Talks by Federica Ditadi
IL DOPPIAGGIO IN PASOLINI IDENTITÀ E DIALETTI Questo intervento si propone di indagare l'uso del ... more IL DOPPIAGGIO IN PASOLINI IDENTITÀ E DIALETTI Questo intervento si propone di indagare l'uso del doppiaggio all'interno del cinema di Pier Paolo Pasolini attraverso l'analisi di due casi considerati emblematici, ovvero Edipo re (1967) e Il fiore delle mille e una notte (1974).
Pier Paolo Pasolini può essere considerato lo scrittore emblema delle contraddizioni italiane nel... more Pier Paolo Pasolini può essere considerato lo scrittore emblema delle contraddizioni italiane nell'età della modernizzazione in quanto a partire dalla metà degli anni Cinquanta, egli ha iniziato a rappresentare la coscienza critica della società italiana, sottolineandone le trasformazioni sociali e culturali, ponendo problemi e interrogativi sulle conseguenze che esse avrebbero comportato: il mondo popolare costituisce un elemento essenziale nella sua produzione e si configura come un modo di essere primitivo e felice che si abbandona, nell'autenticità dei suoi rapporti, ai sentimenti primigeni e incontaminati, all'istinto, diventando testimonianza di uno stato di natura del singolo e della comunità. L'attacco che Pasolini sferra allo sviluppo contemporaneo, al neocapitalismo e alle società liberali ipertecnologizzate è legato a una critica del razionalismo e delle sue manifestazioni non solo politicosociali ma anche linguistiche ed estetiche: questo intervento si propone di mettere in evidenza l'evoluzione del concetto di "regresso" all'interno della produzione pasoliniana al fine di dimostrare come, a partire dalla seconda metà degli anni Sessanta, l'artista abbia ripensando a progetti precedentemente scritti e lasciati nel cassetto per riadattarli alla nuova poetica nella quale risulta dominante il "fallimento", inteso sia come tema che come forma incompiuta dell'opera stessa. In particolare l'intertestualità dell'autore Pasolini verrà indagata attraverso il confronto tra Il padre selvaggio, sceneggiatura scritta nel 1963, e Medea (1969): le forti analogie a livello strutturale, tematico e narrativo permettono non solo di confermare come «negli archivi pasoliniani (..) ci sia la percezione di un'opera che per propria natura è sempre stata costretta a considerarsi mobile, inadeguata» 1 ma anche di leggere Medea come una riscrittura in chiave mitica de Il padre selvaggio. Il "regresso", che ne Il padre selvaggio si concretizzava nella scelta di raccontare la vicenda di un ragazzo africano diviso tra la cultura arcaica della propria tribù e quella occidentale del Maestro bianco, esplode in Medea in primo luogo per la scelta di raccontare la classicità attraverso il mito, simbolo di una condizione più antica precedente al logos; in secondo luogo per l'uso del mezzo filmico che ha reso possibile uno sviluppo della narrazione in cui l'immagine prevale sulla parola; ed infine per la storia stessa che viene raccontata, ovvero l'incontro con la modernità e l'incapacità di adattarsi ad essa. Il "fallimento" appare nell'opera pasoliniana solo nella seconda metà degli anni Sessanta e pertanto è riscontrabile in maniera poco marcata all'interno de Il padre selvaggio; mentre in Medea esso emerge chiaramente nella sezione finale che costituisce il momento di maggior distacco del film sia dalla tragedia di Euripide che dalle rappresentazioni novecentesche di Jahnn, di Lenormand e di Anouihl: Medea, dopo aver ucciso i figli, brucia la propria casa; tuttavia il regista non racconta la morte della donna, ma interrompe bruscamente la scena, lasciando Medea sospesa tra i fumi della casa, pira funeraria della sua prole. In entrambe le opere, viene quindi descritto il conflitto tra cultura arcaica e cultura moderna, senza che la prima, irrimediabilmente perdente, trionfi, ma senza che la seconda venga demonizzata, mostrando l'unilateralità ingenua di una società che crede di aver superato il sacro e di aver controllato le passioni: Davidson e Medea subiscono una mutazione antropologica e Pasolini li 1 Walter Siti, L'opera rimasta sola in P.P. Pasolini, Tutte le poesie, Mondadori, Milano, 2003, p. 1899.
Questo intervento si propone di instaurare un dialogo a distanza tra l'ideologia gramsciana e il ... more Questo intervento si propone di instaurare un dialogo a distanza tra l'ideologia gramsciana e il pensiero critico di Said, di cui, nel 2013, si celebra il ventennale della pubblicazione di Cultura e imperialismo e il decennale della morte: il punto di partenza sarà il concetto gramsciano di «Americanismo» che, al pari dell'«Orientalismo» saidiano, si configura come un'immagine soggettiva costruita dal di fuori (in particolare dall'Europa) di una realtà geografica, sociale e culturale (da un lato, l'America statunitense; dall'altro l'Oriente). Nei Quaderni, il tema dell'«Americanismo» sembra "esplodere" agli inizi della loro elaborazione (in particolare nel biennio 1927 -1929) per poi ad acquistare una dimensione organica, nell'ultima fase del lavoro, attraverso la sistemazione (sia pure parziale) del rispettivo quaderno speciale, in cui l'«Americanismo» viene affrontato anche attraverso i temi del taylorismo e del fordismo, del rapporto tra Nord e Sud in Italia e nel mondo e di quello tra Europa e America. Gramsci analizza due tipi di marginalità, da un lato quella napoletana, dall'altro i subalterni. Nel Quaderno XXII, con una metafora poetica, «il mistero di Napoli», Gramsci introduce il discorso sul Nord e Sud in Italia, individuando il «mistero» nell'incongruenza del carattere improduttivo e parassitario del tessuto economico e sociale della città, a fronte della fantasia concreta e della vivacità di azione dei suoi cittadini: Napoli, per la sua vocazione di città animale e senza forma, finisce per diventare una porta verso il Sud del mondo e verso l'Oriente, configurandosi quindi come una "subalterità" in opposizione al "dominante" ed "egemone" Nord. Tuttavia, nel Quaderno XXV, cronologicamente vicino al XXII, Gramsci definisce i "subalterni" come coloro che «vivono ai margini della storia», identificando la marginalità come mancanza di potere e di parola, intensa come discorso auto-legittimante che conferisce senso alle cose, permettendo di rendere il proprio punto di vista "senso comune". Said sembra riprendere l 'analisi gramsciana prima, in Orientalismo (1979), analizzando il modo con cui l'Occidente ha costruito l'immagine dell'Altro, e poi in Cultura e imperialismo (1993), esaminando il nesso tra espansione coloniale e romanzo europeo: Said individua una duplice modalità attraverso cui i "subalterni" hanno trovato una possibilità espressiva; la voce dell'"altro" sembra emergere da un lato dalla rilettura e dalla reinterpretazione dell'archivio della cultura occidentale in modo contrappuntistico, dall'altro dall'analisi del folklore nel quale sembra riemergere il passato indigeno che era stato soppresso dai meccanismi dell'imperialismo.
L'IMMAGINE FEMMINILE NELLA LETTERATURA COLONIALE E POSTCOLONIALE ITALIANA Questo intervento si pr... more L'IMMAGINE FEMMINILE NELLA LETTERATURA COLONIALE E POSTCOLONIALE ITALIANA Questo intervento si propone di analizzare la figura femminile in tre romanzi italiani che narrano il dominio nell'Africa Orientale (Femina somala di Gino Mitrano Sani, Tempo di uccidere di Ennio Flaiano e Regina di fiori e di perle di Gabriella Ghermandi) per tracciare l'evoluzione dell'immaginario coloniale e per valutarne l'influenza. La scelta del tema è ricaduta sulla figura femminile per la molteplicità dei significati che le sono stati attribuiti non solo in letteratura ma anche in antropologia. Un altro dato interessante riguarda come una delle prime leggi razziali ad essere state emanate, nel 1937, bandiva le relazioni di indole coniugale fra donne africane e uomini italiani, segno della centralità che l'eros e i rapporti uomo / donna ricoprivano in ambito coloniale. Questa legge si proponeva di porre fine al fenomeno del madamato, ampliamente descritto nei romanzi degli anni Venti e Trenta: Femina somala di Gino Mitrano Sani (1933) è portavoce una mentalità e una cultura dichiaratamente fascista e, pur essendo anteriore al razzismo di Stato, pone al vertice superiore l'uomo bianco e a quello inferiore la donna nera secondo una logica per la quale se la colonia è terra di nessuno, l'indigena, incapace di pensare, è corpo di nessuno e l'atto sessuale si configura come una forma di conquista e di possesso. L'elemento erotico permarrà, pressoché invariato, anche in rappresentazioni successive: in Tempo di uccidere di Ennio Flaiano (1947), la donna, pur caricandosi di un valore mitico di fonte primordiale di rinascita e rigenerazione, rimane oggetto del desiderio maschile rispecchiando un immaginario non dissimile dalla canzonetta fascista Faccetta nera di Giuseppe Micheli. Questa rappresentazione stereotipata sembra interrompersi solo a partire da Regina di fiori e di perle di Gabriella Ghermandi (2007), scrittrice italoeritreaetiope che gioca con la tradizione fino ad una riscrittura dei due romanzi precedenti mettendo in luce la necessità di descrivere l'altra faccia del colonialismo, di renderne visibili le parti omesse, configurandosi come un romanzo sulla realtà del passato etiope e come un'interrogazione sull'identità della memoria coloniale italiana.
Papers by Federica Ditadi
Regresso e fallimento nel laboratorio pasoliniano da Il padre selvaggio a Medea
The colonial archive in Italy. Story of Woizero Bekelech and Mr Antonio This paper reads the seve... more The colonial archive in Italy. Story of Woizero Bekelech and Mr Antonio This paper reads the seventh chapter of Regina di fiori e di perle (2007) by Gabriella Ghermandi, titled "Storia di Woizero Bekelech e del signor Antonio," in which main historical events are critically de-constructed by Italians themselves, rather than by Africans. In the novel Ghermandi recalls the history of Ethiopia from 1935 to 2000 through Mahlet's story, which becomes the narrative frame of multiple plots, all sharing three main features: orality, subjectivity and a colonial temporal setting. In the above-mentioned chapter, Bekelech narrates her life as an immigrant in Italy and two remarkable encounters: the first with Anna, and the second with Antonio, who have opposite reactions to colonialism and racism: whereas the former is unable to overcome stereotypes about black people, the latter is overwhelmed by guilt for his past life as a soldier in Ethiopia. While Anna stands for the suppress...
My dissertation aims at retracing the concept of the United States within the Italian panorama du... more My dissertation aims at retracing the concept of the United States within the Italian panorama during the 30’s through the sampling of four reportages: Mario Soldati’s America primo amore (1935), Giuseppe Antonio Borgese’s Atlante americano (1936), Alberto Moravia’s Stati Uniti. 1936 (1939), and Emilio Cecchi’s America amara (1939). The focus of the study is the heterogeneous genre of reportage: works are analyzed thematically and, in chapter 3, as if they were only one text drawn by a general “reporter”, spokesman of the Italian imagination with its stereotypes and system of alienation. By using the literary discourse as a research tool so as to highlight the imaginative system of a community, this study can be placed amongst imagology, history of literature about travels and cultural studies. Thus America becomes a spatial metaphor of precocious modernity. It also stands for the first approach Italian intellectuals had towards consumerism. Over the economic crisis of 1929, this sc...
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