Il governo italiano ha sospeso gli aiuti ai palestinesi

Il governo italiano ha sospeso gli aiuti ai palestinesi. Noi no. Donate all'UNRWA.
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mercoledì 17 marzo 2021

Un aviatore irlandese intravede la morte



E so che il mio destino ho da incontrare
lassù, fra i nembi del cielo profondo:
quelli che attacco, io non li so odiare,
né posso amare quelli che difendo.

Kiltartan Cross, la mia sola bandiera;
la plebe di Kiltartan, la mia gente:
se vinco non la renderò più fiera;
perdendo, non la spoglierò di niente.

Non lotto per la legge o per dovere,
non seguo un duce, né folle plaudenti;
un solitario impulso di piacere 
mi guida in cielo a quei combattimenti.

Tutto ho rivisto, tutto ho soppesato:
mi parve spreco d'aria la mia sorte,
un grande spreco d'aria il mio passato,
davanti a questa vita, a questa morte.

mercoledì 30 settembre 2020

Un ciceroniano a Betlemme

Lionello Spada, passi la penna d'oca
 e il tappeto ikea, ma GLI OCCHIALI?
30 settembre - San Girolamo (347-420), padre della Chiesa.

[2012]. Oggi quando una ragazza muore di digiuno la gente dice: è colpa delle riviste di moda, e le riviste di moda dicono: è colpa della famiglia - ma nell'antichità? A chi si attribuiva la colpa, in mancanza di foto patinate? 

Ai padri della Chiesa. A Girolamo, perlomeno, che su certe fanciulle della Roma-bene pare che facesse questo effetto: si appassionavano al suo eloquio, si lasciavano catturare dal suo personaggio un po' hobo  - quel tipo di snob figlio di patrizi che passa qualche anno in una comunità in Siria e poi torna con una certa aria di saggezza e i pidocchi nella barba - ne adottavano i costumi vegetariani, e dopo un po' rischiavano di lasciarci le penne. La giovane Blesilla  ci restò secca davvero, dopo qualche mese di dieta, e Girolamo cadde in disgrazia: dovette abbandonare la città. Non aveva ancora quarant'anni ed era già stato segretario particolare di un Papa, il padre Georg di Damaso I; alla morte di Damaso alcuni lo davano già per papabile, ma appunto: i romani possono sopportare molte cose, ma un papa convinto che nell'attesa del Regno dei Cieli imminente non sia più concesso mangiar carne, eh, grazie, anche no. Girolamo se ne tornò nei deserti della sua giovinezza tormentata, la cristianità ci perse un papa vegetariano e ci guadagnò la miglior Bibbia che poteva permettersi. Perché Girolamo, riparato a Betlemme, non ebbe più niente di meglio che riprendere le sue traduzioni del testo sacro in latino, rimaneggiarle ed espanderle. Ci mise altri quindici anni, ma alla fine la latinità aveva un testo leggibile, organico, comprensibile, alla portata di tutti (Vulgata, lo chiamarono), e a suo modo elegante, come doveva essere stato elegante quel patrizio romano sotto gli stracci da asceta che ostentava nei circoli romani.

L'influenza di Girolamo sulla lingua che parliamo milleseicento anni dopo è incalcolabile. Nel senso che davvero è impossibile calcolare quante parole gli dobbiamo. Un esempio qualsiasi, su milioni che si potrebbero fare: l'aggettivo "geloso". Deriva da "zelotes", un termine che compare due volte nell'Esodo tradotto da Girolamo; in entrambi i casi è riferito a Dio, e in entrambi i casi Dio sta chiedendo al suo popolo di non avere altro Dio. Insomma la prima gelosia della storia è la gelosia divina, di un Dio che si considera Unico ma evidentemente non ne è troppo sicuro - sennò tanta gelosia non avrebbe un senso. Prima della vulgata i latini non avevano una parola per "gelosia": ne avevano il concetto? A leggere Catullo pare proprio di sì, ma così come non marcavano una netta distinzione tra l'azzurro e il verde, gli autori classici non danno la sensazione di distinguere nettamente invidia e gelosia. Forse i concetti sono dei grumi di senso che prendono forma intorno alle parole: finché non esiste una parola, non c'è nemmeno il concetto. Forse non avremmo il concetto di gelosia, se Girolamo non avesse deciso di tradurre un certo termine ebraico in un certo modo.

È da un po' che scrivo storie di santi sul Post. All'inizio non sapevo bene dove sarei andato a parare, ho proceduto per tentativi. A distanza di qualche tempo mi sembra che il metodo sviluppato consista nella simpatia: si prende un uomo o una donna vissuti secoli o millenni fa, in contesti radicalmente diversi, e si tenta di trovarli simpatici. A volte la cosa è fattibile, altre volte è così disperata che diventa divertente. Come metodo, è il meno serio e il più anti-storico che si possa adottare. Le persone nate secoli fa, in contesti alieni, sono alieni. Non parlano come noi, non pensano come noi, non mangiano le cose che mangiamo noi (Girolamo era vegetariano in un mondo senza pomodoro e senza pastasciutta). Trasformarli in figurine simpatiche (o antipatiche) non serve probabilmente a nulla. E in certi casi è veramente impossibile. Come si fa a provare simpatia per Girolamo, un fanatico ossessionato dall'inferno, che si fece mantenere per tutta la vita dalla nobildonna (Santa Paola) a cui aveva fatto perdere la figlia (Santa Blesilla)? C'è che contrariamente a tutte le aspettative, questo fanatico ossessionato è un grande intellettuale, un bravo scrittore, un incredibile traduttore. E la sua Bibbia in latino è un dono, prezioso anche per quelli che a milleseicento anni di distanza non si considerano cristiani.

Ai tempi del suo primo disperato pellegrinaggio nel deserto - durante il quale altri suoi amici erano morti di stenti - Girolamo aveva fatto un incubo, dopo una di quelle sere in cui prima di andare a letto si era messo a leggiucchiare un po' di Plauto, così, per prender sonno. Il sogno lo aveva catapultato alla corte di Cristo Re, che lo aveva interrogato: "sei forse tu cristiano?" "Mi sembra di sì", aveva risposto Girolamo, tremebondo. "Mi sembri piuttosto ciceroniano", aveva risposto il dio-magistrato, e ne aveva disposto l'immediata flagellazione. Girolamo, sanguinante, aveva promesso che non avrebbe toccato un autore pagano mai più, mai più: da lì in poi solo libri sacri. In pochi sogni come in questo vediamo un uomo tradirsi.

Perché il dio flagellatore aveva ragione: Girolamo era più di ogni altra cosa ciceroniano, e nessun digiuno, nessuna penitenza lo riuscirono a cambiare davvero. Sotto quella pelliccia puzzolente, il monaco traduttore era rimasto Eusebius Sophronius Hieronymus, una spia del classicismo greco-romano, infiltrata nel cuore più profondo del cristianesimo trionfante: la piccola cella di Betlemme dove stava prendendo forma la Vulgata. Nel giro di due secoli il testo avrebbe sbaragliato la concorrenza, diventando per un buon millennio l'unica Bibbia leggibile in Europa. Il libro di Dio, ma anche un po' di Cicerone. No, mettiamola così: il ciceronianesimo di Girolamo è un virus, rimasto in sonno per secoli prima di attivarsi. Finché il supporto rimase la pergamena, e i lettori poche migliaia in tutto il continente, quasi nessuno ci fece troppo caso. Ma quando arrivò Gutenberg, e la stampa a caratteri mobili, il virus dilagò. Era il virus del pensiero critico.

Come animale da compagnia, un leone vegetariano. Il problema coi leoni vegetariani è che mangiano chili di cespugli al giorno, e hanno continuamente una spina da farsi cavare, e tu intanto stai cercando di capire le unità di misura del Levitico

Ci sono stati nella Storia dell'uomo altri traduttori di libri sacri. Siccome i libri di questo tipo durano molto, e nel frattempo non cambia solo la lingua, ma anche la cultura, il modo di pensare... di solito tradurli è l'occasione per riammodernarli un po', magari per riscrivere intere parti da capo. Girolamo sapeva bene, per esempio, che quando i greci avevano tradotto la Bibbia ebraica, l'avevano un po' aggiornata, togliendo magari qualche riferimento messianico che loro non capivano e che invece a lui premeva molto. Girolamo crede, indiscutibilmente crede, che l'autore della Bibbia ebraica sia Dio, e che quindi sia necessario ripartire da là: ma l'ebraico è difficile, e Girolamo non si fida veramente di nessuna delle sue fonti: non degli ebrei suoi contemporanei, non dei Greci, non del saggio Origene che aveva fatto uno splendido lavoro accostando tutte le traduzioni conosciute, ma era anche lui in odore di eresia... Diffidando di tutti, Girolamo è costretto a metterli a confronto, e a inventare un metodo filologico che poi ci servirà a restaurare tutti i classici, Cicerone incluso.

Ma quel che forse è più importante, e che lo rende il Santo dei traduttori, è che Girolamo diffida anche di sé stesso. Altri, prima di lui, avevano risolto i dilemmi di interpretazione lasciandosi semplicemente ispirare dalla Divinità. Lui no, lui traduce a senso, anche quando il senso magari non gli piace. Non è un profeta, non cerca Dio nella sua testa: Dio sta fuori, Dio ha scritto un libro, Girolamo deve capire cosa c'è scritto senza lasciarsi tentare dal demone dell'interpretazione. Nelle sue mani, la Bibbia diventa latina, ma non si evolve. Non si adatta alla cultura della civiltà tardoantica. Rimane un ingombrante centone di miti ebraici totalmente sganciati dalla quotidianità dei cristiani: qualcosa di oggettivamente difficile da manovrare, che rimarrà per secoli incastonato nella liturgia come un meteorite piovuto dal cielo. Nella maggior parte del testo, il Dio di cui si parla non è quello dei cristiani: a volte è buono e misericordioso, altre volte è mandante di genocidi; il più delle volte non si capisce cosa pretenda e con chi ce l'abbia, tutti i popoli di cui si parla sono lontani nella Storia e nella geografia. Dopo un migliaio di pagine così (intervallate da qualche salmo commovente, qualche onesta riflessione sulla condizione umana, qualche poesiola d'amore, qualche proverbio abbastanza banale), arriva Gesù - ma persino le storie di Gesù non sono affatto raccontate in modo univoco e coerente. C'è un sacco di contraddizioni, e Girolamo le avrebbe potute risolvere: chi meglio di lui?

Un piccolo esempio, di cui abbiamo parlato altre volte: i fratelli di Gesù. Tutti quelli che nei secoli hanno difeso la verginità della Madonna, si sono scontrati contro quei versetti in cui si dice, chiaramente, che Gesù aveva dei fratelli. Non c'è niente da fare, il testo dice così: hai voglia a dire che magari gli evangelisti intendevano "cugini", "amici", "discepoli", no: c'è scritto fratelli, punto. Ma chi l'ha scritto? Girolamo era nella stanza dei bottoni (o meglio nella cella dei papiri), Girolamo avrebbe potuto cambiare. Certo, ci sarebbe stata qualche polemica, Agostino avrebbe storto il naso... ma nel giro di qualche secolo tutto sarebbe stato risolto, un testo meno contraddittorio avrebbe fatto comodo a tutti. Bastava convincersi che quel "fratelli" era un evidente sinonimo di cugini, le religioni sono piene di gente che si convince di cose così, ma Girolamo non era quel tipo di fanatico. Tradusse "fratelli", e "fratelli" rimase. Sotto quella pellaccia livida di tutte le frustate che si autoinfliggeva per aver esagerato a condire la lattughina, sotto tutto il suo cristianesimo furioso e militante, Girolamo Eusebio Sofronio era rimasto un filologo. Classico. Ciceroniano. Se oggi leggiamo la Bibbia, e ci troviamo i migliori argomenti per non dare retta ai preti, lo dobbiamo a lui, che poteva sostituirla con un bel catechismo edificante, ma non ne era in grado. Tra l'amore per la Chiesa e quello per la lettera del testo, Girolamo scelse il secondo, e lo sapeva: almeno nei sogni.

venerdì 15 maggio 2020

Il chiasso in una casa

(Scusi).
Il chiasso in una casa
nel dì dopo il decesso
è il più incombente incarico
in tutto l'universo –

Lo spazzolare il cuore
e il metter via l'amore
che non vorremo usare più
fino all'Eternità –

giovedì 23 gennaio 2020

Lo sai che si dice dei cattolici

Ci sono ebrei al mondo, e buddisti,
mormoni, islamici e sikh.
Ci son Testimoni e battisti,
ma io... io non sono così.



Son tra i cristiani cattolici,
ci sono da sempre, e lo sai
che c'è di bello a esser cattolici?
Vai bene così come sei.

Non serve essere alto e prestante,
o un nobile o un genio, perché
cattolico sei dall'istante
in cui tuo padre è venuto per te.

Infatti...

Ogni sperma è sacro,
ogni sperma è santo.
Se sprechi lo sperma
Dio si altera alquanto.

Lascia gli infedeli
tristi a sgocciolare:
ogni goccia persa
Dio la sta a contare.

Ogni sperma è santo,
ogni sperma è sacro.
Se sprechi lo sperma,
Dio sa che è un massacro.

Indù, ebrei, taoisti
spruzzano qua e là,
ma Dio salva soltanto
chi si conterrà.

Ogni sperma è santo,
Dio ce l'ha donato.
Ogni sperma è una risorsa
per il vicinato.

Ogni sperma è santo,
ogni sperma è buono.
Ogni sperma è utile,
ogni sperma è un dono.

Lascia che i pagani
innaffin monti e mare:
ogni goccia persa
Dio la fa pagare

Ogni sperma è sacro,
ogni sperma è santo.
Se getti lo sperma,
Dio si arrabbia,
tanto.

Every Sperm Is Sacred, musica di André Jacquemin e David Howman, testo di Michael Palin e Terry Jones (1942-2020).

(Ho sempre pensato che sarebbe stato giusto averne una traduzione cantabile in italiano, non importa quanto inferiore all'originale).

martedì 9 luglio 2019

Tradurre in cattività: il caso Neon Genesis Evangelion



E così ci siamo arrivati. Un’emittente televisiva (Netflix lo è, a modo suo) ha ritirato il doppiaggio in italiano di una serie a causa delle proteste degli utenti. Prima o poi sarebbe successo, ma probabilmente non è un caso che sia successo con un anime, e in particolare con l’ambizioso Neon Genesis Evangelion. Così come non è un caso che a trovarsi nel mirino ci sia, per l’ennesima volta, l’adattatore Gualtiero Cannarsi, già molto criticato per le sue versioni dei film dello Studio Ghibli. Cannarsi è indifendibile: i dialoghi che ha imposto ai doppiatori di Neon sono ridicoli. Ma chi ora grida al bullismo nei suoi confronti non ha tutti i torti. È vero, il suo italo-giapponese è esilarante, specie se sovrapposto a un prodotto serioso come NGE. Ma per quanto naive risulti la sua personale teoria della traduzione, maturata lontano dalle accademie, bisogna almeno evitare di farne un agnello sacrificale.

Non è responsabilità di Gualtiero Cannarsi se, fino a qualche giorno fa, i personaggi di Neon dicevano cose come “È col tentare di abbatterlo in fretta che la cosa si è fatta dura”, o “L’autoespulsione è entrata in attività”. Non è responsabilità sua se i doppiatori sono stati costretti a recitare battute che non capivano. Se a Cannarsi è stata data sempre più fiducia, malgrado i problemi fossero evidenti (e il pubblico non mancasse di notarli), la responsabilità è di chi questa fiducia per tutto questo tempo l’ha concessa. Ora Cannarsi pagherà anche per loro, ma quel che è successo è che un sincero cultore della materia è stato lasciato solo, per anni, al tavolo di lavoro, da committenti la cui negligenza a un certo punto deve aver interpretato come un attestato di fiducia. Magari sarebbe bastato poco: un editore, un distributore, un collaboratore che in tutti questi anni gli stesse accanto, gli rileggesse a voce alta le frasi che scriveva, lo aiutasse a non allontanarsi dall’italiano parlato e scritto. Qualcuno che smorzasse sul nascere certe velleità ermeneutiche che sono il tipico mostro che nasce dal sonno breve e agitato dei traduttori quando la scadenza comincia a essere troppo vicina (e la scadenza è sempre troppo vicina). Cannarsi invece è stato lasciato solo, e ha fatto quel che facciamo tutti quando siamo soli: ha iniziato a parlare con sé stesso, in una lingua tutta sua.

Tradurre è molto difficile. Bisogna avere due lingue in testa, e non è detto che nella nostra ci stiano davvero. Nelle orecchie, soprattutto, perché a volte è come ascoltare due musiche contemporaneamente. Magari non è impossibile, ma senz’altro non è una passeggiata, e il traduttore non fa altro tutto il giorno. Eppure ci basta leggere due o tre pagine in un’altra lingua, o anche solo ascoltare due o tre episodi in versione sottotitolata, per ritrovarci già in bocca qualche espressione che in italiano non esiste, qualche calco che un buon traduttore dovrebbe sempre saper aggirare, con leggerezza, mentre saltabecca da una lingua all’altra. Questo dovrebbe fare il traduttore ideale. 

Quello reale il più delle volte sbanda, incespica, cade, e pur di rispettare una scadenza finisce per consegnare un ibrido italo-qualcosa che un editor (o più d’uno) faticosamente convertiranno in italiano. Non sempre riuscendoci, come chiunque può verificare aprendo un libro qualsiasi. Il traduttore è un traditore, dicevano, ma temo non renda l’idea. Un maledetto assassino, ecco cos’è un traduttore: anzi una spia, inviata a uccidere un testo che a volte conosce molto bene, al quale magari è affettivamente legato: proprio per questo si rende quasi sempre necessaria l’assistenza di professionisti in grado di mettere da parte gli affetti, ammesso che ne abbiano mai avuti: gente con la mano ferma quando c’è da impugnare il bisturi, la sega e gli altri attrezzi. Tradurre è un lavoro sporco, è la fine dell’innocenza: devi interiorizzare il concetto per cui il tuo rispetto per l’opera va subordinato al rispetto per un lettore italiano distratto che si stanca alla prima frase non scorrevole. Non lo accetti? Allora hai bisogno che qualcuno molto vicino a te non smetta di ricordartelo, a ogni capitolo, ogni pagina, ogni capoverso. Se Cannarsi non ha mai avuto qualcuno tanto vicino, non è colpa sua.


È una vittima designata, in un certo senso. L’uomo giusto nel momento sbagliato... (Continua su TheVision). 

Per qualche anno Cannarsi si è ritrovato confinato in una confortevole nicchia di mercato: un limpido acquario lontano dall’oceano, dove le sue mostruosità erano ritenute inoffensive – forse persino decorative. I film dello studio Ghibli, in Italia, sono un prodotto per appassionati. Il fatto che per molti appassionati il doppiaggio sia un errore a prescindere ha fatto sì che alcune critiche siano passate inosservate agli addetti ai lavori. Ma il sospetto è che alcuni di questi addetti abbiano lasciato Cannarsi libero di fare scempio di lessico e sintassi perché il risultato sembrava aggiungere qualcosa alla versione italiana di quei film: un senso di straniamento, di esotismo che li proteggeva dalle critiche, rassicurando i fan sul fatto di trovarsi davanti a vere opere d’arte dai contenuti preziosi (e a volte enigmatici) e non a banali cartoni-animati-giapponesi per bambini. Un classico equivoco interculturale: i film di Miyazaki in effetti sono cartoni animati, e non hanno alcun bisogno di un registro aulico o pretenzioso per imporsi allo stesso pubblico trasversale che in Occidente si gode i film della Disney. Ma in Italia li si è proposti a un pubblico diverso, più adulto, che andava in un qualche modo confortato sul contenuto artistico dell’opera (quella che Walter Benjamin chiamava aura). Un pubblico del genere non poteva accontentarsi di pagare il biglietto per vedere belle favole: doveva anche avere la sensazione di immergersi in una cultura diversa.

In questo senso Cannarsi era l’uomo giusto. Quel che ha fatto ai film di Miyazaki ricorda in qualche modo l’operazione condotta sui testi omerici da una delle traduttrici italiane più celebrate del secolo scorso, Rosa Calzecchi Onesti. L’aedo omerico si rivolgeva a un pubblico eterogeneo di contadini, guerrieri, casalinghe, bambini: Rosa Calzecchi Onesti pensava essenzialmente ai laureandi in lettere che pur non avendo il tempo di leggere Omero in lingua originale, dovevano conservare l’illusione di esserne capaci. Da cui l’idea di riprodurre in italiano soluzioni sintattiche che l’italiano non consente, che rendono il testo più faticoso ma più ‘autentico’ per l’ex liceale che conservi qualche vaga nozione di grammatica greca. L'Omero calzecchizzato ha perso la sua universalità (non lo puoi più leggere ai bambini), ma ha acquisito l’aura necessaria per apparire un prodotto colto, adatto a un preciso segmento del mercato. Qualcosa di simile Cannarsi ha fatto con Miyazaki. Non c’era una semplice riga di dialogo che non riuscisse a complicare e a rendere esotica, straniante, sempre all’inseguimento di una fantomatica fedeltà “all’opera” che non si accorgeva di tradire. Il risultato è uno strano ibrido che senza suonare né italiano né particolarmente giapponese, ci fa capire che quello che vediamo non è il solito prodotto audiovisivo, ma qualcosa di più profondo che richiede uno sforzo supplementare. Qualcuno se ne lamentava, ma i puristi comunque preferivano i sottotitoli, e forse tutto sarebbe continuato così ancora a lungo, se a un certo punto Netflix non avesse ripreso la pratica di Neon Genesis Evangelion.

Anche qui c’è un equivoco, o forse più d’uno. NGE in Giappone è uno degli anime più popolari di tutti i tempi, mentre in Italia è rimasto un prodotto di nicchia, poco conosciuto al di fuori del bacino degli appassionati. Un bacino di dimensioni comunque rilevanti, ma tant’è; in Italia gli unici mecha a essere già entrati nell’immaginario collettivo sono quelli degli anni della tv dei ragazzi e delle prime emittenti private: Goldrake, Mazinga, eccetera. Quando finalmente il Corriere si è accorto del caso Cannarsi, ha ritenuto necessario spiegare ai propri lettori che Neon Genesis è una “nuova serie che si ispira a Goldrake” (per il lettore medio del Corriere tutto quello che è successo dopo il 1994 è “nuovo”). Segregati a lungo in una nicchia, i fan italiani dell’anime di Hideaki Anno hanno avuto tutto il tempo e l’agio per radicalizzarsi e sviluppare la convinzione che NGE sia molto più di un cartone di robottoni: un’opera profonda e complessa, intrisa di riferimenti culturali da decifrare con cautela. Il fatto che i personaggi non parlino tutto sommato una lingua molto diversa da quella degli altri anime a base di robottoni rischiava, anche stavolta, di danneggiare l’aura del capolavoro. Si veda l’estenuante dibattito sulla opportunità di tradurre shito come angelo o come apostolo, dando per scontato che Anno si ponesse davvero il problema della precisione nei rimandi biblici, e non stesse semplicemente pescando riferimenti colti un po’ a caso, confondendo Nuovo e Vecchio Testamento così come un autore italiano confonde serenamente Buddha e Budai. Un dibattito del genere è esattamente il mangime adatto per un pesce come Cannarsi, che può dimostrare il suo acume di filologo e rassicurare il pubblico adulto italiano sulla profondità di NGE: non il solito anime di robottoni, ma un’opera d’arte, dunque degna di un linguaggio aulico e accessibile solo agli iniziati.

E però Netflix non è la Lucky Red: il bacino di utenza è ormai molto più vasto e in particolare Netflix Italia in un primo momento potrebbe avere sottostimato la popolarità di NGE. Dal suo confortevole acquario, Cannarsi si è ritrovato sbalzato nell’oceano da un momento all’altro, senza avere gli strumenti per accorgersene. Ma ancora: com’è stato possibile che nessuno gli abbia impedito di consegnare ai doppiatori un testo che conteneva espressioni come “senza nessuna recalcitranza” o “hanno già completato di prendere rifugio”? Cannarsi scrive strano, ormai è il suo mestiere, anche se non è sempre consapevole. È abbastanza inutile pretendere che si renda conto di quel che ha fatto o che addirittura chieda scusa. Lui ha fatto esattamente quello che fa in questi casi, senza reagire alle critiche, anzi senza nemmeno capirle. Chi però in tutti questi anni lo ha lasciato lavorare indisturbato, qualche domanda dovrebbe porsela.

sabato 29 dicembre 2018

E un re perplesso scrisse l'Alleluja

29 dicembre, San Davide Re e Profeta¹

Fu una segreta melodia
che suonò Davide al suo Dio,
– ma a te, lo so, la musica già annoia –
dal Do lei sale al Sol maggiore
e sale ancora (ma in minore)²,
e un re perplesso scrisse l’Alleluja:

Alleluja, Alleluja.

Credevi, ma chiedesti un segno:
era sul tetto a farsi un bagno³,
e mai ci fu una notte meno buia...
Ti legò al tavolo in tinello
ruppe il trono, i tuoi capelli
ti strappò, e di bocca un’alleluja!

Alleluja, Alleluja.

Dici che ho preso un nome invano:
non so cosa ci sia di strano.
(Non so neanche quale nome Lui ha).
Ogni parola ha la sua luce,
che importa a quale dai la voce:
sia santa o sia perduta, è un’alleluja.

Alleluja, Alleluja.

Feci il mio meglio, non granché:
non ero pronto a entrare in te;
l’amore non è un tema che si studia.
Ma ad ogni sciocco errore mio
renderò sempre lode a Dio,
e sulle labbra avrò solo: alleluja.

Alleluja, Alleluja.

Io queste stanze le rammento4
ho già spazzato il pavimento:
amarsi, sai, non è un inno alla Gioia.
Che importa se dalla ringhiera
sventola la tua bandiera?
Io sento solo un gelido Alleluja.

Alleluja, Alleluja.

E se mi chiedi se c'è un dio
quel che in amore ho appreso io
è a fare fuori il primo che ti incula5.
Perciò non è un pianto stasera
quel che senti, o una preghiera:
è solo un crudo e gelido Alleluja.

Alleluja, Alleluja6.

1. Non so perché il calendario cattolico festeggi re David il 29 dicembre, però è da anni che mi intestardisco a scrivere un testo italiano cantabile per questa canzone dalla storia bizzarra, che grazie a un cartone animato e al titolo apparentemente liturgico è entrata a far parte del repertorio nuziale in Italia: esatto, c'è gente che la vuole sentir cantare al proprio matrimonio. Benché parli di frustrazione affettiva e sessuale? O proprio per questo motivo? E ho sfidato la prosodia e il ridicolo perché voglio informare questo tipo di gente dell'errore, o perché continuava a girarmi in testa e non ne potevo più? A volte tradurre una canzone è un modo per ammazzarla. Non spesso, ma è probabilmente il mio caso.

2. Naturalmente non è obbligatorio suonarla in Do, io una volta a un matrimonio l'ho suonata in Do ma non vuol dire. Se avete una traduzione migliore fatevi avanti, coraggio.

3. Dopodiché mi sono chiesto: ma sul serio Betsabea, una donna sposata, si faceva il bagno nuda sul tetto a rischio di invaghire un sovrano in grado di inviare il marito in missione suicida? E infatti no, è Davide che sta sul tetto del suo palazzo reale, da dove può vedere ciò che gli altri non sospettano. Apparentemente è un malinteso causato dalla struttura del verso "You saw her bathing on the roof", ma a quanto pare questa brutta diceria su Betsabea dura da secoli (su Internet trovi decine di blog che difendono l'onore di Betsabea) (su Internet trovi di tutto).

4. Queste ultime due strofe Cohen le scrisse ma non le incise; si trovano invece nella versione di Jeff Buckley che è poi quella che scatenò l'hallelujah-mania.

5. Lo so, lo so, ma una volta che mi è venuta in mente non sono più riuscito a non sentirla così nella mia testa. Voi senz'altro avete una traduzione migliore di overthrew ya, non è vero? È il colpo di grazia alla canzone moribonda, mettiamola così. Provate a suonarla a un matrimonio, adesso.

6. [Le tre di un mattino di fine dicembre, ti scrivo per dirti che qui è come sempre. Fa freddo in città però non si sta male, qui fuori c'è musica, è ancora Natale. E tu? Stai in campagna? E fai il solitario? E vivi di niente? Spero almeno tu tenga un diario].

domenica 27 ottobre 2013

Avresti dovuto scriverne 15

Lavoro

Andy era cattolico, con l'etica nella spina dorsale.
Viveva da solo con sua madre collezionando maldicenze e giocattoli.
Ogni domenica, quando andava in chiesa
s'inginocchiava e diceva:

È lavoro.
Importa solo il lavoro.

Andy era tantissime cose;
quella che ricordo di più,
è quando diceva "Devo portare a casa la pagnotta",
"qualcuno deve portare a casa il salame".
Arrivava alla Factory per primo,
se glielo chiedevi te lo diceva in faccia:

È lavoro
La cosa più importante è il lavoro.

Non importava cosa facessi, non sembrava mai abbastanza;
diceva che ero pigro, io dicevo che ero giovane.
Mi chiedeva "quante canzoni hai scritto?"
Ne avevo scritte zero, mentivo e gli dicevo "dieci".

"Non sarai giovane per sempre,
avresti dovuto scriverne quindici:

È lavoro
Quello che importa è il lavoro".

Mi ordinava di fare cose grandi:
alla gente piacciono così.
E le canzoni con le parolacce:
si assicurava che le registrassi così.
Andy adorava creare polemiche,
pensava che fosse divertente.

"È lavoro (diceva)
importa solo il lavoro".

Andy mi fece un discorso un giorno,
"Decidi cosa vuoi fare.
Vuoi espandere i tuoi parametri
o giocare al museo come un dilettante?"
Lo licenziai su due piedi,
si fece rosso e mi diede del sorcio.
Era la parola peggiore a cui riusciva a pensare,
non l'avevo mai visto così.

Ma era solo lavoro.
Pensavo che avrebbe detto "è lavoro".

Andy diceva tante cose, le custodisco tutte nella mia testa.
A volte, quando non riesco a decidere che fare,
mi chiedo: cosa mi avrebbe detto Andy?
Probabilmente mi direbbe: "Tu pensi troppo,
si vede che c'è del lavoro che non vuoi metterti a fare.

Ma è lavoro.
La cosa più importante, il lavoro".
Il lavoro.
Quello che importa è il lavoro.

Lou Reed (1942-2013), John Cale. Da Songs for Drella, 1990.

giovedì 29 agosto 2013

Perdere la testa per una ragazzina

Paperina questa cose non le fa più da un pezzo.
29 agosto - San Giovanni decollato (1-30 ca.)

Giovanni Battista è l'unico santo di cui festeggiamo sia il compleanno (24 giugno) che il martirio (oggi). Io per la verità da bambino pensavo che il Giovanni Decollato fosse un santo omonimo che avevano ammazzato buttandolo dalla finestra.

Invece Giovanni, come tutti sanno, fu decollato nel senso che gli staccarono la testa dal collo: un supplizio violento ma che esprimeva una considerazione per lo status della vittima: la crocifissione invece era una cosa da schiavi. A metterlo a morte fu Erode Antipa, tetrarca della Galilea satellite di Roma. Su questo le fonti concordano. Purtroppo le "fonti" sono i vangeli e l'ebreo romanizzato Giuseppe Flavio. Quest'ultimo dovrebbe essere un po' più affidabile, ma le sue Antiquitates Judaicae sono state interpolate per secoli, da copisti cristiani anche in buona fede, a cui sembrava impossibile che un cronista ebreo del primo secolo si facesse sfuggire notizie su Giovanni Battista e Gesù Cristo - così le aggiungevano loro, toh, ecco, adesso sì che è un testo completo. Quindi non è sicuro che Flavio abbia mai veramente scritto qualcosa su Gesù o Giovanni. Senz'altro non erano al centro del suo interesse: lui parla di politica, guerre, dinastie, e poi ogni tanto ci sono questi predicatori che fanno un po' casino, ma niente su cui valga la pena di imbastire un capitolo. Nelle Antiquitates si accenna a Giovanni come "un uomo buono che esortava i Giudei a una vita corretta, alla pratica della giustizia reciproca, alla pietà verso Dio, e così facendo si disponessero al battesimo". Questo sarebbe bastato al sospettoso re per incarcerarlo e, in un secondo momento, farlo ammazzare.
Un'eloquenza che sugli uomini aveva effetti così grandi, poteva portare a qualche forma di sedizione, poiché pareva che volessero essere guidati da Giovanni in qualunque cosa facessero. Erode, perciò, decise che sarebbe stato molto meglio colpire in anticipo e liberarsi di lui prima che la sua attività portasse a una sollevazione, piuttosto che aspettare uno sconvolgimento e trovarsi in una situazione così difficile da pentirsene.
Condannato a morte perché parlava bene. Non che non sia plausibile, da quelle parti, almeno in quel periodo, però è veramente troppo vago. Cosa avrebbe detto il battista di così pericoloso per l'ordine costituito? I vangeli di Marco e Matteo ci forniscono un'ipotesi ragionevole: Giovanni avrebbe protestato contro il matrimonio di Erode con Erodiade. "Non ti è lecito tenerla". E in effetti prima di stare con Erode, Erodiade era stata sposata col di lui fratello, che aveva litigato col padre Erode il grande e si era trasferito a Roma. Inoltre era figlia di un altro fratello di Erode, il maggiore, Aristobulo; anche lui caduto in disgrazia presso Erode il grande e fatto ammazzare. E se tutto questo vi pare un po' incestuoso, considerate che la mamma di Erodiade era una cugina di Aristobulo. L'endogamia della famiglia erodiana era tipica di altre dinastie regali del Medio Oriente, dai faraoni in poi, ma non degli ebrei. E in effetti gli Erodi erano ebrei sui generis: venivano da una regione di confine (l'Idumea), e malgrado Erode il grande avesse sposato una principessa di stirpe maccabea, molti sudditi li consideravano ebrei posticci, pedine dell'imperialismo romano. Criticare un tetrarca per i suoi costumi incestuosi poteva, insomma, avere un significato politico.

Miley Cirus scostati, questo è un lavoro per Brigid Mary Bazlen.
Miley Cirus, scostati,
questo è un lavoro per Brigid M. Bazlen.
Però è difficile fidarsi di Marco e Matteo. Sono pur sempre vangeli, ovvero resoconti della vita di Gesù. È normale che cerchino di presentare Giovanni come il precursore di Gesù, e non come il suo rivale. Eppure è possibile persino tra le righe degli evangelisti immaginare almeno un momento in cui i battezzati dovettero scegliere: con l'uno o con l'altro. O Giovanni o Gesù. Non dicevano proprio le stesse cose. I discepoli di Giovanni digiunavano, quelli di Gesù no; Giovanni si lascia andare a commenti pericolosi sulla famiglia reale, Gesù cerca di non fare politica (ma poi finisce comunque nei guai). Forse Giovanni era stato il maestro di Gesù (è lui a battezzarlo), ma poi quest'ultimo aveva preso una strada sua, e l'incarcerazione di Giovanni lo mise nella condizione di ereditare un po' del credito del predicatore rivale, che davvero in questo senso gli aveva aperto la strada. Eppure anche in carcere Giovanni continuò a diffidare del cugino (Luca li considera cugini: ma in nessun altro testo sembrano manifestare alcun tipo di familiarità), mandando i suoi discepoli a chiedere a Gesù se davvero è il Messia. Gesù non si limita a rispondere "sì", ma invita i giovanniani a verificare di persona: come si riconosce un Messia? Cosa dice il profeta Isaia al riguardo? I ciechi recuperano la vista? Fatto. Gli storpi camminano? Fatto. I lebbrosi guariscono? Questo a dire il vero in Isaia non c'è, ma crepi l'avarizia. Eccetera eccetera: i sordi odono, i morti resuscitano..."

"E gli schiavi?"
"Eh?"
(continua...)

venerdì 16 agosto 2013

Colloque séntimental


Plagio (1995)

Nel vecchio parco, tra i viali innevati
due antichi amici si sono incontrati.

Tra i freddi marmi e fra le grigie aiuole
ne echeggiano, leggere, le parole.

Nel vecchio parco, buio e raggelato
due spiriti rievocano il passato:

Rammenta, deh, la nostra estasi antica?
"No, francamente non ricordo mica".

Le vengo ancora giorno e notte in mente?
E quando sogna, sogna me?
 "Per niente."

Ah quei bei giorni in cui era dolce amarsi,
tra verdi siepi, noi due… 
"Può anche darsi".

E azzurro il cielo, e grandi le speranze!
"Venne poi Autunno a chiudere le danze".

Nel vecchio parco, dai viali innevati,
due spiriti si sono congedati.

Tra i freddi marmi e tra le grigie aiuole
si perdono, leggere, le parole.

domenica 21 ottobre 2012

11000 vergini +1

Apoteosi di Sant'Orsola
(Carpaccio).
21 ottobre - Sant'Orsola e co., per un totale di 11001 vergini e martiri (IV o V secolo).


Un ruolo tutt'altro che marginale, nella carriera dei Santi, ce l'hanno gli errori di trascrizione o traduzione. È per un errore di traduzione che Santa Cecilia diventa patrona della musica, lei che magari era pure stonata, chi lo sa. Dalle varie traduzioni possibili di "Tu sei Pietro e su questa Pietra" dipendono due o tre secoli di guerre di religione. Quanto a Orsola, era una classica vergine e martire tardo-antica venerata in zona germanica, possibile erede di una Ursel della mitologia norrena che si prendeva cura delle bambine morte. Sarebbe probabilmente sfumata nell'oblio, se un'iscrizione a Colonia (poi andata persa) non avesse avvertito che Ursula era stata martirizzata ad undecim milia, a undici miglia di distanza. L'ipotesi è che quell'"ad" sia diventato nel tempo un "et", e Orsola la protagonista di un genocidio barbarico, l'animatrice di un viaggio organizzato di undicimila vergini che scorrazzando per l'Europa di ritorno da un pellegrinaggio a Roma non potevano che incappare in qualche invasore senzadio, in questo caso Attila. Attila (figura ricorrente nelle saghe norrene) in questo caso gioca il ruolo prevedibile del bruto che si invaghisce della bellissima principessa britannica Orsola - già però promessa sposa a un altro principe, Aetherius che per lei si era fatto battezzare. Affranto dal diniego, Attila la fa trafiggere da una freccia, e già che c'è martirizza tutte le undicimila, offrendo ai pittori dei mille anni seguenti la migliore occasione per impaginare uno femminicidio di massa. 

In effetti, Orsola potrebbe agevolmente ottenere il patronato delle donne che combattono la violenza maschile: è una leader naturale, decide lei se sposarsi o no e con chi, insomma è una tosta – nei limiti della protagonista di una leggenda medievale. Invece per adesso è patrona dei matrimoni felici, il che io trovo poco comprensibile visto che all’altare non c’è arrivata; cioè lo so anch’io che i matrimoni più belli sono quelli che non si realizzano concretamente nella loro avvilente quotidianità di pannolini e risse per il telecomando… ma non si trovava un’altra santa nel calendario con un matrimonio un po’ più felice (maledizione, ci sto pensando e non me ne vengono in mente). Orsola non ha nemmeno fatto in tempo a fondare, come qualcuno potrebbe pensare, le orsoline: ci ha pensato Sant’Angela Merici mille anni più tardi, a Brescia, con molte vergini in meno (ventotto, ma butta via). 

Lorenzo Pasinelli, martirio di Sant'Orsola e compagne

Altri vogliono Orsola martire sotto Diocleziano, ma ormai si è capito che Diocleziano è il martirizzatore impostato di default, quando non sai assolutamente cosa mettere metti “Diocleziano” e vai tranquillo che lui ne ha massacrate così tante, cosa vuoi che siano undicimila in più, undicimila in meno. Un’altra ipotesi è che fossero soltanto undici, o che accanto al nome di una compagna di Orsola fosse indicata l’età (XI) con un segnetto, uno sgorbio sfuggito allo scalpello, insomma qualcuno cominciò a leggerci l’abbreviazione medievale per “mille”, e subito la fantasia prese il volo: undicimila vergini! Calcolando che ogni martire musulmano avrebbe il diritto a 72, il martirio di Orsola e compagne avrebbe soddisfatto il fabbisogno per 152 martiri virgola sette periodico. Peccato che siano due paradisi diversi. No, anzi, è meglio così.

lunedì 1 ottobre 2012

Il virus Cicerone

30 settembre - San Girolamo (347-420), padre della Chiesa.

Con quel che costava la pergamena, usarla così, uhm, no. 
Oggi quando una ragazza muore di digiuno la gente dice: è colpa delle riviste di moda, e le riviste di moda dicono: è colpa della famiglia - ma nell'antichità? A chi si attribuiva la colpa in mancanza di foto patinate? Ai padri della Chiesa. A Girolamo, perlomeno, che su certe fanciulle della Roma-bene pare che facesse questo effetto: si appassionavano al suo eloquio, si lasciavano catturare dal suo personaggio un po' hobo  - quel tipo di snob figlio di patrizi che passa qualche anno in una comunità in Siria e poi torna con una certa aria di saggezza e i pidocchi nella barba - ne adottavano i costumi vegetariani, e dopo un po' rischiavano di lasciarci le penne. La giovane Blesilla  ci restò secca davvero, dopo qualche mese di dieta, e Girolamo cadde in disgrazia: dovette abbandonare la città. Non aveva ancora quarant'anni ed era già stato segretario particolare di un Papa, il padre Georg di Damaso I; alla morte di Damaso alcuni lo davano già per papabile, ma appunto: i romani possono sopportare molte cose, ma un papa convinto che nell'attesa del Regno dei Cieli imminente non sia più concesso mangiar carne, eh, grazie, anche no. Girolamo se ne tornò nei deserti della sua giovinezza tormentata, la cristianità ci perse un papa vegetariano e ci guadagnò la miglior Bibbia che poteva permettersi. Perché Girolamo, riparato a Betlemme, non ebbe più niente di meglio che riprendere le sue traduzioni del testo sacro in latino, rimaneggiarle ed espanderle. Ci mise altri quindici anni, ma alla fine la latinità aveva un testo leggibile, organico, comprensibile, alla portata di tutti (Vulgata, lo chiamarono), e a suo modo elegante, come doveva essere stato elegante quel patrizio romano sotto gli stracci da asceta che ostentava nei circoli romani.

L'influenza di Girolamo sulla lingua che parliamo milleseicento anni dopo è incalcolabile. Nel senso che davvero è impossibile capire quante parole gli dobbiamo. Un esempio qualsiasi, su milioni che si potrebbero fare: l'aggettivo "geloso". Deriva da "zelotes", un termine che compare due volte nell'Esodo tradotto da Girolamo; in entrambi i casi è riferito a Dio, e in entrambi i casi Dio sta chiedendo al suo popolo di non avere altro Dio. Insomma la prima gelosia della storia è la gelosia divina, di un Dio che si considera Unico ma evidentemente non ne è troppo sicuro - sennò tanta gelosia non avrebbe un senso. Prima della vulgata i latini non avevano una parola per "gelosia": ne avevano il concetto? A leggere Catullo pare proprio di sì, ma così come non marcavano una netta distinzione tra l'azzurro e il verde, gli autori classici non danno la sensazione di distinguere nettamente invidia e gelosia. Forse i concetti sono dei grumi di senso che prendono forma intorno alle parole: finché non esiste una parola, non c'è nemmeno il concetto. Forse non avremmo il concetto di gelosia, se Girolamo non avesse deciso di tradurre un certo termine ebraico in un certo modo.

È un anno che scrivo storie di santi sul Post - ho cominciato proprio il primo ottobre scorso. All'inizio non sapevo bene dove sarei andato a parare, ho proceduto per tentativi. A distanza di un anno mi sembra che il metodo sviluppato consista nella simpatia: si prende un uomo o una donna vissuti secoli o millenni fa, in contesti radicalmente diversi, e si tenta di trovarli simpatici. A volte la cosa è fattibile, altre volte è così disperata che diventa divertente. Come metodo, è il meno serio e il più anti-storico che si possa adottare. Le persone nate secoli fa, in contesti alieni, sono alieni. Non parlano come noi, non pensano come noi, non mangiano le cose che mangiamo noi (Girolamo era vegetariano in un mondo senza pomodoro e senza pastasciutta). Trasformarli in figurine simpatiche (o antipatiche) non serve probabilmente a nulla. E in certi casi è veramente impossibile. Come si fa a provare simpatia per Girolamo, un fanatico ossessionato dall'inferno, che si fece mantenere per tutta la vita dalla nobildonna (Santa Paola) a cui aveva fatto perdere la figlia (Santa Blesilla)? C'è che contrariamente a tutte le aspettative, questo fanatico ossessionato è un grande intellettuale, un bravo scrittore, un incredibile traduttore. E la sua Bibbia in latino è un dono, prezioso anche per quelli che a milleseicento anni di distanza non si considerano cristiani (continua sul Post...)

martedì 24 agosto 2010

Un giorno sfondo



Diceva d'essere un attore,
e anche un po' fotografo;
la sua vita era una commedia,
perciò era pure un comico.
Avrebbe fatto i milioni,
ormai stavano arrivando...
e nel frattempo cazzeggiava.

Si guardò indietro nello specchio:
tutti quegli anni, formidabili.
Posò lo stuzzicadenti
e rise un po' dei cazzi suoi.
Vedeva l'odio per sé stesso
già inciso nell'autoritratto
che avrebbero esposto a Brera
di fianco a un Tintoretto,
ma era in ritardo con l'affitto.

Spiegava: sono un musicista,
che ha questa ambizione:
che tutti possano ascoltare
il mio ritmo interiore...
Nel frattempo stava immobile
e diceva così:

È una questione di tempo,
vedrai che arriva il mio momento.
Io credo ancora nel mio sogno:
sto per spaccare il culo al mondo,
sto per spaccare il culo al mondo.

Non negava di esser bello,
aveva fatto anche il modello,
ma non mandava giù l'idea
di sfilare in mutande
(rendeva più in Autunno-Inverno).

E lavorava a un portale(*)
che avrebbe aperto a Natale.
Faceva tutto anche da casa
con il suo cellulare,
finché è rimasto senza credito.

Un gran lavoratore,
che non riusciva a stare fermo:
cercava ancora il suo Dio,
senza più credere all'inferno
(ma andava ancora a confessarsi).

Un uomo molto indipendente,
ma con qualche dipendenza;
un vero uomo libero,
(dormiva in case occupate);
aspettava un bonifico,
che ormai stava arrivando,
e nel frattempo cazzeggiando
mi spiegava così:

È una questione di tempo,
ma arriverà il mio momento.
Io ci credo un giorno sfondo,
spaccherò il culo al mondo,
spaccherò il culo al mondo...

Fatti spiegare il mio sistema,
mentre mi offri la cena,
ecco vedi,

Io sono un attore,
e anche un po' un fotografo;
poi la mia vita è una commedia,
il che fa di me un comico.
Vedrai farò i milioni,
vedrai vedrai che arrivano...

(*) Era il 2000, dopotutto. Succedeva persino a me.

venerdì 4 aprile 2003

Help, I’m a Rock

Gentile Camillo, che ti è successo?
Capita a tutti di sbagliare. A me spesso, e ho scoperto il modo migliore per rimediare: chiedere scusa. Lo so, è banale, è poco virile, però la gente accetta le mie scuse e pensa: in fondo è un bravo ragazzo.
E noi cosa dobbiamo pensare di te?

Gentili signori Leonardo non so come e Francesca Mazzucato,
sul blog Rolli ho letto di vostre poco cortesi polemiche nei confronti di un mio commento a un articolo del Boston Globe.
Riassumo: quell'articolo riportava le parole di ex prigionieri-detenuti a Guantanamo. Gli ex prigionieri sostenevano di essere stati trattati bene, seppure innocenti. Negavano le torture negli interrogatori, e dicevano di stare meglio lì che ora a Kabul. Pare che avessero anche i videogiochi. Vero? Falso? L'articolo però diceva questo.


No.
Stanotte l’ho riletto di nuovo, e non è cambiato: è vero che quasi tutti enthusiastically praised the conditions, ma nessuno nega le percosse. Un prigioniero afferma quello che dici tu, altri due parlano di percosse a loro e ad altri. Vero? Falso? Però l'articolo diceva questo. Tu l’hai letto un po' in fretta, per usare un eufemismo. Perché non chiedi scusa e passiamo oltre?

Secondo voi, invece, diceva il contrario, e io non saprei l'inglese. Possibile. Però conosco l'italiano.

Anzi, lo maneggi piuttosto bene.

E leggo, il 29 marzo, sulla Stampa (pagina 7, taglio basso), un articolo con questo titolo: "A Guantanamo da innocente, ma ci sono stato bene". Do you understand italian? No?

Yes, a littol.
Italian è quella lingua in cui, se un professionista fa una cappella, si scusa citando la cappella di un collega. Almeno però alla Stampa si sono accorti che a parlare è solo un afgano, non 18 (come scrivevi il 27 marzo, non “i detenuti afgani” in generale (come ribadivi il 29). Hai pestato una cacca? Pulirsi con la Stampa non è il massimo.

Capito-mi-avete? Non ancora? Ecco il sommario: "Uno dei presunti terroristi, liberato dopo 16 mesi per assenza di prove, smentisce Amnesty International".
Bene, dovreste aver capito
.

E invece no, perdonami. Dieci righe di intervista a un pesce piccolo smentiscono Amnesty International, il cui ultimo rapporto sulle carcerazioni americane post-11/9 si sviluppa per una quarantina di pagine. Tu l’hai letto? Beh, neanch’io, onestamente.

Se non è sufficiente, ecco un altro articolo, di oggi, prima pagina del primo giornale italiano: Il Corriere della Sera.
Heard about it?


Vagamente. (Sai che ho fatto una traduzione per la RCS? Sai da che lingua? Indovina). Non ho capito: dovrei essere impressionato dal nome “Corriere della Sera”? E il senso critico del lettore medio? Have you ever heard about it? There's plenty of it in the USA. Stiamo cercando d'importarlo in Italia, senza bombardare nessuno.

Riotta spiega che "circa 600 prigionieri, talebani o terroristi di Al Qaeda, come «combattenti illegali», non coperti quindi dalla Convenzione di Ginevra. Il Pentagono si giustifica con il fatto che Al Qaeda non è uno Stato sovrano, non ha siglato i protocolli del 1949 e non ha diritti particolari".

Se ho capito bene, allora anch’io posso essere torturato dal Pentagono, perché ho la tessera del Club di Topolino, e il Club non ha mai siglato i protocolli del 1949. Straccerò la tessera, però secondo me non è giusto. Avevo sentito parlare da qualche parte di Diritti dell’Uomo.

"quando la Croce Rossa ha visitato Guantanamo ha certificato che, tranne in un caso, le condizioni sono accettabili". Croce Rossa, Red Cross.

Lincami il rapporto della Croce Rossa. Traducimelo. Sono curioso. Nel frattempo resto fedele al rapporto di Amnistia Internazionale, Amnesty International.

Riotta, e io condivido in pieno, sostiene che comunque gabbie e cappucci sono un errore.


E allora perché impantanarti in questa polemica?

…Sostenere che siano da considerare "tortura" è una stronzata.

Purtroppo è una stronzata documentata in sede di diritto internazionale.
“Tortura” è una parola importante, non una coperta che si può tirare da un capo o dall’altro. Secondo la Risoluzione Onu 3452 dicesi “tortura” la violazione delle Standard Minimum Rules for the Treatment of Prisoners. Le trovi qui, se ti va le leggi, dopodiché sarai in grado di affermare, con coscienza di causa, se Guantanamo è tortura o no. (Temo che scoprirai che anche certe situazioni carcerarie italiane potrebbero rientrare nel concetto di “tortura”).

E poi cosa sono queste parolacce. Hai capito male. Tu pensi che questo sia un blog dove ci si diverte a insultarsi per il gusto di affermare la propria identità. Non è così. Qui c’è un umile Leonardo Non So Come che sostiene che hai deformato una notizia. Prova che non è vero, articolo alla mano. Oppure ignoralo, tanto è solo un Non So Come. Invece tu sei un giornalista stimato.
Oppure chiedi scusa: sei ancora in tempo.

Io non ce l’ho con te. Mi diverto solo un mondo a farti le pulci, a vedere che ti arrabbi.
Sono sicuro che tu puoi capirmi.

(Avvertenza: Questo mese i permalink non funzionano)

martedì 17 aprile 2001

Impieghi non meglio definiti del terzo tipo
PIÙ di due milioni di tedeschi sono occupati nel settore del no-profit, nel terziario…
(Gerhard Schröder, Lo stato sociale del futuro, "La Repubblica", 12 aprile 2001)

Due milioni di tedeschi nel terziario? Un po' pochini.
Più probabilmente, il cancelliere si sta riferendo agli operatori del no-profit, e cioè del Terzo settore.
Del resto, di terziario non parla più per tutto il resto dell'articolo, mentre si ostina a parlare di "imprese e organizzazioni di volontariato", "responsabilità civile"… (addirittura a un certo punto, si parla di "utili del capitale sociale che un'impresa accumula attraverso l'impegno civile": un'allegoria un po' inquietante).
Non resta che controllare: esiste in tedesco l'espressione Dritter Sektor?
…Pare proprio di sì. Il diagramma sopra (http://www.maecenata.de) ricorda qualcosa? Stato, economia (Wirtschaft)… e terzo settore. Insomma: tutto suggerisce una svista nella traduzione. Triste però, proprio in prima pagina. Di terzo settore si parla ormai da più di cinque anni (anche prima di Schröder). Ma ancora non sappiamo come si chiama.

Grazie a Riccardo (operatore del settore) per la segnalazione.

mercoledì 28 febbraio 2001

Let's go to Hell, boys
Buon principio di quaresima a tutti. Sì, oggi è il mercoledì delle ceneri e cercherò di essere in tema.
Venerdì scorso si parlava dei classici italiani all'estero. Mi è venuta in mente una cosa da mostrare.

"THROUGH ME ONE'S LET INTO THE CITY OF SORROW,
THROUGH ME ONE'S LET INTO EVERLASTING PAIN,
THROUGH ME ONE JOINS THE THRONGS THAT LOST THEIR MORROW.

JUSTICE MOV'D MY HIGH MAKER, NOT DISDAIN;
BY DIVINE POWER WAS I MADE, AND BY
SUPERNAL WISDOM AND FIRST LOVE SOV'REIGN.

NO THINGS WERE MADE, ERE CREATED WAS I,
IF NOT ETERNAL, AND ETERNAL I LAST:
LAY DOWN ALL HOPE, YE WHO STEP IN, AND CRY".

My eyes upon these dark-hu'd words ran fast
That high above a door were hewn in writ;
So "Hard" I said "on me their sense is cast".

Può piacere o non piacere (a me piace), ma credo sia comunque facilmente riconoscibile. È il principio del terzo canto dell'Inferno, tradotto in inglese. Fin qui nulla di straordinario. La traduzione rispetta però tutti i vincoli metrici dell'originale: la rima è concatenata e il verso è il pentametro giambico (il verso inglese più simile all''endecasillabo dantesco). E già questo sarebbe un exploit notevole. Infine: il folle (italiano) che ha fatto questo non si è limitato a quattro quartine, ma ha tradotto l'intera Commedia, Hell, Purgatory e Paradise, tutto.
È un'altra incredibile produzione wordtheque! Non ci contattano soltanto pazzi pericolosi, ma anche pazzi a loro modo ammirevoli, come questo ingegner Fanelli di Firenze, ex maestranza Enel, autore di svariate pubblicazioni di idraulica, che nel tempo libero si diletta di architettura, computer graphics, e traduce Dante verso per verso. Senza gridare al miracolo, come tanti autori di romanzi di sicuro successo.
The power of Dante’s language, dichiara, is so irresistible that sometimes, somehow, it can suddenly shine through this opaque screen. When it does, it gives the rash craftsman an exhilarating thrill. I hope that these few shafts of light can also break through to some of the readers (if any).
Io non ho la competenza né il tempo per verificare se l'inglese di Fanelli funzioni, ma mi piace pensare di sì. Tanta pazienza e modestia meritano menzione. Fate girare la notizia. Avete amici anglofoni che vorrebbero leggere Dante? Creiamo un piccolo caso net-editoriale... Let's go down, boys, let's go hell!

lunedì 26 febbraio 2001

"Perché - si chiede monsignor Frisina - presentare con tanta leggerezza e facilità personaggi così negativi come Eminem, che incitano alla violenza contro i genitori, all'odio razziale, alla trasgressione? È un problema della Rai, ma anche le tv private non possono sottrarsi alla grave responsabilità di essere più attente ai contenuti dei programmi". Don Sciortino, si chiede, a sua volta, "perché Sanremo va a cercarsi grane con un personaggio simile solo per inseguire una discutibile audience? È grave.

Ma è poi così scandaloso Eminem?
Può anche darsi che inciti "alla violenza contro i genitori, all'odio razziale, alla trasgressione". In inglese. E a noi italiani cosa resta? Un vago abbaiare anglofono su basi ben confezionate, in una manciata di video simpatici. E un'immagine di orgoglio razziale, questa sì preoccupante: vedete, anche un bianco può fare il rap (Eminem non è un tipo qualunque: è il bianco qualunque).
Ma qualcuno si è veramente preoccupato di tradurre i testi di Eminem? I ragazzini vegliano la notte compulsando il booklet del CD con a fianco l'Hazon Garzanti? Ma dai.
Io da piccolo ero andato a ripescarmi The End dei Doors, dove c'è quel verso che dice "Father – yes son? – I want to kill you". Ma era un inglese molto basico, come si vede. Invece non riuscirò mai a capire chi ascolta rap inglese in Italia. Bisogna avere una conoscenza della lingua, e perfino della cultura, molto approfondite, per capirci qualcosa.
Altrimenti, si simula. Ci si affeziona a qualcosa perché ci hanno detto che è bello. Ci si scandalizza, perché ci hanno detto che è scandaloso. Ama, odia, scandalizzati, consuma, crepa. Che lo facciano i ragazzini, passi. Ma anche i vescovi. Tirando fuori anche quello che è successo a Novi Ligure. Per carità d'Iddio.

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