Chiedo scusa a quelli che questo pezzo l'hanno letto ieri su Polaroid, ma ho pensato che non succede niente se lo metto anche qui.Sai che c’è? C’è che non vaSabato sera i
Lomas hanno suonato al TPO di Bologna. Non lo sapevate e non vi siete persi un granché.
Io l’ho saputo e ci sono andato, perché amo i Lomas e i loro pezzi. Cioè, “amo” è un po’ forte da dire a persone che hanno la barba (e i basettoni). Dirò allora che gli “voglio bene”. Sì: “voglio bene” va benissimo. Io voglio un gran bene ai Lomas e ai loro pezzi. A volte mi chiedo come sia possibile, da un punto di vista meramente statistico, che l’unico gruppo italiano degli anni ’90 a cui non abbia smesso di voler bene sia proprio nato a pochi km da casa mia (e non sia mai andato molto più in là).
Bisogna ricordarsi che nei ’90 la via Emilia era… “trendy” non mi sembra la parola adatta, eh? Assolutamente. Direi piuttosto che la Via Emilia era molto pompata…
esclusivamente sulla Via Emilia. Sulla via Emilia c’erano scrittori, musicisti, filmaker, artisti, giornalisti, che non facevano che parlare di scrittori, musicisti, filmaker, artisti, giornalisti sulla Via Emilia. La cosa poteva andare avanti all’infinito e mi dava una certa nausea. Sulle Feltrinelli della Via Emilia, io trovavo libri di scrittori della Via Emilia: li aprivo, mi mettevo a leggere e… rimettevo il libro al suo posto, perché si parlava di una ragazza che anch'io avevo incontrato, mentre passeggiava per la Via Emilia, e allora, insomma, mi suonava tutto così incestuoso.
Che poi, d’accordo, in teoria saremmo la regione più europea d’Italia “per offerta culturale”, ma in pratica finiamo per andare sempre negli stessi posti a fare le stesse cose: in dieci anni di consumo culturale ci siamo praticamente conosciuti tutti, ma proprio tutti, e non sto parlando di sei gradi di separazione. Per tacere del groviglio di relazioni sentimentali e sessuali che, ecco, appunto, taciamone.
I Lomas, in tutto questo? Apparentemente c’erano dentro fino al collo. Basta leggere i titoli delle loro tre raccolte: “
Modena, stazione di Modena per Carpi Suzzara Mantova si cambia”; “
Porci Ceramiche”; “
Mutina Punkae Lomas”; “
0.5.9. 1.9.9.8”. Bisogna aggiungere che 059 è il prefisso di Modena, che i suini e le ceramiche sono il principale contributo modenese al Prodotto Interno Lordo, che Carpi-Suzzara-Mantova sono le uniche coincidenze su cui l’altoparlante della Stazione FS tenga informati, da epoche immemori, i viaggiatori? Tutto questo però può suonare incomprensibile se abiti appena a… a… Casumaro.
E se i titoli degli album non ti hanno convinto, prendiamo quelli delle
canzoni: “Elena Morselli”, “Claudio Bellei”: sembra l’appello di una scuola media di Bomporto. (Non sto scherzando, io ho fatto e faccio le medie di Bomporto e avevo un compagno che si chiamava così). Però tutto questo localismo secondo me era riscattato da una cosa: i Lomas erano bravi. Di un tipo di bravura che non c’entra tantissimo col saper usare gli strumenti, quanto nel saper cogliere problemi universali con un linguaggio semplicissimo e divertente. Questo è il dono dei classici. E i Lomas, per me, sono dei classici.
Credo che non lo siano soltanto per me, ma per almeno una mezza dozzina di persone, con le quali a volte mi trovo e ci mettiamo a cantare che “dietro un banco c’è un mutuo che il cliente non sa”, oppure “non dire niente, non tacer nemmeno”, oppure “Oh Peggy Peggy uonderbra / non va più lontano di tanto il primo appuntamento”; o anche “lui suona male / ma sei peggio te che non conosci le scale”; oppure “lui verrebbe a prenderti stasera / ma tu trovi sempre un'altra scusa / bussi ma la porta è sempre chiusa / bussi ma nessuno ti aprirà" o anche "e sei tu sei come me non hai mai concluso un cazzo nella vita di concreto / e sei uscito dalle Medie con discreto"; e più spesso “Carpi, che è un posto come tutti gli altri /e sei tu che hai problemi, e non loro”.
E potrei continuare per parecchio, ma temo che mi stia divertendo solo io.
Infatti quelle che ho scritto, che a voi alieni potranno sembrare casualità sconnesse, per noi modenesi sono invece grandi verità della vita, che nessuno ha saputo raccontarci e cantarci meglio dei Lomas. Nessuno, in Italia e forse nel mondo. A me piacciono i Beatles, i Clash, i Lomas. Il resto viene da sé, è una naturale conseguenza: se mi piacciono quelli, mi devono piacere anche gli altri (un sacco di altri).
Poi, naturalmente, mi dispiace che al contrario degli altri due gruppi citati i Lomas non possano essere classici se non per una ristrettissima comunità di persone.
- A volte mi dico che non importa, anzi: i Lomas sono il simbolo di qualcosa di nuovo e importante: la Piccola Proprietà Intellettuale (un po’ come i blog, ogni tanto bisogna parlare un po' di blog). Non importa che tutte le orecchie del mondo ascoltino i Lomas. Ma sarebbe bello che in tutte le piccole città del mondo nascesse un gruppo autoctono e geniale come i Lomas. Prendete le loro canzoni e cambiate i nomi, cambiate i testi, fate quello che vi pare, non credo che s’incazzeranno, e se anche s’incazzano, poi gli passa. Sono anarchici e, se tutti gli anarchici fossero persone ammodo come loro, saremmo anarchici anche noi.
- Altre volte però mi domando se questa ossessione toponomastica non sia stato un po’ un modo per non crescere mai (anche se come uomini sono diventati grandi e lavorano fuori di casa). Varrebbe per loro quello che vale per molti scrittori, musicisti, filmaker, giornalisti sulla Via Emilia: che a furia di parlare di Via Emilia si sono persi sulla Via Emilia, come Pier Vittorio Tondelli quella volta che continuava ad andare avanti e indietro sullo stesso tratto per non perdere il segnale di MondoRadio (cfr.
Un Weekend postmoderno). E insomma, quando vi decidete, tutti quanti, a crescere e ad andare per il mondo? (Detta da me, questa frase, è come spiccare un salto per infilare con la testa un cappio al volo. Canestro!).
I Lomas a Bologna sembravano i marziani su Saturno. Fox tra un pezzo e l’altro continuava a dire: “Cioè, ragazzi… noi non vi vediamo, non vi sentiamo, non capiamo chi siete…” Probabilmente aveva ragione lui: non ci si vedeva e non ci si sentiva un cazzo. Ma questo sarebbe stato un problema come tanti sul palco del Left di Tre Olmi, o nella stalla di Libera a Marzaglia, o nel mitico mattatoio X, dove nel 1996 saltò la valvola quand’era pieno di fumo e persone.
A Bologna, invece, i Lomas non credevano semplicemente nella possibilità di comunicare con gli indigeni. E sarò anche stato anche il bere e il mangiare, siam d'accordo, che "dopo duecento birre siamo tutti fratelli, dopo trecento birre abbiamo tutti ragione", però... “Elena Morselli” è diventato un catalogo dei nomi degli istituti superiori modenesi; “Racconti di Modena Est”, senza l’omonimo cortometraggio, un flusso di in-coscienza di Fox. “Tortellino nero” ha funzionato anche, ma in coda nessuno si è accorto che Mucci da dietro i piatti stava cantando il pezzo inedito su Forza Nuova: acustica di merda, siamo d’accordo. Però.
Però non credo che nessun bolognese, davanti al palco, abbia avuto l’impressione che i Lomas cantassero per loro. E invece i Lomas ai bolognesi avrebbero tante cose da dire, secondo me. Non è questione di campanile, di gara a chi ce l’ha più lungo (comunque la Ghirlandina
è più lunga): ma l’understatement dei Lomas a Bologna è merce rara, bisognerebbe aprire uno spaccio da qualche parte, e darne via a chili, quintali di understatement sotto i portici bolognesi. Che Bologna è poi un posto come gli altri (e sei tu che hai problemi, e non loro).
L’ho fatta molto lunga, e mi scuso, ma ci tenevo. Il titolo del post è preso da una canzone di
Porci Ceramiche, dedicata a un amico che non viene più nel vecchio bar a bere con gli amici perché è diventato una promessa in qualche squadra di calcio locale: “Sai che tutti sanno ormai / che in Serie A tu giocherai / e se la tua squadra perde? / E se perde tornerai”.
I Lomas sono quel tipo di amici lì, per i quali una serata al bar con gli amici vale più di ogni cosa, compresa una folgorante carriera in Serie A. E serata dopo serata, briscola dopo briscola, i loro discorsi cominci a saperli a memoria. E pensi: ma si rendono conto che anche loro, con un po’ di sforzo, se non in Serie A almeno in C1 avrebbero potuto giocarci?
Poi forse hanno ragione loro: l’importante non è quel po’ di gloria che ti trovi per strada: l’importante è bere e mangiare tra amici in un posto ospitale, un banco del bar dove "a volte tiri fuori i tuoi gioielli". Io non lo so. Mi resta il dubbio.
(Se siete curiosi scaricate
qui)