Leopardi
Leopardi
Leopardi
Antonio Ranieri
1833: a Napoli con
Ranieri
1835: edizione editore
Saverio Starita
1836: La ginestra
La fine
14 giugno 1837 Fuorigrotta
1900: tomba monumento a Torre del Greco
Cripta di San Vitale nazionale ( violato!!!)
1939: collina di Posillipo
PARCO VIRGILIANO
Nel pensiero di Leopardi possono evidenziarsi alcuni nuclei tematici che costituiscono le strade
maestre della sua riflessione. Ne segnaliamo tre, che prendono la forma di contrapposizioni
dense di significato e ricorrono più volte cambiando fisionomia nel corso degli anni
"pessimismo
storico"
"pessimismo
cosmico"
"pessimismo
eroico"
pessimismo storico: causa del nostro soffrire è la
Ragione. La Natura madre benevola e
premurosa, nasconde all’uomo la sua vera
condizione, generando in lui le illusioni. La
Ragione scopre l’inganno, facendo apparire la
realtà di sofferenza e di dolore della vita umana.
Felice l’età della fanciullezza, età delle illusioni e
dei sogni fatti in assenza della ragione. Questa
condizione si perde con l’età adulta, e ne
subentra un’altra di perenne sofferenza. Alla
fanciullezza degli individui corrisponderebbe
quella dei popoli. Le età antiche furono dominate
dalla fantasia e dalle illusioni, non avendo
conosciuto il razionalismo dei tempi moderni gli
antichi erano felici; infelici gli uomini dell’età
presente, ormai dominata dalla ragione.
Tornando sul problema, il poeta, si chiede da
dove vengano le illusioni, e ribalta il suo giudizio
sulla Natura, arrivando a pensare che essa
stessa le farebbe nascere negli uomini per un
suo gioco perverso e maligno. La Natura, non la
ragione, sarebbe la vera causa dell’infelicità
dell’uomo, poiché gli fa sperare, intravedere,
sognare una felicità che non potrà mai
raggiungere; essa dunque non sarebbe una
madre benevola, bensì una matrigna. Gli uomini
sono stati infelici in tutte le epoche storiche, e
non solo nella presente. Questa infelicità non è
solo dell’umanità, ma di tutti gli esseri viventi
animali e vegetali, e non solo in questo mondo,
ma in tutto l’universo. Il dolore sarebbe
condizione universale e cosmica. Di qui la
denominazione di questa fase del pensiero
L’ultimo periodo, o del pessimismo eroico, è
caratterizzato da un atteggiamento nuovo del
poeta che, cessando di lamentare la scoperta
infelicità sua come di tutti gli esseri viventi, non
si piega più su se stesso a piangere il suo
dolore, né impreca contro la malvagità della
natura, ma è animato da un desiderio di vita e di
lotta, pur nella coscienza della inevitabile
sconfitta; afferma la volontà di lottare contro la
Natura, dando vita ad una forma di titanismo;
invita tutti gli uomini alla solidarietà e a
coalizzarsi per combattere quella che sola
considerava la comune nemica, cioè la Natura.
Questo il suo estremo messaggio lanciato con
“La Ginestra”.
LA TEORIA DEL PIACERE
Profondamente radicato nell’uomo è il desiderio di felicità. Ogni
uomo tende per legge di natura verso ciò che gli sembra bene, e
poiché poi gli sembra bene tutto ciò che gli procura piacere, egli
cerca naturalmente il soddisfacimento dei suoi desideri. Ma questa
soddisfazione non può essere che momentanea, di breve durata.
Subito dopo aver soddisfatto un desiderio l’uomo desidera di nuovo
qualcosa, tornando nella precedente situazione di sofferenza,
determinata dalla mancanza di ciò che si desidera. Il piacere
pertanto sarebbe costituito da una breve parentesi tra momenti
successivi, ma non contigui, di sofferenza. Da una momentanea
interruzione del dolore, tale da non poter durare nel tempo. Ma
anche quando non esistano ragioni esterne a determinare la
sofferenza dell’individuo, questi si troverebbe in una situazione di
infelicità, l’animo umano infatti sarebbe costantemente dominato
dalla noia. L’uomo riuscirebbe a trovarsi in una situazione di piacere
solo nel momento in cui si liberasse da questa sua condizione. Ma
non c’è via di scampo, essendo ciò possibile solo con la morte,
eterna quiete, cessazione di tutto, oppure, non volendo morire, in
ciò che alla morte maggiormente somiglia, cioè o il sonno naturale,
o lo stato di incoscienza procurato dall’oppio. Soluzioni però che
Leopardi rifiuta sia concretamente che ideologicamente.
1816/20: dopo la conversione dall’erudito al bello,
considera la ragione come una limitazione della Natura,
benigna dispensatrice di illusioni. Distingue due fasi nella
storia umana:
primitiva e felice (coincidente con l’infanzia del singolo
individuo);
moderna e infelice (che rimanda alla maturità)
1821/29: in nome del materialismo nega valore alla “consolazione” cristiana e
rovescia il giudizio sulla Natura, ora considerata matrigna crudele perché
condanna all’infelicità non solo l’uomo (che aspira vanamente al piacere) ma
tutti gli esseri viventi, sottoposti al ciclo meccanicistico di una Natura
indifferente
1830/37: nell’ultimo periodo della sua vita, L. vede nella ragione l’unico
strumento per raggiungere una coraggiosa consapevolezza del vero. Va
combattuto ogni vacuo ottimismo che nasconde la reale precarietà
dell’esistenza, che egli attribuisce a fattori biologici. La via per fronteggiare il
dolore della vita non è da affidare a stampelle spiritualistiche, ma alla
solidarietà fra persone che si sostengono reciprocamente
Le poetiche di Leopardi
Dal 1816, quando partecipa al dibattito fra classicisti e romantici, L. va elaborando
una sua concezione della poesia. In parallelo con le evoluzioni del suo pensiero,
anch’essa assume aspetti diversi nel corso del tempo
Dalla critica alla poesia sentimentale alla poetica del “vago” e dell’ “indefinito”
Nella poesia degli antichi il contatto con la vitalità del mondo naturale esaltava
l’immaginazione. Il raziocinio dell’età moderna consente ai poeti solo di rielaborare
consapevolmente i sentimenti, che sono però malinconici e dolorosi. Imitare gli antichi non
basta più: il poeta può colmare la tendenza al piacere infinito dell’uomo, descrivendo una
realtà naturale percepita in modo “vago” e indeterminato. Le immagini che ne scaturiscono
sono “bellissime in poesia”.
Durante il silenzio poetico (1823-27) L. sembra rinunciare alla poesia idillica: la poetica del
“vago” viene modificata coi Grandi idilli del 1827-28 dove la poesia dell’indefinito è messa in
relazione con l’esperienza soggettiva della memoria. Le cose per quanto belle non suscitano
impressioni poetiche, se non attraverso il filtro delle “rimembranze” capaci di caricarle di
suggestioni emotive “poeticissime”.
La nuova poetica data dal “Canto notturno del pastore errante nell’Asia”: l’esperienza del
mondo circostante e l’affermazione di sé nel presente (amore per la Targioni Tozzetti) fanno
abbandonare i temi del rimpianto e della memoria. A L. preme ora difendere la sua filosofia
eroica contro le sciocche illusioni con cui la società crede di incamminarsi verso il progresso e
la felicità. Con la Ginestra diffonde la dura verità dell’accettazione del dolore.