Distribuzione territoriale dei vini di questo blog

Tuesday, December 19, 2006

LE DOLCI BOLLICINE ITALIANE CHE SFIDANO IL MONDO. IL RECIOTO DI SOAVE SPUMANTE D.O.C.G.


Nel nostro Paese sento spesso ragionamenti poco lucidi sugli spumanti. In alcuni casi si esalta lo champagne francese (a mio avviso in Francia si producono spumanti eccellenti), in altri lo si sminuisce. Il denominatore comune di molti discorsi rimane comunque il predominio culturale e di opinione riservato agli spumanti secchi. Siamo vittime di un malcelato senso di inferiorità, alimentato anche dal fatto che in molti casi gli spumanti dolci vengono venduti a prezzi bassissimi, con dei livelli qualitativi impresentabili.

Fortunatamente la realtà è diversa e riserva delle meravigliose eccezioni. Il Veneto, terra di vini raffinati e dallo stile inconfondibile, presenta anche in questo campo la perla che può stupire e deliziare il mondo. La cura e la perseveranza dei produttori di questa cara regione, hanno creato negli anni uno spumante dolce dalla classe ineguagliabile: il Recioto di Soave Spumante D.O.C.G.

Il Recioto di Soave, meglio conosciuto nella sua tipologia tranquilla, è un vino dolce naturale ottenuto dalla vinificazione di uve a bacca bianca, appartenenti in prevalenza alle cultivar Garganega e Trebbiano di Soave, sottoposta a cernita ed appassimento su graticci. L'area di produzione, come previsto dal disciplinare, ricade in parte del territorio di alcuni comuni della Provincia di Verona.

La presenza del Recioto nel territorio veronese pare che sia di antichissima origine. Cassiodoro, segretario del re ostrogoto Teodorico, ne testimonia l'esistenza in una sua epistola del V secolo. Molto interessante anche l'origine del nome, che pare derivi dal termine dialettale "recia", che identifica la parte più matura dei grappoli, destinata poi all'appasimento.

Negli ultimi decenni la moderna tecnologia ha sposato con armonia la grande tradizione di questo grande vino, la cui eccellenza è universalmente riconosciuta. Così, il Recioto base, viene sottoposto alla spumantizzazione con il trattamento in autoclave, meglio noto come "metodo Martinotti-Charmat", ottenendo il Recioto Spumante.

I miracoli laici nascono solo dall'armonia tra l'uomo e la natura. La grandezza del Recioto di Soave Spumante ha un fascino che ha del sacro.

Pochi sono i produttori che realizzano questo vino magnifico. Desidero menzionare in questa sede quello commercializzato con il marchio Maximilian I, prodotto dalla Cantina di Soave. Presenta un colore giallo paglierino, carico e caratteristico, con una spuma densa e persistente. Il profumo è gradevolmente floreale, che ricorda in alcuni casi la melata di bosco. Il sapore è dolce, fruttato, dalla elevata rotondità glicerica e con una gradevole e peculiare nota amarognola nel retrogusto.

Si accompagna con eleganza ai dolci della tradizione del Natale italiano. Perfetto, a mio avviso, l'abbinamento che si realizza con un buon pandoro di pasticceria (i migliori risultati li ho ottenuti con il Pandoro Ore Liete Perugina, reperibile solo in negozi specializzati).

Quanto costa?? La quotazione di questo vino si attesta a circa 14 euri in enoteca. Sicuramente un ottimo rapporto qualità/prezzo, per quello che considero uno dei migliori spumanti dolci esistenti.

Allora cosa dire??? Buona Salute a Tutti!!! Pierluigi Salvatore.

NELLE FOTO: VIGNETO IN PROVINCIA DI VERONA, GRAPPOLO DI UVA GARGANEGA, MONETA AUREA RAFFIGURANTE IL RE TEODORICO, BOTTIGLIA DI RECIOTO DI SOAVE SPUMANTE "MAXIMILIAN I", PANDORO ORE LIETE PERUGINA.


Sunday, October 29, 2006

DALL'UNGHERIA UN NUOVA ECCELENZA: IL TOKAJI HÁRSLEVELŰ DOMINIUM.


Per ovvie e consolidate ragioni mi sembrerebbe inutile parlare della qualità dei vini ungheresi, nobili ed eccellenti. Purtroppo ancora molti tra i nostri connazionali tendono a pensare che la vitivinicoltura sia un fatto esclusivamente mediterraneo o, addirittura, solamente italiano. Esistono invece molte regioni di antica e fruttuosa produzione vinicola e, tra queste, non possiamo dimenticare l'Ungheria, nota per la produzione di numerosi ed eccellenti vini, realizzati in molte regioni del Paese. Tra queste la più importante è sicuramente quella nota con il nome di Tokaj-Hegyalja, famosa per la produzione del Tokaji Aszù ed inclusa nell'elenco dei luoghi patrimonio dell'umanità dall'UNESCO.

Molto interessanti sono le caratteristiche pedoclimatiche del comprensorio. I terreni, di origine vulcanica, sono posizionati ad un'altitudine di circa 450 metri s.l.m., pianeggianti o debolmente collinari. La vicinanza dei fiumi Tibisco e Bodrog crea dei corridoi di ventilazione che favoriscono la diffusione della Botrytis cinerea, una muffa che in genere provoca una temibile patologia nota col nome di muffa grigia ma che, in particolari condizioni climatiche, si sviluppa in maniera incompleta (definita "larvata") sule bacche, provocandone una particolare mummificazione, con modifiche sugli aromi delle stesse e con innalzamento della concentrazione zuccherina. In questi casi, il micete, crea quella che viene definita muffa nobile.

Nella regione Tokaj-Hegyalja le condizioni per lo sviluppo della muffa nobile si esprimono magnificamente. L'aria molto asciutta e gli autunni poco piovosi, fanno di questo angolo d'Europa il paradiso dei vini derivati dalle uve botritizzate. La cultura magiara è intrisa dalla tradizione di questi vini, tanto che la lingua ungherese ha un termine specifico per definire le bacche mummificate dalla Botrytis cinerea: Aszù.

Della produzione e delle caratteristiche del Tokaji Aszù avrò comunque occasione di parlarne in uno specifico articolo. Molte persone sono dell'idea che la regione Tokaj-Hegyalja produca solo Tokaji Aszù e che questo sia ottimo soltanto perchè prodotto da uve botritizzate. In realtà l'Ungheria (e questa regione in particolare) ha un'eccellente patrimonio varietale che si esprime, nel territorio, anche prescindendo dalla muffa nobile. Molti prodotti lo dimostrano e, in questa sede, vorrei parlarvi di un vino prodotto da alcuni anni dalla Pannon Tokaj Kft. di Tolcsva: il Tokaji Hárslevelű Száraz Dominium.

Nato dall'esperienza di alcuni enologi francesi, viene ricavato dalla vinificazione in purezza di uve appartenenti alla cultivar Hárslevelű, una varietà a bacca bianca, dai grappoli lunghi e di forma cilindrica, raramente alati, con acini piuttosto piccoli. La vendemmia avviene al giusto grado di maturazione ed in assenza di muffa nobile (uve non aszù). Dopo una attenta cernita dei grappoli inizia la vinificazione, che avviene in barriques nuove e con un invecchiamento di sei mesi, svolto nelle medesime botti ed a contatto con le feccie di vinificazione.

Il vino che se ne ricava ha un profumo floreale intensissimo ed inconfondibile, che può ricordare il miele di lupinella. Il colore è giallo dorato intenso, tendente moderatamente all'ambrato. Il sapore è secco, decisamente strutturato, bilanciato e piacevolmente acidulo. Ottimo per aperitivo, si accompagna ai piatti della tradizione ungherese e, in particolare, si sposa con una buona portata di Pollo alla paprika (Paprikàs Csirke).

In Italia non è ancora commercializzato ma posso calcolare, come prezzo presumibile alla vendita in enoteca, un prezzo di 13 euri a bottiglia.

Non solo vini dolci, non solo vini da uve botritizzate. Forza, eleganza, armonia, piacevolezza e versatilità fanno di questo vino un nuovo vanto per l'Ungheria. Affrettatevi ad assaggiarlo!!

Allora cosa dire?? Éljen a Magyar!!!...ops.... Buona Salute a Tutti!!! Pierluigi Salvatore.

NELLE FOTO: PAESAGGIO NELLA REGIONE TOKAJ-HEGYALJA, BACCHE DI UVA INVASE DA MUFFA NOBILE (A SINISTRA) E DA MUFFA GRIGIA PATOGENA (A DESTRA), POSIZIONE GEOGRAFICA DI TOLCSVA (UNGHERIA), GRAPPOLO DI UVA DELLA CULTIVAR HÁRSLEVELŰ, BOTTIGLIA DI TOKAJI HÁRSLEVELŰ DOMINIUM, PIATTO DI POLLO ALLA PAPRIKA.

Sunday, September 10, 2006

IL SOLE, L'ORO E LA TERRA. TRA ENOLOGIA, ALCHIMIA ED ALTA GIOIELLERIA: IL GOLDSTÜCK, AFFASCINANTE SPUMANTE AUSTRIACO.


Nella storia dell'umanità, poche tra le materie percepibili dai sensi umani hanno affascinato, condizionato, stimolato la cultura e la storia delle comunità antropiche di tutto il mondo come è accaduto per l'oro. Valore, potere, medicina, alchimia e ricchezza si sono accompagnati, nei simboli e nei fatti, al nobile metallo, noto per le particolari qualità fisiche e per la sua incorruttibilità.

Dalle epoche più remote fin quasi ai nostri giorni, il consumo di cibi contenenti oro è stato considerato benefico per la salute (nel medioevo molti sovrani lo assumevano nelle pietanze, convinti di avere prolungata la vita).
La scienza moderna pare che non dimostri effetti positivi alla salute derivati dall'assunzione di oro nell'alimentazione. Ma di sicuro, il suo aspetto, stimola positivamente i sensi umani. L'ancestrale richiamo dell'oro non manca mai di colpire la fantasia ed i sentimenti.

Molte sono oggi i casi di alimenti (famoso il "riso e oro" del maestro Gualtiero Marchesi) e bevande di pregio arricchiti dalla aurea presenza. Ma tra questi non posso non parlare di quello che a mio avviso unisce maggiormente il gusto all'estetica, la tradizione, la tecnologia enologica al fascino primordiale del prezioso metallo. Non posso non parlare del Goldstück, splendido prodotto della regione austriaca del Weinviertel (letteralmente "terra del vino"), posta nella parte nord-orientale del paese e confinante con la Slovacchia e la Repubblica Ceca.

Questo spumante, realizzato dalla Weinviertler Sektmanufaktur di Poysdorf (piccola città considerata una delle capitali delle bollicine), è da considerare un vero capolavoro, tanto da sembrare il frutto del lavoro congiunto di contadini, enologi e gioiellieri.

Questo spumante è ottenuto con l'utilizzo di uve appartenenti alle cultivar "Grüner Veltliner" e "Welschriesling", le due varietà bianche maggiormente coltivate in Austria. Dopo la vendemmia avviene la viniificazione e, successivamente, la spumantizzazione, che si svolge con l'utilizzo del metodo classico o champenoise. Tale metodo prevede una rifermentazione in bottiglia, che si conclude con la fase di sboccatura o dégorgement, l'operazione che consente l'espulsione dei lieviti formatisi in bottiglia e riuniti in un coaugulo. Questa operazione, benchè indispensabile, lascia dello spazio vuoto in bottiglia. Tale inconveniente viene risolto aggiungendo il cosiddetto liqueur d'expédition, miscela di vini, distillati e zuccheri in proporzioni variabili.

Ma nel Goldstück avviene qualcosa di diverso, di magico.
Il liqueur d'expédition addizionato in seguito alla sboccatura contiene una miriade di piccole scaglie di oro. Si, di vero oro, dal titolo di purezza di 23 carati.

Tale aggiunta non conferisce certo alcun apporto agli aromi ed al sapore dello spumante, ma lo rende, con l'effervescenza, un turbinìo di piccole e brillanti foglioline d'oro, perfettamente commestibili!!

Tale vino spumante presenta un bellissimo colore delicatamente paglierino con sfumature rosee, arricchito dalla sfavillante presenza aurea. Il profumo ricorda la rosa ed il gheriglio di noce. All'assaggio stupisce una ottima sensazione tattile, derivante dall'effervescenza diffusa e non aggressiva. Il sapore, asciutto e di piacevole acidità, lo rende perfetto con aperitivi a base di pesce.

In una cena intima e speciale, con antipasti a base di salmone, rappresenta il prologo ad una serata indimenticabile. I sapori e gli aromi di questo prodotto sono davvero piacevoli, ma il suo aspetto da delle emozioni a dir poco sorprendenti.

Il Goldstück non è al momento commercializzato in Italia e non mi è purtroppo possibile fornirne un prezzo al pubblico attendibile. Considerando però il suo costo in Austria, penso che sia verosimile (un domani!!) trovarlo in Italia ad un prezzo di circa 16 euri.

Allora cosa dire?? Buona Salute a Tutti!! Pierluigi Salvatore.

NELLE FOTO: CERTIFICATO DI AUTENTICITA' DELLE SCAGLIE D'ORO, VIGNETO NELLA REGIONE DEL WEINVIERTEL, GRAPPOLI DI GRÜNER VELTLINER, BOTTIGLIE DI SPUMANTE GOLDSTÜCK.


Thursday, August 17, 2006

VACANZE

Anche i blogger enoici vanno al mare!!
Ci rivedremo presto.

Buone vacanze e BUONA SALUTE A TUTTI, Pierluigi Salvatore.

NELLA FOTO: VIGNETO SULLE SPONDE DEL MAR NERO (FEDERAZIONE RUSSA).

Saturday, July 22, 2006

I VINI DEL PAESE PIU' GIOVANE DEL MONDO. IL KRSTAČ, ECCELLENTE BIANCO DEL MONTENEGRO.


Poche settimane orsono mi sono recato nella giovane Repubblica montenegrina, da circa un mese divenuta Stato indipendente e sovrano. Oltre alle classiche attività vacanziere ho ben pensato di approfondire le mie conoscenze sull'enologia di questo bellissimo lembo d'Europa. Ho chiesto informazioni ad alcuni amici locali (anch'essi appassionati di vini) e questi mi hanno consigliato una visita ad una azienda molto valida, la Agrokombinat 13 jul-AD Plantaže, situata nei pressi di Podgorica (un tempo chiamata Titograd), la capitale del piccolo Stato.

La storia di questa azienda (tuttora controllata in parte dallo Stato) è davvero interessante e mi sembra opportuno parlarne in due parole in questo articolo. La zona dove oggi si trovano quasi tutti i vigneti dell'azienda, il Čemovsko Polje, era, fino agli anni '60 del secolo scorso un area dalle condizioni semidesertiche, arida ed incolta. Ma l'origine carsica del territorio faceva supporre una grande quantità di acque sotterranee, scoperte con l'intervento disposto dal Governo comunista ai tempi al potere, determinato a migliorare le condizioni economiche ed occupazionali della zona. Tale iniziativa ebbe un grande successo ed ora, nel piccolo Montenegro, esiste e prospera il vigneto più esteso d'Europa (2067 ettari a corpo unico!!). Una distesa mozzafiato di filari e tralci, frutto della caparbietà e di un impegno rivolti al progresso sociale, ricopre ora quella che un tempo era una landa brulla e sassosa. Il tutto a costituire una azienda tuttora in espansione (l'incremento della superficie vitata è di circa 80 ettari l'anno) che vanta numerose certificazioni (ISO 9001-9002 sulla qualità e ISO 14001 sul sistema di gestione ambientale).

Il particolare clima, fatto di estati asciutte e lunghe (rendendo minimi i problemi di difesa anticrittogamica), con pioggie autunnali ritardate ed escursioni termiche giornaliere rilevanti, fanno del Čemovsko Polje un terroir di particolare pregio, le cui potenzialità non sono state del tutto sperimentate, visto l'insediamento piuttosto recente della vitivinicoltura. Le cultivar coltivate nell'azienda sono principalmente le tre varietà autoctone del Montenegro, il Vranac e la Kratošija (vitigni a bacca nera, dei quali parlerò in un apposito post in prossimità dell'autunno) ed il Krstač, vitigno bianco principe dei pasti estivi ed a base di pesce.

Il Krstač, spregiudicatamente autoctono in queste terre, è un vitigno caratterizzato dall'avere il grappolo di dimensioni piuttosto grosse, di forma cilindrico-piramidale, con alatura superiore pronunciata, in modo da far assumere al grappolo una forma di croce, dalla quale deriva il nome della cultivar (krst in lingua serba significa appunto croce). Gli acini, di forma rotonda-subovale, sono di media grandezza e provvisti di abbondante pruinosità (la pruina è risaputamente ricca di lieviti selvaggi e la sua composizione favorisce lo sviluppo degli stessi nel mosto). La maturazione è piuttosto tardiva e concretizza una buona sinergia con il clima del territorio, contraddistinto da pioggie autunnali ritardate.

L'azienda da me visitata produce dal Krstač un vino molto elegante, ottenuto dalla vinificazione in bianco e senza l'utilizzo di lieviti selezionati, in quanto la fermentazione procede con i soli lieviti selvaggi, presenti sulle uve di quest'area i abbondanza, visti gli scarsi interventi contro le avversità crittogame che la bassa piovosità estiva e l'elevata insolazione permettono. Il vino realizzato da questa cultivar è caratterizzato dal colore giallo dorato con sfumature verdastre, dall'aroma caratteristico ed inconfondibile, che ricorda le fioriture del mandorlo. Il sapore equilibrato, il moderato tenore alcolico (12% vol.), il giusto tenore di acidità che gli conferiscono freschezza e bevibilità, lo rendono un vino eccellente per una ottima cena a base di pesce nelle serate estive. Un abbinamento ottimo è a mio avviso quello che si realizza con la ricetta postata su questo ottimo blog di cucina.

Il prodotto ha un prezzo davvero concorrenziale (allo spaccio aziendale l'ho pagato 1 euro e 96 centesimi), dato il basso costo dei fattori produttivi e le buone professionalità presenti in azienda (tra i dirigenti ho trovato persone molto giovani).

In Italia purtroppo non è possibile trovarlo in vendita, visto il provincialismo ed i pregiudizi che spesso riguardano tutto cio che proviene da oltremare. In realtà la Regione balcanico-danubiana rappresenta, a mio avviso, un universo varietale e di tradizioni enologiche che irradierà il futuro dei consumi. Gli importatori ed i distributori che in Italia capiranno ed investiranno per primi nei vini di questi Paesi (in un prossimo futuro "vini di tendenza") dimostreranno intuito e senso degli affari, con sicuri e positivi riflessi economici. I dirigenti della AD Plantaže lo hanno capito e si stanno preparando.

Per il momento si può gustare questo prodotto solo sul litorale montenegrino, bello ed abitato da persone gentili ed ospitali. Sperando che nel nostro Paese vengano presto rimossi i pregiudizi e le manie di superiorità cieca, auspicando che la nostra "mentalità enologica" si liberi dei tabù e navighi libera oltre le "Colonne d'Ercole"...prima di giudicare bisogna conoscere!!

Allora cosa dire?? Buona Salute a Tutti!! Pierluigi Salvatore.

NELLE FOTO: SCORCIO DEL LAGO DI SCUTARI, VIGNETI NELL'AREA DEL ČEMOVSKO POLJE, GRAPPOLO DI UVA DELLA CULTIVAR KRSTAČ (DALLA CARATTERISTICA FORMA A CROCE), BOTTIGLIA DELLA "AGROKOMBINAT 13 JUL-AD PLANTAŽE", PANORAMA SULLA COSTA MONTENEGRINA.

Thursday, July 06, 2006

UN ALTRO TESORO SALVATO DALL'OBLIO: IL VITIGNO PECORINO, RITROVATO PROTAGONISTA DELLA VITICOLTURA ABRUZZESE.


Alcune settimane or sono un visitatore anonimo del mio blog mi ha dato un ottimo spunto, parlandomi di un vitigno tornato protagonista del panorama vitivinicolo abruzzese: il pecorino. Il commentatore anonimo ha parlato dei vini derivati dal pecorino in termini molto lusinghieri, descrivendoli tra i migliori vini d'Italia. Tale prova di affetto nei confronti dei vini bianchi abruzzesi meritava di sicuro una adeguata ricompensa, ed ho quindi ritenuto opportuno dedicare un post a questa antica e nobile varietà.

Questo vitigno dal nome bizarro e caratterizzato dall'avere le bacche bianche, la foglia media poco lobata, il grappolo medio allungato, di aspetto cilindrico, spesso provvisto di alatura. L'acino è piccolo e tondeggiante, dal colore giallo con sfumature verdi. E' diffuso nelle Marche meridionali, in alcune piccole zone dell'Umbria, in microaree del Lazio ed è in fortissima espansione in Abruzzo.

Densa di mistero è la storia legata all'origine del nome di questo vitigno. Varie sono le teorie, ma la più accreditata (e comprovante l'autoctonia nel territorio regionale) sembra essere quella che lega la viticoltura ad un'altra grande tradizione degli Abruzzi: la pastorizia transumante. Questa cominciava in genere nella prima metà di settembre, svolgendosi in antichi sentieri ricavati sulla terra nuda o inerbita (i famosi tratturi), tra i boschi e le campagne coltivate. Le viti della cultivar "Pecorino", avendo la caratteristica di raggiungere la maturazione in anticipo rispetto alle altre varietà regionali, rendeva le sue uve molto gradite dagli animali, che a fatica venivano trattenuti dai pastori. I quali si trovavano poi, loro malgrado, ad affrontare controversie difficili (e dall'esito talvolta spiacevole) con gli agricoltori vittime della predazione ovina!

Poi sono arrivati anni poco saggi per la viticoltura italiana e molti vitigni di pregio sono rimasti nell'ombra. Il "Pecorino" non sfuggì a questa regola, rimanendo così nell'oblìo. Ma nell'ultimo decennio nuova vita ha investito il comparto, molte persone si sono avvicinate al consumo del vino. In Abruzzo un grande fervore ha caratterizzato questi ultimi anni. Produttori intraprendenti hanno capito che la strada del successo non andava cercata nei vitigni internazionali ma nelle uve nostrane, custodite gelosamente da qualche piccolo, prezioso e testardo coltivatore. Uno di questi validi produttori è stato Luigi Cataldi Madonna, la cui azienda è situata nel territorio del Comune di Ofena (AQ), in una zona posta ad occidente del massiccio del Gran Sasso d'Italia, definita, per le estreme escursioni termiche, il "forno d'Abruzzo".

Il grande merito di Luigi Cataldi Madonna è stato (tra gli altri) quello di riscoprire il vitigno Pecorino, da lui raccolto in vendemmia tardiva(la buona acidità e struttura espresse dal vitigno lo rendono adatto alle vendemmie tardive) e fermentato in legno, ottenendo un prodotto di estremo pregio. Un vino che ha fatto scuola. Un vino magnifico. Un vino che ha fatto voltare pagina alla vitivinicoltura abruzzese, portando molti produttori ad impiantare molti vigneti della antica cultivar.

Tra questi viticoltori, uno di quelli che non posso non menzionare è la pluripremiata Pasetti Vini, la cui sede centrale è a Francavilla al Mare (CH), con vigneti condotti o di proprietà in varie zone della Regione.

Il signor Domenico Pasetti, con la sua famiglia, molto ha investito sul vitigno Pecorino, da lui prodotto in due versioni. La prima, commercializzata con la denominazione "Terre di Chieti I.G.T.", è ottenuta utilizzando le uve Pecorino in purezza (coltivate nel territorio del Comune di Orsogna), con fermentazione svolta prevalentemente in acciaio. Ha un aroma delizioso, floreale, un sapore fresco, sapido, pieno e strutturato, che lo rende il compagno ideale delle pietanze a base di pesce. A mio avviso, il migliore abbinamento, è quello che si concretizza con una buona zuppa (brodetto) di pesce.

La seconda versione (chiamata "Tenuta di Testarossa"), della denominazione "Colline Pescaresi Bianco I.G.T.", è ottenuta con uve coltivate nel Comune di Pescosansonesco (PE). Un territorio che a mio avviso costituisce un vero tesoro pedoclimatico. Terreni argillosi e ricchi di calcare, insolazione elevatissima e ventilazione costante rendono questa area di estremo interesse. Le uve Trebbiano e Pecorino (in uvaggio) vengono sottoposte alla pigiatura soffice e fermentate in legno, con lunga permanenza sui lieviti. Questa particolare lavorazione favorisce la formazione di aromi molto complessi, che rimandano al buon sapore della crosta di pane ed al miele. La buona struttura, il grande tenore di estratti (circa 27 g/l), l'alto tenore alcolico (14 % vol.), insieme alla splendida sinfonia organolettica, lo rendono adatto ad abbinamenti molto interessanti. Quello a mio parere più gradevole è quello che si realizza sposandolo ad un ottima portata di maccheroni alla chitarra al tartufo nero estivo (maccheroni lessati e salati, conditi con olio extravergine di oliva e tartufo grattuggiato, tutto a crudo!). Potenza, grazia e semplicità. Attributi che ci vengono dal passato e ci illuminano con ottimismo il futuro.

I prezzi? In enoteca, circa 7 euri per la versione in purezza, 15 euri per la versione "Tenuta di Testarossa".
Allora cosa dire? Buona Salute a Tutti. Pierluigi Salvatore.


NELLE FOTO: GRAPPOLI DI UVA PECORINO, MOMENTO DELLA TRANSUMANZA, ETICHETTA DEL PECORINO TERRE DI CHIETI I.G.T. DELLA AZIENDA AGRICOLA PASETTI, PANORAMA DEL COMUNE DI PESCOSANSONESCO (PE).

Tuesday, June 20, 2006

VINO, LIQUORE O ROSOLIO? LA RATAFIA', UNA BEVANDA ALL'INSEGNA DELLA TRADIZIONE E DELLA BIODIVERSITA'.

Per deformazione professionale mi capita di sovente che i miei discorsi si soffermino sulla qualità e sulle varietà ortofrutticole. In ognuna di queste discussioni mi capita di constatare un fatto importante: con la diminuzione dell'età dei miei interlocutori diminuisce altresì il numero di specie frutticole conosciute. Mele cotogne, mele limoncelle, sorbe, nespole europee (molti conoscono solo la nespola giapponese), le more di gelso bianche e nere, il pero corvino, il corbezzolo. Sono varietà di frutti, conosciute dai nostri nonni e purtroppo ignote ai più giovani.

Questo rappresenta a mio avviso il sintomo di un preoccupante fenomeno, quello della diminuzione della biodiversità vegetale negli ecosistemi agrari. Una riduzione che riguarda le specie e le cultivar delle varietà frutticole coltivate. Le pere a spina, le mele zitelle, le mele di San Giovanni (a maturazione precoce), costituiscono una collezione genetica in via di estinzione. Sarebbe una grave perdita , in quanto, oltre alla scomparsa delle vecchie cultivar, andrebbe a dequalificare la ricerca finalizzata alla creazione di nuove varietà. In sei parole: pregiudicare il futuro distruggendo il passato.

Tra i cosiddetti frutti minori non possiamo non menzionare le amarene (Prunus cerasus L.), variante acida del ciliegio dolce (Prunus avium L.). L'area di origine delle amarene pare che sia inscrivibile tra il Mar Nero e l'Armenia, anche se la sua diffusione nei boschi europei viene segnalata da tempi remoti.

Una grande consuetudine riguardante l'uso delle amarene (in alcune varianti chiamate anche marasche o visciole) unisce tutta l'Italia e le sponde del Mare Adriatico, come testimoniano il gran numero di liquori e conserve che da questo frutto si ricavano: le "visciole al sole" diffuse un po' in tutta Italia (famose quelle di Cantiano), le confetture a base di amarene, il Maraschino di Zara (realizzato con le marasche prodotte in grande quantità nell'entroterra zaratino).

Nella tradizione abruzzese esiste un prodotto particolarissimo, che unisce la tradizionale coltivazione di amarene (esiste una specifica cultivar chiamata amarena di Pescara) al grande patrimonio enologico della Regione: la Ratafià, chiamata anche Rattafìa o Ratafiat. Questo nome strano pare che provenga dall'usanza di bere questo particolare rosolio negli studi notarili dopo la stipula dei contratti, contestualmente alla pronuncia, da parte del notaio, della formula "Ratafiat", ovvero, che i patti siano ratificati.

Si ottiene mettendo a macerare per un periodo variabile (comunque intorno al mese) le amarene in una miscela di Montepulciano Cerasuolo D.O.C., alcool o acquavite e zucchero. Si ottiene un liquore dal colore rosso violetto, amabile e dal caratteristico sapore di amarene, dal profumo inconfondibile.

Viene usato nella pasticceria casalinga per bagnare il pan di Spagna delle torte di compleanno e si beve accompagnandolo al consumo dei dolci tipici abruzzesi, come il "torrone di Sulmona" o il "parrozzo di Pescara".

Un abbinamento fantastico e raffinato è quello che si può realizzare affiancando la ratafià (temperatura di servizio 15°C) ad uno Strudel di Amarene, decisamente ben descritto in questa ricetta. Un connubio che consente di apprezzare benissimo le caratteristiche dei due protagonisti, rendendo piacevole ed all'insegna della naturalità un pomeriggio di conversazione. Nel periodo di maturazione di questi preziosi frutti è un vero peccato non approfittarne, facendone una fantasiosa ed interessante degustazione.

Tra le tipologie realizzate dai produttori abruzzesi vorrei menzionare quella realizzata dalla Azienda Agricola "Praesidium" di Prezza (AQ), nell'area dove il vitigno "montepulciano d'abruzzo" ha la sua più antica diffusione. E' un rosolio di classe, moderatamente alcolico (26,5% vol.), da annoverare tra i migliori vini aromatizzati presenti nel nostro Paese. E' possibile trovarlo in enoteca ad un prezzo di circa 16 euri.

Molto valida anche quella presentata dalla "Enrico Toro & C." di Tocco da Casauria (PE): presenta caratteristiche produttive leggermente diverse, ma il risultato è di assoluto rilievo. Questa azienda (famosa soprattutto perchè produce l'ottima centerba abruzzese) la realizza con un grado alcolico finale del 20,5% vol.

Bontà, tradizione, biodiversità: i segreti per il successo dell'agroalimentare italiano. Questo prodotto li riunisce con raffinatezza.

Allora cosa dire?? Buona Salute a Tutti!! Pierluigi Salvatore.


NELLE FOTO: LA CONCA PELIGNA (AQ), FRUTTI DI AMARENE, IL PARROZZO (DOLCE TIPICO ABRUZZESE), BOTTIGLIA DI RATAFIA' DELLA AZIENDA PRAESIDIUM, BOTTIGLIA DI CENTERBA TORO.

Thursday, June 15, 2006

VITICOLTURA EROICA E VINI ELEGANTI. I TESORI DELLA VALTELLINA.

Chiunque abbia visitato la Valtellina ha certamente ammirato con meraviglia il meticoloso lavoro che ha portato ad un modellamento che ha del fantastico. Lavori durati secoli, piccoli e caparbi artisti che hanno creato, nella loro sinergia, un'opera faraonica che richiama alla fantasia le costruzioni megalitiche o la muraglia cinese.

Sono le terrazze della Valtellina, vere contrade incantate che rappresentano uno degli esempi più conosciuti della viticoltura eroica. Un ambiente molto peculiare, in via di riconoscimento da parte dell'UNESCO come patrimonio dell'umanità. Coltivazioni che hanno come protagonista una cultivar cara a tutti gli enofili, il Nebbiolo, noto in questa area con il nome di Chiavennasca. Il territorio molto mutevole produce inoltre una gran quantità di microclimi che, uniti a molteplici variabili pedologiche, crea una offerta di prodotti ampia e di enorme interesse.

Molte sono infatti le denominazioni di origine espresse da questa valle, insignita con una D.O.C. ed due D.O.C.G.: il Valtellina Superiore e lo Sforzato. La prima denominazione si suddivide inoltre in più tipologie, che ne identificano le aree di produzione in maniera inequivocabile. Inferno, Grumello, Sassella, Valgella e Maroggia sono i nomi che racchiudono le splendide tradizioni vinicole di questa valle, i cui vini sono stati apprezzati da principi e da capitani di ventura. Il susseguirsi delle vicende storiche ha influenzato in modo avvincente l'economia agricola valtellinese, portando in auge o in depressione, in maniera alterna, la parte alta e la parte bassa di quest'area, in costante osmosi culturale e commerciale con il vicino Paese dei Grigioni.

Il prodotto di questo territorio che esprime il mio maggiore entusiasmo è lo Sforzato, noto anche con il nome di Sfursat. La metodologia produttiva di questo vino ne spiega di sicuro il nome bizzarro ed indecifrabile al primo ascolto. Le uve della cultivar Nebbiolo provenienti da una accurata selezione, compiuta tra i grappoli raccolti nella zona autorizzata dal disciplinare di produzione, vengono cernite con cura e disposte ad asciugare su graticci per circa 110 giorni. L'aria fresca ed asciutta fornita dal magico clima di questa terra, favorisce un leggero appassimento delle uve, con il conseguente incremento della concentrazione zuccherina (il disciplinare prevede un titolo alcolico minimo del 14% vol.) e l' evoluzione del profilo aromatico e gustativo del frutto. A gennaio avviene poi la normale lavorazione che si realizza con la vinificazione in rosso, ovvero con la macerazione delle bucce nel mosto (al fine di estrarre i pigmenti e le sostanze aromatiche). Successivamente inizia la fase di invecchiamento e maturazione, lunga almeno 20 mesi.

Il territorio magnifico, la grandezza del vitigno, il retroterra storico e le tradizioni, unite a tecnologie moderne ma non invasive, hanno portato lo Sfursat alla gloria della D.O.C.G., la prima riconosciuta in Italia ad un passito secco. Vini robusti e potenti, che scaldano il cuore e l'anima.

Un ottimo prodotto (con un costo non esagerato) è a mio avviso lo Sfursat realizzato dall'azienda Nino Negri di Chiuro (SO). E' un vino dal gradevole colore rosso granato intenso, un profumo deliziosamente speziato, che dopo una buona decantazione assume connotazioni floreali decisamente suadenti. Il sapore è caldo, di grande morbidezza ed armonia, che (per esperienza personale) migliora e si affina visibilmente con l'invecchiamento. Con una portata di anatra alla cacciatora vi permetterà di spiccare il volo!!

Il prezzo? Circa 18 euri in enoteca!

Allora cosa dire?? Buona Salute a Tutti!! Pierluigi Salvatore.


NELLE FOTO: VITICOLTURA VERTICALE IN VALTELLINA, SCHEMA DELLE PRODUZIONI VINICOLE, BOTTIGLIA DI SFURSAT NINO NEGRI.

Monday, June 12, 2006

VITIVINICOLTURA CALABRESE E MARKETING. TRA IL PASSATO ED IL PASSATO REMOTO. TRA MANZONI E DON FERRANTE.


Ho da poco iniziato, con molta soddisfazione, la mia attività di blogger. Ho ricevuto molti spunti di discussione, ho imparato dai contributi di tutti i lettori ed ho cercato di fornire informazioni valide ed il più possibile complete.

Ho sempre parlato di vini che conosco bene, da me assaggiati in più versioni. Inoltre mi sono servito, quando ho avuto dubbi sulla storia dei vitigni e dei vini o su particolari attenzioni produttive, di notizie ottenute dai consorzi di tutela o direttamente dalle aziende. In tutti i casi ho avuto risposte molto costruttive e complete. Tutti hanno capito che anche le parole di un piccolo blogger avrebbero costituito un supporto utile alla comunicazione.

Poche settimane fa ho ricevuto un commento molto stimolante ed ho pensato di scrivere un articolo sul vitigno "greco bianco" e sui suoi utilizzi in Calabria.

I vini di questa Regione, benché in molti casi siano eccellenti, non godono purtroppo di adeguata considerazione: poco presenti sui banchi della grande distribuzione, quasi assenti nelle premiazioni e sulle guide (salvo poi ascoltare le accuse di complotto e le lamentele da parte dei produttori). Le buone etichette, quando reperibili in enoteca, hanno prezzi alti, che non ne stimolano l'acquisto da parte di chi non le abbia mai sentite nominare.

Volendo scrivere un post su due vini calabresi ho interpellato un produttore piccolo, quattro medi ed uno grandissimo. Ho chiesto loro di inviarmi con la posta elettronica le schede tecniche ed eventualmente le analisi chimiche. Le risposte? Qualcuno mi ha detto che aveva da fare, qualcuno mi ha risposto che si sarebbe fatto vivo (sto aspettando!!), uno mi ha trattato quasi male, dicendo che il suo vino era già tanto conosciuto come il migliore vino del Mondo.

Belle risposte ad una pubblicità (sia pur piccola) a costo zero. Bel modo di comunicare. Ottima via per ottenere conoscenza e considerazione. Forse le ragioni della poca visibilità di questi vini sono ora più palesi. E le lamentele dei produttori di sicuro poco legittime.

Questo atteggiamento mi ha ricordato il carattere del manzoniano Don Ferrante. Persona molto colta ma con una formazione alienata dalla realtà. Una grande cultura che lo portava alla supponenza tipica nell'erudito del suo tempo, un bagaglio di conoscenze che lo portò inizialmente a negare l'esistenza della peste e poi ad attribuirle origini astrali. Si scontrò con le persone dando credito ai pianeti. Ma questi non gli diedero ragione.

Spero che la vitivinicoltura calabrese non continui a seguire l'esempio di Don Ferrante. Che andò a letto, a morire, come un eroe di Metastasio. Prendendosela con le stelle.

Allora cosa dire? Buona Salute a Tutti. Pierluigi Salvatore.


Thursday, June 01, 2006

FIGLIO DEL VENTO, FIORE TRA I SASSI, VERDE MANTELLO DELLE TERRE ROSSE. AGRESTE E RAFFINATO TERRANO.


Se esiste un territorio che ha caratterizzato e definito un fenomeno geologico e che lo contraddistingue in tutto il Mondo, questo comprensorio è sicuramente rappresentato dalla Regione del Carso. Acque superficiali, inghiottitoi, grotte, doline, fiumi che si inabissano e riemergono, laghi che compaiono e si dileguano, riassumono in breve i fenomeni che, in tutto il mondo, vengono definiti "carsici".

Definire compiutamente i confini dell'area del Carso non è cosa facile ma, in genere si usa racchiuderlo tra la costa adriatica triestina e capodistriana ed il loro entroterra prossimo. Il Mare Adriatico è un elemento del Carso e questo è una componente dell'adriaticità. A caratterizzare questo territorio, oltre agli elementi geologici che ho brevemente descritti, un fenomeno dalla forza travolgente lo rende unico e pieno di significati. Un vento (qui tremendamente violento) che si associa nella memoria collettiva alla regione carsica: la bora. Soffia spesso impetuosa a causa dell'orografia che la amplifica (esiste una gola chiamata "porta della bora") e, anche quando è flebile, rende l'aria sempre tersa ed il cielo di una straordinaria luminosità. Il sole dona al Carso una luce diversa.

Le diverse componenti antropologiche ed etniche susseguitesi tra i tempi e nei tempi, legate alle peculiarità offerte dalla natura, hanno reso possibile il fiorire di un'ampia varietà di prodotti, alimentari ed enologici. E, parlando dei vini di queste terre, non possiamo non dedicare una attenzione particolare a a quello che del Carso è il simbolo: il terrano, detto teran in Croazia ed in Slovenia.

Deriva dal vitigno omonimo, caratterizzato dall'avere grappoli medi pronunciatamente piramidali, alati, e compatti. Gli acini sono medi e talvolta ellittici, dal colore blu intenso e decisamente pruinosi. Anche se coltivato in varie zone, produce i migliori risultati nel Carso italiano e sloveno, dove esistono rispettivamente due denominazioni di origine, il "Carso terrano" ed il "Kraški teran". I terreni rossi, ricchi di scheletro e di ferro, i venti che influiscono sull'umidità e quindi sulla sanità delle uve, il particolare spettro luminoso offerto dalla specifica condizione di insolazione, concorrono alla particolare sapidità ed allo straordinario colore dei vini, ai quali la tradizione ha sempre attribuito qualità salutari e curative, tanto che ai tempi dell'Impero Asburgico il terrano veniva venduto nelle farmacie in quanto ricco di ferro!

Recentemente sono stato in Slovenia e, lungo la strada del ritorno, mi sono fermato a Sesana (Sežana), piccola località slovena a due passi dal posto di confine di Fernetti. Sono entrato in un bar con molte persone, ho chiesto notizie sul vino teran e, dopo avere scaturito una nutrita discussione tra i presenti, mi hanno accompagnato a Križ, una piccola frazione. E qui, la meraviglia! I gentilissimi signori Tanja e Rado Macarol gestiscono una azienda vitivinicola a conduzione famigliare, la Kmetija Šempolajc, un vero paradiso per chi, come me, è sempre alla ricerca dei prodotti migliori e più conformi alle tradizioni. La signora Tanja, è andata a prendere un quotidiano sloveno che, in occasione della medaglia d'argento vinta con il teran alla esposizione del 2002 a Lubiana, ha pubblicato un articolo il cui titolo era "Il signor Rado ama più i vigneti che sua moglie". Vedendo la cura che mette nelle sue attività, il giornale aveva forse ragione. Ed i risultati si sentono.

Il teran di questa azienda presenta tutte le caratteristiche che questo vino deve avere: un colore rosso violetto intenso ed impenetrabile (la composizione minerale del suolo, il vento e la particolare insolazione influiscono sulla qualità e sulla quantità degli antociani, i cui effetti benefici sono riconosciuti dalla medicina), odore delicato ma marcato di mirtillo nero. Appena l'ho assaggiato ho pensato una cosa: questo vino è estremamente piacevole. A dispetto di un grado alcolico non elevato (11,5% vol.), ha un gusto molto sapido e minerale, tannini morbidi e suadenti, bilanciati vivacemente da un'acidità importante e piacevole. Una buona densità (al ritorno l'ho analizzato ed ho trovato un estratto secco netto di 26,5 g/l !!), dona una gradevole sensazione tattile, una pienezza che fa pensare alla genuinità dei buoni vini sinceri. Perfetto da gustare giovane con i salumi tipici, esprime il suo meglio con del capretto arrosto aromatizzato ad arte (sicuramente consigliabile questa ottima ricetta, frutto del lavoro di ricerca dell'amica Venere!!).
Il prezzo per il prodotto sfuso (al ritorno dalle vacanze estive è salutare organizzare una tappa) è di 3 euri al litro, mentre per il prodotto imbottigliato il costo è di 8 euri a bottiglia. La signora Tanja ( +386 41 448349, parla in perfetto italiano) lo spedisce anche a domicilio tramite posta o corriere.

Per concludere, dico che il teran rappresenta il frutto del duro lavoro, figlio dell'impegno e dell'abnegazione delle genti carsoline, della terra e del sole, del suolo e della salsedine, degli Asburgo e dei Dogi, degli Slavi e dei Latini. Un prodotto per nulla omologato, che unisce i gusti ed i popoli, una sintesi di concordia e di allegria. Aspetta solo che voi lo gustiate.

Allora cosa dire? Buona Salute a Tutti!! Pierluigi Salvatore.

NELLE FOTO: IL LAGO CIRCONIO (CERNIŠKO JEZERO) IN DUE DIVERSI MOMENTI, EFFETTI DEL VENTO SULLA VEGETAZIONE SPONTANEA, CARTELLO DELL "STRADA DEL TERRANO", VIGNETO A SEŽANA, PRODOTTI DELL'AZIENDA KMETIJA ŠEMPOLAJC.


Friday, May 26, 2006

UN GRANDE PATRIMONIO ITALIANO DA CONOSCERE E SALVARE: IL GATTINARA D.O.C.G.


Uno dei vitigni più conosciuti, fra i tanti che piacevolmente infestano il territorio italiano, è senza dubbio il nebbiolo. Nessuna cultivar, più di questa, è il simbolo della tradizione vitivinicola di una Regione di grande prestigio: il Piemonte. Sono difatti molti i vini D.O.C. e D.O.C.G. che si ottengono dal nebbiolo, in Piemonte e non solo. Ma se il "barolo" ed il "barbaresco" sono famosi e riconosciuti da tutti, ne esistono altri meno importanti in quanto a fama, ma sicuramente molto significativi per caratteristichedi qualità e tradizione. Tra questo vorrei spendere due parole in favore di un vino che ritengo tra i migliori rossi al mondo, nato in un territorio particolare, nell'area pedemontana degradante dal massiccio del Monte Rosa, dove tra bellissime colline prospera la vite, dove le tradizioni si perdono nei secoli. In questo ambiente incantato nasce il Gattinara D.O.C.G.
La zona di produzione è ristretta al solo territorio del Comune di Gattinara, in provincia di Vercelli e, come prescrive il disciplinare di produzione, deve essere prodotto per almeno il 90% da uve appartenenti al vitigno nebbiolo, caratterizzato dall' avere bacche nere medio-piccole, grappolo medio-grande di forma piramidale, con acini piuttosto fitti. Prevede una lavorazione attenta e lunga, con un periodo di invecchiamento di almeno tre anni (quattro per la tipologia "riserva").
I vini di questa denominazione presentano caratteristiche molto interessanti, in quanto reggono molto bene ai lunghi invecchiamenti, presentando possibilità di evoluzione sorprendenti, tanto che molti autori suggeriscano di consumarlo non prima di otto-dieci anni dalla vendemmia. Presentano all'olfatto un ampio spettro di sensazioni, che vanno dal floreale alla liquirizia, con sentori che talvolta possono ricordare il sottobosco o il cuoio. Il sapore è asciutto e persistente, con un giusto equilibrio tra i tannini ed una piacevole e caratteristica acidità. L'abbinamento migliore è con le carni rosse e la selvaggina a pelo molto elaborata, avendo cura di stappare le bottiglie almeno due ore prima del servizio.

Nei miei post, è mia consuetudine fare riferimenti alla storia dei vini ed all'origine degli stessi, come non manco mai di citare tra tutti i produttori quelli che hanno suscitato in me particolare fiducia ed interesse e ne di menzionare i prezzi e le caratteristiche di alcuni prodotti (nel caso del gattinara se ne possono trovare di eccellenti a 15-25 euri). In relazione a questo vino ho però un grande affetto e nutro una grande apprensione per il suo futuro.
Difatti, con sempre minore frequenza riesco a trovare il gattinara nei supermercati, raramente ne sento parlare, le sue storiche bottiglie dalla forma fantasiosa sono sempre meno oggetto di discussione. Bisogna togliere dall'oblio questo vino, simbolo di un territorio ricco di storia. Territorio ora alle prese con una notizia preoccupante, riguardante la sua prossima possibile esplorazione petrolifera. Spero che gli interessi di pochi non soffochino l'economia locale e che non pregiudichino il futuro di questo gioiello dell'enologia mondiale.

Mi permetto quindi di dire a tutti che il nostro dovere sia quello di difendere il gattinara, conoscendolo meglio ed apprezzandolo. Beviamolo perchè è un sorso di cultura, beviamolo perchè deve vivere e prosperare come merita. Beviamolo perchè è davvero unico e fantastico, una scoperta che vi renderà entusiasti.

Allora cosa dire? Buona Salute a Tutti, Pierluigi Salvatore.

Nelle foto: grappoli del vitigno "nebbiolo", vigneti nel Comune di Gattinara (VC), bottiglia di vino gattinara del 1973.

Monday, May 22, 2006

DAL CUORE DELLE MARCHE UN GRANDE GIOIELLO: LA VERNACCIA DI SERRAPETRONA D.O.C.G.


Il mondo enologico è bello perchè manifesta una grande variabilità, riassume la perfezione del caos, sancisce la pari dignità tra le regole e le numerosissime eccezioni. E' bello perchè da buoni risultati solo se l'uomo è in perfetta sinergia con la natura.
Nel maceratese esiste una realtà nella quale la natura è stata generosa e gli uomini sono stati geniali. Questa realtà è rappresentata dal comune di Serrapetrona e dal suo immediato circondario. Il frutto di questo comprensorio è un prodotto meraviglioso: la Vernaccia di Serrapetrona D.O.C.G., nelle tipologie "dolce" e "secca".

E' un vino spumante naturale del tutto singolare, ottenuto dal vitigno a bacca nera omonimo (vernaccia nera). E' difatti l'unico in Italia (e che io sappia al mondo) a subire ben tre fasi di fermentazione.

Al momento della vendemmia una parte delle uve (almeno il 40% del totale, come previsto dal disciplinare di produzione) viene appesa su appositi fili e destinata all'appassimento, mentre la restante parte viene lavorata subito ed avviata alla prima fermentazione. Dopo circa due mesi, l'uva appassita viene pigiata ed il mosto ricavato viene unito a quello precedentemente fermentato. L'aggiunta di questo nuovo mosto fa avviare la fermentazione per la seconda volta. Processo che continua per la terza ed ultima fase in autoclave (ovvero in condizioni di temperatura e pressione controllate) al fine di ottenere la cosiddetta "presa di spuma o pris de mousse".

Questo complesso metodo da me brevemente descritto sembrerebbe quasi il frutto di una mente a dir poco bizarra. In realtà è la conseguenza della situazione agronomica e culturale dell'area in oggetto. In questo territorio, fino agli anni'50 del secolo scorso, le viti erano coltivate in consociazione con le piante arboree (le piante ad alto fusto fungevano da sostegno vivo), con potature lunghe, rese elevate ma, di contro, basso tenore zuccherino delle uve. Per ovviare a questo problema, i contadini pensarono di appassire una parte delle uve per 2-3 mesi, pigiarle (approssimativamente nel mese di dicembre) e miscelare il mosto ottenuto con quello gia quasi del tutto fermentato. A questo punto, la fermentazione del vino proseguiva a rilento, quasi silente, anche a causa delle basse temperature, tanto da continuare anche dopo la messa in bottiglia, provocandone la naturale effervescenza. Il risultato venne subito apprezzato, la fama si sparse nei paesi vicini, le persone affluivano a Serrapetrona per acquistarne alcune bottiglie, le quali, per la scarsa presenza tecnologica, avevano riuscite imprevedibili: potevano contenere vino per nulla frizzante, spumante o, addirittura, capitava che esplodessero durante il trasporto!!

Oggi la tecnologia ha eliminato tutte queste romantiche ancorchè spiacevoli evenienze, razionalizzando e mettendo in opera nelle migliori condizioni quello che le tradizioni hanno insegnato, permettendo la commercializzazione di prodotti dal grande prestigio. Vini spumanti dal fascino rurale ed antico, da scoprire, da gustare. Semplicemente..da bere!

Non sono molti i produttori della Vernaccia di Serrapetrona (19 aziende iscritte, con una superficie vitata complessiva, aggiornata alla vendemmia 2004-05, di circa 68 ettari), tutti di buona qualità e rispettosi delle tradizioni.
Tra questi però non posso non ricordare un mito legato a questo prodotto, l' Azienda Agraria Alberto Quacquarini di Serrapetrona. E' un vero specialista della vernaccia, che produce nelle tipologie "dolce" e "secca", utilizzando le sole uve di produzione aziendale. Realizza inoltre altri piccoli capolavori della tradizione maceratese, come i torroni e le famose ciambelline impastate con la vernaccia.
Questo vino si presenta di colore rosso rubino limpido. Particolare l'effetto alla mescita, in quanto produce un'abbondante spuma di colore tendente al rosa. Il profumo è tipicamente vinoso, delicato. La tipologia amabile ha un retrogusto amarognolo molto piacevole ed è il compagno ideale della pasticceria secca, specie se farcita da confetture di frutti di bosco, mentre la tipologia secca si accompagna divinamente a salumi e formaggi. Nella zona di produzione viene spesso consumata, in campagna, nelle colazioni di metà mattinata a base di formaggi e ciauscolo.

Quanto costa? Possiamo trovarlo in enoteca ad un prezzo di circa 12 euri.
Allora cosa dire? Buona Salute a tutti!! Pierluigi Salvatore.

Nelle foto: vigneto nel Comune di Serrapetrona (MC), grappoli di vernaccia nera sottoposti ad appassimento, bottiglia di vernaccia secca dell'Az.Agr. Alberto Quacquarini.

Tuesday, May 16, 2006

TRA L'OCEANO PACIFICO E LE ANDE: BREVE STORIA DEL VITIGNO CARMENERE.


La viticoltura dei nuovi mondi è stata, per ovvie ragioni, caratterizzata dal fatto che i vitigni utilizzati sono stati importati dall'Europa, uno dei Continenti di origine della vite domestica (in America per esempio sono presenti molte specie del genere "Vitis", non adatte alla vinificazione). Ma col passare dei decenni, a seconda delle Nazioni di origine degli emigranti ed a seconda dei climi, anche i nuovi Paesi vitivinicoli hanno acquisito una propria personalità legata ad una specifica cultivar: lo "zinfandel" in California, il "malbec" in Argentina, lo "shiraz" in Australia.
Fra le nuove Patrie dell'enologia mondiale ne esiste una che desta molto interesse tra gli appassionati: il Cile. Ed oggi non possiamo parlare dei vini di questo Paese senza menzionare il vitigno che ne è il simbolo: il "carmenère".

Questa cultivar (spesso confusa con i "cabernet", specie con il "cabernet franc"), è un vitigno discendente della "Vitis biturica", antenato delle cultivar bordolesi. Era diffusamente coltivata in Francia fino agli ultimi anni del XIX secolo, quando arrivò dall'America un parassita animale terribile e devastante per la vite, la fillossera. Tale sgradito arrivo provocò la distruzione dei vigneti della Regione francese (cosa che poi accadde anche nel resto del Continente, costringendo molte persone ad emigrare), che vennero poi reimpiantati con portinnesti resistenti alla fillossera (derivati da viti americane). Nel ripristino vennero però preferite cultivar più moderne e produttive, mettendo nel dimenticatoio l'antica varietà.
Nel frattempo la vitivinicoltura metteva radici in Cile (Paese indenne dalla fillossera) ed il "carmenère" trovava così una nuova Patria. Presenta un grappolo medio-piccolo, conico e con acini abbastanza radi (uno dei difetti produttivi della cultivar è rappresentata appunto dalla scarsa allegagione dei fiori), di colore nerastro e ricchi di pruinosità.
Da questo vitigno si ricavano vini alcolici, ben strutturati e dai tannini morbidi. Caratteristiche comuni a molti vini cileni derivati dal "carmenère" sono il tratto erbaceo all'olfatto, con sfumature di liquirizia e di carruba.
In Italia la diffusione di questi vini (purtroppo c'è ancora del provincialismo!!) non è ancora abituale. Ne ho comunque assaggiati alcuni acquistati nelle enoteche e li ho trovati davvero molto validi ed a prezzi molto accessibili (aiutati dall'euro forte).

Un buon acquisto, per un approcio iniziale, può essere considerato il "Carmenère Varietales" dell'azienda "Punta Nogal", situata nella Colchagua Valley (Cile centrale). E' un prodotto discretamente alcolico (14% vol.!), dal sapore intenso e caratteristico del vitigno, da gustare (preferibilmente) non oltre i 12-24 mesi di invecchiamento. Si accompagna benissimo con grigliate di carne o con primi piatti conditi con ragù importanti. Io l'ho bevuto con una stupenda portata di filetto di vitellone al tartufo nero estivo ed è stato a dir poco caleidoscopico. Il prezzo? Circa 6 euri in enoteca.
Allora cosa dire? Buona Salute a Tutti!! Pierluigi Salvatore.


Nelle foto: racemo di carmenère, vigneto della Colchagua Valley, etichetta di "Punta Nogal Carmenère".