ESTETICA Final
ESTETICA Final
ESTETICA Final
Baumgarten designa l’estetica come la scienza che si occupa delle cose sensibili;
dei processi mentali che avvengono quando percepiamo gli oggetti attraverso i
nostri sensi.
La bellezza è quindi una qualità soggettiva che dipende dalle preferenze e dai gusti
dell'osservatore.
Immanuel Kant, filosofo tedesco del XVIII secolo, ha sviluppato una teoria della
bellezza che ha avuto un notevole impatto sulla filosofia dell'estetica.
Per Kant, la bellezza è una qualità puramente formale, non dipende dai gusti
personali, dagli interessi o dalle caratteristiche emotive / sentimentali
dell'osservatore.
In Italia si afferma solo nel 1902 prima con l'Estetica di Benedetto Croce, che
ripropone la contrapposizione tra conoscenza logica e intuizione poi, nel 1986, con
Garroni.
La concezione dell’estetica come teoria della sensibilità arriva in Italia grazie a
Emilio Garroni, il quale ha dichiarato che l'estetica deve essere intesa come
filosofia del “senso”.
In questa direzione contributi teorici di rilievo sono stati offerti da Gernot Bohme, che
vuole rimarcare il fondamento percettivo dell’estetica.
Già nella seconda metà del Settecento la cultura filosofica tedesca aveva
abbandonato l'impianto gnoseologico di Baumgarten per orientarsi verso una teoria
incentrata sull'arte e sul bello.
In tal modo la filosofia dell'arte ha finito con l'escludere altri tipi di esperienza
estetica, come quella naturale o quella legata all'arte di massa.
Proprio a partire da quest’ultime due sfere dell’esperienza estetica si sono alzate
voci di opposizione, avviando il dibattito sull’ Environmental Aesthetics, sulla
Popular Culture e sull’Everyday Aesthetics.
La bellezza oggi connota il significato più comune e popolare del termine “estetica”.
La questione del bello è presente nella tradizione filosofica, Platone non fa alcun
riferimento all’arte, Baumgarten ritiene bello la perfezione della conoscenza
sensibile.
Prima del Rinascimento e fino all’età moderna l’arte era vista come la tecnica (intesa
come disciplina), fondata schemi e regole / su un sapere sistematico.
Arte e la letteratura sono state apripista nel cogliere la complessità della quotidianità.
Ad esempio in letteratura Baudelaire, poeta della “vita moderna”. Con Freud la vita
quotidiana diventa una categoria del pensiero. Egli scorge nella quotidianità le radici
della follia e del perturbante. Su questa linea si pone anche
Martin Heidegger, per il quale non esiste una realtà diversa e trascendente rispetto a
quella effettività in cui si consuma la vita di ciascuno. Con il passare del tempo
queste posizioni teoriche si attenuano perché i filosofi risultano ieratici (pesanti ndr)
quando trattano la quotidianità. I marxisti relegano il quotidiano nell’alienazione.
Henri Lefebvre, introduce alcune chiavi di lettura che segnano una svolta nel modo
di considerare la quotidianità. Egli afferma che il lavoro filosofico può essere
considerato “anche” routine quotidiana e, in quanto attività sociale, anche la filosofia
rientra nel quotidiano. Tale chiave di lettura viene ripresa da alcuni esponenti
dell'Everyday Aesthetics, i quali hanno messo in rilievo l'aspetto routinario di certe
attività generalmente inserite alla sfera dell'eccezionalità per dimostrare che la
gerarchia assiologica (una gerarchia basata sui valori ndr) tra attività intellettuali e
pratiche quotidiane è solo questione di punti di vista.
Con la svolta di Dewey l'estetica ha ampliato gli orizzonti della propria indagine,
spingendosi oltre l'ambito dell'arte (eccetto che per l’estetica analitica - vedi sopra
definizione).
Arnold Berleant, sposta l’interesse dell'estetica dall'opera d'arte alla questione della
sensibilità che, secondo il filosofo, non è privata ma deriva dall’ambiente naturale,
sociale e culturale.
CAPITOLO 2 - ARTIFICAZIONE
2.1 LE RADICI BIOLOGICHE DELL’ARTE
Dissanayake analizza una pluralità di modi di agire, riscontrabili fin dalle società
preistoriche.
La sua riflessione prende le mosse da due attività, il gioco e il rituale, che sono
presenti in tutte le società e rendono straordinario ciò che è ordinario.
• Il gioco è un'attività innata in tutti gli animali ed è fondato sulla regola del “fare
finta”. Richiede determinati luoghi, tempi, atteggiamenti che lo separano dalle attività
ordinarie.
• Anche il rituale presenta strette analogie con l'arte: è coinvolgente. Usa simboli,
vocaboli poetici o comunque non ordinari; richiede l'uso di particolari abiti; nel rituale
i comportamenti sono stilizzati da ripetizioni, accentuazioni ritmiche, canti e danze.
La teoria di Ellen Dissanayake presenta punti di contatto con quella di Dewey nel
momento in cui afferma il radicamento dei comportamenti artistici nell'esperienza
quotidiana. Tali comportamenti si riscontrano nella vita di ogni giorno tutte le volte
che gli uomini cercano di modificare l'ordinario. Questo avviene a partire dal corpo,
ad esempio la pelle che viene tatuata.
Si può avere un comportamento artistico anche nel porre il cibo nel piatto.
L’artificio non deve essere confuso con la legittimazione, difatti l'artificio di un oggetto
determina necessariamente la legittimazione di quell'oggetto. Al contrario, il
desiderio di garantire la legittimità a una pratica che qualcuno ritiene ingiustamente
sottovalutata può, a sua volta, stimolare un processo di artificio.
● Reati e atti criminali (Strada): esempio dei graffiti un tempo considerati atti
di vandalismo.
Il primo tipo è semplicemente ciò che oggi definiamo arte, è il caso della pittura, il
suo status di arte ora è indiscusso in tutta la società.
Il terzo tipo tocca casi di artificio recenti, appena compiuti e in corso. L'arte esterna e
l'art brut rientrano in questa categoria, così come i readymades. In attività come la
cura di mostre d'arte contemporanea, breakdance e graffiti, il processo di artificio
sembra essere sull'orlo del completamento; sta accadendo davanti ai nostri occhi.
Infine, ci sono casi in cui il processo incontra ostacoli che sembrano insormontabili e
la realizzazione dell'artificio sembra irraggiungibile nelle condizioni attuali. Quindi
possiamo osare che attività come la tipografia, la gastronomia, l'enologia, il
giardinaggio o la profumeria, pur essendo forse qualificate come arti in senso
metaforico, non raccoglieranno il riconoscimento per i loro produttori come artisti a
tutti gli effetti.
CONCLUSIONI
Per Naukkarinen, l'artificazione non mira a produrre nuove forme d'arte, ma a creare
un miscuglio tra la sfera dell'arte e altri ambiti della vita quotidiana, come ad esempio
la sanità (le discipline umanistiche aiutano a migliorare le modalità relazionali tra
medico e paziente) e l’istruzione, economia.
Egli usa il termine “economia estetica” per indicare un sistema di produzione che si
basa su oggetti desiderabili e pone accanto al valore d'uso e al valore di scambio, il
“valore di messa in scena”.
Al contrario i recenti studi tra arte e management si incentrano sulle doti dell’artista,
poiché il mercato in continua evoluzione richiede continui lampi di genio per far
fronte alla concorrenza.
Secondo Yuriko Saito, l'artificazione nella vita quotidiana può diventare un modo per
creare un mondo migliore, più umano; una società più giusta, un futuro più
sostenibile. Es: riqualificazione estetica di ambienti degradati.
Secondo Thomas Leddy possiamo individuare un'artificazione superficiale e una
profonda. Collochiamo gli interventi di riqualificazione artistica che ricorrono alla
Street Art nel primo tipo, perché riguardano l’abbellimento di ciò che appare tramite
forme e colori; l’artificazione profonda, invece, riguarda il mutamento non
dell’immagine, ma dei comportamenti, delle azioni e del modo di pensare.
L'estetica può offrire contributi più significativi se intesa, nel senso di Alexander
Baumgarten, come “teoria dell’aísthesis”, cioè una scienza che valuta il modo di
“sentire” l'ambiente e che fa stare bene.
Il primo passo per migliorare la qualità della vita e le aspettative future consiste nel
mettere in luce i modi in cui siamo influenzati quotidianamente dalla dimensione
estetica. L'artificazione può essere una strategia utile a raggiungere questo scopo.
Invece, nell'ottica dell'Everyday Aesthetics gli aspetti soggettivi e ordinari sono più
significativi degli eventi straordinari e anche negli studi sull'estetica delle
organizzazioni.
Tuttavia, la maggior parte di queste indagini si incentra sul modo in cui le arti
possono influenzare le abilità lavorative grazie all'introduzione di un modus operandi
che scardini le strategie tradizionali indirizzate in modo rigoroso e rigido verso il
raggiungimento di determinati obiettivi di produttività
L'espressione del proprio mondo interiore non deve essere disgiunta dall'autocritica,
perché altrimenti rischia di trasformare una positiva attenzione al sé di ciascuno in
banale autocompiacimento. Inoltre, se è vero che l'arte può sviluppare abilità
creative utili a innovare la sfera degli affari, è anche vero che la capacità
immaginativa degli artisti si fonda sulla ribellione alle convenzioni e all'ordine
costituito. Di conseguenza questo atteggiamento anticonformista potrebbe andare in
contrasto con gli ambienti lavorativi.
Emilio Garroni aveva colto il potenziale estetico della ripetitività. Per lui la ripetitività
riveste efficacia euristica all'interno della dialettica ordinario/straordinario. Tale
dialettica costituisce un fil rouge (filo rosso) in grado di tenere insieme e fare
interagire le categorie estetiche del quotidiano. La linea forte adotta un approccio
restrittivo e mira a individuare categorie proprie dell'ordinarietà.
Kevin Melchionne punta sulla regolarità delle attività comunemente praticate,
escludendo quelle occasionali o saltuarie. Ma tali attività possono variare con gli
individui, le circostanze e i momenti della vita, tanto che Naukkarinen sente la
necessità di circoscrivere la categoria del My Everyday Now (“Il mio quotidiano ora”).
• e quella positiva, che rasserena e aiuta a trovare l'equilibrio, si inquadra nel tempo
ciclico del rituale ed è connessa alla sfera psicologica.
Saito si accorge che la teoria di John Dewey, non offre indicazioni utili in questa
direzione perché distingue “una esperienza” dalle banali esperienze giornaliere
prive di questa connotazione. È evidente che se “una esperienza” venisse reiterata
di continuo perderebbe lo specifico che la distingue dalla routine, trasformandosi in
routine essa stessa.
Una soluzione a questa impasse viene offerta dai teorici della linea debole. Secondo
Dowling, questo paradosso può essere risolto se l'Everyday Aesthetics, volge la sua
attenzione a quello già palesemente riscontrabile: cioè agli eventi speciali che
producono nei fruitori sentimenti analoghi a quelli suscitati dalle opere d’arte.
Su questa scia si pone anche Sherry Irvin, che mette a fuoco la maggiore
consapevolezza corporea che dovremmo avere delle piccole cose quotidiane per
apprezzarne il valore estetico. Esemplare, secondo la studiosa, l'esperienza del
caffè mattutino che può costituire un esempio paradigmatico di estetica quotidiana
se lo beviamo con piena consapevolezza del momento che stiamo vivendo. La
contrapposizione non è tra ordinario e straordinario ma tra le cose quotidiane che
sono rese speciali attraverso le azioni o nella nostra percezione e quelle che non lo
sono.
Avere un approccio estetico alla vita quotidiana vuol dire vivere ogni momento
cogliendo i suoi aspetti emozionali e sensibili.
È vero che spesso si finisce per prestare scarsa attenzione alle pratiche giornaliere,
così come i posti e alle persone che frequentiamo con regolarità, ma basta un
cambiamento, un evento diverso, per indurci a considerare con nuova attenzione
l'ordinario. Si pensi allo spaesamento che sentiamo all'arrivo in una città
sconosciuta. Al contrario, proviamo piacere tornando ciascuno alle proprie abitudini,
dopo un viaggio che pure ci ha dato la gioia di interrompere i normali ritmi di vita.
Il “momento” per Lefebvre, così come “una esperienza” per Dewey, è il fulcro in cui si
fonda la dialettica tra ordinario e straordinario che costituisce l'essenza della
quotidianità.
3.2 AURA/ATMOSFERA
Oggi i prodotti non soddisfano più bisogni ma esprimono stili di vita, soddisfano
desideri.
Il concetto di aura presenta alcune affinità con quella “trasfigurazione del banale” di
cui parla Arthur Danto prendendo spunto dalle “Brillo Box” di Andy Warhol.
Tuttavia, l'aura di cui parla Benjamin è un concetto differente, denso di valori legati al
culto prima che all'esposizione museale.
Nella chiave di lettura proposta da Leddy, l'aura è concetto affine a quello di “awe”,
che anche foneticamente richiama l'espressione vocalica di stupore. Pur derivando
originariamente dalla sfera del sacro, il concetto di awe indica il sentimento di
meraviglia che può essere prodotto anche dalle piccole cose di ogni giorno.
Esempio del Natale: culmine dell’awe 24-25 dicembre ma anche il resto emana awe.
L’awe è anche il sentimento che ci induce a prenderci cura degli altri e consolidare il
legami affettivi.
3.3 LUSSO/DECORO
Gli odierni scenari dell'estetizzazione del reale, in cui il valore simbolico delle merci
acquista più importanza del loro valore economico e funzionale, inducono a riflettere
sulle categorie del lusso e del decoro.
Ancora oggi le espressioni “agire con decoro” o “in modo decoroso” si riferiscono a
un modus operandi adeguato alle circostanze. Nell'uso comune il lusso è connesso
all'idea di bellezza, eccessiva e spesso pacchiana.
In linea con l'estetica normativa e classicistica del Rinascimento, Alberti ritiene che la
bellezza debba essere regolata per evitare eccessi e sprechi, e pone il concetto di
decorum come misura dell'ornamentazione architettonica.
Nelle grandi metropoli americane di fine Ottocento, il lusso subisce una «lussazione
creativa».
Nel corso dei secoli lusso e decoro sono stati sempre intrecciati. Lo dimostra il fatto
che fin dall'antichità le spese eccessive, sono state spesso limitate da specifiche
leggi.
L'estetizzazione del reale ha trasformato il lusso in una modalità del vivere e del
sentire che aspira allo straordinario nell'ordinario, attraverso la riconfigurazione
mondana dell'aura.
La sfera dell'arredo e quella della moda sono gli ambiti in cui il lusso si tinge di
artisticità.
Nell'alta moda il lusso è soprattutto uno spettacolo riservato ai grandi eventi mondani
e le sfilate si trasformano in un palcoscenico su cui esibire le capacità tecniche e
creative della “casa”.
L'estetica non può rimanere circoscritta alla sfera dell'arte. L'estetica può offrire
strumenti conoscitivi per interpretare il reale estetizzato mettendo al centro la
Corporeità e la sua capacità di percepire e auto percepirsi in linea con l'ermeneutica
che ne fonda lo statuto principale. La tradizione occidentale da Platone e attraverso
il cristianesimo ha condannato il corpo contrapponendo alle attività contemplative
dello spirito. Nel Novecento la corporeità ha però acquistato rilievo nel dibattito
filosofico. All'interno si inserisce Shusterman che cerca di far conciliare la teoria e la
pratica corporea. Attualmente la cura del corpo è al centro della società, per questo
le teorie di Shusterman sulla somaestetica diventano più che mai rilevanti. Il filosofo
americano distingue la somaestetica in ''rappresentazionale'' relativa al
miglioramento dell'aspetto fisico e in ''esperienziale'', inclusiva di tutte le attività
volte alla cura interiore (come yoga o meditazione) . La somaestetica rifiuta di
esteriorizzare il corpo come cosa distinta dallo spirito, di conseguenza ogni azione
volta a migliorare l’aspetto avrà ripercussioni sul benessere psichico e viceversa. La
somaestetica valorizza il corpo non come ''superficie'' ma come sede vivente di
esperienza bella. La correlazione tra bellezza e benessere non era estranea alla
cultura rinascimentale, infatti quando una donna si trucca e pettina si dice si sta
mettendo in ‘ordine’. Infatti, l’estetica, che si richiama all’ordine universale (kosmos),
nasce per ripristinare l’equilibrio psicofisico da cui promana la bellezza. L’uso dei
cosmetici viene condannato se deborda nell'eccesso. In quanto ornamento, la
cosmetica deve trovare criterio nel decoro che è misura dell'estetica e dell'etica. Il
corpo divenuto rappresentazione viene mercificato ed esibito attraverso i media e i
social network. Ne consegue il culto di una bellezza superficiale, difficile da
raggiungere anche attraverso la chirurgia.
4.2 SPORT
La relazione tra sport ed esperienza estetica risale agli albori della civiltà
occidentale. Un tempo l'attività fisica aveva come obiettivo la disciplina, ora mira ad
emancipare e valorizzare il corpo. Possiamo considerare lo sport una forma di
drammatizzazione, dal momento che risiede in esso una componente simbolica e
possiamo trovare molte analogie con la performance teatrale, ad esempio, la
componente aleatoria che tiene sospeso l'osservatore fino alla conclusione della
competizione, allo stesso modo il teatro, in cui si improvvisa. C'è una sorta di
contagio emozionale. Jean Jacques Rousseau mette in guardia la condizione di
soglia, in cui lo spettatore perde l'autocontrollo. Al calcio, ad esempio, possiamo
applicare le nozioni di aura e atmosfera. I processi di costruzione dell'aura si
fondano sulla distanza, per questo certi calciatori vengono venerati come idoli. Al
contrario la categoria dell'atmosfera si fonda sulla presenza, da qui si può spiegare
perché tra gli spettatori dello stadio si produce un certo coinvolgimento, che porta i
tifosi ad essere poi denominati '' il dodicesimo uomo in campo” . Il contagio
emozionale si manifesta durante la fruizione televisiva, quasi sempre condivisa.
4.3 IL CIBO
La sfera del cibo occupa un posto privilegiato nella sfera dell'estetica, il senso del
gusto d’altronde è anche la capacità di apprezzare il bello. L’avere buon gusto, che
sia per la musica, la pittura, il cibo ecc. indica un sapore che si radica nei sensi. Le
teorie filosofiche hanno distinto i sensi alti (vista e udito) da quelli bassi (gusto, tatto
e olfatto), che sono quelli che instaurano una relazione con le cose con cui entrano
in contatto. Inoltre, l’estetizzazione ha invaso anche il campo culinario, presentando
spesso cibi che alludono nelle forme ad opere d’arte, e curandosi molto della “mise
en place”. Il rapporto tra cibo e arte è attestato dalla lunga tradizione e si manifesta
in varie opere, dalla pittura di nature morte alla letteratura e fotografia. Il cibo è
sempre strumento di rappresentazione e narrazione. La contaminazione tra i media
artistici e la cucina allo scopo di produrre esperienze polisensoriali ha origine sin dai
banchetti medievali, oggi invece tende a imitare le forme e i linguaggi di pittura e
scultura. L'estetizzazione del cibo rimane legata a meccanismi di
spettacolarizzazione legati al marketing e alla promozione di immagine, la bella
apparenza infatti non sempre corrisponde alla sostanza. Al contrario l'esperienza del
cibo può essere indirizzata verso un consumo rispettoso delle risorse naturali,
prestando attenzione alla qualità dei cibi e alle conseguenze che possono avere sui
consumatori. La cucina è un sapere incorporato che giunge all'auto
perfezionamento. Essa rientra in quelle attività in cui la ripetività è positiva e produce
miglioramento dei risultati. La dialettica in questo caso tra straordinario e ordinario
trova specifica articolazione attraverso l'aura e l'atmosfera. Ad esempio, il
ringraziamento negli USA viene celebrato attraverso il consumo collettivo di cibo,
con il tacchino che conferisce valore simbolico al momento, e allo stesso tempo il
momento fa acquisire al tacchino un sapore speciale.
4.4 OGGETTI
L’estetica degli oggetti quotidiani apparve, agli inizi, come priva di fondamento
filosofico. In realtà, con le correnti artistiche degli anni ’60 e ’70, oggetti come ruote
di bicicletta e addirittura orinatoi hanno avuto accesso agli spazi museali. Ciò ha
dato avvio al dibattito tra oggetto estetico e artistico. L’oggetto estetico è ciò che
possiede, appunto, proprietà estetiche. Esso si distingue, da quello comune, non per
le qualità percettive (forma, colore), ma per una diversa collocazione nella dialettica
utile/bello. Infatti, all’interno di mostre e gallerie, l’oggetto comune si carica di valori
espositivi che gli conferiscono l’aura propria delle opere d’arte. Spesso si fa
riferimento alla categoria dell’aura per indicare l’alone di artisticità emanato da alcuni
prodotti, che trasfigurati dalla popolarità del brand, son diventati merci di culto.
Questi fanno parte della fiction economy, che servono a configurare stili di vita e
fanno leva sull’impatto emotivo. Alcuni sostenitori dell’everyday aesthetics, hanno
sottolineato che il valore estetico dell’oggetto quotidiano risiede proprio nella sua
ordinarietà, nella sua familiarità e nel radicamento nella nostra vita. Tra le prime
sostenitrici di questo orientamento troviamo Yuriko Saito, che sottolinea l’importanza
della funzionalità, spesso considerata un ostacolo all’apprezzamento estetico degli
oggetti, poiché le percezioni sensoriali sono dovute anche all’esperienza che ne
facciamo nell’uso. Il valore estetico degli oggetti risiede quindi anche nel piacere che
scaturisce nel raggiungere efficacemente l’obiettivo. Pertanto, anche gli oggetti
possono avere un’aura pur senza diventare opere contemplative, ma solo in virtù
della loro efficacia funzionale. Gli oggetti d’uso sono aurici anche quando ci sono
donati da una persona cara o sono pregni di ricordi. Per tale motivo anche una tazza
scheggiata può avere un valore estetico. Un’aura simile è promanata dagli oggetti
vintage, l’oggetto ‘vissuto’ evoca una storia e scaturisce il desiderio di essere
posseduto proprio per la vita passata che reca nascosta in esso.
4.5 AMBIENTE
Nel capitolo 7 del libro "L'invenzione del quotidiano", intitolato "Camminare per la città",
Michel de Certeau esamina il modo in cui gli individui danno forma alla loro vita
quotidiana, creando significato, attraverso le loro pratiche di spostamento nello
spazio urbano, scegliendo determinati percorsi e modi di spostarsi in base alle proprie
esigenze e preferenze.
De Certeau sostiene che camminare per la città sia un modo per gli individui di
esprimere la propria identità e di costruire significato nella vita quotidiana e, sottolinea
inoltre, che gli individui attraverso le loro pratiche di spostamento nello spazio urbano,
possono resistere e sfidare le strutture imposte dalla società, creando nuove forme di
significato e di senso.
Immaginando la vista dal World Trade Center, De Certeau sostiene che chi vede la
città dall’alto è un voyeur, la vede nella sua complessità. In realtà però coloro che
vivono quotidianamente la città stanno in basso, sono i passanti.
La città funge da punto di riferimento totalizzante e quasi mitico per le strategie socio
- economiche e politiche, però la vita urbana lascia sempre più riaffiorare ciò che
il progetto urbanistico escludeva.
Cercheremo ora di esaminare alcune procedure che sfuggono alla disciplina senza
essere tuttavia al di fuori del campo in cui essa si esercita.
La storia inizia dal basso, con i passi, il cammino che costruisce uno spazio. Esso
potrebbe essere tracciato ma si perderebbe l’atto stesso di passare, la traccia si
sostituisce alla pratica.
ENUNCIAZIONI PEDONALI
L'atto di camminare sta al sistema urbano come l'enunciazione sta alla lingua.. I
passaggi pedonali hanno 3 funzioni enunciative:
● presente: l'individuo attualizza lo spazio in base alle possibilità che esso offre.
Il camminatore utilizza alcune possibilità e interdizioni dell’ordine spaziale ma
allo stesso tempo ne inventa di nuove (scorciatoie, traverse..)
● discontinuo: il fruitore della città preleva frammenti dell'enunciato per attuarli
in segreto e crea una discontinuità operando delle scelte
● fatico: il fruitore interrompe il suo percorso a causa del contatto con
determinati elementi; si perde quindi la comunicazione
NOMI E SIMBOLI
Nel vagone ferroviario, ogni cosa ha il suo posto, ogni essere una sua collocazione.
All’esterno vi è un’altra immobilità quella dei paesaggi, delle montagne.
Tra le due immobilità si introduce un qui pro quo “qualcosa al posto di qualcos’altro”.
Il punto di contatto sono il finestrino e la rotaia: il primo crea distanza il secondo
l’ingiunzione di passare.
Una volta terminato il viaggio, ciascuno torna alla propria vita, ricomincia la lotta con
una realtà che scaccia lo spettatore, privato di binari e finestrini.
I racconti effettuano un lavoro che trasforma i luoghi in spazi o gli spazi in luoghi.
Essi organizzano così i giochi dei rapporti mutevoli che gli uni intrattengono con gli
altri. Quando si fanno descrizioni di luoghi e spazi si ricorre a descrizioni, attraverso
mappe oppure percorsi. Mappe comparate al vedere:” Accanto al bagno c’è la
cucina”. Percorsi comparati al fare:” Volti a dx ed entri nel soggiorno”. La maggior
parte di esse è di tipo percorso: si prediligono infatti quelle descrizioni che parlano
del tragitto da compiere, di operazioni da eseguire.I percorsi, o manipolazioni dello
spazio, prevalgono nella descrizione di appartamenti o di strade. Molto spesso le
descrizioni di questo tipo determinano l'intero stile della narrazione. E quando
interviene l'altro tipo di descrizione, è condizionata o presupposta dal primo.
Esempio di percorso che condiziona una mappa:” Se vai dritto vedrai la cucina e il
bagno”. Le descrizioni di tipo mappa hanno infatti la funzione di indicare sia un
effetto ottenuto attraverso il percorso ( tu vedrai), sia un dato che esso postula come
limite, possibilità o obbligo (la cucina e il bagno). Le mappe sono state per molti
secoli il punto di riferimento dei viaggiatori, indicando il percorso, le tappe...
2. REGISTRAZIONI DIGITALI
La natura affettiva della vita quotidiana è ciò che motiva le persone a scattare foto
con i loro telefoni cellulari e caricarle su Internet. Questa intensità affettiva provocata
dalla condivisione della banalità dell'ordinario e del mondano diventa uno degli
aspetti chiave dell'estetica fotografica mobile. La banalità inscritta in queste immagini
conferisce loro l'autenticità e il carattere genuino che le rende attraenti e capaci di
generare attaccamento e legame.
I legami creati e coltivati nelle relazioni intime sono mobili e fluidi, ma lasciano tracce
nella materialità dei corpi e degli oggetti. La possibilità di tracciare questi movimenti
e stabilizzare (almeno temporaneamente) il flusso affettivo dei legami interpersonali
dipende dai dispositivi digitali e dalle loro iscrizioni, che svolgono un ruolo importante
nella nascita, nello sviluppo e nel mantenimento di quei link. La stabilizzazione di
rappresentazioni, interpretazioni, affetti, modi di essere e di fare, è sempre un
problema di ordine politico e di disciplina morale. Non possiamo comprendere questi
processi se ci concentriamo solo sui dispositivi di registrazione stessi. Occorre
indagare le controversie sulle specifiche interpretazioni delle iscrizioni digitali.
Quando queste situazioni quotidiane vengono digitalizzate entrano a far parte delle
attuali forme di lavoro digitali. Non ci riferiamo che queste pratiche si verificano nelle
attività professionali, né all'importanza dei social per le carriere e nemmeno alla
monetizzazione dei contenuti postati, bensì al lavoro svolto da noi che produciamo
contenuti per queste app digitali, che ne traggono profitto. Inoltre, i nostri contenuti
(anche discorsi ed espressioni) producono valore collettivo quando vengono catturati
da istanze commerciali che li convertono in dati.
A differenza delle interazioni face to face, non stiamo mostrando una performance
effimera ma creiamo contenuti permanenti che vengono mercificati. Il nostro è un
lavoro gratuito. Angel Luis Lara—--> “lavoro invisibile di quarta generazione”
all’invisibilità di questo lavoro si aggiunge anche l’ignoranza sulla quantità di risorse
che serve per mantenere le infrastrutture digitali.
Le mediazioni digitali della nostra vita quotidiana danno vita a molteplici iscrizioni
che contribuiscono a plasmare i nostri corpi. Sono soggette a processi di visibilità e
invisibilità. Tra i primi la materializzazione di ciò che un tempo si considerava
effimero (conversazioni, gesti..). La suddetta materializzazione avviene però entro
vari livelli di visibilità e opacità: dall'impossibilità di sapere con certezza chi sono
i nostri contatti e pubblici online, e chi sono e saranno il pubblico per le nostre
attuali presentazioni digitali in futuro; passare attraverso l'opacità degli
algoritmi e il modo in cui le aziende digitali trattano, vendono e utilizzano i
nostri dati; all'invisibilità del nostro lavoro digitale, che non siamo solo
prosumatori di contenuti, ma anche di dati e metadati.
Qualche mese fa sono andata in un ristorante di Londra con alcuni amici. Abbiamo
notato quanto fosse normale, per gli altri commensali (e per noi), usare la fotografia
come parte delle pratiche commensali. Uno dei miei amici ha trascorso un po' di
tempo durante la cena installando e configurando un'applicazione sul suo cellulare.
Al termine della cena, ha fotografato il codice QR con il suo smartphone e ha
esclamato: "Fatto! Andiamo!".
Il cameraphone, in quanto strumento "sempre in vista", dà forma a una pratica che
diventa parte di qualsiasi altra esperienza, su base quotidiana (si pensi, ad esempio,
ai concerti, che sono diventati un oceano di piccoli schermi che raccolgono
immagini). Probabilmente si può affermare che, per molte persone, la fotografia è
una funzione del telefono cellulare più utilizzata rispetto all'effettuare una chiamata,
ed è altrettanto sicuro affermare che le persone scattano più foto con i telefoni
cellulari che con altri tipi di fotocamera. Le capacità audio dei telefoni cellulari
sembrano essere meno importanti di quelle visive. La fotografia è passata
dall'essere un mezzo per la raccolta di ricordi importanti a un'interfaccia per la
comunicazione visiva. Quello che voglio sottolineare in questo testo è che gli usi
vernacolari (fotografie di persone comuni) delle fototecnologie stanno incorporando
pratiche che si allontanano non solo dagli usi tradizionali della fotografia, ma persino
dal mondo della rappresentazione. La fotografia viene sempre più utilizzata come
interfaccia, senza nemmeno coinvolgere un'immagine.
Prima di addentrarmi nella mia idea centrale, voglio tracciare brevemente due
scenari. Nel primo scenario voglio proporre una decostruzione dell'idea di fotografia
(vernacolare) come ontologia singola e unica e presentarla, invece, come un
assemblaggio specifico (uno dei tanti assemblaggi possibili). La cultura Kodak è
stata una stabilizzazione specifica della fotografia che, quasi un secolo dopo, è stata
stravolta dalle pratiche digitali.
Nel secondo scenario voglio presentare, altrettanto brevemente, il nuovo panorama
che le pratiche digitali aprono, concentrandomi sulle nuove pratiche all'interno della
fotografia che formano il contesto in cui l'uso della fotografia come interfaccia sta
prendendo forma. Queste due discussioni serviranno come base per la mia
successiva argomentazione secondo cui le pratiche fotografiche digitali stanno
formando nuovi assemblaggi visuali-digitali che utilizzano le "tecnologie di creazione
di immagini" vernacolari per scopi radicalmente diversi da quelli dell'era analogica.
Nel suo nuovo ambiente tecnologico, la fotografia sarà piegata a nuovi fini, mentre
lotta per mantenere i suoi scopi storicamente definiti. È necessario, quindi, iniziare a
capire che gli "scopi storicamente definiti" della fotografia sono stati il risultato di
diverse alleanze, di specifici contesti storici e di lotte discorsive che hanno dato
forma a diverse pratiche e innovazioni tecniche. Quando le tecnologie si
stabilizzano, è il risultato di un processo sociale piuttosto che di un progressivo
sviluppo "tecnico" verso il design, l'uso o l'interpretazione più avanzata.
Nel suo lavoro, Bijker propone che "si deve studiare come le tecnologie vengono
modellate e acquisiscono i loro significati nell'eterogeneità delle interazioni sociali”.
Prendendo spunto da questa affermazione, voglio utilizzare la nozione di
"stabilizzazione" per parlare di come la fotografia abbia acquisito determinati
significati nei gruppi sociali di riferimento. Questa decostruzione della fotografia
potrebbe aiutare a comprendere come le tecnologie digitali stiano formando nuovi
assemblaggi, piuttosto che riconfigurare semplicemente le immagini digitali come
una "nuova" versione della "vecchia" fotografia.
L'uso vernacolare della fotografia nella vita quotidiana, come strumento di memoria,
come "souvenir" di momenti felici e importanti, ha dato forma alla Kodak Culture. La
fotografia era considerata un assemblaggio che generava sempre immagini
(fotografie) e queste immagini erano destinatarie della memoria e proiettavano una
nozione di coesione sociale in virtù di ciò che ritraevano, ossia momenti felici speciali
e unici della vita. Come pratica, la fotografia vernacolare aveva codici, possibilità,
vincoli e usi chiari che sono rimasti più o meno stabili per quasi un secolo e che sono
stati analizzati in profondità negli studi sulla fotografia e la vita quotidiana.
Molti degli studi citati hanno offerto nuove prospettive da cui considerare la fotografia
mobile come diversa dalla fotografia convenzionale, definendola come una
"comunicazione visiva", come una "connessione di immagini" o come un "multimedia
mobile". Ciò che accomuna tutti questi lavori è la riflessione sull'uso della fotografia
per scopi non tradizionali, in particolare quelli legati alla temporalità in tempo reale
dello scambio di immagini. L'argomento importante è che la fotografia vernacolare
ha iniziato a cambiare il suo ruolo, passando dalla registrazione dei ricordi a un
meccanismo connettivo. Vorrei approfondire questo argomento e passare a una
riflessione sull'uso della tecnologia fotografica nella vita quotidiana, al di là della
rappresentazione o della raffigurazione. Suggerisco che sarebbe utile comprendere
le pratiche basate sull'obiettivo non solo come foto-grafie, ma come foto-interfacce.
Tuttavia, per capire questo, dobbiamo prima comprendere la fotografia come
tecnologia.
Dopo aver presentato l'idea della fotografia come un assemblaggio mutevole basato
su innovazioni e pratiche, suggerisco di pensare alla fotografia come a una
tecnologia.
Uno dei punti di riferimento più importanti per comprendere la fotografia come
tecnologia (o una serie di fototecnologie, per essere più precisi) è il lavoro di Patrick
Maynard. Maynard propone che "se l'idea della fotografia come tecnologia sembra
poco familiare, la tecnologia della fotografia è sicuramente molto familiare" . Nel suo
libro The Engine of Visualization Maynard propone di concentrarsi sulle tecnologie
fotografiche e sulla loro relazione con i processi, e non sull’immagine che ne risulta.
È interessante notare che, in realtà, il processo descritto da Fox Talbot era chiamato
"disegno fotogenico". Fotogenico", nonostante l'uso corrente del termine, significa
letteralmente "prodotto o precipitato dalla luce". Questo semplice collegamento ci
permette di capire come, alle sue origini, la fotografia fosse intesa come un
processo, piuttosto che come il risultato di tale processo. Le immagini, quindi, erano
meno importanti delle possibilità di questa nuova tecnologia di visualizzazione.
Seguendo l'aneddoto con cui ho aperto questo testo, introdurrò l'idea di fotografia
come interfaccia attorno a un oggetto specifico: il codice QR. I codici QR
rappresentano un ottimo esempio di gateway, è un dispositivo di rete che collega
due reti informatiche di tipo diverso.
Il mio iPhone non poteva "leggere" le informazioni contenute nel codice perché non
avevo un piano dati. Inoltre, non avevo installato un'applicazione in grado di
"leggere" la "foto". Come nel caso del mio amico al ristorante, la stessa azione con lo
stesso dispositivo poteva avere risultati ontologicamente diversi. Il processo
fotogenetico che collegava la mia mobilità e il mio desiderio di informazioni con le
agenzie di locazione non era possibile, perché non avevo gli strumenti giusti.
In una libreria di San Francisco vidi un libro che mi interessava molto. Poiché avevo
ancora due settimane di viaggio e avevo già comprato alcuni libri, ho deciso che non
avrei acquistato quel libro. Tuttavia, poiché desideravo quel libro, ho aperto
l'applicazione Amazon e ho "scansionato" il codice a barre del libro.
Automaticamente ho avuto accesso al prezzo, ad alcune recensioni e così via. Con
un clic, l'ho acquistato. Dopo aver lasciato il libro sullo scaffale, ho scattato una foto
della copertina del libro e l'ho caricata sul mio account Instagram/Facebook con la
didascalia "acquisto". Quando sono tornato a casa, un paio di settimane dopo, il libro
mi aspettava in ufficio e avevo già diversi "mi piace" e commenti sull'immagine del
libro. La stessa tecnologia fotografica utilizzata in entrambe le azioni (e lo stesso
oggetto materiale) ha mobilitato diverse reti sociotecniche: una economico- materiale
(l'acquisto del libro dopo la scansione del codice a barre) e una "sociovisiva" (la
condivisione dell'immagine del libro che stavo acquistando).
Se pensiamo alle parole più comuni che colleghiamo alla fotografia, il codice QR
cambia completamente le carte in tavola, poiché la fotocamera del telefono non
scatta una fotografia ma scansiona un codice. I codici QR, in quanto immagini, mi
sono oscuri; possono essere decodificati solo grazie alla combinazione di un sistema
ottico, un sensore, un algoritmo e una connessione a Internet. L'immagine di un
codice QR diventa significativa solo quando la macchina la interpreta e le
informazioni vengono visualizzate nel mio browser mobile. Il risultato di questo
processo non è una rappresentazione basata su un oggetto 'reale', e nemmeno
un'immagine, ma una connessione diretta con una piattaforma digitale (una pagina
web, un'app, ecc.) che non assomiglia in alcun modo a ciò che stavo puntando il mio
telefono e vedendo attraverso il mirino.
Crary propone che la maggior parte delle funzioni storicamente importanti dell'occhio
umano sono state soppiantate da pratiche in cui le immagini non hanno più alcun
riferimento alla posizione dell'osservatore in un mondo "reale", percepito
otticamente. Sebbene Crary si riferisca più che altro alle immagini generate al
computer, questo argomento potrebbe essere facilmente traducibile all'immagine
fotografica che agisce come un vero e proprio traduttore, allineato più con gli
algoritmi e il codice che con la rappresentazione e la visione in sé.
Questo spettro di pratiche è utile in due modi. In primo luogo, stabilisce un'agenda
generale di ricerca sulla mediazione visuale-digitale (insieme a mobilità, cultura
materiale, ecc.). In secondo luogo, ci aiutano a considerare gli assemblaggi
foto-genici come parte di ciò che costituisce le pratiche fotografiche nella vita
quotidiana, senza concentrarsi sull'immagine finale come indice semiotico o sulla
sua novità rispetto agli usi passati della fotografia.
Sebbene questo capitolo abbia una portata limitata, l'analisi del rapporto tra processi
basati sull'immagine e regimi di conoscenza è molto rilevante e, pertanto, è
importante notare come questi nuovi assemblaggi foto-genici possano avere un
impatto importante sulla formazione di nuovi regimi tecno-visivi. Il rapporto tra
fotografia e regimi tecno-visivi è di lunga data in ambiti specifici e "l'immaginario
scientifico spesso ci arriva con una sicura autorità alle spalle". Sebbene gli studi
scientifici abbiano criticato questa idea mostrando come "lo sguardo scientifico sia
culturalmente dipendente come le altre pratiche di sguardo", abbiamo ancora
bisogno di una ricerca che metta in relazione con le pratiche sociotecniche di
creazione di immagini in modi più vernacolari. Ci sono due elementi importanti qui: il
primo, come suggeriscono Sturken e Cartwright, è che il tipo di conoscenza possibile
cambia con le tecnologie di mediazione. Il secondo elemento importante è che,
sempre più spesso, gli usi vernacolari delle immagini richiedono codici specifici, non
sempre rappresentativi, che rafforzano determinate strutture di potere attraverso
elementi come la sorveglianza o i big data.
CONCLUSIONI
Questo è un invito a pensare di più alla fotografia come pratica sociotecnica e meno
alla fotografia come immagine, rappresentazione e raffigurazione. Se pensiamo alla
fotografia come a una pratica sociotecnica in costante mutamento, con nuove
possibilità tecniche, ambienti e discorsi in evoluzione, allora potremmo risparmiare
tempo prezioso nella ricerca di come si stabilizza in contesti diversi.
PROCESSO/OGGETTO
Lettera a David Smith nella quale gli spiegava che lui annulla le fonti delle cose e per
questo motivo le sue opere erano state escluse dalla mostra.
Lévi-Strauss parla del bricolage come "scienza del concreto" descrive soprattutto un
atteggiamento nei confronti del mondo materiale e fu interpretata come una rottura
con la pittura astratta. L'assemblage si presentava come l'espressione privilegiata di
un nuovo soggetto consumatore la cui identità si definiva attraverso un ciclo sempre
più accelerato di acquisizione e dismissione di oggetti. La concretezza
dell'assemblaggio gli permetteva di sottolineare il nuovo predominio della merce
mentre la sua enfasi sul processo ha suggerito i modi in cui i soggetti si formano
attraverso questo mutevole insieme di relazioni. L’assemblage era visto, nel
peggiore dei casi, come complice delle forze sempre più dominanti del capitalismo.
Cambiano gli strumenti della figura del bricoleur privilegiando il processo, la
performance e il linguaggio sull'oggetto.
Analisi di Brunham “estetica dei sistemi” in cui il sistema è inteso come complesso di
componenti in interazione ricorda l’insieme di manufatti assemblati dal bricoleur.
Nell’estetica dei sistemi la priorità dei risultati finali sulla tecnica si rompe. Esempi:
Nauman sosteneva che tutto ciò che l’artista faceva nel suo studio era arte. Fillou
utilizza il bricolage per ridefinire i confini dell’arte, la casualità e la leggerezza delle
sue costruzioni incoraggiavano chiunque a dedicarsi all’arte.
riflette cambiamenti nel pensiero politico. Il modello guida per l'arte più politica
dell'ultimo decennio, secondo Gregory Sholette, può essere trovato nelle
organizzazioni non governative, "che privilegiano l'azione pragmatica e tattica
sull'ideologia" Il bricoleur, a quanto pare, è tornato con un nuovo kit di strumenti, che
ora include interventi stradali, Internet e prototipi di prodotti.
Le pratiche contemporanee del bricolage tendono a concentrarsi su uno dei due temi
centrali: il bricolage come pratica di studio per artisti che rivisitano le utopie
fallite delle passate avanguardie da un lato e, dall'altro dall'altro, il bricolage
come modello quotidiano di attivismo. La prima richiama Nauman ed è
autoriflessiva mentre la seconda le opere di Oiticica (che riprende Fillou) è
impegnata con preoccupazioni sociali e politiche. Entrambe condividono la
preoccupazione per la situazione attuale della cultura.
Il lavoro di Hirschhorn è la sintesi dei due filoni. A causa delle sue complesse
relazioni con oggetti, processi e tempo, il bricolage è stato il luogo privilegiato per
l'esplorazione di questioni più ampie di materialità, mercificazione e consumismo
nelle società capitaliste e sempre più globalizzate.
LAVORO/TEMPO LIBERO
Il dibattito che si aprì negli USA sui “pittori della domenica” si concentrava sul fatto
che ciò costituisse una democratizzazione dell’arte oppure agisse come una forma
soffocante di controllo sulla reale espressività.
Effettivamente il clima sociale in quegli anni era di costrizione così un artista gay,
Rauschenberg, usò l'assemblaggio come mezzo per trasmettere significati della
propria differenza sessuale.
Il bricoleur nelle società industriali occupa una posizione ambivalente perché occupa
una posizione ambigua tra produzione e consumo. Questa ambivalenza tra
produzione e consumo si identificò più strettamente con la figura del dilettante,
distinta sia dal consumatore passivo che dallo specialista professionista.
La figura del dilettante è l’unico modello per comprendere la quotidianità. Può servire
a due scopi: incarna una forma di amore e passione non più presente nel mondo del
lavoro e la sua adozione da parte di artisti politicamente impegnati nell’esplorazione
del capitalismo.
La vita di tutti i giorni è inerme nella sua lentezza e ripetitività ma persistente nel suo
continuo richiamo alla tradizioni e nei modi di fare e di essere. Il bricolage agisce
come un sismografo, registrando le forze che hanno interessato l’arte e la società
dalla seconda metà del ventesimo secolo.
DA FLÂNEUR A CO-PRODUTTORE. LO SPETTATORE PERFORMATIVO
Opera 1942- Le Flaneur—-> ci prende per mano, nella sua passeggiata in città e
condivide con noi ciò che scopre. È il prototipo dell’urbanista moderno, osserva lo
spettacolo che emerge intorno a lui.
I flaneur sono artisti anche se non scrivono perché sono testimoni di cosa accade in
città. Producono storie delle loro esperienze vissute pur essendo attori nello
spettacolo, partecipano attivamente alla co-produzione della vita cittadina. Walter
Benjamin introduce il flaneur nell’ambito accademico, per lui la città non è una cosa
fissa ma cambia continuamente in base all’azione e alle scelte del visitatore. Per il
flaneur la città gli è sconosciuta perché la considera come uno spettacolo teatrale.
DIGITALITÀ
Le culture digitali non sono solo un additivo a ciò che accade sul palco, ma sono un
cambiamento radicale per ogni aspetto della performance, e in particolare per lo
spettatore. Anche se si è verificato un enorme cambiamento, rimane una situazione
in cui c'è un'attenzione prodotta dalla produzione e richiesta allo spettatore.
Ma che dire degli spettacoli in cui la domanda non è prodotta dal team artistico
ma dagli utenti-spettatori, oppure l'attenzione deve essere prestata dai
cosiddetti attori e non dal pubblico? Che dire delle produzioni che avranno
luogo solo se il pubblico è molto più attivo del team di produzione?
WAFFITTARE LA CITTÀ
Entrambi hanno scelto di camminare per la città in un modo che non sia solo
dedicato al modo più veloce per portare il proprio corpo dal punto A al punto B.
Al centro di una sala si erge un'enorme installazione, “Posizione Camere” che è una
produzione sulla guerra, la rete internazionale del commercio di armi, l'uso delle armi
e l'impatto di ciò che l'uso delle armi potrebbe avere. Anche qui il visitatore è dotato
di un dispositivo digitale, in questo caso di cuffie collegate a un iPad mini installato in
modalità landscape su un supporto in legno. La tecnologia digitale qui offre una
presa per mano più ravvicinata che all'interno Passeggiando per la città.Il sistema di
gioco funziona come un orologio. Non si ferma. O stai seguendo la traccia e il ritmo
o sei fuori. Il grado di libertà nell'offerta di partecipazione qui è piccolo: è più un invito
a entrare in un ruolo pre-prodotto che a esplorare diverse possibilità. I dispositivi
aiutano il visitatore ad assumere la posizione del protagonista, come un suggeritore
guida un attore attraverso la performance.
CONCLUSIONE
Il ruolo dello spettatore è cambiato radicalmente. Richiede molto più che apertura e
consapevolezza: richiede prontezza a seguire le regole anche se non c'è alcuna
spiegazione di dove potrebbe portare. Sia l'impostazione acustica che la presa per
mano producono un approccio individuale a e per ogni membro del pubblico e li
aiutano a produrre la loro esperienza individuale della performance.
Nelle opere di Benjamin una società è evocata solo dal fatto che ci sono persone per
strada, nelle città. Le strade delle città europee sono occupate da più società: a
Istanbul, una folla, mobilitata da una trasmissione televisiva di una videochiamata di
Erdogan, pronta a usare la violenza, sta affrontando carri armati e soldati. A Londra,
in diecimila hanno seguito un invito sui social media a manifestare contro la Brexit. E
ad Amburgo, centinaia di adolescenti che normalmente si siedono davanti ai giochi
per computer vagano per le strade per dare la caccia ai Pokemon con i loro
dispositivi portatili.
L'impatto più forte delle culture digitali nel campo del teatro è documentato dal fatto
che il pubblico è diventato sempre più un vero e proprio coproduttore dello
spettacolo.
EVERYDAY AESTHETICS IN CONTEMPORARY ART
Secondo Mandoki, l’estetica si ritrova nelle opere d'arte ma anche in opere diverse
dall'arte. Chiunque può avere un'esperienza estetica, Le persone hanno esperienze
estetiche ogni giorno, non necessariamente piacevoli o belle. Dewey introduce due
concetti; “semplice esperienza” e “Un'esperienza”, ed è quest'ultima quella che ha
una vera qualità estetica. La mera esperienza è discontinua e comporta dispersione
poiché non ha un elemento unificante che porti alla chiusura. Al contrario,
un'esperienza è quella a cui una persona presta più attenzione e suscita interesse
anche nel caso di situazioni banali.
Nel 1992 Tiravanja cucinò nella galleria di Ny: portare esperienza quotidiana nel
mondo artistico, in questo contesto è essenziale la presenza dell’altro, lo spettatore
è parte dell'opera d'arte consumandola mangiando.
Al giorno d'oggi, le immagini fotografiche proliferano grazie alla facile diffusione nei
mass media. Prevale il banale e le immagini sincere, autentiche e senza troppe
conoscenze tecniche. De Certeau parlava di proteggere l’intimo da occhi indiscreti
ma oggi con i social le persone amano guardare e farsi guardare.
Nel campo dell'arte, l'estetica quotidiana si osserva dagli anni Sessanta al lavoro di
fotografi americani come Nan Goldin, Nobuyoshi Akari. Secondo Cotton, per alcuni
di questi artisti l'uso di una fotografia priva di tecnica è intenzionale, ciò che conta è
che l’osservatore dialoghi con l’opera.
Spesso vi sono degli errori, che vengono trasformati in qualcosa di creativo. Spesso
gli errori danno luogo a scoperte, soluzioni o nuovi modi di vedere. Ecco perché
movimenti come Dada e Surrealismo hanno elogiato il casuale. Man Ray ha prodotto
il suo lavoro esplorando gli incidenti, dichiarandosi afautografo, questo tipo di
estetica è chiamata “della sorpresa o dell’imperfezione”.
Non a tutti gli artisti piace lavorare con il caso. Invece, ne prendono le caratteristiche
per riprodurle in un ambiente controllato costruendo una scena. Il risultato è un
quadro che sembra frutto di imperfezione ma in realtà è totalmente pianificato e
concettualizzato. L'estetica quotidiana lavora in due direzioni: La prima si trova
nell'argomento, la vita privata e domestica. La seconda deriva dalla casualità o dagli
errori causati nel processo per mostrare immagini più vicine agli incontri casuali.
CREATING W/ MOBILE MEDIA - CAP IV - ESSERE LI’ CON LE APP PER
SMARTPHONE
Le persone creano e condividono l'arte mobile come parte della loro routine
quotidiana utilizzando l'estrema accessibilità degli smartphone e delle reti di telefonia
mobile.
Video ragazza con filtro b/n accompagnato da un haiku e pubblicato sui social,
l’autore cerca di evocare un senso di com’era essere lì, nel momento in cui gira il
video. Sente che le app vintage filtri possano aggiungere profondità emotiva e
comunicare più di quello che l’autore vede davanti ai suoi occhi.
L’EVOCATIVO E IL QUOTIDIANO
L'arte mobile ha ampliato il campo spaziale e sociale in cui si svolge l'arte. L'estrema
accessibilità degli smartphone ha creato un terreno fertile per la sperimentazione di
nuove forme di espressione e azioni creative in cui i confini tra spazio digitale e fisico
sono sfumati.
Hjorth sostiene che l’arte mobile debba essere intesa come un campo di pratica
creativa più ampio di quello dei media locativi (media basati sulla posizione) e delle
arti multimediali. Egli vuole definire e teorizzare l’arte mobile e lo fa basandosi su tre
rubriche:
● sovrapposizione tra il lavoro in rete (intima compresenza)
● visualizzazione aptica come le app del telefono con fotocamera
(visualizzazione posizionata)
● interventi ludici nel quotidiano (gioco ambientale)
LA VITALITA’ DELL’ESSERCI
VIVERE INSIEME
Gli smartphone sono diventati parte del mondo come “oggetti esistenti” in un
“universo coerente”. L'impulso a sentirsi in contatto con altri umani rimane forte e
continuiamo a valutare i resoconti descrittivi di com'è essere da qualche altra parte.
E possiamo ancora sentire impulsi creativi per condividere com'è essere dove ci
capita di essere in modo che gli altri possano provare per noi nel nostro mondo di
vita. Possiamo trovare molte prove di questi impulsi creativi nei social media. —>
Instagram #skyporn.
AFFETTI AURATICI
La compresenza digitale e spettrale degli altri può creare un effetto auratico mentre
svolgiamo le nostre attività quotidiane.
esempio dei cigni.
L'aura delle immagini postate da John ogni giorno dei cigni che nuotavano nel
canale allungava una rete di tempo e spazio fornendo ai suoi seguaci un momento
della loro giornata in cui potevano respirare l'aura del canale e dei suoi cigni.
WAYFARING MINDFULNESS
La maggior parte di noi ora è un viaggiatore digitale: questo ha cambiato il gioco per
i registi e i fotografi. Il digital wayfaring ha aperto la strada a nuove forme e processi
per la creazione di film e la fotografia che riflettono i nostri mondi di vita condivisi
mentre ci muoviamo attraverso spazi digitali e fisici che sono quasi intrecciati
insieme.
Wayfarer's Trail
Esperimento sotto forma di meditazione camminata che coinvolge l'estrema
accessibilità delle fotocamere degli smartphone.
Vicina alla filosofia Zen e alla teoria non rappresentativa di Ingold.
Lontana dalla nozione moderna di flaneur di Benjamin che osserva i flussi della vita
negli ambienti urbani, muovendosi accanto ad essi ma distaccato.
Lontana dalla psicogeografia —> esperimento di Gadd “Melbourne itinerante” in cui
guarda la città come non è stata mai vista prima.
La psicologa Duma ha anche commentato l'assenza del pensiero del pubblico nella
sua pratica fotografica “Senza un pubblico in mente, ho cercato solo il contatto
diretto con l'immagine”.