo nella seconda edizione aumenta il numero delle
voci etichettate come «vocaboli di contado». Nel 1824, ad esempio, scrivendo a don
Francesco Luigi Alvergna, professore alla Scuola Magistrale di Cremona, chiedendogli la
traduzione di una lista di vocaboli italiani, chiude con un post scriptum: «Se il dialetto
contadinesco di codesti contorni diversificasse essenzialmente dal Cittadinesco, pregola
a voler compiacersi di notare ambe le maniere» (Masini, 2008: 536). Lo provano le
precise etichette del lessico delle arti e dei mestieri, dell‟agricoltura. Segnale nuovo di una
grande attenzione alla cultura materiale e alle osservazioni folcloriche, che si svilupperà
appunto nella grande edizione del 1839-1843 (con l‟aggiunta del quinto volume del
1856, con la «Sopragiunta»). In questa, e prima nel Vocabolario mantovano-italiano del 1827,
c‟è la realizzazione del Cherubini dialettologo “moderno” – da appaiare a Boerio, che
per questa seconda edizione diventerà informatore, per la voce Madia, con riferimento al
suo Polesine e a Verona (Masini, 2008: 542) – con tutte le basi poste in questa edizione
del ‟14.
RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
Alberti di Villanova F. (1811), Grande dizionario italiano-francese, per Giuseppe Remondini
e figli, Bassano.
Ballarini M., Barbarisi G., Berra C., Frasso G., (a cura di) (2008), Tra i fondi
dell’Ambrosiana. Manoscritti italiani antichi e moderni, Cisalpino, Milano.
Cartago G. (2008), “Nell‟officina di Francesco Cherubini. Il fondo della Biblioteca
Ambrosiana”, in Ballarini, 2008: 546-553.
Cesarotti M., (1785), Saggio sopra la lingua italiana, Stamperia Penada, Padova.
Cesarotti M, (1788), Saggio sopra la lingua italiana, seconda edizione accresciuta di un ragionamento
dell’autore spedito all’Arcadia sopra la filosofia del gusto, Stamperia Turra, Vicenza.
Cesarotti M. (1800), “Saggio sulla filosofia delle lingue applicato alla Lingua Italiana con
varie note, due Rischiaramenti e una Lettera”, Pisa, Tipografia della Società
Letteraria, in Puppo, 1979: 297-489.
Cherubini F. (1814), Vocabolario milanese-italiano, Stamperia Reale, Milano.
124
© Italiano LinguaDue, n. 2. 2015. I. Paccagnella, Cherubini (1814) nella storia della prima lessicografia
dialettale
Cherubini F. (1839-1843), Vocabolario milanese-italiano, Imperial Regia Stamperia, Milano.
Cherubini F. (1856), Vocabolario milanese-italiano, Sopraggiunta; Nozioni filologiche intorno al
Dialetto milanese; Saggio d’osservazioni su l’idioma brianzuolo, suddialetto del milanese,
Società tipografica de‟ Classici italiani, Milano.
Cresti E., (a cura di) (2008), Prospettive nello studio del lessico italiano, Atti del IX Congresso
della Società internazionale di Linguistica e Filologia italiana, Firenze, 14-17 giugno 2006,
University Press, Firenze.
Danzi L. (2001), Lingua nazionale lessicografia milanese. Manzoni e Cherubini, Edizioni
dell‟Orso, Alessandria.
Del Bono M. (1751-1754), Dizionario siciliano italiano latino, 3 voll., Stamperia di Giuseppe
Gramignani, (il II vol. per Pietro Bentivegna, 1752), Palermo.
Folena G. (1983), L’italiano in Europa, Einaudi, Torino.
Galiani F., Mazzarella Farao F. (1789), Vocabolario delle parole del dialetto napoletano che più si
scostano dal dialetto toscano, con alcune ricerche etimologiche sulle medesime degli Accademici
Filopatridi. Opera postuma supplita ed accresciuta notabilmente, presso Giuseppe Maria
Porcelli, Napoli.
Lepschy A. L., A. Tosi, (a cura di) (2007), Languages of Italy. Histories and Dicitionaries,
Longo, Ravenna.
Lepschy G. C. (1965), “Una fonologia milanese del 1606: «Il Prissian da Milan della
Parnonzia Milanesa»”, in Lepschy, 1978: 177-215.
Lepschy G. C. (1978), Saggi di linguistica italiana, il Mulino, Bologna.
Masini A. (2008), “Nell‟officina di Francesco Cherubini. Il fondo della Biblioteca
Ambrosiana”, in Ballarini, 2008: 535-545.
Melzi, G. (1848-1859), Dizionario di opere anonime o pseudonime di scrittori italiani o come che sia
aventi relazione all’Italia, Pirola, Milano.
Marazzini C., (a cura di) (1988), Muratori L. A., Dell’origine della lingua italiana. Dissertazione
XXXII sopra le antichità italiane, Edizioni Dell‟Orso, Alessandria.
Muratori L. A., “Dell‟origine della lingua italiana. Dissertazione XXXII sopra le antichità
italiane”, in Marazzini (a cura di), 1988.
Nannini, F. (1805), Vocabolario portatile ferrarese-italiano, ossia raccolta di voci ferraresi le più
alterate, alle quali sono contrapposte le corrispondenti voci italiane, dell’Abbate Francesco
Nannini. Operetta utilissima ad ogni classe di persone, per gli Eredi di Giuseppe Rinaldi,
Ferrara.
Paccagnella I. (2007), “La lessicografia dialettale e il caso veneto fra Patriarchi e la
Crusca (e Boerio)”, in Lepschy - Tosi, 2007: 211-232.
Pasqualino M. (1785), Vocabolario siciliano etimologico italiano e latino, Reale Stamperia,
Palermo.
Patriarchi G. (1775), Vocabolario veneziano e padovano co’ termini, e modi corrispondenti toscani,
Stamperia Conzatti, Padova.
Patriarchi G. (1796), Vocabolario veneziano e padovano co’ termini e modi corrispondenti toscani in
questa seconda edizione ricorretto e notabilmente accresciuto dall’autore, Stamperia Conzatti,
Padova.
Patriarchi G. (1821), Vocabolario veneziano e padovano co’ termini e modi corrispondenti toscani
composto dall’abate Gasparo Patriarchi. Terza edizione, Tipografia del Seminario,
Padova.
Pipino M. (1783), Vocabolario piemontese del medico Maurizio Pipino, Reale Stamperia,
Torino.
125
© Italiano LinguaDue, n. 2. 2015. I. Paccagnella, Cherubini (1814) nella storia della prima lessicografia
dialettale
Puppo M., (a cura di) (19793), Discussioni linguistiche del Settecento, UTET, Torino.
Savérien, A. (1758), Dictionnaire historique, théorique et pratique de marine, C.-A. Jombert,
Paris.
Savérien, A. (1769), Dizionario istorico, teorico e pratico di marina, tradotto dal francese, Gio.
Battista Albrizzi, Venezia.
Tomasin L. (2008), “Gasparo Patriarchi e il Vocabolario Veneziano e Padovano. Alle
origini della lessicografia dialettale italiana”, in Cresti, 2008: 63-70.
Varon Milanes de la lengua de Milan e Prissian da Milan de la parnonzia Milanesa, Gian
Giacomo Como, Milano, 1606.
Vocabolario bresciano e toscano compilato per facilitare a’ Bresciani col mezzo della materna loro
lingua il ritrovamento de’ Vocaboli Modi di dire e Proverbj Toscani a quella corrispondenti,
Pietro Pianta, Brescia, 1759 (ristampa Brescia, Sintesi, 1974).
126