Estetica COMUNICAZIONE 21-22

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ESTETICA DELLE ARTI DEL

NOVECENTO

CORSO DI LAUREA:
COMUNICAZIONE E NUOVI MEDIA PER LE INDUSTRIE CREATIVE
AA 2021-2022
PRESENTAZIONE DEL CORSO

Articolazione in unità didattiche;


es.: UUDD di introduzione alla disciplina:
1. Introduzione: Difficoltà di definire lo spazio dell’estetica
2. Introduzione: La nascita dell’estetica
3. Estetica del Novecento: Benjamin, Merleau-Ponty, Valéry
4. Estetica del Novecento e Contemporanea: la questione
degli Schermi
PRESENTAZIONE

SCHEDA ESAME
1. argomento a scelta
2. commento brano
3. definizione concetto
4. confronto tra autori
5. riflessione personale
UD1

• Schema riassuntivo Unità Didattica 1: Difficoltà di definire lo spazio


disciplinare dell’estetica
UD1

• Ci siamo chiesti che cos’è l’estetica a partire dalla conoscenza pregressa, dal
nostro senso comune, dal nostro orizzonte ordinario di esperienza. Ne è emerso
che gli argomenti specifici sono molti, che vi è una idea diffusa di estetica
come filosofia del bello o filosofia dell’arte.
UD1

• Ancora non si è sedimentata la consapevolezza che


l’estetica, principalmente nel ‘700, secolo che ha visto la
nascita dell’estetica come disciplina, è anche filosofia
dell’esperienza sensibile che riconosce valore conoscitivo
alla sensibilità in un rapporto di continuità e non di
opposizione con la conoscenza razionale (con
Baumgarten), e filosofia dell’esperienza affettiva che
sfocia nel giudizio di gusto (con Kant).
UD1

A partire dai tentativi di risposta possiamo fare qualche


riflessione:
• a. l’estetica è disciplina di difficile definizione perché molti
degli argomenti elencati sono oggetto di studio di altre
discipline; il rapporto con le altre discipline è necessario alla
configurazione stessa dell’estetica (ad es.: chiedersi cos’è l’arte
significa tener conto delle trasformazioni dell’arte stessa, dunque
della sua storia); la ricerca di autonomia, il riconoscimento di
uno statuto proprio si lega a una eteronomia di fatto;
UD1

• b. l’estetica è disciplina di difficile definizione perché vi è una pluralità e


una diversità di oggetti tematici non riconducibili a un ordine, a un sistema;
possiamo riconoscere un legame analogico: gli oggetti tematici sono
rappresentazioni intuitive che contengono una componente di vaghezza, di
indeterminazione, di indistinzione e di oscurità;
UD1

• c. l’estetica è disciplina di difficile definizione poiché gli


argomenti elencati sembrano rifiutare un approccio
razionalizzante, ovvero sembrano contraddire la vocazione
filosofica dell’estetica stessa; l’estetica si presenta così
come un limite interno alla filosofia, una critica interna al
pensiero così come tradizionalmente lo si intende, cioè
come esercizio razionale, come pratica logica mirante alla
definizione di concetti, di categorie, dal valore necessario e
universale; l’estetica è esaltazione del particolare
dell’esperienza radicata in situazione, della dimensione
della possibilità (da qui il suo stretto legame con la storia).
UD 2

· Schema riassuntivo dell’Unità Didattica 2: Baumgarten e la nascita


dell’estetica
UD 2
• Per un verso l’impossibilità di definire l’estetica rende
difficile il percorrimento di una sua genesi,
l’individuazione di un padre fondatore; forse
occorrerebbe dire che c’è un intreccio di percorsi
genetici, che diversi sono i padri fondatori.
• Per altro verso l’attuale esigenza di uscire dalla
tradizionale identificazione di estetica e filosofia
dell’arte, che è tipicamente ottocentesca, quindi
storicamente collocabile, ha portato a un rinnovato
interesse nei confronti dell’estetica settecentesca. Durante
il settecento l’estetica si rivela filosofia sensibile,
filosofia dei sentimenti, oltre che filosofia delle belle arti.
UD 2
CHARLES BATTEUX E LE BELLE ARTI

• Batteux pubblica Le belle arti ricondotte a un unico principio nel 1746.


• Il principio unico è l’imitazione (mimesis); l’arte rappresenta la realtà.
• Le arti, distinte dall’artigianato sono: pittura, scultura, musica, poesia, danza.
• Le arti sono belle se rappresentano la bellezza.
• Da un punto di vista produttivo: l’artista prima coglie il bello attraverso
l’esercizio del buon gusto, nell’esperienza (V. mito di Zeusi), poi lo rappresenta
applicando delle regole.
• Da un punto di vista fruitivo: l’oggetto bello viene fruito indipendentemente
dall’uso. L’atteggiamento è contemplativo, di distacco.
UD 2
BAUMGARTEN: NASCITA DI UNA NUOVA
DISCIPLINA

Il termine Estetica, Aesthetica, compare per la prima


volta in un breve scritto di Alexander Gottlieb
Baumgarten, le Meditazioni poetiche, nel 1735. Si tratta di
un neologismo di origine etimologica greca. Era di uso
corrente aisthesis, sensazione, e l’aggettivo aisthetike,
sensitivo. La formazione del sostantivo aesthetica
rimanda all’ambito della sensazione, della sensibilità.
UD 2

· Nel 1750 nella sua Aesthetica Baumgarten afferma che


“L’estetica (teoria delle arti liberali, gnoseologia inferiore,
arte del pensare in modo bello, arte dell’analogo della
ragione) è la scienza della conoscenza sensibile” (ed. 2000, p.
27).
UD 2

• L’estetica dunque ha una varietà di accezioni, una pluralità semantica molto


ampia.
• La pluralità che Baumgarten indica all’interno della sua lunga parentesi, che
racchiude il problema delle arti e quello della bellezza, ha un comune
denominatore, un centro unificatore, la sensibilità.
UD 2

• L’estetica dunque ha una varietà di accezioni, una pluralità semantica molto


ampia.
• La pluralità che Baumgarten indica all’interno della sua lunga parentesi, che
racchiude il problema delle arti e quello della bellezza, ha un comune
denominatore, un centro unificatore, la sensibilità.
UD 2

• Il contesto culturale della nascita dell’estetica è quello dell’illuminismo


tedesco; determinante è la figura di Gottfried Wilhelm Leibniz (1646-1716)
protagonista del razionalismo ma attento alle istanze dell’empirismo.
• Le molteplici influenze ed esigenze furono ordinate da un suo allievo, Christian
Wolff (1679-1754).
UD 2

• Il wolffismo divenne un obbligato punto di riferimento


per la sua capacità sintetica, per il suo enciclopedismo e
per la sua capacità di mediazione.
• Le sue opere avranno una vastissima diffusione,
soprattutto all’interno del sistema universitario. Sui suoi
testi si formò lo stesso Kant.
• Le vaste articolazioni del pensiero wolffiano si
organizzano intorno alla distinzione, tipicamente
leibniziana, tra verità di ragione e verità di fatto.
UD 2

• Le verità di ragione sono quelle tradizionalmente


definite eterne, universali e necessarie (es. il
triangolo ha tre lati), le verità di fatto sono legate al
mondo mutevole dell’esperienza, relative a ciò che
accade ma che potrebbe non accadere (il triangolo
musicale è di metallo). Da un lato l’universalità,
dall’altro lato la particolarità contingente; da un
lato la necessità, dall’altro lato la possibilità.
UD 2

• All’interno di questo quadro gnoseologico Wolff si orienta verso una


rivalutazione della dimensione della particolarità e della possibilità, ampliando,
approfondendo quella che era stata una intuizione del maestro Leibniz.
UD 2

• Già il razionalismo di Leibniz presenta una determinante


correzione della filosofia di Cartesio, padre indiscusso del
razionalismo.
• Cartesio aveva affermato che si dà una conoscenza certa quando
le idee si presentano alla mente con assoluta evidenza. Questa
assoluta evidenza non deve lasciare spazio alcuno al dubbio.
• Le idee che si presentano in modo evidente alla mente sono
chiare e distinte. Chiare perché non vi è alcuna ombra, alcuna
oscurità. Ombra e oscurità che potrebbero dar luogo al dubbio.
Distinte perché perfettamente definite, tra di esse non c’è
confusione.

UD 2

• La conoscenza vera è quella certa che si fonda sulla


visione intellettuale delle idee chiare e distinte; non
si tratta degli occhi del corpo, ma di quelli della
mente. Gli occhi del corpo possono ingannare, i sensi
sono ingannevoli perché generano opinioni, non
verità. L’esperienza sensibile è molto svalutata.
• Secondo Leibniz invece occorre distinguere tra idee
oscure (che non rendono possibile l’identificazione
del proprio contenuto) e idee chiare (che lo rendono
possibile)
UD 2

• Leibniz parla di conoscenza “oscura” e “chiara”, “confusa”


e “distinta”, “adeguata” e “inadeguata” in un suo scritto
del 1684 tal titolo Meditazioni sulla conoscenza, la verità,
le idee. In questo scritto il filosofo distingue, all’interno di
una scala continua, diversi gradi di conoscenza.

• La conoscenza può essere:


Ø oscura o
UD 2

Ø chiara, la quale a sua volta è distinguibile in


• a. confusa o
• b. distinta, la quale può essere
• a. inadeguata o
• b. adeguata
MODULO A UD 2

Ø “Oscura” è quell’idea, o conoscenza, che non permette di riconoscere appieno


la cosa rappresentata.
• Es.: è ciò che accade quando ci si ricorda di un certo fiore o di un certo
animale, ma non tanto bene da distinguerli quando li si rivede.
MODULO A UD 2

Ø “Chiara” e “confusa” è quell’idea, o conoscenza, che è sufficiente


alle necessità della vita quotidiana e permette di orientarsi nella
comune esperienza, ma che non riesce a distinguere in modo preciso i
propri elementi.
• Es.: siamo in grado di riconoscere l’oro in base a certi suoi caratteri
sensibili: il colore, la durezza, il peso.
• Es.: i pittori sanno valutare cosa in un’opera sia fatto o meno a regola
d’arte, ma spesso non sanno render ragione del loro giudizio; essi
parlano di un certo “non so che”.
MODULO A UD 2

Ø “Chiara” e “distinta” è quell’idea, o conoscenza, frutto di una


analisi precisa dei propri elementi.
• Es.: un orefice è in grado di riconoscere più elementi particolari
dell’oro e di riconoscerlo tra i diversi metalli senza confondersi.

Ø “Chiara”, “distinta” e “adeguata” è quell’idea, o conoscenza, i


cui elementi sono tutti conosciuti in modo estremamente preciso.
Soltanto nelle scienze matematiche l’uomo può avvicinarsi a tale
livello di conoscenza.
MODULO A UD 2

Ø Solitamente l’uomo giunge a una conoscenza “chiara”, “distinta” e


“inadeguata”, ovvero non perfetta.
MODULO A UD 2

• Quali conseguenze?
• Innanzitutto la confusione non è oscurità. Mentre l’oscurità è una sorta di buio
della mente, la confusione è una sorta di effetto flou, di effetto alone.
• Secondariamente la conoscenza non è a una sola dimensione, come voleva
Cartesio, ma si arricchisce di aspetti, sicuramente diversi, non riducibili gli uni
agli altri.

MODULO A UD 2

• Si fa spazio una concezione gradualistica della conoscenza che non oppone


l’esperienza sensibile alla ragione, ma che allo stesso tempo continua a
privilegiare le verità di ragione le verità innate che non nascono dall’esperienza.
• Wolff cercherà di rendere più articolato e preciso il disegno leibniziano,
introducendo una distinzione tra parte inferiore e parte superiore della facoltà di
conoscere.
MODULO A UD 2

• Baumgarten considererà la conoscenza chiara e confusa il dominio specifico


dell’estetica.
• Non possiamo però ridurre totalmente il pensiero di Baumgarten a un esercizio
di critica wolffiana; il suo merito indiscusso è quello di avere scoperto che
l’estetica costituiva un campo di indagine specifico le cui leggi dovevano
dedursi, con rigore formale e razionale, dalla natura particolare di quel campo.
UD 3
L’ E S T E T I C A D E L N O V E C E N TO E L’ I MP O RTA N Z A
D E L L’ E S P E R I E N Z A : WA LT E R B E N J A MI N

• Walter Benjamin (1892-1940) è stato uno dei maggiori filosofi del Novecento,
ampiamente studiato negli ultimi decenni. Decisivi sono stati i suoi studi in
merito alla questione, attualissima, del rapporto tra arte e tecnologia, e in
merito alle trasformazioni della vita, in particolare cittadina, causata dal
diffondersi della tecnologia.
• L’opera più famosa di Benjamin è L’opera d’arte nell’epoca della sua
riproducibilità tecnica (1936).
• Del 1936 è anche L’origine dell’opera d’arte di Martin Heidegger.
• Si tratta di due saggi destinati a segnare profondamente la storia dell’Estetica,
in particolare quella del Novecento.
UD 3
WALTER BENJAMIN

• Gli approcci da parte dei due filosofi all’arte sono molto diversi:
• Martin Heidegger parte dal presupposto che l’opera d’arte è originale e unica;
di essa facciamo una esperienza contemplativa; l’opera d’arte (e Heidegger
pensa alla grande arte, alle Belle Arti, alla tradizione consolidata) è capace di
«aprire un mondo» e di farci cogliere la verità.
• Benjamin si concentra invece sulla contemporaneità e sulla trasformazione
dell’esperienza dell’arte e della produzione dell’arte attraverso le nuove
tecniche. Esempi di arte nate dalla tecnica sono la fotografia e il cinema. La
fotografia ci consente anche di riprodurre l’arte in modo seriale. Il cinema mira
a una esperienza di urto emotivo, di shock.
UD 3
WALTER BENJAMIN

• Il cinema trasferisce all’interno dell’arte l’esperienza tipica della vita della


metropoli, contrassegnata dalla molteplicità e dalla varietà degli stimoli, che ci
colpiscono ad ogni istante.
• Anche Heidegger parla di urto emotivo (Stoss), ma all’interno di una
concezione tradizionale della fruizione in termini di contemplazione, che
implica una presa di distanza e una eccezionalità dell’esperienza stessa.
• In Benjamin invece l’esperienza fruitiva dell’arte contrassegnata dallo shok è
di tipo immersivo e presenta degli elementi da analogia con l’ordinario, cioè il
quotidiano (es. clacson delle auto, immagini in movimento veloce, che
ritroviamo nel cinema).
UD 3
WALTER BENJAMIN

• In entrambi gli autori avviene una ripresa di alcuni aspetti delle origini
dell’estetica, ad esempio l’importanza dell’emotività all’interno
dell’esperienza, in particolar modo di quella fruitiva.
• Lo Shock e lo Stoss costituiscono delle forme di turbamento, di spaesamento,
di disorientamento.
• Entrambi gli autori riconoscono che nel Novecento occorre riflettere sul
rapporto tra arte e tecnica; se Heidegger sottolinea le differenze (insieme ai
rischi di una pervasività della tecnica), Benjamin sottolinea la continuità tra
arte e tecnica, le analogie, e le opportunità che le nuove tecniche possono dare
all’arte.
UD 3
WALTER BENJAMIN

• Ciò che sottolinea Benjamin è la trasformazione dell’esperienza fruitiva: non si


tratta più di fare esperienza dell’univocità dell’arte, del suo valore sacrale, ma
di una sua pervasività all’interno del quotidiano (arte di massa prodotta
dall’industria culturale) e dal circuito commerciale in cui l’arte, sempre più
monetizzata è inserita (grande arte).
• La fruizione diviene per Benjamin sempre meno contemplativa e sempre più
«distratta», veloce, breve.
• Importante diviene la figura del flâneur, che attraversa la città senza uno scopo,
che viene colpito dagli innumerevoli stimoli; il modello di esperienza non è più
quello contemplativo, bensì quello immersivo.
UD 3
WALTER BENJAMIN

• In merito al rapporto tra arte e tecniche che ne permettono la riproducibilità o la


produzione seriale, occorre ricordare l’ampiezza dello spettro semantico del termine
greco téchne (e del termine latino ars), che indica la produzione di qualcosa secondo
abilità, regole e metodi consolidati.
• Da Aristotele la téchne poietiké, cioè l’arte del poeta, è messa in relazione al fare
(poiein) regolato, metodico; potremmo anche utilizzare il verbo comporre, che
solitamente associamo all’arte del poeta. Poiein indica un mettere insieme secondo
ordine, utilizzando dei mezzi specifici, in particolare la parola ritmata.
• Benjamin recupera l’aspetto artigianale dell’arte, in particolare l’aspetto produttivo
che implica strumenti nuovi, macchine. Delle arti figurative si era sempre messo in
luce l’aspetto artigianale, manuale, tecnico, la necessità di utilizzare degli strumenti.
UD 3
WALTER BENJAMIN

• Le nuove arti figurative, come la fotografia e il cinema, producono immagini attraverso


strumentazioni che vanno a rivoluzionare l’idea di immagine, di arte dell’immagine, di
arte tout court.
• lettura
• Il cinema diventa per Benjamin particolarmente importante, poiché è immagine-
movimento, implica una esperienza sensibile ed emotiva molto forte, molto simile a
quella dell’esperienza quotidiana all’interno della metropoli.
• Il rapporto tra arte e vita, tra arte e dimensione ordinaria dell’esistenza diventa più forte.
L’arte entra nella vita attraverso la sistematica riproducibilità tecnica. Il pubblico si
allarga fino a raggiungere gli strati popolari, solitamente estranei alla fruizione artistica.
Benjamin aveva ben compreso il nascere dell’industria culturale.
UD 3
L’ESTETICA DEL NOVECENTO E
L’IMPORTANZA DELL’ESPERIENZA:
MAURICE MERLEAU-PONTY

• L’estetica di Maurice Merleau-Ponty (1908-1961) si inserisce all’interno di una corrente


dell’estetica del Novecento, quella fenomenologica.
• Padre indiscusso della fenomenologia è Edmund Husserl (1859-1938); Husserl si
propone la costituzione della filosofia come «scienza rigorosa».
• Se da un lato il modello è quello delle scienze cosiddette dure, come la matematica e la
fisica, in termini di rigore, di chiarezza argomentativa e di esigenza metodologica,
dall’altro lato il metodo filosofico si differenzia da quello scientifico nel rapporto che ha
con le cose di esperienza, col mondo.
• Mentre tipico dello scienziato è l’atteggiamento «naturale» nei confronti del mondo,
cioè prendere le cose come mero fatti, meri dati, oggettivi, svincolati dal soggetto di
esperienza, tipico del filosofo deve essere il superamento di questo atteggiamento.
UD 3
MAURICE MERLEAU-PONTY

• Per Husserl il filosofo deve superare l’opposizione soggetto-oggetto, come se il


soggetto e l’oggetto fossero due realtà completamente diverse e non interrelate, cioè
senza alcun rapporto tra di loro. Nell’atteggiamento naturale Il soggetto sta di fronte
all’oggetto, come se l’oggetto avesse una natura in sé che non ha nulla a che fare col
soggetto.
• Tale superamento viene chiamato da Husserl «epoché»; è una messa tra parentesi, una
sospensione. Epoché è un termine che viene dallo scetticismo e che consiste in un
atteggiamento di messa tra parentesi, dunque di sospensione del giudizio.
• Per Husserl occorre sospendere l’esistenza della cosa al fine di cogliere la sua essenza.
Husserl parla di un ritorno alle «cose stesse», al di là del loro presentarsi a livello
empirico ed esistenziale.
UD 3
MAURICE MERLEAU-PONTY

• È possibile cogliere le essenze attraverso una intuizione eidetica (cioè


l’apprensione immediata delle essenze di cui ogni fenomeno è manifestazione;
l’intuizione è un atto di coscienza).
• Ciò comporta alcune conseguenze: che l’essenza della cosa è ciò che viene
appreso da un soggetto; che la cosa è fenomeno, in quanto appare, si dà
all’esperienza, e non vi è opposizione tra la cosa-fenomeno e la sua essenza.
• Il carattere specifico della coscienza è la sua intenzionalità, il suo essere
coscienza di qualche cosa, come la cosa in quanto fenomeno si dà alla
coscienza. Il soggetto e l’oggetto sono intrinsecamente legati.
UD 3
MAURICE MERLEAU-PONTY

• In una lettera del 1907 indirizzata a Hoffmanstahl Husserl paragona il filosofo


all’artista; sia il fenomenologo sia l’artista si rapportano alle cose superando
l’atteggiamento naturale che le considera semplicemente esistenti.
• Ciò che è importante, per il filosofo come per l’artista, non è l’esistenza reale
delle cose ma la loro evidenza fenomenica, la manifestazione dell’essenza a un
soggetto che la coglie attraverso degli atti di coscienza. Sono gli atti di
coscienza che costituiscono l’opera in quanto oggetto estetico (una operazione
che accomuna l’artista-produttore al fruitore).
• Lettura
UD 3
MAURICE MERLEAU-PONTY

• Per Maurice Merleau-Ponty ritornare alle «cose stesse» significa attingere a una
dimensione originaria dell’esperienza che i dischiude attraverso la percezione,
fulcro di una soggettività non separata dalla sfera del corporeo e non isolata dalla
dimensione intersoggettiva.
• La percezione è una totalità strutturata e formata.
• Ne La struttura del comportamento (1938) e nella Fenomenologia della percezione
(1945) Merleau-Ponty riprende dai teorici della psicologia della forma (psicologi
della Gestalt) una nozione di forma intesa come configurazione della percezione.
• Forma è l’unità dinamica e interna alla percezione che dà all’insieme un carattere
di individualità non decomponibile.
UD 3
MAURICE MERLEAU-PONTY

• Es. quando percepisco un limone, una mela, un fiore… non ho delle sensazioni (visive
come quella del colore, gustative, tattili…) che in un secondo tempo sarebbero
associate; si tratta invece di considerare la percezione della cosa come un’unità di
sensazioni dinamica.
• Ciò significa che noi non percepiamo delle parti ma delle unità; i «sensi comunicano».
• Inoltre, percepire significa esperire uno spazio ambiente attraverso il nostro corpo che
è senziente e semovente; occorre dunque considerare l’importanza del movimento.
• La percezione è dunque formatrice; il soggetto corporeo, cioè il soggetto estetico, crea,
produce forme.
UD 3
MAURICE MERLEAU-PONTY

• La percezione configura un’unità di senso non concettualizzabile mediante la logica analitica, poiché
l’analisi separa, divide l’unità in parti.
• La percezione non è «analitica» ma «sintetica»; poiché la percezione è originaria, cioè è il primo
modo di rapportarci al mondo, allora il nostro primo rapporto col mondo è di tipo unitario, formativo,
sintetico.
• La percezione non è più un atto del soggetto ma una apertura, una interazione sensibile con le cose,
con gli altri.
• Inoltre, la forma non è una mera costruzione del soggetto; il soggetto di percezione trova già nel
mondo dei rapporti, dei legami, degli abbozzi di forma, dunque di senso.
• La realtà, che per Merleau-Ponty è natura, racchiude un «logos muto».
• La natura viene intesa come continua genesi di forme, come natura naturans che dà luogo a natura
naturata; è evidente qui il riferimento a Spinoza.
UD 3
MAURICE MERLEAU-PONTY

• La percezione dà dunque forma a qualcosa che già presenta un ordine interno, in


fieri, che la percezione coglie e che l’arte esprime.
• Merleau-Ponty considera l’opera d’arte come un’unità che non dipende da un
concetto astratto, ma dalla reciproca strutturazione di tutte le parti; in tal senso
l’opera d’arte presenta una fondamentale analogia con il corpo inteso come
organismo.
• Il soggetto senziente e semovente è parte di un modo estetico; non è un soggetto
collocato di fronte a un oggetto, poiché è tutt’uno col mondo.
• L’idea di percezione si fa, nel corso degli anni, sempre più ecologica, soprattutto
in considerazione dell’idea di mondo estetico come logos dinamico e formatore.
UD 3
MERLEAU-PONTY

• Io non sono di fronte al mondo ma dentro il mondo, lo abito, lo frequento.


• Inoltre, io sono vedente oltre che visibile, cioè posso essere visto e sentito dagli
altri (non soltanto uomini ma anche esseri viventi dotati di sensibilità).
• L’artista, e in particolare Merleau-Ponty si concentra sulla pittura di Cézanne, è
colui che ci mostra il mondo estetico come un mondo allo stato nascente, nel
momento in cui le forme stanno prendendo forma.
• In tal senso l’arte è espressione (non imitazione) del mondo estetico, poiché
porta a espressione, organizza, ordina e struttura degli abbozzi di ordine già
presenti nelle cose, negli insiemi di cose che percepisco.
UD 3
MAURICE MERLEAU-PONTY

• La pittura di Cézanne riesce a cogliere e a esprimere l’ordinarsi stesso delle cose, il loro
logos muto, che nella sua arte diviene proferito, detto, esplicitato.
• L’idea di forma assume dunque una valenza di tipo ontologico, è l’essere stesso del
mondo estetico che artista coglie ed esprime, e che il fruitore può a sua volta cogliere.
• Se l’imitazione si limita a mostrarci, a farci vedere la natura naturata, le forme che la
natura assume, l’espressione ci mostra la natura naturata, lo slancio generatore di forma
che continua ad agire in ogni forma.
• Per questo le cose Cézanne dipinge sono sempre delle forme instabili, dinamiche, in fieri.
• L’arte esprime l’irriflesso, il precoscienziale, solo a partire dal quale si dà la riflessione, la
coscienza e dunque anche la filosofia.
PAUL VALÉRY (1871-1945)

• Rêve, in ‘‘Revue maritime de Marseille’’ (1889)


• 4-5 ottobre 1892: ‘‘crisi dello spirito’’
• I Quaderni: l’esplorazione senza fine del funzionamento della mente
• Introduzione al metodo di Leonardo da Vinci (1895)
• Serata con il signor Teste (1896)
• Cimitero marino (1920)
• Riconoscimenti: Académie française, Collège de France…
PAROLE CHIAVE

• ORIGINE CORPOREA DELL’ARTE


• DANZA-POESIA
• SOSPENSIONE DALL’ORDINARIO
• FIGURAZIONE
• FIGURA
• CONTINUITA’
• RITMO
CORPO

«La Danza, a parer mio, non si limita a essere un esercizio, una piacevolezza,
un’arte ornamentale e un occasionale intrattenimento, ma una cosa seria e, per
certi aspetti, molto venerabile. Ogni epoca che ha compreso il corpo umano, o
che ha sentito, almeno, il senso di mistero di questo complesso di gesti, delle sue
risorse, dei suoi limiti, degli intrecci d’energia e di sensibilità che contiene,
ognuna di queste epoche, dunque, ha coltivato e venerato la Danza.»

P. Valéry, Philosophie de la danse (1936), in Oeuvres, vol. 1,


Gallimard, Paris 1957; trad. it. a cura di M. T. Giuliani,
Filosofia della danza, in P. Valéry, Opere scelte, Mondadori,
Milano 2014, p. 1208.
CORPO

• Nesso tra danza ed esperienza sensibile-corporea

• Che tipo di concezione del corpo è in gioco?

• Se il corpo è «complesso di gesti» e di «intrecci di energia e sensibilità», il


corpo è un’unità di parti che si ordinano continuamente attraverso il
movimento, che caratterizza la facoltà stessa di sentire

• Può dunque il corpo essere una «macchina», una «marionetta»?


CORPO

«Gli strumenti di relazione nella vita, i nostri sensi, l’articolazione delle membra,
le immagini e i segni che dominano i nostri atti e la distribuzione delle nostre
energie, che coordinano i movimenti della nostra marionetta, potrebbero essere
applicati unicamente al servizio delle nostre esigenze fisiologiche […] in modo
che il loro unico scopo consistesse nella conservazione della nostra esistenza.»
Ivi, pp. 1209-1210. Corsivo nostro.
«macchina per vivere» Ivi, p. 1210.
CORPO

«L’uomo si è accorto di possedere più vigore, più plasticità, più


potenzialità articolari e muscolari di quanto non avesse bisogno per
soddisfare le necessità della sua esistenza, e ha scoperto che certuni di
quegli elementi gli offrivano […] una sorta di ebbrezza, e talvolta così
intensa, che solo un esaurimento completo delle sue forze di energia
cinetica […] poteva interrompere il suo delirio, il suo esasperato dispendio
di energia cinetica […] un’immensa parte delle impressioni che riceviamo
dai nostri sensi non serve a niente, non è utilizzabile […] la stessa cosa
vale per i nostri poteri d’azione […] Possiamo tracciare un cerchio, far
muovere i muscoli del nostro viso, camminare in cadenza; tutto questo, che
ha creato la geometria, la commedia e l’arte militare, rientra nell’azione
inutile, in sé, al funzionamento vitale.» Ivi, p. 1209. Corsivo nostro.
CORPO

• Il corpo consta di parti in comunicazione tra loro e con il mondo esterno:

«[La sensibilità] non è solo una serie di proprietà ricettive o transitive, ma [le si]
deve anche attribuire […] virtù produttive [che fanno sì che essa] non si limiti a
rispondere, ma ponga domande e proponga risposte.»

P. Valéry, Notion générale de l’Art (1935), in Oeuvres, vol. I,


Paris, Gallimard, 1957; trad. it. a cura di M. T. Giavieri,
Nozione generale dell’arte, in P. Valéry, Opere scelte, op. cit.,
p. 1229.
CORPO

• Gli organi e le parti del corpo comunicano tra loro attraverso il movimento,
creando un ‘‘dialogo corporeo’’:

«Se […] passiamo alle proprietà delle membra corporee, particolarmente di


quelle più mobili, e se osserviamo le possibilità di movimento e di sforzo
indipendenti da ogni tipo di utilità, scopriamo che esiste, nel novero di tale
possibilità, un’infinità di associazioni fra sensazioni tattili e sensazioni muscolari,
mediante le quali si realizza la condizione di corrispondenza reciproca, di ripresa
o di prolungamento indefinito.» Ivi, p. 1227. Corsivo nostro.
ORIGINE CORPOREA DELL’ARTE
• L’arte nasce con l’attribuzione di un’utilità e una necessità alle sensazioni
‘‘inutili’’ e ai loro ‘‘atti arbitrari’’, quegli atti che

«ci invitano […] a soffermarci sul sentire, ad agire per accrescere le loro
impressioni in intensità o durata. Quell’azione che ha la sensibilità che la
guidi anche nella scelta dei suoi mezzi, si distingue nettamente dalle azioni di
ordine pratico [che] rispondono a esigenze e impulsi che si placano con la
soddisfazione che ricevono [mentre] nell’ambito della sensibilità esclusiva
[…] la sensazione esalta la sua attesa e la riproduce, senza che […] alcun
limite certo, alcuna azione risolutiva possa direttamente abolire tale effetto
dell’eccitazione reciproca. Organizzare un sistema di cose sensibili che
possieda questa proprietà, ecco l’essenziale problema dell’Arte.»
Ivi, p. 1226. Corsivo nostro.
ARTE
«L’uomo è quell’animale singolare che si guarda vivere, che si
attribuisce un valore, e fa consistere il valore che ama attribuirsi
nell’importanza data a percezioni futili e ad atti privi di
conseguenze fisiche vitali […] la nostra curiosità, più avida di
quanto sia necessario, e la nostra attività, più eccitabile di quanto lo
esiga ogni scopo vitale, si sono sviluppate fino all’invenzione delle
arti, delle scienze, dei problemi universali, e fino alla produzione di
oggetti, forme, azioni, di cui si poteva agevolmente fare a meno,
eppure, quell’invenzione e quelle produzioni libere e gratuite, tutto
quel gioco dei nostri sensi e dei nostri poteri si sono trovati a poco
a poco una sorta di necessità e di utilità. L’arte e la scienza […]
tendono a forgiare una specie di utile dall’inutile […] così la
creazione artistica non è tanto una creazione di opere quanto una
creazione del bisogno di opere, poiché queste ultime sono prodotti,
oggetti, che presuppongono domande, bisogni.»
Ivi, pp. 1211-2. Corsivo nostro.
CORPO E ARTE

• L’uomo ha energia cinetica in eccesso

• che si manifesta in movimenti sensibili-corporei non necessari per la


sopravvivenza

• L’arte nasce con la scoperta di un’utilità e di una necessità di tali movimenti:


essi sono in grado di soddisfare l’esigenza caratteristica dell’uomo di
prolungare l’intensità e la durata delle sensazioni e di impiegare l’energia
cinetica in eccesso, di esplorare le nostre facoltà sensibili-motorie.
MOVIMENTO
• Ci sono due usi differenti E FINALITA’
del movimento: uso ‘‘transitivo’’(o ‘‘prosaico’’,
‘‘ordinario’’) finalizzato a un fine esterno al soggetto e un uso ‘‘intransitivo’’ (o
‘‘poetico’’, ‘‘artistico’’) il cui fine sono le sensazioni e i movimenti stessi

• L’uso ‘‘transitivo’’ è utile per la sopravvivenza (es. sensazione della fame e


movimenti a esso corrispondenti), termina con il soddisfacimento dei bisogni
primari e viene eseguito seguendo il principio economico del massimo dei
risultati con il minimo sforzo

• L’uso ‘‘intransitivo’’ è inutile alla sopravvivenza ma è utile e necessario per


impiegare l’energia cinetica in eccesso; al posto del principio economico, si ha
una vera e propria ‘‘dissipazione’’ di energia. Non avendo un fine esterno a se
stessi e non potendo essere mai del tutto soddisfatta l’esigenza di impiegare
l’energia in eccesso, tali movimenti sono potenzialmente infiniti.
MOVIMENTO E FINALITA’

« [I movimenti senza scopo] invece d’esser sottoposti a condizioni di


economia, sembra, al contrario, che abbiano la dissipazione stessa per
oggetto. I salti, per esempio, e le corsette di un bambino, o di un cane,
il camminare per il camminare, il nuotare per il nuotare, sono attività
che hanno come scopo unicamente quello di modificare il nostro senso
di energia, di creare un certo stato di quella sensazione. […] Questi
movimenti, che hanno in se stessi il proprio scopo, e per unico scopo
quello di creare uno stato, nascono dal bisogno di esser compiuti o da
un’occasione che li susciti; ma tali impulsi non assegnano loro nessuna
direzione nello spazio.
P. Valéry, Degas, Danse, Dessin (1936), in Oeuvres, cit., vol. II, 1960; trad. it.
di M. T. Giavieri, Degas, Danza, Disegno, in Opere scelte, cit., p. 817.
USO ‘‘PROSAICO’’ E ‘‘POETICO’’ DEL
LINGUAGGIO

«Nell’uso pratico o astratto del linguaggio, la forma, vale a dire ciò che è fisico,
sensibile, e l’atto stesso del discorso, non si conserva; non sopravvive alla
comprensione; si dissolve nella chiarezza, ha agito e svolto il suo compito; ha
fatto capire-insomma, ha vissuto.» P. Valéry, Poésie et pensée
abstraite, op. cit., p. 1141.

«La danza non va da nessuna parte […] Non si tratta […] di effettuare
un’operazione compiuta ma di creare, e di mantenere, esaltandolo, un certo stato
[…] La poesia […] non muore per il fatto di aver vissuto. È fatta per rinascere
dalle sue ceneri e ridiventare indefinitamente ciò che era.» Ivi, p. 1147-8.
Corsivo nostro.
POESIA E DANZA
• Il linguaggio ordinario (non solo quello legato alla vita pratica ma anche quello astratto) cessa di esistere una
volta che ha raggiunto l’obiettivo di rendere comprensibile un concetto

• Al contrario, la poesia, così come la danza, non ha un fine esterno a se stessa che la porti a completare la sua
azione; la creazione e al mantenimento di uno ‘‘stato’’ è infatti senza fine.

• MEDIAZIONE (il linguaggio e il movimento nella poesia e nella danza) vs IMMEDIATEZZA del linguaggio
e del movimento ordinari.
LO ‘‘STATO DI DANZA’’ E’ SENZA FINE

«La danza […] si svolge nel suo proprio stato, si muove in sé e non ha, in sé,
alcuna motivazione, alcuna tendenza al compimento; la formula della danza pura
non deve contenere niente che faccia prevedere che essa abbia un termine. Sono
solo eventi estranei che la concludono […] la fatica, la caduta di interesse a
intervenire, ma la danza in sé non ha di che finire.»

P. Valéry, Philosophie de la danse, trad. it., op. cit., p. 1217.


Corsivo nostro.
SOSPENSIONE DALL’ORDINARIO
• La danza sorge dall’esigenza di impiegare l’energia cinetica in eccesso

• Un’esigenza essenzialmente differente da quella dei bisogni primari

• Se quindi da un lato la danza fa parte della vita del soggetto, dall’altro lato, per realizzarsi, necessita di una
presa di distanza dal piano della vita ordinaria:

«La Danza è un’arte dedotta dalla vita stessa, poiché essa è l’azione compiuta dall’insieme del corpo umano, ma
un’azione trasposta in un mondo, in una sorta di spazio-tempo che non è affatto quello della vita pratica.» Ivi,
p. 1209.
SOSPENSIONE DALL’ORDINARIO

«La danzatrice è dunque in un altro mondo, non quello dipinto dai nostri sguardi,
ma quello tessuto dai suoi passi, e ordito dai suoi gesti. Ma in quel mondo, non
c’è uno scopo esteriore per gli altri, non c’è oggetto da cogliere […] un oggetto
che concluda esattamente un’azione e doni ai movimenti, dapprima, una
direzione e una coordinazione esterne, poi una conclusione netta e definita […]
dunque nessuno scopo […] nessuna esteriorità […] questo distacco
dall’ambiente, questa assenza di scopo, questa negazione di movimenti
comprensibili, queste rotazioni complete (che nessuna circostanza della vita
comune esige dai nostri corpi) […] tutti questi tratti sono decisamente opposti a
quelli della nostra azione nel mondo concreto e delle nostre relazioni con esso.»
Ivi, pp. 1216-7. Corsivo nostro.
MOVIMENTO POETICO VS
MOVIMENTO PROSAICO
«Questo corpo sembra essersi staccato dai suoi equilibri consueti, si direbbe che sfidi in sottigliezza […] il suo
peso fisico, di cui elude in ogni istante la tendenza alla grevità […] tale corpo si dà un regime periodico più o
meno semplice, che sembra conservarsi autonomamente; è come se fosse dotato di un’elasticità superiore, che
recuperasse l’impulso proprio a ogni movimento e lo restituisse immediatamente […] Mentre danza, quel corpo
sembra ignorare quanto lo circonda. Pare avere a che fare solo con se stesso e con un altro oggetto […] da cui si
distacca o si libera, a cui ritorna ma solo per ritrovarvi ciò da cui sfuggire ancora… È la terra, il suolo, il luogo
solido, il piano su cui si trascina la vita ordinaria, e procede nella marcia, questa prosa del movimento umano.»
Ivi, p. 1215. Corsivo nostro.
SOSPENSIONE DALL’ORDINARIO
«Un occhio freddo la guarderebbe facilmente come una demente, questa
donna stranamente sradicata che senza posa si strappa alla sua stessa forma,
con le membra, diventate folli, che sembrano disputarsi terra e aria, con la
testa che si rovescia trascinando sul suolo una chioma disciolta; con le gambe
al posto della testa; con un dito che traccia non so che segni nella polvere!
[…] tutto ciò è assurdo!»
P. Valéry, L’âme et la danse (1921), in Oeuvres, vol. I. cit.; trad. it. di M. T. Giavieri,
L’anima e la danza, in P. Valéry, Opere scelte, op. cit.; p. 527.

«Qualcosa di nuovo si manifesta; siamo impercettibilmente trasformati, e


disposti a vivere, a respirare, a pensare secondo una legge e in base a leggi
che non appartengono più all’ordine pratico.»
P. Valéry, Poésie et pensée abstraite, op. cit., p. 1142. Corsivo nostro.
SOSPENSIONE DALL’ORDINARIO
• Le figure tipiche della danza come il salto, il giro su di sé e il movimento all’indietro rendono manifesta la
presa di distanza dal movimento ‘‘prosaico’’ diretto a uno scopo che caratterizza la vita ordinaria
• Lo ‘‘stato’’ di danza, così creato, schiude a riflettere sul modo ordinario di agire e pensare il corpo
• In questo modo, la danza rende consapevoli della dimensione naturale implicita nella prassi quotidiana
• La sospensione dal piano ordinario presuppone e implica quindi il ritorno al piano ordinario stesso, che
risulta ‘‘rinnovato’’ dalla scoperta di nuovi modi di mettere in relazione le parti del corpo e il corpo e
l’ambiente circostante
DANZA E FILOSOFIA

«Guarda!... Lei comincia, lo vedi? Camminando divinamente; camminando


semplicemente in cerchio […] cammina con naturalezza sul vertice che ha
raggiunto. Questa seconda natura è quanto vi è di più lontano dalla prima ma
deve assomigliarle al punto da indurre in confusione […] quel piccolo essere,
Erissimaco, dà a pensare […] Un semplice modo di camminare, la più
semplice concatenazione di movimenti… Si direbbe che lei paghi lo spazio
con bei gesti esattamente misurati; che vada coniando col tallone le sonore
effigi del moto. Sembra enumerare e contare in monete d’oro puro quel che
noi distrattamente spendiamo in volgare moneta di passi, quando
camminiamo per un qualche fine […] Ci sono così facili e così familiari i
nostri passi, che non hanno mai l’onore di essere considerati in se stessi […]
li sprechiamo senza pensarci.»
P. Valéry, L’âme et la danse, trad. it., op. cit., pp. 519-20. Corsivo nostro.
DANZA E FILOSOFIA
Erissimaco: «Caro Socrate, lei ci insegna quel che noi facciamo, mostrando
chiaramente alle nostre anime quello che oscuramente compiono i nostri
corpi. Alla luce delle sue gambe i nostri movimenti immediati ci appaiono
miracoli.» Ivi, p. 520. Corsivo nostro.

Fedro: «questa danzatrice avrebbe qualcosa di socratico, poiché ci insegna,


con il camminare a conoscere un po’ meglio noi stessi.» Ibid. Corsivo nostro.

Socrate: «quanto più guardo questa indescrivibile danzatrice, tanto più mi


immergo nella mia propria meraviglia, interrogandomi.» Ivi, p. 525. Corsivo
nostro.

Fedro: «La contemplazione della danzatrice mi fa concepire molte cose e


molti rapporti tra le cose, che subito si fanno pensiero mio proprio […] mi
scopro illuminazioni che non avrei mai ottenuto dalla sola presenza della mia
anima…» Ivi, pp. 527-8. Corsivo nostro.
DANZA E FILOSOFIA

«È necessario che il filosofo compensi la sua ignoranza tecnica e che dissimuli il


suo imbarazzo con qualche ingegnosa interpretazione universale di quest’arte, di
cui constata e subisce il prestigio. Si applica; si consacra a suo modo… Il modo di
un filosofo: il suo passo di danza è ben noto… si chiama ‘‘interrogazione’’.
Appena si impegna in un atto inutile e arbitrario, si dà completamente, senza
prevedere una conclusione; si abbandona a un’interrogazione illimitata,
all’infinito della forma inquisitoria […] Ed ecco che si domanda: ‘‘Che cos’è
dunque la danza?’’»

P. Valéry, Philosophie de la danse, trad. it., op. cit., pp. 1212-


3. Corsivo nostro.
‘‘ORGANIZZARE UN SISTEMA DI COSE
SENSIBILI’’

«Ma ora non si direbbe che [Athiké] stia tessendo con i piedi un indefinibile tappeto di
sensazioni? … Intreccia, scioglie, trama la terra con la durata… O incantevole opera, lavoro
finissimo degli alluci intelligenti che assalgono, scansano, annodano e snodano, che si
inseguono, che volano via!»

P. Valéry, L’âme et la danse (1921), in Oeuvres, vol. I. cit.; trad. it. di


M. T. Giavieri, L’anima e la danza, in Opere scelte, op. cit., p. 524.
Corsivo nostro.

Erissimaco: «[Athiké] ha reso tutto il proprio corpo snodato e ben connesso come una mano
agile…» Ivi, p. 538. Corsivo nostro.
‘‘ORGANIZZARE UN SISTEMA DI COSE
SENSIBILI’’
Nella danza, la filosofia individua:

«Quella vita interiore completamente fatta di energia e sensibilità in scambio reciproco come reversibile.» P.
Valéry, Philosophie de la danse, trad. it., op. cit., p. 1220. Corsivo nostro.

«Vita interiore, sì, ma tutta costruita intorno a sensazioni di durata e di energia che si corrispondono, e formano
una cintura di risonanze. Tale risonanza […] si comunica: una parte del nostro piacere di spettatori consiste nel
sentirsi conquistati dai ritmi, e virtualmente danzanti noi stessi!» Ivi, p. 1218. Corsivo nostro.
‘‘ORGANIZZARE UN SISTEMA DI COSE
SENSIBILI’’

«[La filosofia] cerca di approfondire il mistero di un corpo che, all’improvviso, come


per effetto di uno choc interno, entra in una specie di vita nel contempo stranamente
instabile e stranamente regolata, nonché stranamente spontanea, ma anche
stranamente colta e sicuramente elaborata.» Ivi, p. 1215. Corsivo nostro.

«Pare [al filosofo] che, nello stato danzante, ogni sensazione del corpo che nel
contempo si muove ed è mosso sia incatenata e inserita in un certo ordine; tutte
quelle sensazioni si pongono domande e si rispondono vicendevolmente.» Ivi, p.
2014. Corsivo nostro.
DANZA E FILOSOFIA
Danza e filosofia:
• Non hanno fini esterni a se stesse

• Non garantiscono la sopravvivenza ma sono utili e necessarie per rendere manifesto il funzionamento del
nostro organismo, che resta implicito nella prassi quotidiana

• Interrogano il corpo e ne esplorano nuovi possibili ‘‘intrecci di energia e sensibilità’’, combinazioni tra parti
del corpo e tra il corpo e l’ambiente circostante
DANZA E FILOSOFIA

• La creazione di tali unità relazionali è un processo di ‘‘figurazione’’

• esso ha origine dall’esperienza sensibile-corporea e prosegue nel pensiero e nel


linguaggio (nella danza, nella poesia e nella filosofia)

• Non avendo un fine esterno a se stesso, si tratta di un processo potenzialmente


infinito
‘‘ORGANIZZARE UN SISTEMA DI COSE SENSIBILI’’

• La creazione di nuove combinazioni di movimenti (e quindi il dialogo tra parti del


corpo e tra il corpo e l’ambiente circostante) è resa possibile dal processo di
figurazione la cui attività creatrice procede attraverso un’operazione di ‘‘messa in
ordine’’, di riorganizzazione dell’energia cinetica in eccesso

• Tale riorganizzazione avviene attraverso la formazione di figure, sequenze di


movimenti concatenati tra loro, ordinati secondo il principio di continuità

• Si tratta di un processo che non segue leggi prestabilite; l’ordine tra le figure si
crea di volta in volta; in questo risiede la capacità della figurazione di ‘‘rinnovare’’
il piano della vita ordinaria
FIGURAZIONE
«Ma esiste una forma degna di nota di tale dispendio delle nostre forze:
consiste nell’ordinare o nell’organizzare i nostri movimenti di dissipazione
[…] Adesso è il Tempo che gioca il ruolo di protagonista… E questo Tempo è
il tempo organico quale si trova nel regime di tutte le funzioni alternative […]
fondamentali per la vita. Ciascuna di esse si effettua con un ciclo d’atti
muscolari che si riproduce, come se la conclusione o il compimento di
ognuno di loro generasse l’impulso del seguente. Su tale modello le nostre
membra possono eseguire una serie di figure che si concatenano le une alle
altre, e la cui frequenza produce l’ebbrezza che va dal languore al delirio, da
una specie d’abbandono ipnotico a una specie di furore. Così si crea lo stato
di danza.»
P. Valéry, Degas, Danse, Dessin (1936), in Oeuvres, vol. I, Paris, Gallimard, 1957;
trad. it. a cura di M. T. Giavieri, Degas, Danza, Disegno, in P. Valéry, Opere scelte,
op. cit. p. 818.
FIGURAZIONE
«Non sembra a te […] che la creatura che vibra laggiù […] abbia l’aria di
vivere a proprio agio in un elemento simile al fuoco, in una sottilissima
essenza di musica e di movimento in cui respira un’energia inesauribile,
mentre con tutto il suo essere partecipa alla pura e immediata violenza
dell’estrema felicità? […] Si direbbe che la danza le scaturisca dal fuoco
come una fiamma! Fiamma è l’atto di questo momento che sta tra la terra e il
cielo […] quel corpo si esercita in ogni sua parte e si combina con se stesso e
assume forma su forma ed esce continuamente da sé! […] La donna che era
laggiù è divorata da innumerevoli figure […] Ruota su se stessa – ecco, le
cose eternamente congiunte cominciano a separarsi […] un corpo, con la sua
semplice forza e con un suo atto, può alterare la natura delle cose più di
quanto vi sia mai riuscito lo spirito nelle sue speculazioni e nei suoi sogni!.»
P. Valéry, L’âme et la danse, trad. it., op. cit., pp. 535-40. Corsivo nostro.
FIGURA DI DANZA, DI PAROLA, DI PENSIERO

• La figurazione corporea sollecita dunque la figurazione linguistica e


intellettuale, il che spiega l’analogia tra danza e poesia, in cui le figure di
danza si tramutano in figure poetiche, tra cui spicca la metafora:
Socrate a Fedro: «Ecco dunque che le tue labbra sono vogliose della
volubilità di quei piedi prodigiosi! Vorresti sentire le loro ali alle tue parole, e
ornare quel che diresti con figure vive quanto i loro balzi!» Ivi, p. 524.
«Che cos’è una metafora, se non una specie di piroetta dell’idea di cui si
accostano le diverse immagini o i diversi nomi? E che cosa sono tutte quelle
figure di cui ci serviamo, tutti quei mezzi, come le rime, le inversioni, le
antitesi, se non utilizzazioni di tutte le possibilità del linguaggio, che ci distaccano
dalla sfera pratica per dar modo, anche a noi, di forgiare il nostro universo specifico,
luogo privilegiato della danza spirituale?» P. Valéry, Philosophie de la danse, trad.
it., op. cit., p. 1221.
• Metafore della fiamma e dell’onda. Alle metafore ricorre sia la poesia sia
la filosofia.
UNa livello
• L’ordine che viene a crearsi MODELLO UNIVERSALE
corporeo diventa un modello universale di ‘‘figura’’, valido nella
danza, nella poesia, nella filosofia e in tutte le arti:

«Athiké […] dispone con simmetria i suoi appoggi alternati; il tallone che riversa il corpo verso la punta, il
passaggio all’altro piede che riceve il peso del corpo e già lo rinvia; e così ancora, e ancora […] quell’incedere
monumentale cha ha solo se stesso come meta e da cui sono scomparse tutte le impurità variabili, diventa un
modello universale.» Ivi, pp. 520-1. Corsivo nostro.
UN MODELLO UNIVERSALE

«[La danza] è una poesia generale dell’azione degli esseri viventi: isola e
sviluppa i tratti essenziali di tale azione, le dà risalto, la spiega, e fa del corpo che
la danza possiede un oggetto le cui trasformazioni, la successione degli aspetti, la
ricerca dei limiti ai poteri istantanei dell’essere, fanno inevitabilmente pensare
alla funzione che il poeta dà alla sua mente, alle difficoltà che gli pone, alle
metamorfosi che ne ottiene, agli scarti che ne sollecita e che lo allontanano,
talvolta successivamente, dal suolo, dalla ragione, dalla comprensione ordinaria e
dalla logica del senso comune.» P. Valéry, Philosophie de la danse,
trad. it., op. cit., p. 1221.
UN MODELLO UNIVERSALE

«Lo stesso io crea figure molto diverse, e diventa logico o poeta attraverso
specializzazioni successive, ciascuna delle quali rappresenta uno scarto rispetto
allo stato puramente disponibile e superficialmente accordato con l’ambiente
esterno che è poi la condizione normale del nostro essere, lo stato di indifferenza
P. Valéry, Poésie et pensée abstraite, trad. it., op.
degli scambi».
cit., p. 1135.
RITMO
• Il superamento dello ‘‘stato di indifferenza degli scambi’’ che caratterizza la vita ordinaria avviene grazie alla
presa di distanza dal piano ordinario e dal ripristino, attraverso la figurazione, degli scambi, della
molteplicità di relazioni interne al soggetto e tra il soggetto e il mondo
• La figurazione corporea sfocia in figurazione linguistica e intellettiva
• L’efficacia della figurazione deriva dal fatto che le figure create sono sequenze ordinate nel tempo secondo il
principio di continuità
• Tale continuità è resa possibile dal RITMO, il principio che si fa garante del mantenimento della varietà
delle unità relazionali create.
IL RITMO, LA DANZA E LE ARTI
• Il ritmo è ciò che consente di individuare l’operare della figurazione corporea, che ha origine nella danza, in
tutte le arti, che si rivelano essere
«casi particolari di quell’idea generale [la danza], poiché tutte le arti, per definizione, richiedono una parte di
azione, l’atto che produce l’opera, o meglio che la manifesta.» P. Valéry, Philosophie de la danse,
trad. it., op. cit., 2118. Sottolineatura nostra.
«Ogni azione che non tende all’utilità, e che, d’altra parte, è suscettibile di educazione, di perfezionamento, di
sviluppo, si ricollega a quel tipo semplificato di danza.» Ibid. Corsivo nostro.
IL RITMO, LA DANZA E LE ARTI

«Tutte le arti sono forme molto variate dell’azione e si analizzano in termini di


azione. Considerate un artista al lavoro, eliminate le pause o gli intervalli di
sospensione momentanea: osservatelo agire, fermarsi, riprendere vivacemente il
suo esercizio. Supponete che sia abbastanza coinvolto, sicuro dei suoi mezzi, per
non essere più che un esecutore, al momento della vostra osservazione, e, di
conseguenza, perché quelle operazioni successive tendano a svolgersi in tempi
commensurabili, cioè con un ritmo, potrete allora concepire la realizzazione di
un’opera d’arte […] come un’opera d’arte in sé, il cui oggetto materiale che si
forgia sotto le dita dell’artista non è che un pretesto, un accessorio di scena, il
canovaccio del balletto.» Ivi, 1220. Corsivo nostro.
LA DANZA E LE ARTI
• Le arti proseguono dunque la figurazione corporea inaugurata dalla danza, poiché in ciascuna di esse opera
l’atto creatore, ritmico, ordinatore che genera sempre nuove unità relazionali.

• I ‘‘prodotti artistici’’, gli oggetti materiali prodotti, non sono che un pretesto per l’attività di figurazione,
un’attività essenzialmente corporea.
DANZA, POESIA, FILOSOFIA
Emerge dunque ancor di più la forza del legame tra danza, poesia e filosofia:
«Una poesia, per esempio, è azione, perché la poesia esiste solo nel momento in cui viene pronunciata: è allora
in atto. Tale atto, come la danza, ha il solo fine di creare uno stato, tale atto si dà leggi proprie, crea, anch’esso,
un tempo e una misura del tempo che gli si adattano e gli sono essenziali: non può distinguerlo dalla sua forma
di durata. Cominciare a leggere dei versi significa esordire in una danza verbale.» Ivi, p. 1218.
«Secondo me, la nostra filosofia più autentica, non risiede negli oggetti della nostra riflessione, ma nell’atto
stesso del pensiero e della sua messa in opera.» P. Valéry, Poésie et pensée abstraite, (1939),
in Oeuvres, vol. I, Paris, Gallimard, 1957; trad. it. a cura di M. T. Giavieri,
Poesia e pensiero astratto, in P. Valéry, Opere scelte, op. cit., p. 1153.
BIBLIOGRAFIA
P. Valéry, L’âme et la danse (1921), in Oeuvres, vol. I. cit.; trad. it. di M. T. Giavieri,
L’anima e la danza, in P. Valéry, Opere scelte, Mondadori, Milano 2014.

P. Valéry, Notion générale de l’art (1935), in Oeuvres, vol. I, Paris, Gallimard, 1957; trad. it.
a cura di M. T. Giavieri, Nozione generale dell’arte, in P. Valéry, Opere scelte, Mondadori,
Milano 2014.

P. Valéry, Philosophie de la danse (1936), in Oeuvres, vol. 1, Gallimard, Paris 1957; trad. it.
a cura di M. T. Giuliani, Filosofia della danza, in P. Valéry, Opere scelte, Mondadori,
Milano 2014.

P. Valéry, Degas, Danse, Dessin (1936), in Oeuvres, vol. I, Paris, Gallimard, 1957; trad. it. a
cura di M. T. Giavieri, Degas, Danza, Disegno, in P. Valéry, Opere scelte, Mondadori,
Milano 2014.

P. Valéry, Poésie et pensée abstraite (1939), in Oeuvres, vol. I, Paris, Gallimard, 1957; trad.
it. a cura di M. T. Giavieri, Poesia e pensiero astratto, in P. Valéry, Opere scelte,
Mondadori, Milano 2014.

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