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Riscritture Pasoliniane

Federica Ditadi [email protected] PhD Student, Italian Department Università degli Studi di Padova via Beato Pellegrino, 26 - 2nd Floor 35127 Padova - Italy INTERSECTIONS: CONTEMPORARY ITALY IN MUSIC, ART, LITTERATURE AND CINEMA Call for papers: RISCRITTURE PASOLINIANE Questo intervento si propone di mettere in evidenza l’intertestualità del laboratorio dello scrittore Pasolini e la necessità di studiare ogni opera come parte di un cantiere più ampio e complesso: il confronto tra Il padre selvaggio, sceneggiatura scritta nel 1963, e Medea (1969) permette di far emergere forti analogie che confermano come «negli archivi pasoliniani (..) c’è la percezione di un’opera che per propria natura è sempre stata costretta a considerarsi mobile, inadeguata» Walter Siti, L’opera rimasta sola in P.P. Pasolini, Tutte le poesie, Mondadori, Milano, 2003, p. 1899. tanto che Medea può essere considerata una riscrittura in chiave mitica de Il padre selvaggio. Entrambi i lavori si costruiscono attraverso l’accostamento di nuclei narrativi in sé conclusi: il confronto delle due sceneggiature ha messo in evidenza sia la coincidenza di alcuni episodi narrativi sia la ripresa puntuale di alcuni sintagmi particolarmente significativi che le forti analogie tra i due protagonisti. In Medea, il finale rappresenta il momento di maggior distacco dalla tragedia di Euripide e in generale dalla tradizione letteraria legata alla riscrittura di questo mito: nella tragedia classica, la salvezza di Medea è legata alla figura di Egeo, personaggio che Pasolini ha eliminato, secondo una tendenza comune nelle Medee novecentesche (Jahnn, Lenormand, Anouihl); tuttavia in Pasolini non si arriva né al trionfo positivo di Euripide né alla soluzione negativa del suicidio di Medea circondata dal fuoco delle rappresentazioni novecentesche, ma ad una fine sospesa. Anche il finale de Il padre selvaggio appare irrisolto: Davidson viene descritto come incapace di far ritorno alla propria tribù; egli si sente tuttavia di non appartenere alla cultura occidentale e sceglie di raccontare il proprio destino di esiliato in patria attraverso la poesia. In entrambe le opere, viene quindi descritto il conflitto tra cultura arcaica e cultura moderna, senza che la prima, irrimediabilmente perdente, trionfi, ma senza che la seconda venga demonizzata, mostrando l’unilateralità ingenua di una società che crede di aver superato il sacro e di aver controllato le passioni: Davidson e Medea subiscono una mutazione antropologica e Pasolini li innalza a paradigmi dell’origine dell’alienazione borghese; processo che, con l’uccisione da parte di Medea dei suoi figli, gli unici portatori del gene barbaro, appare irrefrenabile. 1