Papers by A. Roberta La Fortezza
Un cortese lettore del controcanto precedente, dedicato alla Revenge History, mi ha chiesto che c... more Un cortese lettore del controcanto precedente, dedicato alla Revenge History, mi ha chiesto che cosa pensi della Instant History, una scuola di pensiero che si fa strada, tanto per cambiare, negli Stati Uniti, fucina del pensiero unico contemporaneo. Il nocciolo potrebbe esserne il seguente, adattando uno slogan della protesta giovanile dei passati decenni: "Spiegare tutto, ma spiegarlo subito!" La storia evolve nella lunga durata, troppo sinuosa, contraddittoria e complessa per gli odierni mezzi di comunicazione. I teorici delle spiegazioni "istantanee" faticano a starle dietro e cercano di cavarsela come possono. Ogni tanto, sogno ad occhi aperti un redivivo Ciù en-Lai, nella sua elegante blusa di seta nera, invitato in uno dei talk show televisivi che ricordano, in meno divertente, i Bar Sport di paese della mia infanzia. Già allora emergevano in nuce, tra la briscola e le stecche del biliardo, sotto volute di fumo, nei brindisi di grappe e vernacce, tutti i tipi antropologici di oggi: il negazionista, il complottista, il no-vax, "perché a mio cugino gli è cresciuto un fungo sulla schiena grande così, mentre i laboratori farmaceutici guadagnano miliardi…"; quello che vede gli Ufo (anche se, messo alle strette deve ammettere, solo da lontano), l'altro che, abbassando la voce per essere più credibile, confida di sapere chi ha ammazzato Kennedy o avvelenato Papa Luciani, ovvero che le torri gemelle le ha abbattute il mago di Antiochia, annegando al plenilunio uno scorpione nei fondi di caffè, e via dicendo. Achille Campanile prima e Piero Chiara poi hanno fatto la loro fortuna letteraria descrivendo tipi simili di cui la provincia italiana è fertile, ora come allora. All'impeccabile e compito Primo ministro maoista una aggressiva intervistatrice, incespicando sulle labiali romanesche, chiederebbe in prima serata: "Cosa pensa Sor Ciù, per favore in trenta secondi, della rivoluzione francese?" E il figlio comunista di mandarini imperiali sorriderebbe a denti stretti, come fece nel febbraio 1972, durante la storica visita di Nixon in Cina, dall'alto di una bimillenaria civiltà: "Gentile signora, mi sembra troppo presto per esprimere un'opinione." Oggi sappiamo che la risposta di Ciù fu probabilmente dovuta a un equivoco dei traduttori-traditori. La rivoluzione a cui si riferiva la domanda di un corrispondente americano non riguardava la presa della Bastiglia e gli eventi del 1789, bensì quelli del maggio '68 a Parigi, divampati poi in tutta l'Europa occidentale, perché ad Est i carri sovietici provvidero saggiamente ad evitarlo. Comunque sia, erano passati da allora quasi quattro anni: un periodo non del tutto trascurabile per cercare di capire l'accaduto. In Francia, in Italia, nella Germania federale, senza dimenticare Berkeley e Harvard, i contestatori erano scesi nelle piazze, scandendo col pugno levato "Viva Marx, viva Lenin, viva Mao Tse Tung!" Andava per la maggiore da noi l'Albania di Enver Hoxha, un tipetto che liquidava gli avversari col lanciafiamme per risparmiare le pallottole e ricordo un mio compagno di studi che mi chiese un prestito per recarsi nella terra promessa al di là dell'Adriatico, la Cina non essendo vicina, nonostante un noto film di allora del compagno Bellocchio. Siamo rimasti amici ed oggi è felicemente assessore comunale del centrodestra, perché "non sono cambiato io, ma il contesto storico". Filosofi e sociologi, diversi dei quali si sarebbero poi riciclati, italico more, nei ranghi della Seconda Repubblica, ci insegnavano che il capitalismo era marcio e putrefatto e soltanto il proletariato avrebbe potuto traghettarci verso il sol dell'avvenire. Qualche superstite lo rivedo in televisione, con la zazzera ingrigita, intento a spiegare tutto e il contrario di tutto: perché Trump ha vinto (variante: perché ha perso), perché si doveva rovesciare Gheddafi (o non rovesciarlo) e naturalmente come fare la pace in Medio Oriente in quattro e quattr'otto. Basta volerlo. Per questo ho nostalgia di Ciù en-Lai, del suo pallore, dei suoi indecifrabili sorrisi, dei suoi silenzi. Ignoro se in cuor suo abbia mai creduto alla rivoluzione, maoista o altra che fosse. Ma sapeva che la storia è un fiume lungo e lento che traghetta molte speranze, molte illusioni e, purtroppo, molti cadaveri. Non per nulla, vi è chi afferma che i popoli felici non hanno storia. Il guaio è che non esistono.
A paper by Roberta La Fortezza for Quaderno Sism 2017 Economic Warfare, to be published in may
Books by A. Roberta La Fortezza
Rubbettino Editore , 2020
by Virgilio Ilari, giuseppe della torre, Gregory Alegi, Ferdinando Angeletti, Roberto Barazzutti, Gastone Breccia, Giampaolo Conte, Rebecca Chemello, Augusto De Toro, Thomas Victor Conti, Ezio Ferrante, Giuseppe Gagliano, Matteo Giurco, marco leofrigio, A. Roberta La Fortezza, Luigi Martino, simone pasquazzi, Giovanni Punzo, Giangiuseppe Pili, Ferdinando SANFELICE di MONTEFORTE, Laura Quadarella Sanfelice di Monteforte, and Antonino Teramo History of the Economic Weapon in war and in peace. Includes a Chrono-bibliography 1900-2016.
Thesis Chapters by A. Roberta La Fortezza
The starting point of the present research work is to historically investigate the premises of a
Books Chapters by A. Roberta La Fortezza
Il Mediterraneo Ottomano tra Ottocento e Novecento. Crisi ed evoluzioni, 2018
Dal 1516 fino alla fine della prima guerra mondiale, la regione del Vicino Oriente, con gradazion... more Dal 1516 fino alla fine della prima guerra mondiale, la regione del Vicino Oriente, con gradazioni, storie e assetti differenti, ricadeva sotto il dominio dell'Impero Ottomano 1 , costituendone il cuore delle province arabe; si estendeva, sul versante interno, intorno alle città di Aleppo, Damasco e Gerusalemme fino a comprendere, sulla costa, Jaffa, Acri, Haifa e Beirut. In questa regione del Mediterraneo orientale si sviluppò, fin dai primi decenni del dominio ottomano, un sistema di autonomie molto più profondo rispetto alle altre zone dell'Impero soprattutto grazie alla considerevole lontananza geografica dal centro. Per grande parte del XIX secolo e fino allo scoppio della Prima guerra mondiale, la regione fu divisa in vilayet e mutassarifat: l'attuale Siria era divisa tra il vilayet di Aleppo e quello di Damasco (detto anche di Siria) 2 ; a partire dal 1861 venne creato il mutassarifat del Monte Libano 3 caratterizzato da una tra le più forti forme di autonomia sotto l'Impero ottomano e di fondamentale importanza poiché sarà una delle regioni in cui maggiormente e più palesemente si mostreranno le contraddizioni e i dilemmi dell'impero e del suo rapporto con le potenze europee; infine, Gerusalemme divenne a metà del XIX secolo un sangiaccato del vilayet siriano per trasformarsi, verso la fine del secolo, in ragione della sua importanza religiosa, anch'esso in un mutassarifat con rapporti diretti con Costantinopoli 4 . Nel 1888, inoltre, Beirut e la zona costiera circostante fino a quel momento ricompresa nel vilayet della Siria, costituirono un nuovo vilayet separato da quello siriano in ragione dell'importanza che questa zona aveva ormai assunto per l'Impero soprattutto dal punto di vista commerciale.
Peer-reviewed Journal Articles by A. Roberta La Fortezza
Articles by A. Roberta La Fortezza
Europa Atlantica, 2021
Se dal punto di vista geopolitico questa crisi non sembra aver favorito, finora, stravolgimenti p... more Se dal punto di vista geopolitico questa crisi non sembra aver favorito, finora, stravolgimenti particolari sullo status quo regionale, quello che indubbiamente potrebbe provocare è una accelerazione di quelle tendenze già precedentemente evidenziatesi. D’altro canto, tale meccanismo accelerativo non sembra riguardare tanto le dinamiche regionali in sé, quanto piuttosto le manifestazioni regionali delle complesse interazioni internazionali e i rapporti di forza tra i principali protagonisti mondiali. Il riferimento è in particolare alla “competizione” globale USA – Cina che trova, logicamente, una sua specifica declinazione anche nella regione MENA.
Agenda Geopolitica - Fondazione Ducci, 2021
Il rischio maggiore del prolungato vuoto politico che si registra nel Paese è la crescita esponen... more Il rischio maggiore del prolungato vuoto politico che si registra nel Paese è la crescita esponenziale dell’instabilità derivante dal progressivo consumarsi, fino all’esaurimento, dello spettro delle possibili soluzioni alla crisi economica, sociale e politica in corso. Il fattore più determinante in questo momento è proprio quello legato al tempo e, da questo punto di vista, il Libano appare ormai fuori tempo massimo per poter godere di una reale possibilità di risanamento. Anche ammessa la formazione celere di un nuovo governo e l’avvio di un piano di risanamento supportato dai partner internazionali, gli aiuti eventualmente previsti difficilmente saranno sufficienti a risanare l’economia libanese e a supportare il suo sistema-paese.
Europa Atlantica, 2020
Quanto accaduto nel 2019, quanto sta oggi ancora accadendo in Tunisia, in Libano, in Iraq, in Sud... more Quanto accaduto nel 2019, quanto sta oggi ancora accadendo in Tunisia, in Libano, in Iraq, in Sudan e quando accadrà ancora con ogni probabilità nel 2021, dimostra che l’onda delle Primavere arabe non si è ancora esaurita, semplicemente perché le cause alla base del malcontento popolare restano radicate nelle società arabe e anzi sono risultate in crescita negli ultimi dieci anni. Quello iniziato nel 2011 è un processo trasformativo che, a prescindere dalle contingenze, può e deve essere valutato nella sua sostanza soltanto in una prospettiva di lungo periodo. Un processo trasformativo che vede sempre più le popolazioni arabe prendere coscienza di sé e diventare attori protagonisti delle vicende politiche del proprio Stato, spingendo tramite mezzi, più o meno pacifici, alla riformulazione dei rapporti tra popolo e Stato-apparato e a processi di revisione del proprio “contratto sociale” così come esistente. Indubbiamente questo meccanismo richiederà ancora molte “stagioni” per poter portare realmente ad una trasformazione radicale; ma il punto principale, forse, è che, altrettanto indubbiamente, questo processo è ancora in atto.
Europa Atlantica, 2020
A ormai quattro mesi dalla terribile esplosione del porto di #Beirut, il Libano è ancora senza un... more A ormai quattro mesi dalla terribile esplosione del porto di #Beirut, il Libano è ancora senza un governo. Sebbene il Paese dei cedri sia abituato a periodi anche lunghi di vacuum istituzionale, nel contesto dell'attuale delicatissima congiuntura economica la mancanza di un governo effettivo riconosciuto come interlocutore, soprattutto a livello internazionale, rischia di cancellare ogni speranza in merito a un eventuale risanamento del contesto economico-finanziario nazionale.
Europa Atlantica, 2020
Nel Mediterraneo si gioca da tempo una sfida geopolitica tra potenze di cui la corsa alle risorse... more Nel Mediterraneo si gioca da tempo una sfida geopolitica tra potenze di cui la corsa alle risorse energetiche nella regione è un elemento centrale. La partita turca nel Mediterraneo Orientale tra ambizioni politiche e interessi energetici.
Europa Atlantica, 2020
E' dai tempi dalla guerra "civile" che il Libano non registrava una compresenza di così tanti fat... more E' dai tempi dalla guerra "civile" che il Libano non registrava una compresenza di così tanti fattori di rischio: spinte regionali, crisi economico-finanziaria di gravissima portata, interessi pressanti di attori terzi regionali e internazionali, crisi alimentare e sanitaria, crescente insorgenza socio-politica. La terribile esplosione del 4 agosto ha funzionato da catalizzatore per tutti questi fattori, accelerandone i processi di reazione. Quali saranno le conseguenze di tutto questo nel breve periodo dipenderà dalla capacità del popolo libanese, fiero, orgoglioso e resiliente, di continuare a sventolare la bandiera nazionale senza lasciarsi trascinare in pericolose derive confessionali.
Europa Atlantica , 2020
Sebbene nella regione MENA non si sia, almeno per il momento, verificata la temuta catastrofe san... more Sebbene nella regione MENA non si sia, almeno per il momento, verificata la temuta catastrofe sanitaria, l’attuale crisi Covid-19 ha comportato un netto aumento dell’incertezza, delle preoccupazioni e dell’instabilità. Soprattutto nel contesto nordafricano e in quello mediorientale, l’impatto socio-economico dell'attuale emergenza sanitaria appare di immani proporzioni se valutato in un’ottica di medio-lungo periodo: la pandemia ha infatti generato un meccanismo a effetto domino, innestatosi in dinamiche già particolarmente complesse, le cui conseguenze saranno profonde e durature a prescindere dalla situazione meramente epidemiologica, nonché dalla possibile (e finanche immaginabile) ripresa del PIL anche in tempi relativamente contenuti. Nell’anno in cui ricorre il decimo anniversario delle Primavere arabe i vertici degli Stati della regione sembrano trovarsi nuovamente a dover affrontare crescenti criticità sociali, potenzialmente esplosive, e a dover gestire lo snodo di come tutelare lo status quo istituzionale nelle forme esistenti hic et nunc rispondendo, contestualmente, alle richieste riformiste delle piazze e alla crisi sanitaria in corso.
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