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«Grecità di frontiera»
Frontiere geografiche e culturali
nellevidenza storica e archeologica
Atti del Convegno Internazionale
Università degli Studi di Napoli «LOrientale»
Napoli, 5-6 giugno 2014
a cura di
Luigi Gallo e Bruno Genito
Edizioni dellOrso
Studi di Storia greca e romana
Collana fondata da
Marta Sordi
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Direzione Scientifica
Pietro Cobetto Ghiggia (Campobasso) - Martin Dreher (Magdeburg)
Giulio Firpo (Chieti-Pescara) - Silvia Orlandi (Roma) - Luisa Prandi (Verona)
I volumi pubblicati nella Collana sono sottoposti a un processo di peer review anonimo che ne attesta la validità scientifica.
«Grecità di frontiera»
Frontiere geografiche e culturali
nell’evidenza storica e archeologica
Atti del Convegno Internazionale
Università degli Studi di Napoli «L’Orientale»
Napoli, 5-6 giugno 2014
a cura di
Luigi Gallo e Bruno Genito
Edizioni dell’Orso
Il volume è pubblicato con un finanziamento del Dipartimento Asia, Africa e Mediterraneo dell’Università degli Studi di Napoli «L’Orientale».
© 2017
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ISBN 978-88-6274-811-7
Laura Boffo
‘Grecità’ lontana ad Aï Khanum
Com’è stato rilevato da voce autorevole, i Greci dell’Asia centrale «sont
les grands méconnus de l’histoire de l’hellénisme et les premiers responsables en sont les historiens de l’Antiquité eux-mêmes grecs et romains, qui ne
se sont visiblement jamais souciés de nous parler d’eux pour eux mêmes»1.
La (ri)scoperta nel novembre del 1964 dei resti di un insediamento di età
ellenistica nella Battriana orientale, presso il villaggio afgano moderno di Aï
Khanum, alla confluenza dei fiumi Darya-i Pandi e Kokça, e i successivi apporti documentali prodotti da regolari campagne di scavo in ampie sezioni
del sito dal 1965 al 1978 hanno consentito in parte di superare questa carenza d’informazione, grazie al contributo di elementi fattuali pertinenti a un
centro organizzato di III-II sec. a.C., monumenti, iscrizioni, documenti
d’archivio2. Nei limiti dell’impossibilità di proseguire l’indagine sul campo e
in quelli cronologici dello stato monumentale pervenuto (gli ultimi decenni
della vita della città), l’opportunità di studiare su un’ampia base di dati un
sito archeologico coerente offre buone prospettive per l’analisi dei rapporti
sociali e culturali in un contesto lontano dall’area mediterranea segnato da
una significativa presenza greco-macedone3.
1
La voce è di Paul Bernard, lo studioso il cui nome è indissolubilmente legato
all’indagine moderna sulla Battriana orientale (BERNARD, 2003, 111; cfr. ancora MAIRS, 2013
b, 85 e BERNARD, 2016, 104-107). Per una rassegna delle fonti letterarie antiche sulle regioni
in oggetto vd. HOLT, 1999, Appendix D, e COLORU, 2009, 65 sgg.
2
Per una visita al sito nel 1838 da parte dello scozzese John Wood e per una prima descrizione da parte del francese Jules Barthoux, nel 1926, vd. spec. TARZI, 1996, 604 sgg.,
HOLT, 1999, 15-16, BERNARD, 2001, 977-979. Per la storia dell’indagine moderna sul sito,
facente capo alla Délegation Archéologique Française en Afghanistan (DAFA) guidata negli
scavi da Paul Bernard, e per le conseguenze scientifiche dell’interruzione obbligata, che ha
inibito l’estensione dei lavori in settori non ancora o non sufficientemente investigati, vd.
BERNARD, 2001, 971-991, ID., 2009, 33-39, con ID., 2013 a; vd. anche MAIRS, 2014 b, 16-26;
per la serie di surveys che ha riguardato l’area della piana vd. MAIRS, 2011 a, 28-29,
MARTINEZ-SÈVE, 2012 d, 226. Per il ‘Before Ai Khanoum’ e l’‘After Ai Khanoum’ nella storia degli studi sull’Oriente ellenistico, vd. MAIRS, 2011 a, 14. Per una sintesi, in occasione del
cinquantesimo anniversario dell’inizio dell’attività di scavo della DAFA, vd. LECUYOT, 2014.
3
Cfr. BERNARD, 2009, 39: «aucun autre [site] dans l’Asie centrale toute entière ne
présente des conditions aussi favorables à l’étude de la présence grecque». Segnalano peraltro
i rischi di sopravvalutazione di un sito più indagato degli omologhi in regione WIDEMANN,
96
«GRECITÀ» DI FRONTIERA
Benché ancora oggetto di discussione e passibile di revisione, la storia del
centro antico di Aï Khanum, limitata ad un secolo e mezzo circa, sembra
tracciata con sufficiente attendibilità sullo sfondo delle vicende dell’impero
seleucide e del regno di Battriana, prima e dopo la scissione da parte di Diodoto I4. La «fondazione» dell’unico insediamento importante della Battriana
orientale – forse su una fortezza di età achemenide e a seguito di una guarnigione di generali o satrapi di Alessandro – sembra risalire al tempo della coreggenza di Seleuco I e Antioco (I), fra 294 e 281, mentre un primo sviluppo
urbano si dovrebbe ad Antioco I re, che ne avrebbe fatto una residenza regale5. La città acquisì importanza nel contesto della Battriana orientale con il
distacco della satrapia dal regno seleucide (dal 250 ca., ufficialmente dal
2009, 426, MAIRS, 2013 c, 27, MAIRS, 2014, 59, 61-62. Sulla preponderanza di studi francesi,
che hanno per molto tempo pressoché monopolizzato la ricerca e la divulgazione su Aï Khanum (ad es. BERNARD, 1994, 2002, 2007) vd. MAIRS, 2013 b, 88; sui loro caratteri, vd. infra,
passim. Vd. anche quanto segue.
4
Per un recente avviso a considerare incerta la cronologia del centro, vd. LECUYOT, MARTINEZSÈVE, 2013, 213. L’incertezza deriva principalmente dal lungo processo di analisi dei materiali recuperati nel periodo degli scavi (ancora in corso di pubblicazione) e dall’impossibilità di verificare
sul campo gli esiti delle diverse periodizzazioni proposte sulla base della cronotassi via via stabilita
per il materiale ceramico e i rinvenimenti monetali: ciò continua a determinare ricostruzioni difformi tra gli studiosi e, per alcuni di questi, revisioni di quadri presentati in precedenza. A ciò si
accompagna il progredire delle indagini su altri siti della macroarea interessata, le quali producono
nuovi materiali e nuove riflessioni sul contesto storico e culturale generale (per rassegne, vd.
MAIRS, 2011 a, i Supplements Hellenistic Far East Bibliography Online, 1, 17 February 2013; 2,
29 September 2014; 3, 7 November 2015; 4, December 2016 in www.bactria.org, con LINDSTRÖM,
2013 b). Per le vicende storiche di parte seleucide e battriana vd. CAPDETREY, 2007 e 2012, 325
sgg., COLORU, 2009, WIDEMANN, 2009, PLISCHKE, 2014 (il rimando ad «Āï Xānum», ampiamente
trattata, manca nell’indice: cfr. almeno 109-117 e 145-148).
5
Per l’apparente concordanza cronologica del comparire di ceramica di tipo greco vd.
LYONNET, 2013 b, 366. Sui presupposti dell’insediamento, vd. LECUYOT, 2013 b, 2, nt. 17;
cfr. FRANCFORT, 2013 a, 176, nt. 408, LECUYOT, MARTINEZ-SÈVE, 2013, 210, 214, MARTINEZSÈVE, 2014, 267, 270, MARTINEZ-SÈVE, 2015, 22-28. Non si entra qui nella vexata quaestio
della denominazione della località antica, se non per ricordare la proposta di Cl. Rapin (ad es.
2003, 115 e 2005, 146-147) di vedere in Aï Khanum lo sviluppo civico del centro indigeno
Ostobara di Ptol., 6, 11, 8 e, all’epoca del re Eucratide I (ca. 170-145), l’Eucratidia di Strab.,
XI, 11, 2 e Ptol., loc. cit. (accettata ad es. da LINDSTRÖM, 2009, 128, BERNARD, 2011, 103,
HOLT, 2012 a, 154, MARTINEZ-SÈVE, 2012 d, 220; cfr. HOFFMANN, 2016, 165-166, nt. 1). In
linea generale, sembra condivisibile la decisa critica di MAIRS, 2014 a, ai moderni «miti di
fondazione» della città battriana («sometimes…argued with more enthusiasm than care»; non
esclude la denominazione dal re per l’ultima fase della vita della città MAIRS, 2014 b, 61);
anche alla luce delle considerazioni seguenti, merita inoltre attenzione l’idea della studiosa
che gli abitanti non greci – «e forse anche greci» – continuassero a usare il toponimo locale.
Per un possibile rapporto tra la perdita del nome e la controversa situazione della città nel passaggio dal regno seleucide a quello ‘greco-battriano’, vd. MARTINEZ-SÈVE, 2014, 270. Infine
per l’idea che Aï Khanum possedesse «einen starken iranischen Bevölkerungsanteil» vd.
LINDSTRÖM, 2009, 128. Vd. anche nota seguente.
‘GRECITÀ’ LONTANA AD AÏ KHANUM
97
235-225)6. Verso la fine del III secolo, Aï Khanum sembra aver conosciuto
un secondo afflusso di ‘coloni’ dal mondo mediterraneo e un generale incremento d’importanza7. A partire da quel momento comunque si ebbe una
progressiva attività di sviluppo e riorganizzazione delle strutture pubbliche e
private, che culminò nel regno dell’ultimo sovrano di Battria Eucratide I
(170 ca.-145 ca.), impegnato in un ambizioso programma edilizio per quella
che era diventata una vera e propria «royal city»8. La fine di Aï Khanum ellenistica, con l’abbandono del sito da parte degli appartenenti alla società
«regale» e l’inizio di una fase di privatizzazione degli spazi pubblici da parte
della popolazione rimasta, sembra collocabile nel 140 ca.9.
L’impianto urbano occupava il terrazzo naturale posto alla confluenza dei
fiumi, per un’area complessiva di ca. 170 ettari. Una strada NS accompagnata per lungo tratto da un canale d’irrigazione distingueva la «città bassa»,
sede dei principali edifici pubblici e di culto, e, attraverso una terrazza in6
Per la funzione del centro come «città principale», in rapporto a Battra, vd. MARTINEZSÈVE, 2012 d, 217-218. Per la funzione di residenza regale vd. MARTINEZ-SÈVE, 2014, spec.
270 («probably…one of their main residences»; cfr. PLISCHKE, 2014, 77, con l’idea che Antioco I fu a lungo in Battriana, «vermutlich auch in Āï Xānum»); per l’ipotesi che il palazzo
fosse residenza di un governatore, vd. COLORU, 2009, 265 sgg. e MAIRS, 2014 b, 68, 75-76,
82; cfr. anche COHEN, 2013, 234-235 e, per una più articolata lettura del sistema dei palazzi
nel regno seleucide, KOSMIN, 2014, 222-223: essi ospitavano i re itineranti e, in loro assenza,
erano sede di satrapo o comandante militare. Vd. anche quanto segue.
7
Vd. FRÖHLICH, 2013, 247, LYONNET 2013 a, 191, LECUYOT, MARTINEZ-SÈVE, 2013, 216;
per le diverse ipotesi, che collegano l’incremento di volta in volta alla presenza nell’area di
Antioco III, impegnato nel tentativo della riconquista, al rafforzarsi del potere di Eutidemo I e
del figlio Demetrio, ad entrambi i fattori, vd. LECUYOT, MARTINEZ-SÈVE, 2013, 217; tende
invece a escludere rincalzi coloniari dalla metà del III sec. MAIRS, 2014 a. Ritiene che il re
seleucide avesse lasciato al servizio di Eutidemo I gli «artistes de très haut niveau» che fondarono la scuola locale d’incisione di monete in stile e simbologia greci WIDEMANN, 2009, 59,
421 (peraltro attribuendo a Antioco III una «volonté d’aider Euthydème à maintenir le caractère culturel grec de la Bactriane»). Vd. anche MARTINEZ-SÈVE, 2015, 38.
8
La citazione nel testo da MARTINEZ-SÈVE, 2014, 273. Sulle fasi edilizie del centro vd. da
ultimo in generale MARTINEZ-SÈVE, 2014, 270-271; per le singole strutture vd. quanto segue.
9
La cronologia e le fasi dell’abbandono sono oggetto di controversia, al momento cautelativamente risolvibile nella scelta della data nel testo convenuta sulla base di argomenti ragionevoli
(vd. da ultimo BERNARD, 2013 b e, per una più articolata definizione in fasi degli ultimi decenni
di vita dell’insediamento, LECUYOT, MARTINEZ-SÈVE, 2013, 218-220, MARTINEZ-SÈVE, 2014,
272 con nt. 33, MAIRS, 2013 c, MAIRS 2014 b, 60-61, 90-91, 146-176); per uno status quaestionis vd. HOLT, 2012 b, che conclude ancora per la metà del II secolo ca.; per la necessità di superare il modello della caduta di Aï Khanum per invasione nomade, vd. HOLT, 2012 a, 192 sgg.
e, per la corretta valutazione degli eventi sullo sfondo del sistema di relazioni in aree a diverso grado e periodo di mobilità e aggressività sulla lunga durata, MAIRS, 2014 b, loc. cit.; per
ripetute incursioni sul sito sino al 128 ca. vd. anche COLORU, 2009, 232 sgg. e, per le fasi seguenti dell’occupazione del territorio sulla base delle fonti cinesi, BERNARD, 2016; puntuali
considerazioni sulla complessità etnica degli invasori dell’area e sulle diverse fasi d’entrata
sono in CIANCAGLINI, 2001, passim (ignorata in letteratura).
98
«GRECITÀ» DI FRONTIERA
termedia, la «cittadella», all’apparenza meno dotata di costruzioni10. La città
disponeva verso NE di un’ampia piana agricola, già organizzata attraverso una
rete di canali d’irrigazione, cui si aggiungevano, attraverso la rete di comunicazioni, le opportunità dell’allevamento di transumanza, dell’abbondanza di
legname, delle risorse minerarie (con le principali miniere di lapislazuli sfruttate in antico, nel Badakshan)11.
Un fatto caratteristico, che mette conto di rilevare preliminarmente, è che
il sito non ha consegnato un’agora o strutture dedicate allo scambio quotidiano ‘di tipo greco’: nella valutazione della natura dell’insediamento e della
sua organizzazione politica, etnica, sociale e culturale si tratta di un aspetto
di peso, da considerare nel quadro delle diverse attestazioni della vita del
centro e di conseguenza nella prospettiva della «città regale», la quale comporta degli aspetti d’impostazione e di relazione propri, in funzione del tipo
di regalità praticata nell’ambito di una dinastia, del progetto del ‘fondatore’,
del contesto storico interessato12.
10
Per una descrizione di dettaglio del sito vd. ad es. BERNARD, 2001, 982 sgg., ID., 2009,
LECUYOT, 2013 b, 1 sgg., MAIRS, 2014 b, 63 sgg.; per la definizione degli aspetti urbanistici della
fondazione e sul ruolo dell’asse viario su cui essa era impostata, vd. MARTINEZ-SÈVE, 2014, 272
sgg., MAIRS, 2014 b, 65 sgg.; sulla ricostruzione in 3D della città, attraverso i suoi edifici principali,
vd. LECUYOT, 2007, con MARTINEZ-SÈVE, 2014, 269-270 e il documentario “L’Alexandrie oubliée” (P. Cabouat et alii, 2004: http://www.dailymotion.com/video/xuflx8_l-alexandrie-oublieeeurasia_webcam). Per singoli monumenti o zone della città e per le diverse fasi costruttive, vd.
infra, 101 sgg.
11
L’estensione di quella che è stata definita la chora della città è calcolata in 35 x 10 km
(LECUYOT, 2013 b, 4); una distinzione dell’area esterna in una fascia più vicina alla città di ca.
150 ha, lungo le principali vie di comunicazione («urban belt»), e in una più esterna, di ca.
300 ha («semiurban belt») presenta MARTINEZ-SÈVE, 2014, 277; segnalano giustamente
l’organizzazione idrica di lunga durata del territorio WIDEMANN, 2009, 25-27, MAIRS, 2014 b,
36; quanto alle altre qualità dell’area, vd. ad es. LERICHE 2009, 162, 166, LECUYOT, 2013 b,
10-11, FRANCFORT, 2013 a, 176-178, MAIRS, 2011 a, 29 e 2014 b, 57 sgg. Si rileva qui la conclusione di FRANCFORT 2013 a, 177-178 circa un prelievo contributivo in prodotti agricoli
dalla chora («hypothèse…indispensable», cui aggiungeremmo quella di rimesse in denaro:
vd. infra, 112-113, nt. 43); cfr. LECUYOT, MARTINEZ-SÈVE, 2013, 216 e, per il rilievo
dell’intervento reale sul paesaggio regionale, CAPDETREY, 2007 e 2012, 325 sgg., KOSMIN,
2014, 193, 195, 196. Sulla popolazione della piana, vd. infra, 99-100, nt. 14; cfr. 115, nt. 56.
12
Per l’assenza di un’agora identificabile vd. ad es. BERNARD, 2001, 1016-1017, ID.,
2009, 43, ID., in ROUGEMONT, 2014, 23, nt. 68 («Il est à peu près certain qu’il n’y avait pas
d’agora publique dans la plaine»; cfr. ibid., Note, 34: «l’observation des vestiges de surface
donne quelques raisons de supposer qu’il n’y eut jamais d’agora dans la ville»). Per tentativi
di spiegazione alla luce del presupposto di lettura ‘greca’ dell’organizzazione spaziale di Aï
Khanum, vd. ad es. LECUYOT, 2013 b, 3, ove si parla delle «tendances générales de
l’urbanisme hellénistique…appliquées avec souplesse en fonction des contraintes du terrain»;
per una più articolata discussione, esplicitamente intesa valorizzare il carattere di «città regale» qui sottolineato, ma ancora imbarazzata dal tentativo di conciliare un carattere non riconducibile alla fondazione greca di tipo tradizionale con il desiderio di riconoscere in Aï Khanum una «genuine Greek polis», è in MARTINEZ-SÈVE, 2014, 279-280 (nell’ambito di una se-
‘GRECITÀ’ LONTANA AD AÏ KHANUM
99
E forse una riflessione preliminare richiede anche il fatto che l’insediamento,
se considerato nei termini della polis, ha lasciato un numero esiguo di documenti epigrafici in greco, sia ‘pubblici’ sia ‘privati’13.
La considerazione di questi elementi di premessa induce ad avviare alcune riflessioni sui caratteri della vita di una comunità di Greci e Macedoni trasferita lontano dal mondo mediterraneo secondo linee che tengano conto
delle diverse componenti di un processo articolato e complesso, nell’ambito
di un contesto etnico e culturale d’interferenza14. In particolare, occorrerà
zione intitolata alla ricerca di «how extensive was a Greek influence» nel sito e caratterizzata
dal tentativo di riferire un’agora di tipo ‘ionico’ adattato a qualcuna delle «several incompletely excavated areas» nel settore del palazzo o all’ampio cortile di esso: giustificazione ne sarebbe che «it is likely that the affairs of the city were not differentiated from those of the
kingdom», un’affermazione dalle molte conseguenze; vd. già MARTINEZ-SÈVE, 2012 d, 221224, che ne fa una «cité integrée» al regno). Una considerazione conclusiva appare in
BERNARD, Note, 34: l’«assenza» dell’agora «est peut-être à mettre en rapport avec…la primauté absolue du pouvoir royal». Non condivisibile è la considerazione di FRANCFORT, 2012,
110, nt. 7 che «a possible agora» sarebbe uno degli elementi costitutivi della «royal city» di
Aï Khanum, insieme con «palace, theater, arsenal, palaestra». Non impropria è la considerazione di HOLT, 2012 a, 196 che la città fosse «perhaps something of a showpiece built around
an impressive main boulevard» (cfr. MARTINEZ-SÈVE, 2014, 276: «a space for royal scenography»); attira giustamente l’attenzione sulla possibilità che l’impianto urbano prevedesse
ampi spazi non destinati a costruzioni permanenti MAIRS, 2014 b, 65. Per il ricorrere in letteratura di tentativi di conciliare aspetti che richiedono un approccio diverso da quello della
dialettica ‘tipico greco’/‘non greco’, ‘orientale’ ecc. vd. le note seguenti. Per un tentativo
d’identificazione dell’agora e per interrogativi circa l’esistenza e la localizzazione di aree per
attività artigianali, vd. infra, 117, nt. 56; vd. anche 122, nt. 69.
13
La constatazione è rimarcata in IGIAC, p. 211 («extrème rareté»; cfr. MARTINEZ-SÈVE,
2012 d, 214-215, col tentativo di scindere l’epigraphic habit di tipo ellenistico dal funzionamento della «vita civica»); il numero apparentemente alto di attestazioni (più di cinquanta) è
dato dai documenti dell’amministrazione reale e la sua (sopra)valutazione risente del confronto con la scarsità di documenti epigrafici nell’area (cfr. WIDEMANN, 2009, 426,
ROUGEMONT, 2014, 11). In una prospettiva poleica rilevava la scarsità dell’epigrafia greca in
Battriana Bernard, con la conclusione conseguente di una «popolazione coloniale poco numerosa» (BERNARD, 2002 b, 92); più congrua appare la sua considerazione in ROUGEMONT,
2014, 11, nt. 14: «Si l’on en juge par Aï Khanoum, l’épigraphie honorifique n’existe pas: estce simplement parce qu’ Aï Khanoum était une ville royale? Aucune de ces colonies d’Asie
centrale ne semble avoir connu la vie publique intense des citoyens des cités grecques». Naturalmente non quantificabile è la popolazione dell’insediamento, tenuto anche conto che una
parte della città non sembra essere stata abitata (vd. ad es. BERNARD, 2012, 42-44, peraltro
con la considerazione che Aï Khanum fosse «rather sparsely populated, mostly of colonists»;
il corsivo è di chi scrive). Vd. anche infra, 107-108, nt. 32 e 122, nt. 69.
14
Per la composizione etnica dei coloni, per lo più delle poleis della Grecia settentrionale,
della Macedonia e dell’Asia Minore, vd. COLORU, 2009, 149-151 (il quale pensa all’interruzione
dei flussi con l’indipendenza dai Seleucidi e alla presenza nella Battriana di Eucratide I di soldati
appartenenti a gruppi etnici di Sogdiana), COLORU, 2013, 44; per il loro statuto culturale vario,
vd. ROBERT, 1968, 455 («il n’y avait pas seulement des soldats et des ‘officiers’…il ne faut
pas minimiser la culture de ces gens qui sont tout autre chose que des «trognes armées»»). Si
rileverà qui che inevitabilmente essi dovettero integrarsi con l’elemento locale, ai diversi li-
100 «GRECITÀ» DI FRONTIERA
rimuovere la prospettiva del confronto e dell’alternativa delle categorie sociali e delle tradizioni etnico-culturali percepite come monolitiche e al più
giustapposte, ancora tenace nella lettura di Aï Khanum, per adottare quella
della relazione evolutiva, della mediazione e delle rimodulazioni, nella quale
il richiamo alle memorie d’origine era tanto consapevole quanto non isolazionista od oppositivo al contesto d’installazione, precisamente grazie alla
natura intrinseca di un insediamento costruito intorno alla regalità di tipo
seleucide in aree già caratterizzate15. E se è senz’altro doveroso rinunciare
velli sociali e nei diversi ambiti d’insediamento, per via di matrimoni (al riguardo vd. specialmente HOLT, 2012 a, 179, MAIRS, 2006, 113, 120, MAIRS, 2011 b, 179-180, MAIRS, 2013 b, 105,
MAIRS, 2014 b, 25, 63, 140, PLISCHKE, 2014, 31); nella stessa prospettiva si pone CAPDETREY,
2012, 336, con il giusto rilievo che le «fondations civiques appelaient des populations diverses associées à un processus de mise en valeur des territoires», ma riservando ogni iniziativa di creazione
di «une forme d’identité régionale» ai soli Greci e Macedoni, nell’ambito di una «sociologie coloniale complexe» che lasciava ai locali la ‘condivisione’; non accettabile nella formulazione appare
la nota di FRANCFORT, 2013 a, 165, nt. 379 che, a proposito dell’abitato rurale, mette in rilievo
l’«opulence des colons grecs de la Bactriane» a fronte di una povertà nella campagna che potrebbe
essere «signe d’autochtonie»; per la netta formulazione che «the surrounding countryside was inhabited by native farmers, who worked the land on behalf of the colonists and the local aristocracy»
vd. BERNARD, 2011, 87; fondata sul presupposto della separatezza insediativa di Greci e non Greci
ad Aï Khanum è l’idea di BURSTEIN, 2012, 99 sgg. che in Battria la popolazione greca avesse avuto
origine dall’unione dei primi coloni con le donne via via razziate in Asia, poiché essi sarebbero stati
«resistent to the idea of integration – presumably including intermarriage – with the local population» (per lo statuto sociale dei Greci nell’area vd. infra, 117, nt. 56). Quanto all’etnia dei diversi re
implicati nella storia di Aï Khanum, si ricorderà che Antioco I era di madre irana (benché il dato –
pace PLISCHKE, 2014, 196-197 e COŞKUN, MCAULEY, 2016, passim – sia difficilmente interpretabile quanto a eventuali effetti storici: MAIRS, 2011 b, 180), mentre Eutidemo I dichiarava l’origine
da una Magnesia (al Meandro? cfr. Polyb., 11, 34, 1 e COLORU, 2013, 43, ma, per una «presumably
not purely Greek…descent», MAIRS, 2011 b, loc. cit.). Merita infine rilievo anche la considerazione
della presenza di Greci in Battriana durante il periodo pre-ellenistico, come sottolineato ad esempio
da WIDEMANN, 2009, 18-19, 28-29 (forse troppo recisamente contraddetto in IGIAC, p. 206, nt.
733). Per i rischi dell’associazione dell’aspetto etnico con quello sociale, sulle premesse
dell’approccio coloniale, vd. ancora MAIRS, 2014 b, 63-64, quanto segue e infra, passim.
15
Rilevava le dinamiche di studio determinate da approcci etnocentrici contrapposti già
HOLT, 1985, IV-V (a proposito della lettura «ellenistica» di William W. Tarn, che ancora non
conosceva il sito, e di quella «indianocentrica» di Awadh K. Narain), cui si aggiungano
PARKER, 2007, 177 sgg. (con l’evidenza della divisione disciplinare tra «conventional classical studies» e prospettive orientate a mutare i parametri correnti) e, sull’impostazione dei diversi studi moderni sulla Battriana, HOLT, 2012 a, 135 sgg., 179-180, 187, 284, nt. 60 (cfr.
162: «How where identities constructed and negotiated in a world too often reducted to a
stark struggle of Greek versus non-Greek?»; in HOLT, 1999, 44 lo studioso già aveva colto il
carattere composito («cosmopolitan and eclectic») della città, per quanto ancora con
l’immagine inadeguata dell’«island surrounded by a sea of Central Asian Peoples», accompagnata da un improvvido elenco delle «componenti» del centro contrassegnate da grecità distinte ed esclusive: «a Macedonian palace, Rhodian porticoes, Coan funerary monuments,
Athenian propylea, Delian houses, Megarian bowls, Corinthian tiles», 44; all’immagine
dell’«eclettismo» (architettonico) si adegua MARTINEZ-SÈVE, 2014, 281, pur sempre nel tentativo di trovare una «sintesi» delle diverse «influenze»). Una rassegna delle affermazioni
‘GRECITÀ’ LONTANA AD AÏ KHANUM
101
all’uso di categorie e prospettive di stampo ellenocentrico e colonialista, è
forse anche opportuno evitare di considerare le comunità di fondazione reale
e di sviluppo areale nei termini della «diaspora», come intesa nell’accezione
corrente, e pensare alla loro collocazione non tanto nell’«Estremo Oriente
greco», quanto nel «(Lontano) Oriente ellenistico»16.
Simbolo per eccellenza delle memorie di una comunità greca di fondazione era lo heroon del personaggio ufficialmente riconosciuto come ecista.
Il caso di Aï Khanum, che per tutta la sua storia di centro organizzato elaborò e tutelò quel suo monumento, è emblematico sotto diversi punti di vista17.
meno condivisibili (sovente in contesti di rilievo di fattori ‘diversi’ rispetto alla grecità ‘genuina’) sarebbe troppo lunga; basti qui rinviare alle diverse asserzioni riportate nelle note qui
sotto in margine ai diversi aspetti considerati e segnalare la persistenza della lettura tradizionale: ancora in MAIRS, 2013 b, nonostante apprezzabili sforzi interpretativi, si arriva a osservare che la «division – in socio-economic as well as spatial terms – between indigenous subalterns and a Greek élite is, perhaps, very broadly what we might expect in a Greek colonial
settlement as Aï Khanum» (p. 110, cfr. EAD., 2008, passim); da prospettive diverse, non sembrano aver superato l’immagine di una ‘contraddizione’ fra ‘greco’ e ‘non greco’ MAIRS,
2014 b (che peraltro procede sulla via corretta di considerare Aï Khanum come «a living working community rather than an abstract collection of diverse architectural traits», p. 4, e giunge a definire una «Hellenistic-Bactrian cultural koinē», costruita in un processo di «middle
ground», p. 187) e ROUGEMONT, 2014 (ancora con inclinazione al lessico del «puro», per quel
che riguarda il linguaggio dell’epigrafia in greco dell’Asia centrale, e al confronto tra le comunità coloniali ellenistiche – «comme des îles dispersées de loin en loin au milieu des populations iraniennes», 30 – e quelle in Africa e Asia dei secoli XIX e XX). Per un richiamo
alla cautela nell’uso del lessico della «colonizzazione» vd. anche CAPDETREY, 2012, 320.
16
Per il superamento del modello tradizionale d’impronta colonialista nelle riflessioni recenti sul mondo mediterraneo e le sue «diaspore», vd. MARTINEZ-SÈVE, 2012 b, 13 (quanto
all’Oriente, non è un caso che nell’ambito della stessa raccolta di studi L. Capdetrey ricorra
all’idea delle «diasporas organisées», CAPDETREY, 2012, 326); il suggerimento di definizione
geografica nel testo riprende l’«Hellenistic (Far) East» – HFE – di R. Mairs (MAIRS, 2011 a,
9, in ultimo MAIRS, 2014 b; cfr. SCHMITT, 1990 e CHANDRASEKARAN, 2011; le sottolineature
nell’espressione nel testo sono di chi scrive); per «Estremo oriente greco» come espressione
«hellénocentrique et imprécise, mais utilment évocatrice» vd. ROUGEMONT, 2014, 28. Si noterà che il riferimento all’«estremo» in Diod., XVIII, 7, 1, a proposito della ribellione degli
Hellenes di Battriana e Sogdiana alla morte di Alessandro, era ta‹j ™scatia‹j tÁj basile…aj. Una riflessione richiederebbero anche le qualifiche di «Greco-Battriani» e di «IndoGreci»: cfr. HALKIAS, 2014, 70, nt. 12.
17
Sugli heroa dei fondatori all’interno delle poleis vd. da ultimo FRÖHLICH, 2013 (per Aï
Khanum, 245-247). Il monumento in questione (la cui natura non è più da dimostrare, pace
NARAIN, 1987 b, 277) conobbe tre fasi strutturali: nella prima, risalente alla fondazione al
tempo di Antioco, esso conteneva un sarcofago ipogeo con dispositivo per libazione; nella
seconda si aggiunse un’altra sepoltura e, nella terza, due ulteriori, senza possibilità di cerimonia (sul monumento, vd. BERNARD, 2009, 48, nt. 42, ID., 2013 a, XIV, nt. 14, ID., 2013 b, 145147, MAIRS, 2014 b, 73-74, MAIRS, 2014 a, 111 sgg., MARTINEZ-SÈVE, 2014, 274; per la ragionevole ipotesi che le sepolture seguenti riguardassero dei discendenti di Kineas, vd.
MAIRS, 2006, 120 e FRÖHLICH, 2013, 246; non esclude l’appartenenza a «a series of magistrates or high officials» MAIRS, 2014 b, 74; sui caratteri strutturali dei temene dell’area pala-
102 «GRECITÀ» DI FRONTIERA
Il carattere di temenos della costruzione e il suo significato simbolico di
luogo di memoria e di tradizione culturale, legati al nome di un personaggio
di nome Kinšaj, ci sono consegnati dalla testimonanza epigrafica di tipo
‘pubblico’ più evidente del sito18. Si trattava di una stele su base parallelepipeda, per un’altezza complessiva superiore a 1 m, collocata nel pronao della
costruzione e iscritta sulla fronte di tutte le sue componenti19. L’incisione di
ca. centocinquanta massime di comportamento ricorrenti nel mondo di cultura greca in tre colonne sulla stele – la più a destra delle quali debordava sulla
base con la serie autonoma delle regole per le quattro età della vita e per il
momento della morte – era giustificata e spiegata in un sofisticato epigramma riportato sulla sinistra nella fronte della base: «Queste parole sapienti di
uomini di un tempo passato, detti di uomini illustri, sono consacrate nella
santissima Pythó, donde (le portò) Clearco, dopo averle trascritte con cura, e
le eresse nel santuario di Kineas, brillanti (di) lontano»20. Quale che fosse
ziale vd. CANEPA, 2010, 8 e infra). La ricostruzione in 3D (vd. supra, 98, nt. 10) evidenzia le
caratteristiche architettoniche locali del manufatto, su podio a tre gradini, in antis e con tetto
senza spioventi, ancora oggetto di descrizioni di confronto fra tradizioni culturali (cfr. ad es.
HANNESTAD, 2013, 108-110, «the elements from Greek culture are stronger»…«a Greek type
of sanctuary, but tecnically mainly in the local building tradition»). Con la fine della città regale l’area venne ridotta ad uso domestico e artigianale.
18
Non s’intende qui dilungarsi sul problema dell’identità del personaggio cui venne attribuito il ruolo di ecista meritevole di onori cultuali, dopo che ebbe assolto «à l’injunction de son
souverain» (BERNARD, 1967, 318; cfr. MARTINEZ-SÈVE, 2014, 274); preme tuttavia rilevare che
sembra difficile non riconoscergli il ruolo indicato dal heroon e l’origine tessalica ricostruita e
ravvisata come verisimile da L. Robert (1968, 431-438, «sans doute un officier thessalien de
Seleucos», il corsivo è mio; per dubbi, vd. NARAIN, 1987 a, 277, il quale non escludeva che Kineas appartenesse alla categoria dei «greco-battriani» o «greco-irani», «in the wider sense, whose ancestors from various Greek cities and nations vanquished by the Achaemenids, had been
settled in the region»; un richiamo alla cautela è in MAIRS, 2015, 8-11). Vd. anche infra.
19
Del monumento sono pervenuti la base (a. m 0,28, l. 0,65, sp. 0,46) e un esiguo frammento angolare inferiore sinistro del fusto; l’altezza complessiva è calcolata sulle proporzioni
dell’insieme e sul testo ricostruito per il corpo della stele, in un importante saggio di metodo
di L. Robert (ROBERT, 1968, spec. 429-431, cfr. IGIAC, p. 202: altezza del corpo ca. m 0,80,
larghezza, 0,40-0,60; non è possibile sapere se la stele presentasse un frontone, o se il coronamento fosse rettilineo; possibile – «sans doute» – è la presenza di un ‘titolo’ al testo). Eccellente riproduzione di base e frammento è in BERNARD, 2007, 120. Il manufatto fu reimpiegato nella struttura durante la trasformazione tarda dell’area, con la faccia iscritta rivolta verso
il muro (vd. BERNARD, 2013 a, 146; Bernard ad HOFFMANN, 2016, pp. 229-230).
20
IGIAC, 97a: 'Andrîn toi sof¦ taàta palaiotšrwn ¢n£kei[t]a?i | ·»mata
¢rignètwn Puqo‹ ™n ºgaqšai: | œnqen taàt[a] Klšarcoj ™pifradšwj ¢nagr£yaj |
e†sato thlaugÁ Kinšou ™n temšnei (cfr., con la tradizionale lettura ¢n£kei[ta]i in l. 1 fin.,
GUARDUCCI 1987, 271 [1975, 80], IEO, 382, Steinepigramme, III.6, 12/01/01, JdE, 103A; a
differenza di quel che lascia intendere MARTINEZ-SÈVE, 2014, 274, la dedica era quella del
santuario di Delfi, non quella di Aï Khanum); per la sequenza delle massime sulla stele, sulla
base dei riscontri epigrafici e letterari suggeriti da Robert, vd. IEO, 383 (in JdE, 103B non
figura il fatto dell’integrazione); per il frammento di testo sulla stele su cui si è imperniata la
‘GRECITÀ’ LONTANA AD AÏ KHANUM
103
l’identità del personaggio che nell’arco dei primi decenni della vita della
fondazione aveva portato nella città lontana la sequenza più accreditata dei
detti di sapienza attribuiti ai Sette saggi – quella dedicata nel santuario ellenico di riferimento per la grecità migrante – e quali che ne fossero stati il
movente personale e il rapporto con la sequenza di fasi edilizie del heroon,
appare evidente l’intento dichiarativo dell’operazione, che collegava il luogo
d’onore cultuale dell’ecista con l’esibizione propagandistica (thlaugÁ`) di
una catena di valori che fondavano la vita di relazione sociale nel mondo di
cultura greca e che dovevano permanere nel corso delle ristrutturazioni del
mausoleo21. Resta tuttavia da dimostrare che l’iniziativa – legata a un persoricostruzione, vd. IGIAC, 97c (e[ÙlÒgei p£ntaj] | filÒso?f[oj g…nou]; si condivide qui
l’ipotesi dell’editore che il segno visibile sulla pietra in corrispondenza della linea soprastante
la prima massima conservata non sia la traccia di una lettera, che indicherebbe una variazione
nella sequenza tràdita da Stobeo, come ipotizza IEO 384); per le cinque regole finali, vd.
IGIAC, 97b: Pa‹j ín kÒsmioj g…nou, | ¹bîn ™gkrat»j, | mšsoj d…kaioj, | presbÚthj
eÜbouloj, | teleutîn ¥lupoj (a differenza di Robert, non si ritiene qui del tutto sicuro che
l’incisione sulla base fosse il mero risultato di un errore di calcolo sulla disposizione
dell’insieme delle massime; per la serie finale come «sentenza ‛atipica’ articolata in cinque
parti» vd. DORANDI, 2014 b, 67, nt. 22). Come sostenuto da L. Robert, non c’è ragione di attribuire a momenti diversi di redazione e incisione l’epigramma, che ha grafia «rappelant les
manuscrits» e la serie dei precetti, incisi in stile «plus monumental» (cfr. ROBERT, 1968, 429
e, per la data del manufatto, la nota seguente). Si ricorderà che la serie originaria di Delfi non
è stata rinvenuta (per ipotesi di ricostruzione e di localizzazione del supporto vd. ancora
ROBERT, 1968, 438-441, spec. 440, «sur un pilier ou stèle…fixé sur une base…devant le temple ou dans le pronaos»); per la ricostruzione di un parallelo epigrafico nella stele del ginnasio
di Miletoupolis in Misia SIG3 1268, con una serie più lunga di quanto generalmente inteso,
vd. BERNARD, 2002, 103-104.
21
Trovando inoltre chi possedeva la tecnica epigrafica di tipo greco (per il rilievo, vd. già
ROBERT, 1968, 455). Il problema dell’identità del Clearco in questione si connette naturalmente con quello della cronologia del trasferimento e dell’incisione dei precetti e con quello
del rapporto dell’insieme simbolico con la vita del monumento. L’idea originaria di Robert
che il personaggio fosse il filosofo di Soli allievo di Aristotele giunto nel lontano Oriente ai
primi del III secolo (sostenuta con un rigore argomentativo ingenerosamente tacciato di «ardent imagination» in NARAIN, 1987 b, 279) deve essere rapportata alla cronologia del temenos
e valutata sullo sfondo della relazione con il mondo d’origine delle diverse generazioni dei
coloni greci e della possibilità che l’iniziativa della ripresa fosse invece partita dalla città battriana, qualche decennio dopo la fondazione e a heroon già costruito. In questa prospettiva,
anch’essa fondata su una serie d’incertezze (a cominciare dall’aleatorietà di una datazione su
base paleografica), appare condivisibile una certa cautela (cfr. ad es. MAIRS, 2013 b, 106 e
2014 b, 74, di contro a una obiezione più decisa in MAIRS, 2014 a); peraltro la critica radicale
dell’interpretazione a lungo communis opinio da parte di LERNER, 2003-2004, che sulla base
di una revisione della cronologia della ceramica (ora contestata da LYONNET, 2013 a, 182)
abbassava la data dell’iscrizione a fine III-inizi II secolo, non teneva conto del contesto storico complessivo della vicenda della fondazione (cfr. FRÖHLICH, 2013, 246; vd. anche
BERNARD, 2013 b, XIII-XIV – con il ritorno al periodo fine IV-primo quarto del III secolo,
ma senza concludere per l’identificazione col filosofo –, 2013 b, 146, più incline ad accettarla,
ad HOFFMANN 2016, p. 231, con qualche dubbio; KOSMIN, 2014, 347, nt. 84, convinto del «fi-
104 «GRECITÀ» DI FRONTIERA
naggio che aveva evidentemente ottenuto l’assenso dell’amministrazione
centrale della città – volesse essere una dichiarazione di grecità esclusiva ed
escludente e che l’esposizione «voulait être une incitation pour les colons à
maintenir les traditions de la paideia grecque, garante de l’avenir de la colonie dans sa fidelité à l’hellénisme»22.
Il monumento si trovava nel sistema delle costruzioni che faceva capo
al ‘palazzo’-residenza reale e alle sue evoluzioni urbanistiche e architettoniche, e che comprendeva il tempio principale e un altro mausoleo23. È a
tale contesto e alle sue logiche di costruzione di una particolare e rinnovata
ne piece of detective work» di Robert; PLISCHKE, 2014, 47-48, che non esclude l’identificazione;
MARTINEZ-SÈVE, 2015, 32, nt. 80, con qualche dubbio; per una serie di sensati interrogativi sul
contesto storico del centro tra fine IV e inizi III vd. TSITSIRIDIS, 2013, 1 sgg., con DORANDI,
2014 a e, per ragioni convincenti di contesto culturale, DORANDI, 2014 b, 67-68); per una sintesi
della discussione, vd. IGIAC, (pp.) 202-208 (con il ritorno al momento del IV-III secolo e il riconoscimento di Clearco come «intellectuel aventureux») e COHEN, 2013, 229-230 (al cui repertorio si aggiungerà KYRIAKIDIS, 2012, 90, certo dell’identificazione); a favore
dell’identificazione, in conseguenza dell’interpretazione del papiro filosofico, è HOFFMANN,
2016, 220-228 («selon la méthode du faisceau d’indices»). L’insieme delle premesse indicate
non consente di rintracciare un rapporto diretto del contesto delfico ricostruito nel heroon con
quello tradizionale del centro oracolare della colonizzazione (né un tentativo dei Greci di Aï
Khanum della metà del III secolo di elaborare, con quell’operazione, un «mito di fondazione» di
tipo ‘arcaico’ attraverso un viaggio di consultazione dell’oracolo «by proxy», come proposto con
qualche contraddizione da MAIRS, 2014 a, 116, sull’eco di BERNARD, 1967, 318 – il quale vedeva «Delphes continuer de tenir dans cette seconde vague de colonisation liberée par la conquête
d’Alexandre ce rôle de patronne et d’inspiratrice des pionniers grecs qui avait été le sien à
l’époque archaïque» – e di ROBERT, 1968, 442, con prospettive d’interpretazione più ampie, per
quanto formulate con qualche contraddizione). Vd. anche nota seguente.
22
La citazione è da BERNARD, 2002 b, 78 (l’evidenza nel testo è di chi scrive); cfr. BERNARD,
2009, 49: «manifestation éclatante de la volonté d’enracinement des colons dans leur patrimoine
ancéstral» (già BERNARD, 2007, 39); egualmente formulate per estremi sono le note di
ROUGEMONT, 2014, sull’«ellenismo perfetto» (di lingua e di stile) delle iscrizioni in greco delle aree
asiatiche, il quale sarebbe stato per una comunità di Greci lontani, ma disposti ad ammettere degli
Irani e degli Indi «ellenizzati», lo strumento per «prouver (se prouver à elle même?) que ces «naturalisations» n’altéraient pas son identité grecque et les individus «naturalisés» devaient se montrer
parfaitement assimilés» (salvo poi riconoscere la complessità di quell’identità culturale; la citazione
da 30-31). Non dimostrabile, ma sensibile al problema del rapporto dell’operazione di Clearco con
il contesto politico, è l’ipotesi cautamente presentata in JdE, 14-15 che il personaggio (identificato
col filosofo) fosse giunto in Oriente «nicht als Privatmann» e «nicht allein, sondern in einer größeren oder kleineren Gruppe» e che avesse eretto la stele «im Auftrag Alexanders oder eines der Diadochen…z.B. des Seleukos» (nel contesto dell’esigenza dei primi coloni locali di mantenere
l’agoge rimpianta: l’epigrafe è datata «um 300 v.Chr.»). Per una presentazione sintetica della stele
iscritta vd. BOFFO 2017 (con ulteriore bibliografia).
23
Per il senso del complesso nel contesto dell’organizzazione degli spazi pubblici di Aï
Khanum e per il ruolo del temenos di Kineas in esso, vd. MAIRS, 2006, 120-121, CANEPA,
2010, 8 (che rileva il confronto con il Nikatoreion di Seleucia Pieria), MAIRS, 2014 b, 68 sgg.
(«a single supercomplex»). La collocazione della sepoltura «sur l’agora» da parte di ROBERT,
1968, 432 era un’inferenza da BERNARD, 1967, 318, dove si parlava di «coeur de la cité». Per
il tempio principale e il secondo mausoleo vd. infra, 119-121 e 105-106.
‘GRECITÀ’ LONTANA AD AÏ KHANUM
105
identità civico-regale che occorre ricondurre l’epigrafe, codice di una dottrina la cui dichiarazione d’origine serviva insieme da memoria consapevole di un carattere culturale e da sostegno a un «brillare» anche verso altre
tradizioni, cui proporre per modello ed eventuale condivisione un «breviario dell’ellenismo battriano» e non opporre un’identità di gruppo ‘greco
(più) occidentale’ chiuso in un’impossibile difensiva (a meno di non voler
limitare la circolazione all’interno dell’area alla sola componente di etnia
greca, ritenuta detenere eo ipso le funzioni dell’élite di governo, o voler riservare ad essa soltanto il messaggio evidenziato)24. In questa prospettiva
viene anche meno la ragione di rilevare la ‘contraddizione’ tra
l’affermazione dei valori delfici e la struttura dell’edificio, sviluppata nelle
diverse fasi con elementi che non sono naturalmente identificabili come
‘greci’ (e che non andrebbero ricercati come tali)25. Infine, il significato del
monumento nel corso della storia di Aï Khanum andrebbe valutato anche
nel confronto con il secondo mausoleo a tempio con cripta per più sepolture, una delle costruzioni più importanti della città, eretta verisimilmente
alla fine del III secolo (se non ai primi del II) a ca. 140 m a nord-est del he-
24
L’espressione nel testo è da BERNARD, 1967, 318 (peraltro nel contesto della contrapposizione tra il gruppo etnico greco e l’«environnement étranger, face au monde toujour menaçant des
nomades qui finiront un jour pour avoir raison d’elle [la città]»); l’evidenza nel testo è ancora di chi
scrive. Prima che ai rapporti con i valori della morale buddista propagandata anche in greco da
Aśoka (per il principio dell’egkrateia vd. già ROBERT, 1968, 424, lo stesso BERNARD, 2002b, 7677, HALKIAS, 2014, pp. 75-78, 90) occorrerà pensare a quelli praticati localmente, nei rapporti con
l’elemento iranico e quello locale, nelle diverse forme della convivenza e della condivisione delle
pratiche di gestione dell’amministrazione e del territorio. Una considerazione sensata è in Nouveau
Choix, 185, ad nr. 37 (le sole iscrizioni sulla base): «ce n’était pas…affirmer une superiorité ethnique…c’était bien davantage proclamer l’universalité d’une culture» (tuttavia corredato dalla qualifica delle scoperte archeologiche d’Afghanistan come di «créations pures de l’hellénisme au milieu
des immenses terres de la “barbarie”»). E anche chi ha sostenuto la forza del rapporto con Delfi,
nell’una o nell’altra direzione, ha dovuto riconoscere che il legame non si è mantenuto nei termini
della relazione diretta e costante: vd. ad es. KYRIAKIDIS, 2012, 90 (dopo l’esperienza di Clearco, per
lo studioso il filosofo, «à notre connaissance, nul mouvement n’est venu entretenir la route ainsi
tracée») e MAIRS, 2014 a (il mito di fondazione ricostruito attraverso la consultazione dell’oracolo
«held the imagination of its creators for only a limited time», p. 122, anche perché la «later ‘Greek’
generation» che avrebbe promosso l’operazione era ormai «the product of extensive intermarriage
with local populations», p. 107; ciò in contraddizione con il rilievo in MAIRS 2006, 121 che la visibilità del temenos, in qualche misura obbligata nel percorso interno dell’area, era intesa dichiarare
«where the power lay – in the hands of the Greeks»). Non sembra qui condivisibile l’idea di
KOSMIN, 2014, 237-238 che l’operazione fosse «emphatically non-Seleucid», sul presupposto che
Aï Khanum potesse esprimere un’«identità civica» distinta dal contesto reale. Quanto alle ipotizzate riserve di accesso nell’area del palazzo, vd. infra, 113, nt. 44.
25
Per una descrizione dell’edificio, nelle sue diverse fasi, vd. in ultimo BERNARD, 2013 a,
145-147 e supra, 101-102, nt. 17.
106 «GRECITÀ» DI FRONTIERA
roon26. Destinato alla famiglia di un personaggio evidentemente riconosciuto
come altrettanto significativo per (ed entro) la città, se non proprio «nuovo fondatore» di rango o contesto regale, esso richiede altrettanta attenzione ai fini della
valutazione del locale sistema delle memorie, nonostante il suo anonimato27.
L’espressione tipica della ‘grecità’, il ginnasio, trovò relativamente presto la sua costituzione ad Aï Khanum, arrivando a configurarsi nel suo assetto finale, peraltro incompiuto, come uno dei più grandi a noi noti nel
mondo antico28. Ancora una volta, elementi riconducibili all’ambito della
cultura ‘greca’ e componenti specifiche locali trovano congiunzione in un
istituto in cui aspetti della vita e dell’educazione à la grecque trovavano
valore e condivisione (qualunque cosa ciò significasse consapevolmente
per i diversi interlocutori)29.
L’epigrafia lapidea del luogo è limitata a un blocco di calcare con dedica
agli dei del ginnasio Hermes ed Eracle da parte di Triballo e Stratone, figli di
26
L’edificio – herôon/mausolée au caveau de pierre – con due fasi edilizie e ampio uso
della pietra, si trovava oltre il percorso di accesso al complesso palaziale: cfr. FRANCFORT,
LIGER, 1976, 25-39.
27
Il riferimento del testo è a un’osservazione di BERNARD, 2007, 39: il secondo mausoleo «non
ha per noi, non fosse altro che per via del suo anonimato, la stessa carica emotiva» (i corsivi sono di
chi scrive). Per la valorizzazione della struttura, vd. CANEPA, 2010, 8 (i due temene sarebbero «reminiscent of the Seleucid adaptation of Persian palatial design» e il secondo sarebbe destinato alla
«new royal family»), FRÖHLICH, 2013, 246-247 (con l’ipotesi che il titolare fosse o un «nuovo fondatore» o un re greco-battriano), MAIRS, 2014 a, 112 («the tomb of a powerful local dynasty,
perhaps the family of a governor»), MAIRS, 2014 b, 74-75 («a ruling family…whether this be royal
or a lineage of governors or “big men”»). Per una «grosse butte isolée» vicino al ginnasio, non potuta indagare, e per l’ipotesi che essa celi «un monument funéraire de bienfaiteur surélevé sur une
terrasse à l’image de celui de l’heroon de Kinéas» vd. BERNARD, 2009, 49, 55.
28
Oggetto di almeno due fasi edilizie (ante 175 e durante il regno di Eucratide I), esso arrivò a
misurare m 388,5 x 99,9, «visiblement surdimensioné par rapport aux besoins de la population
strictement urbaine» (BERNARD, in ROUGEMONT, 2014, 23, nt. 68); sulla struttura, che sostituiva i
portici con i corridoi periferici tipici dell’architettura locale, vd. VEUVE, 1987, con BERNARD, 2009,
43-44 e nt. 32, MARTINEZ-SÈVE, 2014, 278, MAIRS, 2014 b, 67, 92-93 e quanto segue.
29
La struttura si ‘adattò’ al contesto: cfr. ad es. RAPIN, 1990, 338 («The plan recalls both Greek
and Graeco-Bactrian traditions»), BERNARD, 2007, 36-37 (differenze «rispetto ai modelli greci»),
ID., in ROUGEMONT, 2014, 33-34 («des innovations ou des déviances se glissent dans l’imitation du
modèle grec»; le stesse considerazioni si estendono al teatro, su cui infra); nel rilevare i “different
building tradition and material» della costruzione, HANNESTAD, 2013, 110 sottolinea «the apparent
lack of a loutron» (peraltro ricercato nella fontana fuori le mura da LERICHE, THORAVAL, 1979,
182-184, 205; cfr., per i rapporti tra il ginnasio e le strutture idriche della città nelle diverse fasi di
costruzione, MAIRS, 2014 b, 95-97). Nei locali d’insegnamento sul lato N del ginnasio si sono rinvenute due meridiane, una emisferica (BERNARD, 2007, 121, nr. 31) e una polare cilindrica (ibid.,
123, nr. 33; dato il suo carattere all’apparenza di strumento dimostrativo, correttamente lo studioso
non ne escludeva il riferimento all’astronomia indiana; cfr. ancora VEUVE, 1982, 47-51, il quale
peraltro vedeva nel manufatto una prova della trasmissione delle conoscenze alessandrine
all’Oriente indiano; per gli aspetti tecnici, vd. SAVOIE, 2007). Vd. anche quanto segue.
‘GRECITÀ’ LONTANA AD AÏ KHANUM
107
Stratone (TriballÕj | kaˆ Str£twn | Str£twnoj | `ErmÁi, `Hrakle‹), rinvenuta in associazione con un pilastro ermaico che raffigura un personaggio
barbuto, in una posizione d’evidenza al centro dell’esedra principale del cortile30. Il fatto che i dedicanti fossero greci dall’onomastica all’apparenza risalente al gruppo insediativo dei primi coloni militari non autorizza ad altra
considerazione che il permanere della trasmissione dei nomi di famiglia in
quella componente dei frequentatori della struttura che più di altre (ancora)
trovava l’impulso a lasciare attestazione epigrafica di sé31. Che il ginnasio,
come luogo di espressione della lealtà nei confronti dell’autorità regale e
centro di aggregazione degli appartenenti all’élite del luogo, ospitasse anche
giovani di etnia non greca che volessero entrare nel sistema politico-militare
di tipo ellenistico appare facile dedurre; la possibile condivisione del greco
come lingua di relazione e d’apprendimento non portava peraltro (in apparenza) all’acquisizione dell’aspetto tipicamente greco dell’esposizione epigrafica32. E forse non del tutto casuale è il fatto che il luogo abbia conse30
La base misura m 0,80 di altezza, 0,48 di larghezza, 0,43 di spessore; per l’iscrizione,
vd. IGIAC, 98 (IEO, 381, JdE, 102); per l’erma (complessivamente alta m 0,77 e forse inserita in una base intermedia), appartenente al tipo del Mantelherme, vd. BERNARD, 2007, 122123, nr. 32 (con l’asserzione del suo senso come «un marchio di ellenismo impresso sulla
cultura dei coloni»). Vd. anche quanto segue.
31
Per la giusta cautela circa i tentativi d’identificazione del personaggio barbuto e del
ruolo dei due fratelli in rapporto all’attività edilizia, o alla gestione del ginnasio, vd. IGIAC,
pp. 210-211; la questione si collega naturalmente con quella della data dell’epigrafe, ancora
una volta subordinata all’analisi condotta da L. Robert sul contesto storico rintracciabile in
base all’onomastica di famiglia e alla paleografia della scritta (ROBERT, 1968, 417-421): se il
rapporto originario di un membro della famiglia con il popolo tracio dei Triballi appare difficilmente confutabile, più incerta è la datazione intorno alla metà del III secolo proposta da
Robert, collegandosi il manufatto alla seconda fase edilizia del ginnasio; il drastico abbassamento della dedica alla metà del II secolo e agli ultimissimi anni di vita di Aï Khanum proposto da Bernard (in VEUVE, 1987, 111) deve forse essere temperato: vd. IGIAC, p. 210 (inizi II
secolo, senza escludere la seconda metà del III; per il secondo quarto del II secolo vd.
BERNARD, 2007, 123).
32
Su significato e ruolo del ginnasio nelle città ellenistiche e nei diversi contesti (del
mondo mediterraneo) vd. GAUTHIER, 1995 e, per l’istituto di compromesso con un’élite locale, GROß-ALBENHAUSEN, 2004 (per Aï Khanum cfr. 320-321); sulla frequentazione del ginnasio da parte dell’aristocrazia di Aï Khanum vd. ad es. BERNARD, 2011, 97 (così che essa
«could absorb the best that Greek culture had to offer»). Il ‘problema’ della apparente unicità
dell’epigrafe dei figli di Stratone nella struttura è rilevato in IGIAC, p. 211: la ragione cautamente proposta che ciò dipendesse dalla brevità della durata della seconda fase edilizia della
struttura dipende a sua volta da inferenze circa la cronologia di quello stadio (e si contraddice
con l’ipotesi di datazione dell’epigrafe presentata a p. 210). Per le ipotesi di correlazione del
personaggio barbuto con Stratone padre e per una sua funzione di ginnasiarco o pedotriba
avanzate da Veuve e da Bernard, in aggiunta all’ipotesi di un intervento determinante della
famiglia nella ristrutturazione dell’edificio, vd. la sintesi in IGIAC, p. 211, nt. 757; benché
inserita in un insieme di considerazioni non verificabili (un rapporto con uno Straton
dell’amministrazione reale dell’ultima fase e/o con la famiglia che produsse l’omonimo re
108 «GRECITÀ» DI FRONTIERA
gnato solo tre graffiti in greco su vaso, la cui frammentarietà inibisce conclusioni circa la loro natura e riferimento33.
Il contesto allargato di fruizione di forme culturali (in senso lato) importate è dimostrato dal teatro, l’esempio più orientale sinora noto e con una capienza ora calcolata di tre-quattromila persone34. Se è vero che il luogo doveva assolvere alla sua funzione primaria di ospitare performances in greco,
ancora diffuse e praticate nei contesti ellenistici anche privi di una tradizione
propriamente civica, una costruzione così sovradimensionata poteva assolvere anche a funzioni di tipo politico-rappresentativo35. E se è lecito pensare
greco-indiano, 130-95 a.C.) merita rilievo la nota di NARAIN, 1987 a, 280 che «we have no
alternative but to accept them as part of the Bactrian-Greek melting-pot, where names and
identities of diverse nations had already mixed up». In questa prospettiva non appare particolarmente significativo l’argomento ‘etnico’ dell’alto numero di stoviglie di scisto rinvenuto
nella struttura, «éléments locaux dans un contexte monumental des plus grecs» (FRANCFORT,
2013 b, spec. 81-85, con qualche contraddizione; mutatis mutandis, per la necessità di metodo
di «disetnicizzare» gli oggetti della vita quotidiana nelle aree d’interferenza, vd. MÜLLER,
2010, 191 sgg.; sugli aspetti dell’arte locale vd. infra). Vd. anche infra, 117 con nt. 55.
33
Vd. IGIAC, 143 ([---]a…ou, ragionevolmente ipotizzato come un antroponimo, per il
quale «Il n’y a aucune raison ni d’exclure, ni de privilégier l’éventualité d’un nom iranien ou
indien «habillé» ou, du moins, décliné à la grecque»); 144 (ANA[---]); 145 (Q v. ERI v. GOI?).
Ad un «culte local lié aux activités sportives» di Eracle associano BOPEARACHCHI, FENET, 2003,
116-117 le tre statuette bronzee di Eracle rinvenute ad Aï Khanum, una nel tempio principale
(BERNARD, 2007, 110, nr. 14, su base bronzea), una proveniente da collezione privata
(BOPEARACHCHI, FENET, 2003, 116-117, 123, nr. 89, su base in calcare), una senza indicazione
specifica (ibid., 116: «mise au jour…il y a cinq ans»), datate dagli studiosi al II secolo.
34
Sulla costruzione, non scavata e pubblicata integralmente, ma definita per il suo raggio
esterno di m 42 e per l’altezza di m 17, vd. BERNARD, 1976, 314-322 e ID., 1978, 429-441,
con le rettifiche a scalare nella valutazione della capienza in ID., 2012, 44 e in ROUGEMONT,
2014, 23, nt. 68; per l’idea di un afflusso «de toute la province dont Aï Khanoum constituait
la métropole orientale» vd. BERNARD, 2009, 45, con MAIRS, 2014 b, 92 (per l’ipotesi di «a
venue for periodic festivals»); cfr. MARTINEZ-SÈVE, 2012 d, 220 (con nota seguente).
35
Per la diffusione delle rappresentazioni teatrali greche nel mondo ellenistico e per il loro
rapporto con le diverse situazioni politiche e i valori tradizionalmente assegnati all’edizione
delle opere antiche e nuove, vd. LE GUEN, 1995; per il caso specifico di Aï Khanum vd.
HALKIAS, 2014, 68-69, con nt. 9 (le dimensioni attesterebbero la «popularity of Greek plays»
nell’Oriente; la presenza a Peshawar di un vaso di fattura locale con una scena dell’Antigone di
Sofocle non ne è comunque eo ipso prova: il rapporto, comunque da rilevare, potrebbe derivare
dal riferimento che nella tragedia si faceva al guadagno dell’'IndikÕn crusÒn, 1037-1039, come
segnala lo stesso HALKIAS, 2014, 87, nt. 73). Data la frammentarietà, la pergamena con un testo
in trimetri giambici conservata nel palazzo non consente un’identificazione certa con un’opera
teatrale: vd. IGIAC, 132, con p. 242 (redazione «fra secondo terzo del III e primo terzo del II
secolo»; per l’ipotesi di un riferimento alla figura di Dioniso vd. HOLLIS, 2011, 107-109); un
richiamo più esplicito al mondo del teatro greco era nel(l’inconsueto) doccione a forma di maschera comica appartenente alla già citata fontana esterna alle mura lungo il Darya-i Pandi, risalente alla prima metà del III secolo e inserita nella prima metà del II nell’ultimo rifacimento del
manufatto (cfr. BERNARD, 2007, 124, nr. 34: la raffigurazione dello schiavo cuoco della Commedia nuova darebbe la certezza che «il teatro di Aï Khanum sia risuonato delle facezie del cuo-
‘GRECITÀ’ LONTANA AD AÏ KHANUM
109
che in generale ad Aï Khanum esistessero istituzioni di tipo poleico, è anche
altamente condivisibile l’idea che esse rientrassero nel sistema amministrativo
regale e che i luoghi in cui esse potevano esplicarsi – come il teatro per le assemblee – fossero in realtà intesi esprimere la presenza e la potenza di chi aveva promosso le diverse operazioni edilizie36. Dato il contesto, tuttavia, appare
difficile condividere l’idea diffusa che nelle riunioni nella struttura, caratterizzata da tre logge coperte sotto il diazoma, venisse esibita la «superiorità» di
statuto della nuova élite (facilmente identificata con la parte greca) che non
avrebbe riconosciuto più «l’ideale democratico della città greca»37.
La dimensione insieme cittadina e regale ellenistica nell’Oriente lontano è
rappresentata ad Aï Khanum dal ‘palazzo’, la grande e articolata struttura che
occupava ampia zona della città bassa e che ne regolava l’organizzazione,
conservando nel tessuto urbano un orientamento proprio38. Ancora una volta,
co Sicone nel Dyscolos»; cfr., per i dubbi interpretativi, HOFFMANN, 2016, pp. 172-173). Insiste
sulla funzione civica del teatro MARTINEZ-SÈVE, 2012 d, 220-221, con nt. 45, impegnata a rilevare il carattere anche cittadino della vita di Aï Khanum (vd. del resto BERNARD, 2011, 90, con
l’asserzione che «the theater would serve as a meeting place for the citizens of the town and of
the whole province when they had to deliberate»).
36
Per il ‘presupposto’ che nella città battriana esistessero «istituzioni e costituzione greche che regolavano la vita politica cittadina il cui raggio d’azione era però fortemente limitato
dal controllo del sovrano» vd. COLORU, 2009, 266; per la raggiunta convinzione che la monumentalità delle diverse costruzioni pubbliche di Aï Khanum «From the standpoint of the
authorities, especially the kings,…was a demonstration of power and strenght», vd.
MARTINEZ-SÈVE, 2014, 276 (cfr. supra, 98-99, nt. 12); un’inferenza non verificabile è quel
che segue: «We can suppose that was important for the king to defend and promote those
practices most characteristic of Hellenism, as well as civic life and its values» (cfr.
MARTINEZ-SÈVE, 2012 d, 220-221); una posizione più sfumata è in PLISCHKE, 2014, 137-138.
Vd. anche supra, 98-99, nt. 12.
37
Così in BERNARD, 2003, 110 (cfr. ID. 2007, 37, «una regressione rispetto a quell’ideale
democratico che invece rimase caro ai cittadini greci del Mediterraneo», ripreso in LECUYOT,
2013 f, 197 e ID., in ROUGEMONT, 2014, 34; per Bernard, la frequentazione era dei «men of
power – the ruler, his court, and his high officials –», i quali «did not hesitate to demonstrate
publicly their rank», BERNARD, 2011, 90); se la messa in evidenza in questione è rapportabile
all’istituto della proedria, le considerazioni circa la mancanza di rapporto con la ‘democraticità’ diventano ancora più caduche; vd. ora MARTINEZ-SÈVE, 2014, 279: «unusual…but comparable examples can be found in the Hellenistic theaters of Pergamon and Priene. From this
position, it was easier to see the actors…on the top of the proskenion». Per sensati interrogativi circa il contesto di frequentazione e fruizione del teatro vd. HOLT, 2012 a, 187-188 (fra gli
altri: «Did Greek settlers come from many miles around to claim those seats, or could (some)
non-Greeks attend, or was the great theater all but empty at every performance?»). Vede infine nella distinzione operata con le logge «une influence orientale sur la société grecque locale» WIDEMANN, 2009, 424. Vd. anche la nota precedente.
38
Anch’esso oggetto di un processo costruttivo culminato all’epoca dell’ultimo re Eucratide, copriva un’area di m 350 (N-S) x 250 (E-O) e comprendeva un insieme di cortili ed edifici a specializzazione funzionale, introdotti da un cortile d’onore di m 137 x 108, i cui quattro
portici erano sorretti da centosedici colonne: sulla struttura, in attesa della pubblicazione defi-
110 «GRECITÀ» DI FRONTIERA
anziché ricercare la presenza (o riscontrare l’’assenza’) di aspetti edilizi ‘occidentali’ sembra più opportuno valutare la funzione di strutture progettate
dagli architetti reali per una residenza-polo amministrativo nel centro principale del distretto della Battriana orientale39.
È alla documentazione epigrafica del luogo che occorre rivolgersi per tentare di cogliere gli aspetti di relazione e comunicazione che facevano capo al
centro organizzativo della gestione del territorio e delle sue entrate. Si tratta di
documenti amministrativi e di documenti di cultura conservati nella ‘tesoreria’, ancora una volta in greco, ma, per i primi, con onomastica anche iranica40.
nitiva (cfr. LECUYOT, 2013 b, 5), vd. BERNARD, 1973, 17-83, BERNARD, 2009, 41-43,
MARTINEZ-SÈVE, 2012 d, 222-224, LECUYOT, 2013 f, 194-196 e Figg. 73. 3-4, 75, 76, la ricostruzione in 3D; ne evidenzia il carattere di separatezza dal contesto (secondo un “forbidden
city model”) KOSMIN, 2014, 224-225.
39
Elementi ‘orientali’ sono ravvisati nella pendenza unica e minima dei tetti, ‘greci’ nella
loro rifinitura sui bordi a tegole piatte e nella presenza di antefisse sulla linea di gronda: cfr.
BERNARD, 2007, 118-120, nrr. 25-28 (con l’idea della progressiva «degenerazione» di tipo
stilistico e tecnico delle antefisse a palmetta e con la constatazione che l’altro tipo di antefisse
usato per la facciata dei propilei d’ingresso del palazzo, quelle ‘alate’, «si allontana incontestabilmente dal buon gusto greco», 120; cfr. ID., 2011, 123, «its powerful assertiveness and
monumentality compensate for whatever it lacks in elegance and good taste»). Alla categoria
delle «Greek influences» ricorre ancora MARTINEZ-SÈVE, 2014, 278-281, per concludere peraltro che «these Greek influences should not be overestimated» e che in ogni modo «Ai Khanoum did not look strictly like a Greek city» (a proposito ad es. dei tetti e delle colonne, pure
dotate di capitelli di tipo ‘corinzio’ e ‘dorico’, secondo BERNARD, 2013 b, XVII «sigillo greco
(cachet grec)» a una struttura fondata sui modelli neobabilonese e achemenide – l’«Orient
conquis» di BERNARD, 2009, 41 – per mancanza di esempi ellenici); non sembra qui del tutto
condivisibile, nelle sue formulazioni, l’idea di KOPSACHEILI, 2011 di un uso di «elementi macedoni» ed «elementi orientali-achemenidi» da parte dei re seleucidi impegnati nella creazione dei palazzi, allo scopo consapevole di creare un «ibrido» funzionale alla legittimazione
della governance nelle diverse regioni dell’impero; per considerazioni diverse, vd. KNAUß,
MATTERN, 2013, 451: «Dass hierbei griechische Architekturordnungen verwendet wurden,
bedeutet wenig»). La struttura applica i caratteri edilizi generati dall’esperienza seleucide in
Oriente, attraverso il contemperamento di eredità e adattamenti dalle principali soluzioni praticate nell’antichità dalle organizzazioni politiche multietniche e generate dalla circolazione,
dagli scambi, dalla sedimentazione delle tradizioni culturali e artistiche ritenute nella progettazione di edifici regali nell’Oriente ellenistico: per un adeguato accento sulle funzioni di una
struttura articolata che doveva rispondere alle esigenze di amministrazione e rappresentanza
regionale dell’autorità di controllo vd. MAIRS, 2014 b, 68-81 (con orientamento a vedere una
declinazione tipica «greco-battriana» del modello insieme achemenide ed ellenistico). Sul sistema amministrativo prima seleucide e poi battriano vd. CAPDETREY, 2007, 317, 368 sgg. e,
per l’attestazione di una serie di responsabili della gestione delle finanze pubbliche (logeut»j, Ð ™pˆ tîn prosÒdwn), IGIAC, 92, la ricevuta su pergamena del pagamento di una
tassa da parte di un personaggio con patronimico iranico, della prima metà del II secolo, rinvenuta ca. 70-80 km a SO di Battra.
40
Sulla struttura incentrata su un cortile quadrato a O del cortile principale del palazzo,
identificata come il gazophylakion della Battriana orientale cui affluivano i beni tributari o
quelli di conquista, vd. RAPIN, 1992; cfr. MAIRS, 2014 b, 50-52. Per le iscrizioni vd. ora
IGIAC, 99-120 (le epigrafi «economiche»), 121-130 (testi «diversi»), 131-132 (testi «lettera-
‘GRECITÀ’ LONTANA AD AÏ KHANUM
111
Sulle spalle o sui coperchi dei vasi che contenevano materiali preziosi
(incenso, olio d’oliva) e diverse somme di denaro via via introitate, figuravano l’indicazione del contenuto e sovente, in composizione variabile, i nomi dei funzionari del tesoro con diverse responsabilità e le azioni amministrative compiute sul materiali contenuti, anche in sequenza. Esse avevano la
funzione di identificare i recipienti e di garantirne il deposito, in numero,
qualità, rispetto delle procedure di controllo plurimo41. Un esempio significativo, per formulario, onomastica, lingua è la sequenza su un recipiente destinato a raccogliere delle monete, indicativa di tre operazioni successive:
a. (In consegna) da Zenone sono state contate sotto la responsabilità di
Oxeboakes e Oxybazos 500 dracme; ha sigillato Oxeboakes.
b. (In consegna) da Timodemo sono state contate sotto la responsabilità di
Oxeboakes ed Ermaio monete di Taxila (?) [kasapana? - - -]; [ha sigillato
- - -].
c. (In consegna) da Filisco 10.000 (?) kasapana di Taxila (?), sotto la responsabilità di Ariande e Stra[- - - sono state contate? - - -]; [ha sigillato? - - - ]42.
ri»). I documenti amministrativi appartengono ad un’epoca di poco anteriore alla caduta della città,
quelli letterari appaiono aver avuto un’esistenza di molti decenni. Per una rassegna dell’onomastica
greca e non di Aï Khanum, vd. HOLT, 2012 a, 127-130 (rispettivamente, per quelli identificabili,
Callistene, Cosmo, Ermaio, Filisco, Ippia, Molosso, Nicerato, Stratone, Teofrasto, Timodemo, Triballo, Zenone e Ariandes, Oxeboakes, Oxubazos, Oubazos, Oumanes/Oumanos, Tarzus, Xatrannos); per quella dei nomi irani trascritti in greco nell’epigrafia dell’Asia centrale, con riferimento
etimologico, vd. IGIAC, pp. 307-309; per i nomi regionali battriani (come attestati in documenti
aramaici del IV secolo) vd. NAVEH, SHAKED, 2012, 58-59. Vd. anche infra.
41
Evidentemente a parte si tenevano i registri della contabilità e le verifiche del peso delle
diverse categorie di monete: cfr. BERNARD, 1978, 454, RAPIN, 1983, 358-359, PICARD, 1984,
679-680, HOLT, 2012 b, 169, MAIRS, 2014 b, 52. Per i vasi con semplice indicazione di contenuto (l’incenso) vd. IGIAC, 99 e 100 (Libanwtoà; a differenza dell’editore, non riteniamo
che il genitivo sia partitivo: si tratta del genitivo tematico proprio delle registrazioni
d’archivio, vd. già RAPIN, 1983, 345, «Encens»). Per altre «etichette» su vasi in diverso contesto vd. IGIAC, 146, 147 (su due alabastroi con cinnamomo – kinn(£mou) vel k…nn(amon) –
trovati nel heroon di Kineas), 148 (ancora un alabastros nel mausoleo, con scritta indecifrabile .RIE | …IKIA); per ulteriori graffiti, vd. IGIAC, 149 (su grande giara trovata nella residenza a S del tempio principale, con scritte su due linee MEL | ME MEL (entrambe con ME
in nesso) di ductus diverso e non facilmente identificabili: per i diversi tentativi vd. IGIAC,
254-255 – un’«etichetta» mšl(itoj) | mš(litoj) vel mšl(i) | mš(li) – e LECUYOT, 2013 e, 90,
con nt. 90, un esercizio di scrittura), 150.1 (rimando generale a graffiti di non oltre due lettere,
più o meno sicuramente in alfabeto greco, di provenienza dai Propilei, dall’acropoli, da
un’abitazione: cfr. il dettaglio in IEO, 366-367, 373-380).
42
Rispettivamente IGIAC, 101 (Par¦ Z»nwnoj | ºr…qmhn?tai vel ºr…qmhtai | di¦
'Oxhbo£kou | kaˆ 'Oxub£zou drc f': | ™sfr£gistai 'Oxhbo£khj), 102 (Par¦ Timo?d?»mou? |
ºr…qmhtai | d?i?¦? 'Oxhbo£kou | k?a?ˆ? `Erma…ou taxa?h?n¦ | [kasapana?---:] | [™sfr£gistai ---]),
103 (Par¦ Fil…skou | kasapana taxa?hn¦? vac. A | di¦ 'Aru£n?d?o?u? ka?ˆ? vac. M? | Stra[--
112 «GRECITÀ» DI FRONTIERA
Le pratiche corrispondono a quelle note del sistema seleucidico, fondate
su alcune costanti proprie sia nel mondo achemenide sia in quello greco ed
espresse nel linguaggio della comunicazione amministrativa impostata dalla
presenza dei re ellenistici e condivisa nella gestione e negli scambi lungo le
linee dell’Asia centrale43. In questa prospettiva, e considerata la natura delle
-] | [ºr…qmhtai?---:] | [™sfr£gistai?---]; le due lettere a destra delle ll. 2 e 3 sono ritenute
corrispondere al simbolo di M(Úrioi) sormontato dall’indicazione numerica dell’unità, un A).
Per la natura delle operazioni, evidentemente di carattere amministrativo, vd. IGIAC, pp. 213214 e HOLT, 2012 b, 168-169: ad ogni versamento la nota precedente era annullata da una linea curva a sinistra delle cinque linee di testo (per l’erasione del testo obsoleto vd. più sotto).
Testi analoghi sono IGIAC, 104 (assai lacunosa, anche negli antroponimi), 105 (consegna di
Filisco, assai lacunosa), 106 (con altri tre testi cancellati e versamento di monete nandena, per
rimessa di Straton e responsabilità di Molosso e Straton, ma con lacune che impediscono la
lettura completa di un testo diverso da quello formulare), 107-109 (assai lacunose), 110-111
(due versamenti nello stesso vaso), 115 e (forse) 116. Un’operazione differente attestava
IGIAC 114, seguente a due note forse di versamento quasi totalmente cancellate (IGIAC 112113); si trattava della verifica del corso legale delle monete immesse nell’ultima operazione:
Di¦ KÒsmou, dok…mou ¢r?[gur…ou, tot?]: | dedok…mastai di¦ Nikhr£[tou]: | ™sfr£gistai
aÙtÕj Nik»ratoj (per il senso dell’operazione vd. PICARD, 1984, 683-684 e HOLT, 2012 b,
169; per l’interpretazione del ruolo di Kosmos, vd. le incertezze e le ipotesi in IGIAC, p. 225,
nt. 797: un’interpretazione ragionevole sarebbe che egli fosse il responsabile dell’apertura del
recipiente, ai fini della verifica del suo contenuto). Quanto alle operazioni di versamento o travaso di olio d’oliva, vd. IGIAC, 117-118, sullo stesso vaso, 119-120, su di un altro (cfr. ad es. il nr.
117: ”Etouj kd/ [---] | ™la…ou ™la…no[u ---] | ¢podšhj a/ tÕ m?[etaggisqn] | ¢pÕ keram…wn
dÚ[o di¦ `Ipp…ou] | toà ¹mio[l]…ou k[aˆ ™sfr£gistai] | [------]; alla discussione sulla data iniziale, ibid., pp. 227-228, nt. 803, si aggiunga il non risolutivo MITTAG, 2013); il nr. 118, l’unica
altra «etichetta» con il primo rigo, presenta la formula della consegna Par¦ Fil…sk[ou ---] ecc.;
sui problemi d’interpretazione dei testi, vd. IGIAC, spec. p. 230). A categoria diversa – un
estratto di conto cumulativo – sembra appartenere il lacunoso IGIAC, 124, con onomastica
mista. Non classificabili per la loro lacunosità appaiono IGIAC, 125-130. Il fatto che i documenti siano collocabili nell’ultima fase del regno greco-battriano non preclude una valutazione più di lunga durata delle procedure: vd. anche nota seguente.
43
Per il richiamo all’amministrazione seleucidica vd. ad es. CAPDETREY, 2007, 317, 375376 e COLORU, 2009, 267-268; per la matrice delle pratiche amministrative in Aï Khanum vd.
RAPIN, 1992, 267-269: «La trésorerie d’Aï Khanoum constituait donc sans aucun doute une
synthèse de coutûmes financières grecques et de celles qui s’étaient imposées en Orient sous
les Achéménides»; vd. anche FRANCFORT, 2013 b, 82 e, per la giusta considerazione che il
greco fosse il «shared language of trade and administration across Central Asia», vd. anche
HALKIAS, 2014, 83; insiste sulla permanenza delle strutture amministrative dell’età achemenide MAIRS, 2014 b, 27-56, 60, 178-179. Per la cauta identificazione del personaggio che faceva
la consegna ufficiale del denaro con un gazophylax vd. in ultimo IGIAC, p. 213; con lo studioso si condivide l’idea che i personaggi citati fossero tutti interni all’amministrazione del
palazzo: per l’idea che il ‘versante’ fosse «a district collector» di tasse in denaro vd. APERGHIS,
2004, 178 e 278 (che almeno parte del denaro provenisse dal territorio di competenza è peraltro
idea del tutto condivisibile; vd. IGIAC, p. 217, nt. 782 e anche supra, 98, nt. 11); quanto alla
possibilità che l’Ippia responsabile del travaso di olio in IGIAC, 117 e 119 ricoprisse la funzione
di ¹miÒlioj, non sembrano esserci dubbi, benché resti la difficoltà di equiparare il funzionario di
Aï Khanum con l’omologo attestato altrimenti nell’amministrazione seleucide e attalide con
ruolo d’alto livello (per una serie di perplessità, a cominciare dalla singolarità della menzione
‘GRECITÀ’ LONTANA AD AÏ KHANUM
113
note sui contenitori, sembrano da condividere (e sottolineare) le perplessità
di recente manifestate contro la communis opinio che la gerarchia interna al
palazzo fosse basata sull’etnia e che il personale con nome iranico,
all’apparenza non coinvolto nella funzione della paradosis del denaro da riporre secondo le procedure di conto e verifica, fosse limitato a ruoli subalterni44. E che la situazione reciproca di Greci, Battriani, Indiani avesse elementi di complessità ben maggiori della dicotomia fra società «coloniale» e
società «subordinata» a livello della gestione può mostrare quella che è stata
definita la «progressiva corruzione» del greco nelle leggende monetali di
Battriana, a partire dalla guerra con Antioco III, in riferimento a condizioni
della carica rispetto alle altre etichette, vd. IGIAC, pp. 230-231; cfr. anche BERNARD, 2011,
110, ove correggi hemiolos in hemiolios). Si noterà infine che paleografia e stile scrittorio sono del tutto coerenti con quelli dell’Egitto lagide e della Mesopotamia seleucide: vd. già
RAPIN, 1983, 349-351, con (ad es.) BERNARD, 2011, 96.
44
LERNER, 2011 (benché occorra qualche precisazione sul senso amministrativo del di¦ +
gen., che implica un intervento indispensabile al perfezionamento dell’operazione da parte
dell’incaricato per ufficio; cfr. al riguardo IGIAC, p. 213); qualche dubbio figura anche in
IGIAC, p. 211, nt. 771 («avec vraisemblance, mais sans preuve formelle»; lo studioso non
collega la formula del par¦ + gen. alla procedura della paradosis, che non prevede necessariamente una differenza di ruolo rispetto ai responsabili delle altre operazioni; cfr., con la medesima incertezza, p. 168, nt. 585); vd. ora ROUGEMONT, 2014, 12, nt. 16 («apparemment sur
pied d’égalité») e, ancora con inclinazione a vedere nei portatori di nome iranico dei sottoposti, BERNARD, 2012, 45. Per una rassegna dei personaggi e delle loro funzioni vd. MAIRS,
2014 b, 47 sgg. (con i dubbi circa il significato etnico di nomi e funzioni a p. 52, cfr. p. 182).
Per una ricostruzione della gerarchia nell’amministrazione del palazzo sulla base delle «etichette», con l’elenco dei «Directeurs» con nome greco e dei subalterni con nome iranico, vd.
ancora COLORU, 2009, 269, BERNARD, 2011, 87, HOLT, 2012 a, 129 e 177 (con la ripartizione
fra «supervisors» e «subordinates»), COHEN, 2013, 226-227. A questa ricostruzione si unisce
la convinzione che i diversi vincoli d’accesso all’area amministrativa fossero collegati con la
funzione e l’etnia: per la giusta riserva al riguardo – anche se con qualche contraddizione, cfr.
supra, 100-101, nt. 15 – vd. MAIRS, 2013 b, 109 («we should be extremely careful in the ethnic character which we impute to them [scil. le vie d’accesso]», MAIRS, 2014 b, pp. 63-64); cfr.
anche HOLT, 2012 a, 193 («restricted access to certain areas based perhaps on social and ethnic
identities»; il corsivo di chi scrive). Per l’idea che gli «impiegati del palazzo» fossero soggetti a un
processo di «ellenizzazione» attraverso l’«insegnamento» vd. WIDEMANN, 2009, 426 e, per quella
che «le palais pouvait n’avoir été ouvert qu’à des Bactriens totalement hellénisés» (anche in rapporto alla scarsità di oggetti «locali» in scisto ivi rinvenuti) vd. FRANCFORT, 2013 b, 81-82 (ancora
con l’interpretazione gerarchica, 84-85, nt. 164); per il collegamento delle figure di Oxybazos e
Oxeboakes con le abitazioni «les mieux venues» fra quelle a N e a S del santuario principale, destinate a «des gens de condition modeste au regard de l’aristocratie coloniale» vd. LECUYOT, 2013 f,
201, peraltro con qualche cautela). Quale che ne fosse il senso, mette conto di ricordare un elenco –
frammentario – in greco di nomi greci e irani (in genitivo) riportato su un vaso della tesoreria,
all’apparenza insieme con un numero (IGIAC, 121, con le incertezze d’interpretazione di pp. 231232 con nt. 815); ad esso si aggiunga il frammento di vaso con nome iranico in greco IGIAC, 122
(lacunoso, forse in genitivo di possesso).
114 «GRECITÀ» DI FRONTIERA
di lavoro artigianale sempre più influenzato dal contesto45. Accanto a questo
circuito, del resto, ne esisteva all’apparenza prima della metà di II secolo ancora uno che usava l’aramaico (per quanto ‘iranizzato’) per le registrazioni
di nomi e razioni di cereale convogliate al tesoro46. E ancora una volta,
piuttosto che pensare a una «oriental current», occorre valutare i diversi livelli di funzione e fruizione delle lingue amministrative in contesti di coesistenza e d’interferenza di pratiche e di linguaggi amministrativi (al di là delle
percentuali numeriche di attestazione)47. Né ostava ad un sistema complesso
che coinvolgeva persone e personaggi di diversa etnia la presenza negli ultimi anni della medesima ‘tesoreria’ di documenti letterari risalenti fino a un
secolo prima, il già ricordato testo teatrale su pergamena e un dialogo filosofico sulla teoria delle idee platonica, su papiro48. Evidenti espressione
d’interesse per la cultura greca nelle sue manifestazioni più tipiche e prova
delle capacità di apprezzarne contenuti e valori, resta da dimostrare che essi
fossero conservati in una «vera e propria biblioteca greca d’alto livello» nel
palazzo, e per «una precisa e consapevole ricerca di identità culturale» da parte
degli abitanti (greci) di Aï Khanum, e non piuttosto, o prioritariamente, per il
desiderio della corte di procurarsi e conservare i documenti di riferimento di
una tradizione filosofica e teatrale autorevole che non era destinata ai soli
«dotti» (greci), ma che anzi all’epoca trovava senso nella trasmissione lungo le
45
Vd. HOLT, 2012 a, 164 sgg., che collega «a much more significant rate of minting error» con
«a state showing a far greater complexity…and a more pronounced but unequal interconnectivity
between Greeks, Bactrians, and Indians» (pur sempre con qualche contraddizione: vd. nt. precedente e infra, 115, nt. 50). Per una sintesi aggiornata delle opinioni circa la zecca di Aï Khanum,
che sarebbe subentrata a quella di Battra dal 285, vd. BERNARD, 2013 b, XII-XIII, nt. 10 (per una
posizione più articolata, vd. MARTINEZ-SÈVE, 2012 d, 216-218 e 2015, 28-30).
46
RAPIN, 1983, 347-348, nr. 28; ID., 1992, 105, nr. 28, un ostrakon ritrovato nel cortile
del tempio principale; cfr. HARMATTA, 1994, 390, 397 (con lettura diversa degli antroponimi
irani): si tratterebbe di razioni consegnate dai proprietari terrieri al tesoro reale. Meno probabile, benché all’apparenza giustificata dalla collocazione del documento nella stratigrafia del
santuario, sembra l’idea che l’ostrakon rientrasse in «a separate local temple administration…during the Greek palace administration» (come non escluso ad esempio da FRANCFORT
2012, 124, nt. 94, ancora con qualche implicazione interpretativa); per i problemi esegetici
connessi con il luogo di rinvenimento e il contenuto del documento vd. MAIRS, 2011 a, 42.
47
La citazione nel testo da RAPIN, 1990, 335; per la pratica di greco e aramaico presso i
tesorieri di Aï Khanum vd. HARMATTA, 1994, 397, 407-408; per l’idea di un uso «in un ambito molto più ristretto, forse in relazione con le attività della popolazione locale», vd.
COLORU, 2009, 269, il quale non si sottrae all’«impressione…di un ruolo piuttosto marginale
in cui la popolazione locale è intenzionalmente tenuta lontana dalle cariche di grado elevato e
sottoposta al controllo da parte della componente greco-macedone». Per il generale «multilinguismo» vd. ad es. MAIRS, 2011 a, 38 sgg.
48
Per il testo teatrale vd. supra, 108-109, nt. 35; per quello filosofico, anch’esso molto frammentario, talché non è possibile rintracciarne la genesi di scuola, vd. IGIAC, 131 e ora, diffusamente, HOFFMANN, 2016, 178 sgg., (182-183 per lo status quaestionis sulla data, variamente attribuita alla metà ca. del III sec. o a qualche decennio prima). Vd. anche nt. seguente.
‘GRECITÀ’ LONTANA AD AÏ KHANUM
115
vie dell’Asia centrale fino al mondo indiano e, al di fuori dei palazzi, nella esibizione nei luoghi d’incontro collettivo, comunque in grado di apprezzarne il
significato, se non la lettera del greco e le sottigliezze di contenuto49.
Con la prospettiva dell’identità sociale espressa dalla comunità di Aï Khanum attraverso le sue manifestazioni scritte si deve collegare quella che tiene
conto delle dinamiche culturali espresse dall’architettura e dalle diverse manifestazioni artistiche50. Ancora e sovente associate all’idea di un «classicismo» greco, più o meno ‘resistente’ o ‘contaminato’, o a quella delle commistioni di elementi pur sempre distinti tra «occidentali» e «orientali», esse richiedono invece
una lettura che ne colga la funzione in un contesto per genesi e struttura interetnico, inserito nelle linee e nei quadri culturali che avevano interessato in successione il mondo achemenide, quello di Alessandro e quello ellenistico51.
49
La prima citazione nel testo da IGIAC, p. 240, la seconda da CRISCI, 1996, 166 (condivisa da G. Rougemont, IGIAC, p. 240, ntt. 819 e 825). Circa le incertezze sul luogo di produzione del papiro, in ambito mediterraneo o locale, vd. ibid., con il giusto rilievo della circolazione dei testi e delle scritture nel mondo ellenistico (per quella delle persone, vd. ora
ROUGEMONT, 2014, 20, nt. 49, con qualche cautela sull’intensità variamente supposta in dottrina, suggerita da P.-L. Gatier); incline all’origine locale, quale copia di un modello «très
probablement du milieu athénien», portato in Battriana, è HOFFMANN, 2016, 182, 183, 203,
228. Per l’asserzione che i re di Battria «following the examples of the Hellenistic rulers, patrons of arts and letters,…had stocked their palace at Aï Khanum with a collection of literary
manuscripts» vd. BERNARD, 2011, 97. Per l’identificazione del locale in cui le tracce dei documenti letterari furono rinvenute come la biblioteca dei re, vd. in origine RAPIN, 1987, 259
sgg. («avec une certaine prudence», p. 260, peraltro temperata dall’idea che l’acquisizione
servisse alla «politique d’hellénisation des provinces les plus reculées»; cfr. ID., 1992, 124
sgg.). Per una rassegna delle biblioteche nel mondo greco antico vd. da ultimo COQUEUGNIOT,
2013 (per Aï Khanum vd. 69-70, ove si manifestano le dovute cautele interpretative);
sull’attività nel teatro di Aï Khanum vd. supra, 108-109 con nt. 35. Sui rapporti della filosofia
occidentale con quella orientale, conservano validità le considerazioni di ROBERT, 1968; cfr.
anche HALKIAS, 2014. A proposito degli interessi di corte alle scritture, merita piuttosto attenzione la «pura e semplice congettura» di COLORU, 2009, 78-79 che alcuni dei re di Battriana
avessero sollecitato una letteratura ufficiale, in prosa e in versi.
50
Al di là di alcune contraddizioni e condizionamenti ellenocentrici, è questa la corretta
impostazione dei contributi di R. Mairs (spec. MAIRS, 2013 b) e di L. Martinez-Sève (spec.
MARTINEZ-SÈVE, 2014). Vd. anche, sul piano generale della Battriana e a partire dalla documentazione numismatica, HOLT, 2012 a, 175-176 (benché non del tutto condivisibili siano le
sue considerazioni sugli «errors in language» sulle monete, cfr. supra, 114, nt. 45).
51
Per la prima prospettiva, a proposito delle «arti figurative», vd. ad es. BERNARD, 2003,
111: «un goût très conservateur dans la ligne d’un classicisme attardé» (a proposito della produzione di mosaici e di piccola statuaria in pietra), cui si accompagnano forme proprie
d’espressione artigianale e artistica, un «art mixte véritablement gréco-oriental» (a proposito
ad esempio della placca d’argento dorato che rappresenta «Cibele», per la quale peraltro in
BERNARD, 2007, 41 si rileva «un tentativo di fusione della tradizione greca alla maniera
orientale…senza riuscire ad armonizzare appieno», con la rassegna di elementi rispettivamente «occidentali» e «orientali» in ibid., 114-116, ad nr. 23; cfr. infra, 120-121, nt. 65); allo
stesso modo, la ripresa di modelli mediterranei attraverso le riproduzioni in calco per una to-
116 «GRECITÀ» DI FRONTIERA
Cautela occorre ad esempio nel caratterizzare in senso etnico la quarantina di dimore di grandi dimensioni site nel quartiere residenziale del settore
SO della città bassa, databili a partire dall’inizio del II secolo, caratterizzate
da un impianto «radicalmente diverso da quello della casa greca tradizionale», ma dotate di bagno52. La loro posizione all’interno della città e la loro
ampiezza autorizzano il riferimento a personaggi appartenenti all’élite civica, non necessariamente limitati all’etnia greca (o alla categoria del battriano
«ellenizzato»)53. Il fatto che nell’area si siano rinvenuti due graffiti in greco
– una probabile indicazione di proprietà di un recipiente di conservazione per
reutica di lusso (nel III secolo) appare l’esito di una «symbiose que les artistes gréco-bactriens
se sont efforcés d’entretenir avec les sources du patrimoine occidental» (P. Bernard, in
LECUYOT, 2013 c, 68-74, la citazione a 71); il medesimo studioso peraltro, ancora in 2003,
111, ravvisava come «originalità» della «civiltà dei coloni», per quanto atteneva alle strutture
edilizie, la «création de formes architecturales nouvelles où les deux traditions se fondent en
un art puissant et grandiose, porté par une idéologie impériale» (cfr. ID., in ROUGEMONT,
2014, 23-24, nt. 68). Per conseguenze in letteratura di questa impostazione, vd. ad es.
COLORU, 2009, 283: il carattere «antiquato» di statuaria e decorazione musiva ad Aï Khanum
potrebbe derivare da «una precisa volontà da parte dei coloni di perpetuare un modello sentito
come ideale e rappresentativo della grecità di fronte a un mondo nuovo, diverso, barbaro»
(cfr. del resto ibid., con il regno di Battriana «un faro dell’Ellenismo in Oriente»). Per una
lettura diversa, ma ancora in parte condizionata dalle prospettive tradizionali (e con la distinzione fra «material culture» e «documentary record»), vd. ad es. MAIRS, 2013 b, 90-92, con la
considerazione che l’immagine di «cultural fusion in the art and architecture» comporta il rischio di «implicit ideas of the bastardisation of Classical Greek culture». Quanto alla celerità
di diffusione dei modelli ceramici egei nell’Oriente battriano (LYONNET, 2013 a, 181-182,
190), appare da privilegiare la categoria del gusto, senza particolare ‘movente’ etnico (ancora
ad esempio in FRANCFORT, 2013 b, con l’identificazione di una «corporation» di lavoratori
degli oggetti in scisto, ad uso prevalente della popolazione locale battriana, o «grecobattriana», poiché «est vraisemblable que les ateliers proches des cours royales et satrapiques
avaient adopté la mode grecque», 113; il corsivo è di chi scrive).
52
Sul quartiere residenziale, organizzato su uno schema ortogonale «di tipo ippodameo»,
con case di 65 x 35 m impostate sulla sala centrale di soggiorno isolata da un corridoio periferico di accesso agli spazi privati, vd. LECUYOT, 2013 b, 3, 13, ID., 2013 f, 197, LECUYOT,
MARTINEZ-SÈVE, 2013, 211, MARTINEZ-SÈVE, 2014, 274-276; lo studio di dettaglio di
un’abitazione («Maison Kokcha») è LECUYOT, 2013 c, 13-74 (per alcune categorie di ceramica ivi rinvenuta, vd. LYONNET, 2013 a, 183 sgg., con il riscontro di una «très forte influence
méditerranéenne»). La citazione nel testo è da BERNARD, 2009, 46.
53
Conclusione più ‘neutra’ è ora in MARTINEZ-SÈVE, 2014, 275-276 (con qualche inferenza sul livello di ricchezza generale degli abitanti); si condivide qui l’esortazione di MAIRS,
2014 b, 67 a «remain open-minded about "who" (ethnically, culturally, linguistically) these
people were» (cfr. ibid., 82-85). Per la conclusione che i Greci avessero rilevato e «perfezionato» una concezione achemenide di dimora aristocratica, vd. LECUYOT, 2013 f, 207 (cfr. 196,
con il rilievo che si tratterebbe comunque di «un corps étranger à l’architecture domestique
grecque», dove «parfois aussi des antéfixes sur le bord des toits entretenaient l’illusion d’une
architecture à la grecque», come già in BERNARD, 1976, 274; i corsivi sono di chi scrive). Per
l’idea che l’impianto delle residenze di Aï Khanum «traduce un’accresciuta gerarchia dei rapporti familiari intorno al padrone di casa, tratto distintivo delle società coloniali» vd.
BERNARD, 2007, 38.
‘GRECITÀ’ LONTANA AD AÏ KHANUM
117
liquidi da parte (all’apparenza) di una donna e (forse) un antroponimo su vaso
chiuso – non può considerarsi particolarmente indicativo54. Allo stesso modo,
non sembra lecito ricostruire un quadro sociale dall’esistenza di abitazioni di
grandi dimensioni in un quartiere residenziale fuori delle mura settentrionali,
magari sul presupposto che un «colono greco» avrebbe piuttosto scelto una dimora entro le mura e un «notabile indigeno» avrebbe invece potuto aver difficoltà a installarsi «legalmente» all’interno della città55. Né la generale modestia
strutturale delle abitazioni del quartiere presso il tempio principale, connessa con
il livello sociale non elevato degli occupanti, deve necessariamente condurre alla
conclusione che si trattasse di «funzionari di origine locale»56.
Naturalmente significativo del contesto etnico e culturale proprio di una
comunità sono le tombe, per sito, struttura, eventuale dichiarazione epigrafica. Aï Khanum mostra all’esterno della città (a NE dell’acropoli) un complesso di sepolture a massiccio mausoleo seminterrato, di tipologia locale57.
La valutazione dell’intenzione dichiarativa è affidata all’unica scavata, della
prima metà del III secolo, dotata di un numero relativamente alto di docu-
54
Vd. rispettivamente IGIAC 140 (Fi?l?[o]xšnh?[j] | tÕ st£mn(i)on) e 141 (vacat QERSE?[---]);
per il contesto del primo documento, vd. LECUYOT, 2013 c, 63, con Fig. 88.2.
55
Cfr., in una formulazione e contrario, LECUYOT, 2013 d, 132, a proposito della dimora
scavata, anch’essa databile alla prima metà del II secolo: «Rien ne permet de penser notamment que l’occupant de la maison ait pu être un notable indigène proche du pouvoir grec, qui
aurait construit sa demeure près des remparts de la ville faute de pouvoir s’installer légalement à l’intérieur, plutôt qu’un colon grec ayant choisi avec d’autres, pour des raisons diverses, d’habiter dans un faubourg extérieur» (assai più cauto è Bernard, ibid., nt. 278). Per una
connessione di queste dimore aristocratiche con i soggiorni del re e del suo entourage, vd.
LECUYOT, MARTINEZ-SÈVE, 2013, 217-218; per il collegamento diretto col ginnasio di questo
quartiere residenziale vd. MAIRS, 2013 b, 108,109.
56
La citazione da LECUYOT, 2013 f, 201; per l’analisi, vd. MARTINEZ SÈVE, 2013 b, 137
sgg.: gli edifici attestati coprono la prima metà del II secolo; per un’abitazione più grande, a
NO del santuario, i cui abitanti «vivaient à la grecque», vd. 138-139 (cfr. 140, dove essi sono
indicati appartenere alle «élites grecques»); per una residenza «de fonction», a 80 m a S del
tempio, lungo la strada centrale, vd. LECUYOT, 2013 e: in associazione alle sue strutture e ai
suoi annessi si era ipotizzata in un primo tempo l’agora della polis (p. 77, nt. 182; cfr. supra);
alla sede di residenza e attività di un «collège de deux magistrats» pensava BERNARD, 2009,
43. Con i caratteri dell’area si collegano i già menzionati interrogativi circa l’esistenza in città
di un «habitat populaire», connesso con attività artigianali e commerciali: a ragione BERNARD,
2001, 1015-1016 lo associava sia con la popolazione locale sia con i coloni «de statut social
moyen» (peraltro gli artigiani e gli artisti produttori di «le meilleur des objets de toutes sortes»). In una prospettiva ancora impostata sulla «herrschende Schicht» (dei Greci e dei locali,
attraverso l’amministrazione finanziaria) rileva PLISCHKE, 2014, 115 che «die Mehrheit der
Griechen in Āï Xānum natürlich Bauern und Landwirkte waren» (il corsivo è di chi scrive).
57
Sull’architettura originale di questo tipo di costruzione vd. già BERNARD, 1972, 621-622 (di
cui non si sottoscrive peraltro la conclusione che «l’hypothèse la plus vraisemblable est d’attribuer
aux colons grecs de l’empire séleucide l’invention de ce type d’architecture funéraire»).
118 «GRECITÀ» DI FRONTIERA
menti epigrafici, in greco, e al rilievo di giovane reimpiegato nella fase postgreca per chiudere l’ingresso del sepolcro58.
In un vano interno, tre giare-ossuari consegnano attraverso tituli picti il
riferimento ai defunti della prima fase della struttura, due bambini anonimi
(«Il piccolo» e «La piccola»), una coppia (Lisania e Isidora) e un singolo
personaggio (Cosmo) dall’onomastica greca comune59. Ma l’evidenza maggiore, nonostante la lacunosità, è da attribuirsi a due iscrizioni lapidee di IIIII secolo, la prima un breve epigramma su un blocco rinvenuto nei pressi
dell’entrata del monumento, la seconda un testo più lungo e complesso,
all’apparenza in prosa, ma pur sempre di stile «letterario», disposto su una
lastra con cura per l’impaginato60. Il contesto dell’autorappresentazione di
una famiglia di rilievo in ambito locale e forse regionale appare chiaro: ad
esso la lingua e lo stile epigrafici greci conferiscono non tanto la patente
dell’origine etnica quanto quella del prestigio, che univa alla fattura locale
dello mnemeion la forma tipica ellenistica dell’esibizione di mezzi e cultura61. A questo ambito occorre anche ricondurre il rilievo, rappresentante un
giovane nudo con clamide e petaso e con lunga capigliatura all’indietro, la
cui complessità di composizione ha fatto passare da una lettura ‘greca’ ad
una più articolata, che non esclude la raffigurazione di un frequentante del
ginnasio che, «pur avendo adottato i costumi degli elleni e frequentando il
ginnasio, desidera rivendicare la sua differenza», ma che soprattutto coglie
nel tipo figurativo l’esito di un modello adottato in Battriana a rappresentare
la regalità e, per imitazione, la società ad essa più direttamente collegata62.
58
Per una descrizione del mausoleo scavato e delle sue fasi, vd. BERNARD, 1972, 606
sgg., IGIAC, pp. 242-243: esso si caratterizza per la modestia del materiale di corredo; cfr.
MAIRS, 2006, 118: al contributo si rimanda per considerazioni circa la mancanza di rapporto
diretto fra etnia e tipo di monumento; vd. anche BERNARD, 2009, 47 e infra.
59
Vd. rispettivamente IGIAC, 133 (Toà mikroà | kaˆ tÁj mikr©j), 134 (Lusan…ou |
'Isidèraj), 135 (KÒsmou; si condivide qui l’opzione dell’editore per il nome Kosmos, invece
che Kosmes, o Kosmas); per l’ipotesi di cronologia della sepoltura secondaria presentata nel
testo vd. IGIAC, p. 243, nt. 833; giustamente l’editore si astiene dal trarre conclusioni particolari dal nome teoforico Isidora (ibid.); per la diffusione del nome Lisania nel mondo greco,
vd. i vari volumi del Lexicon of Greek Personal Names (LGPN).
60
Rispettivamente IGIAC, 136 e 137, A-B, con ampio apparato critico, la prima edizione
scientifica dei documenti.
61
A maggior ragione se in IGIAC, 137, A, l. 5 si può leggere b?a?sil[e]à?si, come proposto da
Bernard, ritenuto «probabile» da G. Rougemont e non implausibile dalla fotografia (Pl. 71, Fig.
137.1). Per la menzione dello mnemeion vd. 137 A, l. 3: [---]UTO mnhme‹on çiko[dom?---].
62
Cfr. BERNARD, 1972, 625 («jeune Grec mort dans la fleur de l’âge») e, per la formulazione nel testo, ID., 2007, 125, con ID., 2011, 129 (cfr. 100); il riferimento dello studioso allo
stile del «classicismo del IV secolo a.C.» (ibid.) trova confronto nella più ampia discussione
in VON DEN HOFF, 2013, 89-93, con il rilievo che il tipo figurativo del giovane con clamide e
petaso in Grecia è tipico dell’area fra Beozia e Macedonia, ma che il trattamento del capo trova confronti in diversi esempi di rappresentazioni di personaggi di rango e di divinità o eroi,
‘GRECITÀ’ LONTANA AD AÏ KHANUM
119
Particolarmente significativo di una situazione di contesto è il santuario
con il tempio principale della città («Tempio a nicchie riprofilate»), il meglio
noto fra quelli identificati63. Ancora una volta, anziché le rispettive componenti «greche» e «orientali» (a loro volta con diverse opzioni e preferenze), o
gli esiti – non dimostrabili – di una «deliberata politica di fusione» fra culture artistiche e religiose diverse, occorre rilevarne il carattere di prodotto di
una società composita per formazione, operante in un contesto d’iniziativa
regale che non poteva essere esclusivo ed escludente, comunque pronta a
usare più o meno consapevolmente le diverse esperienze e competenze per
apprestare luoghi di compresenza in cui esprimere le esigenze religiose collettive e singole, senza rapporto diretto o determinante con l’identità o la
rappresentazione etnica64. È in questo quadro di mediazione e flessibilità che
variamente connessi con il modello dell’Alessandro con anastole: la conclusione di molte incertezze è comunque che «Unstreitig…ist, dass man das Bildnis des jungen Mannes aus Ai Khanoum,
so sehr Figurtypus, Gewand und Petasos griechischen Usus folgen, zugleich in der ungewöhnlich
langen Haartracht zumindest auch lokalen Konventionen entsprechend verstehen konnte»,
nell’ambito di una ripresa del motivo alessandrino sulle monete di Diodoto I funzionale alla legittimazione reale (93).
63
Sugli aspetti materiali del santuario e del tempio vd. FRANCFORT, 1984, MARTINEZSÈVE, 2010 a, MAIRS, 2013 b, 92 (con bibliografia precedente), 93 sgg., MARTINEZ-SÈVE,
2013 a, 487 sgg., MAIRS, 2014 b, 85-87. La costruzione più antica del tempio – collocato sul
lato O del temenos – è fatta risalire all’epoca di Antioco I (o comunque nella prima metà del
III secolo); ad essa seguirono ristrutturazioni fra seconda metà del III e prima del II secolo
(vd. MARTINEZ-SÈVE, 2010 a, 201-202); posto su un podio a tre gradini e di forma quadrata,
con lati di ca. 20 m, esso era dotato di pronao e di una cella tripartita con due «sacrestie» laterali; le nicchie profilate applicate ai muri esterni, cui la struttura deve il nome corrente, risalgono alla seconda fase edilizia. All’interno del temenos, oggetto di tre ricostruzioni complete
fra 235 e 160, era anche un «luogo di culto secondario», trasferito dal lato S a quello N, con
caratteristiche architettoniche ‘più greche’ (MARTINEZ-SÈVE, 2013 a, 487-492). Nell’area, inter alia, si sono ritrovati frammenti di statue di argilla cruda stuccata nel pronao, collegate
con «Greek, Graeco-Bactrians rulers», teste maschili con kyrbasia, una testina giovanile, un
calco in terracotta di una testa femminile velata e con corona, statuine di «dea della fertilità»
in osso e avorio, una statuetta bronzea di Eracle, placche decorative in bronzo, coperchi di
pissidi in scisto, frammenti di piede di sedile in avorio (FRANCFORT, 1984, ID., 2012, 110-119,
MARTINEZ-SÈVE, 2013 a, 500; per alcuni degli oggetti, vd. BERNARD, 2007, 109-116, nrr. 1223; l’assenza di statuaria in pietra o in bronzo, in specie negli spazi urbani esterni, è ricondotta
dallo studioso alla «particolare struttura sociale e politica della comunità dei coloni», peraltro
non precisata, p. 109; per lo ‘stile’ della placca d’argento dorato con Cibele, vd. supra, 115116, nt. 51). Un altro imponente tempio, con caratteristiche strutturali simili, era sito fuori
della città, nella direzione dell’uscita della strada principale: vd. BERNARD, 2007, 38,
SHENKAR, 2011, 129, MAIRS, 2013 b, 92, 98. Ad espressioni di cultualità iranica è associata la
piattaforma a cielo aperto collocata all’estremità SE della città alta: vd. MAIRS, 2013 b, 92-93,
110 («Bactrian-style sun altar»), peraltro non completamente contraria all’interpretazione
‘colonialista’ che vede nell’acropoli «a ‘native’ quarter».
64
Per formulazioni ancora condizionate, vd. ad es. HANNESTAD, 2013, 107-108, dove si
rileva che l’edificio «still differs significantly from a traditional Greek temple» e che l’altare
«suggests a ritual far from normal Greek practice» (i corsivi sono di chi scrive). Sembra da
120 «GRECITÀ» DI FRONTIERA
si devono porre le considerazioni circa il culto praticato nel tempio, troppo
spesso collegato con due frammenti di statua colossale acrolita ricondotta a
uno «stile» greco e all’identificazione con uno «Zeus», senza pretendere di
ricostruire se e quanto percepissero di ‘propria’ tradizione, intenzione, memoria religiosa gli appartenenti ai diversi gruppi sociali che evidentemente si
riconoscevano nel complesso cultuale, nelle figure e forme religiose ivi concresciute, nei riti, collettivi e privati, nell’accoglienza delle offerte dalle più
articolate fatture, quali che ne fossero le lingue e le scritture65.
rimodulare l’idea di un «modello babilonese» per il tempio (ad es. in LINDSTRÖM, 2009, 129,
MARTINEZ-SÈVE, 2010 a, 199 sgg., 2010 b, 12), nella considerazione dello «sfondo comune
achemenide/vicino-orientale» proposto ad esempio da MAIRS, 2013 b, 97 sgg. (cui si deve
l’importante considerazione che l’aspetto del tempio «cannot be used to make assumptions about
the ethnic identity of the population of Ai Khanoum»; sembra tuttavia qui da ridimensionare
l’idea che «Because Greek identity was asserted so strongly in areas such as the gymnasium or
at the temenos of Kineas, any ethnic resonance in activities as dedications at the temple might
easily be neutralised», p. 107); per la considerazione che in generale nella località «les édifices
religieux n’ont, dans leur architecture, rien de grec», vd. BERNARD, 2009, 49-51, con richiami al
mondo mesopotamico e a quello dell’Asia centrale (cfr. BERNARD, 2013 b, XVII: «Dans les
temples l’orientalisation de l’architecture fut radicale»; ID., in ROUGEMONT, 2014, 35); per l’idea
di un santuario tout court «de type bactrien» principalmente per il materiale rinvenuto vd.
FRANCFORT, 2013 b, spec. 84; cfr. BERNARD, 2013, XVII. Vd. anche quanto segue.
65
Per una rassegna degli oggetti connessi con il culto, vd. FRANCFORT, 2012, 110-113.
Per lo «stile» greco della statua, sulla base dei frammenti delle mani e di un piede in pietra
con sandalo recante un fulmine e un fiore, vd. ad es. MAIRS, 2008, 29, MAIRS, 2013 b, 94,
HANNESTAD, 2013, 108. Per una messa a punto aggiornata dell’identificazione della divinità
vd. ad es. MARTINEZ-SÈVE, 2013 a, 490 sgg. (nell’esigenza di conciliare la figura religiosa
con il fatto che si trattasse di una «cité grecque», ma con l’avviso che «il ne faut pas conclure
trop vite que c’était Zeus», 500, con qualche concessione al lessico dell’«assimilazione»; ad
«une forme de Zeus Chtonios» pensava la studiosa in 2010 a, 205, dopo una serie di rimandi a
«Zeus», a «un dieu qui prenait les traits de Zeus», a «Zeus, au moins pour les Grecs»; vd. però
ancora MARTINEZ-SÈVE, 2012 d, 227- 228, con il rilievo del nesso tra la ricostruzione del
santuario sotto Diodoto – «Dato da Zeus» – II e la divinità «que l’on représentait sous les
traits de Zeus»); per un monito contro l’idea che il culto principale del santuario riguardasse
uno Zeus per il motivo del fulmine, ma con l’idea, altrettanto inadeguata, che, dato il contesto,
la divinità fosse il risultato di un «sincretismo» con un dio iranico, vd. MAIRS, 2013 b, 94 (più
equilibrata la conclusione di BERNARD, 2009, 51 che «il est très possible que les colons et les
autochtones aient adoré dans ce temple une divinité composite gréco-iranienne»; cfr. ID.,
2013 a, XVII, a proposito delle divinità in generale di Aï Khanum: esse «gardaient des liens
étroits avec le panthéon grec mais non exclusifs d’une participation des cultes locaux»); per
una proposta di «sincretismo» fra Zeus e Bel e successiva identificazione con Ahura Mazda,
vd. SHENKAR, 2011, 129 («a hybrid Zeus-Belos-Ahura Mazdā», riconosciuta come «an ambitious hypothesis»; per una triade Ahura Mazda, Mithra e Anahita nei tre vani del tempio
esterno, vd. ibid.). Riprende un precedente tentativo d’identificazione della divinità principale
del santuario FRANCFORT, 2012 (con qualche maggiore cautela, rispetto a FRANCFORT, 20052006, 516-517, all’apparenza noto alla sola MARTINEZ-SÈVE, 2010 a e 2012 d, 230, con qualche contraddizione): in esso si propone di ricondurre il culto alla divinità centroasiaticobattriana femminile Vaxšu, che esprimeva le virtù di fertilità del sistema idrografico e climatico, e di vedere nella Cibele dei Greci una «convergenza» con essa, così che nell’Aï Khanum
‘GRECITÀ’ LONTANA AD AÏ KHANUM
121
In questa prospettiva non sorprende di trovare nel santuario una lastra
pettorale in scisto, un oggetto di tipo locale, e un piatto con incisi in greco
nomi iranici (A„t£thj, [---]i?rixarhj),
insieme con un vaso contrassegnato
.
in greco da un antroponimo all’apparenza pure greco (Swsipa[tr---])66.
A proposito della ‘grecità’ di Aï Khanum, nel lontano oriente ellenistico,
sembra in definitiva appropriato proporre una lettura meno orientata di
quanto si sia molto spesso fatto sino ad ora.
Non sembrano più condivisibili formulazioni secondo cui i «coloni» greci
«si marqués qu’ils aient été par leur environnement local…restaient farouchement attachés à leur culture nationale», magari sulla base del fatto che essi per tutta la loro storia «parlèrent et écrivirent un grec sans trace de barbarisation» e che «leurs lettrés étaient capables de composer en verses des épitaphes funéraires»67. Anziché ricercare delle caratteristiche culturali ‘oggettive’, connotate etnicamente e soppesate sul metro di ‘resistenza’ o ‘cedimento’, e dunque su una loro identità per noi riconoscibile, occorre risalire
all’esperienza storica vissuta dalle diverse componenti in un’area disposta
lungo linee di comunicazione e trasmissione geografiche e cronologiche di
ellenistica l’immagine della divinità collocata nella cella sarebbe stata quella di una dea con
attributi equivalenti, «in the Greek guise (or Hellenized iconographic appearance)»; ciò comporta anche una rinnovata valutazione del significato della già citata placca con rappresentazione di una scena di sacrificio di fronte a ‘Cybele’, intesa raffigurare una cerimonia di processione della statua di culto (125-126; per dubbi circa l’identificazione con la dea della figura sulla placca, vd. però IOSSIF, LORBER, 2009, 24, nt. 29; per l’ipotesi che la composizione
potesse rappresentare una divinità differente, ma con le medesime competenze,
nell’intenzione di chi non possedeva tradizioni iconografiche religiose, vd. MARTINEZ-SÈVE,
2013 a, 499; vd. anche supra, 115-116, nt. 51). Pur con qualche concessione all’idea che la
statua di culto potesse rappresentare «un Zeus», ammetteva infine Bernard che «on ignore
encore la véritable identité de cette divinité» (in ROUGEMONT, 2014, rispettivamente Note, 34
e 11, nt. 14; cfr. anche MAIRS, 2014 b, 87).
66
Rispettivamente IGIAC, 139, di età ellenistica (con p. 307 e opzione decisa per la natura
di antroponimo della scritta; ancora incerto è FRANCFORT, 2013 b, 60, nt. 93, che non esclude
una – improbabile – corrispondenza col nome d’agente a„tht»j, «chi fa una petizione»);
IGIAC, 142, della prima epoca di Aï Khanum; IGIAC, 138 (di cui si condivide la cautela
nell’integrazione al genitivo di proprietà, come proposto in RAPIN, 1992, 103, nr. 18 e la perplessità circa l’idea di NARAIN, 1987 b, 274 che il greco rendesse il nome indiano Sasiputra).
67
BERNARD, 2003, 111, dovendo peraltro rilevare «un surprenant mélange de nationalisme
hellénique et d’ouverture à l’Orient» (i corsivi sono di chi scrive); cfr. ancora BERNARD, 2007,
39 (a proposito della lingua greca che i coloni «continuarono a parlare e a scrivere sino alla fine
preservandola dalle contaminazioni»), ID., in ROUGEMONT, 2014, 33 («cette fidelité obstinée des
colons à leur culture ancestrale dans les centres hellénisés les plus lointains traduit un réflexe de
défense contre le risque d’une contamination par les éléments étrangers»). Per l’idea che la «purezza» di lingua e linguaggio epigrafici nell’Oriente ellenistico fosse parte costitutiva di un tentativo di difendere l’identità greca dei coloni, vd. ROUGEMONT, 2014. Per la serie di premesse e
conseguenze interpretative connesse con questi principi vd. supra, passim.
122 «GRECITÀ» DI FRONTIERA
inesauribile tramite, regolata dai meccanismi dell’organizzazione politicosociale ellenistica di un impero multietnico, multilingue, multipolare. In quel
contesto, dalle numerose variabili e dagli equilibri precari, si coglierà il linguaggio conservato o elaborato nel tempo ai diversi livelli e nelle forme specifiche, per misurare attraverso di esso (ma nei limiti a noi consentiti) la
portata dichiarativa di volta in volta più o meno consapevolmente intesa e
utilizzata con gli strumenti di ‘stile’ e di lingua ritenuti idonei a significare
uno statuto da acquisire, da mantenere e da esibire nel lessico proprio allo
scopo, prima che un carattere etnico da difendere68.
Una prospettiva utile per il prosieguo delle ricerche appare dunque quella
proposta da L. Martinez-Sève in un suo recente contributo, segnato dal tentativo di superare letture tradizionali e inadeguate, benché ancora con qualche concessione al principio delle «influenze»: come «a royal city, reflecting
the power of its ruling kings» Aï Khanum «was…much more than a Greek
colony, and we must take this into account when analyzing the extent of
Greek and oriental influences on the city’s layout and architecture, as well as
on the way of life of its inhabitants»69.
68
Fra gli strumenti di ‘stile’ è da comprendere naturalmente anche il medium epigrafico,
proprio del mondo ellenistico, con la componente connessa della lingua e del linguaggio greci.
69
MARTINEZ-SÈVE, 2014, 281 (per tracce d’impostazione tradizionale nel contributo, appunto attraverso la dialettica delle «influenze», vd. supra, 98-99, nt. 12; per una rinnovata
lettura, vd. MARTINEZ-SÈVE, 2015, pure con il tentativo di rintracciare aspetti poleici nella
città eucratidea, 40-41). Meno condivisibile appare la conclusione di LERICHE, 2009, 162 di
una «Mischzivilisation» derivante dalla compresenza di una «materielle Wirklichkeit der Griechischen Zivilisation» e di «eine Vielzahl von Glaubensaspekten, sozialen Strukturen, Traditionen und vor allen technisches Wissen vor Ort» (con qualche orientamento sui rispettivi
apporti…). Utili considerazioni generali sul «fattore greco» in Asia (in «quello che noi chiamiamo Oriente ellenizzato»), per quel che riguarda le complesse relazioni fra le espressioni
dell’arte e dell’iconografia religiosa, sono in INVERNIZZI, 2012 (le citazioni da 89, 90). Per
qualche (giustificata) incertezza circa lo statuto di polis dell’insediamento vd. ad es.
ROUGEMONT, IGIAC, p. 112, nt. 312 e, per l’auspicio di ricerche rinnovate sul sito, sulla base
della discussione più recente, vd. MAIRS, 2014 b, 57, 62, 98-101, 187-188 (con l’accento su
ragioni e meccanismi dello sviluppo di una «distinctively local koinē», 99).
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134 «GRECITÀ» DI FRONTIERA
Aï Khanum. Pianta della città (LECUYOT, 2013 a, XXIV).
Finito di stampare nel dicembre 2017
per conto delle Edizioni dell’Orso
da Digitalprint s.r.l. in Segrate (MI)