ESTETICA Final

Scarica in formato pdf o txt
Scarica in formato pdf o txt
Sei sulla pagina 1di 53

CHE COS’È L’ESTETICA QUOTIDIANA

CAPITOLO 1 - UN’ALTRA ESTETICA

1.1.1 LA TEORIA DELLA SENSIBILITÀ

L’estetica viene fondata come disciplina accademica da Alexander G. Baumgarten


(1935 - 50), indica la scienza che si occupa delle cose sensibili, del “sapere
sensibile” , difatti il termine dal greco deriva da aísthesis (“sensazione, sentire,
percepire”).

Baumgarten designa l’estetica come la scienza che si occupa delle cose sensibili;
dei processi mentali che avvengono quando percepiamo gli oggetti attraverso i
nostri sensi.

Baumgarten sostiene che la percezione sensibile è una forma di conoscenza che


differisce dalla conoscenza razionale, e che ha le sue leggi e i suoi propri principi.

La bellezza è quindi una qualità soggettiva che dipende dalle preferenze e dai gusti
dell'osservatore.

L’estetica si trasforma, nel corso di pochi anni, da teoria della sensibilità, in


filosofia dell'arte.

Immanuel Kant, filosofo tedesco del XVIII secolo, ha sviluppato una teoria della
bellezza che ha avuto un notevole impatto sulla filosofia dell'estetica.

Secondo Kant, la bellezza è la qualità oggettiva dell'oggetto osservato, che si trova


in alcune cose o opere d'arte, e che deriva dalla loro forma o dalla loro
composizione.

Per Kant, la bellezza è una qualità puramente formale, non dipende dai gusti
personali, dagli interessi o dalle caratteristiche emotive / sentimentali
dell'osservatore.

Ritiene inoltre che la dignità scientifica dell'Estetica è inammissibile perché


trae le sue regole a posteriori.

In Gran Bretagna acquista notorietà nella seconda metà dell’Ottocento grazie


all'Estetismo, il movimento artistico-letterario fondato da Walter Pater e Oscar Wilde,
che basa l'esperienza del bello sulla sfera dei sensi.

In Italia si afferma solo nel 1902 prima con l'Estetica di Benedetto Croce, che
ripropone la contrapposizione tra conoscenza logica e intuizione poi, nel 1986, con
Garroni.
La concezione dell’estetica come teoria della sensibilità arriva in Italia grazie a
Emilio Garroni, il quale ha dichiarato che l'estetica deve essere intesa come
filosofia del “senso”.

In Germania questo orientamento teorico è stato sviluppato, su basi e scopi diversi.


Per Seel l'estetica è una teoria dell'apparire e riguarda la conformazione sensibile di
un oggetto percettivo.

In questa direzione contributi teorici di rilievo sono stati offerti da Gernot Bohme, che
vuole rimarcare il fondamento percettivo dell’estetica.

In ambito angloamericano Richard Shusterman avanza un'originale proposta


disciplinare, la somaestetica: teoria filosofica che sottolinea l'importanza del corpo
umano come fonte di piacere estetico e come mezzo per esprimere la propria
identità e i propri valori attraverso le pratiche culturali.

Si occupa di come il corpo umano viene percepito, utilizzato e trasformato attraverso


pratiche culturali come il vestire, il trucco, chirurgia, il tatuaggio, ect: esso diviene
sede di creatività.

La somaestetica esamina inoltre come la percezione e le sensazioni fisiche siano


importanti per l'esperienza estetica e come queste possono essere modificate
attraverso l'arte, la tecnologia e altre pratiche culturali.

1.1.2 LA FILOSOFIA DELL’ARTE

Già nella seconda metà del Settecento la cultura filosofica tedesca aveva
abbandonato l'impianto gnoseologico di Baumgarten per orientarsi verso una teoria
incentrata sull'arte e sul bello.

Hegel, nei primi decenni dell’Ottocento, bandisce dall'estetica la riflessione sulla


natura e marca la distanza che separa le vette della bellezza artistica a quella
riscontrabile nella vita ordinaria. L’arte diventa un paradigma universale ed
eterno, le opere empiriche non vengono considerate.

Nei tempi del Novecento, si sviluppò una concezione autoreferenziale; l’accezione


“filosofia dell’arte”, che trova sostenitori nell’estetica analitica: un orientamento
teorico sviluppatosi nella seconda metà del Novecento che distingue ciò che è arte
da ciò che non lo è.

Questo approccio ha privilegiato gli aspetti cognitivi e istituzionali cioè


l’atteggiamento che assumiamo dinanzi all’opera in base a ciò che sappiamo o in
base al valore conferitogli dagli organi istituzionali.

In tal modo la filosofia dell'arte ha finito con l'escludere altri tipi di esperienza
estetica, come quella naturale o quella legata all'arte di massa.
Proprio a partire da quest’ultime due sfere dell’esperienza estetica si sono alzate
voci di opposizione, avviando il dibattito sull’ Environmental Aesthetics, sulla
Popular Culture e sull’Everyday Aesthetics.

1.1.3 TEORIA DELLA BELLEZZA

La bellezza oggi connota il significato più comune e popolare del termine “estetica”.
La questione del bello è presente nella tradizione filosofica, Platone non fa alcun
riferimento all’arte, Baumgarten ritiene bello la perfezione della conoscenza
sensibile.

Prima del Rinascimento e fino all’età moderna l’arte era vista come la tecnica (intesa
come disciplina), fondata schemi e regole / su un sapere sistematico.

Poi arte e bellezza cominciano ad intrecciarsi, parallelamente con lo sviluppo della


figura dell’artista intellettuale. Questo nesso viene meno nell’Ottocento e nel
Novecento poiché emerge un nuovo paradigma artistico: la teoria dell’esperienza.

1.1.4 TEORIA DELL’ESPERIENZA

La teoria dell’esperienza si intreccia con la teoria della sensibilità. La centralità


dell'esperienza nella teoria estetica è stata messa in rilievo da John Dewey che
estende l’orizzonte dell’estetica alla vita quotidiana. Lo fa prendendo le mosse
dalla concezione naturalistica, secondo la quale l’uomo è dipendente dall’ambiente
e in continua interazione con esso e altri uomini. Di conseguenza ogni esperienza è
estetica. Dewey getta le basi per l’EveryDay Aesthetics.

1.2 IL QUOTIDIANO E LA FILOSOFIA

Il quotidiano è stato spesso relegato nell’irrilevante. Al quotidianus si oppone il


festivus. Da Platone a Cartesio la quotidianità ha avuto accezione negativa, la vita
era suddivisa in 2 livelli: quello autentico e quello inautentico della vita terrena.

Arte e la letteratura sono state apripista nel cogliere la complessità della quotidianità.
Ad esempio in letteratura Baudelaire, poeta della “vita moderna”. Con Freud la vita
quotidiana diventa una categoria del pensiero. Egli scorge nella quotidianità le radici
della follia e del perturbante. Su questa linea si pone anche

Martin Heidegger, per il quale non esiste una realtà diversa e trascendente rispetto a
quella effettività in cui si consuma la vita di ciascuno. Con il passare del tempo
queste posizioni teoriche si attenuano perché i filosofi risultano ieratici (pesanti ndr)
quando trattano la quotidianità. I marxisti relegano il quotidiano nell’alienazione.

Henri Lefebvre, introduce alcune chiavi di lettura che segnano una svolta nel modo
di considerare la quotidianità. Egli afferma che il lavoro filosofico può essere
considerato “anche” routine quotidiana e, in quanto attività sociale, anche la filosofia
rientra nel quotidiano. Tale chiave di lettura viene ripresa da alcuni esponenti
dell'Everyday Aesthetics, i quali hanno messo in rilievo l'aspetto routinario di certe
attività generalmente inserite alla sfera dell'eccezionalità per dimostrare che la
gerarchia assiologica (una gerarchia basata sui valori ndr) tra attività intellettuali e
pratiche quotidiane è solo questione di punti di vista.

Per sviluppare la propria riflessione, Lefebvre adotta una chiave di lettura


antropologica e riconduce tutte le attività al tentativo umano di uscire dallo stato di
natura, cioè di sopperire allo stato di mancanza originario. La quotidianità diventa il
luogo in cui l’uomo si genera e trova compimento, in quanto sede di tutte le attività.
Egli, inoltre, conferisce valore positivo alla suddivisione ciclica del tempo delle
società rurali perché la ripetizione è connessa con la creazione, poiché nessun ciclo
riproduttivo è ritorno allo stesso punto esatto.

1.3 OLTRE L’ARTE

Con la svolta di Dewey l'estetica ha ampliato gli orizzonti della propria indagine,
spingendosi oltre l'ambito dell'arte (eccetto che per l’estetica analitica - vedi sopra
definizione).

Arnold Berleant, sposta l’interesse dell'estetica dall'opera d'arte alla questione della
sensibilità che, secondo il filosofo, non è privata ma deriva dall’ambiente naturale,
sociale e culturale.

In Francia l'interesse verso pratiche e oggetti della quotidianità ha avuto origine


prevalentemente dalla semiologia e dalla sociologia. Altre volte si è volta nella
prospettiva dell’Ambiance, prestando attenzione alla percezione sensoriale non solo
visiva ma anche olfattiva, tattile e sonora.

In Germania lo slancio ad andare oltre gli approcci teorici incentrati sull'arte ha


trovato un grande interprete in Wolfgang Welsch, che è il primo a usare
l'espressione “estetica della vita quotidiana”. Egli interpreta i fenomeni quotidiani
sulla base di similarità.

In Italia Emilio Garroni ha aperto il suo orizzonte ai molteplici campi dell'esperienza


quotidiana. La sua teoria rifiuta di trovare nelle opere d'arte il dominio eterno.
Considera l'estetica “uno sguardo-attraverso”, una sorta di filtro “entro il quale e
attraverso il quale” guardare il mondo. FARE ESEMPIO IMPORTANTE / vedi libro.

1.4 LA NASCITA DELL’EVERYDAY AESTHETICS

Dopo il 2007 nelle principali riviste angloamericane di estetica si è sviluppato un


acceso dibattito a causa dell’indeterminatezza di questo nuovo campo di studio.

I sostenitori dell’Everyday Aesthetics presentano posizioni diverse per tematiche e


modelli teorici di riferimento. A scopo orientativo può essere utile distinguere un
approccio “espansivo” e uno “restrittivo” in relazione ai contenuti dell'Everyday
Aesthetics e una linea “debole” e una “forte” in base al paradigma teorico ricavato
dalla quotidianità.

L'approccio espansivo include eventi speciali che appaiono trasfigurati da un'aura di


artisticità, come i matrimoni, i viaggi e altro ancora... Secondo Dowling, gli
sconfinamenti tra arte e vita rendono possibile il ricorso alle categorie mutuate
dall’arte anche per l’estetica quotidiana. A differenza di Saito, sostenitore della linea
forte il quale sostiene che contano anche azione, impegno, il brutto e il transitorio e
che non vuole mutuare le categorie dall’arte.

La linea forte adotta un approccio restrittivo e mira a individuare categorie proprie


dell'ordinarietà. Sono stati così circoscritti alcuni ambiti peculiari della vita di tutti i
giorni, come mangiare, camminare, vestirsi, che possono essere presi in
considerazione sia dalla linea debole, se considerati come momenti speciali sia dalla
linea forte, se considerati come routine. Mentre ci sono attività che ricadono
esclusivamente nell'ordinarietà.

Da qui ha preso le mosse il tentativo di Kevin Melchionne di definire le caratteristiche


delle pratiche estetiche giornaliere in modo da distinguerle sia dall'arte sia da quelle
attività che non possono essere considerate estetiche. Le pratiche estetiche
quotidiane devono innanzitutto possedere quella che è la caratteristica
principale della quotidianità, la ripetitività. Devono quindi essere attività di
routine. Nell'Everyday Aesthetics il quotidiano deve riguardare le azioni più che i
prodotti. L'analisi di Melchionne fornisce alcune chiavi di lettura utili a evitare che
l'Everyday Aesthetics diventi un contenitore di esperienze banali.

Le caratteristiche di Melchionne per definire le pratiche estetiche:

- comunemente praticate (ripetitività)


- azioni più che prodotti: produzioni artistiche e letterarie rientrano dunque
nell’estetica tradizionale, non in quella quotidiana
- oggetti: x il ruolo che ricoprono nella vita quotidiana
- tipicamente anche se non necessariamente estetiche: questa è la
caratteristica più debole della sua analisi, perché include il vestirsi che può
essere fatto con stile o meno ma esclude il portare fuori la spazzatura

CAPITOLO 2 - ARTIFICAZIONE
2.1 LE RADICI BIOLOGICHE DELL’ARTE

Gli studi di Ellen Dissanayake prendono posizione contro l'interpretazione


dell'estetica come filosofia dell'arte e contro un concetto di arte astratto ed
etnocentrico, elaborato in Europa tra il 18° e il 19° secolo.
Nel suo Homo Aestheticus, Dissanayake avanza una proposta: da un lato
espandere l'estetico oltre il modello di arte, dall'altro recuperare il suo
radicamento nei comportamenti umani comuni e naturali.

La studiosa considera le arti non solo un prodotto dell'uomo, ma anche un modo di


interagire con l'ambiente naturale.

Sostiene che l’arte ha origine dall'istinto umano di "artificare", ovvero di trasformare


oggetti o situazioni in modo da renderli più attraenti, significativi o utili (making
special). L'artificazione è dunque un comportamento presente in molti animali, ma
nell'uomo si è sviluppato in modo più complesso e sofisticato. Per la studiosa l'arte è
una forma di comportamento umano innata necessaria per la specie umana perché
ci ha permesso di creare legami sociali, di comunicare e di esprimere emozioni e
pensieri in modo creativo.

Dissanayake analizza una pluralità di modi di agire, riscontrabili fin dalle società
preistoriche.

La sua riflessione prende le mosse da due attività, il gioco e il rituale, che sono
presenti in tutte le società e rendono straordinario ciò che è ordinario.

• Il gioco è un'attività innata in tutti gli animali ed è fondato sulla regola del “fare
finta”. Richiede determinati luoghi, tempi, atteggiamenti che lo separano dalle attività
ordinarie.

• Anche il rituale presenta strette analogie con l'arte: è coinvolgente. Usa simboli,
vocaboli poetici o comunque non ordinari; richiede l'uso di particolari abiti; nel rituale
i comportamenti sono stilizzati da ripetizioni, accentuazioni ritmiche, canti e danze.

La studiosa ritiene che la distinzione tra ordinario e straordinario, sia una


predisposizione naturale e universale del comportamento animale ed umano, e in
tale inclinazione individua il fondamento della tendenza comportamentale che
agirebbe sulla selezione naturale.

- Consiste quindi nel rendere qualcosa arte, cioè rendere “speciale”, un


comportamento o un contesto.

Attraverso i processi di artificazione, comportamenti e situazioni vengono marcati al


fine di conferire loro salienza cognitiva ed emotiva. La salienza acquisita dal
comportamento che è reso speciale è sicuramente cognitiva, perché la stilizzazione
di una pratica ordinaria genera un nuovo significato. Questo comportamento reso
speciale tocca gli animi, inducendo i presenti a cooperare per la cura di qualcosa
che è presentato come straordinario.----> salienza emotiva
Un particolare esempio di insorgenza dell'artificazione viene individuato da
Dissanayake nel rapporto comunicativo che si instaura tra madre e neonato: parlare
lentamente, scandire o ripetere più volte i vocaboli.

Tra la madre e il neonato si attua così una forma di teatralizzazione poiché al


comportamento materno fa riscontro la co-partecipazione corporea del bambino, il
quale reagisce con forme primitive di proferimento che coinvolgono comportamenti
visivi, motori e tattili.

La teoria di Ellen Dissanayake presenta punti di contatto con quella di Dewey nel
momento in cui afferma il radicamento dei comportamenti artistici nell'esperienza
quotidiana. Tali comportamenti si riscontrano nella vita di ogni giorno tutte le volte
che gli uomini cercano di modificare l'ordinario. Questo avviene a partire dal corpo,
ad esempio la pelle che viene tatuata.

Si può avere un comportamento artistico anche nel porre il cibo nel piatto.

2.2 IL PASSAGGIO DA ARTE A NON ARTE

La riflessione di Shapiro e Heinich prende spunto dalla teoria di Goodman secondo


la quale l’arte deve essere definita in riferimento al contesto e all’uso. Si concentrano
anche sull’impegno dell’arte nel cambiamento sociale e hanno una visione
materialistica, si concentrano su cosa fanno le persone e come.

Per Shapiro e Heinich, l'artificazione è un processo dinamico di cambiamento


sociale, attraverso il quale emergono oggetti e pratiche che ricevono una
legittimazione artistica da vari attori sociali, come le istituzioni e il pubblico.

L’artificio non deve essere confuso con la legittimazione, difatti l'artificio di un oggetto
determina necessariamente la legittimazione di quell'oggetto. Al contrario, il
desiderio di garantire la legittimità a una pratica che qualcuno ritiene ingiustamente
sottovalutata può, a sua volta, stimolare un processo di artificio.

Si vuole indagare sul processo che trasforma la non arte in arte.

Tra le più evidenti tipologie di artificazione vi sono:

● La dislocazione, che consente l'accesso di un oggetto o di una pratica dal


luogo di origine agli spazi dell'arte, ad esempio dalla strada al palco.

● Il cambiamento terminologico, come ad esempio il passaggio dal termine


imagiers (creatori di immagine) con cui prima venivano indicati i pittori in
Francia, al termine artisti, determina la legittimazione artistica della pittura.
Potremmo includere anche la riqualificazione artistica che sta interessando
alcune professioni, ad esempio il truccatore, chiamato adesso make-up artist.
● Il cambiamento istituzionale è visto nel passaggio dalle corporazioni alla
Royal Academy e cambiamenti nella classificazione, come il passaggio dalle
arti meccaniche a quelle liberali.

● Il consolidamento legale è un altro passo importante: negli Stati Uniti, le


decisioni legali culminate con la fine delle restrizioni alla censura negli anni
'60 hanno favorito l'artificio del cinema.

● L'individualizzazione del lavoro: quando la breakdance è apparsa per la


prima volta sul palco in Francia, la maggior parte della coreografia era
collettiva; oggi singoli autori coreografano balletti hip-hop.

● Il consolidamento teorico costituisce una tappa essenziale dell'artificazione.


La break dance assume valore estetico quando l’attenzione mediatica si
concentra su questa danza come arte e non sulle caratteristiche sociali e
culturali delle ballerine.

Dopo aver indicato i principali fenomeni di artificazione, le studiose mettono a fuoco


le sfere da cui tali processi hanno origine.

● L'artigianato: la pittura è servita da modello per il moderno sistema delle arti


basato sull'autonomia dell'artista. Il presupposto per questo era il rifiuto da
parte dei pittori di essere considerati lavoratori umili e la loro rottura collettiva
dalle corporazioni artigiane durante il periodo rinascimentale.

● L'industria: menzionano il cinema che inizia come produzione industriale e


successivamente, prima in Europa e poi negli Stati Uniti, comincia ad essere
considerato una forma d'arte.

● La Religione: gli oggetti di culto, benché lavorati artisticamente, nascono per


servire alla cerimonia religiosa. Pertanto, se talvolta possono essere
desacralizzati, artificati ed esposti nei musei, talaltra possono verificarsi
fenomeni contrari che li restituiscono al loro originario uso e contesto. Esse
ricordano il caso di una tribù dell'Afghanistan, che ha rivendicato manufatti
esposti al National Museum di Kabul, cui erano stati precedentemente donati.
● L'entertainment, per le studiose, è considerata la più grande fonte di artificio.
Shusterman individua nel concetto di entertainment il fondamento per la
riqualificazione estetica di tutte quelle forme d'intrattenimento promosse
dall’industria culturale. Per comprendere meglio il contributo teorico del
concetto di entertainment, conviene fare qualche riflessione sul caso dei
videogame, che nati come svago per gli adolescenti, adesso conquistano
persone di tutte le età. I videogame, nonostante abbiano valicato i confini dei
musei, non sono ancora riconosciuti artisticamente perché legati alla nozione
di divertimento (pratiche leggere e ricreative), storicamente connotata
negativamente. Altri esempi: jazz, magia, circo e breakdance da passatempi
ad arti dello spettacolo.

● Scienza: i recenti sviluppi della chimica e della fisica che derivano


dall’industria alimentare sono fonti di artefazione nell’alta cucina
contemporanea.

● Reati e atti criminali (Strada): esempio dei graffiti un tempo considerati atti
di vandalismo.

Identifichiamo 4 tipi di artificio: durevole, parziale, continuo e irraggiungibile.

Il primo tipo è semplicemente ciò che oggi definiamo arte, è il caso della pittura, il
suo status di arte ora è indiscusso in tutta la società.

Il secondo tipo comprende casi stabilizzati di artificio parziale. In alcuni casi,


l'artificio è incompleto ma non sembra avere motivo di espandersi ulteriormente
senza condizioni favorevoli. Questo è il caso dell'architettura, che non ha mai
raggiunto pienamente lo status di arte a causa di vincoli tecnici e utilitaristici. In altri
casi, è in gioco il riconoscimento, non l'utilità. L'artista viene riconosciuto solo per
una parte della sua produzione o solo da una parte del potenziale pubblico. Ad
esempio, solo i settori della fotografia etichettati come "fotografia artistica" o del film
etichettati come cinéma d'autore sono riconosciuti come arte.

Il terzo tipo tocca casi di artificio recenti, appena compiuti e in corso. L'arte esterna e
l'art brut rientrano in questa categoria, così come i readymades. In attività come la
cura di mostre d'arte contemporanea, breakdance e graffiti, il processo di artificio
sembra essere sull'orlo del completamento; sta accadendo davanti ai nostri occhi.
Infine, ci sono casi in cui il processo incontra ostacoli che sembrano insormontabili e
la realizzazione dell'artificio sembra irraggiungibile nelle condizioni attuali. Quindi
possiamo osare che attività come la tipografia, la gastronomia, l'enologia, il
giardinaggio o la profumeria, pur essendo forse qualificate come arti in senso
metaforico, non raccoglieranno il riconoscimento per i loro produttori come artisti a
tutti gli effetti.

Supponendo che l'artificio sia un processo dinamico e continuo, questa tipologia è


aperta. Se l'economia di mercato scomparisse e i ristoranti non dovessero realizzare
un profitto, o se emergesse un nuovo modo di produzione per l'alta cucina, potrebbe
durare una consumata artificio della gastronomia.

ESISTONO PROCESSI DI DEARTIFICAZIONE?

Calligrafia, giardinaggio e dizione possono essere pratiche de-artified, cioè, mestieri


virtuosi che richiedono alti livelli di abilità ma non definiti da pretese di originalità.

Ricerche recenti rivelano casi di disartificazione, sebbene sia difficile valutare


quanto siano definitivi. Diana Crane ha descritto come la trasformazione dell'haute
couture francese in un’ industria del lusso d'élite ora controllata da conglomerati
finanziari internazionali abbia comportato una perdita di autonomia artistica per gli
stilisti. La resistenza all'artificio può essere interna o esterna. Nei casi a noi più
familiari, come quelli con sede nella Francia contemporanea, l'osservazione
suggerisce che la resistenza interna proviene da potenziali artisti e membri della loro
famiglia, mentre la resistenza esterna proviene da sponsor o amministratori ed è
radicata in una varietà di valori.

Attività di lusso e di classe superiore che producono oggetti facili da trasportare,


esaltano l'individualità e una sicura autonomia per il produttore sembrano essere tra
le condizioni privilegiate per la realizzazione dell'artificio, come nel caso della pittura
da cavalletto e della moda di lusso. Nel caso del jazz, dell'hip-hop, dei graffiti o
dell'arte autodidatta lo stato sociale inferiore dei suoi professionisti, del pubblico o
del pubblico è davvero un ostacolo all'artificazione e sembra rallentare il suo
progresso.

Altri fattori di ostacolo sono la natura utilitaristica di una pratica (artigianato,


architettura), dipendenza dalla clientela (architettura, gastronomia, moda), vincoli
tecnici che antepongono l'abilità fisica all'abilità artistica (sport, magia) o
limitazioni alla trasportabilità (giardinaggio, graffiti).

CONCLUSIONI

Shapiro e Heinich presentano affinità con le riflessioni di Richard Shusterman, il


quale fin dagli anni Novanta sostiene la legittimità artistica della cultura popolare. Le
argomentazioni di Shusterman si orientano da un lato sulla legittimazione dell'arte
popolare, dall'altro all'artificazione di forme culturali prive di riconoscimento artistico.

In conclusione, Shapiro e Heinich propongono un concetto di artificazione che


presenta dichiarate affinità con la “teoria istituzionale” o “convenzionalismo”
elaborata dall'estetica analitica angloamericana. Per questo motivo tale nozione,
se da un lato offre un impianto teorico utile alla riqualificazione artistica di molte
pratiche (in bilico) tra arte e quotidianità, dall'altro si pone su un piano speculativo
differente rispetto a quello dei teorici dell'Everyday Aesthetics cercando
nell’ordinarietà chiavi di lettura più consone all’apprezzamento estetico della vita di
ogni giorno.

2.3 L’ARTIFICAZIONE NELLA VITA QUOTIDIANA

Un gruppo di ricercatori finlandesi (Ossi Naukkarinen, Yrjänä Levanto, Susann


Vihma) nel 2005 elaborano un concetto diverso di artificazione.

Mentre Dissanayake e Shapiro indicano l’artificazione come un insieme di processi


che trasformano oggetti o attività diella vita quotifiana speciali, Naukkarinen prende
le distanze, definendo il neologismo artificazione come «qualcosa che non è arte in
senso tradizionale» viene influenzato da valori e categorie propri dell'arte, subendo
una trasformazione che gli conferisce qualità artistiche.

Per Naukkarinen, l'artificazione non mira a produrre nuove forme d'arte, ma a creare
un miscuglio tra la sfera dell'arte e altri ambiti della vita quotidiana, come ad esempio
la sanità (le discipline umanistiche aiutano a migliorare le modalità relazionali tra
medico e paziente) e l’istruzione, economia.

Pertanto, l'artificazione non è solo un concetto astratto, ma anche un


fenomeno pratico ed istituzionale che non si identifica con l'estetizzazione
della vita e può influire anche su modi di vestire, comportarsi e discutere. Potrebbe
cambiare il modo in cui eventi, ricorrenze, anniversari sono organizzati, influenzando
le strutture coinvolte.

Campi d’indagine dove l’artificazione può essere produttiva:

● economia: le trasformazioni economiche in corso costringono a prospettare


nuovi schemi creativi, dunque le aziende si rivolgono agli artisti per migliorare
la qualità del lavoro.
● sanità: le discipline umanistiche aiutano a migliorare le modalità relazionali tra
medico e paziente
● educazione / istruzione: l’arte viene affiancata alle altre discipline per
sviluppare nuove conoscenze ed abilità.

In conclusione, l'arte mantiene lo statuto ontologico tradizionale e deve essere


accertata dalle istituzioni, mentre l'artificazione è un processo che conferisce qualità
artistiche ad ambiti estranei all'arte.

Anche Böhme affronta il rapporto tra estetica ed economia. Secondo il filosofo


tedesco, il marketing è diventato oggi un esercizio di creatività che dà forma a cose,
spazi e composizioni tenendo conto del coinvolgimento affettivo.

Egli usa il termine “economia estetica” per indicare un sistema di produzione che si
basa su oggetti desiderabili e pone accanto al valore d'uso e al valore di scambio, il
“valore di messa in scena”.

Al contrario i recenti studi tra arte e management si incentrano sulle doti dell’artista,
poiché il mercato in continua evoluzione richiede continui lampi di genio per far
fronte alla concorrenza.

Questa posizione ha scatenato la reazione di Shiner—->contro l’artista libero e


creativo, sostiene che la figura del manager sia quella dell’artista-artigiano capace di
unire l’ingegno alle capacità operative nell’impegno quotidiano.

La riflessione di Naukkarinen non può costruire la chiave per interpretare la vita


quotidiana nella sua ordinarietà perché si fonda sul modello categoriale del
Settecento.

2.4 ARTIFICAZIONE ED EVERYDAY AESTHETICS

Il concetto di artificazione, nell'accezione proposta da Naukkarinen viene recepito


dalla comunità scientifica internazionale grazie ad un progetto in collaborazione con i
teorici americani dell’Everyday Aesthetics; nel 2012 la rivista statunitense
“Contemporary Aesthetics” vi dedica un numero monografico, per la cura di Yuriko
Saito e dello stesso Naukkarinen.

Il volume esamina le varianti teoriche dell'artificazione e le possibili implicazioni


pratiche. Con la nascita dell'Everyday Aesthetics si è consolidata la consapevolezza
delle diverse modalità con cui la vita di ogni giorno è permeata da fattori estetici.
L'estetizzazione è considerata generalmente una vacua ricerca di bellezza oppure
una strategia economica strumentale all'incremento delle vendite. Tuttavia, può
avere anche un valore più profondo, aiutando attraverso modelli artistici ad
apprezzare lo “straordinario nell'ordinario”.

Secondo Yuriko Saito, l'artificazione nella vita quotidiana può diventare un modo per
creare un mondo migliore, più umano; una società più giusta, un futuro più
sostenibile. Es: riqualificazione estetica di ambienti degradati.
Secondo Thomas Leddy possiamo individuare un'artificazione superficiale e una
profonda. Collochiamo gli interventi di riqualificazione artistica che ricorrono alla
Street Art nel primo tipo, perché riguardano l’abbellimento di ciò che appare tramite
forme e colori; l’artificazione profonda, invece, riguarda il mutamento non
dell’immagine, ma dei comportamenti, delle azioni e del modo di pensare.

L'estetica può offrire contributi più significativi se intesa, nel senso di Alexander
Baumgarten, come “teoria dell’aísthesis”, cioè una scienza che valuta il modo di
“sentire” l'ambiente e che fa stare bene.

Il primo passo per migliorare la qualità della vita e le aspettative future consiste nel
mettere in luce i modi in cui siamo influenzati quotidianamente dalla dimensione
estetica. L'artificazione può essere una strategia utile a raggiungere questo scopo.

Invece, nell'ottica dell'Everyday Aesthetics gli aspetti soggettivi e ordinari sono più
significativi degli eventi straordinari e anche negli studi sull'estetica delle
organizzazioni.

Tuttavia, la maggior parte di queste indagini si incentra sul modo in cui le arti
possono influenzare le abilità lavorative grazie all'introduzione di un modus operandi
che scardini le strategie tradizionali indirizzate in modo rigoroso e rigido verso il
raggiungimento di determinati obiettivi di produttività

L'espressione del proprio mondo interiore non deve essere disgiunta dall'autocritica,
perché altrimenti rischia di trasformare una positiva attenzione al sé di ciascuno in
banale autocompiacimento. Inoltre, se è vero che l'arte può sviluppare abilità
creative utili a innovare la sfera degli affari, è anche vero che la capacità
immaginativa degli artisti si fonda sulla ribellione alle convenzioni e all'ordine
costituito. Di conseguenza questo atteggiamento anticonformista potrebbe andare in
contrasto con gli ambienti lavorativi.

Infine, se è vero che le strategie di artificazione utilizzano il potere dell'arte per


provocare esperienze visuali più ricche e intense, è anche vero che la vita non può
essere solo un susseguirsi di esperienze intense e straordinarie.

Obiettivo dell'Everyday Aesthetics è educare la sensibilità degli uomini


all'apprezzamento delle piccole cose, semplici e familiari.

I teorici dell'Everyday Aesthetics (Saito, Leddy) hanno accolto il concetto di


artificazione proposto da Naukkarinen, prendendo le distanze dalla variante
sociologica di Roberta Shapiro, troppo vicina alla teoria istituzionale, e da quella
evoluzionistica di Ellen Dissanayake, estranea ai loro interessi. In realtà, proprio il
concetto di making special elaborato da Dissanayake offre spunti teorici utili a
superare l’impasse lasciata insoluta dal filosofo finlandese: la questione
dell'ordinario.
Se la vita di ogni giorno non può essere vissuta sempre in modo straordinario, il mito
del genio romantico, libero e creatore, non può essere un modello teorico di
riferimento; al contrario, il making special, di cui ci parla Dissanayake può farci
riscoprire il potenziale estetico delle piccole cose a cui teniamo e di cui ci prendiamo
cura in modo speciale, riportando l'estetica quotidiana ai suoi fondamenti etologici.

CAPITOLO 3 - CATEGORIE ESTETICHE


3.1 STRAORDINARIO/ORDINARIO

Estetica quotidiana: ossimoro perché l’estetica si connette alla sfera dell’arte


Le categorie artistiche si possono trasferire agli scenari della quotidianità?
La cultura filosofica dell’800 e del 900 coglie nella ripetitività la caratteristica saliente della
quotidianità.

Emilio Garroni aveva colto il potenziale estetico della ripetitività. Per lui la ripetitività
riveste efficacia euristica all'interno della dialettica ordinario/straordinario. Tale
dialettica costituisce un fil rouge (filo rosso) in grado di tenere insieme e fare
interagire le categorie estetiche del quotidiano. La linea forte adotta un approccio
restrittivo e mira a individuare categorie proprie dell'ordinarietà.
Kevin Melchionne punta sulla regolarità delle attività comunemente praticate,
escludendo quelle occasionali o saltuarie. Ma tali attività possono variare con gli
individui, le circostanze e i momenti della vita, tanto che Naukkarinen sente la
necessità di circoscrivere la categoria del My Everyday Now (“Il mio quotidiano ora”).

Le azioni ripetute con regolarità costituiscono il perno intorno al quale si sviluppa il


dibattito volto a definire il quotidiano.

Esistono due tipi di ripetitività:

• quella negativa, che genera automatismo e alienazione, collegata a una


concezione del tempo di tipo lineare, sviluppatasi con la religione giudaico - cristiana
e poi ripensata in termini laici dal capitalismo, che si fa interprete di logiche
produttivistiche e scientifiche;

• e quella positiva, che rasserena e aiuta a trovare l'equilibrio, si inquadra nel tempo
ciclico del rituale ed è connessa alla sfera psicologica.

Anche le abitudini hanno effetti rassicuranti e benefici, di conseguenza una brusca


alterazione determina risultati opposti. Secondo Melchionne la ripetitività
contribuisce alla produzione di emozioni positive che è lo scopo dell'Everyday
Aesthetics.
Secondo Yuriko Saito, scopo dell'Everyday Aesthetics è riscoprire il valore estetico
gem-like nelle cose quotidiane e banali generalmente disprezzate.

Tuttavia, questo obiettivo genera un paradosso, poiché il disvelamento di questo


potenziale estetico, ne compromette la stessa ordinarietà.

Saito si accorge che la teoria di John Dewey, non offre indicazioni utili in questa
direzione perché distingue “una esperienza” dalle banali esperienze giornaliere
prive di questa connotazione. È evidente che se “una esperienza” venisse reiterata
di continuo perderebbe lo specifico che la distingue dalla routine, trasformandosi in
routine essa stessa.

Una soluzione a questa impasse viene offerta dai teorici della linea debole. Secondo
Dowling, questo paradosso può essere risolto se l'Everyday Aesthetics, volge la sua
attenzione a quello già palesemente riscontrabile: cioè agli eventi speciali che
producono nei fruitori sentimenti analoghi a quelli suscitati dalle opere d’arte.

Su questa scia si pone anche Sherry Irvin, che mette a fuoco la maggiore
consapevolezza corporea che dovremmo avere delle piccole cose quotidiane per
apprezzarne il valore estetico. Esemplare, secondo la studiosa, l'esperienza del
caffè mattutino che può costituire un esempio paradigmatico di estetica quotidiana
se lo beviamo con piena consapevolezza del momento che stiamo vivendo. La
contrapposizione non è tra ordinario e straordinario ma tra le cose quotidiane che
sono rese speciali attraverso le azioni o nella nostra percezione e quelle che non lo
sono.

Avere un approccio estetico alla vita quotidiana vuol dire vivere ogni momento
cogliendo i suoi aspetti emozionali e sensibili.

Questo esempio richiama alla mente la nozione di domesticità o familiarità, ovvero il


sentimento del sentirsi “a casa". In questa prospettiva Kevin Melchionne ha
evidenziato che se la casa si trasforma in un'opera d'arte, la dimensione visiva
prevale su quella tattile e lo stile viene anteposto al comfort. Tuttavia, la domesticità
non esclude necessariamente lo straordinario, bensì lo riscopre, all’interno dello
stesso spazio quotidiano, nei luoghi e negli oggetti che assurgono a simboli delle
relazioni affettive.

Domesticità e familiarità si collocano nel tempo ciclico della ripetitività positiva,


indipendentemente se la casa sia umile o lussuosa, il sentimento dell'abitare risiede
nella relazione emotiva che si instaura con gli oggetti che contribuiscono a creare
l'identità di chi vi abita e nella capacità dei luoghi di emanare un senso profondo.

È vero che spesso si finisce per prestare scarsa attenzione alle pratiche giornaliere,
così come i posti e alle persone che frequentiamo con regolarità, ma basta un
cambiamento, un evento diverso, per indurci a considerare con nuova attenzione
l'ordinario. Si pensi allo spaesamento che sentiamo all'arrivo in una città
sconosciuta. Al contrario, proviamo piacere tornando ciascuno alle proprie abitudini,
dopo un viaggio che pure ci ha dato la gioia di interrompere i normali ritmi di vita.

Anche la categoria della familiarità pertanto viene potenziata se messa all’interno di


un tempo ciclico in cui i giorni banali sono intervallati dai momenti straordinari.

Il concetto di momento è un elemento chiave nella riflessione sulla quotidianità.


Infatti, da un lato costituisce una frattura del “continuum temporale”, isolando e
mettendo a fuoco una determinata esperienza, dall'altro funge da tassello all'interno
di una progressione in cui il presente si àncora al passato e si carica di aspettative
future.

Henri Lefebvre, punta alla dissoluzione della distinzione ordinario/straordinario e


vuole instaurare un nuovo rapporto tra essi che si risolva nell'arte di vivere, cioè che
aiuta a condurre l’esistenza nel modo migliore. Benché nel linguaggio comune la
parola “momento” sia sinonimo di istante, in realtà la nozione di momento si
distingue dall'istante, effimero e passeggero, poiché implica «una durata, un valore,
un rimpianto e la speranza di rivivere quel momento o di conservarlo come lasso di
tempo privilegiato, imbalsamato nel ricordo». “Unire la festa alla vita quotidiana”.-
Leddy- ha messo in luce che la festa è un evento straordinario ma ciclico che
infonde alla vita quotidiana nuova linfa. Non si può disgiungere lo straordinario
dall’ordinario perché perderebbe di significato e allo stesso tempo non si possono
considerare soltanto gli eventi ordinari perché sono quelli straordinari che
conferiscono valore alla vita.

Il “momento” per Lefebvre, così come “una esperienza” per Dewey, è il fulcro in cui si
fonda la dialettica tra ordinario e straordinario che costituisce l'essenza della
quotidianità.

La Critica di Lefebvre, può offrire categorie interpretative utili all'estetica quotidiana,


poiché mira a «scoprire la ricchezza nascosta sotto l'apparente povertà del
quotidiano, quindi raggiungere lo straordinario nell'ordinario».

3.2 AURA/ATMOSFERA

Se le categorie di ordinario e straordinario si rivelano efficaci in una progressione


ciclica che spezza il susseguirsi dei giorni banali con momenti speciali, le categorie
di aura e atmosfera possono essere considerate in un'ottica inclusiva dato che,
secondo Gernot Böhme, l'aura è una tipologia di atmosfera. Il significato
metaforico di aura allude al sentimento di mistero e venerazione emanato dal sacro,
mentre la nozione di atmosfera abbraccia una sfera emozionale molto più vasta.

Oggi i prodotti non soddisfano più bisogni ma esprimono stili di vita, soddisfano
desideri.

In realtà i teorici dell’Everyday Aesthetics si soffermano di più sul concetto di aura.


Il concetto di aura, originariamente elaborato dal filosofo tedesco Walter Benjamin,
torna di frequente nel dibattito europeo sull'arte contemporanea per indicare il
conferimento di un valore artistico a pratiche e oggetti privi di un’immediata
riconoscibilità come opere d'arte.

Il concetto di aura presenta alcune affinità con quella “trasfigurazione del banale” di
cui parla Arthur Danto prendendo spunto dalle “Brillo Box” di Andy Warhol.

Tuttavia, l'aura di cui parla Benjamin è un concetto differente, denso di valori legati al
culto prima che all'esposizione museale.

Il concetto di apparizione, associato a quello di unicità e lontananza, rinvia all'ambito


teologico poiché, rilevando una distanza non tanto spazio-temporale quanto
metafisica, mette a fuoco la condizione d'inavvicinabilità, che è qualità precipua della
divinità.

Thomas Leddy considera l'aura una categoria idonea a interpretare la quotidianità.


Egli ritiene che la vita ordinaria acquisti valore estetico quando viene esperita in
modo straordinario.

Nella chiave di lettura proposta da Leddy, l'aura è concetto affine a quello di “awe”,
che anche foneticamente richiama l'espressione vocalica di stupore. Pur derivando
originariamente dalla sfera del sacro, il concetto di awe indica il sentimento di
meraviglia che può essere prodotto anche dalle piccole cose di ogni giorno.

I sostenitori della linea forte dell'Everyday Aesthetics hanno criticato Leddy


sostenendo che i concetti di aura e di awe non sono adeguati a interpretare la
quotidianità nei suoi aspetti ordinari. Per far fronte a questa obiezione, Leddy ha
proposto alcune sfumature di significato all'interno del concetto di awe, dall'awesome
al fascinating, fino alla più debole accezione di interesting.

Esempio del Natale: culmine dell’awe 24-25 dicembre ma anche il resto emana awe.
L’awe è anche il sentimento che ci induce a prenderci cura degli altri e consolidare il
legami affettivi.

Ancorandosi al sacro ed esprimendo l'idea di maestoso e solenne, l'awe si manifesta


attraverso determinate reazioni corporee: è la “pelle d'oca” di fronte a ciò che è
immenso e potente, è il brivido che corre lungo la schiena. Ma è anche il sentimento
che trasforma il nostro stato d'animo induce a prenderci cura degli altri, a consolidare
i legami affettivi e sociali. Ad oggi il Natale è diventata una festa consumistica
smarrendo la propria aura.

Per questo motivo, la categoria dell'atmosfera sembra più idonea a interpretare i


fenomeni connessi all’estetizzazione del reale e a quella che Böhme ha definito
“economia estetica”----> merce valutata per i caratteri atmosferici che emana, non
per le qualità che possiede.
Secondo Gernot Böhme, l'atmosfera è prodotta da emanazioni, definite “estasi”, che
non sono proprietà intrinseche delle cose o delle persone, ma si percepiscono
stabilendo un contatto, una relazione estetica tra soggetto e oggetto. L’atmosfera è
frutto di un lavoro estetico, colui che la progetta lo fa in modo da generare
coinvolgimento emotivo. Talvolta, l’atmosfera di un ambiente può essere percepita e
ammirata proprio per il suo carattere di messa in scena. esempio: atmosfera
natalizia costruita ad hoc (marketing, luci, merci, musica..). Per far fronte a questa
tendenza consumistica occorre recuperare l’aura delle cose, ovvero lo spirito del
Natale.

Prestare attenzioni ai momenti ordinari e valorizzarne l’aspetto emozionale e


sensibile rende speciale la quotidianità. Valorizzare il sacro produce effetti positivi
sulle persone e deve essere lo scopo dell’Everyday Aesthetics.

3.3 LUSSO/DECORO

Gli odierni scenari dell'estetizzazione del reale, in cui il valore simbolico delle merci
acquista più importanza del loro valore economico e funzionale, inducono a riflettere
sulle categorie del lusso e del decoro.

Ancora oggi le espressioni “agire con decoro” o “in modo decoroso” si riferiscono a
un modus operandi adeguato alle circostanze. Nell'uso comune il lusso è connesso
all'idea di bellezza, eccessiva e spesso pacchiana.

Sebbene lusso e decoro possano sembrare categorie oppositive, in realtà


presentano continue interferenze, poiché l'eccesso nasce dal superamento del
limite. Ma, come ricorda Cicerone, comprendere quale sia la “giusta misura” e
giudicare ciò che “conviene” è la cosa più difficile in ogni circostanza della vita.
Pertanto, se il lusso si configura come una modalità del vivere all'insegna dello
straordinario e dell'esclusivo, il decorum costituisce il fondamento di una “bellezza
funzionale” ancorata all'ordinario. Entrambi i concetti, percorrendo la storia del
pensiero occidentale, abbracciano gran parte dei settori oggi presi in considerazione
dall'estetica quotidiana.

La dialettica lusso/decoro trova peculiare campo di applicazione nell'architettura.

In linea con l'estetica normativa e classicistica del Rinascimento, Alberti ritiene che la
bellezza debba essere regolata per evitare eccessi e sprechi, e pone il concetto di
decorum come misura dell'ornamentazione architettonica.

Nel campo dell'architettura la nozione di decoro mantiene, il ruolo di principio


regolativo dello stile.

Divenuto bienséance (“appropriatezza”), nel classicismo francese tra Seicento e


Settecento, continua ad esprimere la corrispondenza tra gli ornamenti dell'edificio e
le condizioni sociali di chi vi abita. Tra fine Ottocento e primo Novecento la dialettica
lusso/decoro giunge a paradossali soluzioni nel dibattito americano in cui germina
l'architettura modernista. Louis H. Sullivan bandisce l'ornamento come lusso
superfluo, auspicando un tipo di decorazione adeguata alla struttura e capace di
esprimere all'esterno le funzioni che sono svolte all'interno dell'edificio. John W.
Root ribadisce la necessità di un ornamento appropriato allo scopo. I due teorici non
sono contrari all'ornamento in sé, ma al suo uso eccessivo.

Nelle grandi metropoli americane di fine Ottocento, il lusso subisce una «lussazione
creativa».

Nel corso dei secoli lusso e decoro sono stati sempre intrecciati. Lo dimostra il fatto
che fin dall'antichità le spese eccessive, sono state spesso limitate da specifiche
leggi.

L'emergere di una borghesia agiata ha determinato una modificazione degli stili di


vita e una diversificazione del gusto. Con il boom economico del 1960 la classe
media ha potuto accedere a un “lusso di massa”. Tale estetizzazione globale ha
trasformato il lusso in esibizione pacchiana di ricchezza, in affannosa caccia alle
griffe della moda e all'oggetto industriale “firmato”.

L'estetizzazione del reale ha trasformato il lusso in una modalità del vivere e del
sentire che aspira allo straordinario nell'ordinario, attraverso la riconfigurazione
mondana dell'aura.

La sfera dell'arredo e quella della moda sono gli ambiti in cui il lusso si tinge di
artisticità.

Nell'alta moda il lusso è soprattutto uno spettacolo riservato ai grandi eventi mondani
e le sfilate si trasformano in un palcoscenico su cui esibire le capacità tecniche e
creative della “casa”.

Tuttavia, da quando la moda si è svincolata dalle norme legate alle distinzioni di


classe, l'abito, spesso condizionato, soprattutto nella scelta dei colori, dallo stato
d'animo, è divenuto espressione di un carattere.

Pertanto, l'unicità a cui il lusso fa riferimento si traduce nella scelta di accessori


personalizzati.

Il lusso è diventato pertanto un modello estetico, economico e culturale per


“raccontare” la propria identità.
CAPITOLO 4 - GLI AMBITI DELL’ESTETICA QUOTIDIANA
4.1 CORPO

L'estetica non può rimanere circoscritta alla sfera dell'arte. L'estetica può offrire
strumenti conoscitivi per interpretare il reale estetizzato mettendo al centro la
Corporeità e la sua capacità di percepire e auto percepirsi in linea con l'ermeneutica
che ne fonda lo statuto principale. La tradizione occidentale da Platone e attraverso
il cristianesimo ha condannato il corpo contrapponendo alle attività contemplative
dello spirito. Nel Novecento la corporeità ha però acquistato rilievo nel dibattito
filosofico. All'interno si inserisce Shusterman che cerca di far conciliare la teoria e la
pratica corporea. Attualmente la cura del corpo è al centro della società, per questo
le teorie di Shusterman sulla somaestetica diventano più che mai rilevanti. Il filosofo
americano distingue la somaestetica in ''rappresentazionale'' relativa al
miglioramento dell'aspetto fisico e in ''esperienziale'', inclusiva di tutte le attività
volte alla cura interiore (come yoga o meditazione) . La somaestetica rifiuta di
esteriorizzare il corpo come cosa distinta dallo spirito, di conseguenza ogni azione
volta a migliorare l’aspetto avrà ripercussioni sul benessere psichico e viceversa. La
somaestetica valorizza il corpo non come ''superficie'' ma come sede vivente di
esperienza bella. La correlazione tra bellezza e benessere non era estranea alla
cultura rinascimentale, infatti quando una donna si trucca e pettina si dice si sta
mettendo in ‘ordine’. Infatti, l’estetica, che si richiama all’ordine universale (kosmos),
nasce per ripristinare l’equilibrio psicofisico da cui promana la bellezza. L’uso dei
cosmetici viene condannato se deborda nell'eccesso. In quanto ornamento, la
cosmetica deve trovare criterio nel decoro che è misura dell'estetica e dell'etica. Il
corpo divenuto rappresentazione viene mercificato ed esibito attraverso i media e i
social network. Ne consegue il culto di una bellezza superficiale, difficile da
raggiungere anche attraverso la chirurgia.

4.2 SPORT

La relazione tra sport ed esperienza estetica risale agli albori della civiltà
occidentale. Un tempo l'attività fisica aveva come obiettivo la disciplina, ora mira ad
emancipare e valorizzare il corpo. Possiamo considerare lo sport una forma di
drammatizzazione, dal momento che risiede in esso una componente simbolica e
possiamo trovare molte analogie con la performance teatrale, ad esempio, la
componente aleatoria che tiene sospeso l'osservatore fino alla conclusione della
competizione, allo stesso modo il teatro, in cui si improvvisa. C'è una sorta di
contagio emozionale. Jean Jacques Rousseau mette in guardia la condizione di
soglia, in cui lo spettatore perde l'autocontrollo. Al calcio, ad esempio, possiamo
applicare le nozioni di aura e atmosfera. I processi di costruzione dell'aura si
fondano sulla distanza, per questo certi calciatori vengono venerati come idoli. Al
contrario la categoria dell'atmosfera si fonda sulla presenza, da qui si può spiegare
perché tra gli spettatori dello stadio si produce un certo coinvolgimento, che porta i
tifosi ad essere poi denominati '' il dodicesimo uomo in campo” . Il contagio
emozionale si manifesta durante la fruizione televisiva, quasi sempre condivisa.

4.3 IL CIBO

La sfera del cibo occupa un posto privilegiato nella sfera dell'estetica, il senso del
gusto d’altronde è anche la capacità di apprezzare il bello. L’avere buon gusto, che
sia per la musica, la pittura, il cibo ecc. indica un sapore che si radica nei sensi. Le
teorie filosofiche hanno distinto i sensi alti (vista e udito) da quelli bassi (gusto, tatto
e olfatto), che sono quelli che instaurano una relazione con le cose con cui entrano
in contatto. Inoltre, l’estetizzazione ha invaso anche il campo culinario, presentando
spesso cibi che alludono nelle forme ad opere d’arte, e curandosi molto della “mise
en place”. Il rapporto tra cibo e arte è attestato dalla lunga tradizione e si manifesta
in varie opere, dalla pittura di nature morte alla letteratura e fotografia. Il cibo è
sempre strumento di rappresentazione e narrazione. La contaminazione tra i media
artistici e la cucina allo scopo di produrre esperienze polisensoriali ha origine sin dai
banchetti medievali, oggi invece tende a imitare le forme e i linguaggi di pittura e
scultura. L'estetizzazione del cibo rimane legata a meccanismi di
spettacolarizzazione legati al marketing e alla promozione di immagine, la bella
apparenza infatti non sempre corrisponde alla sostanza. Al contrario l'esperienza del
cibo può essere indirizzata verso un consumo rispettoso delle risorse naturali,
prestando attenzione alla qualità dei cibi e alle conseguenze che possono avere sui
consumatori. La cucina è un sapere incorporato che giunge all'auto
perfezionamento. Essa rientra in quelle attività in cui la ripetività è positiva e produce
miglioramento dei risultati. La dialettica in questo caso tra straordinario e ordinario
trova specifica articolazione attraverso l'aura e l'atmosfera. Ad esempio, il
ringraziamento negli USA viene celebrato attraverso il consumo collettivo di cibo,
con il tacchino che conferisce valore simbolico al momento, e allo stesso tempo il
momento fa acquisire al tacchino un sapore speciale.

4.4 OGGETTI

L’estetica degli oggetti quotidiani apparve, agli inizi, come priva di fondamento
filosofico. In realtà, con le correnti artistiche degli anni ’60 e ’70, oggetti come ruote
di bicicletta e addirittura orinatoi hanno avuto accesso agli spazi museali. Ciò ha
dato avvio al dibattito tra oggetto estetico e artistico. L’oggetto estetico è ciò che
possiede, appunto, proprietà estetiche. Esso si distingue, da quello comune, non per
le qualità percettive (forma, colore), ma per una diversa collocazione nella dialettica
utile/bello. Infatti, all’interno di mostre e gallerie, l’oggetto comune si carica di valori
espositivi che gli conferiscono l’aura propria delle opere d’arte. Spesso si fa
riferimento alla categoria dell’aura per indicare l’alone di artisticità emanato da alcuni
prodotti, che trasfigurati dalla popolarità del brand, son diventati merci di culto.
Questi fanno parte della fiction economy, che servono a configurare stili di vita e
fanno leva sull’impatto emotivo. Alcuni sostenitori dell’everyday aesthetics, hanno
sottolineato che il valore estetico dell’oggetto quotidiano risiede proprio nella sua
ordinarietà, nella sua familiarità e nel radicamento nella nostra vita. Tra le prime
sostenitrici di questo orientamento troviamo Yuriko Saito, che sottolinea l’importanza
della funzionalità, spesso considerata un ostacolo all’apprezzamento estetico degli
oggetti, poiché le percezioni sensoriali sono dovute anche all’esperienza che ne
facciamo nell’uso. Il valore estetico degli oggetti risiede quindi anche nel piacere che
scaturisce nel raggiungere efficacemente l’obiettivo. Pertanto, anche gli oggetti
possono avere un’aura pur senza diventare opere contemplative, ma solo in virtù
della loro efficacia funzionale. Gli oggetti d’uso sono aurici anche quando ci sono
donati da una persona cara o sono pregni di ricordi. Per tale motivo anche una tazza
scheggiata può avere un valore estetico. Un’aura simile è promanata dagli oggetti
vintage, l’oggetto ‘vissuto’ evoca una storia e scaturisce il desiderio di essere
posseduto proprio per la vita passata che reca nascosta in esso.

4.5 AMBIENTE

La nozione di ambiente acquista rilevanza teorica nel corso dell'Ottocento, e indica


non uno spazio fisico e geometrico, ma una sostanza eterea che può essere
percepita con tutti i sensi: uno spazio vissuto. Con questa accezione, alle soglie del
Novecento, il concetto di Umwelt (“ambiente”) fa il suo ingresso in modo sistematico
in biologia grazie all'opera di Jakob von Uexküll. Merito dello studioso è quello di
aver sottolineato la “specificità” percettiva degli spazi sensomotori e le modalità
peculiari con cui ciascuna specie interagisce con l'ambiente, modificandolo. La sfera
dell'ambiente può essere affrontata da diversi approcci scientifico-disciplinari.
Tuttavia, per l'estetica la riflessione su questo tema costituisce un filtro
attraverso cui avviare una riconfigurazione della disciplina che estende
l'indagine verso i territori della quotidianità. Infatti, con Schelling e Hegel
l'estetica aveva circoscritto il proprio interesse all'arte bella. Questo approccio teorico
viene superato solo con i movimenti ecologisti degli anni Sessanta e Settanta. In
Europa uno studio che privilegia la totalità percettiva in cui siamo immersi è fornito
da Gernot Böhme. Per il filosofo tedesco, l'indagine si incentra su come essa si
presenta a noi, ovvero come la avvertiamo, focalizzando il legame tra le qualità
ambientali e la situazione emotiva del soggetto. Böhme utilizza il concetto di
atmosfera per dimostrare il fondamentale ruolo degli aspetti sensoriali e corporei
nella percezione degli spazi sia naturali sia costruiti. La percezione dello spazio
atmosferico è frutto di un'impressione d'insieme prodotta sinesteticamente. Rispetto
agli altri sensi, l'olfatto stabilisce un legame privilegiato con l'ambiente; prima ancora
di percepirsi, l'atmosfera si fiuta. Interpretare lo spazio urbano, in termini di
esperienza, nell’accezione di Dewey, consente di mettere a fuoco la relazione
biunivoca che si instaura tra l’organismo e l’ambiente e il modo in cui interagiscono e
si influenzano reciprocamente. Con questa chiave di lettura, la visione geometrica
dello spazio viene sostituita dalla percezione sensoriale di un soggetto, che oltre ad
essere percipiente è anche agente. Spostandoci al dibattito sull’ambiente avviato nel
Nord America, possiamo individuare due linee vettoriali: da un lato Allen Carlson,
Glenn Parsons e Arnold Berleant, i quali, pur muovendo dall’Environmental
Aesthetics, costituiscono un ponte verso l'Everyday Aesthetic; un’altra di Yuriko
Saito. Carlson e Parson rimangono ancorati all’approccio scientifico e analitico
(cognitivo)anche se successivamente si aprono anche alla funzionalità. Entrambi gli
approcci risultano sbagliati perché non tengono conto che l’esperienza estetica
include anche componenti immaginativi. mentre Saito è interessata all’ambiente a
partire dalla vita di tutti i giorni.

L’INVENZIONE DEL QUOTIDIANO - MICHAEL DE CERTEAU


CAPITOLO 7 - CAMMINARE PER LA CITTA’

Nel capitolo 7 del libro "L'invenzione del quotidiano", intitolato "Camminare per la città",
Michel de Certeau esamina il modo in cui gli individui danno forma alla loro vita
quotidiana, creando significato, attraverso le loro pratiche di spostamento nello
spazio urbano, scegliendo determinati percorsi e modi di spostarsi in base alle proprie
esigenze e preferenze.

De Certeau sostiene che camminare per la città sia un modo per gli individui di
esprimere la propria identità e di costruire significato nella vita quotidiana e, sottolinea
inoltre, che gli individui attraverso le loro pratiche di spostamento nello spazio urbano,
possono resistere e sfidare le strutture imposte dalla società, creando nuove forme di
significato e di senso.

Immaginando la vista dal World Trade Center, De Certeau sostiene che chi vede la
città dall’alto è un voyeur, la vede nella sua complessità. In realtà però coloro che
vivono quotidianamente la città stanno in basso, sono i passanti.

Lo scenario disegnato da De Certeau è quello costituito dall'esistenza attiva di una


molteplicità di soggetti, ciascuno dei quali è impegnato nella costruzione di una
miriade di spazi. Entro questo teatro di possibilità illimitate, ciascuno e tutti possono
contribuire alla nascita di un pullulare creativo.
De Certeau si sofferma ad analizzare i diversi significati che possono essere attribuiti
al camminare in città e al modo in cui i due termini (camminare e città) sono collegati
tra loro.

​ La città, instaurata dal discorso utopico e urbanistico viene definita attraverso:


● produzione di uno spazio proprio: l'organizzazione razionale deve
rimuovere tutte le interferenze fisiche, mentali o politiche che la
comprometterebbero
● sostituzione di un non-tempo, o di un sistema sincronico (in un determinato
momento in linguistica, significa appunto solo e soltanto nel presente), alle
resistenze delle tradizioni
● creazione di un soggetto universale e anonimo che è la città stessa

Si ha quindi una differenziazione e una redistribuzione delle parti e delle funzioni


della città, grazie ad inversioni, spostamenti, ma anche un rifiuto di ciò che non è
trattabile e costituisce lo scarto di un'amministrazione funzionalista. La
razionalizzazione della città comporta la sua mitizzazione nei discorsi strategici,
ovvero nei calcoli fondati sull'ipotesi o la necessità della sua distribuzione per una
decisione finale.

La città funge da punto di riferimento totalizzante e quasi mitico per le strategie socio
- economiche e politiche, però la vita urbana lascia sempre più riaffiorare ciò che
il progetto urbanistico escludeva.

Oggi il concetto di città urbanistico e utopistico si degrada. Per capirne il degrado e


trovare una soluzione occorre analizzare le pratiche minute che dovevano essere
gestite dal sistema urbanistico. Foucault parla di dispositivi e procedure tecniche,
strumentalità minori capaci, grazie alla semplice organizzazione dei dettagli, di
trasformare una molteplicità umana in una società disciplinare e di gestire,
differenziare, classificare e gerarchizzare tutte le devianze riguardanti
l'apprendimento, la salute, la giustizia... Queste strumentalità minori, inserite ed
organizzate nello spazio e negli usi di quest'ultimo definiscono le condizioni
determinanti della vita sociale.

Cercheremo ora di esaminare alcune procedure che sfuggono alla disciplina senza
essere tuttavia al di fuori del campo in cui essa si esercita.

La storia inizia dal basso, con i passi, il cammino che costruisce uno spazio. Esso
potrebbe essere tracciato ma si perderebbe l’atto stesso di passare, la traccia si
sostituisce alla pratica.

ENUNCIAZIONI PEDONALI

Camminare: sistema urbano = enunciazione: lingua

L'atto di camminare sta al sistema urbano come l'enunciazione sta alla lingua.. I
passaggi pedonali hanno 3 funzioni enunciative:

● processo di appropriazione del sistema topografico da parte del pedone (così


come il locutore si appropria della lingua assumendola)
● realizzazione spaziale del luogo (come l’atto locutorio è una realizzazione
sonora della lingua)
● realizzazione di rapporti tra posizioni differenziate, ovvero contratti pragmatici
sotto forma di movimenti. (allo stesso modo in cui l’enunciazione pone l’altro
dinanzi al locutore)

Il camminatore utilizza alcune possibilità e interdizioni dell’ordine spaziale ma allo


stesso tempo ne inventa di nuove (scorciatoie, traverse..)

Il camminare diventa quindi uno spazio di enunciazione con 3 caratteristiche diverse


dall’enunciazione linguistica:

● presente: l'individuo attualizza lo spazio in base alle possibilità che esso offre.
Il camminatore utilizza alcune possibilità e interdizioni dell’ordine spaziale ma
allo stesso tempo ne inventa di nuove (scorciatoie, traverse..)
● discontinuo: il fruitore della città preleva frammenti dell'enunciato per attuarli
in segreto e crea una discontinuità operando delle scelte
● fatico: il fruitore interrompe il suo percorso a causa del contatto con
determinati elementi; si perde quindi la comunicazione

RETORICHE PODISTICHE → attività compiute a piedi

I percorsi dei passanti seguono traiettorie o deviazioni assimilabili a figure o a stili


particolari. Si crea quindi una vera e propria retorica del camminare. Lo stile
specifica una struttura linguistica che manifesta sul piano simbolico il modo di essere
fondamentale di un uomo, connota una singolarità. L'uso definisce il fenomeno
sociale attraverso il quale si manifesta un sistema di comunicazione, rinvia ad una
norma.
Essendo il camminare paragonato al linguaggio, si possono individuare in esso due
figure retoriche:

● sineddoche: impiego di un termine in un senso che è una parte di un altro


significato della stessa parola (volto per definire uomo)
● asindeto: soppressione dei termini di connessione, ovvero delle congiunzioni
e degli avverbi in una frase (nel camminare infatti si seleziona e frammenta lo
spazio percorso).

Queste due figure retoriche podistiche rinviano l'una all'altra: la sineddoche


sostituisce le totalità con dei frammenti, ingrandisce il dettaglio e minimizza l'insieme;
l'asindeto le slega sopprimendo il congiuntivo e il consecutivo, frammenta, spezza la
continuità.
MITICHE, OVVERO CIO’ CHE FA CAMMINARE

Dopo aver istituito un'analogia tra formazioni linguistiche e modi di camminare, si


possono assimilare questi ultimi a raffigurazioni oniriche, ai sogni: camminare
significa essere privi di luogo, è il processo indefinito dell'essere assenti e in cerca di
uno spazio proprio.

NOMI E SIMBOLI

La città è costituita da nomi propri, con un preciso significato ed un preciso ruolo.


Essi creano dei non-luoghi dei luoghi, li tramutano in passaggi. I nomi, dunque,
gerarchizzano e ordinano la superficie della città. I nomi rendono abitabile o credibile
il luogo che rivestono con una parola, richiamano o rievocano i fantasmi (morti
presunti scomparsi) che si agitano ancora, e, in quanto nominano, alterano l'identità
funzionalista distaccandosene. Il totalitarismo funzionalista cerca di eliminare i nomi
propri e di sostituirli con delle cifre. La città è piena di leggende, miti e superstizioni
→ è ricca di memoria. I luoghi infatti sono storie frammentarie e ripiegate, passati
sottratti alla leggibilità, storie e dinamiche che cambiano da soggetto a soggetto e
assumono una valenza simbolica e personale; sono memorie.

CAPITOLO 8 - NAVALE E CARCERARIO

Nel vagone ferroviario, ogni cosa ha il suo posto, ogni essere una sua collocazione.
All’esterno vi è un’altra immobilità quella dei paesaggi, delle montagne.

Tra le due immobilità si introduce un qui pro quo “qualcosa al posto di qualcos’altro”.
Il punto di contatto sono il finestrino e la rotaia: il primo crea distanza il secondo
l’ingiunzione di passare.

Il principe che domina l’intera azione però è la macchina: il vagone ferroviario.

Una volta terminato il viaggio, ciascuno torna alla propria vita, ricomincia la lotta con
una realtà che scaccia lo spettatore, privato di binari e finestrini.

CAPITOLO 9 - LO SPAZIO COME RACCONTO

I racconti ogni giorno attraversano e organizzano dei luoghi; li selezionano e li


collegano tra loro; ne fanno frasi ed itinerari. Sono quindi percorsi di spazi e
potrebbero essere chiamati metafore (in Grecia il termine metafore viene indicato
per i trasporti pubblici), ovvero strutture narrative che hanno valore di sintassi
spaziali.

Ogni racconto è un racconto di viaggio, un'esperienza dello spazio.

Un luogo è l'ordine secondo il quale degli elementi vengono distribuiti entro


rapporti di coesistenza; è una configurazione istantanea di posizioni e implica
un'indicazione di stabilità. Uno spazio è invece un'insieme di vettori di
direzione, quantità di velocità e la variabile del tempo; è un incrocio di entità
mobili; è un luogo praticato. La strada geograficamente definita da
un'urbanistica è trasformata in spazio dai camminatori. Lo spazio sarebbe
rispetto al luogo quello che diventa la parola quando è parlata.

I racconti effettuano un lavoro che trasforma i luoghi in spazi o gli spazi in luoghi.
Essi organizzano così i giochi dei rapporti mutevoli che gli uni intrattengono con gli
altri. Quando si fanno descrizioni di luoghi e spazi si ricorre a descrizioni, attraverso
mappe oppure percorsi. Mappe comparate al vedere:” Accanto al bagno c’è la
cucina”. Percorsi comparati al fare:” Volti a dx ed entri nel soggiorno”. La maggior
parte di esse è di tipo percorso: si prediligono infatti quelle descrizioni che parlano
del tragitto da compiere, di operazioni da eseguire.I percorsi, o manipolazioni dello
spazio, prevalgono nella descrizione di appartamenti o di strade. Molto spesso le
descrizioni di questo tipo determinano l'intero stile della narrazione. E quando
interviene l'altro tipo di descrizione, è condizionata o presupposta dal primo.
Esempio di percorso che condiziona una mappa:” Se vai dritto vedrai la cucina e il
bagno”. Le descrizioni di tipo mappa hanno infatti la funzione di indicare sia un
effetto ottenuto attraverso il percorso ( tu vedrai), sia un dato che esso postula come
limite, possibilità o obbligo (la cucina e il bagno). Le mappe sono state per molti
secoli il punto di riferimento dei viaggiatori, indicando il percorso, le tappe...

I racconti svolgono anche il ruolo quotidiano di un'istanza mobile e magistrale in


materia di delimitazione. Tali operazioni di delimitazione, contratti narrativi e
compilazioni di racconti, sono composti con frammenti tratti da storie anteriori e
mescolati insieme; chiariscono la formazione dei miti, poiché hanno la funzione di
fondare e articolare gli spazi. Costituiscono un'immensa letteratura di viaggi, ovvero
di azioni organizzatrici di aree sociali e culturali più o meno estese. La caratteristica
principale della delimitazione è la suddivisione a strutturare lo spazio. In questa
organizzazione il racconto ha un ruolo decisivo: descrive, ma ha anche un potere
distributivo e una forza performativa (fa ciò che dice), quando si crea un insieme di
circostanze → è un atto culturalmente creativo. Il racconto, quindi, ha un ruolo
importante nella delimitazione e ha la funzione primaria di autorizzare
l'instaurazione, lo spostamento o il superamento dei limiti.

Il racconto non smette di porre confini: li moltiplica, ma in termini di interazioni tra


personaggi. I limiti sono tracciati dai punti di incontro tra le appropriazioni
progressive e gli spostamenti successivi degli attori. Il racconto privilegia, attraverso
le sue storie d'interazione, una logica dell'ambiguità.

Il racconto instaura un percorso (guida) e passa attraverso (trasgredisce). Lo spazio


di operazioni che traccia è fatto di movimenti: è topologico, relativo alla
deformazione delle figure.
Il racconto può essere una delinquenza: essa consiste nel prendere il racconto alla
lettera, farne il principio dell'esistenza fisica laddove la società non offre più uscite
simboliche e aspettative di spazi a soggetti o gruppi. Il racconto è una delinquenza in
riserva, conservata, ma spiazzata a sua volta compatibile, nelle società tradizionali,
con un ordine fermamente stabilito, ma abbastanza duttile per lasciare proliferare
questa mobilità contestatrice, irrispettosa dei luoghi, giocosa e minacciosa.

L’ORDINARIO DIGITALE: DIGITALIZZAZIONE DELLA VITA QUOTIDIANA COME


MODO DI LAVORARE

Per ordinario digitale si intende la crescente digitalizzazione della vita quotidiana.


Questo porta alla crescente produzione e conservazione di iscrizioni digitali sulle
nostre vite in piattaforme, motori di ricerca e app. A loro volta, i possessori di queste
piattaforme vendono i nostri dati che sono la loro principale fonte di guadagno.

2. REGISTRAZIONI DIGITALI

Le mediazioni digitali delle comunicazioni orali, scritte e visive producono e


archiviano iscrizioni digitali sotto forma di numeri, suoni, immagini e testi. I dispositivi
come i telefoni registrano le nostre connessioni e tracciano affetti, relazioni e
soggettività. Essi rivelano a noi stessi e a terzi la rete di cui facciamo parte, i nostri
movimenti e i nostri legami affettivi. Nuovi dispositivi indossabili (apple watch)
aumentano questa tendenza registrando anche la fisiologia e l’attività fisica del
nostro corpo.

Quello che prima era rappresentato da disegni, narrazioni e forme di calcolo


(rendere misurabili le iscrizioni) ora è rappresentato dalla digitalizzazione che
produce quelle che Bruno Latour chiama “mobili immutabili”. Queste entità
consentono la mobilità delle relazioni tra voci diverse, che possono essere condivise
e confrontate, e l'immutabilità di ciò che viene trasportato. Operano traduzioni
seguendo un doppio movimento di riduzione e amplificazione: riduzione delle
molteplici caratteristiche dell'entità particolare rappresentata dalle iscrizioni, e
amplificazione dovuta alle possibilità di confronto, misurazione e combinazione con
altre iscrizioni, facilitandone così il controllo, la gestione e la trasmissione.

Nelle mediazioni digitali si svolge un processo di doppia registrazione. Da un lato,


molti aspetti della nostra vita quotidiana e ordinaria sono inscritti e materializzati nei
nostri dispositivi digitali. D'altra parte, noi stessi e le nostre soggettività vengono
inscritte e plasmate da pratiche e mediazioni digitali che fanno parte dei processi
contemporanei di soggettivazione e incarnazione. Queste iscrizioni digitali
partecipano ai nostri processi di incarnazione, all'evoluzione dei nostri corpi, al modo
in cui impariamo ad influenzare e ad essere influenzati, e al modo in cui sviluppiamo
forme di attaccamento e sintonizzazione con altre persone, gruppi e con cose come
le tecnologie digitali, app e piattaforme. Essendo registrati su telefoni cellulari, app,
webcam e piattaforme di social media, i nostri corpi moltiplicano la loro presenza in
spazi e tempi diversi, e vivono oltre il tempo e lo spazio in quelle foto sono stati
originariamente prodotti, visualizzati e distribuiti. Usi, pratiche e consumi digitali non
sono solo legati alla vista e allo sguardo, anche i corpi dei partecipanti sono presi,
mossi e toccati da queste mediazioni. Caso YT per testimonianze e forme di lutto, tra
video e commenti. Il potere di registrazione dei media digitali genera due
trasformazioni in due aree della nostra vita quotidiana e del nostro regime di
attenzione. Da un lato, un gran numero di aspetti ordinari e mondani, acquistano un
diverso tipo di materialità, e certa durata e stabilità. D'altra parte, le routine, le
abitudini e le discipline in relazione alle attività quotidiane,sono ora inscritte
digitalmente e diventano visibili, replicabili. Esempi di entrambi gli aspetti: email che
possono essere lette più volte in momenti diversi ed essere condivisi per ottenere
altre interpretazioni o confrontati con altre conversazioni. Un altro esempio
contemporaneo app di fitness che registrano i viaggi e li confrontano con quelli di
altri utenti.

1.1 INTIMITÀ INSCRITTE E AFFETTI MATERIALIZZATI

La natura affettiva della vita quotidiana è ciò che motiva le persone a scattare foto
con i loro telefoni cellulari e caricarle su Internet. Questa intensità affettiva provocata
dalla condivisione della banalità dell'ordinario e del mondano diventa uno degli
aspetti chiave dell'estetica fotografica mobile. La banalità inscritta in queste immagini
conferisce loro l'autenticità e il carattere genuino che le rende attraenti e capaci di
generare attaccamento e legame.

I legami creati e coltivati nelle relazioni intime sono mobili e fluidi, ma lasciano tracce
nella materialità dei corpi e degli oggetti. La possibilità di tracciare questi movimenti
e stabilizzare (almeno temporaneamente) il flusso affettivo dei legami interpersonali
dipende dai dispositivi digitali e dalle loro iscrizioni, che svolgono un ruolo importante
nella nascita, nello sviluppo e nel mantenimento di quei link. La stabilizzazione di
rappresentazioni, interpretazioni, affetti, modi di essere e di fare, è sempre un
problema di ordine politico e di disciplina morale. Non possiamo comprendere questi
processi se ci concentriamo solo sui dispositivi di registrazione stessi. Occorre
indagare le controversie sulle specifiche interpretazioni delle iscrizioni digitali.

I due aspetti che emergono con la diffusione delle iscrizioni digitali: la


materializzazione di ciò che era effimero e volatile, e le maggiori possibilità e
occasioni di riflessività e monitoraggio (sorveglianza, controllo e autocontrollo)
contengono il potenziale per l'emergere di dissonanze, polemiche e sentimenti
contrastanti. Ciò è aumentato dal crollo dei contesti che si verifica nei social network,
dove interagiamo con contatti professionali, familiari, amici, conoscenti e estranei
nello stesso spazio.

Tensioni che circondano il cellulare nelle relazioni di coppia su come articolare i


territori individuali e quelli di coppia nell'uso del cellulare, negli obblighi di reciproca
trasparenza e nel difficile adattamento della privacy individuale nell'intimità della
coppia. Le iscrizioni digitali costituiscono così un luogo privilegiato per comprendere
e studiare le instabilità insite nella divisione tra pubblico e privato.

3. ETICA ED ESTETICA DIGITALE DELLE NOSTRE (RI)PRESENTAZIONI


QUOTIDIANE

Le nostre iscrizioni digitali e le mediazioni in cui vengono prodotte e condivise fanno


parte dei modi in cui (ri)presentiamo noi stessi agli altri. Secondo Goffman si cerca di
abbellire queste presentazioni e la sua riflessione, nonostante antecedente all’arrivo
di Internet può essere traslata al digitale. Le performance digitali hanno un carattere
rituale e in quanto rituali sono accettate come realtà. Il tipo di contenuto postato
dipende dall’app. È difficile tenere il controllo della diffusione poiché la replicabilità é
elevata. Il nostro io socializzato, creato di fronte ad un pubblico, non dovrebbe
essere soggetto ad alti e bassi. I selfie fanno anche parte del regno degli oggetti
stilizzati socializzati. Tuttavia, la descrizione di Simmel può anche essere un
esempio di “crudele ottimismo”. Ad esempio, quando l'idealizzazione delle fantasie di
appartenenza viene scossa dalle polemiche e dagli imbarazzi causati
dall'esposizione pubblica delle immagini digitali e dall'impossibilità di sapere, per le
caratteristiche tecniche delle iscrizioni digitali, chi sarà il nostro pubblico, non solo
ora, ma in futuro. Quindi questi aspetti estetici delle mediazioni e delle pratiche
digitali nella vita di tutti i giorni sono intrecciati con aspetti etici e morali. I selfie che
vengono esibiti e condivisi rivelano qualcosa di più di quello che le immagini
includono. Filtri, colori, animazioni sono mobilitati per presentarci nell'enunciare e
nell'eseguire decisioni, scelte, gusti. Allo stesso tempo, tutti i partecipanti a queste
azioni e mediazioni digitali contribuiscono a convalidarlo, a definire ciò che è
appropriato e ciò che non lo è per la particolare situazione sociale in questione.
Anche gli algoritmi danno priorità a ciò che potrebbe risultare più redditizio, pertanto
plasmano ciò che è appropriato e ciò che non lo è.

4. COINVOLGIMENTI DI SORVEGLIANZA E LAVORO DIGITALE: RENDERE


VISIBILI E INVISIBILI

Nelle pratiche digitali ordinarie in cui produciamo e condividiamo queste iscrizioni


digitali dispieghiamo sia il lavoro emotivo che il lavoro facciale. Quest'ultimo si
verifica nelle azioni di presentazione e rappresentazione della persona nella vita
quotidiana, che sono sempre forme di gestione affettiva, cioè di esprimere,
controllare e gestire sentimenti ed emozioni, nonché modi in cui ci mobilitiamo e
viviamo intensità.

Quando queste situazioni quotidiane vengono digitalizzate entrano a far parte delle
attuali forme di lavoro digitali. Non ci riferiamo che queste pratiche si verificano nelle
attività professionali, né all'importanza dei social per le carriere e nemmeno alla
monetizzazione dei contenuti postati, bensì al lavoro svolto da noi che produciamo
contenuti per queste app digitali, che ne traggono profitto. Inoltre, i nostri contenuti
(anche discorsi ed espressioni) producono valore collettivo quando vengono catturati
da istanze commerciali che li convertono in dati.

Snowden—-> con i social media si è avuto un rebranding delle società di


sorveglianza che raccoglievano e vendevano documenti sulla vita privata delle
persone. “sorveglianza dei dati”

A differenza delle interazioni face to face, non stiamo mostrando una performance
effimera ma creiamo contenuti permanenti che vengono mercificati. Il nostro è un
lavoro gratuito. Angel Luis Lara—--> “lavoro invisibile di quarta generazione”
all’invisibilità di questo lavoro si aggiunge anche l’ignoranza sulla quantità di risorse
che serve per mantenere le infrastrutture digitali.

Proposte per regolarizzare il fenomeno:

- regolamento europeo: definisce la privacy di default con regole di consenso


più specifiche e maggiori informazioni per gli utenti.
- proposta laburista: regolare attività e consenso a immagine della legislazione
del lavoro
- proposta “operaia”: piattaforme di proprietà degli utenti ordinari,
trasformandole in bene comune
5. CONCLUSIONI

Le mediazioni digitali della nostra vita quotidiana danno vita a molteplici iscrizioni
che contribuiscono a plasmare i nostri corpi. Sono soggette a processi di visibilità e
invisibilità. Tra i primi la materializzazione di ciò che un tempo si considerava
effimero (conversazioni, gesti..). La suddetta materializzazione avviene però entro
vari livelli di visibilità e opacità: dall'impossibilità di sapere con certezza chi sono
i nostri contatti e pubblici online, e chi sono e saranno il pubblico per le nostre
attuali presentazioni digitali in futuro; passare attraverso l'opacità degli
algoritmi e il modo in cui le aziende digitali trattano, vendono e utilizzano i
nostri dati; all'invisibilità del nostro lavoro digitale, che non siamo solo
prosumatori di contenuti, ma anche di dati e metadati.

EDGAR GOMEZ CRUZ

PHOTO-GENIC ASSEMBLAGES: PHOTOGRAPHY AS A


CONNECTIVE INTERFACE
INTRODUZIONE: NUOVE PRATICHE FOTOGRAFICHE NELLA VITA
QUOTIDIANA

Qualche mese fa sono andata in un ristorante di Londra con alcuni amici. Abbiamo
notato quanto fosse normale, per gli altri commensali (e per noi), usare la fotografia
come parte delle pratiche commensali. Uno dei miei amici ha trascorso un po' di
tempo durante la cena installando e configurando un'applicazione sul suo cellulare.
Al termine della cena, ha fotografato il codice QR con il suo smartphone e ha
esclamato: "Fatto! Andiamo!".

Se osserviamo dall'esterno, il mio amico ha compiuto esattamente la stessa azione


delle altre persone agli altri tavoli: ha preso il suo smartphone, lo ha puntato verso
qualcosa sul tavolo e ha fatto clic. Tuttavia, il risultato di questa stessa azione era
ontologicamente diverso. Il mio amico non ha catturato un bel momento, ma ha
pagato il conto.

La fotografia, così come l'abbiamo intesa per più di un secolo, è cambiata


radicalmente e siamo ancora in fase di stabilizzazione di questi cambiamenti. La
fotografia digitale sta dando forma ad "assemblaggi di visualità" diversi da quelli del
suo predecessore fotochimico. Intendo il termine "assemblaggio" seguendo le idee
di Latour di una disposizione fissa tra tecnologie, pratiche e discorsi. Nell'era
analogica, le tecnologie, le pratiche quotidiane, i discorsi sulla fotografia e le
fotografie creavano una disposizione fissa, un "assemblaggio", che conoscevamo
come "cultura Kodak".

Le tecnologie, le pratiche e i discorsi relativi alla fotografia digitale stanno


modellando assemblaggi radicalmente diversi da quelli fondati negli studi classici
sulla fotografia, dal punto di vista delle scienze sociali. Questi nuovi assemblaggi
sono ancora in fase di stabilizzazione e questo è importante perché, seguendo
Hand, le pratiche di creazione di immagini nell'era digitale sono diventate un
"territorio irresistibile per comprendere le dinamiche dei media digitali e della
società".

Il cameraphone, in quanto strumento "sempre in vista", dà forma a una pratica che
diventa parte di qualsiasi altra esperienza, su base quotidiana (si pensi, ad esempio,
ai concerti, che sono diventati un oceano di piccoli schermi che raccolgono
immagini). Probabilmente si può affermare che, per molte persone, la fotografia è
una funzione del telefono cellulare più utilizzata rispetto all'effettuare una chiamata,
ed è altrettanto sicuro affermare che le persone scattano più foto con i telefoni
cellulari che con altri tipi di fotocamera. Le capacità audio dei telefoni cellulari
sembrano essere meno importanti di quelle visive. La fotografia è passata
dall'essere un mezzo per la raccolta di ricordi importanti a un'interfaccia per la
comunicazione visiva. Quello che voglio sottolineare in questo testo è che gli usi
vernacolari (fotografie di persone comuni) delle fototecnologie stanno incorporando
pratiche che si allontanano non solo dagli usi tradizionali della fotografia, ma persino
dal mondo della rappresentazione. La fotografia viene sempre più utilizzata come
interfaccia, senza nemmeno coinvolgere un'immagine.

L'intero significato sociale della fotografia è in fase di riassemblaggio. È stato


chiaramente affermato che non facciamo più parte di una cultura Kodak.

Questo capitolo si propone di analizzare alcuni usi della tecnologia fotografica,


soprattutto con i telefoni cellulari (e i tablet), che si basano su un assemblaggio di
foto-algoritmi.

Prima di addentrarmi nella mia idea centrale, voglio tracciare brevemente due
scenari. Nel primo scenario voglio proporre una decostruzione dell'idea di fotografia
(vernacolare) come ontologia singola e unica e presentarla, invece, come un
assemblaggio specifico (uno dei tanti assemblaggi possibili). La cultura Kodak è
stata una stabilizzazione specifica della fotografia che, quasi un secolo dopo, è stata
stravolta dalle pratiche digitali.
Nel secondo scenario voglio presentare, altrettanto brevemente, il nuovo panorama
che le pratiche digitali aprono, concentrandomi sulle nuove pratiche all'interno della
fotografia che formano il contesto in cui l'uso della fotografia come interfaccia sta
prendendo forma. Queste due discussioni serviranno come base per la mia
successiva argomentazione secondo cui le pratiche fotografiche digitali stanno
formando nuovi assemblaggi visuali-digitali che utilizzano le "tecnologie di creazione
di immagini" vernacolari per scopi radicalmente diversi da quelli dell'era analogica.

DESTABILIZZARE LA FOTOGRAFIA: ASSEMBLAGGI E PRATICHE

Nel suo nuovo ambiente tecnologico, la fotografia sarà piegata a nuovi fini, mentre
lotta per mantenere i suoi scopi storicamente definiti. È necessario, quindi, iniziare a
capire che gli "scopi storicamente definiti" della fotografia sono stati il risultato di
diverse alleanze, di specifici contesti storici e di lotte discorsive che hanno dato
forma a diverse pratiche e innovazioni tecniche. Quando le tecnologie si
stabilizzano, è il risultato di un processo sociale piuttosto che di un progressivo
sviluppo "tecnico" verso il design, l'uso o l'interpretazione più avanzata.

Queste stabilizzazioni non sono necessariamente permanenti e, nel caso specifico


della fotografia, potrebbero essere intese come un movimento a pendolo, che oscilla
costantemente attraverso cambiamenti ciclici, che comprendono conoscenze e
tecnologie per consentire e limitare determinate pratiche (ad esempio, una maggiore
mobilità dovuta a macchine fotografiche più piccole, la democratizzazione della
fotografia all'inizio del XX secolo, quando l'introduzione dei rullini sostituì la necessità
di conoscenze sui processi chimici, ecc.).

Nel suo lavoro, Bijker propone che "si deve studiare come le tecnologie vengono
modellate e acquisiscono i loro significati nell'eterogeneità delle interazioni sociali”.
Prendendo spunto da questa affermazione, voglio utilizzare la nozione di
"stabilizzazione" per parlare di come la fotografia abbia acquisito determinati
significati nei gruppi sociali di riferimento. Questa decostruzione della fotografia
potrebbe aiutare a comprendere come le tecnologie digitali stiano formando nuovi
assemblaggi, piuttosto che riconfigurare semplicemente le immagini digitali come
una "nuova" versione della "vecchia" fotografia.

La fotografia, fin dalla sua nascita, ha funzionato come un modo di rappresentare il


mondo, aveva la responsabilità di preservare la verità di ciò che raffigurava e, in
quanto "nuova tecnologia", era intesa come uno strumento per "riflettere"
oggettivamente la realtà. Questa connessione epistemica ha dato forma ai diversi
usi della fotografia, ma ha anche creato una "trappola", all'interno della quale la
fotografia poteva essere sempre e solo un'immagine, sulla scia della pittura. Come
afferma Sontag nel suo importante testo.

La successiva industrializzazione della tecnologia delle macchine fotografiche non


ha fatto altro che portare a termine una promessa insita nella fotografia fin dalle sue
origini: democratizzare tutte le esperienze traducendole in immagini.
Con l'introduzione della macchina fotografica Kodak e la creazione del mercato
amatoriale della fotografia di massa, le diverse stabilizzazioni formarono
assemblaggi che si rafforzarono attraverso pratiche e discorsi diversi. Cominciarono
a emergere diverse dicotomie e divisioni, che escludevano reciprocamente le
diverse pratiche fotografiche: professionale/amatoriale, fotografia/scatti,
scientifico/vernacolare, artistico/documentario, moda/quotidiano, ecc. Ognuno di
questi campi comprendeva le proprie divisioni (nell'arte fotografica, ad esempio, si
crearono i generi: realistico/concettuale/ritratto, ecc.) e formava ed era plasmato dai
propri discorsi (come chiarisce la pubblicità della Kodak: "una vacanza senza una
Kodak è una vacanza sprecata "v) e dal suo particolare insieme di tecnologie (ad
esempio le attrezzature specializzate utilizzate nella fotografia medica o dentale).

L'uso vernacolare della fotografia nella vita quotidiana, come strumento di memoria,
come "souvenir" di momenti felici e importanti, ha dato forma alla Kodak Culture. La
fotografia era considerata un assemblaggio che generava sempre immagini
(fotografie) e queste immagini erano destinatarie della memoria e proiettavano una
nozione di coesione sociale in virtù di ciò che ritraevano, ossia momenti felici speciali
e unici della vita. Come pratica, la fotografia vernacolare aveva codici, possibilità,
vincoli e usi chiari che sono rimasti più o meno stabili per quasi un secolo e che sono
stati analizzati in profondità negli studi sulla fotografia e la vita quotidiana.

Tuttavia, nonostante le chiare connessioni con le pratiche precedenti, ci sono stati


numerosi resoconti di come l'uso della tecnologia digitale stia trasformando il ruolo
tradizionale della fotografia nella vita quotidiana, soprattutto con l'emergenza del
cosiddetto "telefono con fotocamera". Ciò che queste nuove pratiche all'interno della
tecnologia digitale sembrano raggiungere è la destabilizzazione della fotografia così
come era intesa nella cultura Kodak.

Una delle tecnologie chiave in questo processo di destabilizzazione è stato il


telefono cellulare. Esiste già un corpus importante e sempre più rilevante di lavori
relativi alla fotografia e ai telefoni cellulari. Molti risultati comuni erano già stati
raggiunti dagli studi pionieristici sulle macchine fotografiche dei telefoni quasi un
decennio fa, in un'epoca precedente all'introduzione degli smartphone, hanno
sottolineato che i telefoni con fotocamera si distinguevano sia dalle macchine
fotografiche che dai telefoni, e sembra plausibile pensare che anche le immagini
prodotte con un telefono con fotocamera siano diverse. Le foto scattate con un
telefono con fotocamera, hanno suggerito, tendono a essere più effimere e quindi
comunemente utilizzate per connettersi e comunicare in tempo reale e non come
immagini per conservare i ricordi. Una delle applicazioni fotografiche di maggior
successo degli ultimi tempi, Snapchat, un sistema utilizzato per inviare messaggi
foto/video che vengono automaticamente cancellati una volta che sono stati visti dai
destinatari prescelti, considera questo spostamento come il fulcro del suo successo.
Snapchat è diventata un'applicazione di successo comprendendo (e spingendo)
nuovi assemblaggi di fotografia come dispositivo comunicativo e non come memoria.
Nella sezione "Chi siamo" dell'app si legge: "L'immagine potrebbe essere un po'
sgranata e tu potresti non apparire al meglio, ma è questo il punto. Si tratta di un
momento, di una connessione tra amici e non solo di una bella foto". È importante
notare che questa connessione scompare una volta raggiunto il suo scopo.

Molti degli studi citati hanno offerto nuove prospettive da cui considerare la fotografia
mobile come diversa dalla fotografia convenzionale, definendola come una
"comunicazione visiva", come una "connessione di immagini" o come un "multimedia
mobile". Ciò che accomuna tutti questi lavori è la riflessione sull'uso della fotografia
per scopi non tradizionali, in particolare quelli legati alla temporalità in tempo reale
dello scambio di immagini. L'argomento importante è che la fotografia vernacolare
ha iniziato a cambiare il suo ruolo, passando dalla registrazione dei ricordi a un
meccanismo connettivo. Vorrei approfondire questo argomento e passare a una
riflessione sull'uso della tecnologia fotografica nella vita quotidiana, al di là della
rappresentazione o della raffigurazione. Suggerisco che sarebbe utile comprendere
le pratiche basate sull'obiettivo non solo come foto-grafie, ma come foto-interfacce.
Tuttavia, per capire questo, dobbiamo prima comprendere la fotografia come
tecnologia.

LA FOTOGRAFIA COME TECNOLOGIA

Dopo aver presentato l'idea della fotografia come un assemblaggio mutevole basato
su innovazioni e pratiche, suggerisco di pensare alla fotografia come a una
tecnologia.

Uno dei punti di riferimento più importanti per comprendere la fotografia come
tecnologia (o una serie di fototecnologie, per essere più precisi) è il lavoro di Patrick
Maynard. Maynard propone che "se l'idea della fotografia come tecnologia sembra
poco familiare, la tecnologia della fotografia è sicuramente molto familiare" . Nel suo
libro The Engine of Visualization Maynard propone di concentrarsi sulle tecnologie
fotografiche e sulla loro relazione con i processi, e non sull’immagine che ne risulta.

Concentrandosi sulla creazione di immagini, Maynard si collega ai discorsi


primordiali annunciati dai primi sviluppi della fotografia, sottolineando che i
primi inventori e promotori, come William Henry Fox Talbot, furono prudenti
nell'attirare l'attenzione non tanto su una nuova classe di oggetti [le foto]
quanto sui diversi usi di una nuova serie di procedure tecnologiche".

È interessante notare che, in realtà, il processo descritto da Fox Talbot era chiamato
"disegno fotogenico". Fotogenico", nonostante l'uso corrente del termine, significa
letteralmente "prodotto o precipitato dalla luce". Questo semplice collegamento ci
permette di capire come, alle sue origini, la fotografia fosse intesa come un
processo, piuttosto che come il risultato di tale processo. Le immagini, quindi, erano
meno importanti delle possibilità di questa nuova tecnologia di visualizzazione.

La comprensione della fotografia come processo e come tecnologia ha spostato la


nostra attenzione sull'esplorazione dei possibili processi basati sulle "pratiche
fotogeniche". Questo è importante perché potrebbe aiutarci a riflettere sulla
crescente importanza del visivo, non solo come dispositivo per la produzione di
conoscenza ma anche nel tessuto informativo/automatizzato della vita quotidiana.

LA FOTOGRAFIA COME INTERFACCIA: I CODICI QR COME CASO DI STUDIO

Seguendo l'aneddoto con cui ho aperto questo testo, introdurrò l'idea di fotografia
come interfaccia attorno a un oggetto specifico: il codice QR. I codici QR
rappresentano un ottimo esempio di gateway, è un dispositivo di rete che collega
due reti informatiche di tipo diverso.

Inoltre, si basano sulle capacità fotografiche dei telefoni cellulari. I codici QR


presentano due elementi fondamentali per la comprensione della moderna cultura
digitale e il ruolo delle foto tecnologie in essa.
Da un lato, esse segnalano una caratteristica crescente della cultura digitale e sono
dispositivi che "segnano il mondo e lo collegano ai dati" e quindi "rivelano
nudamente il gesto di collegare i dati con il mondo fisico".
D'altra parte, "rivelano il desiderio culturale di compiere quel gesto". In questo senso,
sono probabilmente il primo esempio diffuso di una tendenza in crescita. I codici QR
sono diventati estremamente comuni e li troviamo ovunque. Esistono numerosi
esempi di utilizzo dei codici QR. Ne presento alcuni, a caso, con l'obiettivo di
dimostrarne i punti in comune.

Caso: cerca casa in affitto in Inghilterra-annunci con codice QR

Il mio iPhone non poteva "leggere" le informazioni contenute nel codice perché non
avevo un piano dati. Inoltre, non avevo installato un'applicazione in grado di
"leggere" la "foto". Come nel caso del mio amico al ristorante, la stessa azione con lo
stesso dispositivo poteva avere risultati ontologicamente diversi. Il processo
fotogenetico che collegava la mia mobilità e il mio desiderio di informazioni con le
agenzie di locazione non era possibile, perché non avevo gli strumenti giusti.

Caso: acquisto libro tramite scansione codice a barre

In una libreria di San Francisco vidi un libro che mi interessava molto. Poiché avevo
ancora due settimane di viaggio e avevo già comprato alcuni libri, ho deciso che non
avrei acquistato quel libro. Tuttavia, poiché desideravo quel libro, ho aperto
l'applicazione Amazon e ho "scansionato" il codice a barre del libro.
Automaticamente ho avuto accesso al prezzo, ad alcune recensioni e così via. Con
un clic, l'ho acquistato. Dopo aver lasciato il libro sullo scaffale, ho scattato una foto
della copertina del libro e l'ho caricata sul mio account Instagram/Facebook con la
didascalia "acquisto". Quando sono tornato a casa, un paio di settimane dopo, il libro
mi aspettava in ufficio e avevo già diversi "mi piace" e commenti sull'immagine del
libro. La stessa tecnologia fotografica utilizzata in entrambe le azioni (e lo stesso
oggetto materiale) ha mobilitato diverse reti sociotecniche: una economico- materiale
(l'acquisto del libro dopo la scansione del codice a barre) e una "sociovisiva" (la
condivisione dell'immagine del libro che stavo acquistando).

Caso: palestra universitaria con codice QR per le prestazioni

La palestra dell'università ha aggiornato le macchine per gli esercizi e quelle nuove


hanno un codice QR che consente al mio cellulare di effettuare uno scambio di dati
tra le prestazioni del mio corpo con la macchina, l'insieme e lo storico delle
prestazioni e la sensazione motivazionale che si prova nel seguire i miglioramenti
della forma fisica o la perdita di peso. Il percorso verso un "io quantificato" ha avuto
origine dall'immagine di un codice QR. Questi sono esempi quotidiani di come i
codici QR codificano in più di un senso: sono segni di un'idea non espressa,
l'idea che la rete e i suoi dati siano connessi alla griglia del mondo fisico e che
tali connessioni possano essere rivelate attraverso atti di traduzione
dimensionale facilmente disponibili, economici e onnipresenti.

I codici QR rappresentano un esempio importante di come le pratiche fotografiche


digitali nella vita quotidiana si stiano trasformando in un insieme di processi
complessi e talvolta opachi (che, allo stesso tempo, potrebbero aprire una serie di
questioni sulla sorveglianza e sul controllo).

Se pensiamo alle parole più comuni che colleghiamo alla fotografia, il codice QR
cambia completamente le carte in tavola, poiché la fotocamera del telefono non
scatta una fotografia ma scansiona un codice. I codici QR, in quanto immagini, mi
sono oscuri; possono essere decodificati solo grazie alla combinazione di un sistema
ottico, un sensore, un algoritmo e una connessione a Internet. L'immagine di un
codice QR diventa significativa solo quando la macchina la interpreta e le
informazioni vengono visualizzate nel mio browser mobile. Il risultato di questo
processo non è una rappresentazione basata su un oggetto 'reale', e nemmeno
un'immagine, ma una connessione diretta con una piattaforma digitale (una pagina
web, un'app, ecc.) che non assomiglia in alcun modo a ciò che stavo puntando il mio
telefono e vedendo attraverso il mirino.

Crary propone che la maggior parte delle funzioni storicamente importanti dell'occhio
umano sono state soppiantate da pratiche in cui le immagini non hanno più alcun
riferimento alla posizione dell'osservatore in un mondo "reale", percepito
otticamente. Sebbene Crary si riferisca più che altro alle immagini generate al
computer, questo argomento potrebbe essere facilmente traducibile all'immagine
fotografica che agisce come un vero e proprio traduttore, allineato più con gli
algoritmi e il codice che con la rappresentazione e la visione in sé.

Chris Chesher, nel suo testo Tra immagine e informazione: la fotocamera


dell'iPhone nella storia della fotografia, mette in relazione la potenziale
combinazione delle tecnologie fotografiche con l'elaborazione informatica, e afferma
che l'uso moderno della fotocamera sta andando "oltre la sua eredità fotografica per
utilizzarla come dispositivo di input di dati, raccogliendo informazioni invece di fare
foto convenzionali".

L'immagine è un input per un processo computazionale che ha un output non


direttamente riferibile all'oggetto fotografato. In questo modo, l'interfaccia fotogenica
consente nuove forme di mediazione, o traduttori, tra i sistemi informativi e le
persone: software di riconoscimento facciale, scanner (con riconoscimento di segni o
caratteri), immagini con metadati GPS, ecc. Ciò ha inevitabilmente conseguenze più
ampie sui sistemi di conoscenza/potere. Se app come Snapchat modificano
chiaramente e con successo l'idea di fotografia vernacolare come oggetto di
memoria, altre app di uso comune trasformano la fotocamera in un'interfaccia.

Senza l'intenzione di creare una tassonomia o di raccontare in modo esaustivo tutte


le applicazioni possibili, solo per fare qualche esempio possiamo citare applicazioni
di successo come Evernote (e il suo utilizzo delle foto come archivio di appunti),
Textgrabber (che utilizza la fotocamera come scanner con riconoscimento dei
caratteri), Wordlens (un traduttore, in tempo reale, che sfrutta le funzionalità della
fotocamera senza scattare alcuna immagine) e Instant Heart Rate (un
cardiofrequenzimetro che utilizza la fotocamera come strumento per il
riconoscimento dei caratteri).

Questo spettro di pratiche è utile in due modi. In primo luogo, stabilisce un'agenda
generale di ricerca sulla mediazione visuale-digitale (insieme a mobilità, cultura
materiale, ecc.). In secondo luogo, ci aiutano a considerare gli assemblaggi
foto-genici come parte di ciò che costituisce le pratiche fotografiche nella vita
quotidiana, senza concentrarsi sull'immagine finale come indice semiotico o sulla
sua novità rispetto agli usi passati della fotografia.

FOTOGRAFIA QUOTIDIANA E REGIMI TECNO-VISIVI

Maynard sottolinea che le immagini fotografiche sono un tipo di immagine


economica e molto diffusa, realizzata mediante processi fotografici. Da questo punto
di vista non c'è motivo di supporre che debbano rappresentare per forza: ce ne sono
molte che non lo fanno.

Intendendo la fotografia come un insieme di "tecnologie di marcatura della


superficie", potremmo mettere sempre più in relazione la fotografia di tutti i giorni con
altri tipi di processi di immagine, ad esempio l'immagine scientifica. Per comprendere
i raggi X o le risonanze magnetiche è necessaria una competenza specifica. Questa
competenza è detenuta da particolari assemblaggi di persone/tecnologie che
trasformano un'immagine in un'informazione "leggibile". Questa competenza diventa
un codice elitario legato ai regimi di conoscenza e sostenuto dalle strutture di potere.

Sebbene questo capitolo abbia una portata limitata, l'analisi del rapporto tra processi
basati sull'immagine e regimi di conoscenza è molto rilevante e, pertanto, è
importante notare come questi nuovi assemblaggi foto-genici possano avere un
impatto importante sulla formazione di nuovi regimi tecno-visivi. Il rapporto tra
fotografia e regimi tecno-visivi è di lunga data in ambiti specifici e "l'immaginario
scientifico spesso ci arriva con una sicura autorità alle spalle". Sebbene gli studi
scientifici abbiano criticato questa idea mostrando come "lo sguardo scientifico sia
culturalmente dipendente come le altre pratiche di sguardo", abbiamo ancora
bisogno di una ricerca che metta in relazione con le pratiche sociotecniche di
creazione di immagini in modi più vernacolari. Ci sono due elementi importanti qui: il
primo, come suggeriscono Sturken e Cartwright, è che il tipo di conoscenza possibile
cambia con le tecnologie di mediazione. Il secondo elemento importante è che,
sempre più spesso, gli usi vernacolari delle immagini richiedono codici specifici, non
sempre rappresentativi, che rafforzano determinate strutture di potere attraverso
elementi come la sorveglianza o i big data.

Vorrei sottolineare i due elementi che considero fondamentali in questa agenda


emergente.

● Il primo è che una fotografia non è necessariamente ridotta a una mera


rappresentazione, ma è sempre più inserita in un contesto più ampio e
complesso, con diverse temporalità ed elementi (e questo spiega molti degli
attuali usi della fotografia nei social media). La combinazione con il testo, i
link, la mobilità e la tempistica fanno ormai parte dell'"immagine" o la
modellano costantemente, mentre a volte il "codice" specifico utilizzato per
comprendere l'immagine è condiviso solo da un gruppo specifico di persone o
di tecnologie (come nel caso dei raggi X, delle risonanze magnetiche o delle
immagini d'arte).
● Il secondo elemento, quello che ho cercato di sviluppare in questo capitolo, è
che le fototecnologie stanno diventando sempre più dei traduttori (in senso
letterale ma anche latouriano) tra oggetti materiali, banche dati, persone, ecc.
Ciò significa che non sono solo rappresentazioni.

CONCLUSIONI

Ho utilizzato i codici QR come esempio di come la fotografia digitale, combinata con


i dispositivi mobili e le possibilità algoritmiche, stia segnalando nuove interfacce
visive tra le pratiche di consumo, i sistemi informativi e le pratiche fotografiche che
stanno diventando sempre più integrate nel tessuto della quotidianità. Il punto
cruciale di queste nuove interfacce visive è che l'output risultante da un "clic" è,
sempre più spesso, non solo un'immagine ma anche una connessione - una
connessione che può essere tracciata, misurata e diventare parte di database.
Queste connessioni sono talvolta visive e tra persone ma anche attraverso codici,
sensori e connessioni. Queste connessioni sono in grado di mobilitare diverse
relazioni, sia digitali che materiali. Pertanto, queste pratiche fotogeniche non
dovrebbero essere analizzate come una semplice somiglianza tra un oggetto e
un'immagine, ma intese come agenzie condivise. La tecnologia fotografica sta
formando nuove mediazioni digitali che fanno sempre più parte della gestione della
vita quotidiana.

Questo è un invito a pensare di più alla fotografia come pratica sociotecnica e meno
alla fotografia come immagine, rappresentazione e raffigurazione. Se pensiamo alla
fotografia come a una pratica sociotecnica in costante mutamento, con nuove
possibilità tecniche, ambienti e discorsi in evoluzione, allora potremmo risparmiare
tempo prezioso nella ricerca di come si stabilizza in contesti diversi.

In definitiva, la fotografia è sempre stata un assemblaggio fotogenetico con una serie


di significati e pratiche consolidate. Stiamo assistendo alla nascita di nuovi significati
e dovremmo cercare di comprenderli.
ASSEMBLAGE, BRICOLAGE, AND THE PRACTICE OF EVERYDAY LIFE

Alcuni termini storico-artistici sono determinati da uno "spirito" o "stato d'animo"


specifico del periodo e del contesto. Questo gruppo tematico di saggi si concentrerà
sulla descrizione di Seitz dell'assemblaggio come attività che coinvolge
"l'assemblaggio di parti e pezzi". Questa definizione evoca il processo fai-da-te di
costruzione di oggetti da stranezze, descritto dalla parola francese bricolage e
teorizzato nel modo più famoso nel 1962 dall'antropologo Claude Lévi-Strauss.

PROCESSO/OGGETTO

Seitz ha sottolineato che le opere in mostra non dovrebbero solo giustapporre


almeno due materiali diversi, ma che questi materiali dovrebbero essere "scartati o
rubati" "piuttosto che nuovi".

Lettera a David Smith nella quale gli spiegava che lui annulla le fonti delle cose e per
questo motivo le sue opere erano state escluse dalla mostra.

Lévi-Strauss parla del bricolage come "scienza del concreto" descrive soprattutto un
atteggiamento nei confronti del mondo materiale e fu interpretata come una rottura
con la pittura astratta. L'assemblage si presentava come l'espressione privilegiata di
un nuovo soggetto consumatore la cui identità si definiva attraverso un ciclo sempre
più accelerato di acquisizione e dismissione di oggetti. La concretezza
dell'assemblaggio gli permetteva di sottolineare il nuovo predominio della merce
mentre la sua enfasi sul processo ha suggerito i modi in cui i soggetti si formano
attraverso questo mutevole insieme di relazioni. L’assemblage era visto, nel
peggiore dei casi, come complice delle forze sempre più dominanti del capitalismo.
Cambiano gli strumenti della figura del bricoleur privilegiando il processo, la
performance e il linguaggio sull'oggetto.
Analisi di Brunham “estetica dei sistemi” in cui il sistema è inteso come complesso di
componenti in interazione ricorda l’insieme di manufatti assemblati dal bricoleur.
Nell’estetica dei sistemi la priorità dei risultati finali sulla tecnica si rompe. Esempi:
Nauman sosteneva che tutto ciò che l’artista faceva nel suo studio era arte. Fillou
utilizza il bricolage per ridefinire i confini dell’arte, la casualità e la leggerezza delle
sue costruzioni incoraggiavano chiunque a dedicarsi all’arte.

Un terzo turno in questa traiettoria di assemblaggio-bricolage, vorrei argomentare,


avvenuta nel 1990, quando la vita quotidiana stessa venne concepita come una
pratica analoga al bricolage. Nel suo libro del 1980 The Practice of Everyday Life,
Michel de Certeau ha usato il verbo bricoler per descrivere i modi in cui ci
impegniamo nelle attività più comuni, compresi lo shopping, le passeggiate o la
cucina. L’elaborazione di De Certeau di una nuova scienza del concreto attirò
Bourriaud—--> estetica relazionale che costruisce spazi concreti, pratiche della vita
quotidiana e pratiche che riciclano i dati culturali. Questa svolta verso il concreto

riflette cambiamenti nel pensiero politico. Il modello guida per l'arte più politica
dell'ultimo decennio, secondo Gregory Sholette, può essere trovato nelle
organizzazioni non governative, "che privilegiano l'azione pragmatica e tattica
sull'ideologia" Il bricoleur, a quanto pare, è tornato con un nuovo kit di strumenti, che
ora include interventi stradali, Internet e prototipi di prodotti.

Le pratiche contemporanee del bricolage tendono a concentrarsi su uno dei due temi
centrali: il bricolage come pratica di studio per artisti che rivisitano le utopie
fallite delle passate avanguardie da un lato e, dall'altro dall'altro, il bricolage
come modello quotidiano di attivismo. La prima richiama Nauman ed è
autoriflessiva mentre la seconda le opere di Oiticica (che riprende Fillou) è
impegnata con preoccupazioni sociali e politiche. Entrambe condividono la
preoccupazione per la situazione attuale della cultura.

Il lavoro di Hirschhorn è la sintesi dei due filoni. A causa delle sue complesse
relazioni con oggetti, processi e tempo, il bricolage è stato il luogo privilegiato per
l'esplorazione di questioni più ampie di materialità, mercificazione e consumismo
nelle società capitaliste e sempre più globalizzate.

LAVORO/TEMPO LIBERO

Lévi-Strauss spiegava che le società industriali tollerano il bricolage solo come


hobby. Lefebvre studiava il tempo libero nell’era del consumismo post-guerra. Egli
sosteneva che il tempo libero doveva diventare un mezzo di autosviluppo.

Il dibattito che si aprì negli USA sui “pittori della domenica” si concentrava sul fatto
che ciò costituisse una democratizzazione dell’arte oppure agisse come una forma
soffocante di controllo sulla reale espressività.
Effettivamente il clima sociale in quegli anni era di costrizione così un artista gay,
Rauschenberg, usò l'assemblaggio come mezzo per trasmettere significati della
propria differenza sessuale.

Il bricoleur nelle società industriali occupa una posizione ambivalente perché occupa
una posizione ambigua tra produzione e consumo. Questa ambivalenza tra
produzione e consumo si identificò più strettamente con la figura del dilettante,
distinta sia dal consumatore passivo che dallo specialista professionista.

La figura del dilettante è l’unico modello per comprendere la quotidianità. Può servire
a due scopi: incarna una forma di amore e passione non più presente nel mondo del
lavoro e la sua adozione da parte di artisti politicamente impegnati nell’esplorazione
del capitalismo.

La vita di tutti i giorni è inerme nella sua lentezza e ripetitività ma persistente nel suo
continuo richiamo alla tradizioni e nei modi di fare e di essere. Il bricolage agisce
come un sismografo, registrando le forze che hanno interessato l’arte e la società
dalla seconda metà del ventesimo secolo.
DA FLÂNEUR A CO-PRODUTTORE. LO SPETTATORE PERFORMATIVO

Opera 1942- Le Flaneur—-> ci prende per mano, nella sua passeggiata in città e
condivide con noi ciò che scopre. È il prototipo dell’urbanista moderno, osserva lo
spettacolo che emerge intorno a lui.

I flaneur sono artisti anche se non scrivono perché sono testimoni di cosa accade in
città. Producono storie delle loro esperienze vissute pur essendo attori nello
spettacolo, partecipano attivamente alla co-produzione della vita cittadina. Walter
Benjamin introduce il flaneur nell’ambito accademico, per lui la città non è una cosa
fissa ma cambia continuamente in base all’azione e alle scelte del visitatore. Per il
flaneur la città gli è sconosciuta perché la considera come uno spettacolo teatrale.

Massey ritiene che stiamo costantemente creando e ricreando gli spazi-tempo e


indica la produzione di identità attraverso il concetto di aspetti relazionali dello spazio
“non possiamo diventare senza gli altri”. Nozione performativa di spazio: non è una
cosa fissa ma un mezzo attraverso cui le cose e gli ambienti diventano possibili. Lo
spazio che NOI produciamo struttura il tempo di vita che vi trascorriamo.

DIGITALITÀ

Stalder- tre qualità che costituiscono la cultura digitale:

- referenzialità: uso del materiale culturale esistente che va selezionato e unito


- comunalità: azioni collettive autonome nelle reti
- algoritmicità: processi automatici che rendono i set di dati visibili ed utilizzabili

Manca un aspetto importante, la posizione e responsabilità del singolo membro del


pubblico.
Due esempi di come le tecnologie digitali enfatizzano il concetto dello spettatore
performativo.

WALKING THE CITY di LIGNA: tour audioguidato in un paesaggio urbano

SITUATION ROOMS: videogioco multiplayer un labirinto

Le culture digitali non sono solo un additivo a ciò che accade sul palco, ma sono un
cambiamento radicale per ogni aspetto della performance, e in particolare per lo
spettatore. Anche se si è verificato un enorme cambiamento, rimane una situazione
in cui c'è un'attenzione prodotta dalla produzione e richiesta allo spettatore.

Ma che dire degli spettacoli in cui la domanda non è prodotta dal team artistico
ma dagli utenti-spettatori, oppure l'attenzione deve essere prestata dai
cosiddetti attori e non dal pubblico? Che dire delle produzioni che avranno
luogo solo se il pubblico è molto più attivo del team di produzione?

WAFFITTARE LA CITTÀ

Nel 2013-14, il collettivo di performance con sede ad Amburgo, LIGNA, ha invitato il


pubblico a una passeggiata audioguidata attraverso otto diverse città in
“Passeggiando per la città”. LIGNA è composta da tre media- e performance artist
che descrivono il loro lavoro come “creare situazioni temporanee che impiegano il
loro pubblico come un collettivo di produttori”. Passeggiando per la città è una
performance senza attori che invita il pubblico a passeggiare in uno spazio urbano
già esistente e a sperimentarlo in modi particolari e, così facendo, a rileggerlo. Certo,
ci sono inviti acustici costanti, ben composti e registrati a compiere azioni. Vengono
inviati da un trasmettitore radio a un ricevitore radio personale, che viene distribuito
all'inizio dello spettacolo.

Qual è la distinzione tra spettatore e flâneur?

Entrambi hanno scelto di camminare per la città in un modo che non sia solo
dedicato al modo più veloce per portare il proprio corpo dal punto A al punto B.

Mentre il flâneur non è completamente guidato da interessi specifici e da nessuno


scopo specifico da raggiungere, il LIGNA-walker ha una sorta di struttura temporale
e anche spaziale che funziona come un insieme di regole di un gioco sportivo o
l'agenda invisibile di una cerimonia di matrimonio. Proprio dalle regole di uno sport,
viene fuori un’analogia con gli spettacoli teatrali: l’insieme delle regole è la struttura
dello spettacolo, che ha due facce: resta uguale e consente la molteplicità delle
esperienze. In Camminando per la Città il ruolo dell’attore di fornire il corpo per la
rappresentazione è rappresentato dal pubblico.
CAMERE DI SITUAZIONE

Al centro di una sala si erge un'enorme installazione, “Posizione Camere” che è una
produzione sulla guerra, la rete internazionale del commercio di armi, l'uso delle armi
e l'impatto di ciò che l'uso delle armi potrebbe avere. Anche qui il visitatore è dotato
di un dispositivo digitale, in questo caso di cuffie collegate a un iPad mini installato in
modalità landscape su un supporto in legno. La tecnologia digitale qui offre una
presa per mano più ravvicinata che all'interno Passeggiando per la città.Il sistema di
gioco funziona come un orologio. Non si ferma. O stai seguendo la traccia e il ritmo
o sei fuori. Il grado di libertà nell'offerta di partecipazione qui è piccolo: è più un invito
a entrare in un ruolo pre-prodotto che a esplorare diverse possibilità. I dispositivi
aiutano il visitatore ad assumere la posizione del protagonista, come un suggeritore
guida un attore attraverso la performance.

Situation Rooms è un meraviglioso esempio di performance nella cultura digitale se


riconsideriamo il trittico della cultura digitale di Stalder: assemblare le storie storiche
e personali di venti protagonisti della rete internazionale del commercio di armi
(referenzialità), facendole ricostruire insieme da venti utenti ( comunanza),
sofisticatamente guidati da un flusso audio in-ear e da un display video palmare
controllato via Wlan da un server centrale (algoritmicità).

CONCLUSIONE

Il ruolo dello spettatore è cambiato radicalmente. Richiede molto più che apertura e
consapevolezza: richiede prontezza a seguire le regole anche se non c'è alcuna
spiegazione di dove potrebbe portare. Sia l'impostazione acustica che la presa per
mano producono un approccio individuale a e per ogni membro del pubblico e li
aiutano a produrre la loro esperienza individuale della performance.

Nelle opere di Benjamin una società è evocata solo dal fatto che ci sono persone per
strada, nelle città. Le strade delle città europee sono occupate da più società: a
Istanbul, una folla, mobilitata da una trasmissione televisiva di una videochiamata di
Erdogan, pronta a usare la violenza, sta affrontando carri armati e soldati. A Londra,
in diecimila hanno seguito un invito sui social media a manifestare contro la Brexit. E
ad Amburgo, centinaia di adolescenti che normalmente si siedono davanti ai giochi
per computer vagano per le strade per dare la caccia ai Pokemon con i loro
dispositivi portatili.

L'impatto più forte delle culture digitali nel campo del teatro è documentato dal fatto
che il pubblico è diventato sempre più un vero e proprio coproduttore dello
spettacolo.
EVERYDAY AESTHETICS IN CONTEMPORARY ART

Chiunque può avere un'esperienza estetica indipendentemente dalla fonte, nel


senso che può avvenire durante le attività quotidiane e dall'apprezzamento di oggetti
banali.
Lo studio del quotidiano è stato presente come soggetto nell'arte e come centro di
attenzione in Sociologia e Antropologia. La quotidianità generalmente è un insieme
di azioni private che hanno un elemento ripetitivo. Secondo Heller, ogni società
produce una vita quotidiana e si esprime nella misura in cui le persone comunicano
le loro esperienze del mondo secondo la funzione e le attività che svolgono nella
società. L'esperienza viene dagli oggetti e dalle attività quotidiane.

Secondo Mandoki, l’estetica si ritrova nelle opere d'arte ma anche in opere diverse
dall'arte. Chiunque può avere un'esperienza estetica, Le persone hanno esperienze
estetiche ogni giorno, non necessariamente piacevoli o belle. Dewey introduce due
concetti; “semplice esperienza” e “Un'esperienza”, ed è quest'ultima quella che ha
una vera qualità estetica. La mera esperienza è discontinua e comporta dispersione
poiché non ha un elemento unificante che porti alla chiusura. Al contrario,
un'esperienza è quella a cui una persona presta più attenzione e suscita interesse
anche nel caso di situazioni banali.

Nonostante si concentri tutta l'attenzione su un oggetto, ci sono altri elementi di cui


inconsapevoli che influenzano l'esperienza estetica. Saito a tal proposito afferma
che un’esperienza quotidiana diventa straordinaria quando ci rendiamo conto di
conoscerla attraverso i sensi —> il design diventa una disciplina importante perché
studia la funzionalità dell’oggetto, nelle culture non occidentali arte e design sono
creati per valorizzare il quotidiano. esempio: strategie pubblicitarie che costruiscono
l’immagine di un oggetto.

Saito richiama l’interazione soggetto-ambiente e a tal proposito Mandoki che il


soggetto crea la propria esperienza estetica a partire da una precedente intenzione
di apprezzamento, come quella che nasce quando ci si trova di fronte a un'opera
d'arte.
IL QUOTIDIANO NELL’ARTE

L'estetica quotidiana è incorporata nell'arte attraverso pezzi in cui attività, vengono


sollevate situazioni o immagini banali.

Nel 1992 Tiravanja cucinò nella galleria di Ny: portare esperienza quotidiana nel
mondo artistico, in questo contesto è essenziale la presenza dell’altro, lo spettatore
è parte dell'opera d'arte consumandola mangiando.

La fotografia, in particolare i selfie e le rappresentazioni della vita quotidiana, è la più


ammirata al giorno d’oggi, secondo Benjamin.
1998: mostra San Francisco Museum sulla fotografia “privata”

Al giorno d'oggi, le immagini fotografiche proliferano grazie alla facile diffusione nei
mass media. Prevale il banale e le immagini sincere, autentiche e senza troppe
conoscenze tecniche. De Certeau parlava di proteggere l’intimo da occhi indiscreti
ma oggi con i social le persone amano guardare e farsi guardare.

Nel campo dell'arte, l'estetica quotidiana si osserva dagli anni Sessanta al lavoro di
fotografi americani come Nan Goldin, Nobuyoshi Akari. Secondo Cotton, per alcuni
di questi artisti l'uso di una fotografia priva di tecnica è intenzionale, ciò che conta è
che l’osservatore dialoghi con l’opera.

Spesso vi sono degli errori, che vengono trasformati in qualcosa di creativo. Spesso
gli errori danno luogo a scoperte, soluzioni o nuovi modi di vedere. Ecco perché
movimenti come Dada e Surrealismo hanno elogiato il casuale. Man Ray ha prodotto
il suo lavoro esplorando gli incidenti, dichiarandosi afautografo, questo tipo di
estetica è chiamata “della sorpresa o dell’imperfezione”.

Non a tutti gli artisti piace lavorare con il caso. Invece, ne prendono le caratteristiche
per riprodurle in un ambiente controllato costruendo una scena. Il risultato è un
quadro che sembra frutto di imperfezione ma in realtà è totalmente pianificato e
concettualizzato. L'estetica quotidiana lavora in due direzioni: La prima si trova
nell'argomento, la vita privata e domestica. La seconda deriva dalla casualità o dagli
errori causati nel processo per mostrare immagini più vicine agli incontri casuali.
CREATING W/ MOBILE MEDIA - CAP IV - ESSERE LI’ CON LE APP PER
SMARTPHONE

L'estrema accessibilità degli smartphone ci ha fornito un'opportunità fino ad ora


senza precedenti per convincere i nostri interlocutori che ci siamo “stati” attraverso
prove fotografiche e video.

Le persone creano e condividono l'arte mobile come parte della loro routine
quotidiana utilizzando l'estrema accessibilità degli smartphone e delle reti di telefonia
mobile.

Video ragazza con filtro b/n accompagnato da un haiku e pubblicato sui social,
l’autore cerca di evocare un senso di com’era essere lì, nel momento in cui gira il
video. Sente che le app vintage filtri possano aggiungere profondità emotiva e
comunicare più di quello che l’autore vede davanti ai suoi occhi.

L’EVOCATIVO E IL QUOTIDIANO

L'arte mobile ha ampliato il campo spaziale e sociale in cui si svolge l'arte. L'estrema
accessibilità degli smartphone ha creato un terreno fertile per la sperimentazione di
nuove forme di espressione e azioni creative in cui i confini tra spazio digitale e fisico
sono sfumati.

Hjorth sostiene che l’arte mobile debba essere intesa come un campo di pratica
creativa più ampio di quello dei media locativi (media basati sulla posizione) e delle
arti multimediali. Egli vuole definire e teorizzare l’arte mobile e lo fa basandosi su tre
rubriche:
● sovrapposizione tra il lavoro in rete (intima compresenza)
● visualizzazione aptica come le app del telefono con fotocamera
(visualizzazione posizionata)
● interventi ludici nel quotidiano (gioco ambientale)

MONDO VITALE: relazionale e intersoggettivo

LA VITALITA’ DELL’ESSERCI

Geertz: essere lì presuppone una presenza esperienziale e consapevole.


Una volta che i telefoni cellulari sono diventati onnipresenti tra la fine del XX e l'inizio
del XXI secolo, l'idea di presenza è diventata più complessa. La facilità di poter
documentare e condividere i nostri movimenti attraverso la vita di tutti i giorni ha
ricalibrato il modo in cui pensiamo al cinema e alla fotografia.
Il concetto di Goffman di compresenza presupponeva la vicinanza fisica. Questo suo
assunto ovviamente cambia con la tecnologia. Viaggio Vietnam documentato su
Twitter, ha dato all’autore senso di immediatezza e legame vivo con gli interlocutori.
La capacità delle app di fotoritocco secondo Gomez Cruz e Meyer rappresenta il V
momento della fotografia. Il quinto momento nella fotografia stava amplificando il
senso di co-presenza digitale e la capacità di avviare scambi diretti con i miei
seguaci attraverso la pratica creativa.

Un importante contributo alla discussione sulla natura mutevole della co-presenza e


sul nostro uso dei dispositivi mobili è quello di Sherri Turkle che evidenzia gli aspetti
negativi, il nostro scorrere sui social media crea un senso di continua compresenza
che può generare ansia. L’autore invece vuole evidenziare come le tecnologie
vengano sfruttate per la pratica creativa.

Postill ha individuato 4 modi per esserci nell’era digitale: fisicamente, a distanza,


virtualmente, con l’immaginazione.

VIVERE INSIEME

La compresenza e l’essere presenti hanno anche implicazioni filosofiche poichè


queste idee si basano sul concetto di mondo vitale in cui le soggettività sono
condivise. Husserl ha introdotto per la prima volta l’idea di un mondo di vita
condiviso in cui tutti viviamo e diamo un senso insieme.

Gli smartphone sono diventati parte del mondo come “oggetti esistenti” in un
“universo coerente”. L'impulso a sentirsi in contatto con altri umani rimane forte e
continuiamo a valutare i resoconti descrittivi di com'è essere da qualche altra parte.
E possiamo ancora sentire impulsi creativi per condividere com'è essere dove ci
capita di essere in modo che gli altri possano provare per noi nel nostro mondo di
vita. Possiamo trovare molte prove di questi impulsi creativi nei social media. —>
Instagram #skyporn.

Instagram emerge da una cultura in cui il vecchio, l'autentico, l'analogo è ancora un


deposito di valore e apprezzamento e forse è vero che le scelte estetiche che
scegliamo sono una manifestazione dell'influenza duratura dei valori analogici. La
possibilità di applicare un filtro senza dover ricorrere a complicati software di
fotoritocco ha aperto un mondo completamente nuovo pieno di potenziale creativo in
cui le visualizzazioni posizionate vengono messe in scena e rievocate.

AFFETTI AURATICI

La compresenza digitale e spettrale degli altri può creare un effetto auratico mentre
svolgiamo le nostre attività quotidiane.
esempio dei cigni.
L'aura delle immagini postate da John ogni giorno dei cigni che nuotavano nel
canale allungava una rete di tempo e spazio fornendo ai suoi seguaci un momento
della loro giornata in cui potevano respirare l'aura del canale e dei suoi cigni.

WAYFARING MINDFULNESS

La maggior parte di noi ora è un viaggiatore digitale: questo ha cambiato il gioco per
i registi e i fotografi. Il digital wayfaring ha aperto la strada a nuove forme e processi
per la creazione di film e la fotografia che riflettono i nostri mondi di vita condivisi
mentre ci muoviamo attraverso spazi digitali e fisici che sono quasi intrecciati
insieme.

Wayfarer's Trail
Esperimento sotto forma di meditazione camminata che coinvolge l'estrema
accessibilità delle fotocamere degli smartphone.
Vicina alla filosofia Zen e alla teoria non rappresentativa di Ingold.
Lontana dalla nozione moderna di flaneur di Benjamin che osserva i flussi della vita
negli ambienti urbani, muovendosi accanto ad essi ma distaccato.
Lontana dalla psicogeografia —> esperimento di Gadd “Melbourne itinerante” in cui
guarda la città come non è stata mai vista prima.

L’autore voleva semplicemente notare le esperienze mentre camminava lungo un


sentiero costiero; l’unico vincolo era essere presente con tutti i sensi e fermarsi,
guardare e catturare tutto ciò che attirava l’attenzione attraverso lo smartphone.

Mentre camminava cercava di raggiungere la calma mentale che il fotografo White


ha descritto come lo stato mentale più attivo e allo stesso tempo ricettivo durante il
processo di creazione: pronto a catturare l’immagine.

La psicologa Duma ha anche commentato l'assenza del pensiero del pubblico nella
sua pratica fotografica “Senza un pubblico in mente, ho cercato solo il contatto
diretto con l'immagine”.

Teoria rappresentativa Ingold: relazioni tra camminare, il tempo e il conoscere

I viandanti camminano contemporaneamente in aria e per terra. L’aria non è solo


soggetta alle forze del tempo, ma anche uno spazio di segnali di telecomunicazioni,
ospita lo spazio hertziano.

Un viandante digitale cammina anche attraverso lo spazio hertziano.


CONCLUSIONI

In questo capitolo, l’autore ha studiato come immaginiamo e reimmaginiamo luoghi


ed eventi attraverso l'uso di assemblaggi di smartphone per evocare un senso di
com'è "essere lì". Ha esaminato quale ruolo gioca la co-presenza digitale nella
creazione di arte mobile attraverso l'etnografia digitale e la pratica creativa. La
co-presenza e il digital wayfaring hanno cambiato le regole del gioco per la fotografia
e la produzione di film. Le app per smartphone hanno fornito nuovi modi per evocare
la risonanza emotiva.

Potrebbero piacerti anche