Il governo italiano ha sospeso gli aiuti ai palestinesi

Il governo italiano ha sospeso gli aiuti ai palestinesi. Noi no. Donate all'UNRWA.
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domenica 19 maggio 2024

Sono sicuro che avete già condannato l'aggressione

Non posso davvero definirmi un estimatore di Gabriele "Chef Rubio" Rubini: in particolare ho sempre trovato il suo attivismo filopalestinese caricaturale e autolesionista. Detto questo, nessuno merita di essere pestato a sangue per le proprie idee; tutte le aggressioni si condannano, sempre. 

Non ho nessuna prova per sostenere che i picchiatori fossero filosionisti – come quelli un po' inquietanti che abbiamo visto sfilare e lanciare bombe carta a Roma il 25 aprile, infamando la memoria e la bandiera dietro la quale si nascondevano – sono sicuro comunque che le comunità ebraiche abbiano già preso pubblicamente le distanze da un fatto così grave, dando così anche un messaggio importante a certi fiancheggiatori, anche loro più dannosi che utili alla causa che sostengono di difendere. Questo è almeno quello che farebbe qualsiasi persona intelligente, in una situazione del genere, e quindi non vedo l'ora di pubblicare qui sopra queste prese di distanza, queste ferme condanne. Appena le trovo. Ma ripeto, sono sicuro che ci sono. 

Nel frattempo un educatore algerino che da dieci anni lavorava in un liceo privato a Roma ha ricevuto una visita dalla Digos che ne ha perquisito l'abitazione e lo ha rinchiuso presso il terribile CPR di Ponte Galeria (a proposito del quale consiglio a tutti l'ottimo reportage di Chiara Proietti d'Ambra per la trasmissione 100 minuti). Sembra di capire che verrà rimpatriato in Algeria, per quale motivo? Perché ha inneggiato a Hamas in una chat privata. Il che evidentemente viola una legge dello Stato italiano, anche se non si capisce bene chi l'abbia scritta. Forse nessuno, ma nei fatti funziona. In questi mesi ho visto sulle piattaforme che frequento gli sfoghi più diversi, compreso diverse esortazioni al genocidio, fatte da brave persone oneste e diciamolo, bianche, che nessun agente Digos andrà a perquisire, e che nessuno porterà in un recinto dove vengono sospesi i diritti umani e civili. Io nel mio piccolo, se provo a pubblicare su Fb un report sul genocidio a Gaza, steso da fior di giuristi, vengo un po' penalizzato perché a quanto pare sto divulgando "Contenuti forti e violenti". Ci resto un po' male, ma poi penso che domani continuerò a svegliarmi nel mio letto, e che nessuno per ora mi aspetta fuori casa per sprangarmi, né devo temere bombardamenti, insomma sono talmente fortunato che dovrei vergognarmene.

lunedì 22 aprile 2024

Dodici lettere, la prima è A


Stavo pensando di copiaincollare anch'io il monologo di Scurati; ma ho aspettato qualche ora e nel frattempo è rimbalzato in lungo e in largo. Anche se resta l'impressione che una volta in più il dibattito sia fuori fuoco, che si parli più del tentativo di censura (maldestro, come tutto quello che fa questo governo) che di quello che Scurati ci stava dicendo. 

Scurati ci sta dicendo che Matteotti fu ucciso dai fascisti, e sembra scontato; che Mussolini ne fu il mandante, e crediamo che sia un dato acquisito; che fu complice attivo di tutto l'orrore nazista, e che la cricca al governo queste cose fa proprio fatica ad ammetterle. Il che lo stesso Scurati ha potuto dimostrare proprio in questa occasione; forse è dai tempi di Galileo che a uno scrittore italiano non riusciva così rapidamente un esperimento.  

Scurati scrive: "Il gruppo dirigente post-fascista, vinte le elezioni nell'ottobre del 2022, aveva davanti a sé due strade: ripudiare il suo passato neo-fascista oppure cercare di riscrivere la storia. Ha indubbiamente imboccato la seconda via". Questa cosa forse ormai è più curiosa che importante; ma resta parecchio curiosa. Pensate a quante cose aa Meloni ha dovuto rinnegare per montare sulla seggiola dov'è adesso. Parlava di uscire dall'Euro, e ora fa carte false per ottenere i fondi UE. Faceva l'occhiolino a Putin, e ora è sdraiata sulla linea della Nato. Poi, certo, su tante cose è coerente; ma il sospetto è che se i sondaggi le dicessero che gli italiani vogliono più forza lavoro dai Paesi in via di Sviluppo, lei andrebbe ad abbracciare i migranti sulle spiagge, è fatta così. Non dico che rinnegherebbe sua madre, o perlomeno non riesco a immaginare una situazione in cui rinnegare sua madre potrebbe darle un vantaggio. Di parole ne ha dette tante, tutti ne dicono tante, ma ce n'è una sola che non riesce a pronunciare anche se le converrebbe da tutti i punti di vista, e quella parola è A....

An.....

Antifa....

Niente, non ce la farà. Tizi apparentemente più scafati di lei ce la fecero; bisogna anche ammettere che sulla seggiola ci si è seduta lei, e non loro. 


mercoledì 14 febbraio 2024

Questo non è fascismo (non è abbastanza serio)


Nel 1938 l'editore italiano di origine ebraica Angelo Fortunato Formiggini decise di protestare contro le leggi razziali nel modo più spettacolare, lanciandosi dalla Ghirlandina (la torre del duomo di Modena). Si dice che prima di lanciarsi avrebbe urlato "Italia" tre volte. Si dice: ma per un po' se ne dovette parlare sottovoce. I giornali non riportarono il fatto. Sotto il fascismo andava così.

Continuo a essere convinto che ogni volta che paragoniamo una situazione qualsiasi al nazismo (e al fascismo), noi esprimiamo per prima cosa la nostra scarsa fantasia. Il '900 è la nuova Bibbia, ci ha dato le parole che parliamo e i concetti che pensiamo, e non riusciamo a uscirne. Tra l'altro è un secolo di orrori, che fa impallidire quelli della Bibbia vera. Per esempio, chi paragona quel che è successo in Rai questi giorni a quello che sarebbe successo sotto il nazismo (o il fascismo), manca clamorosamente il punto. In un regime davvero nazista un cantante come Ghali... non sarebbe nemmeno nato, ma ipotizziamo che un Ghali relativamente biondo avesse detto davanti ai microfoni del Festival della Canzone Nazista "Stop al genocidio": come avrebbe reagito a quel punto un regime seriamente nazista?

Non avrebbe reagito.

Nessuno avrebbe risposto niente.

Avrebbe dato alla vicenda la minore importanza possibile. Meno se ne parla, meglio è.

 
Chi era davanti alla tv in quel momento (non moltissimi gli svegli) ne avrebbero parlato un po', nei giorni successivi, ma non così tanto, anche perché in sé la frase non dice molto: stop al genocidio, e ci mancherebbe, chi sarebbe mai favorevole a un genocidio? Nemmeno chi lo commette, di solito, sostiene di esserlo. E poi di che genocidio si tratterebbe? Alla radio ogni tanto parlano di un genocidio da qualche parte in Cina – gli uiguri? O forse in Congo, meno male che il nostro beniamino Ghali Biondo ci ricorda che esistono anche questi lontani scenari di guerra. Bravo Ghali Biondo, e sarebbe finita lì.

L'Eiar funzionava così. L'Eiar non improvvisava. Se avete dato un'occhiata a qualche cinegiornale Luce, sapete che non avevano nessuna remora a parlare di crimini di guerra. Purché fossero crimini imputabili agli inglesi, o ai sovietici.  

Invece nel nostro Paese, che chiamare fascista è offensivo (forse a questo punto è anche offensivo nei confronti del fascismo), un cantante ha cantato che non gli sembra giusto bombardare gli ospedali... e nel giro di poche ore il presidente di una importante comunità aveva scritto un comunicato in cui definiva inaccettabile, giuro, inaccettabile, il fatto che una canzone stigmatizzasse gli ospedali bombardati. Dal che cosa dobbiamo dedurre: che la comunità in questione è favorevole a bombardare ospedali? O piuttosto che il loro rappresentante non li sta rappresentando al meglio?

I cantanti di mestiere vendono canzoni, e se un po' di polemica li può aiutare, troppa rischia di essere controproducente per cui lo stesso Ghali, lo stesso Ghali! ha immediatamente tentato di stemperare la questione, dichiarando di avere scritto quel verso prima del 7 ottobre. E la sera successiva si è limitato ad aggiungere "Stop genocidio". Nient'altro.

Ed è scoppiata una crisi diplomatica.
Per Ghali. 
L'indimenticabile interprete di "Chi se ne frega dei tuoi ma, dei tuoi se, dei tuoi bla-bla".
Ghali. 

Se la situazione non fosse tragica, sarebbe persino divertente, perché davvero, non si è mai vista a memoria d'uomo una coda di paglia tanto grande, tanto in fiamme. Ghali ha detto "Stop genocidio", e il giorno dopo l'ambasciatore israeliano ha sentito la necessità di rispondergli, trasformando un cantante famoso tra i ragazzini nel nuovo punto di riferimento del pacifismo italiano. Merlo lo ha già definito antisemita, e come ti sbagli? Un'AI sarebbe stata meno prevedibile, magari Merlo ormai adopera l'AI, oppure l'AI adopera Merlo. Costretto da cotanti interlocutori a ritornare sull'argomento a Domenica In, Ghali non ha detto molto di più, ma tanto è bastato per costringere Mara Venier a leggere un comunicato della direzione, e se credete che tutto questo sia il fascismo avete una strana idea del fascismo. Questo è il risultato di un sistema mediatico che invece di troncare e sopire ogni dissenso, lo stimola e amplifica finché non diventa una crisi diplomatica. Questo è anche il disastro comunicativo che si verifica quando qualcuno che crede di avere ben saldo il controllo della narrativa scopre che non è così: un cantante qualsiasi ha notato che il re è nudo e non c'è più niente che si può fare. 

Ovvero no: si può continuare a sfilare nudi, portando a casa almeno un po' di coerenza e decenza, come il re della favola di Andersen. Invece il re che abbiamo visto all'opera in questi giorni sta passando il tempo a strepitare sui giornali e sui social che lui non è nudooooooo! basta dire che sono nudoooooo! Questo è un vestito finissimooooooo, posso mostrarvi le fatture dei sarti di fama mondiale, voi non lo vedete perché siete incompetenti. Saremo anche incompetenti, ma la sentenza preliminare della Corte di Giustizia Internazionale dell'Aja l'abbiamo letta; c'è scritto che i rischi di genocidio erano concreti e che Israele doveva prevenirli. Questo, alcune settimane fa: dopodiché il governo israeliano ha intimato ai profughi palestinesi di raggiungere Rafah, e ora sta bombardando Rafah. Un'altra cosa che il governo ha fatto è cercare di screditare l'UNRWA, che aveva fornito gran parte delle prove ammesse alla Corte. Ma per ora nessuna accusa è stata provata. 

Ora vi prego di seguirmi: se Israele, che doveva prevenire un genocidio, non lo sta facendo, e anzi sta distruggendo archivi e cimiteri – i segni della secolare presenza palestinese a Gaza – premendo la striscia come un tubetto di dentifricio sul varco di Rafah, si sbaglierà più di tanto Ghali a dire "Stop genocidio"? Che non vuol nemmeno dire che il genocidio ci sia già stato. Vuol dire che il rischio c'è, perdio, siamo a trentamila morti, due terzi civili, se avete paura a usare la parola in questo momento, per quale motivo al mondo abbiamo perso tempo a insegnarvela? Lo capite che tutta la Storia che avete studiato serviva a evitare di ritrovarvi qui, ora, di fronte a una catastrofe, con gli occhi chiusi per non vedere, e la bocca piena di se, di ma, di bla-bla, per non sentire?  

No, non solo Ghali non sbaglia, ma non dice niente di eccezionale. Quel che dice diventa eccezionale perché nessuno professionista ha il coraggio di dirlo. Ghali e Dargen D'Amico – quanto dev'essere frustrante passare anni e risorse a piazzare un po' di gente in tutto il sistema mediatico e politico, a blandire e minacciare, per poi scoprire che la gente dà retta a un tizio vestito da scemo che cantava Fottitene e balla? Di chi è esattamente la colpa, se Ghali e Dargen D'Amico sono più informati e attendibili della Repubblica e del Corriere? Quanto può essere ridicolo un Molinari che non pubblica l'intervista a Ghali finché non prende le distanze da Hamas, come se i lettori fossero più interessati alle lezioni di Molinari che alle parole di Ghali? Diteci ancora una volta, coraggio, che i giornali stanno sul mercato perché danno alla gente quello che vuole leggere.  

Come ha notato per esempio Anna Momigliano su Haaretz, in Italia di Gaza non si stava parlando molto, prima di Sanremo. E Ghali non ne stava praticamente parlando, prima che i filoisraeliani non lo stimolassero in tal senso. Convinti di avere dalla loro parte una cassa di risonanza che non funziona, anzi li stordisce, li convince di avere il polso di un pubblico che semplicemente non li conosce. Se sulla Repubblica non esce un'intervista a Ghali, non è certo un danno per Ghali. Sarebbe un danno per Repubblica, se non avesse chiuso, qualche anno fa.

lunedì 22 maggio 2023

Se l'Ucraina stesse perdendo, cosa ci racconteremmo?

Tra i libri che mi piacerebbe riuscire a salvare dalla muffa anche quest'anno (ma è sempre più difficile) c'è un classico dei mercatini dell'usato che potrebbe anche essere usato contro di me. S'intitola La nostra guerra ed è stato pubblicato nel 1942-XX dalla "Consociazione turistica italiana" (in seguito si sarebbe di nuovo chiamato Touring Club Italia).


Si tratta di un agile volumetto, dalla grafica razionale e pulitissima (c'è un font meraviglioso, il Semplicità) che spiega tutti i motivi per cui Italia Germania e Giappone, che proprio non avrebbero voluto fare la guerra, oh, alla fine si erano trovati praticamente costretti dal blocco plutodemobolscevico che li stritolava, e che comunque meglio così perché stavano vincendo tutto – l'Italia in particolare passava di trionfo in trionfo, con giusto qualche ripiego strategico in Africa – e che l'Eurasia del futuro sarebbe stata un luogo di pace e civile rispetto per i popoli. Un'ucronia, però non cupa e angosciosa alla Dick: una cosa molto istruttiva. La gente che la scrisse – e sapeva scrivere – viveva già in quell'eclissi della coscienza individuale descritta pochi anni dopo da Orwell: riuscivano a raccontare tutto come se tutto avesse un senso e mentre leggi per un attimo anche tu trovi che due più due faccia cinque. È solo un attimo, ma capisci che funziona, e che quindi può funzionare anche oggi: e che quindi ti conviene stare attento. Ho sempre avuto la tentazione di mostrarlo in classe, ho sempre avuto la paura di essere frainteso.

Ci ho ripensato un poco in queste ore, quando in capo a un mese in cui mi era capitato di leggere come i russi si fossero impantanati a Bakhmut, di come la Wagner si ritrovasse disperata senza più munizioni a Bakhmut, di come gli ucraini stavano eroicamente resistendo a Bakhmut, di come i russi con la loro economia devastata ormai non avessero più le risorse per prendere Bakhmhut e stessero abbandonando Bakhmut, ecco, sugli stessi organi di stampa ho letto per la prima volta che può darsi che gli ucraini si siano ritirati da Bakhmut – la quale Bakhmut poi, diciamolo, è un obiettivo assolutamente secondario che non senso intestardirsi a difendere, tanto più che è tutto macerie. 

Tutto questo è probabilmente vero; non voglio dare l'impressione di essere quello che la sa più lunga semplicemente perché diffida delle uniche informazioni che trova: è un atteggiamento che ho visto dilagare sui social e decisamente crea dei mostri. Non ho seri motivi per dubitare che a un certo punto la Wagner fosse in difficoltà, a Bakhmut, né che gli ucraini non vi abbiano resistito eroicamente, fino al momento in cui non restavano che macerie e non valeva la pena andare avanti. E che si trattasse di un obiettivo più simbolico che tattico ce lo diciamo da mesi, dopodiché magari ucraini e russi sanno cose che noi non sappiamo, ma se non le sappiamo è inutile fantasticarne. 

Prendiamo atto che anche sul fronte a vincere è per ora il pantano; l'offensiva russa è stata lenta e deludente, e quella ucraina per ora non si è vista: magari parte domani, capacissimo. Non posso comunque impedirmi di pensare – sono stato allenato a pensare – che se questa guerra la stessimo perdendo, le notizie che ci arriverebbero dal fronte non sarebbero molto diverse da quelle che leggiamo: i russi fanno fatica, i russi si ritirano, i russi non ce la fanno, i russi in effetti si sono presi una città ma era una città inutile, ormai sono spacciati. Significa che invece stiamo perdendo? Non necessariamente, ma nemmeno si può escludere. Zelensky è molto attivo in questi giorni, ha bisogno del nostro aiuto e non ha pudore a chiederne di più. Non è un fatto nuovo. È anche stato dal papa, e questo forse sì, è un fatto nuovo, perché Francesco in quest'anno è riuscito a mantenere, non senza fatica, una posizione terza che potrebbe tornare utile nel momento in cui si cominciasse a parlare di pace. Forse si sta cominciando a parlare di pace, il che però significa anche che non stiamo vincendo. 

Sulla guerra in Ucraina esistono sostanzialmente due narrazioni. Quella russa somiglia abbastanza a quella che troviamo sui vecchi libretti fascisti che conserviamo per capire come riuscivano a raccontarsela: è il solito imperialismo che quando è frustrato assume sempre tinte paranoiche. Gli ucraini erano russi, poi la Nato li ha corrotti, ma molti ancora vorrebbero essere russi, specie in Donbass, e i fascisti ucraini li hanno bombardati finché non siamo entrati per difenderli. È un copione che la Russia è pronta a recitare in tutti i Paesi confinanti e non vassalli: gli abcasi vorrebbero essere russi ma i georgiani glielo impediscono, i transnistriani vorrebbero essere russi ma i moldavi glielo impediscono, ecc. ecc. Giova ricordare che sia Abcasia sia Transnistria sono militarmente (non ufficialmente) occupate da militari russi. È il vittimismo tipico dei prepotenti sulla difensiva, in Italia lo conosciamo bene, lo abbiamo quasi inventato e continuiamo a praticarlo. Questa per quanto riguarda la narrazione russa.

Poi c'è la narrazione della Nato, che più o meno corrisponde a quella dell'Ucraina, e che per quanto possa avvicinarsi alla realtà in campo più di quella russa, non può per definizione essere la realtà oggettiva: questo per vari motivi. Il primo motivo che mi viene in mente è che l'oggettività non esiste, possiamo soltanto tirare una media di tante osservazioni soggettive, Pirandello, Heisenberg, e così via. Il secondo motivo è che la Nato ha i suoi interessi strategici, non è che appoggia le nazioni gratis et amore libertatis. Il terzo motivo è che nessuno in guerra dice solo la "verità". Se poi si passa ai giornali italiani, è molto improbabile che dicano la verità anche in tempo di pace, e quindi insomma è chiaro che non possiamo fidarci al 100% di Zelensky – che comunque, per tanti motivi, consideriamo assai più affidabile di Putin. Dobbiamo allenarci a fare la tara a tutto quello che sentiamo, senza scadere nel complottismo, e non è facile. Come facevano i nostri bisnonni? Ascoltavano l'Eiar, poi Radio Londra, e poi? Probabilmente stavano attenti soprattutto alle posizioni. A El Alamein, se avessimo vinto come titolavano i giornali, non ci saremmo ritirati. Allo stesso modo, a chi ci ripete che la guerra è necessaria e che la Russia va ricacciata dietro i confini del 1992, bisogna far presente con molto tatto che i russi oggi sono su posizioni più avanzate che un anno fa. Magari domattina comincia la controffensiva, magari Zelensky che oggi chiede armi a tutti dopodomani sarà a Mariupol e in giugno a Sebastopoli. Magari. Oggi no. L'economia russa che doveva cascare più di una volta, in un qualche modo tiene: se i cinesi si sfilano, gli indiani comprano di più e questo forse è sufficiente perché la situazione arrivi a uno stallo, uno stallo costosissimo sia in termini di risorse (russe e Nato) sia di vite umane (russe e ucraine). Uno stallo che potrebbe anche andare avanti fino all'autunno, cioè per un altro anno, e poi? È chiaro che noi avremo ancora per molto armi da buttare nel piatto – per qualcuno è anche un affare, teniamone conto. Anche i russi probabilmente avranno per molto tempo effettivi da mandare al fronte. Il primo serbatoio che potrebbe esaurirsi, a occhio, è quello degli ucraini: per quanto continuiamo ad armarli, non è che possano reggere all'infinito. 

A volte mi chiedo cosa succederà a molti attivisti pro-Nato quando all'improvviso la narrazione smetterà di dire "confini del '92" e si sposterà su "trattative di pace". È una domanda retorica: molte persone cominceranno non solo a chiedere la pace, ma anche a credere di averla sempre chiesta; perché è l'unica opzione logica, perché le vittime sono troppe, perché protrarre un conflitto di queste proporzioni sul suolo europeo è terribilmente pericoloso, e per tanti altri motivi che diventeranno improvvisamente ragionevoli tanto quanto era ragionevole, fino a poche ore fa, chiedere ai soldati ucraini di resistere tra le macerie di Bakhmut. Certo, è lecito cambiare le proprie opinioni. Spesso è indizio di spirito critico. A tal proposito, vorrei proporre a molti alfieri della Nato un esercizio: provate per una volta ad avere un'idea che non corrisponda a quella del Dipartimento di Stato USA. Anche solo per un istante, come in quei film di androidi in cui a un certo punto il protagonista umano si stagliuzza il braccio per essere sicuro di non essere, a sua insaputa, un androide; voi invece alla terza guerra che vi sembra giusto combatterla mentre i pacifisti sono tutti automaticamente Chamberlain; alla terza guerra che a un certo punto finisce in un mezzo disastro e non non se ne parla più, provate a formulare un'opinione su voi stessi, ci riuscite? I bot non è detto che ci riescano.

giovedì 22 settembre 2022

Non sei neanche fascista: non sei niente

È dall'inizio della campagna elettorale che l'approccio di molti interlocutori aa Meloni è chiederle se per caso è ancora fascista. Si capisce che qualcuno meno scaltro a questo punto sarebbe sbottato: sì perdio certo che son fassista, vincere e vinceremo, eja eja alalà, basta che mi facciate anche qualche altra domanda. Aa Meloni, invece, resiste: del resto è una vita che non fa altro, con strategie varie che dimostrano se non altro una certa creatività, ad esempio l'ultimo eufemismo è stato una cosa del tipo quando Fini disse che il fascismo era il Male Assoluto io non mi dissociai, e inoltre io aggiungerei che a piazza San Sepolcro lei non c'era (sul serio: non risulta dall'appello), se solo due indizi facessero una prova... insomma è dall'inizio della campagna elettorale che i giornalisti riescono a farle prendere le distanze dal fascismo senza alienarsi la base fascista, il che ci pone il solito problema: è brava lei o sono fresconi i giornalisti? O forse si sono messi d'accordo, a questo punto il dubbio è lecito.


È dall'inizio della campagna elettorale che mi sorprendo a pensare (sbagliando): se fosse fascista, aa Meloni, almeno sarebbe qualcosa. Mentre invece cos'è? Una che è fascista se tu sei fascista, draghiana se ti preoccupi dell'economia, putiniana se odi la Nato, ma invece riflettendo bene la Nato ti piace e allora ecco che aa Meloni ci riflette pure lei per un istante ed è atlantista, anzi lo è sempre stata. Ora questo in effetti è un carattere del fascismo italiano, che prima di essere un'ideologia era una banda di gente che cercava di arrivare al potere puntellandosi su qualsiasi ideologia fosse disponibile in quel momento: partivano socialisti (più soreliani che marxisti), si ritrovarono nazionalisti perché il quel momento il settore era un po' sguarnito ma promettente, avevano la loro dottrina sociale ma dovevano anche tenersi buoni gli industriali che li foraggiavano, eccetera eccetera. Insomma una certa perversa coerenza la tizia ce l'ha, ma chissà se ne è al corrente – voglio dire, parliamo di una che qualche anno fa era convinta che il 24 maggio fosse l'anniversario del Piave: ad associarla al fascismo storico si rischia di conferirle una profondità culturale che non merita. E un'etichetta antisistema paradossale: parliamo di una tizia che appunto, era già capocorrente AN quando Fini lo traghettava nel Polo delle Libertà e Salvini toglieva le rotelle alla bicicletta (e potrebbe averle tolte troppo presto), una che è stata già ministro, in particolare ministro daa gioventù e nessuno si ricorda cos'abbia fatto in quel dicastero – non l'ha fatto squattare ai tizi di Casapound e sorcerie consimili, è già qualcosa. Il meccanismo di fascinazione collettiva per cui a un certo punto ci convinciamo tutti che il tal personaggio tv è la Cosa Nuova della politica, anche se lo conosciamo da trent'anni e da trent'anni le paghiamo qualche stipendio qua, qualche gettone là, è davvero singolare – o forse si sono messi d'accordo i giornalisti, davvero. 

È dall'inizio della campagna elettorale che ci ripetiamo che aa Meloni vincerà: pare lo dicano tutti i sondaggi, che sbagliano sempre ma non possono sbagliare così tanto. Quello che sorprende di più è che non sembra dilagare al Sud, dove il M5S tiene, ma al Nord, dove molti ex elettori berlusconiani e leghisti dovrebbero spostarsi sulla faccia nuova (salvo che nuova non è affatto, ma si vede che è la più nuova che gli è rimasta: che la nostra voglia di facce nuove sorpassa di molto la nostra capacità di produrne). Ora, è pur vero che il centrodestra italiano dal 1994 ha sempre funzionato in questo modo, sviluppando etichette diverse che si adattassero al territorio a dispetto della coerenza interna: per cui i leghisti federalisti andavano tranquillamente in coalizione con i finiani centralisti anche se nessuno li vedeva mai nella stessa stanza. È persino possibile che una volta mandati questi fratelliditalia al potere, gli elettori del Nord non notino nessuna differenza con le gang berlusconiane e leghiste che ci avevano mandato fino alla scorsa legislatura, tanto sovrapponibili sono la maggior parte dei temi: prima gli italiani, morte al politicamentecorretto, abortire è un po' morire e così via. Certo, c'è il federalismo ma è sempre stata una carota che gli stessi leghisti mostravano all'asino che cavalcavano: un orizzonte sempre promesso, sempre differito, anche perché poi quando ci arrivi scopri che si tratta di spostare due o tre edifici ministeriali a Monza, e insomma forse è molto meglio sognarlo che realizzarlo. E non escludo che i fratelliditalia si scoprano anche loro federalisti, se gli fa comodo. Eppure: sul serio manderete in parlamento gente che non conoscete, di cui non avete mai sentito parlare, di un partito che fino a ieri da Bologna in su era il classico banchetto di quattro gatti, tra i Testimoni di Geova e i FirmaControlaDroga: sul serio avete deciso che questo è il partito che meglio può rappresentare le vostre istanze in parlamento? Certo, è chiaro che a questo punto Salvini vi ha deluso (per gli stessi motivi per cui vi avrà deluso aa Meloni tra sei mesi: perché non ha la bacchetta magica per riportare l'Italia al 1982): ma sul serio basta questo per travasare il voto settentrionale da un partito che è comunque radicato nel territorio, che può vantare migliaia di amministratori (tra i quali qualche personaggio valido e competente deve pur esserci, per statistica) all'involucro vuoto che sta sotto a una tizia famosa perché in un comizio ha detto sono una madre sono cristiana? Sul serio basta così poco

Siamo insomma già diventati presidenzialisti dentro, come gli americani? O persino peggio degli statunitensi che almeno tra un presidente e l'altro votano anche un Congresso che possa fare da contrappeso: mentre per noi alla fine ormai il parlamento non è che la cassa di risonanza del Leader che scegliamo tra una rosa di leader che non hanno ancora fatto in tempo a deluderci: Berlusconi via, Renzi via, Salvini via, Conte via, tocca aa Meloni: è così che funziona? Perché questo, vedete, è davvero il fascismo: che partiva socialista, diventò nazionalista, ma quando si trasformò in una forma di governo prevedeva esattamente questo: l'identificazione della volontà popolare nella figura di un leader, da acclamare di tanto in tanto attraverso plebisciti: il parlamento a quel punto diventava pleonastico e infatti a un certo punto venne chiuso. Il leader poi aveva un bel da fare ad accontentare la monarchia che lo aveva appoggiato, gli industriali che (non mi stancherò mai di ripeterlo) lo foraggiavano, e nel frattempo mimare una sensibilità sociale, con un'abilità che ai tempi ingannò molte persone e continua a illuderne un secolo dopo: il suo trono era sempre traballante e la necessità di puntellarlo portò a scelte scellerate. Allo stesso modo aa Meloni, una volta vinte queste elezioni, si troverà molte gatte da pelare, ma almeno potrebbe contare su un parlamento di perfetti sconosciuti che pigino tutti i tasti che vuole lei. Come siamo arrivati a questo? Il fondatore del fascismo almeno dovette penare un po', fondare dei giornali, bussare alle porte di industriali che li finanziassero, litigare coi socialisti, andare in guerra e ci poteva lasciare le penne, organizzarsi una marcia su Roma: tutto gli si può essere rimproverato (veramente tutto) ma non l'intraprendenza. E quando si trattò di scriversi una legge elettorale su misura, la dovette far scrivere ai suoi – non agli avversari. Guardando aa Meloni, ecco, non pare che abbia sudato tutte queste camicie: certo, sopravvivere da donna in mezzo a bande di ratti di fogna per più di vent'anni, lasciarsi esibire come foglia di fico di un fascismo dal volto umano dove il volto era proprio il suo, non dev'essere stata una passeggiata e glielo riconosciamo. Ma se bastasse questa fatica a trasformare un'arrivista in una statista, ecco, a questo punto ce ne saremo accorti. 

sabato 6 febbraio 2021

Meglio un giorno da pecorella

Lo so che ci sono tante cose più importanti e interessanti, ma ieri sera, provato dagli scrutini, sono restato su una poltrona e ho visto un po' del Cantante mascherato; quanto basta per scoprire Alessandra Mussolini sotto la maschera della pecorella. Ecco, per me questa piccola cosa è abbastanza interessante.


Mi ha fatto venire in mente un tweet o qualcos'altro di un americano o di un inglese, non mi ricordo più, che qualche mese fa scoprì tutto scandalizzato che la sopradetta Alessandra Mussolini, nipote di tanto nonno, invece di vivere per sempre marchiata dall'indelebile infamia, partecipava alla versione italiana di Dancing with the Stars (Ballando con le stelle). Anche in quel periodo c'erano tante cose più importanti o interessanti per cui anche se avevo voglia di rispondergli non l'ho fatto. 

Però ripensandoci avrei dovuto, qualcuno avrebbe dovuto rispondergli, ehi Mister, Sir, qual è il problema? Con tutti quelli che abbiamo, una Mussolini che balla è interessante? È vero, a differenza di voi imperialisti abbiamo avuto un dittatore certificato. Non c'è dubbio, è successo, e molti di noi hanno ancora un grosso problema ad accettarlo; resta fermo però il principio che le colpe del padre non ricadono sul figlio (tantomeno sul nipote). Quindi la signora Mussolini non solo ha fatto la ballerina, e l'attrice, ma è stata pure eletta in parlamento: ne aveva il diritto, si è candidata, e qualcuno aveva il diritto di votarla. Però alla fine non ha funzionato, e adesso fa l'ospite televisiva. Il che dovrebbe essere avvilente, ma per chi? Lei si diverte, la gente è moderatamente contenta di riconoscere una faccia nota, il cognome così terribile si associa un po' meno agli orrori del Novecento e un po' più alle copertine dei rotocalchi, e questo in qualche modo dovremmo sentirlo ingiusto. Per me è il contrario, e forse è una delle particolarità italiane che esporterei. La tv come camera di compensazione per i rampolli di famiglie celebri per il motivo sbagliato. 

Remembering China’s last emperor, Puyi, 50 years after his death 

Ho sempre trovato incredibile il modo in cui i comunisti cinesi trattarono l'ultimo imperatore, quel Pu Yi che pure si era macchiato di un tradimento e aveva permesso orrori che fanno impallidire quelli del nostro Mussolini e del nostro Savoia. Come sa anche solo chi ha visto il film di Bertolucci, quando i comunisti riuscirono a farsi consegnare Pu Yi dai sovietici, lo trasformarono in un... giardiniere. Non fu un trattamento indolore: dovette passare per un campo di rieducazione. Ma l'idea era potente: prendere l'ultimo erede di una dinastia, e di una storia millenaria, e trasformarlo in un cittadino qualunque. Una cosa del genere noi non potremmo farla – è ingiusto anche solo sognarla – però qualche buona idea a volte ci viene, ad esempio prendere il nipote di un re esiliato, o la nipote di un dittatore ancora rimpianto da molti italiani e trasformarli in celebrità sospese tra mainstream e trash. Per loro è sempre meglio che lavorare; per chi rimpiange i fasti dei nonni è un'offesa alla memoria, per noi che guardiamo è un modo per confiscare loro un'eredità che non hanno richiesto e che non meritano, nel bene e nel male.  

Quindi, o popoli: avete figli di dittatori da gestire, o eredi a un trono che non c'è più, e vi sembra ingiusto fucilarli? Mandateli in tv a ballare e cantare, in Italia facciamo così e secondo me funziona. Non fate il contrario, come gli americani, non mandate i personaggi televisivi in politica: quello sì che è pericoloso. (Allo stesso Trump, forse sarebbe bastato offrire di nuovo una stagione di The Apprentice e magari avrebbe acconsentito a lasciare la Casa Bianca con meno strascichi). 

(E ora che ci penso, quando ci lamentiamo di Renzi che continua a far politica, dobbiamo ammettere che lui a un certo punto ci aveva anche provato, a passare alla televisione; e non era una idea così sbagliata: dopo che aver vissuto per anni in quel trip egotico che è la politica ad alto livello, circondato e riverito da lacchè, quale altra cosa puoi fare, che ti produca una soddisfazione lontanamente paragonabile? La tv generalista funziona, ha salvato Giulio Ferrara, Claudio Martelli, chissà quanti altri. Avrebbe potuto salvare anche lui, e lui ci ha provato, non dite di no. Ha fatto quel documentario... l'avete guardato? Sì, lo so. È tv generalista, bisogna essere molto stanchi o disperati. Tra un po' bisognerà pagare qualcuno per guardarla).

(Ho chiesto in classe: avete visto il Cantante Mascherato? Nessuno. E li capisco, però comincio ad aver paura). 

(Ma insomma quando qualcuno si mette a dire che Renzi è un sagace politico, ricordate un attimo che si è dovuto rimettere a far politica perché neanche in tv funzionava. Cioè la politica come camera di compensazione della camera di compensazione).

martedì 21 luglio 2020

Schizogene e la sposa inventata

– Il dibattito su Indro Schizogene Montanelli, che si è trascinato per quasi un mese, ci ha lasciato pochi punti fermi e uno è lo stato necrotico del giornalismo italiano. Invece di discutere il contesto, di improvvisarsi storici o antropologi, i giornali riguardo a Montanelli avrebbero dovuto fare una sola cosa, molto semplice: andare a verificare la notizia. Magari non nel 2020, con tutti i problemi del lockdown; ma se ne parla già da un anno buono, il pubblico sembra interessato, e da Fiumicino partono voli per l'Africa orientale tutte le settimane: c'era il tempo e l'agio per mandare un reporter in Eritrea a controllare se risultasse un "Indro" nato nel 1938. Visto che è lo stesso Montanelli a raccontarci che Fatima (o Destà) aveva dato il suo nome al primo figlio. "Indro" è un nome strano in italiano, figurarsi in tigrino. Dovrebbe stare sull'ottantina: magari ha avuto figli, magari qualcosa hanno sentito raccontare della nonna. Ecco, una volta si pensava che i giornalisti dovessero fare questa cosa, la caccia alle notizie. Almeno provarci. Invece tra 2019 e 2020 siamo stati più di un anno a discutere una storia che ha una fonte sola: e questa fonte è lo stesso Montanelli, che ogni volta la raccontava un po' diversa.  Prima si chiamava in un modo e aveva dodici anni, poi si chiamava in un altro modo e ne aveva quattordici, ecc. ecc. Finché qualcuno giustamente non si è domandato: ma non potrebbe essersi inventato tutto? E nessuno ha sentito la necessità di rispondere.


Ma pensa se davvero si è comprato la foto
 in un mercatino, e poi la mostrava ai colleghi
appesa accanto a quella delle altre mogli.
– Su Montanelli forse avevo ragione quando scrivevo: tiratene giù il monumento prima che il giornalismo italiano prenda la decisione di difenderlo a tutti i costi, prima che ne faccia il suo Fort Apache. Troppo tardi: e così ho potuto leggere e sentire cose straordinarie. Montanelli innamorato. Montanelli che voleva diventare abissino. Montanelli che va relativizzato perché anche nella Bibbia fanno i sacrifici umani (ma veramente no, nella Bibbia non li fanno; ma anche se li facessero, cosa c'entra la Bibbia col 1936... vabbe'). Montanelli giustificato così, Montanelli giustificato colà, neanche fosse un ricco vivo che vi tiene a libro paga, no: l'arte che avete imparato per tenervi a galla tra salotti e redazioni la state impiegando per relativizzare un tizio che se ne strafotteva e raccontava allegramente avventure africane vere o immaginate. E più ne parlavate, più ci confermavate l'unico fatto concreto: ovvero che il tizio si fosse affittato una ragazzina. Le vostre chiacchiere sfumano, e il fatto resta lì incontestato. Ma è questo sul serio il vostro mestiere?

– Di Montanelli forse ho avuto torto a fidarmi. Dettaglio imbarazzante: 19 anni fa, appena tornato da Genova, le pale degli elicotteri ancora nelle orecchie, mentre cerco di scrivere qualcosa di leggibile per le dieci persone che mi leggono e si stanno preoccupando, scopro che IM è appena morto e gli dedico il resoconto che sto scrivendo. Non sono mai stato tanto lontano dalle sue idee, che in quel momento non mi interessano minimamente. Della sposa bambina avevo già sentito parlare e mi sembrava un dettaglio lontanissimo nel tempo, impossibile da accostare all'anziano giornalista che faceva parte del mio paesaggio mediatico sin da quando ero bambino. L'unica cosa che mi muove in quel momento è l'immagine mentale del reporter con la macchina da scrivere sulle ginocchia, il mito del reporter che scrive mentre osserva e scrive solo quello che osserva. Precisamente il monumento che gli hanno fatto. E che al di là di ogni considerazione sugli abusi coloniali, probabilmente non si merita.



– Per me Montanelli era questo: un tizio con opinioni terribili ma un certo rispetto per la verità. Questa cosa m'interessava salvare: ho un approccio storico, m'interessano le testimonianze, non i moralismi. Se avesse avuto scrupoli morali, avrebbe cercato di occultare l'episodio: meno male che non li aveva, meno male che non hai mai pensato di chiedere scusa (come se chiedere scusa servisse a qualcosa) (sul serio, se avesse chiesto scusa 50 anni dopo la statua non gliel'imbrattereste lo stesso?) Finché non ho letto questo pezzo che mi ha messo in crisi. In effetti un tizio che ha raccontato di aver incontrato Adolf Hitler perché si era attardato a pisciare in un cespuglio potrebbe anche essersi inventato una sposa bambina. Perché? Per i motivi per cui i mitomani mitomaneggiano, e che cambiano col tempo: nel 1950 per vantarsi con gli amici, nel 1976 per trollare le femministe, nel 2000 perché ormai era troppo tardi per cambiare versione – come Enrico IV. Tutto plausibile, salvo i cortigiani che continuano a recitare a soggetto dopo vent'anni che il re è morto. E così continuiamo a discutere di una ragazza che magari nemmeno esiste, magari è una foto che IM si è comprato a un mercatino di Asmara. Oppure è esistita ed è la protagonista di un abuso coloniale, ma insomma, sarebbe utile saperlo. O no? Perché ho anche sentito dire questo, in questi giorni. Che alla fine non è necessario che Montanelli abbia abusato di una ragazzina: basta che se ne sia vantato. Non è che non abbia senso: alla fine anche una bugia può servirci a capire la psicologia di chi la racconta e di chi se la fa raccontare. Ma anche quella di chi ci casca, e a volte vuole cascarci.

– Di Montanelli ho sentito dire di tutto. Mi ha colpito la difficoltà di molti a contestualizzare non già le vicende di un graduato italiano nel 1936, ma i discorsi di un giornalista italiano nel 2000. Perché non chiedeva scusa? Perché le scuse non servono mai, e comunque riteneva di non aver fatto nulla di male. Perché ha cambiato l'età, che nel 1969 era 12 anni e nel 2000 diventa 14? Perché nel 2000 (anno 5 post Marcinelle) la pedofilia era diventata uno stigma sociale; sarebbe utile tenere conto che prima non lo era; a proposito, uno storico dovrebbe trovare interessante il fatto che racconti l'infibulazione, un dettaglio che nel 1969 avrebbe considerato ributtante o forse nemmeno conosceva. In ogni caso difficilmente nel 1976 o nel 2000 avrebbe potuto conoscere l'età precisa della ragazza africana dal momento che... non so, avete mai giocato con le figurine? Io da bambino avevo l'album Panini Espana 1982; non lo completai, ma scoprii nell'occasione che dei calciatori africani non veniva riportata la data di nascita. Non si sapeva. Nel 1982. Parliamo dei giocatori delle nazionali, non di abitanti della jungla. Può anche darsi che cinquant'anni prima Montanelli avesse accesso al certificato di nascita della sposa, ma è lecito dubitarne. Il vero discrimine in molte culture rurali (Italia compresa) è il menarca: prima si è bambini, dopo si è adulti, fine della questione. Montanelli insiste sul concetto, anche se ne parla col linguaggio di un giornalista del dopoguerra: non si abbassa a dire "mestruazioni", si limita a scrivere cose come "in Africa a quell'età si è adulte" e si aspetta che lo capiamo.



– Invece Montanelli noi non lo capiamo più. Non capiamo più quello del 2000, figurarsi quello che affittava ragazzine o sosteneva di averlo fatto. Tra i tanti che si affannano a giudicarlo ho trovato notevoli coloro che invece di adoperare il loro personale metro morale del 2020, cercano di fabbricarsene uno vintage: ovvero desiderano dimostrare quanto Montanelli fosse considerabile un maniaco sessuale anche per i costumi e i codici dell'Italia fascista. Col risultato indiretto di rivalutare i costumi e i codici di siffatta Italia. Ho letto cose come: quello che Montanelli faceva in Africa, in Italia sarebbe stato reato! Già, e questo era il motivo per cui certe cose venivano promesse ai volontari in Africa: Faccetta nera, l'avete mai sentita? Scrivono: ma il madamato era esecrato anche dal generale, dal tale politico. Sì ma forse a questo punto vi sfugge il quadro: il tale generale e il tale politico erano contrari al madamato in quanto razzisti che intendevano stabilire un regime di segregazione. È un dato acquisito dagli storici che la propaganda di regime abbia attirato i volontari con un'esca sessuale, e dopo i primi matrimoni abbia virato direzione.

– Abbiamo bisogno di mostri, così come abbiamo bisogno di eroi. La statua in effetti si potrebbe togliere (o museificare), ma poi toccherebbe individuare qualche altro feticcio e scoperchiare cose più noiose (il Risorgimento?) L'esigenza di fare di Montanelli un mostro sottopone alcuni antifascisti a una tale torsione che finiscono per riabilitare il contesto; per dimostrare che Montanelli era un mostro anche per le leggi fasciste e per i costumi fascisti, e per i fascisti che passavano e osservavano. E così dopo un lungo giro si ritorna all'archetipo degli italiani brava gente. Per quel che interessa, io non credo in una Storia di eroi, né di mostri. L'eventuale Montanelli-mela-marcia interessa molto meno del sistema che ha permesso, ispirato e tollerato le sue eventuali mostruosità.

– Se però accettiamo che Montanelli invece di un mostro sia un mitomane, c'è da riscrivere un pezzetto di Storia d'Italia magari non cospicuo ma trasversale. Alcuni dettagli di quello che sappiamo cambiano significato. Com'è noto, Montanelli dopo l'otto settembre fu arrestato dai tedeschi e tradotto in una prigione a Gallarate – dove fucilarono quasi tutti i suoi vicini di cella – e poi a San Vittore, dove tra i prigionieri conobbe un giovanissimo Mike Bongiorno e il cosiddetto generale Della Rovere – in realtà un truffatore infiltrato dai nazisti. Anche a San Vittore dopo un po' cominciarono le esecuzioni. A Fossoli finì fucilato anche il sedicente generale, su cui qualche anno dopo Montanelli scriverà un soggetto cinematografico per Rossellini (il ruolo sembrava tagliato addosso a Vittorio De Sica) e poi in un romanzo. Il generale Della Rovere è un prototipo dell'antieroe della commedia all'italiana, un imbroglione senza scrupoli che viene introdotto in una prigione per fare la spia, ma proprio grazie al suo istrionismo riesce a riscattarsi e dopo un'improvvisa alzata d'orgoglio muore da eroe come capiterà a Sordi e Gassman nella Grande Guerra. A questo punto però concedetemi il dubbio notturno: se il generale Della Rovere fosse un alter ego di Indro Montanelli? Se fosse lui l'imbroglione che teneva alto il morale dei prigionieri? Se nel romanzo Montanelli avesse esorcizzato il suo rimorso per essersi salvato la vita tradendo i compagni di prigionia, inventandosi un gemello buono che faceva tutto il contrario e moriva da eroe?

– La cancel culture (che per ora da noi è una più modesta imbratta-di-vernice-culture) si propaga attraverso prove di forza. Si individua un obiettivo e si martella finché l'obiettivo diventa indifendibile. Non ha così tanta importanza cosa abbia realmente detto o fatto l'obiettivo, quanti abusi abbia realmente commesso un Kevin Spacey o l'oggettiva incidenza del ruolo di Cristoforo Colombo nella diffusione dello schiavismo. Si individua un punto debole del nemico e si batte sullo stesso punto finché non cede. Non è che prima di Twitter si lottasse diversamente. A chi si sente sotto assedio consiglierei di dare un'occhiata ai punti deboli del nemico; di confondere le acque, magari mandando un'ambasciata a stabilire qualche punto fermo, qualche convenzione tra belligeranti (ad esempio: fino a prova contraria si è innocenti). Ai giornalisti italiani non consiglio niente perché nulla più hanno da difendere – giusto un'altra serata a raccontarsi quanto erano bravi, quanto erano furbi, nell'attico di un quartiere abbandonato. Che Montanelli li abbia presi per il culo tutta la vita: che si sia fatto trattare da maestro mentre li stordiva di frottole, è una circostanza che troverei appropriata – una volta dimostrata.

martedì 6 novembre 2018

Quanto fascista sei? (no, adesso, seriamente).


C'è stato un momento, almeno io me lo ricordo, in cui tutta l'internet italiana non discuteva della fine del fidanzamento di Salvini, e nemmeno delle opinioni di Calenda sui videogiochi. E di cosa discutevamo in quei giorni? Del fascistometro di Michela Murgia. Una simpatica trovata pubblicitaria che ha fatto arrabbiare molti lettori, difficile adesso ricordare il perché. Forse perché il fascismo è una cosa un po' più complessa. Ecco, probabilmente il motivo era quello. Sarà per questo che a un certo punto, mentre avevo molte altre cose da fare, mi sono ritrovato a concepire un fascistometro alternativo, molto più rispettoso della complessità del fenomeno. Eccolo qui, e spero che non vi spiaccia troppo. Tanto anche se vi spiace ci cascherete lo stesso. Si fa in un paio di minuti, giuro.

Clicca qui per accedere al test: Quanto fascista sei?

venerdì 27 luglio 2018

Hai il diritto di fare il razzista, io di fartelo notare

[Questo pezzo è uscito ieri su TheVision]. Capita un paio di sere ogni estate. Mentre cerco di parcheggiare sotto casa, trovo una camionetta della polizia. Lì per lì non ci faccio caso. Poi verso le dieci di sera, invece dei soliti echi di pianobar, comincio a udire cazzate alla finestra. Ce l'hanno coi musulmani, con l'Europa, ancora loro? Sono arrivati i tizi di Forza Nuova, più puntuali e molesti di un circo Togni. Sono sempre una ventina, probabilmente nel pulmino non ce ne stanno di più. Non fanno numeri di giocoleria, sanno solo sventolare tricolori, uno per braccio, forse nel tentativo di sembrare il doppio. Non mangiano spade, non sputano fuoco, al massimo sempre quelle tre cazzate, l'Europa è Cristiana Non Musulmana e così via. La gente transita un po' perplessa: il mio piazzale è equidistante tra un kebab e la gelateria. Ma in fondo che male c'è. Hanno diritto di dire quello che vogliono, no? In Italia c'è libertà di parola, e quindi perché non occupare un parcheggio con venti ragazzotti, quaranta bandieroni e un megafono e scandire per due ore "L'Europa è Cristiana, non Musulmana"?

E se io scendessi ad avvertire che hanno rotto i coglioni: non sarebbe libertà di parola anch'essa?
È una domanda retorica. Chi ci ha provato le ha prese un po' da loro, un po' dalla polizia: poi è stato denunciato e condannato a pagare multe da 2000 euro. Sembra insomma che la libertà di parola dei forzanovisti sia molto preziosa. Dev'essere il motivo per cui, ogni volta che me li ritrovo nel piazzale, tutto intorno è silenzio: il sindaco fa bloccare il traffico. Il sindaco in effetti non sembra mai molto entusiasta di trovarseli tra i piedi, ma in questura pare che ci tengano molto al diritto di parola dei forzanuovisti. Ci tengono talmente che di solito mandano almeno due camionette, più di una quarantina di agenti bardati di tutto punto, sicché i ragazzotti di Forza Nuova che vengono dal Veneto a sgolarsi sul concetto dell'Europa Cristiana non hanno solo due bandieroni a testa, ma anche due o tre o quattro agenti di pubblica sicurezza che vegliano sulla loro incolumità e sulla loro libertà di espressione. Così la mamma è contenta, dev'essere una tizia assai apprensiva, tesoro, dove vai? Vado in Emilia Romagna a difendere la civiltà cristiana. Tesoro, ma sei sicuro? Tranquilla mamma, ci assegnano quattro agenti a testa, e li paghi tu con le tue tasse, sei contenta?

Se vuoi protestare contro il tour estivo di Forza Nuova devi trovarti in una piazza ad almeno 500 metri di distanza, e accomodarti dietro la transenna, dove ci sono i poliziotti più simpatici che spiegano ai cittadini che non ci possono fare niente, anche loro sono antifascisti, siamo tutti antifascisti, però ehi, la libertà di parola dei forzanuovisti è tutelata dalla Costituzione e quindi dietro la transenna e muti. Ché tra un po' il siparietto finisce, i ragazzotti tornano a casa in pulmino e i poliziotti si pigliano auspicabilmente una serata di straordinario in busta, win win e buonanotte. Vien da pensare che il senso sia tutto qui: questi sbandieratori da noi non se li fila nessuno, e dire che di razzisti anche qui sarebbe pieno, ma più che razzisti sembrano la caricatura. Non ce l'hanno un po' d'orgoglio anche loro, non si vergognano di essere trattati dalle forze dell'ordine come una specie protetta? Anche a Brescia, ho letto che la polizia li scorta mentre fanno le ronde, perché da soli non si azzarderebbero ad andare in giro nei quartieri difficili. Dunque, se ho capito bene: nei quartieri difficili di Brescia si sente la mancanza delle forze dell'ordine; da questa mancanza scaturisce la necessità di una ronda di Forza Nuova, e a questo punto la polizia ci va per scortare i ragazzotti di Forza Nuova che da soli in effetti potrebbero farsi male. Qualcosa non mi torna.

D'altro canto devono pur potersi esprimere: libertà di parola! Quel che non sopportano è che gli altri si esprimano su di loro. Alla vigilia della finale della Coppa del Mondo di calcio un giornalista sportivo molto vicino a Casa Pound scrive un tweet dove saluta la nazionale croata "completamente autoctona, un popolo di 4 milioni di abitanti, identitario, fiero e sovranista", contro il melting pot della selezione francese. Nessuno lo picchia per quel tweet, nessuno lo minaccia; qualcuno ridacchia perché ha scritto "melting pop" che come refuso è abbastanza geniale; molti lo prendono in giro, ma ehi, non si può piacere a tutti, no? Specie se manifesti insofferenza con tutti quelli che non sono "autoctoni", cioè più o meno chiunque. E sicuramente un po' di polverone aveva messo in conto di sollevarlo; non è un ragazzino. Però succede che prenda le distanze la Mediaset, nientemeno: e questo forse non l'aveva calcolato Il tizio in questione infatti non scrive solo su "Il Primato Nazionale / Quotidiano Sovranista": è anche un riconoscibilissimo dipendente dell'azienda, e Mediaset tra l'altro è in una fase delicata. L'approccio allarmista adottato in campagna elettorale nei confronti dei migranti si è molto stemperato, ormai è normalissimo ascoltare opinionisti in prima serata su Rete4 che spiegano che l'Italia ha bisogno di badanti, quindi di migranti – regolari, s'intende – che Salvini dovrebbe pensare a farne entrare di più di regolari, invece di prendersela con quei poveretti sui barconi. Insomma Mediaset sta correggendo il tiro, e così le redazioni giornalistiche e sportive approfittano del tweet del suo dipendente per prendere le distanze dal "contenuto razzista" del tweet. Apriti cielo. Come puoi parlare di "razzismo" per un tweet che difende il sovranismo degli autoctoni? Pare che non sia ammissibile (continua su TheVision).

venerdì 9 febbraio 2018

Marco Minniti ha visto un mostro


Marco Minniti è il ministro degli Interni. Già ai tempi di Renzi (e Letta), era sottosegretario con delega ai servizi segreti. Qua fuori magari c’è gente che si spaventa per un nonnulla, ma Marco Minniti, in virtù della sua posizione e della sua esperienza, è probabilmente la persona che conosce meglio di chiunque in Italia il quadro generale. Se fossimo alla vigilia di una rivolta di popolo, Minniti dovrebbe essere il primo a rendersene conto. Se fossimo alle soglie di una guerra civile, il primo a farsene un’idea dovrebbe essere lui. Tutto questo, che a noi può sembrare improbabile, se c’è qualcuno che può vederlo è Minniti.
Marco Minniti a un certo punto ha visto qualcosa di orribile. Qualcosa che nessun altro ancora ha visto, e che lo ha terrorizzato. E non ha terrorizzato un politico qualsiasi, uno di quelli che si allarmano per una sciocchezza e per mestiere; ha talmente preoccupato proprio Marco Minniti, da spingerlo a zelanti iniziative: a concludere accordi svilenti; a fornire, secondo Amnesty International, navi ai miliziani libici a cui è stato di fatto subappaltato il respingimento dei migranti; rinnegare quello che fino a qualche anno fa era considerato un tratto irrinunciabile della nostra identità nazionale: l’umanità. Tutto questo Minniti non può averlo fatto semplicemente per l’orgoglio di annunciare che quest’anno è sbarcato qualche migliaio di disperati in meno. O per spostare un po’ la lancetta dei sondaggi verso il centrosinistra. No. Se Minniti ha fatto quel che ha fatto è perché deve aver visto Qualcosa.
Lo aveva visto già sei mesi fa, lo ha ribadito ieri. Noi magari pensavamo che cinque milioni di stranieri residenti in Italia non costituissero un’invasione; che fossero, viceversa, quasi indispensabili al bilancio demografico e alla vitalità del Paese; che al netto del fenomeno della clandestinità, non delinquessero molto di più degli italiani; che contro di loro si stesse montando su tv e organi di stampa una squallida campagna di propaganda con evidenti finalità elettorali. Stolti che siamo stati. Se abbiamo creduto in tutto questo, è perché non abbiamo visto quello che hanno visto gli occhi da oracolo di Marco Minniti.
Deve aver scorto la sagoma di un mostro, tratteggiata in qualche rapporto top secret o sondaggio confidenziale: uno di quegli esseri impossibili alla Cloverfield, che è impossibile racchiudere in un solo sguardo perché sono più grandi di qualsiasi cosa, e sfidano ogni possibilità di essere descritti e definiti. Una Bestia assetata di sangue che in qualsiasi momento potrebbe sorgere dalle viscere dell’Appennino – basterebbe la minima sollecitazione, lo sbarco in Sicilia di appena qualche centinaio di stranieri in più. A quanto pare, però, questa orripilante creatura per ora si limita a far perdere la ragione a qualcuno. Ma ecco: se un leghista un po’ impressionato da quel che ha sentito al telegiornale si mette a girare per Macerata tirando a tutti gli afro-italiani che trova, Minniti se l’aspettava e non si è fatto trovare impreparato. “Traini, l’attentatore di Macerata, l’avevo visto all’orizzonte dieci mesi fa, quando poi abbiamo cambiato la politica dell’immigrazione”. Non c’è dubbio che la politica sia cambiata – quanta gente sia annegata a causa di questo cambio di politica, per contro, non lo scopriremo mai. La politica è stata cambiata, eppure questo non ha impedito a Traini di innervosirsi davanti a un Tg e di prendere la pistola in mano: oppure dobbiamo pensare che la tentata strage di Traini sia il male minore e che senza l’intervento di Minniti sarebbe successo qualcosa di molto più grave.
Qualcosa di più grosso ribolle nelle viscere di questo Paese e potrebbe risvegliarsi con un nonnulla, ad esempio una manifestazione antifascista. Il sindaco di Macerata ha chiesto ad ANPI, ARCI e CGIL di non venire a testimoniare la propria solidarietà ai feriti – un’attestazione di umanità che potrebbe infastidire la Bestia – e Minniti ha espresso soddisfazione. Ha anche aggiunto che in ogni caso è pronto a vietarle lui, le manifestazioni. A vietare anche una manifestazione antifascista. Promossa dall’Associazione Nazionale Partigiani d’Italia. Nella città dove un leghista si è esercitato per mezza giornata al tiro all’africano, e poi si è fatto trovare coperto dal tricolore davanti a un Monumento ai Caduti. Ai nostri ciechi occhi tutto questo parrebbe alquanto paradossale.
Ma diciamo pure che non è successo niente di grave, niente di cui ci si debba troppo vergognare o per cui ci si debba troppo allarmare. Salvini ha già spiegato che sono cose che succedono se in giro ci sono troppi immigrati; Renzi è disposto ad ammettere che ci sia stato un po’ di razzismo nel deprecabile gesto di Traini, ma “non sa se chiamarlo terrorismo”:  come se quella parola potesse infastidire la Bestia.


Una Bestia che a questo punto davvero ci si domanda che contorni possa avere... (continua su TheVision)

mercoledì 20 luglio 2016

Il convegno del Coisp è una grossa chiazza di merda sull'immagine della polizia italiana

Non credo di avere tra i miei lettori molti poliziotti, e visto l'andazzo non sono nemmeno sicuro di volerli avere: pensavo di scrivere un appello, ma non avrebbe molto senso. Secondo me ci devono arrivare da soli, e non dico i tesserati del Coisp che non so nemmeno che penetrazione abbia: ci devono arrivare tutti, a capire che un manifesto del genere, un titolo del genere, un convegno del genere, è un'enorme chiazza di merda sull'immagine delle forze dell'ordine.

E non importa quanti l'abbiano concepito e stampato - fossero pure quattro goliardi che hanno il numero di telefono dell'ex ministro e di quel povero ragazzo che una parte migliore dello Stato ha evidentemente lasciato solo: potrebbe anche averlo scritto e concepito un solo poveretto, ebbene quel poveretto sta cagando a spruzzo sull'immagine della polizia italiana. Credo sia un problema per la polizia italiana.

Poi sì, certo, è un problema anche per me; non tanto perché a Genova c'ero e leggendo questa cosa mi dovrei incazzare (a proposito no, non mi fa incazzare, mi fa solo tristezza. Alle provocazioni non reagivamo neanche 15 anni fa, figurati adesso che abbiamo la pancia, le occhiate, il mutuo, e in questura ci andiamo con le nostre gambe, anzi sulle nostre macchine non più di seconda mano). Non è più Genova il problema, non è Giuliani e non è Placanica, poveri ragazzi ridotti a bandierine.

Il problema è un padre di famiglia come posso essere io, che quando parla con uno di voi, in uno dei vostri uffici, mentre sbircia il calendario ufficiale e le bandierine delle missioni umanitarie pensa: speriamo che non sia del Coisp, speriamo che non sia uno di quelli che fa le battute con gli estintori e chiama pure Placanica a riderci su. Cioè non voglio dire che passo il tempo della stesura di un verbale a sperare di non aver davanti un poveretto rancoroso: ma il dubbio, anche solo il dubbio, io alla mia età non ce lo dovrei avere. Io dovrei fidarmi di voi, della vostra professionalità e della vostra dedizione. Se non succede, è un problema per voi, è un problema per me, è un problema per tutti.

Allora forse è un po' questo il punto: da una parte c'è gente che bene o male è cresciuta, diciamo pure invecchiata, chi meglio chi peggio; gente che il G8 ormai lo vive come una ricorrenza, quella settimana afosa in cui ti ritorna tutto in mente, gli elicotteri le salsicce l'anabasi in piazza Kennedy. Dall'altra chi c'è? Quelli che si caricavano ballando la techno dietro i container, quelli che si raccontavano le storie coi gavettoni di sangue infetto, come sono venuti su? Oltre alla pancia avranno messo un po' di senno? Voglio sperare di sì, non ce la farei ad alzarmi al mattino in Italia se non riuscissi a sperare di sì. Poi guardo il manifesto del convegno Coisp e penso vabbe', se nutri una personcina di titolacci di Libero e sfottò di Feltri, cosa vuoi che diventi da grande? Uno che chiama Placanica a ridacchiare su piazza Alimonda. Non dico il rispetto per i morti, che pure è una cosa nobile e antica: ma il rispetto per i vivi, per chi quel giorno aveva vent'anni e si è distrutto l'esistenza in un istante. Se non capisci una cosa del genere, come posso fidarmi di te? E magari giri pure armato.

lunedì 27 giugno 2016

Non volete che votino gli imbecilli? Non votate.

Potrà essere capitato anche a voi di intercettare, nel rumore di fondo di questi giorni, un'ondata montante di rancore verso il suffragio universale e il suo difetto strutturale - la clausola per cui il voto di un imbecille conta quanto quello di una persona istruita, onesta, rispettabile, insomma quel tipo di persona che è convinta di non essere imbecille mentre fa questo ragionamento.

Per quanto posso, vorrei rassicurare i più giovani: non è veramente niente di nuovo sotto il sole, il problema della demagogia era già ben avvertito dai Greci classici. I sofisti avevano notato l'incostanza delle folle prima che diventassero masse; Tucidide ci ha scritto qualche versioncina che almeno agli studenti del classico dovrebbe risultare familiare. Qualche tempo più tardi Montesquieu affrontò il problema della corruzione del principio della democrazia con parole che si potrebbero benissimo usare oggi per distruggere il concetto di democrazia diretta alla Beppe Grillo, ma forse varrebbe la pena scrivere tutto questo con le maiuscole: LEGGI COME QUESTO ILLUMINISTA DISTRUGGE BEPPE GRILLO! Nel frattempo in Inghilterra, con tutti i limiti del caso, stavano trovando anche una soluzione al problema, magari imperfetta ma non priva di una sua rude bellezza: la democrazia parlamentare, coi suoi meccanismi di delega, e la conseguente professionalizzazione della politica. E non siamo ancora alla rivoluzione francese. Per dire di quanto siamo ignoranti e autoreferenziali, mentre crediamo di aver inquadrato il problema del giorno, anzi del mese o del secolo: gli ignoranti votano! Sì, a cominciare da noi. Oddio, nessuno ci obbliga.

Però adesso c'è qualcosa di nuovo, dicono. L'insofferenza per i politici di professione, la "casta", l'"establishment". Ancora: la novità sta negli occhi di chi guarda, e di chi magari non ha mai dato un'occhiata ad altri momenti, altri Paesi: Giannini ce l'aveva coi partiti, Poujade ce l'aveva coi partiti, Mussolini ce l'aveva coi partiti. Hanno tutti avuto un po' di successo, chi per un quarto d'ora chi per vent'anni.

E internet? Perché qualcuno suggerisce che sia colpa di internet, che ha abolito i diaframmi - ora possiamo rispondere direttamente al politico sul suo blog, naturale che ci venga spontaneo immaginare di governare al suo posto, da casa, con un clic. Sì. A dire il vero la maggior parte della gente che frequento non usa internet per governare o anche solo fingere di farlo. Lo sport più diffuso nell'ambiente è guardare gli imbecilli. Abbiamo sempre saputo che esistevano, ma da un po' di tempo in qua non facciamo che ammirarli, linkarli, screenshottarli, e poi ammiccare coi compari: pensate che anche questi hanno il diritto di voto! Che roba, che vergogna. Dieci anni fa c'era il Grande Fratello, adesso la bacheca di FB. Non è neanche elitismo ormai, è una specie di bullismo benigno che affligge gente insospettabile. Molto spesso, lo si capisce, è gente che dai bulli le prendeva. Ora li guarda coprirsi di ridicolo sui social e ne gode, fortuna che tra i tasti c'è "Like" e non c'è "leva il diritto di voto a questo imbecille", probabilmente Zuck ci sta lavorando.

Ricapitolando: la demagogia è antica come la democrazia e l'ha già spesso stroncata sul nascere o in seguito; l'imbecillità è una costante della storia dell'uomo, ma prima di internet avevamo meno finestre per osservarla e forse era meglio così, l'imbecillità è ipnotica. La novità - perché secondo me una novità c'è - sta nella crisi. Non quella occasionale o ciclica, ma quella strutturale che sta affliggendo l'Occidente, e che ha tante concause e spiegazioni, ma io resto affezionato alla più banale di tutte: la Cina e l'India hanno tre miliardi di bocche da sfamare e ormai sono Paesi sviluppati. Serviranno ancora generazioni prima che il costo della vita in quei Paesi si alzi ai livelli dell'Occidente - a meno che l'Occidente non si inabissi, e forse questa sarà la soluzione. Nel frattempo la popolazione mondiale continua a crescere e a spostare l'equilibrio, e poi c'è il riscaldamento globale, insomma sarà molto complicato. Di fronte a questo scenario, diversi demagoghi occidentali hanno reagito in modi diversi ma non così dissimili: Trump vuole l'America "great again" e propone di risolvere costruendo un muro col Messico, come se non ci fosse già. Gli inglesi vogliono uscire dall'UE, così come gli scozzesi un anno fa erano tentati di uscire dal Regno Unito. In confronto da noi Bossi era lungimirante: chiedeva i dazi con la Cina quindici anni fa. Almeno aveva le idee chiare: invece i grillini non sanno bene cosa propongono (uscire dall'Euro?), ma sanno perché: bisogna dar fiato all'impresa italiana, crolli il mondo.

Quello che unisce Trump ai fautori del Leave e ai leghisti o ai grillini non è la polemica anti-establishment, che in fondo usano tutti, è come il giro di do a Sanremo (anche Renzi lo ha intonato). Se per un attimo smettiamo di considerarli imbecilli e ascoltiamo quel che vogliono in concreto, scopriremo che è molto chiaro e perfettamente comprensibile, vista la gravità della situazione. Vogliono alzare uno steccato che li protegga dalla competizione del Resto del Mondo. Vogliono un'America di nuovo Grande, una Britannia ancora impero, una Padania di nuovo rigogliosa di fabbrichette che si rimettano a macinare fatturati come se in Cina non sapessero ormai fare tutto quello che sappiamo fare noi a un quinto del prezzo. Siamo ovviamente liberi di considerarlo un rigurgito fascista, una nostalgia di anziani che non ha più senso cercare di convincere, o il riflesso istintivo del bambino che si rintana in un angolo mentre la casa crolla. Ma non è imbecillità. Non c'è nulla di stupido nel rintanarsi in un angolo mentre la casa crolla.

lunedì 9 maggio 2016

Fascista io, fascista tu

In questi mesi sapete quante volte avrei potuto tirar fuori tutto il nero che mi cresceva dentro, e invece no.

Tutte le volte in cui si parlava di premio di maggioranza, e avrei potuto far notare che l'inventore del concetto "premio di maggioranza" si chiama Benito Mussolini, e non l'ho (quasi) mai fatto, perché... boh, perché era troppo facile, forse un po' sleale.

Tutte le volte in cui ho sentito dire che la governabilità è importante, e che ovunque nel mondo se arrivi al 40% ti fanno governare lo stesso, salvo che non è vero, tranne forse in Grecia e in Ispagna; e avrei potuto far notare che in comune con questi due Paesi mediterranei abbiamo anche un passato di regimi totalitari; e non l'ho fatto.

E avrei potuto chiamare l'Italicum Acerbo-bis, ma non l'ho fatto, perché non sono tanto accecato dal mio antirenzismo da non notare la differenza tra la soglia del 25% prevista da Giacomo Acerbo nel 1923 e quella del 40% a cui Renzi si è fermato (certo, all'inizio voleva il 35%...)

E quella volta che in una bozza di riforma la Boschi aveva ribattezzato il Senato "Camera delle Autonomie", e aveva previsto che ne facessero parte ventuno membri nominati direttamente dal Presidente della Repubblica “per altissimi meriti nel campo sociale, scientifico, artistico e letterario". Ventuno. E avrei potuto scrivere ehi ehi ehi, guardate che l'Accademia d'Italia l'aveva già fondata Mussolini: sarebbe stato un goal a porta vuota, e non ho tirato (almeno ai tempi di Mussolini il Capo di Stato non avrebbe potuto usare un pacchetto così consistente per assicurarsi la rielezione, perché era già sovrano a vita).

E quando la Camera delle Autonomie è ridiventata il Senato, ma comunque un senato assurdo pieno di consiglieri provinciali nominati per cooptazione, quanto sarebbe stato facile parlare di Camera dei Fasci e delle Corporazioni? Ma non l'ho fatto: anche lì, troppo facile. Ma fuorviante.

E tutte le volte che ho letto un titolo sull'"ira di Renzi", e ho pensato che a quasi un secolo di distanza, il trucchetto di Mussolini funzionava ancora, e mi sono chiesto se Renzi fosse consapevole di copiarlo: ma me lo sono chiesto tra me e me, e non l'ho scritto da nessuna parte; perché pensavo che il mondo non avesse bisogno di un altro pezzo dove Renzi era paragonato a Mussolini.

Perché alla fine io non credo che Renzi sia un fascista, o più precisamente un Mussolini.

Certo, è sospinto da un'ambizione ugualmente smisurata. E tende, più o meno come tutti gli autocrati, a circondarsi di mediocri e allontanare i migliori. Ma non si è formato su Nietzsche e Sorel, non disprezza (così tanto) la democrazia parlamentare, non crede nel destino del popoli, non è un violento. Sulla crisi dei profughi, fin qui, è stato persino bravo. Quindi no, non ha senso cogliere nel mucchio tutti i piccoli dettagli che il renzismo ha in comune con quell'altra cosa. E di solito non lo faccio.

Poi un giorno il ministro Boschi mi fa notare che se voto no alla sua riforma costituzionale la penso come Casa Pound. 

E quindi, insomma.

Cara ministra, se io la penso come Casa Pound, lei la pensa come quel tale Giacomo Acerbo che preparò un premio elettorale per far vincere le elezioni a Mussolini. Mus-so-li-ni. Lo sa chi è stato il primo a vincere un'elezione col premio? Mus-so-li-ni. E allora sa cosa le dico, rispettosamente? la sua Camera dei Fasci e delle Corporazioni - pardon, il suo Senato di cooptati dalle regioni, se lo vota lei. Mi dispiace che non è riuscita a reintrodurre gli accademici d'Italia con le loro belle feluche, ma sarà per la prossima volta. Tenga duro, lo sa quanto ci mise Bottai? Ma forse preferisce che le dia del Voi.

Rispettosamente vostro, Eja eja, eccetera.

giovedì 10 dicembre 2015

I due populismi complementari

È un po' tardi, ma volevo condividere l'intuizione di mezzanotte: se il populismo di destra si caratterizza per la retorica del Nemico, ne consegue che in Italia di populismi attualmente ne abbiamo due, complementari. Questo in parte spiega la momentanea eclissi del M5S, che dopo gli attentati di Parigi non ha ritenuto necessario definire con maggior chiarezza la sua posizione in politica estera; in sostanza non ne ha una. Il fatto è che il populismo di Grillo e del suo comitato centrale è uno dei più curiosi al mondo, concentrato com'è sul Nemico Interno: il Politico. Viceversa il populismo di Salvini e della Meloni, che in mancanza di niente stanno opzionando quel che resta del centrodestra berlusconiano, si concentra sul Nemico Esterno: l'immigrato quasi sempre islamico e potenzialmente terrorista (Berlusconi non ci sta mettendo la faccia, ma il suo Giornale e i suoi tg sono già piuttosto allineati sull'argomento).

Messi assieme, Grillo e Salvini produrrebbero il populista perfetto; purtroppo, o per fortuna, sono inconciliabili. Al punto che nel momento più propizio per dare addosso agli immigrati, gli uomini di Grillo si sottraggono e mostrano il lato più umano (dopotutto anche loro hanno votato per depenalizzare la clandestinità); specularmente, quando passerà l'eccitazione collettiva per il terrorismo e scopriremo qualche altra Mafia Capitale, i grillini tireranno fuori gli artigli, ma Salvini si mostrerà molto più equilibrato, se non proprio garantista alla Berlusconi.

A un certo punto poi si voterà, e uno dei due populismi probabilmente arriverà al ballottaggio (sempre ammesso che ci si arrivi). Forse è inutile analizzare i trend elettorali, forse tutto dipenderà dall'ultimo fatto di cronaca importante: se sarà un attentato, Salvini; se sarà uno scandalo, Grillo. I due personaggi sono incompatibili, ma i loro elettori non lo sono affatto: anzi appartengono a un unico bacino che è in comunicazione anche coi serbatoi inesplorati dell'astensione. Poi c'è lo scenario hard - un ballottaggio tra Salvini e un grillino - e non mi sento di escluderlo a priori. Ah, nel caso voterò M5S: "Onestà" mi sembra meno pericoloso di "Stop Invasione". E poi in generale mi danno meno affidamento: al primo casino si rivota.

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