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Ellen G. White
2000
Copyright © 2012
Ellen G. White Estate, Inc.
Informazioni su questo libro
Panoramica
Questo eBook viene fornito dalla Ellen G. White Estate. È in-
cluso nella collezione più ampia di libri online gratuiti sul sito della
Ellen G. White Estate
Informazioni sull’autore
Ellen G. White (1827-1915) viene considerata l’autrice Ameri-
cana più tradotta, le sue opere sono state pubblicate in più di 160
lingue. Ha scritto più di 100,000 pagine su diversi temi spirituali
e pratici. Guidata dallo Spirito Santo, lei ha esaltato Gesù ed ha
indicato le scritture come base della fede personale.
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Per ulteriori informazioni sull’autrice, sugli editori, o su come
potete sostenere questo servizio, vi preghiamo di contattare la Ellen
i
G. White Estate all’indirizzo email [email protected]. Vi ringra-
ziamo dell’interessamento e delle vostre opinioni e vi auguriamo la
benedizione di Dio durante la lettura.
ii
iii
Indice
Informazioni su questo libro . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . i
Prefazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . vi
Introduzione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . vi
La vita di Ellen G. White . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . vi
Il contesto storico . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . viii
L’opera di Ellen G. White . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . xi
Origine e composizione di profeti e re . . . . . . . . . . . . . . . . . . xiv
Il concetto di ispirazione di Ellen G. White . . . . . . . . . . . . . xviii
Introduzione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . xx
La vigna del Signore . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . xx
Capitolo 1: Salomone . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 25
Capitolo 2: Il tempio e la sua consacrazione . . . . . . . . . . . . . . . . 31
Capitolo 3: L’orgoglio della ricchezza . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 38
Capitolo 4: Le conseguenze della trasgressione . . . . . . . . . . . . . . 45
Capitolo 5: Il pentimento di Salomone . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 54
Capitolo 6: La divisione del regno . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 61
Capitolo 7: Geroboamo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 67
Capitolo 8: L’apostasia nazionale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 72
Capitolo 9: Elia di Tisbe . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 77
Capitolo 10: Severi rimproveri . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 83
Capitolo 11: Il monte Carmelo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 91
Capitolo 12: Da Izreel a Oreb . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 98
Capitolo 13: “Cosa fai qui?” . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 105
Capitolo 14: Lo Spirito e la potenza di Elia . . . . . . . . . . . . . . . . 112
Capitolo 15: Giosafat . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 120
Capitolo 16: La rovina della casa di Acab . . . . . . . . . . . . . . . . . 127
Capitolo 17: Il profeta Eliseo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 135
Capitolo 18: Eliseo risana le acque del Giordano . . . . . . . . . . . 143
Capitolo 19: Un profeta di pace . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 147
Capitolo 20: Naaman . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 152
Capitolo 21: La conclusione del ministero di Eliseo . . . . . . . . . 157
Capitolo 22: Ninive, la grande città . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 163
Capitolo 23: La deportazione in Assiria . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 171
Capitolo 24: Conoscere per vivere . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 178
iv
Indice v
Introduzione
Profeti e Re è il secondo di una serie di cinque volumi1 nei quali
Ellen G. White propone un commento pastorale della Bibbia. L’o-
pera di questa autrice prolifica si rivolge in primo luogo ai credenti
della Chiesa Avventista, che riconoscono in lei la presenza di un
dono profetico. Profeti e Re quindi è un libro redatto fondamental-
mente per un pubblico preparato ad accogliere il messaggio di una
scrittrice che considera ispirata.
vi
Prefazione vii
dagli storici. Dopo il 22 ottobre 1844 la maggior parte delle persone che avevano accolto
il messaggio del secondo avvento predicato da quest’ultimo si disinteressò del problema.
Due categorie di milleriti, convinti che l’esperienza del 22 ottobre non fosse priva di
significato, diedero vita a due piccoli gruppi: coloro che erano persuasi che l’avvento
non si fosse verificato perché avevano commesso un errore nel calcolare il periodo della
predizione profetica e coloro che erano sicuri di essersi sbagliati nell’interpretare il
significaro della profezia. Ellen G. White entrò a far parte di questo secondo gruppo.
4 Cfr. E. G. White, Esperienze e insegnamenti cristiani, L’Araldo della Verità, Firenze,
1929, 60.
viii Profeti e re
sciuta dal gruppo che, alcuni anni più tardi, darà vita alla Chiesa
Avventista del 7° Giorno, Ellen G. White sarà un punto di riferimen-
to importante nelle scelte e nella comprensione della missione che
questi credenti sentono di dover svolgere. Il suo apporto e la sua
opinione saranno tenuti in grande considerazione.
Ella stessa ebbe cura di guidare la riflessione dei suoi compa-
[7] gni di strada mettendo per iscritto i messaggi che rivolgeva loro e
componendo un’opera letteraria imponente: secondo gli esecutori
testamentari e depositari dei diritti di pubblicazione dei suoi scritti,5
Ellen G. White ha lasciato un patrimonio letterario di oltre 100.000
pagine.6
Il contesto storico
Per comprendere gli scritti di Ellen G. White occorre inquadrarli
nel contesto storico e culturale nel quale l’autrice ha vissuto.
Come abbiamo accennato il 1800 è un secolo di grandi trasfor-
mazioni. Nel mondo politico e in quello economico si assiste a
cambiamenti sostanziali rispetto al passato: siamo nell’era della
nascita delle democrazie liberali e della rivoluzione industriale. Dal
punto di vista tecnologico, per capire il tipo di evoluzione in corso e
le differenze con il nostro tempo, basti pensare che nell’800 furono
inventati i fiammiferi, le candele, l’illuminazione stradale a gas e
si mise a punto il sistema di pavimentazione delle strade. Inoltre
si scoprì la possibilità di conservare i cibi in scatola sterilizzandoli
con il calore e si realizzarono le prime applicazioni relative all’u-
so dell’energia a vapore: le navi, i treni, le macchine tipografiche.
Alessandro Volta inventò il primo generatore di corrente continua.
Dal punto di vista tecnologico gli Stati Uniti d’America benefi-
ciarono delle innovazioni nei trasporti, le comunicazioni e l’urbani-
stica. Politicamente, consolidarono la propria autonomia dall’Euro-
pa, dando vita a una nazione democratica fondata sull’uguaglianza
dei cittadini e sul diritto alla libertà di pensiero e di religione. In
questa nazione nascente, gli sviluppi sociali e tecnologici sembra-
vano porre un’ipoteca ottimistica sul futuro. Molti ritennero che il
5 Denominato
“Ellen G. White Estate”.
6 Kenneth
H. Wood, cfr. The Christ of the Narrow Way, Ellen G. White Estate, R. &
H.P.A., Washington D. C., 91.
Prefazione ix
stesura finale del libro, sia pure sotto la supervisione della scrittrice
americana. Il motivo è semplice. Profeti e Re fu pubblicato nel 1916,
cioè un anno dopo la morte di Ellen G. White. Inoltre da alcune testi-
monianze del tempo risulta che nei suoi ultimi anni di vita l’anziana
scrittrice non era più in grado di proporre un’opera così impegnativa
come quella che abbiamo oggi sotto gli occhi.23 Forse per questo
motivo il 27 dicembre 1907 la sua segretaria, C.C. Crisler, scrisse
una lettera importante a uno dei leader della Chiesa Avventista, W.W.
Prescott,24 chiedendogli di assumersi un incarico molto delicato:
prendere in considerazione gli articoli scritti in precedenza dalla
stessa Ellen G. White - relativi al periodo storico dell’esilio e del
ritorno di Israele da Babilonia - e riproporli in un unico volume. I
lettori si aspettavano infatti la parte conclusiva del ciclo dedicato
alla “storia della salvezza”, ormai quasi completo grazie alle ope-
re Patriarchi e profeti, La speranza dell’uomo, e Il gran conflitto.
La Crisler chiese chiaramente una selezione critica per “eliminare
quelle parti che possono fare più male che bene”.25 In modo parti-
colare dal contesto della lettera si percepisce la preoccupazione di
non suscitare controversie e polemiche a causa di interpretazioni in
contrasto con le opinioni degli storici e degli esegeti più autorevoli
del tempo.
Per realizzare ciò, Prescott - o chi al suo posto ebbe questo
incarico - utilizzò, parafrasandoli, diversi estratti da libri di Ellen
G. White. quali Christ’s Object Lessons: “The Lord’s Vineyard”
(Le parabole di Gesù Cristo), Spiritual Gifts vol. 4, Fundamental of
Education, Education (Principi di educazione cristiana), Testimonies,
vol. 3 e 5, The Desire of Ages, Toughts from the Mount of Blessings [14]
(Con Gesù sul monte delle beatitudini), The Ministry of Healing
(Sulle orme del gran medico) oltre ad articoli tratti dalla rivista della
denominazione Review and Herald.26
Contrariamente a quello che alcuni critici sostengono, Ellen G.
White è stata in grado di seguire la compilazione di Profeti e Re
23 Cfr. S.N. Haskell a W.C. White, 27 November, 1918.
24 Prescott, oltre a ricoprire incarichi di responsabilità nella chiesa, era anche uno
studioso che aveva già collaborato alla stesura e alla revisione di opere di Ellen G. White
come La speranza dell’uomo e Il gran conflitto.
25 Lettera di C.C. Crisler a W.W. Prescott, 27 dicembre 1907.
26 Did the Prophet see Kings? A paper by Walter Rea, 8.
xvi Profeti e re
quasi fino alla fine della sua vita. Lo confermano alcuni resoconti
dei colloqui che C.C. Crisler ebbe con Ellen G. White, proprio
a proposito del processo redazionale. Nel colloquio del 22 luglio
1914, la Crisler riferisce di aver “presentato a Ellen G. White i punti
principali del capitolo su Eliseo, ‘La purificazione delle acque’ e
quelli relativi alla ‘Liberazione dall’Assiria’. Ellen G. White - scrive
la Crisler - ha espresso grande soddisfazione quando ha saputo che
questi capitoli erano stati quasi ultimati. Ha anche detto di avere
la speranza di poter riacquistare le forze per esaminarli un’ultima
volta, affinché il lavoro possa essere pronto per la stampa”.27
Questi colloqui mostrano tuttavia la fiducia di cui godevano la
Crisler e i suoi collaboratori. In uno dei suoi resoconti ella riferisce
che la sera del 27 luglio parlò a lungo con Ellen G. White sulle
profezie di Isaia che - scrive la segretaria - “noi speravamo di in-
cludere nel capitolo sulle ‘Visioni della gloria futura’ insieme ad
altro materiale. La sorella White si è detta compiaciuta del fatto
che avessimo fatto ricorso alla Parola di Dio per una buona parte di
questo capitolo; (...) io ho presentato il progetto su come trattare le
parti relative ai profeti Geremia ed Ezechiele. Ho citato dettaglia-
tamente la chiamata di Geremia e anche quella di Ezechiele. (...)
Ella ha espresso la speranza che avremmo sottolineato gli aspetti
più significativi”.28
Anche da questi brevi estratti risulta evidente l’importanza delle
citazioni bibliche per la struttura stessa dell’opera. Ciò è ovvio per
un libro che si occupa della storia d’Israele, e tuttavia in Profeti e
Re il numero dei testi biblici è particolarmente rilevante, con oltre
duemila citazioni.
Infine, per concludere questo breve esame sull’origine della com-
posizione di Profeti e Re, occorre menzionare l’influsso esercitato
da alcuni commentari del XIX secolo sulla stesura finale del libro.
Tra questi ricordiamo Night Scenes in the Bible di Daniel March
(1868-1870), Elijah the Tishbite di F.W. Krummacher (1848), Eli-
sha the Prophet di A. Edersheim (1882), e The Great Teacher di J.
[15] Harris (1836). Si tratta di libri particolarmente cari a Prescott ma
già utilizzati in precedenza dalla stessa Ellen G. White, che spesso
27 Did the Prophet see Kings? A paper by Walter Rea, 11.
28 Did the Prophet see Kings? A paper by Walter Rea, 11.
Prefazione xvii
dover pagare un solo centesimo allo scrittore inglese. Cfr. “Ellen G. White and the charge
of plagiarism” in Desmond Ford, Daniel 8:14, The Day of Atonement and the Investigative
Judgement, Euangellion Press.
33 Gli esempi che si potrebbero fare sono molto numerosi. Rimandiamo all’articolo
fronto tra i più importanti teologi avventisti del tempo, così si espresse H.C. Lacey:
“Nella nostra valutazione degli scritti di Ellen White, non è più importante per noi la luce
spirituale che essi spandono nei nostri cuori e nelle nostre vite, piuttosto che l’accuratezza
intellettuale su questioni storiche e teologiche? Non dovremmo considerare quegli scritti
xviii Profeti e re
dei suoi insegnamenti dalla sapienza mediorientale del tempo, come testimoniano le
numerose analogie con il testo egiziano L’insegnamento di Amenemope. Cfr. D. Winton
Thomas (ed.), Documents from Old Testament Times, Harper Torchbooks.
36 Sul concetto di ispirazione, e in particolare sull’ispirazione di Ellen G. White, si è
svolto un ampio dibattito nella Chiesa Avventista, tra la fine degli anni ’70 e l’inizio degli
anni ’80. Nel numero del 12 luglio 1979 della Adventist Review è apparso un editoriale
molto interessante di K.H. Wood (Daniele 8:11), dal titolo “An Important Series about
Ellen G. White”,. Wood vi espone il modo in cui la Chiesa Avventista comprende il
processo di ispirazione.
37 Per uno studio più approfondito, cfr. Arthur L. White, The Ellen G. White Writings,
38 Review and Herald, 27 novembre 1883, riportato in Arthur L. White, Op. Cit., 13.
39 “InspiredPersons, Ancient and Modern”, in Review and Herald, 26 agosto 1976, 2.
40 Ellen G. White, Il gran conflitto, Edizioni ADV, Firenze, 1979, 7, 8.
Introduzione
xx
Introduzione xxi
molte mogli, perché il suo cuore non si allontani dal Signore, e non
dovrà accumulare molto argento e oro” (Deuteronomio 17:17).
Salomone conosceva bene questi suggerimenti e ne tenne conto
per un certo tempo. Egli desiderava profondamente vivere e gover-
nare secondo i precetti dati al Sinai. Il modo in cui gestiva gli affari [37]
del suo regno contrastava vivamente con le abitudini delle nazioni di
quell’epoca che non temevano Dio e i cui responsabili calpestavano
la sua santa legge.
Cercando di consolidare le sue relazioni col potente regno situato
a sud di Israele, Salomone si avventurò su un terreno pericoloso.
Satana sapeva quali sarebbero stati i risultati della disubbidienza e
così, durante i primi anni del regno di Salomone, anni gloriosi grazie
alla saggezza, alla benevolenza e alla rettitudine del re, cercò di
esercitare quell’influsso che avrebbe minato la fedeltà di Salomone
ai princìpi morali e lo avrebbe condotto a separarsi da Dio. La Bibbia
ci indica come riuscì a raggiungere questo scopo: “Il re Salomone
decise di fare alleanza con il faraone, re d’Egitto; così sposò una
delle sue figlie (...) la fece abitare nella città di Davide” (1Re 3:1).
Da un punto di vista umano questo matrimonio, sebbene contra-
rio agli insegnamenti della legge di Dio, parve essere una benedizio-
ne, perché la moglie pagana di Salomone si convertì e si unì a lui nel
culto del vero Dio. Inoltre Faraone aiutò Israele donando Ghezer.
“L’aveva incendiata e aveva distrutto la popolazione cananea che
vi abitava. Quando sua figlia sposò Salomone, il faraone le diede
questa città in dote” (1Re 9:16). Il re d’Israele ricostruì questa città
e consolidò il suo regno lungo la costa mediterranea. Alleandosi
con una nazione pagana e suggellando questo legame mediante il
matrimonio con una principessa pagana idolatra, Salomone trascurò
il saggio e prudente consiglio di Dio per salvaguardare la purezza del
suo popolo. La speranza che la moglie egiziana potesse convertirsi
era solo una debole scusa per giustificare il suo errore.
Per un certo periodo di tempo Dio, nella sua infinita misericor-
dia, limitò le conseguenze di questo terribile errore e il re, con un
comportamento corretto, avrebbe potuto arginare almeno in parte le
forze del male scatenate dalla sua imprudenza. Ma Salomone aveva
cominciato a perdere di vista la fonte del suo potere e della sua glo-
ria. Nella misura in cui i suoi desideri avevano il sopravvento sulla
ragione, cominciò a sentirsi autonomo e cercò di attuare il piano
40 Profeti e re
verrà da una terra lontana (...) perché avrà sentito parlare della tua
gloria e delle grandi cose che hai fatto...”.
In favore di ognuno di questi adoratori stranieri Salomone aveva
chiesto:
“Esaudisci ogni richiesta dello straniero. Così, tutti i popoli della
terra ti conosceranno, ti ubbidiranno come il popolo d’Israele e
sapranno che tu sei adorato in questo tempio che ho fatto costruire”
(1Re 8:42, 43).
Concludendo il servizio di consacrazione Salomone esortò Israe-
le a restare fedele al vero Dio “... così tutti i popoli della terra si
accorgeranno che solo il Signore è Dio, lui e nessun altro” (1Re
8:60).
[45] Qualcuno più grande di Salomone aveva progettato il tempio nel
quale erano rivelate la sapienza e la gloria di Dio. Coloro che non ne
erano al corrente naturalmente ammiravano ed elogiavano Salomone
come architetto e costruttore, ma il re rifiutava ogni onore.
Ciò accadde anche quando la regina di Saba venne a far visita
a Salomone. Avendo sentito parlare della sua sapienza e del ma-
gnifico tempio da lui costruito, ella decise di “mettere alla prova la
sua sapienza con alcuni enimmi” e di vedere personalmente le sue
famose opere. Accompagnata da un corteo di servitori con cammelli
che portavano “profumi, oro in abbondanza e pietre preziose” ella
intraprese il lungo viaggio che l’avrebbe condotta a Gerusalemme.
“Andò da Salomone e lo interrogò su tutti i problemi che la
interessavano”.
Parlò con lui dei misteri della natura e Salomone, a sua volta,
le indicò il Dio della natura, il grande Creatore che abita nei cieli
altissimi e regna su tutto.
“Il re Salomone rispose a tutte le sue domande, non c’era niente
che non sapesse; poteva risolvere qualunque problema” (1Re 10:1-3;
2Cronache 9:1, 2).
“La regina di Saba si rese conto della saggezza di Salomone, vide
il suo palazzo.(...) Di fronte a tutto questo, per l’ammirazione restò
senza parole. Allora disse al re Salomone: ‘Era proprio vero quel
che avevo sentito dire nella mia terra su di te e sulla tua saggezza.
Io non potevo crederci, ma ora sono venuta e l’ho visto con i miei
occhi. Non mi avevano raccontato neppure metà di quel che vedo.
La tua saggezza e la tua prosperità sono molto più grandi di quel
Le conseguenze della trasgressione 49
che mi era stato riferito. Beate le tue mogli e i tuoi funzionari, che
stanno sempre qui con te e possono ascoltare i tuoi discorsi pieni di
saggezza!’” (1Re 10:4-8; 2Cronache 9:4-7).
Al termine della sua visita, la regina era stata così chiaramente
informata da Salomone sulla fonte della sua sapienza e della sua
prosperità che fu costretta ad esclamare:
“Sia benedetto il Signore, il tuo Dio, che ti ha voluto a capo
d’Israele. Il Signore ha manifestato per Israele il suo amore senza
fine quando ti ha fatto re perché tu mantenga la legge e la giustizia”
(1Re 10:9).
Il Signore desiderava che tutti i popoli provassero questa stessa
impressione. Quando “tutti i re della terra cercavano di vedere Salo-
mone per udire la sapienza che Dio gli aveva messa in cuore” (2Cro-
nache 9:23), egli inizialmente onorò Dio, presentandolo con rispetto
come il Creatore dei cieli e della terra, il Sovrano dell’universo,
dotato di sapienza infinita.
Se Salomone avesse continuato, con umiltà, a distogliere l’atten- [46]
zione degli uomini da se stesso per volgerla su colui che gli aveva
dato sapienza, ricchezze e onori, la sua storia sarebbe stata diversa!
In realtà, se da un lato il racconto biblico ricorda le sue virtù, dal-
l’altro non può fare a meno di descrivere la sua rovina. Giunto al
culmine della gloria, al colmo delle ricchezze e degli onori, Salo-
mone fu preso da una specie di vertigine, perse il suo equilibrio e
cadde. Continuamente lodato dagli uomini, non riuscì più a resistere
all’adulazione. La saggezza che aveva ricevuto per onorare l’autore
dei doni che gli erano stati accordati lo rese orgoglioso. Salomone
accettò che lo si considerasse degno di lode per l’incomparabile
splendore di quell’edificio progettato e costruito per onorare il nome
del Signore, Dio d’Israele.
Il tempio dell’Eterno era ormai noto fra le nazioni come il “tem-
pio di Salomone”. Lo strumento umano aveva attribuito a se stesso la
gloria appartenente a colui che è chiamato “Altissimo” (Ecclesiaste
5:7).
Non c’è tentazione peggiore di quella di attribuirsi la gloria
per i doni ricevuti dal cielo. Il vero cristiano offrirà a Dio il posto
migliore inserendolo in ogni esperienza della sua vita. Nessun tipo
di ambizione deve affievolire il suo amore per lui. Attribuirà tutti
gli onori al Padre celeste. Quando noi glorifichiamo fedelmente il
50 Profeti e re
fossero salvati.
Salomone, posto a capo di una nazione che doveva servire come
punto di riferimento per i popoli vicini, avrebbe dovuto impiegare
il suo grande influsso e la saggezza che Dio gli aveva conferito.
Avrebbe dovuto organizzare e dirigere un vasto movimento per
illuminare coloro che non conoscevano Dio e la verità. In questo
modo, intere nazioni avrebbero potuto accettare gli insegnamenti
divini, Israele non sarebbe stato tentato dall’idolatria dei pagani e il
Signore della gloria sarebbe stato onorato da tutti. Salomone, invece,
perse di vista questo nobile obiettivo: non seppe approfittare delle
splendide opportunità che gli venivano offerte, per trasmettere la sua
fede a coloro che percorrevano continuamente il suo territorio o si
soffermavano nelle città più importanti del suo regno.
Il desiderio di condividere la propria fede, ispirato da Dio nel
cuore di Salomone e dei veri israeliti, fu sostituito da aspirazioni
puramente venali. Le opportunità di stabilire contatti con altre nazio-
ni furono sfruttate in vista di un profitto esclusivamente personale.
Questo re ricostruì Ghezer, vicino a Ioppe, sulla strada che va dall’E-
gitto alla Siria; Bet-Oron, a ovest di Gerusalemme, città fortificata
sulla strada che conduce dal cuore della Giudea a Ghezer e alla
costa; Meghiddo, situata sulla strada delle carovane che provengono
dall’oriente. Tutte queste città erano potentemente fortificate. Svi-
luppò le attività commerciali che aveva creato grazie a uno sbocco
sul mar Rosso, tramite la costruzione di una flotta mercantile “a
Ezion-Gheber (...), sulle rive del mar Rosso, nella regione di Edom”.
Marinai esperti furono inviati da Tiro “a lavorare con quelli di Salo-
mone” per equipaggiare questi vascelli che “si spinsero fino a Ofir
dove presero e portarono a Salomone più di quattordici tonnellate
d’oro” (...) “legname pregiato e grandi quantità di pietre preziose”
(2Cronache 8:18; 1Re 9:26, 28; 1Re 10:11). [48]
Le entrate del re e di molti suoi sudditi aumentarono notevol-
mente, ma a che prezzo! A causa dell’avidità e dell’indifferenza di
coloro ai quali era stata affidata la testimonianza degli interventi di
Dio nella storia, le grandi folle che percorrevano le principali vie di
comunicazione non ebbero l’opportunità di conoscere l’Eterno.
Il comportamento di Gesù, invece, contrasta fortemente con quel-
lo di Salomone. Il Salvatore, pur disponendo di qualsiasi potere, non
se ne servì mai per i propri vantaggi. Nessuna aspirazione ai suc-
52 Profeti e re
54
Il pentimento di Salomone 55
cuore, con tutta la tua anima, con tutte le tue forze e con tutta la tua
mente e ama il prossimo tuo come te stesso” (Luca 10:27) è stata
il principio che ha caratterizzato la personalità e la vita del nostro
Salvatore e rappresenta l’unico punto di riferimento sicuro e l’unica
guida infallibile. “Egli sarà la tua sicurezza e la tua salvezza. La
sapienza, la conoscenza e il timore di Dio sono il tuo tesoro” (Isaia
33:6). Solo la Parola di Dio può garantirci questa saggezza e questa
intelligenza.
Oggi questo principio ha lo stesso valore che aveva all’epoca
del popolo d’Israele (cfr. Deuteronomio 4:6). Esso è l’unico metodo
per salvaguardare l’integrità personale, la purezza della famiglia, il
benessere della società e la stabilità di una nazione. Nella nostra
vita piena di difficoltà, di pericoli, di lotte l’unica regola infallibile
da seguire è quella che ci ha dato il Signore: “I precetti del Signore
sono giusti...” (Salmo 19:9).
Coloro che sanno riconoscere l’avvertimento che scaturisce dal-
l’apostasia di Salomone eviteranno le tentazioni che lo vinsero.
Soltanto l’ubbidienza ai comandamenti di Dio preserverà l’uomo
dall’apostasia. Il Signore ci ha indicato la via da seguire e ci ha
colmato di benedizioni, ma se non apprezziamo i suoi doni incorre-
remo nella disubbidienza e nell’apostasia. Quando coloro che hanno
ricevuto da Dio incarichi di fiducia e di responsabilità si allontanano
[54] da lui per affidarsi alla saggezza umana, le stesse capacità di cui
erano stati dotati diventano un’insidia.
Ci saranno sempre uomini che si allontaneranno da Dio. Satana
approfitterà di tutte le occasioni per farci cadere, soprattutto se non
siamo protetti dalla potenza divina le nostre barriere interiori vacil-
leranno a nostra insaputa. Dobbiamo chiederci costantemente: “Sto
andando nella giusta direzione?”. Fino a quando vivremo, dovremo
difenderci dalle nostre tendenze e dalle nostre passioni. Se non ci
affidiamo a Dio non saremo mai al sicuro. Vegliando e pregando
potremo conservarci integri.
Tutti coloro che entreranno nella città celeste passeranno per la
porta stretta cioè lotteranno disperatamente perché “nulla d’impuro
vi potrà entrare” (Apocalisse 21:27). Coloro che hanno commesso
degli errori non si lascino prendere dalla disperazione. Uomini,
onorati da Dio, possono sbagliare e sacrificare le loro virtù in nome
della passione. Tuttavia se si pentono, se abbandonano i loro peccati
Il pentimento di Salomone 59
e fece nascere negli israeliti seri dubbi sulla sincerità delle loro
motivazioni. Volendo esercitare il potere in modo insensato, il re e
i suoi consiglieri dimostrarono di essere spinti dall’orgoglio e dal
dispotismo.
Il Signore non permise a Roboamo di realizzare il suo program-
ma politico. Migliaia di sudditi appartenenti alle tribù d’Israele,
indignati dall’oppressione esercitata da Salomone, erano decisi a
ribellarsi contro la casa di Davide (cfr. 1Re 12:16). [58]
“Gli Israeliti capirono che il re non dava loro retta. Allora gli
risposero: ‘Non abbiamo niente da spartire con la famiglia di Davide,
non abbiamo nulla a che fare con questo figlio di Iesse. Gente
d’Israele, torniamo alle nostre tende. E tu discendente di Davide,
occupati del tuo regno!’. Così gli Israeliti si separarono da Roboamo”
(1Re 12:16).
La ferita aperta dal duro discorso di Roboamo risultò profonda.
Da allora le dodici tribù d’Israele furono divise: le tribù di Giuda e
di Beniamino, che formavano il regno di Giuda, rimasero sotto la
sovranità di Roboamo, mentre le dieci tribù del nord formarono un
governo indipendente noto come “regno d’Israele” con Geroboamo
come sovrano. Si adempì così la profezia dello scisma del regno:
“Tutto questo era stato predisposto dal Signore” (1Re 12:15).
Quando Roboamo vide le dieci tribù distaccarsi dal suo regno
fece il possibile per risolvere il problema. Incaricò uno degli uomini
più influenti del suo regno, Adoram, che era preposto ai tributi, di
intervenire nei confronti dei ribelli. Ma i suoi tentativi di riconcilia-
zione non ebbero successo e in quell’occasione il popolo rivelò chia-
ramente l’ostilità che nutriva per Roboamo: “Essi, però, lo uccisero a
sassate”. Resosi conto della gravità della situazione “Roboamo saltò
sul suo carro e fuggì a Gerusalemme” (1Re 12:18). Radunò tutta
la casa di Giuda e la tribù di Beniamino, centottantamila uomini,
guerrieri scelti, per combattere contro la casa d’Israele e riprendere
il potere. Ma la parola di Dio fu così rivolta a Semaia, uomo di Dio:
“Così dice il Signore: Non andate a far guerra agli Israeliti, vostri
fratelli. Ognuno se ne torni a casa sua, perché ho voluto io questa
situazione”. Gli abitanti di Giuda ubbidirono all’ordine del Signore
e rinunciarono a combattere (1Re 12:21-24).
Per tre anni Roboamo fece tesoro dell’amara esperienza vissuta
salendo sul trono e il suo regno prosperò (cfr. 2Cronache 11:5,
64 Profeti e re
Posto sul trono dalle dieci tribù d’Israele che si erano ribella-
te alla casa di Davide, Geroboamo, un tempo servo di Salomone,
avrebbe potuto realizzare opportune riforme negli affari civili e reli-
giosi. Durante il regno di Salomone, aveva manifestato intelligenza e
saggezza. Le conoscenze acquisite durante gli anni di fedele servizio
lo rendevano idoneo a regnare con saggezza. Geroboamo però non
dimostrò la sua fiducia in Dio.
Egli temeva che il re che occupava il trono di Davide, a Gerusa-
lemme, riconquistasse i suoi sudditi. Pensava che se le dieci tribù
fossero state libere di recarsi spesso nell’antica capitale della mo-
narchia giudaica, in cui i servizi religiosi continuavano a svolgersi
nel tempio, come ai tempi di Salomone, un gran numero di israeliti
avrebbero rinnovato il loro patto di fedeltà al governo di Gerusalem-
me. Incoraggiato dai suoi consiglieri, Geroboamo decise di limitare
le possibilità di ribellione contro il suo governo. Nel territorio del
suo regno, appena costituito, creò due centri di culto a Betel e a Dan.
Le dieci tribù sarebbero state invitate a recarvisi per adorare Dio,
anziché andare a Gerusalemme. Geroboamo pensò anche di colpire
l’immaginazione degli israeliti presentando loro una raffigurazione
simbolica del Dio invisibile. Così fece fare due vitelli d’oro e li fece
mettere nei centri di culto che erano stati allestiti. Volendo rappre-
sentare la divinità, Geroboamo violò il comandamento di Dio: “Non
ti fare scultura alcuna né immagine alcuna... non ti prostrare dinanzi
a tali cose e non servir loro” (Esodo 20:4, 5 Luzzi).
Siccome l’obiettivo principale di Geroboamo era quello di impe-
dire con tutte le sue forze che le dieci tribù si recassero a Gerusa-
lemme, non si rese conto della chiara inefficacia dei suoi progetti e
del pericolo a cui esponeva gli israeliti proponendo loro un idolo,
un simbolo così familiare ai loro antenati nel periodo della loro
schiavitù in Egitto. Il recente soggiorno di Geroboamo in Egitto
avrebbe dovuto insegnargli che era una follia proporre al popolo
tali raffigurazioni pagane. Adottando questa imprudente iniziativa
67
68 Profeti e re
che aveva affidato loro. Affascinato dallo sfarzo e dai riti del culto
idolatra, il popolo seguì l’esempio del re e della sua corte e si abban-
donò ai piaceri inebrianti e avvilenti di un culto sensuale. Nella sua
cieca follia scelse di rigettare Dio e il suo culto per adorare gli idoli.
La luce così generosamente diffusa era stata mutata in tenebre.
L’oro puro era stato alterato.
La gloria d’Israele era svanita! Il popolo di Dio non era mai
caduto così in basso nell’apostasia. Vi erano quattrocentocinquanta
profeti di Baal e quattrocento di Asera. Solo la potenza miracolosa
di Dio poteva preservare la nazione da una distruzione totale. Israele
si era volontariamente separato dall’Eterno; il Signore, però, con
affetto paterno continuava a occuparsi, con profondo interesse, di
coloro che erano stati trascinati nel peccato e stava per inviare uno
dei suoi profeti più potenti, la cui opera avrebbe ricondotto molti al
[70] Dio dei loro padri.
Capitolo 9: Elia di Tisbe
Il vaso della farina non si svuoterà, nella brocca non mancherà olio
fino al giorno in cui io manderò di nuovo la pioggia sulla terra” (1Re
[76] 17:12-14).
Non ci si poteva aspettare una prova di fede maggiore di questa.
Fino ad allora la vedova aveva trattato tutti gli stranieri con gentilezza
e generosità. Ora, senza tener conto delle ripercussioni di questa
scelta sulla sua vita e su quella di suo figlio, e confidando nel Dio di
Israele che avrebbe sopperito a ogni sua necessità, accettò di essere
ospitale facendo quanto Elia le chiedeva.
L’ospitalità offerta al profeta di Dio da questa donna sirofenicia
fu straordinaria e la sua fede e la sua generosità furono meraviglio-
samente ricompensate. “Ebbero abbastanza cibo per molto tempo.
Il vaso della farina e la brocca dell’olio non si svuotarono, come il
Signore aveva annunziato per mezzo di Elia” (1Re 17:15, 16; cfr.
1Re 17:17-24).
La vedova di Sarepta divise il suo pezzo di pane con Elia e in
cambio la sua vita e quella di suo figlio furono risparmiate. Dio ha
promesso una grande benedizione a tutti coloro che nei momenti
difficili offrono simpatia e assistenza a chi è particolarmente svan-
taggiato: egli non è cambiato. Oggi la sua potenza non è inferiore a
quella manifestata all’epoca di Elia. È ancora valida la promessa fat-
ta dal Salvatore: “Chi accoglie un profeta per il fatto che è profeta di
Dio, riceverà una ricompensa degna di un profeta” (Matteo 10:41).
“Non dimenticate di ospitare volentieri chi viene da voi. Ci furo-
no alcuni che, facendo così, senza saperlo ospitarono degli angeli”
(Ebrei 13:2). Queste parole non hanno perso la loro importanza con
il passare dei secoli. Il nostro Padre celeste continua a presentare ai
suoi figli delle opportunità che nascondono delle potenziali benedi-
zioni e coloro che ne approfittano proveranno grandi gioie. “... Se
dividi il tuo cibo con chi ha fame e sazi il povero, la luce del pieno
giorno ti illuminerà. Il Signore ti guiderà sempre: ti sazierà anche
in mezzo al deserto e ti restituirà le forze: Sarai rigoglioso come
un giardino ben irrigato, come una sorgente che non si prosciuga”
(Isaia 58:10, 11).
Il Cristo dice oggi ai suoi discepoli fedeli: “Chi accoglie voi
accoglie me; e chi accoglie me accoglie il Padre che mi ha mandato”
(Matteo 10:40). Ogni atto di bontà fatto in nome suo non rimarrà
senza ricompensa. Il Signore manifesterà la stessa riconoscenza nei
Severi rimproveri 85
confronti dei più umili e dei più deboli della famiglia di Dio. “Chi
darà anche solo un bicchier d’acqua fresca, a uno di questi piccoli
perché è mio discepolo, vi assicuro che riceverà la sua ricompensa”
(Matteo 10:42).
Durante gli anni della siccità e della carestia, Elia pregò con
fervore affinché gli israeliti abbandonassero gli idoli e si rivolgessero
a Dio. Il profeta attendeva pazientemente questo risveglio mentre
l’Eterno colpiva la terra. Pensando alle sofferenze e alla miseria dei
suoi compatrioti, provava un profondo dolore e avrebbe desiderato
realizzare una rapida riforma fra gli idolatri. Ma Dio stesso attuò
il suo piano: il profeta doveva soltanto perseverare nella preghiera [77]
e attendere il momento in cui sarebbe entrato coraggiosamente in
azione.
L’apostasia del tempo di Acab era il risultato di molti anni di
progressivo allontanamento da Dio. A poco a poco Israele aveva
abbandonato la via indicata dal Signore. Per generazioni aveva rifiu-
tato di seguire la via del bene, e alla fine quasi tutto il popolo aveva
ceduto all’influsso del male.
Circa un secolo era trascorso da quando, sotto il regno di Davide,
Israele si era unito al re per innalzare inni di lode all’Altissimo rico-
noscendo la sua totale dipendenza da colui che, giorno dopo giorno,
lo colmava delle sue benedizioni. Ecco le parole di adorazione che
erano salite verso il cielo: “...Ti prendi cura della terra, la rendi
fertile e molto ricca; i tuoi canali sono ricolmi d’acqua, assicuri agli
uomini il frumento...” (Salmo 65:10; cfr. anche 11-14).
Israele, allora, aveva riconosciuto Dio come colui che aveva
“gettato le fondamenta della terra” e aveva espresso la sua fede
con questo canto: “Hai fissato la terra su solide basi... L’oceano la
ricopriva con il suo manto, le acque superavano le cime dei monti.
Sotto la tua minaccia fuggirono, scapparono al fragore del tuo tuono.
Scalarono i monti, discesero valli fino al luogo che tu hai fissato.
Hai segnato per loro un confine da non superare perché non tornino
a coprire la terra” (anche 104:59; cfr. Deuteronomio 28:12; Salmo
104:10-14, 24-28).
Israele aveva avuto molte occasioni in cui rallegrarsi. La terra
nella quale il Signore lo aveva condotto era una terra dove scorre-
vano latte e miele. Durante le peregrinazioni nel deserto Dio aveva
promesso agli israeliti un paese dove non avrebbero mai sofferto la
86 Profeti e re
siccità.
“In questa terra che state per possedere, non sarà come nell’E-
gitto, da dove siete usciti: là quando seminavate i campi, dovevate
irrigarli con fatica, come si fa per un orto; ma nella terra in cui
andate ci sono monti e valli e il suolo è irrigato dalla pioggia. Il
Signore, vostro Dio, si prende cura di questa terra e la rende sempre
rigogliosa dall’inizio alla fine dell’anno” (Deuteronomio 11:10-12).
La promessa di abbondanza e fertilità era stata fatta a condizione
che essi ubbidissero. “Se ubbidirete veramente agli ordini che oggi
vi comunico: se amerete il Signore, vostro Dio, e lo servirete con
tutto il cuore e con tutta l’anima, egli farà scendere la pioggia sui
vostri campi nella stagione giusta, in autunno e in primavera, e voi
ne ricaverete frumento, vino e olio. Il Signore farà crescere nei
pascoli l’erba per il vostro bestiame. Avrete sempre da mangiare e
da saziarvi” (Deuteronomio 11:13-15).
Dio aveva dato al popolo questo avvertimento: “State attenti e
non lasciatevi ingannare: non allontanatevi dal Signore, non servite
dèi stranieri e non adorateli. Altrimenti il Signore andrà in collera
[78] contro di voi: chiuderà il cielo e non vi sarà più pioggia. Allora
la terra non darà più raccolti, e voi scomparirete presto dalla ter-
ra fertile che il Signore sta per assegnarvi” (Deuteronomio 11:16,
17; cfr. anche Deuteronomio 28:15, 23, 24). Questi avvertimenti
erano molto chiari eppure, con il passare dei secoli e con l’avvicen-
darsi delle generazioni, i consigli divini per il benessere spirituale
del popolo vennero dimenticati e gli influssi deleteri dell’apostasia
minacciarono di far crollare le barriere protettive della grazia divina.
Ecco perché Dio colpiva il suo popolo con i più severi giudizi.
Per tre anni il messaggero che annunciava la sventura fu cercato in
ogni città e nazione. In seguito alla richiesta di Acab molti governanti
avevano data la loro parola d’onore affermando che il profeta non si
trovava sul loro territorio. Comunque la ricerca proseguì: Gezabele
e i profeti di Baal odiavano Elia e non trascuravano nessun tentativo
per poterlo catturare. Nel frattempo la siccità continuava.
“Qualche tempo dopo” il Signore si rivolse a Elia: “Presentati al
re Acab perché sto per far cadere la pioggia sulla terra”. Ubbidendo
all’ordine “Elia andò dal re Acab” (1Re 18:1, 2). Mentre il profeta
si metteva in viaggio diretto a Samaria, Acab propose ad Abdia,
il maggiordomo della sua casa, di cercare accuratamente vicino
Severi rimproveri 87
91
92 Profeti e re
aiutarli.
Trascorre tutta la mattinata, giunge mezzogiorno, ma non c’è
nessuna certezza che Baal ascolti le grida dei suoi seguaci delusi.
Non c’è nessuna voce, nessuna risposta alle loro frenetiche preghiere.
Il sacrificio non viene consumato.
Mentre continuano i loro strani riti, i sacerdoti più astuti cercano
di trovare un espediente per riuscire ad accendere il fuoco dell’altare
e far credere al popolo che il fuoco sia stato inviato da Baal. Ma
Elia vigila su ogni loro movimento e i sacerdoti, sperando contro
ogni speranza, di trovare una qualsiasi opportunità per ingannarlo,
continuano a celebrare le loro cerimonie senza senso.
“Verso mezzogiorno Elia cominciò a prenderli in giro: ‘Gridate
più forte, perché Baal è un dio! È occupato! Oppure ha dovuto
assentarsi un momento! Si è messo in viaggio! Dorme! Svegliatelo!’.
I profeti di Baal si misero a gridare più forte. Secondo il loro rituale
si fecero dei tagli sul corpo con spade e lance, fino a far uscire il
[85] sangue. Nel pomeriggio parlarono in estasi fino all’ora del sacrificio,
ma non udirono nessuna voce e non ebbero alcun cenno di risposta”
(1Re 18:27-29).
Satana sarebbe venuto, molto volentieri, in aiuto di coloro che
stava ingannando e che si dedicavano al suo servizio. Volentieri
avrebbe mandato un fulmine per bruciare il loro sacrificio! Ma Dio
aveva posto un limite al suo potere, e quindi i migliori espedienti
sarebbero risultati inutili anche per provocare una semplice scintilla
sull’altare di Baal.
Alla fine, con le voci rauche per le grida continue, gli abiti mac-
chiati di sangue per le ferite che si erano provocati, i sacerdoti
caddero in preda alla disperazione. Con accresciuta frenesia, a que-
sto punto aggiunsero alle loro invocazioni terribili maledizioni per
il loro dio sole, mentre Elia continuava a sorvegliarli attentamente
perché sapeva che, se con qualche espediente i sacerdoti fossero
riusciti ad accendere il fuoco sull’altare, egli sarebbe stato fatto
letteralmente a pezzi.
Si avvicina la sera. I profeti di Baal sono esausti, spossati, con-
fusi. Uno suggerisce una cosa, l’altro ne suggerisce un’altra, fino
a quando alla fine rinunciano a proseguire. Le loro urla e le loro
imprecazioni non echeggiano più sul monte Carmelo. Disperati,
desistono dalla lotta.
Il monte Carmelo 95
Con la morte dei profeti di Baal era iniziata una nuova fase per
attuare una profonda riforma spirituale fra le dieci tribù del regno
d’Israele. Elia aveva denunciato l’apostasia del popolo e lo aveva
invitato a umiliarsi e a ritornare al vero Dio. I giudizi del cielo erano
stati eseguiti, gli israeliti avevano confessato i loro peccati e ricono-
sciuto il Dio dei loro padri come un Dio vivente. Ora la maledizione
sarebbe stata revocata e rinnovate le benedizioni materiali. La terra
sarebbe stata finalmente rinfrescata dalla pioggia.
Elia disse ad Acab: “Ora va’ pure a mangiare e a bere, perché si
sente già il rumore della pioggia” (1Re 18:41). Poi il profeta salì in
cima al monte a pregare.
Nessun segno premonitore di un temporale imminente aveva
indotto Elia ad avvertire Acab di prepararsi per la pioggia. Il profeta
non aveva visto nessuna nube in cielo, non aveva udito nessun tuono.
Egli pronunciò semplicemente le parole che lo Spirito del Signore
gli suggeriva in risposta alla sua grande fede. Per tutto il giorno
aveva compiuto con fermezza incrollabile la volontà divina e mani-
festato la sua implicita fiducia nelle profezie delle Scritture. Dopo
aver fatto tutto ciò che poteva, sapeva che Dio avrebbe accordato
ricche benedizioni. Lo stesso Dio che aveva mandato la siccità aveva
promesso pioggia abbondante a tutti coloro che si sarebbero compor-
tati correttamente. Elia attendeva quindi che piovesse. Manifestando
la sua umiltà, con “la testa fra le ginocchia” intercedeva ora presso
Dio in favore di un Israele pentito.
Elia mandò ripetutamente il suo servitore in un punto in cui
si scorgeva il Mediterraneo, per vedere se vi fosse qualche segno
visibile indicante che Dio aveva udito la sua preghiera. Ma ogni
volta il servitore tornava dicendo: “Non c’è niente”. Il profeta non
diventò impaziente né perse la sua fede e continuò a pregare con
fervore. Per sei volte il servitore ritornò affermando che non vi era
nessun segno di pioggia nel cielo limpido.
98
Da Izreel a Oreb 99
che non hanno piegato le ginocchia davanti al dio Baal e non hanno
baciato la sua statua” (1Re 19:18).
Dall’esperienza di Elia in quei giorni di scoraggiamento e di
apparente sconfitta possono essere tratte molte lezioni. L’apostasia
che attualmente regna ovunque è simile a quella che si era diffusa
in Israele al tempo del profeta. Folle intere seguono ancora oggi
Baal esaltando l’umano rispetto al divino, incensando le celebrità, [96]
adorando Mammona, il dio della ricchezza, e ponendo la scienza al
di sopra delle verità della rivelazione divina. Il dubbio e l’incredulità
esercitano il loro influsso negativo sulla mente e sul cuore e le
teorie umane sostituiscono la verità di Dio. Viene pubblicamente
insegnato che noi, oggi, siamo giunti a un’epoca in cui la ragione
deve prevalere sugli insegnamenti della Parola di Dio. La legge di
Dio, divina regola di giustizia, viene considerata inutile. Il nemico
della verità esercita il suo potere per indurre gli uomini a porre le
istituzioni terrene al posto di Dio e a dimenticare tutto ciò che era
stato stabilito per la felicità e la salvezza dell’umanità.
Comunque, questa apostasia, per quanto diffusa, non è universale.
Non tutti gli uomini vivono senza legge e amano la trasgressione.
Non tutti si sono schierati dalla parte del nemico. Dio ha molte
migliaia di figli che non hanno piegato le loro ginocchia davanti a
Baal e che desiderano comprendere meglio le verità riguardanti il
Cristo e la sua legge. Ve ne sono anche molti che hanno adorato Baal
per ignoranza e nei confronti dei quali sta operando lo Spirito di
Dio. Essi hanno bisogno dell’aiuto di coloro che hanno conosciuto
Dio e la potenza della sua Parola. Oggi ogni figlio di Dio dovrebbe
impegnarsi attivamente per aiutare il prossimo.
Quando coloro che conoscono le verità bibliche le trasmetteran-
no a uomini e donne che sono disposti ad accettare il messaggio
divino, godranno dell’assistenza degli angeli di Dio. E con la pre-
senza degli angeli si può avanzare senza timori. Grazie a questo
impegno molti abbandoneranno l’idolatria e saranno guidati all’ado-
razione del Dio vivente. Molti cesseranno di esaltare le istituzioni
umane e si schiereranno con decisione per Dio e per la sua santa
legge.
Siccome questi risultati dipendono in gran parte dall’incessante
attività dei figli di Dio fedeli e sinceri, Satana fa l’impossibile per
indurli a disubbidire, affinché i piani di Dio non si realizzino. Ad
108 Profeti e re
d’Israele e si era reso conto del modo in cui il Signore giudica coloro
che si rifiutano di sottomettersi alle esigenze della sua legge. Ma
agiva come se queste solenni verità non fossero che favole senza im-
portanza. Invece di chiedere perdono a Dio, seguiva Baal che aveva
consultato durante la sua malattia, manifestando una delle peggiori
forme di apostasia. Ribellandosi, non provando nessun desiderio di
pentirsi, Acazia morì “Come il Signore aveva annunziato per mezzo
di Elia...” (2Re 1:17).
Il racconto del peccato di Acazia e della sua punizione racchiude
un avvertimento che nessuno può impunemente trascurare. Oggi
non si adorano gli dei pagani, ma sono migliaia coloro che rendono
omaggio a Satana come lo fece il re d’Israele. L’idolatria è diffusa
nella nostra società anche se, sotto influsso della scienza e della
cultura, ha assunto forme più raffinate di quelle dei tempi in cui
Acazia consultò il dio di Accaron. Ogni giorno abbiamo la prova che
la fiducia nella parola profetica diminuisce mentre la superstizione e
[116] la magia sataniche conquistano lo spirito delle folle.
Oggi, i misteri del culto pagano sono sostituiti dalle associazioni
e dalle riunioni segrete, dai misteri e dai prodigi dei medium. Le ri-
velazioni di questi medium sono accolte con entusiasmo da migliaia
di persone che rifiutano di accettare il messaggio della Parola di Dio.
I seguaci dello spiritismo possono deridere i maghi dell’antichità,
ma il grande seduttore ride trionfante quando essi cedono ai suoi
inganni presentati sotto una forma diversa.
Molti rabbrividiscono di orrore al pensiero di consultare dei
medium mentre sono affascinati da altre forme più gradevoli di
spiritismo. Si lasciano sedurre dagli insegnamenti della Scienza
Cristiana, dal misticismo della Teosofia e da altre religioni orientali.
I discepoli di quasi tutte le forme di spiritismo pretendono di
avere il potere di guarire. Essi attribuiscono questo potere all’elet-
tricità, al magnetismo, ai cosiddetti “rimedi simpatici” oppure alle
forze latenti nella mente dell’uomo. Oggi sono molti coloro che
ricorrono a questi guaritori invece di confidare nel Dio vivente o
nelle capacità di medici qualificati. Una mamma al capezzale del
figlio ammalato esclama: “Non posso fare di più! Non c’è nessun
medico che possa guarire il mio bambino?”. Le vengono riferite
guarigioni meravigliose operate da qualche guaritore o mago ed
ella gli affida il suo bimbo, mettendolo così, in realtà, nelle mani di
La rovina della casa di Acab 131
Satana, come se lui stesso fosse al suo fianco. In molti casi, la futura
vita del bambino viene posta sotto il controllo di un potere satanico
che sembra non sia più possibile eliminare.
Dio aveva delle valide motivazioni per essere scontento della
malvagità di Acazia. Cosa non aveva fatto per conquistare il popolo
di Israele e indurlo a confidare in lui! Per anni aveva dimostrato la sua
bontà e il suo amore incomparabili. Fin dalle origini aveva affermato
che la sua gioia “... era vivere con gli uomini” (Proverbi 8:31). Aveva
aiutato tutti coloro che lo avevano cercato sinceramente. Nonostante
questo il re d’Israele si era allontanato dall’Eterno per cercare un
appoggio dal peggiore nemico del suo popolo. Aveva dichiarato ai
pagani che aveva più fiducia negli idoli che nel Dio del cielo. Oggi gli
uomini disonorano il Signore nello stesso modo, allontanandosi dalla
fonte della saggezza e della potenza per chiedere aiuto e consiglio
alle forze delle tenebre. Se la collera divina si era accesa per l’atto
di apostasia di Acazia a maggior ragione si accenderà nei nostri
confronti che abbiamo una conoscenza maggiore rispetto a questo
re e seguiamo comunque una via identica alla sua.
Quelli che si abbandonano alla stregoneria di Satana possono
vantarsi di averne ricavato un gran bene, ma questo prova forse che
il loro comportamento è quello giusto? Cosa importa se la loro vita
viene prolungata? O se si assicurano un cospicuo guadagno? Alla
fine, quale profitto ne trarranno ignorando o disdegnando la volontà [117]
di Dio? Tutto questo apparente vantaggio risulterà in realtà una
perdita irreparabile. Non possiamo eliminare impunemente l’unica
barriera che il Signore ha innalzato per proteggere il suo popolo
dagli attacchi di Satana.
Acazia, non avendo figli, fu sostituito sul trono dal fratello Gio-
ram che regnò per dodici anni sulle dieci tribù. Sua madre Gezabele,
che era ancora in vita, continuò a esercitare il suo malefico influsso
sugli affari della nazione. Erano ancora in molti a praticare l’ido-
latria. Gioram stesso “... andò contro la volontà del Signore, ma
non come suo padre e sua madre: se non altro, eliminò la stele fatta
erigere da suo padre in onore del dio Baal. Tuttavia rimase legato
alla colpa del re Geroboamo, figlio di Nebat, che aveva fatto peccare
Israele: non se ne staccò mai” (2Re 3:2, 3).
Fu durante il regno di Gioram che Giosafat morì e che suo
figlio, che si chiamava anch’egli Gioram, ascese al trono di Giuda.
132 Profeti e re
sapeva che la sua ascensione al cielo era stata annunciata agli allievi
delle scuole dei profeti e in particolare a Eliseo. Profondamente rat-
tristato il servitore dell’uomo di Dio non lo lasciava mai solo. Ogni
volta che Elia gli rivolgeva l’invito ad andarsene rispondeva: “... Giu-
ro davanti al Signore e davanti a te che non ti abbandonerò!...” (2Re
2:2). “... Elia ed Eliseo si fermarono in riva al Giordano... Elia prese
il suo mantello, lo arrotolò e lo sbatté contro le acque del fiume, e le
acque si divisero in due; così Elia ed Eliseo poterono raggiungere
l’altra riva all’asciutto. Mentre attraversavano Elia chiese ad Eliseo:
“Dimmi che cosa posso fare per te prima che il Signore mi porti
via”...” (2Re 2:7-9). Eliseo non chiese onori, terreni o una posizione
elevata fra i grandi di questo mondo. Quello che desiderava era una
quantità ancora più abbondante dello Spirito che Dio aveva riversato
così copiosamente sul profeta che stava per lasciarlo. Egli sapeva
che solo lo Spirito dato a Elia poteva permettergli di assumere il
ruolo affidatogli in Israele. Per cui chiese: “...Vorrei essere l’erede
principale del tuo spirito di profeta...” (2Re 2:9). In risposta a questa
richiesta Elia disse: “Non è poco!... Avrai quel che chiedi se riuscirai
a vedermi mentre verrò portato via da te; altrimenti no” (2Re 2:10).
Mentre continuavano a camminare e parlare, un carro di fuoco con
cavalli di fuoco li separò l’uno dall’altro ed Elia salì in cielo in un
turbine di vento.
Elia rappresenta i giusti ancora viventi sulla terra al secondo
avvento di Cristo, che saranno “... trasformati in un istante, in un
batter d’occhio, quando si sentirà l’ultimo suono di tromba” (1Co-
rinzi 15:51, 52) senza conoscere la morte. In quanto rappresentante
di coloro che saranno così traslati, a Elia, verso la fine del ministero
terreno di Cristo, fu permesso di stare con Mosè vicino al Salvatore
sul monte della trasfigurazione. Nella persona di questi due uomini
glorificati, i discepoli videro simbolicamente una rappresentazione
del popolo dei redenti. Essi videro Gesù avvolto dalla luce del cielo
e “... dalla nube si fece sentire una voce” (Luca 9:35) che lo ricono-
sceva come Figlio di Dio. Essi considerarono Mosè rappresentante
di coloro che risusciteranno al tempo del secondo avvento ed Elia di
coloro che alla fine della storia del mondo saranno mutati da mortali
a immortali e accolti in cielo senza vedere la morte. [126]
Nel deserto, in preda alla solitudine e allo scoraggiamento Elia
non voleva più vivere, desiderava morire. Ma il Signore nella sua
142 Profeti e re
Ai tempi dei patriarchi, la valle del Giordano “... era una valle
tutta irrigata... come il giardino del Signore”. Fu in questa bella
pianura che Lot scelse di stabilire la sua residenza quando “... si
spinse fino a Sodoma” (Genesi 13:10, 12).
Quando le città della pianura furono distrutte, la regione circo-
stante diventò un luogo desolato e da allora fece parte del deserto di
Giuda.
Però una regione di quella bella valle rimase, con le sue sorgenti
e i suoi corsi d’acqua, a rallegrare il cuore dell’uomo. È in questa
pianura ricca di campi di cereali, palme, frutteti che si accamparono
gli eserciti di Israele dopo aver attraversato il Giordano. È là che per
la prima volta, gli israeliti mangiarono i frutti della terra promessa.
Davanti a loro si innalzavano le mura di Gerico, fortezza pagana,
centro del culto di Asera, che esprimeva nelle forme più abbiette
e degradanti l’idolatria cananea. Le mura di questa città furono
distrutte e gli abitanti uccisi. In quel momento davanti a tutto Israele
venne formulata la solenne dichiarazione: “Il Signore maledica chi
vorrà far risorgere Gerico dalle sue rovine! La posa delle fondamenta
gli costerà la vita del primogenito, la costruzione delle porte quella
del figlio più giovane” (Giosuè 6:26).
Cinque secoli dopo questo luogo era ancora desolato, maledetto
da Dio. Anche i corsi d’acqua che avevano le loro sorgenti in questa
parte della pianura erano stati colpiti da questa maledizione. Ma
all’epoca dell’apostasia di Acab, quando fu ripristinato il culto di
Asera su iniziativa di Gezabele, Gerico, antico centro di questo culto,
fu ricostruita nonostante il terribile prezzo che dovettero pagare i
costruttori. Il racconto sacro ci dice: “In quel tempo un certo Chiel,
di Betel, ricostruì la città di Gerico. Si realizzò la minaccia che il
Signore aveva pronunziato per mezzo di Giosuè, figlio di Nun: quan-
do gettò le fondamenta della città, Chiel perse il suo primogenito
Abiram e, quando costruì le porte, perse il suo ultimogenito Segub”
(1Re 16:34).
143
144 Profeti e re
portò di sopra, lo distese sul letto del profeta Eliseo e uscì chiudendo
la porta” (2Re 4:20, 21).
Angosciata la Sunamita decise di andare da Eliseo per cercare
aiuto. Il profeta era sul monte Carmelo. La donna, accompagnata dal
suo servo, si mise immediatamente in cammino. “... Quando Eliseo
la vide da lontano, disse al suo servo Giezi: “Ma quella è la donna
di Sunem! Corrile incontro e chiedile se va tutto bene a lei, a suo
marito e a suo figlio”” (2Re 4:25, 26). Il servo fece come gli era stato [133]
detto ma la donna non disse nulla fino a quando non si trovò davanti
a Eliseo. Udito ciò che era accaduto alla donna, il profeta disse a
Giezi: “Preparati a partire. Prendi il mio bastone e va a Sunem. Per
la strada non fermarti a salutare nessuno. Se qualcuno ti saluta, non
rispondere. Quando arrivi, posa il mio bastone sul volto del ragazzo”
(2Re 4:29).
La madre, però, non fu contenta fino a quando lo stesso Eliseo
non andò con lei. Disse: “Giuro davanti al Signore e davanti a te:
non me ne vado di qui se non vieni anche tu” (2Re 4:30). Eliseo
si levò e la accompagnò. Or Giezi che li aveva preceduti, pose il
bastone sul viso del fanciullo, ma non vi fu né voce né segno alcuno
di vita. Andò quindi incontro a Eliseo e gli riferì la cosa dicendo: “Il
ragazzo non si è svegliato!””.
Giunti a casa, Eliseo si recò nella camera dove giaceva il bambino
morto, “... si chiuse dentro con lui e si mise a pregare il Signore. Poi
si stese sul ragazzo, con la bocca sulla sua bocca, gli occhi di fronte
ai suoi occhi e le mani contro le sue mani. Rimase sdraiato su di lui
finché il suo corpo non si scaldò. Poi si alzò e si mise a camminare
su e giù per la stanza. Infine tornò a stendersi sul ragazzo. Dopo un
po’ il ragazzo starnutì sette volte e alla fine aprì gli occhi. Eliseo
chiamò Giezi e gli ordinò di far venire la donna. “Ecco tuo figlio,
prendilo”, le disse. La donna si gettò ai piedi del profeta e s’inchinò
fino a terra. Poi prese suo figlio e uscì” (2Re 4:33-37).
Così fu ricompensata la fede di questa donna. Cristo, il grande
datore della vita, aveva risuscitato il suo bambino. Nello stesso modo
saranno ricompensati i suoi fedeli quando alla sua venuta “la morte
perderà il suo dardo e la tomba la sua vittoria”. Allora restituirà ai
suoi servitori i figli che avevano perso.
Il profeta Geremia ha scritto queste parole consolanti: “... Ma ora
basta con i lamenti e il pianto, asciuga le lacrime dagli occhi perché
150 Profeti e re
qui un locale adatto a riunirci”” (2Re 6:1, 2). Eliseo si recò con il
gruppo dei profeti fino al Giordano; diede loro i consigli necessari
e compì anche un miracolo per facilitare loro il compito (cfr. 2Re
6:5-7).
Il suo ministero era così efficace e il suo influsso così esteso
che mentre Eliseo giaceva nel letto in attesa della morte, perfino il
giovane re Ioas, un idolatra con poco rispetto per Dio, riconobbe
nel profeta un padre per Israele e ammise che la sua presenza in
mezzo a loro era stata più preziosa in tempo di guerra di un esercito
di cavalli e di carri. Il racconto biblico afferma: “Quando Eliseo fu
colpito dalla malattia, che poi lo portò alla morte, il re loas andò a
trovarlo. Scoppiò a piangere ed esclamò: - Padre mio, padre mio,
difesa e forza d’Israele!” (2Re 13:14).
Per tanti esseri umani turbati, bisognosi di aiuto, il profeta era sta-
to un padre saggio e pieno di simpatia. Anche in questa circostanza
non si allontanò dal giovane che stava davanti a lui, pur così indegno
nella posizione di responsabilità che occupava e così bisognoso di
consigli.
Dio, nella sua provvidenza, dava al re una possibilità di riscattarsi [145]
degli insuccessi passati e di migliorare la situazione del suo regno.
Il nemico siriano, che occupava il territorio a est del Giordano,
doveva essere respinto. Ancora una volta la potenza di Dio si sarebbe
manifestata in favore di un Israele apostata.
Il profeta morente disse al re: “Procurati un arco e alcune frecce”.
Ioas ubbidì.
Eliseo gli disse: “”Impugna l’arco!” e quegli impugnò l’arco.
Eliseo posò le sue mani sulle mani del re e poi gli disse: “Apri
la finestra che guarda verso occidente cioè verso le città al di là
del Giordano cadute in mano ai siriani”. Ioas l’aprì e Eliseo disse:
“Adesso tira!” Mentre la freccia partiva, il profeta fu ispirato a dire:
“Questa freccia è il segno della vittoria che il Signore ti darà sui
Siriani. Ad Afek, li distruggerai completamente”. Quindi il profeta
mise alla prova la fede del re. Gli disse: “Prendi le frecce!”. Ioas
le prese ed Eliseo disse al re: “Colpisci il terreno”. Ioas colpì il
suolo tre volte poi si fermò. Allora l’uomo di Dio s’infuriò: “Se tu
avessi dato almeno cinque o sei colpi, saresti riuscito a sconfiggere
completamente i siriani. Invece, così li batterai soltanto tre volte””
(2Re 13:15-19).
162 Profeti e re
una nave diretta verso quella città. Egli pagò il prezzo del viaggio e
[148] s’imbarcò con i marinai” (Giona 1:3).
La missione affidata a Giona implicava una grande responsabili-
tà; ma colui che gliela aveva affidata era in grado di sostenerlo e di
aiutarlo ad adempierla fedelmente. Se avesse ubbidito senza esitare
avrebbe evitato molte difficoltà e ricevuto abbondanti benedizio-
ni. Comunque, nel momento in cui la disperazione si impadronì di
Giona, il Signore non l’abbandonò. Superò una serie di dure prove
che furono comunque seguite da straordinarie benedizioni. La sua
fiducia in Dio e nella sua capacità di salvare l’uomo ne era uscita
rafforzata.
Se, dopo la chiamata di Dio, Giona si fosse fermato a riflettere
con calma, si sarebbe reso conto quanto fosse inutile volersi sottrarre
alla sua missione. Comunque non gli fu consentito di compiere
indisturbato la sua fuga. “Ma il Signore mandò sul mare un forte
vento che scatenò una grande tempesta...” (Giona 1:4).
Mentre i marinai invocavano aiuto dai loro dei, il capitano della
nave, in preda alla disperazione, andò a cercare Giona e gli disse:
“Come? Tu dormi? Alzati! Prega il tuo Dio! Forse avrà pietà di noi
e non moriremo” (Giona 1:5).
Ma che valore poteva avere la preghiera di un uomo che si era
allontato dalla via del dovere? I marinai, impressionati all’idea che
la tempesta fosse dovuta all’ira dei loro dei, proposero come ultima
risorsa di tirare a sorte “... per sapere chi di noi è la causa di questa
disgrazia”. Tirarono a sorte e la sorte cadde su Giona. Allora gli
dissero:“... “Dunque sei tu la causa di questa disgrazia? Che cosa
fai qui? Da dove vieni? Qual è il tuo paese? Qual è il tuo popolo?”
“Io sono Ebreo - rispose Giona - e credo nel Signore, Dio del cie-
lo, che ha fatto la terra e il mare”... Gli uomini si spaventarono e
gli dissero: “Hai commesso un’azione terribile!””, poiché quegli
uomini sapevano che fuggiva da Dio perché lui stesso glielo aveva
detto. E gli dissero: “Che cosa dobbiamo fare di te perché il mare si
calmi e noi possiamo salvarci?”, poiché il mare si faceva sempre più
tempestoso. Rispose: “Gettatemi in acqua, così il mare si calmerà
e vi salverete. So che questa tempesta vi travolge per causa mia. I
marinai invece, remando con tutte le loro forze, tentarono di portare
la nave a una spiaggia, ma non ci riuscirono perché la tempesta infu-
riava sempre di più. Allora si rivolsero al Signore: “Ti preghiamo,
Ninive, la grande città 165
posso più! Il Signore allora gli disse: Ti inquieti tanto per una pianta
che tu non hai curato né hai fatto crescere. E per di più è durata solo
una giorno e una notte. E io non dovrei preoccuparmi di Ninive, la
grande città! Dopo tutto in essa vivono più di centoventimila persone
che non sanno quello che è bene per loro, e molti animali” (Giona
4:9-11).
Confuso, umiliato, incapace di comprendere l’intenzione di Dio
nel risparmiare Ninive, Giona aveva comunque compiuto la sua mis-
sione avvertendo quella grande città. Nonostante l’evento predetto
non si fosse verificato, il messaggio proveniva da Dio e raggiunse
comunque lo scopo: la gloria della sua grazia fu rivelata ai pagani.
Coloro che erano vissuti a lungo “... incatenati in un’orrida prigione
giacevano nel buio più profondo... Allora nell’angoscia gridarono al
Signore ed egli li salvò da ogni pericolo, li fece uscire dal buio più
profondo, spezzò le loro catene... Con la sua parola li fece guarire e
li strappò dalla morte” (Salmo 107:10, 13, 14, 20).
Durante il suo ministero sulla terra, Cristo alluse alle conseguen-
ze positive che si erano verificate dopo la predicazione di Giona a
Ninive e paragonò gli abitanti di quella città pagana con il cosiddetto
popolo di Dio del suo tempo. Dichiarò: “Nel giorno del giudizio gli
abitanti di Ninive si alzeranno a condannare questa gente, perché
essi cambiarono vita quando ascoltarono la predicazione di Giona.
Eppure, di fronte a voi c’è uno che è più grande di Giona!” (Matteo [151]
12:41).
Quando Cristo venne sulla terra gli uomini erano assorbiti dagli
affari e dalle rivalità commerciali; pensavano solo ai propri interessi.
Allora, al di sopra di tutta questa confusione, la sua voce, simile alla
tromba di Dio, proclamò: “Se un uomo riesce a guadagnare anche il
mondo intero, ma perde la vita, che vantaggio ne ricava? C’è forse
qualcosa che un uomo possa dare per riavere in cambio la propria
vita?” (Marco 8:36, 37).
Come la predicazione di Giona fu un segno per i niniviti, così
la predicazione di Cristo fu un segno per la sua generazione. Ma
queste parole furono accolte in modo molto diverso! Nonostante
l’indifferenza e il disprezzo, il Salvatore proseguì la sua opera e
portò a termine la sua missione.
Questo è un insegnamento per i messaggeri di Dio del nostro
tempo. Gli abitanti delle grandi città hanno tanto bisogno di cono-
168 Profeti e re
scere il messaggio del Vangelo così come è successo per gli antichi
niniviti. Gli ambasciatori di Cristo devono indicare agli uomini
quella realtà meravigliosa che è stata completamente persa di vista,
quella città celeste”... di cui Dio è l’architetto e il costruttore”. Il
credente può contemplare con gli occhi della fede questa casa celeste
che risplende della gloria del Dio vivente. Gesù Cristo, tramite i suoi
discepoli, invita tutti gli uomini a impegnarsi a perseguire un’eredità
eterna. Li esorta ad accumulare un tesoro in cielo.
L’aumento costante e ostinato della malvagità attirerà rapida-
mente e inevitabilmente un castigo quasi universale sugli abitanti
delle città. La malvagità che regna supera ciò che la penna più esper-
ta è in grado di descrivere. Ogni giorno che passa porta notizie di
conflitti, di corruzione, di frodi; ogni giorno è possibile ascoltare il
racconto straziante di violenze e di illegalità, di indifferenza per la
sofferenza umana e di continui attentati. Ogni giorno è testimone di
nuovi casi di pazzia, di omicidi, di suicidi.
Satana si è impegnato nel corso della storia a fare il possibile
perché l’uomo non venisse a conoscenza del piano della salvezza del
Creatore. Si è impegnato a far perdere loro di vista i grandi princìpi
della legge di Dio, princìpi di giustizia, di misericordia e d’amore.
Gli uomini si vantano di meravigliosi progressi scientifici, ma Dio
vede la terra invasa dalla malvagità e dalla violenza. Gli uomini
pretendono che la legge divina sia stata abrogata, che la Bibbia non
sia autentica. Ne risulta un’enorme recrudescenza del male: non si
era più visto nulla di simile dai giorni di Noè e dell’apostasia di
Israele. La nobiltà d’animo, la bontà, la pietà hanno lasciato il posto
al desiderio di tutto ciò che è proibito. La triste lista dei crimini
[152] commessi per amore del denaro è sufficiente a farci rabbrividire
d’orrore.
Il nostro Dio è misericordioso. I trasgressori della sua legge
vengono trattati con pazienza e tenera compassione. Però ai nostri
giorni, quando uomini e donne hanno tante occasioni per conoscere
la legge divina rivelata nelle Sacre Scritture, il Signore dell’universo
non può considerare favorevolmente le città corrotte in cui regnano
la violenza e la criminalità. La sua pazienza nei confronti di coloro
che si ostinano a disubbidire sta esaurendosi rapidamente.
Ci si deve sorprendere per un improvviso e inatteso mutamento
nel comportamento dell’Essere supremo nei confronti degli abitanti
Ninive, la grande città 169
fine quasi tutti gli abitanti del paese si lasciarono coinvolgere nelle
forme di adorazione della natura. Dimenticando il loro Creatore, gli
israeliti piombarono nella corruzione.
I profeti non smisero di schierarsi contro questi peccati e di
esortare il popolo al bene (cfr. Osea 10:12; Osea 12:7; Osea 14:1, 2).
Ai trasgressori furono date molte opportunità di ravvedersi. Nei
momenti più critici dell’apostasia il messaggio di Dio parlò di perdo-
no e, di speranza: “Io voglio distruggerti, popolo d’Israele! Nessuno
potrà venirti in aiuto. Dov’è ora il tuo re per salvarti nelle tue città?”
(Osea 13:9, 10). Il profeta esortò dicendo: “Venite, torniamo al Si-
gnore. Egli ci ha feriti e ci curerà! Egli ci ha colpiti e ci guarirà! In [156]
due o tre giorni ci ridarà la vita e la forza, e noi vivremo davanti a
lui. Sforziamoci di conoscere il Signore. La sua venuta è certa come
l’aurora, come la pioggia di primavera che bagna la terra” (Osea
6:1-3).
A tutti coloro che avevano perso di vista il piano divino per
la liberazione dei peccatori caduti in potere di Satana, il Signore
offriva restaurazione e pace. Egli dichiarò: “Farò tornare da me il
mio popolo, lo amerò con tutto il cuore. Ho allontanato da lui la mia
ira. Sarò per Israele come la rugiada. Egli fiorirà come un giglio e le
sue radici saranno salde come quelle degli alberi del monte Libano.
I suoi germogli si stenderanno e saranno belli come quelli dell’ulivo.
La loro fragranza sarà come quella dei cedri del Libano. Tornerà
a vivere sotto la mia protezione. Coltiverà il grano, fiorirà come la
vigna e sarà famoso come il vino del Libano. Il popolo d’Israele non
avrà più nulla a che fare con gli idoli; risponderò alle sue preghiere
e avrò cura di lui. Sarò come un cipresso sempre verde. Sono io
che gli concedo raccolti abbondanti. Chi è saggio capisca queste
cose, chi è intelligente afferri il loro significato. Le vie del Signore
sono diritte, gli uomini giusti camminano in esse, mentre i peccatori
inciampano e cadono” (Osea 14:5-10).
Dio insisteva sulle benedizioni riservate a coloro che lo cercava-
no: “... Cercate me se volete vivere... Cercate di fare quel che è bene
e non il male...” (cfr. Amos 5:4, 5, 14, 15).
La maggior parte di coloro che udirono questi inviti rifiutarono
di beneficiarne. Le parole dei messaggeri di Dio erano talmente
in contrasto con i desideri malvagi degli idolatri che il sacerdote
di Betel fece sapere al sovrano di Israele: “Amos è qui nel regno
174 Profeti e re
popolo, tanto erano diventati insensibili. Amasia, uno dei capi dei
sacerdoti idolatri di Betel, colpito dalle chiare parole pronunciate
dal profeta contro la nazione e il suo re, disse ad Amos: “Visionario,
vattene, ritorna nella terra di Giuda per guadagnarti il pane, e fai là
il profeta. Non profetizzare più a Betel. Questo è il santuario del re,
il tempio della nazione!” (Amos 7:12, 13). A queste parole la ferma
risposta del profeta fu: “... la popolazione d’Israele sarà deportata
lontano dalla sua patria” (Amos 7:17).
Tutto si adempì alla lettera; ma la distruzione del regno avvenne
gradualmente. Nel suo giudizio il Signore si ricordò di usare miseri-
cordia: “Pul, re d’Assiria, venne per invadere il territorio israelita.
Allora Menachem, per ottenere il suo appoggio e rafforzare così il
suo potere regale, gli diede trentacinque tonnellate d’argento. Me-
nachem se le procurò obbligando tutti i benestanti d’Israele a dare
ognuno cinquanta pezzi d’argento per il re d’Assiria” (2Re 15:19,
20). Gli assiri, dopo aver umiliato le dieci tribù, rientrarono per un
certo periodo di tempo nel loro paese.
Menachem, invece di pentirsi del male che aveva provocato la
rovina del suo regno, “... non smise di commettere le stesse colpe
di Geroboamo, figlio di Nebat, che per tutta la sua vita aveva fatto
peccare gli Israeliti”. I suoi successori, Pekachia e Pekach andarono
“contro la volontà del Signore” (2Re 15:18, 24, 28). “Durante il
regno di Pekach, Tiglat-Pileser, re d’Assiria, venne a occupare... il
territorio di Galaad e la Galilea, cioè tutta la regione di Neftali”
(2Re 15:29). “La tribù di Ruben, quella di Gad e metà della tribù di
Manasse” con altri abitanti del territorio di Galaad (1Cronache 5:26; [158]
2Re 15:29) furono dispersi fra i pagani in terre molto lontane dalla
Palestina.
Dopo questa terribile esperienza, il regno del nord non si riprese
più. I pochi rimasti conservarono le strutture del governo ma non
esercitarono più nessun potere. Soltanto un altro re sarebbe succedu-
to a Pekach, il re Osea, ma il regno d’Israele sarebbe stato ben presto
spazzato via per sempre. Però in quel tempo di crisi Dio dimostrò la
sua misericordia e offrì al popolo un’altra opportunità di abbando-
nare l’idolatria. Il terzo anno del regno di Osea, il buon re Ezechia
cominciò a regnare in Giuda e provvide subito a indire importanti
riforme nel servizio del tempio di Gerusalemme. Fu organizzata una
solenne celebrazione della Pasqua alla quale furono invitare non
176 Profeti e re
del suo Signore fu sopraffatto dal senso della purezza e della santità
di Dio. Quale stridente contrasto tra l’incomparabile perfezione
del suo Creatore e la condotta vergognosa di coloro che, come lui,
facevano parte da così tanto tempo del popolo eletto di Israele e di
Giuda! Allora gridò: “È finita! Sono morto. È finita perché sono un
peccatore e ho visto con i miei occhi il Re, il Signore dell’universo!”
(Isaia 6:5).
In piedi, nella luce sfolgorante della presenza divina dentro il
santuario, Isaia si rese conto della propria imperfezione e incapacità
di compiere la missione alla quale era stato chiamato. Ma un sera-
fino fu mandato ad assisterlo e a prepararlo per l’opera che doveva
svolgere. Toccò le sue labbra con un carbone ardente tolto dall’altare
e disse: “Ecco, ho toccato le tue labbra con questo carbone ardente:
la tua colpa è scomparsa, il tuo peccato è cancellato”. Quindi si
udì la voce di Dio che diceva: “Chi manderò? Chi sarà il nostro [167]
messaggero?” e Isaia rispose: “Sono pronto! Manda me!” (Isaia 6:7,
8).
L’ambasciatore celeste disse al profeta di portare al popolo que-
sto messaggio: “Voi ascolterete, ma senza capire, guarderete, ma
senza rendervi conto di quel che accade... Rendi i loro cuori insensi-
bili, sordi gli orecchi, ciechi i loro occhi. Così saranno incapaci di
vedere con gli occhi, di udire con gli orecchi, di comprendere con
il cuore, di tornare verso di me e di lasciarsi guarire da me!” (Isaia
6:9, 10).
La missione di Isaia era chiara: doveva far sentire la sua voce
per protestare contro i peccati di Israele, ma temeva di iniziare la sua
opera senza aver ricevuto la certezza del successo. “Signore fino a
quando accadrà questo?” (Isaia 6:11). Non ci sarà mai fra il popolo
che hai scelto qualcuno che comprenda, che si penta, che creda?
L’impegno affidato a Isaia non sarebbe stato inutile. La sua mis-
sione non sarebbe stata completamente infruttuosa. Tuttavia i peccati
che si erano susseguiti nel corso delle generazioni non potevano es-
sere eliminati in un sol giorno. Durante tutta la sua vita il profeta
doveva insegnare con pazienza, con coraggio, a volte come messag-
gero di speranza o di maledizione. Quando il piano di Dio si sarebbe
finalmente realizzato allora avrebbe visto il risultato della sua opera,
come anche quello di tutti gli altri messaggeri fedeli del Signore.
Soltanto alcuni si sarebbero salvati. Per questo era necessario che
186 Profeti e re
192
Acaz 193
esaltare se stesso, mostrò agli occhi avidi dei suoi ospiti i tesori con
i quali Dio aveva arricchito il suo popolo. “Ezechia... mostrò loro
i suoi depositi, l’oro, l’argento, i profumi, l’olio aromatico, il suo
arsenale e tutti i tesori che aveva nei magazzini; fece vedere tutto
quel che si trovava nel suo palazzo e nel suo regno, senza tralasciare
nulla” (Isaia 39:2). In questo modo non cercava di glorificare Dio,
ma voleva innalzarsi agli occhi dei prìncipi stranieri. Egli non tenne
conto che essi erano i rappresentanti di una nazione potente che
non rispettava e amava il Signore ed era quindi imprudente far loro
[184] conoscere le ricchezze della sua nazione.
La visita di quegli ambasciatori avrebbe potuto essere per Eze-
chia l’occasione per dimostrare la sua gratitudine e la sua fede. La
Bibbia dice: “... In quell’occasione Dio aveva lasciato che Eze-
chia agisse di sua iniziativa per verificare la sua fedeltà (2Cronache
32:31).
Se Ezechia avesse approfittato dell’opportunità che gli era stata
offerta per rendere testimonianza della potenza, della bontà, del-
la compassione del Dio d’Israele, il rapporto degli ambasciatori
avrebbe trasmesso al re un messaggio straordinario. Egli, invece,
esaltò se stesso al di sopra del Signore degli Eserciti. “Ma Ezechia
non fu riconoscente al Signoie per il beneficio ricevuto. Si sentiva
troppo sicuro di sé...” (2Cronache 32:25). Le conseguenze furono
disastrose! A Isaia fu rivelato che gli ambasciatori, al loro ritorno,
avevano fornito un resoconto delle ricchezze che avevano visto e il
re di Babilonia e i suoi consiglieri avevano progettato di arricchire
il loro paese coi tesori di Gerusalemme. Ezechia aveva commesso
un grave errore e “... attirò il castigo su di sé, su Gerusalemme e sul
suo regno” (2Cronache 32:25; cfr. Isaia 39:3-8).
“Ma poi, sia lui sia gli abitanti di Gerusalemme riconobbero il
loro orgoglio e si umiliarono. Il Signore non mandò più castighi per
il resto della vita di Ezechia” (2Cronache 32:26). Ormai il seme era
stato gettato e col tempo avrebbe prodotto desolazione e sventura.
Durante gli ultimi anni del suo regno, il re di Giuda visse momenti
di grande prosperità grazie alla sua decisione di riscattare il passato
e di onorare il suo Dio. La sua fede era stata messa a dura prova e
dovette imparare che solo fidandosi completamente di Dio poteva
sperare di vincere le forze del male che stavano complottando per la
sua rovina e per la completa distruzione del suo popolo.
Gli ambasciatori di Babilonia 205
con i suoi ministri e ufficiali... “e fece tutto ciò che era possibile per
la difesa del suo regno. Aveva assicurato un abbondante rifornimen-
to d’acqua entro le mura di Gerusalemme, mentre fuori dalla città
l’acqua scarseggiava. [187]
“Con grande decisione Ezechia fece riparare le mura dov’erano
diroccate, fece sopraelevare le torri e costruire un secondo muro più
esterno. Fortificò il terrapieno del Millo della Città di Davide e fece
preparare lance e scudi in quantità” (2Cronache 32:3, 5, 6). Non fu
trascurato nessun preparativo in vista di un eventuale assedio.
Quando Ezechia salì sul trono di Giuda, gli assiri avevano già
deportato un gran numero di israeliti del regno del nord. Pochi
anni dopo la sua ascesa al trono, mentre stava rafforzando le difese
di Gerusalemme, gli assiri assediarono e conquistarono Samaria e
quindi dispersero le dieci tribù nelle varie province dell’impero. Le
frontiere di Giuda erano distanti solo poche miglia e Gerusalemme si
trovava a meno di settanta chilometri. Le ricchezze che si trovavano
nel tempio potevano indurre il nemico a ritornare.
Ma il re di Giuda aveva deciso di fare la sua parte per prepararsi a
resistere al nemico. Avendo fatto tutto quello che l’ingegno e l’ener-
gia umana potevano realizzare, riunì il suo esercito e lo incoraggiò.
Il profeta Isaia aveva proclamato a Giuda: “... Dio, il santo d’Israele,
è grande, egli vive in mezzo a noi!” (Isaia 12:6). E il re affermava
ora con fede incrollabile: “... con noi c’è il Signore nostro Dio. Egli
ci aiuterà e combatterà la nostra battaglia...” (2Cronache 32:8). Non
c’è modo migliore per nutrire la fede che esercitarla. Il re di Giuda
era pronto ad affrontare questo momento difficile. Persuaso che la
profezia relativa agli assiri si sarebbe realizzata, aveva fiducia in Dio.
“Queste parole di Ezechia, re di Giuda, diedero coraggio al popolo”
(2Cronache 32:8). Che importanza aveva se gli eserciti dell’Assiria,
dopo le vittorie riportate sulle più grandi nazioni della terra e dopo
aver trionfato su Samaria in Israele, volgevano ora le loro forze con-
tro Giuda? Che importanza aveva se il loro re si vantava dicendo:
“Come abbiamo distrutto Samaria e tutti i suoi idoli, faremo lo stesso
a Gerusalemme e a tutte le statue adorate dai suoi abitanti” (Isaia
10:11). Giuda non aveva nulla da temere poiché aveva posto la sua
fiducia nell’Eterno.
Il pericolo da tempo previsto stava per concretizzarsi. Gli eserciti
di Assiria, dopo tante vittorie, apparvero in Giudea. Certi dell’esito
208 Profeti e re
Egli si prende cura di quelli che si rifugiano in lui quando stanno per
essere travolti. Egli distrugge chi gli è ribelle e spinge i suoi nemici
nelle tenebre della morte” (Nahum 1:7, 8).
Questa è la sorte di tutto coloro che cercheranno di innalzarsi al
di sopra dell’Altissimo.
“... L’orgogliosa Assiria sarà umiliata, e l’Egitto perderà il suo
potere” (Zaccaria 10:11).
Questo è vero non solo per le nazioni che si schierarono contro
Dio anticamente ma anche per le nazioni che oggi non realizzano
l’obiettivo divino. Nel giorno della giudizio finale, quando il giusto
Giudice di tutta la terra “vaglierà le nazioni” (Isaia 30:28), tutti
coloro che sono rimasti fedeli alla verità entreranno nella santa città
e le volte celesti risuoneranno dei canti di trionfo dei redenti (cfr.
Isaia 30:29-32). [193]
Capitolo 31: La speranza dei pagani
Nel corso del suo ministero profetico Isaia annunciò con chia-
rezza qual era il piano di Dio nei confronti dei pagani. Altri profeti
avevano già rivelato il piano divino, ma il loro messaggio non sempre
era stato compreso. A Isaia fu affidato l’incarico di spiegare a Giuda
che anche coloro che non erano figli di Abramo secondo la carne
facevano parte dell’Israele di Dio. Questo messaggio non era in
armonia con l’insegnamento teologico di quell’epoca; ciononostante
il profeta proclamò senza timore il messaggio affidatogli da Dio
offrendo una speranza a tutti coloro che cercavano le benedizioni
spirituali promesse ai discendenti di Abramo.
Nella sua lettera ai credenti di Roma l’apostolo dei Gentili ri-
chiama l’attenzione su questa caratteristica dell’insegnamento di
Isaia. Egli dichiara: “...(Dio) giunge perfino a dichiarare nel libro
di Isaia: “Sono stato trovato da coloro che non mi cercavano, mi
sono fatto conoscere da coloro che non chiedevano di me”” (Romani
10:20).
Spesso gli israeliti sembravano incapaci o poco disposti a com-
prendere il piano divino per i pagani; eppure proprio questo progetto
di Dio aveva fatto di loro un popolo particolare, una nazione indi-
pendente dalle altre nazioni della terra. Abramo loro padre, a cui
per primo fu presentata la promessa del patto, era stato chiamato ad
abbandonare la sua famiglia e il suo paese per diffondere il messag-
gio di Dio fra i pagani. Nonostante avesse ricevuto la promessa di
una discendenza numerosa come la sabbia del mare, non fu per un
semplice obiettivo egoistico che diventò il fondatore di una grande
nazione nel paese di Canaan.
Il patto stabilito dal Signore riguardava tutte le nazioni della
terra. L’Eterno infatti dichiarò: “Farò di te un popolo numeroso, una
grande nazione. Il tuo nome diventerà famoso. Ti benedirò. Sarai
fonte di benedizione. Farò del bene a chi te ne farà. Maledirò chi ti
farà del male. Per mezzo tuo io benedirò tutti i popoli della terra”
(Genesi 12:2, 3).
214
La speranza dei pagani 215
220
Manasse e Giosia 221
fatto suo padre e suo nonno. Egli “non prese mai una strada diversa”.
Chiamato a occupare una posizione di grande responsabilità, decise
di ubbidire alle indicazioni che erano state date ai sovrani d’Israele
per guidare il popolo. Grazie alla sua ubbidienza il Signore poté
utilizzarlo “come un vaso al suo onore”.
Quando Giosia cominciò a regnare, i fedeli in Giuda si chiedeva-
no se le promesse di Dio fatte a Israele si sarebbero mai realizzate.
Umanamente parlando il disegno di Dio per la nazione eletta sem-
brava una vera utopia. L’apostasia si era accentuata nel corso dei
secoli, dieci tribù d’Israele erano state disperse fra i pagani. I profeti
avevano cominciato a predire la totale distruzione della ricca città
[200] in cui sorgeva il tempio di Salomone e su cui si fondavano tutte le
speranze terrene relative alla grandezza d’Israele. Dio stava forse
per rinunciare a liberare coloro che riponevano la propria fiducia in
lui? Considerando la costante persecuzione dei giusti e l’apparente
prosperità degli empi, coloro che erano rimasti fedeli al vero Dio
potevano sperare in giorni migliori?
Questi angosciosi interrogativi furono posti dal profeta Abacuc.
Valutando la situazione dei fedeli del suo tempo diede libero sfogo
alla sua sofferenza con queste parole: “Fino a quando, Signore, dovrò
chiederti aiuto senza che tu mi ascolti, denunziare la violenza senza
che tu venga in aiuto? Perché mi fai vedere l’ingiustizia? Come puoi
restare spettatore dell’oppressione? Davanti a me ci sono soltanto
distruzione e violenza, dovunque processi e contese. Le leggi non
sono più rispettate, la giustizia non è ben applicata. Il malvagio
raggira il giusto e i giudizi sono falsati” (Abacuc 1:2-4).
Dio rispose al grido dei suoi figli fedeli. Tramite il suo portavoce
rivelò loro la sua decisione di punire la nazione che lo aveva ab-
bandonato per adorare altri dei. Alcuni di coloro che si chiedevano
con ansia come sarebbe stato il futuro avrebbero visto Dio dirigere
miracolosamente gli eventi della storia dando il potere ai babilonesi.
Questi caldei “terribili, formidabili” avrebbero invaso improvvisa-
mente il territorio di Giuda come una punizione di Dio. I prìncipi
di Giuda e i maggiori esponenti del popolo sarebbero stati deportati
a Babilonia. Le città e i villaggi della Giudea e i terreni coltivati
sarebbero stati lasciati deserti e nulla sarebbe stato risparmiato.
Convinto che anche tramite questo terribile giudizio il piano di
Dio per il suo popolo si sarebbe in qualche modo realizzato, Abacuc
Manasse e Giosia 223
tempio e offrì loro del vino, invitandoli a bere. Come previsto, in-
[216] contrò un deciso rifiuto. I recabiti dichiararono con fermezza: “...
Noi non beviamo vino, perché il nostro antenato Ionadab, figlio di
Recab, ci ha lasciato quest’ordine preciso: “Non berrete mai vino,
né voi né i vostri discendenti...”. Allora il Signore ordinò a Geremia
di andare a riferire agli abitanti di Giuda e di Gerusalemme queste
parole: “Io, il Signore dell’universo, Dio d’Israele, vi chiedo: per
quale motivo non avete imitato l’esempio dei Recabiti e non avete
ubbidito ai miei ordini? Ionadab, figlio di Recab, aveva comandato
ai suoi discendenti di non bere vino. I Recabiti sono stati fedeli alla
prescrizione del loro antenato e fino ad oggi non hanno mai bevuto
vino...”” (Geremia 35:6, 12-14).
Dio in questo modo cercava di sottolineare lo stridente contrasto
esistente fra l’ubbidienza dei recabiti e la disubbidienza e la ribellio-
ne del suo popolo. I recabiti avevano ubbidito a un ordine del loro
padre e ora rifiutavano di trasgredirlo, mentre gli uomini di Giuda
non ascoltavano le parole del Signore, andando così incontro ai suoi
più severi castighi (cfr. Geremia 35:15-17).
Quando gli uomini sono toccati dall’influsso dello Spirito Santo,
essi prendono in considerazione i consigli proposti dal Signore. Ma
se respingono i suoi avvertimenti e il loro cuore rimane insensibile,
Dio permette che ne subiscano gli effetti negativi. Allontanandosi
dalla verità accettano la menzogna che diventa una vera e propria
trappola.
Dio aveva supplicato Giuda di non provocare la sua collera, ma
essi rifiutarono di ascoltarlo. Alla fine fu pronunciata la sentenza
nei loro confronti: sarebbero stati condotti in cattività; il Signore si
sarebbe servito dei caldei per punire il suo popolo ribelle. Le soffe-
renze di Giuda sarebbero state proporzionate ai messaggi ricevuti e
agli avvertimenti respinti. Dio aveva dilazionato i suoi castighi, ma
ora avrebbe manifestato la sua disapprovazione affinché il popolo
cambiasse il proprio comportamento.
I recabiti avevano ricevuto la promessa di una benedizione per-
petua. Il profeta dichiarò: “Voi avete ubbidito all’ordine del vostro
antenato Ionadab, avete eseguito le sue prescrizioni, avete fatto fe-
delmente quanto vi aveva ordinato. Per questo io, il Signore dell’uni-
verso, Dio d’Israele, prometto che tra i discendenti di Ionadab, figlio
di Recab, ci sarà sempre qualcuno che avrà l’onore di servirmi” (Ge-
Il momento del giudizio si avvicina 241
remia 35:18, 19). In questo modo Dio insegnò al suo popolo che la
fedeltà e l’ubbidienza avrebbero garantito a Giuda tante benedizioni,
così come era stato per i recabiti che avevano ubbidito all’ordine del
loro padre.
Questa lezione è valida anche per noi, oggi. Se le legittime dispo-
sizioni di un padre buono e saggio che si è servito dei mezzi migliori
e più efficaci per preservare la sua progenie dall’intemperanza sono
degne di essere scrupolosamente seguite, sicuramente l’autorità di
Dio dovrebbe essere maggiormente rispettata, poiché il Signore è [217]
più santo dell’uomo. Il nostro Creatore e il nostro Signore, il cui
potere è infinito, il cui giudizio è terribile, cerca in tutti i modi di
condurre gli uomini a riconoscere i loro peccati e a pentirsi. Tramite
i messaggi dei suoi profeti annuncia i pericoli che scaturiscono dalla
disubbidienza, fa risuonare un grido d’allarme e denuncia senza mez-
zi termini il peccato. Solo grazie alla sua misericordia e all’impegno
dei suoi messaggeri viene garantita al popolo la prosperità. Dio non
può sostenere coloro che rifiutano i suoi consigli e disprezzano i
suoi avvertimenti. Per un certo periodo di tempo può sospendere le
punizioni che meriteremmo, ma non può farlo costantemente.
Dio aveva dichiarato, riferendosi anche ai figli di Giuda: “Voi
sarete per me un regno di sacerdoti e una nazione consacrata al mio
servizio” (Esodo 19:6). Nel suo ministero Geremia non perse mai
di vista l’importanza vitale della santità nelle varie attività della
vita quotidiana e specialmente nel servizio in favore dell’Altissimo.
Annunciò con chiarezza la caduta del regno di Giuda e la dispersione
dei suoi abitanti fra le nazioni; però con gli occhi della fede vide, al
di là di tutto questo, i tempi della restaurazione. Alle sue orecchie
risuonava la promessa divina: “Radunerò io stesso quel che resta
delle mie pecore da tutte le regioni dove le avevo disperse. Le farò
ritornare ai loro pascoli... Verranno giorni nei quali io farò sorgere
il germoglio di Davide, un suo discendente legittimo... Questo re
governerà con saggezza e attuerà il diritto e la giustizia nel paese.
Durante il suo regno il popolo di Giuda sarà liberato e quello d’I-
sraele vivrà sicuro. Chiameranno il re con questo nome: Il Signore
Nostra Salvezza” (Geremia 23:3-6).
Le profezie di un giudizio incombente si confondevano con le
promesse di una gloriosa liberazione. Coloro che sceglievano di
riconciliarsi con Dio e di vivere una vita santa in mezzo all’apostasia
242 Profeti e re
Dio richiede da lui. Egli accetta “un cuore rotto e uno spirito con-
trito”. Ma il re Ioiakim e i suoi capi nella loro arroganza e nel loro
orgoglio respinsero l’invito di Dio. Non intendevano prestare ascolto [222]
all’avvertimento divino e pentirsi: la generosa opportunità offerta
loro quando fu bruciato il rotolo sacro, era l’ultima. Dio aveva detto
che se avessero rifiutato di ascoltare la sua voce avrebbe inflitto loro
una terribile punizione. Essi rifiutarono di seguire i suoi consigli
ed egli, allora, pronunciò su Giuda il suo giudizio finale. Avrebbe
severamente punito l’uomo che si era orgogliosamente opposto a lui
(cfr. Geremia 36:30, 31).
Con la distruzione del rotolo non cessarono gli avvertimenti
divini. Era più facile sbarazzarsi delle parole scritte che dei rim-
proveri e degli avvertimenti che esprimevano e della minaccia del
castigo per la nazione ribelle di cui aveva parlato il Signore. Il rotolo
scritto fu riprodotto. Il Signore ordinò al suo servitore: “Procurati
un altro rotolo e scrivici di nuovo tutti i messaggi che stavano nel
primo, quello bruciato dal re Ioiakim”. Il documento contenente le
profezie su Giuda e su Gerusalemme era stato bruciato, ma “come
un fuoco ardente” le parole erano sempre vive nel cuore di Geremia
e al profeta fu permesso di riprodurre quello che l’ira dell’uomo si
illudeva di avere distrutto.
“Allora Geremia si procurò un altro rotolo e lo consegnò al suo
segretario Baruc, figlio di Neria: Geremia gli dettò tutti i messaggi
contenuti nel rotolo bruciato da Ioiakim re di Giuda e ne aggiunse
molti altri sullo stesso tono. Baruc scrisse tutto sul nuovo rotolo”
(Geremia 36:32). Un uomo aveva tentato, in preda all’ira, di contra-
stare l’opera del profeta, ma proprio la distruzione del rotolo da parte
di Ioiakim offrì un’ulteriore opportunità per far conoscere ancora
meglio la volontà di Dio.
Questa incapacità di accettare il rimprovero, che portò alla per-
secuzione e alla carcerazione di Geremia, esiste anche oggi. Molti si
rifiutano di tener conto dei ripetuti avvertimenti preferendo piuttosto
ascoltare i falsi maestri che lusingano la loro vanità e tollerano il
loro comportamento poco corretto. Nei tempi della “distretta” essi
non troveranno nessun rifugio sicuro, nessun aiuto divino. Invece
i servitori di Dio affronteranno con coraggio e pazienza la prova e
le sofferenze subite in quanto ingiustamente biasimati, trascurati e
condannati. Essi però continueranno a compiere fedelmente l’ope-
248 Profeti e re
Con quale tenera compassione Dio informò gli esuli dei suoi pro-
getti per Israele! Egli sapeva che se i falsi profeti avessero convinto
[225] il popolo della sua prossima liberazione, la sua posizione in Babi-
lonia sarebbe stata critica. Ogni manifestazione, ogni insurrezione
avrebbero indotto le autorità caldee a esercitare un rigoroso con-
trollo che avrebbe ristretto ancor più la libertà degli esuli e avrebbe
provocato ulteriori difficoltà. Il Signore desiderava che gli israeliti
si sottomettessero docilmente alla loro triste sorte, rendendo così la
loro schiavitù più tollerabile. Il suo consiglio fu: “Costruite case e
abitatele, coltivate orti e mangiatene i frutti... Lavorate per il benes-
sere della città dove vi ho fatti deportare e pregate il Signore per lei,
perché il vostro benessere dipende dal suo” (Geremia 29:5, 7).
Tra i falsi dottori di Babilonia ce n’erano due che pretendevano
di essere giusti ma la cui vita non era affatto coerente con le loro
dichiarazioni. Geremia condannò il loro comportamento e li avvertì
del pericolo a cui andavano incontro. Irritati per il rimprovero ri-
cevuto, essi cercarono di ostacolare l’opera del profeta inducendo
il popolo a screditare le sue parole e ad agire in aperto contrasto
con i consigli di Dio di sottomettersi al re di Babilonia. Il Signore
fece sapere tramite Geremia che questi falsi profeti sarebbero stati
consegnati al re Nabucodonosor e giustiziati sotto i suoi occhi. Poco
tempo dopo, questa predizione si realizzò alla lettera.
Alla fine dei tempi emergeranno alcuni uomini che provocheran-
no confusione e ribellione fra coloro che dicono di essere i rappre-
sentanti del vero Dio. Questi falsi profeti incoraggeranno gli uomini
a considerare il peccato con leggerezza e, quando si evidenzieranno
i terribili risultati delle loro azioni, essi cercheranno di attribuirne la
colpa a colui che li ha fedelmente avvertiti, proprio come gli ebrei
accusarono Geremia delle loro avversità. Così come si realizzarono
le parole dell’Eterno, pronunciate dal suo profeta, anche oggi i suoi
messaggi si adempiranno sicuramente.
Geremia aveva sempre agito con coerenza consigliando la sotto-
missione ai babilonesi e rivolgendosi non soltanto a Giuda ma anche
alle nazioni vicine. All’inizio del regno di Sedecia, ambasciatori di
Edom, di Moab, di Tiro e di altre nazioni andarono dal re di Giuda
per chiedergli se credeva fosse giunto il momento adatto per unirsi e
ribellarsi contro il re di Babilonia.
Mentre questi ambasciatori stavano aspettando una risposta la
L’ultimo re di Giuda 251
gli furono mostrate “donne sedute che piangevano la morte del dio
Tammuz... All’entrata del santuario, tra il portico e l’altare, c’erano
circa venticinque uomini. Con le spalle al santuario e il viso rivolto
a oriente si inchinavano fino a terra per adorare il sole” (Ezechiele
8:13-16).
A questo punto l’essere glorioso che accompagnava Ezechiele in
questa incredibile visione delle malvagità negli alti luoghi del paese
di Giuda chiese al profeta: “Hai visto, Ezechiele? Ma alla gente di
Giuda non bastano le azioni abominevoli che commette qui. Anzi
riempie il territorio di violenza e mi offende ancora di più. Inoltre
avvicina il ramo al suo naso. Ma anch’io li tratterò con furore. Non
avrò pietà, non risparmierò nessuno. Urleranno per chiedermi aiuto,
ma non li ascolterò” (Ezechiele 8:17, 18).
Dio aveva dichiarato tramite Geremia a proposito di coloro che
osavano parlare al popolo in suo nome: “Anche i profeti e i sacerdoti
sono diventati senza scrupoli: li ho sorpresi a commettere il male
perfino dentro il mio tempio” (Geremia 23:11).
Fra le terribili accuse contro Giuda che si leggono nel racconto
finale di colui che scrive la cronaca del regno di Sedecia, viene
citata anche la violazione alla santità del tempio: “Anche i capi dei
sacerdoti e del popolo commisero infedeltà su infedeltà, seguirono i
culti indegni degli altri popoli. Non rispettarono la santità del tempio
che il Signore si era scelto in Gerusalemme” (2Cronache 36:14).
[229] Il giorno del giudizio di Giuda si avvicinava rapidamente. Il
popolo non poteva più nutrire la speranza di riuscire a sfuggire ai
suoi giudizi. Il Signore chiedeva: “... pensano forse di cavarsela?...”
(Geremia 25:29).
Queste parole furono accolte con ironia. Essi dicevano: “Passano
i giorni e non si avvera nessuna visione”. Rifiutando il messaggio
profetico furono severamente rimproverati: “... annunzia loro che io
realizzerò immediatamente le mie minacce. Lo dichiaro io, il loro
Dio, il Signore” (Ezechiele 12:28; cfr. Ezechiele 12:21-27).
Sedecia fu il primo a portare il paese alla rovina. Abbandonando
completamente i consigli del Signore trasmessi tramite i suoi profeti,
dimenticando il debito di gratitudine che aveva nei confronti del
re Nabucodonosor, violando il solenne giuramento di fedeltà fatto
nel nome del Signore Dio d’Israele, il re di Giuda si era ribellato
ai profeti, al suo benefattore e a Dio. Nella vanità della propria
L’ultimo re di Giuda 255
li avrebbe ritenuti responsabili delle loro capacità per cui non do-
vevano mai frenarne lo sviluppo o indebolirle. Questa educazione
avrebbe preservato Daniele e i suoi compagni dagli influssi nega-
tivi della corte di Babilonia. Erano circondati da forti tentazioni,
ma resistettero fedelmente. Nessuna potenza, nessun influsso avreb-
bero potuto intaccare i princìpi che erano stati inculcati loro fin [243]
dall’infanzia, grazie allo studio della Parola di Dio e delle sue opere.
Se Daniele lo avesse desiderato avrebbe potuto trovare nell’am-
biente che lo circondava una scusa valida per rinunciare alle sue
abitudini di temperanza. Avrebbe potuto sostenere che, essendo alle
dipendenze del re, non poteva evitare di mangiare i suoi cibi e bere
il suo vino; infatti adeguandosi agli insegnamenti divini avrebbe
offeso il monarca, rischiando di perdere il suo incarico e forse la sua
stessa vita. Se si fosse allontanato dai comandamenti di Dio avreb-
be ottenuto l’approvazione del re e si sarebbe assicurato vantaggi
intellettuali e un brillante avvenire.
Ma Daniele non esitò. Teneva più all’approvazione di Dio che
a quella del più potente monarca, gli era più cara della sua stessa
vita. Perciò decise di restare fedele a qualsiasi costo. Egli “... decise
in cuor suo di non diventare impuro mangiando lo stesso cibo e
bevendo lo stesso vino della tavola del re” (Daniele 1:8) e i suoi tre
compagni condivisero la sua scelta.
Prendendo questa decisione i giovani ebrei non agirono con
presunzione ma con piena fiducia in Dio. Essi non scelsero sempli-
cemente di distinguersi: non vollero disonorare Dio. Se fossero scesi
a compromesso con il male, cedendo alle pressioni esercitate dalle
circostanze, l’abbandono dei loro princìpi avrebbe indebolito la loro
percezione del bene e la loro avversione per il male. Il primo passo
falso ne avrebbe generati altri fino al punto di interrompere il loro
rapporto con Dio lasciandosi trascinare dalla tentazione.
“Dio concesse a Daniele la simpatia e la benevolenza del capo
dei funzionari” per cui la sua richiesta di non contaminarsi fu accolta
con rispetto, però il capo esitava a soddisfarla: “Il re in persona ha
stabilito quel che dovete mangiare e bere. Ho paura che vi trovi più
magri degli altri giovani della vostra età, e così io rischio la vita a
causa vostra” (Daniele 1:9, 10).
All’ufficiale a cui era stata affidata la cura dei giovani ebrei
Daniele disse: “Ti prego, mettici alla prova per dieci giorni: dacci
270 Profeti e re
fatto Enoc.
Il vero successo in qualsiasi ambito di lavoro non è il risultato
della fortuna o del destino. E il risultato delle benedizioni divine,
la conseguenza della fede, della saggezza, della virtù e della perse-
veranza. Brillanti qualità intellettuali, un livello morale elevato non
sono frutto del caso. Dio suscita le occasioni, il successo dipende
dall’uso che se ne fa.
Mentre Dio attuava in Daniele e nei suoi compagni “il volere e
l’operare per la sua benevolenza” (Filippesi 2:13 Luzzi), essi stavano
lavorando per la loro salvezza. Così si manifesta l’opera del principio
divino della collaborazione senza la quale nessun vero successo
può essere conseguito. Senza la potenza divina i tentativi umani
sono votati al fallimento e senza la partecipazione umana l’azione
divina non ha alcun effetto su numerosi individui. Per poter acquisire
la grazia divina dobbiamo fare la nostra parte. La sua grazia ci
viene offerta per produrre in noi “il volere e l’operare”, ma non per
sostituirsi al nostro impegno.
Come collaborò con Daniele e i suoi compagni, il Signore col-
laborerà con tutti coloro che si sforzano di agire secondo la sua
volontà. Mediante il dono del suo Spirito, Dio potenzierà ogni since-
ro proposito, ogni nobile intenzione. Coloro che desiderano ubbidire
fedelmente incontreranno numerosi ostacoli. Influssi sottili e tenaci
[246] potranno trascinarli verso forti tentazioni, ma Dio è in grado di neu-
tralizzare tutti gli espedienti messi in atto per mettere in difficoltà i
suoi figli. Tramite la sua forza supereranno tutte le tentazioni e tutte
le difficoltà.
Egli mise Daniele e i suoi compagni in contatto con gli uomi-
ni più importanti di Babilonia affinché in una nazione pagana essi
potessero rappresentare il carattere divino. Come riuscirono a oc-
cupare una posizione di così grande responsabilità e di così grande
importanza? La loro vita era caratterizzata dalla fedeltà nelle piccole
cose. Essi onorarono Dio negli incarichi più modesti come anche
nelle responsabilità importanti.
Così come Dio chiamò Daniele a testimoniare per lui in Babi-
lonia, oggi chiama anche noi a essere i suoi testimoni nella nostra
società. Egli desidera che riveliamo agli uomini i princìpi del suo
regno nelle piccole e nelle grandi attività della vita. Molti aspettano
che venga assegnato loro qualche incarico importante e perdono
Alla corte di Babilonia 273
regno, meno potente, sorgerà dopo di te. Poi un terzo regno, quello
di bronzo, dominerà la terra. Un quarto regno, duro come il ferro, gli
succederà. Come il ferro spezza e polverizza tutto, così quel regno
romperà e ridurrà in polvere i regni precedenti. Come hai visto, i
piedi della statua e le loro dita sono in parte di terracotta e in parte di
ferro questo significa che il regno non sarà unito. Ma avrà qualcosa
della durezza del ferro perché, come hai visto; il ferro è unito. Ma
avrà qualcosa della durezza del ferro e terracotta indicano che questo
regno sarà in parte forte e in parte fragile; esse mostrano anche che
alcuni re faranno alleanza attraverso matrimoni ma, come il ferro
non si mescola con la terracotta, queste alleanze non saranno stabili.
Al tempo di questi re, il Dio del cielo susciterà un regno che non sarà
mai distrutto e non cederà mai il dominio a un’altra nazione. Questo
regno durerà per sempre, dopo aver distrutto tutti i regni precedenti
[251] e aver messo fine alla loro esistenza. Ecco il significato della pietra
che hai visto staccarsi dalla montagna senza intervento umano, per
frantumare il ferro, il bronzo, la terracotta, l’argento e l’oro della
statua. Così, maestà, il grande Dio ti ha fatto conoscere il futuro. Il
tuo sogno è una vera rivelazione e la spiegazione che te ne ho data è
degna di fiducia” (Daniele 2:37-45).
Il re fu convinto dell’autenticità dell’interpretazione. Umiliato
e impaurito “... si inchinò fino a terra” dicendo: “Il vostro Dio è
davvero il più grande fra tutti gli dei, il Signore di tutti i re e il
rivelatore dei misteri, dato che tu sei stato capace di svelarmi questo
segreto” (Daniele 2:46, 47).
Nabucodonosor revocò il decreto di morte dei saggi; le loro vite
furono risparmiate grazie a Daniele che era in contatto con colui che
rivela i segreti. “In seguito il re concesse a Daniele grandi onori e gli
diede molti regali preziosi. Lo fece governatore della provincia di
Babilonia e capo supremo di tutti i saggi di Babilonia. Su richiesta
di Daniele, il re fece Sadrach, Mesach e Abdenego amministratori
della provincia di Babilonia. E Daniele divenne consigliere di corte”
(Daniele 2:48, 49).
Negli annali della storia umana può sembrare che la formazione
delle nazioni, l’ascesa e la caduta degli imperi siano il frutto della
volontà e del valore dell’uomo; l’evolversi degli eventi sembra di-
pendere prevalentemente dal potere, dall’ambizione o dal capriccio
umani. Ma la Parola di Dio ci rivela che al di là, dietro e tramite il
Il sogno di Nabucodonosor 279
gioco degli interessi, del potere e delle passioni umane, c’è l’azione
di colui che, nella sua misericordia, realizza silenziosamente e con
pazienza i suoi obiettivi.
Con parole di una bellezza e di una dolcezza incomparabile
l’apostolo Paolo espose ai saggi di Atene l’obiettivo della creazione
divina e la ripartizione delle razze e delle nazioni (cfr. Atti 17:24-27).
Dio ha rivelato chiaramente che chiunque lo desidera può ac-
cettare il suo patto. Il progetto divino della creazione prevedeva
che la terra fosse abitata da esseri la cui esistenza diventasse una
benedizione per loro stessi e per gli altri, onorando il Creatore. Tutti
coloro che lo desiderano possono partecipare a questo progetto. Il
profeta Isaia afferma: “E questo popolo che ho plasmato per me
celebrerà le mie lodi” (Isaia 43:21).
Nella sua legge Dio ha reso noti i princìpi che sono alla base della
vera prosperità, sia delle nazioni sia degli individui. A proposito delle
leggi di Dio, Mosè disse agli israeliti: “Osservatele con impegno:
mostreranno la vostra saggezza e la vostra intelligenza di fronte agli
altri popoli” (Deuteronomio 4:6). “Per voi, infatti, non sono parole
vuote, ma sono la vostra stessa vita” (Deuteronomio 32:47). Le
benedizioni promesse a Israele sono trasmesse alle stesse condizioni
e con la stessa intensità anche a ogni nazione e a ogni individuo. [252]
Centinaia di anni prima che certe nazioni apparissero alla ribalta
della storia, Dio nella sua onniscienza, esaminando il corso dei
secoli, predisse il sorgere e il crollo dei regni universali. Dichiarò a
Nabucodonosor che il suo regno sarebbe caduto e ne sarebbe sorto
un altro che avrebbe avuto anch’esso un periodo di prova. Non
avendo onorato il vero Dio, la sua gloria sarebbe tramontata e un
terzo regno avrebbe occupato il suo posto. Anche questo sarebbe poi
scomparso, seguito da un quarto, forte come il ferro, che avrebbe
sottomesso tutte le nazioni del mondo.
Se i sovrani di Babilonia, il più potente di tutti gli imperi, avesse-
ro manifestato rispetto per l’Eterno, avrebbero ricevuto la sapienza e
la potenza che avrebbero permesso loro di restare uniti a lui, conser-
vando così la loro forza. Essi, invece, si rivolgevano a Dio soltanto
quando erano tormentati e perplessi e quando non potevano essere
aiutati dai loro saggi si affidavano a uomini come Daniele, uomini
che onoravano il Dio vivente e godevano della sua fiducia.
Furono costretti a rivolgersi a questi uomini perché svelassero
280 Profeti e re
sua ambizione illimitata e dal suo orgoglio convocò i saggi del suo re-
gno affinché lo consigliassero sui metodi da seguire per raggiungere
[255] il suo obiettivo. Dimenticando le meravigliose rivelazioni del sogno,
dimenticando che il Dio d’Israele, tramite Daniele, aveva rivelato il
significato del sogno, dimenticando che questa interpretazione aveva
salvato i dignitari del regno, dimenticando tutto eccetto il desiderio
di stabilire la loro sovranità e il loro potere personale, il re e i suoi
consiglieri decisero di fare il possibile affinché la supremazia fosse
accordata a Babilonia, degna di un onore universale.
La statua simbolica, tramite la quale Dio aveva rivelato al re e al
popolo il suo piano in favore delle nazioni, sarebbe servita a glori-
ficare l’uomo. L’interpretazione di Daniele sarebbe stata rifiutata e
dimenticata, la verità distorta e applicata in modo sbagliato. Questa
statua simbolica, destinata a rivelare agli uomini gli importanti av-
venimenti relativi al futuro, sarebbe stata un ostacolo allo sviluppo
della conoscenza della verità che Dio voleva comunicare al mondo.
Satana si serviva degli ambiziosi desideri degli uomini per impedire
la realizzazione dei piani divini in favore dell’umanità. Il nemico
degli uomini sapeva che la verità è una forza potente per la salvezza,
ma quando questa verità è messa al servizio dell’orgoglio umano o
della realizzazione dei suoi desideri, allora diventa una forza per il
male. Dalle sue immense riserve auree Nabucodonosor attinse l’oro
occorrente per fare una grande statua apparentemente simile a quella
del sogno, salvo per il materiale che la componeva. Anche se abituati
alle grandiose raffigurazioni delle loro divinità pagane, i caldei non
avevano mai costruito una statua così imponente e maestosa, alta
trenta metri e larga tre.
Non è sorprendente che in una nazione in cui regnava l’idolatria,
la magnifica statua, posta nella pianura di Dura, rappresentasse la
gloria, lo splendore e la potenza di Babilonia e diventasse un oggetto
di culto. Venne decretato che il giorno della sua inaugurazione tutti
dovessero manifestare la loro assoluta fedeltà al potere babilonese
inchinandosi dinanzi alla statua.
Giunse il giorno stabilito e una gran folla proveniente da “ogni
popolo, lingua e nazione” si riunì nella pianura di Dura. Per ordi-
ne del re, al suono degli strumenti musicali i presenti si sarebbero
inchinati e avrebbero adorato la statua d’oro. Quel giorno le forze
del male parvero riportare un vero trionfo: l’adorazione della statua
La fornace ardente 283
significa ‘contato’; Dio ha fatto i conti sul tuo regno e vi mette fine;
TEKEL significa ‘pesato’: tu sei stato pesato sulla bilancia ma sei
stato trovato insufficiente; PARSIN significa ‘diviso’: il tuo regno è
stato diviso per essere dato ai Medi e ai Persiani”” (Daniele 5:26-28).
In quell’ultima notte di follia, Baldassar e i suoi dignitari avevano
superato ogni limite sia in quanto individui sia in quanto rappre-
sentanti del regno caldeo. La mano che aveva ritardato il castigo
divino non poteva più differirlo. Dio si era sforzato tramite ripetute
benedizioni di insegnare ai babilonesi il rispetto della sua legge (cfr.
Geremia 51:9). L’estrema perversità del cuore umano aveva indotto
Dio a emettere l’irrevocabile sentenza. Baldassar sarebbe caduto e il
suo regno sarebbe passato in altre mani.
Quando il profeta ebbe finito di parlare, il re ordinò che gli fosse-
ro conferiti gli onori promessi: “... rivestire Daniele di abiti sontuosi
e di mettergli una collana d’oro intorno al collo. Fece anche procla-
mare Daniele come terza autorità nel governo del regno” (Daniele
5:29). Più di un secolo prima la parola ispirata aveva predetto che
“... la notte di piacere”, durante la quale il re e i suoi consiglieri [269]
avrebbero fatto a gara per bestemmiare Dio, si sarebbe improvvisa-
mente mutata in una notte di paura e di distruzione. E ora, in rapida
successione, importanti eventi si sarebbero verificati esattamente
come erano stati descritti nei messaggi profetici molti anni prima
che i principali attori del dramma fossero nati.
Mentre era ancora nel salone della festa, circondato da coloro il
cui destino era ormai segnato, il re venne informato da un messag-
gero che la città era stata invasa dal nemico nonostante le strutture
da lui ritenute così sicure: “Hanno occupato i guadi dei fiumi... I
soldati sono presi dal panico!” (Geremia 51:32). Mentre con i suoi
dignitari beveva nei sacri vasi dell’Eterno, lodando i loro dei d’oro
e d’argento, i Medi e i Persiani avevano fatto deviare le acque del-
l’Eufrate dal loro letto ed erano penetrati nel cuore della città ormai
indifesa. L’esercito di Ciro era già sotto le mura del palazzo reale,
la città era piena di soldati nemici “come uno sciame di cavallette”
(Geremia 51:14) e le loro grida di trionfo potevano essere udite al
di sopra delle grida disperate dei convitati terrorizzati. “In quella
stessa notte, Baldassar, re di Babilonia, venne ucciso” e un monarca
straniero lo sostituì sul trono.
I profeti ebrei avevano parlato chiaramente del modo in cui
298 Profeti e re
Quando Dario il Medo salì sul trono, fino allora occupato dai
sovrani babilonesi, provvide immediatamente a riorganizzarne l’am-
ministrazione. “Dario decise di nominare centoventi satrapi in tutto
il regno... Stabilì pure tre sovrintendenti... Daniele era uno dei tre
sovrintendenti, ma, per le sue qualità eccezionali, superava gli al-
tri due e tutti i satrapi. Il re aveva perfino pensato di affidargli la
responsabilità di tutto il regno” (Daniele 6:2-4).
Gli onori tributati a Daniele suscitarono la gelosia dei capi e dei
satrapi i quali cercarono un’occasione per poterlo accusare. Ma non
ne trovarono alcuna “perché egli era integro nella sua onestà e non
gli si poteva rimproverare nulla” (Daniele 6:5).
La condotta irreprensibile di Daniele suscitò ancor più la gelosia
dei suoi nemici, i quali furono costretti a riconoscere: “Non possia-
mo scoprire alcun motivo per accusare Daniele, se non il fatto che
ubbidisce alla legge del suo Dio” (Daniele 6:6).
Così i capi e i satrapi si consultarono ed escogitarono un piano
mediante il quale speravano di riuscire a eliminare il profeta. Deci-
sero di chiedere al re di emanare un decreto, redatto da loro stessi,
che vietava a ogni suddito del regno di rivolgere richieste a Dio o
a qualsiasi altro uomo, ma di rivolgerle soltanto al re Dario per lo
spazio di trenta giorni. Chi avesse violato il decreto sarebbe stato
gettato nella fossa dei leoni.
I capi e i satrapi prepararono il decreto e lo sottoposero al re
perché lo firmasse. Facendo appello alla sua vanità cercarono di
dimostragli che l’emanazione di questo decreto avrebbe accresciuto
il suo prestigio e la sua autorità. Ignorando l’astuto obiettivo di
quegli uomini, il re non si rese conto dell’odio che aveva ispirato il
decreto e, cedendo alle loro lusinghe, lo firmò.
Allora i nemici di Daniele si ritirarono felici di aver teso un tra-
nello al servitore dell’Eterno. In quel complotto Satana aveva avuto
un ruolo importante. Il profeta occupava nel regno una posizione di
prestigio e gli angeli malefici temevano che il suo influsso potesse
301
302 Profeti e re
chiare da fargli capire che “... il numero degli anni di cui l’Eterno
aveva parlato al profeta Geremia e durante i quali Gerusalemme
dovea essere in ruine, era di settant’anni” (Daniele 9:2 Luzzi).
Grazie alla sua profonda fede nella parola profetica Daniele im-
plorò il Signore di adempiere queste promesse. Lo implorò perché
fosse salvaguardato l’onore dell’Eterno. Nella sua preghiera si iden-
tificò interamente con coloro che non erano stati fedeli e confessò i
loro peccati come fossero stati i suoi. Il profeta dichiarò: “Cominciai
anche a digiunare e, vestito di sacco, con la testa coperta di cenere
mi rivolsi al Signore Dio per pregarlo e supplicarlo” (Daniele 9:3, 4). [279]
Nonostante fosse da molto tempo al servizio del Signore e avesse ri-
cevuto da Dio il nome di “beneamato” si presentava al Signore come
un vile peccatore. Ecco la sua preghiera che esprimeva semplicità e
intenso fervore:
“Signore Dio, tu sei grande e tremendo, tu mantieni la tua al-
leanza con quelli che ubbidiscono ai tuoi comandamenti e sei fedele
con quelli che ti amano. Noi non ti abbiamo ubbidito, abbiamo
peccato e siamo colpevoli; ci siamo ribellati contro di te, ci siamo
allontanati dai tuoi comandamenti e dalle tue leggi. Non abbiamo
dato ascolto ai tuoi servi, i profeti, che hanno parlato da parte tua
ai nostri re, ai nostri capi, ai nostri padri e al popolo tutto. Tu solo,
Signore, sei giusto! Anche oggi dobbiamo solo vergognarci, noi
abitanti di Gerusalemme, popolo di Giuda e tutti gli altri Israeliti,
vicini o lontani, dispersi nelle nazioni dove tu ci hai cacciati a causa
della nostra infedeltà verso di te... Ascolta, Signore, nostro Dio, la
mia preghiera e la mia supplica. Per amor tuo, guarda con bontà il
tuo santuario devastato. Mio Dio, ascoltami, e guarda attentamente:
vedi la rovina della nostra città, di questa città a te consacrata. Ti
presentiamo le nostre suppliche ma non contiamo sui nostri meriti
bensì sul tuo amore infinito. Signore, ascoltaci! Signore, perdonaci!
Signore, guardaci! Per amor tuo, Dio mio, intervieni presto in favore
di questa città e di questo popolo a te consacrato” (Daniele 9:4-9,
16-19).
Sembrava che tutto il cielo si fosse avvicinato alla terra per
ascoltare la fervente preghiera del profeta. Prima ancora che egli
avesse finito la sua invocazione di perdono e di restaurazione il
potente angelo Gabriele gli apparve e richiamò la sua attenzione sulla
visione che gli era stata data prima della caduta di Babilonia e della
310 Profeti e re
religiosi erano state fonte di orgoglio per Israele prima della cattività;
ma le loro cerimonie molto spesso non erano state caratterizzate
da quelle qualità che Dio considera essenziali. La gloria del primo
tempio e lo splendore dei suoi servizi non potevano giustificare il
popolo nei confronti di Dio perché ciò che conta ai suoi occhi è
un cuore pentito e umiliato che i giudei avevano dimenticato di
presentargli.
Quando i veri princìpi del regno di Dio vengono dimenticati
si moltiplicano le cerimonie fastose. Quando la formazione del
carattere viene trascurata, quando non trapela la bellezza dell’animo,
la semplicità della religione viene disprezzata, l’orgoglio e la vanità
esigono magnifiche chiese, ricchi ornamenti e cerimonie imponenti.
Ma Dio non viene onorato da simili manifestazioni. Egli non valuta
la sua chiesa in funzione delle ricchezze esteriori ma per la sincera
devozione che la distingue dal mondo. Egli la valuta in base alla
crescita dei suoi membri nella conoscenza di Cristo e secondo i
progressi della loro vita spirituale. Egli si aspetta di vedere realizzati
i princìpi dell’amore e della bontà. Tutte le bellezze artistiche del
mondo non reggono il confronto con la bellezza dell’anima e del
carattere che deve manifestarsi in coloro che rappresentano Cristo.
Una chiesa può essere la più povera della terra, priva di ogni attrattiva
esteriore, ma se i suoi membri applicano i princìpi del carattere di
Cristo, gli angeli saranno presenti e parteciperanno al loro culto. Le
lodi e i ringraziamenti che scaturiranno dai loro cuori riconoscenti
si eleveranno fino a Dio come la migliore delle offerte (cfr. Salmo
[284] 107:1, 2; Salmo 105:2, 3; Salmo 107:9).
Capitolo 46: Il ruolo dei profeti di Dio
non farete alleanza con loro... Non dovrete imparentarvi con loro...
Altrimenti farebbero allontanare i vostri figli dal seguire me, e i
[285] vostri figli adorerebbero altri dei. Il Signore andrebbe in collera
contro di voi e vi distruggerebbe senza esitare... Voi, infatti, siete
un popolo consacrato al servizio del Signore, vostro Dio; egli vi ha
scelti per essere un popolo speciale la sua proprietà particolare fra
tutti i popoli della terra” (Deuteronomio 7:2-4, 6).
Le conseguenze di un’alleanza con le nazioni vicine erano sta-
te chiaramente predette a Israele (cfr. Deuteronomio 28:64-67;
Deuteronomio 4:29).
Zorobabele e i suoi collaboratori conoscevano bene questa e al-
tre rivelazioni e nella recente cattività avevano avuto prove evidenti
del loro adempimento. Essendosi pentiti degli errori commessi, che
avevano attirato su di loro e sui loro padri i giudizi preannunciati
da Mosè, essendosi riavvicinati a Dio con tutto il cuore e avendo
rinnovato il patto di alleanza con lui, era stato loro concesso di
ritornare in Giudea per restaurare ciò che era stato distrutto. Co-
me potevano dunque, all’inizio della loro missione, allearsi con gli
idolatri? Dio aveva detto: “Non farete alleanza con loro”; perciò
essendosi riconsacrati al Signore all’altare posto davanti alle rovine
del tempio, si resero conto che la linea di demarcazione fra il popolo
di Dio e il mondo circostante doveva essere sempre chiaramente e
scrupolosamente rispettata. Perciò rifiutarono di allearsi con coloro
che pur conoscendo i requisiti della legge di Dio non ne adempivano
le disposizioni.
I princìpi stabiliti nel Deuteronomio per l’istruzione di Israele
devono essere rispettati dal popolo di Dio sino alla fine dei tempi.
La vera prosperità dipende dalla fedeltà all’alleanza stabilita con
Dio. Non possiamo permetterci di allearci con coloro che non lo
rispettano.
Per quanti professano il cristianesimo vi è il costante pericolo di
pensare che per esercitare un influsso su coloro che ci circondano
sia necessario in qualche modo conformarsi alla nostra società.
Sebbene questo atteggiamento possa in apparenza offrire grandi
vantaggi, si conclude sempre con un naufragio spirituale. I figli
di Dio devono fare attenzione affinché questo influsso sottile non
penetri nell’intimo tramite le sottili seduzioni dei nemici della verità.
I cristiani sono pellegrini e stranieri in questo mondo e percorrono
Il ruolo dei profeti di Dio 317
e, alla fine, si sarebbe unito alla folla dei riscattati intorno al trono di
Dio.
“Ascolta dunque, Giosuè, sommo sacerdote, e ascoltate anche
voi, sacerdoti, suoi compagni, voi tutti che siete un segno della futura
salvezza: io sto per mandare il mio servitore chiamato “Germoglio””
(Zaccaria 3:8). In questi termini Zaccaria parla del liberatore che
sarebbe venuto e in cui sperava Israele. Grazie alla fede nel Salvatore
promesso Giosuè e il suo popolo avevano ricevuto il perdono e
avevano ristabilito il loro rapporto con Dio. In virtù dei suoi meriti,
se avessero osservato fedelmente i suoi comandamenti, sarebbero
[294] stati “dei segni” onorati e scelti dal cielo fra le nazioni della terra.
Come Satana accusò Giosuè e il suo popolo, così in tutti i tempi
accusa coloro che cercano la misericordia e godono dell’amore di
Dio. Egli è: “... l’accusatore dei nostri fratelli, colui che li incolpava
giorno e notte dinanzi a Dio” (Apocalisse 12:10).
Il conflitto si ripete nei confronti di ogni persona strappata dal
potere del male, e il cui nome è registrato nel libro della vita dell’A-
gnello. Nessuno è mai accolto nella famiglia di Dio senza provocare
la decisa resistenza del nemico. Ma colui che era la speranza d’I-
sraele, il suo difensore, la sua giustizia, il suo redentore, anche oggi
è la speranza della chiesa.
Le accuse di Satana rivolte a coloro che cercano il Signore non
sono dettate dall’odio per i loro peccati. Al contrario egli esulta
per i loro difetti di carattere in quanto sa che solo mediante la
trasgressione della legge di Dio potrà affermare il suo potere su di
loro. Le sue accuse sono ispirate unicamente dal suo odio per il
Salvatore. Ma tramite il piano della salvezza Gesù elimina l’influsso
di Satana sulla famiglia umana e la libera dalla sua potenza. Allora
tutto l’odio e tutta la malizia del principe del male si inaspriscono in
presenza della supremazia del Cristo. Egli mette in atto tutta la sua
potenza e la sua astuzia per strappare al Signore gli uomini che hanno
accettato la salvezza. Egli li spinge allo scetticismo inducendoli a
perdere la fiducia in Dio e a separarsi dal suo amore. Egli li invita a
infrangere la legge e poi li reclama come suoi prigionieri contestando
il diritto di Cristo di sottrarli a lui.
Satana sa che tutti coloro che chiedono a Dio il perdono e la
grazia saranno esauditi, ecco perché presenta loro i peccati com-
messi affinché si scoraggino. Egli crea continuamente occasioni in
Giosuè e l’angelo 327
Quando Ciro permise agli ebrei di ritornare nel loro paese, circa
cinquantamila persone ne approfittarono. Essi però, rispetto alle
centinaia di migliaia di esuli sparsi nelle varie province della Medo-
Persia, non erano che un piccolo gruppo. La maggior parte degli
ebrei aveva scelto di rimanere in esilio piuttosto che affrontare le
difficoltà del viaggio di ritorno e della nuova sistemazione nelle loro
città e nelle case devastate.
Trascorsero una ventina di anni e un secondo decreto, favorevole
come il primo, fu emanato da Dario Istaspe, il sovrano sul trono a
quell’epoca. Così Dio, nella sua misericordia, offrì agli ebrei un’altra
opportunità per ritornare nella terra dei loro padri. Il Signore aveva
previsto i momenti difficili che avrebbero dovuto affrontare durante
il regno di Serse, l’Assuero del libro di Ester, e non solo influì su
coloro che occupavano posti autorevoli, ma ispirò Zaccaria affinché
esortasse gli esuli a rientrare in patria.
“... ora fuggi, lascia Babilonia, la regione del nord!” proclamava
il profeta alle tribù disperse d’Israele che si erano stabilite in regioni
lontane dal loro luogo di origine. “Ti ho disperso in ogni direzione...
Gente di Gerusalemme, esiliata a Babilonia, scappa via! Il Signore
dell’universo mi ha dato una missione importante a proposito delle
nazioni che ti hanno saccheggiato. Egli dichiara: “Chiunque ti toc-
ca, popolo mio, tocca quel che ho di più prezioso. Io agirò contro
le nazioni: saranno saccheggiate da quelli stessi che prima erano
loro schiavi”. Quando questo accadrà, allora tu riconoscerai che il
Signore dell’universo mi ha mandato” (Zaccaria 2:10-13).
Il piano di Dio non era cambiato: considerando il comportamento
del popolo di Dio gli uomini avrebbero lodato e glorificato il suo
nome. Nel corso dei lunghi anni dell’esilio aveva offerto loro molte
occasioni per rinnovare il loro patto con lui. Alcuni israeliti avevano
ascoltato i suoi avvertimenti e ne avevano tratto vantaggio. Altri
erano stati protetti in momenti difficili. Essi rappresentavano la
maggior parte di coloro che formavano quel piccolo gruppo che era
335
336 Profeti e re
339
340 Profeti e re
352
L’uomo chiave 353
era stata inviata aperta, affinché potesse essere letta al popolo che a
[333] sua volta sarebbe stato spaventato e intimidito dal suo contenuto.
Egli inviò subito la risposta: “Non c’è niente di vero in quello che
scrivi. È tutta una tua invenzione” (Neemia 6:8). Non ignorava gli
inganni di Satana; sapeva che il nemico faceva degli sforzi disperati
per scoraggiare coloro che erano impegnati nei lavori e per far
cessare l’opera di restaurazione.
Satana era stato ripetutamente sconfitto e, con maggiore maligni-
tà e astuzia, tese un’insidia ancora più pericolosa al servitore di Dio.
Sanballat e i suoi accoliti pagarono degli uomini che si sarebbero
spacciati per amici di Neemia affinché gli dessero dei cattivi consigli
definiti messaggi del Signore. L’ideatore di questa iniziativa era
Semaia, un uomo che Neemia aveva molto stimato in passato. Egli
si chiuse in una stanza vicino al santuario come se temesse per la sua
vita. Il tempio, allora, era protetto da mura e da porte mentre quelle
della città non erano state ancora sistemate. Manifestando grande
preoccupazione per la sicurezza di Neemia, Semaia gli consigliò di
rifugiarsi nel tempio. Propose: “Nascondiamoci insieme nel tempio,
dentro la sala centrale. Chiudiamo bene le porte: i nemici vogliono
ucciderti, certamente di notte verranno” (Neemia 6:10).
Se Neemia avesse seguito questo falso consiglio avrebbe sacri-
ficato la sua fede in Dio e sarebbe apparso, agli occhi del popolo,
codardo e spregevole. Per adempiere l’importante opera che aveva
intrapreso e per testimoniare la sua fiducia nella potenza divina,
non poteva essere incoerente e nascondersi per paura. L’allarme si
sarebbe propagato fra il popolo e ognuno avrebbe cercato di mettersi
in salvo. La città, lasciata senza protezione, sarebbe diventata facile
preda dei suoi nemici. Una simile decisione da parte di Neemia
avrebbe significato la perdita di valore di tutto ciò che era stato
realizzato fino a quel momento.
Neemia non tardò a rendersi conto del vero carattere e dello
scopo del suo consigliere: “Ripensandoci, capii che questo consiglio
non veniva da Dio: Sanballat e Tobia l’avevano pagato per questo.
Volevano che io, per paura, compissi quel gesto proibito. Così mi
avrebbero disonorato e rovinato” (Neemia 6:12).
Il cattivo consiglio dato da Semaia era appoggiato da alcuni
uomini molto influenti che, pur dichiarandosi amici di Neemia, si
erano accordati segretamente con i suoi nemici. Però fu inutile
Complotti dei pagani 371
Era il periodo della festa delle Trombe e molti membri del popolo
erano riuniti a Gerusalemme. Lo scenario era desolante. Le mura
della città erano state ricostruite, le porte ripristinate, ma gran parte
della città era ancora in rovina.
Su una pedana di legno eretta in una delle vie più larghe e
circondata dalle vestigia della passata gloria di Giuda, c’era Esdra,
ormai in età avanzata. Accanto a lui vi erano i leviti. Da questo
palco si poteva scorgere una grande folla. Gli israeliti erano accorsi
dall’intero paese circostante. “Esdra lodò il Signore, il grande Dio,
e tutti alzarono le mani e risposero: “Amen, Amen!”. Si inchinarono
fino a terra per adorare il Signore” (Neemia 8:6).
Eppure anche in quella folla si potevano constatare le prove del
peccato d’Israele. In seguito ai matrimoni contratti con cittadini
di altre nazioni la lingua ebraica risultava alterata ed era quindi
necessario spiegare la legge nella lingua del popolo in modo che
tutti la potessero capire (cfr. Neemia 8:8). “La gente sentì quel che
la legge richiedeva...” (Neemia 8:9), tutti ascoltavano con rispetto
le parole dell’Altissimo. Durante la lettura essi si convinsero della
loro colpa e piansero per le loro trasgressoni. Ma quel giorno era un
giorno di festa, una santa convocazione alla quale partecipare con
gioia e letizia; per questo furono invitati a frenare la loro tristezza
e a rallegrarsi per la grande misericordia di Dio nei loro confronti.
Neemia disse: “Questo è un giorno santo, è il giorno del Signore
vostro Dio, non dovete essere tristi e piangere” (Neemia 8:9). Esdra
aggiunse: “Dovete far festa, preparare un pranzo con buone carni e
buon vino e mandate una porzione a chi non ne ha. Oggi è un giorno
consacrato al Signore. Non dovete essere tristi, perché la gioia che
viene dal Signore vi darà forza” (Neemia 8:10).
La prima parte della giornata fu consacrata ai servizi religiosi e il
popolo trascorse il resto del tempo a esprimere la propria gratitudine
per le benedizioni ricevute e a goderne i frutti condividendoli con
374
Lettura solenne della legge di Dio 375
i poveri che non avevano potuto preparare nulla. Erano tutti felici
perché le parole della legge erano state lette e comprese.
Il giorno seguente trascorse nello stesso modo e al momento [338]
stabilito, il decimo giorno del settimo mese, furono celebrati solen-
nemente i riti del giorno delle Espiazioni, secondo le indicazioni
date da Dio. Fra il quinto e il ventiduesimo giorno di questo mese, il
popolo e i capi giudei celebrarono la festa delle Capanne (Neemia
8:15-18).
Ascoltando, ogni giorno, la lettura della legge, il popolo si con-
vinse delle sue trasgressioni e di quelle delle generazioni precedenti.
Essi capirono che allontanandosi da Dio i discendenti di Abramo
avevano rinunciato alla sua protezione ed erano stati dispersi in terre
lontane; decisero quindi di fare appello alla sua misericordia e impe-
gnarsi a osservare i suoi comandamenti. Prima di celebrare questo
rito solenne, il secondo giorno dopo la festa delle Capanne, presero
la decisione di separarsi dai pagani che si trovavano fra loro.
Quando s’inchinarono davanti al Signore, confessando i propri
peccati e invocando il perdono, i capi li incoraggiarono a credere in
Dio che, secondo la sua promessa, esaudisce le preghiere. Essi non
dovevano solo addolorarsi, piangere e pentirsi ma anche credere che
Dio li perdonava. Dovevano esprimere la loro fede raccontando le
benedizioni di cui erano stati l’oggetto e lodandolo per la sua grande
bontà (cfr. Neemia 8:5, 6 e segg.).
Cessato il canto di lode, i capi raccontarono la storia d’Israele:
quanto grande era stata la bontà di Dio nei loro confronti e quanto
grande l’ingratitudine del popolo. Allora tutto il popolo si impegnò
a osservare i comandamenti di Dio. Essi erano stati puniti per i
loro peccati e ora riconoscevano la giustizia del comportamento di
Dio nei loro confronti e si impegnavano a ubbidire alla sua legge.
Affinché questo patto restasse valido nel tempo e venisse conservato
come ricordo dell’impegno preso, fu scritto e firmato dai sacerdoti,
dai leviti e dai prìncipi. Esso doveva rappresentare un ricordo e una
barriera contro la tentazione. Il popolo fece “... questo giuramento
sotto pena di maledizione: “Seguiremo la legge che Dio ci ha dato
per mezzo di Mosè suo servitore, la rispetteremo e metteremo in
pratica tutti i comandamenti, le leggi e le prescrizioni del Signore
nostro Dio”” (Neemia 10:30). Inoltre gli israeliti promisero di non
contrarre matrimoni con gli abitanti del paese.
376 Profeti e re
porte; sapeva infatti che essi incutevano maggior rispetto della gente
comune perché per la responsabilità che avevano nel gestire i servi-
zi del santuario si pensava sarebbero stati più zelanti nell’imporre
l’ubbidienza alla legge di Dio.
Poi Neemia si preoccupò del problema relativo ai matrimoni e
ai legami con i pagani che era diffuso in tutta la nazione. Egli scrive:
“In quel periodo venni anche a sapere che alcuni avevano sposato
[342] donne ammonite, moabite e della città di Asdod. Metà dei loro figli
parlava la lingua di Asdod, altri usavano lingue di popoli diversi, ma
nessuno sapeva la nostra” (Neemia 13:23). Queste unioni illegittime
avevano provocato un certo disagio in Israele poiché alcuni di coloro
che le avevano contratte occupavano posizioni di rilievo. Erano
capi che il popolo considerava consiglieri ed esempi. Prevedendo
le conseguenze che ne sarebbero risultate per la nazione, Neemia
rimproverò con forza coloro che avevano sbagliato. Ricordò loro il
caso di Salomone, che non era stato uguagliato da nessun altro re in
quanto a gloria, aveva ricevuto da Dio una grande saggezza, ma le
mogli pagane lo avevano allontanato dall’Eterno e il suo esempio
aveva portato Israele alla corruzione (cfr. Neemia 13:25, 27).
Facendo loro conoscere gli ordini e gli avvertimenti di Dio e
i castighi che in passato avevano colpito Israele, le loro coscien-
ze furono risvegliate ed ebbe così inizio un’opera di riforma che
placò l’ira di Dio suscitando invece la sua approvazione e la sua
benedizione.
Alcuni che esercitavano funzioni sacre intercedettero in favore
delle loro mogli pagane, non volendosi separare da loro. Ma non
venne fatta nessuna distinzione: non si tenne conto né del rango
né della posizione. Chiunque, fra i sacerdoti o i capi, non volle
rinunciare ai suoi legami con gli idolatri fu immediatamente escluso
dal servizio del Signore. Un nipote del sommo sacerdote, che aveva
sposato una figlia del noto Sanballat, non solo fu rimosso dal suo
incarico ma anche prontamente bandito da Israele.
Com’era angosciato il fedele servitore di Dio quando fu costretto
ad agire con tanta severità! Solo il giorno del giudizio lo rivelerà.
Fu costretto a combattere costantemente contro i suoi avversari e fu
solo grazie al digiuno, all’umiliazione e alla preghiera che l’opera
del Signore progredì.
Molte persone sposate con degli idolatri scelsero di seguirli
Un’opera di riforma 381
come il Signore avrebbe unto colui che doveva portare “... una buona
novella agli umili... fasciare quelli che hanno lo spirito contrito...
proclamare la libertà a quelli che sono in cattività... proclamare
l’anno di grazia dell’Eterno...” (Isaia 61:1, 2).
Però i loro cuori erano colmi di tristezza pensando alle sofferen-
ze che il Messia avrebbe dovuto sopportare per adempiere il piano
divino. Umiliati, essi si soffermavano sulle parole del profeta: “Chi
di noi ha creduto alla notizia che abbiamo ricevuto? Chi di noi vi ha
visto la mano di Dio? Davanti al Signore infatti il suo servo è cresciu-
to come una pianticella, come una radice in terra arida. Non aveva
né dignità né bellezza, per attirare gli sguardi. Non aveva prestanza,
per richiamare l’attenzione. Noi l’abbiamo rifiutato e disprezzato;
come un uomo pieno di sofferenze e di dolore. Come uno che fa
ribrezzo a guardarlo, che non vale niente, e non lo abbiamo tenuto
in considerazione. Eppure egli ha preso su di sé le nostre malattie,
si è caricato delle nostre sofferenze, e noi pensavamo che Dio lo
avesse castigato, percosso e umiliato. Invece egli è stato ferito per
le nostre colpe, è stato schiacciato per i nostri peccati. Egli è stato
punito, e noi siamo stati salvati. Egli è stato percosso, e noi siamo
guariti. Noi tutti eravamo come pecore smarrite, ognuno seguiva la
sua strada. Ma il Signore ha fatto pesare su di lui le colpe di tutti
noi. Egli si è lasciato maltrattare, senza opporsi e senza aprir bocca,
docile come un agnello condotto al macello, muto come una pecora [351]
davanti ai tosatori... È stato sepolto con i criminali, si è trovato con i
ricchi nella tomba. Eppure non aveva commesso alcun delitto, non
aveva ingannato nessuno” (Isaia 53:1-9).
Tramite il profeta Zaccaria, parlando delle sofferenze del Sal-
vatore, Dio dichiarò: “Spada colpisci il pastore, mio compagno!...”
(Zaccaria 13:7).
Il Cristo doveva subire la giustizia divina, prendere il posto del
peccatore e riscattarlo. Era necessario che comprendesse il signifi-
cato della giustizia celeste e ciò che significa per l’uomo comparire
davanti a Dio senza intercessore.
Per mezzo del salmista il Redentore aveva profetizzato di se
stesso: “L’oltraggio mi ha spezzato il cuore e mi sento venir meno.
Attendevo conforto, ma invano, un po’ di pietà, e non l’ho trovata.
Nel mio cibo hanno messo veleno, avevo sete, mi hanno offerto
aceto” (Salmo 69:21, 22). E del trattamento che avrebbe ricevuto,
390 Profeti e re
396
“La casa d’Israele” 397
mio, per non diventare complici dei suoi peccati; fuggite, per non
subire insieme con lei il castigo che la colpisce” (Apocalisse 14:8;
Apocalisse 18:4). Come gli esuli in cattività udirono il messaggio:
“Fuggite lontano da Babilonia” (Geremia 51:6) e fu loro restituita la
terra promessa, così coloro che oggi temono Dio prestano ascolto
al messaggio che li invita ad allontanarsi dalla Babilonia spirituale.
Presto si presenteranno come trofei della grazia divina nella nuova
terra, la Canaan celeste.
Con quale solennità il profeta Malachia rispose alla domanda
ironica dei malvagi: “Dov’è il Dio che giudica con giustizia?... Chi
potrà sopravvivere al giorno in cui egli arriverà? Chi potrà restare in
piedi, quando apparirà? Egli sarà come il fuoco che raffina i metalli,
come il sapone che lava i vestiti” (Malachia 2:1z; Malachia 3:2, 3).
Ecco il messaggio che proclamava il precursore prima della
sua apparizione: “Cambiate vita” pubblicani, peccatori, saduccei e
farisei “perché il regno di Dio è ormai vicino” (Matteo 3:2).
Oggi i collaboratori di Dio animati dallo spirito e dalla potenza
di Elia e di Giovanni Battista attirano l’attenzione di un mondo desti-
nato al giudizio divino sui solenni avvenimenti che si verificheranno
ben presto, avvenimenti che precederanno le ultime ore della prova
suprema e dell’apparizione di Gesù Cristo il Re dei re e il Signore
dei signori. Ben presto ognuno di noi sarà giudicato secondo le sue
opere. L’ora del giudizio è vicina ed è compito dei membri della
chiesa di Dio avvertire gli uomini che rischiano di perdere la vita
eterna. Deve essere chiaramente annunciato a ogni uomo che ci sono
dei princìpi in gioco nel gran conflitto che si combatte fra Cristo e
Satana, princìpi da cui dipende il destino dell’umanità.
In queste ore finali del tempo di grazia in cui la sorte di ogni
essere umano sta per essere decisa per l’eternità, il Signore si aspetta
che la sua chiesa si risvegli per impegnarsi al massimo delle sue
possibilità.
Coloro che sono stati liberati in Cristo tramite la conoscenza
della verità sono considerati dal Signore come suoi eletti, favoriti
fra tutti gli altri popoli della terra ed egli conta su di loro per pro-
clamare le lodi di colui che li ha chiamati dalle tenebre alla sua
meravigliosa luce. Le benedizioni che sono state accordate loro così
generosamente devono essere comunicate agli altri. La buona notizia
della salvezza deve essere proclamata a ogni nazione, tribù, lingua e
404 Profeti e re
4:18, 19). Questa è l’opera che affidò ai discepoli (cfr. Matteo 5:14,
16; Isaia 58:7, 8).
Così nella notte delle tenebre spirituali la gloria di Dio risplen-
derà tramite la sua chiesa per rialzare chi è oppresso e dare conforto
a coloro che piangono. Attorno a noi si odono i gemiti di dolore del
mondo. Ovunque vi sono persone bisognose e disperate. Spetta a
noi aiutarle a risollevarsi e a rendere più sopportabili le avversità e le
miserie della vita. Solo l’amore di Cristo può rispondere ai bisogni
dello spirito. Se egli è in noi, i nostri cuori saranno ricolmi della
tenerezza di Dio e zelanti sotto l’impulso di un amore simile a quello
di Cristo. Molti oggi non sperano più. Offriamo loro un po’ di gioia
e di luce! Molti sono scoraggiati. Offriamo loro parole di confor- [364]
to. Preghiamo per loro. Alcuni hanno bisogno del pane della vita.
Leggiamo loro la Parola di Dio. Altri sono malati spiritualmente e
nessuna medicina può guarirli. Avviciniamo queste persone a Gesù.
La luce è una benedizione universale che viene diffusa su un
mondo ingrato, malvagio e senza ideali. La stessa cosa si verifica
per il Sole di giustizia. La terra è immersa nelle tenebre del peccato,
della tristezza e della sofferenza; essa deve essere illuminata dalla
conoscenza dell’amore di Dio. La luce che scaturisce dal trono
celeste non potrebbe escludere nessun gruppo, nessun ceto, nessuna
classe.
Il messaggio di speranza e di misericordia deve essere proclama-
to fino alle estremità della terra. Tutti coloro che desiderano possono
godere delle benedizioni della potenza celeste e riconciliarsi con Dio.
I pagani non devono più essere vittime dell’ignoranza; l’oscurità
sparirà davanti ai raggi splendenti del Sole di giustizia.
Cristo ha fatto il possibile affinché la sua chiesa fosse un corpo
trasformato, illuminato dalla luce celeste e rivestito della gloria
dell’Emanuele. Egli desidera che ogni cristiano viva in un’atmosfera
spirituale di luce e di pace. Egli desidera che le nostre vite rivelino
la sua gioia.
Il profeta Isaia afferma: “Alzati, Gerusalemme, brilla di luce:
perché la gloria del Signore risplende su di te e ti illuminerà” (Isaia
60:1). Cristo sta per venire con potenza e gran gloria. Verrà con la
propria gloria e con quella del Padre, accompagnato da un corteo di
santi angeli. Mentre tutto il mondo è immerso nelle tenebre, la luce
brilla nelle case dei santi. Essi percepiranno i primi bagliori della
406 Profeti e re
Nei momenti più difficili della sua lunga lotta contro il male,
la chiesa aveva ricevuto le rivelazioni relative al piano eterno del-
l’Altissimo. Fra le prove che avrebbe dovuto affrontare su questa
terra, poteva intravedere i trionfi futuri, quando alla fine di questa
lotta i redenti sarebbero entrati in possesso della terra promessa. La
scena della gloria futura, dipinta dalla mano di Dio, oggi dovrebbe
essere particolarmente cara alla chiesa perché si sta rapidamente
concludendo questo grande conflitto e le benedizioni dell’Altissimo
stanno per realizzarsi.
Sono stati tanti i messaggi di conforto rivolti alla chiesa dai
profeti del Vecchio Testamento. Il mandato che Dio aveva affidato
a Isaia è ben espresso in questi termini: “Confortate, confortate il
mio popolo!” (Isaia 40:1). Queste parole erano accompagnate da
visioni meravigliose che sono state per i credenti motivo di speranza
e di gioia nel corso dei secoli successivi. Disprezzati dagli uomini,
perseguitati, abbandonati, i figliuoli di Dio in ogni epoca sono stati
però sostenuti dalle sue sicure promesse. Hanno visto per fede il
momento in cui il Signore avrebbe adempiuto la promessa fatta alla
sua chiesa: “... ti renderò bella per sempre, sarai l’orgoglio e la gioia
delle generazioni future” (Isaia 60:15).
La chiesa militante è spesso chiamata ad affrontare prove e af-
flizioni perché solo attraverso un duro conflitto otterrà la vittoria.
“Pane di angoscia” e “acqua d’oppressione” sono il comune retaggio
di tutti i credenti, ma coloro che riporrano la propria fiducia nell’On-
nipotente non saranno sopraffatti. “Discendenti di Giacobbe, popolo
d’Israele, il Signore ti ha creato con saggezza e ora ti assicura: “Non
temere, io ti ho chiamato per nome e ti ho liberato: tu sei mio! Se tu
attraverserai fiumi profondi, io sarò con te: le acque non ti sommer-
geranno. Se passerai attraverso il fuoco, tu non brucerai: le fiamme
non ti consumeranno. Io sono il Signore, il tuo Dio, il Santo d’Israele
che ti salva. Darò l’Egitto in cambio della tua libertà, l’Etiopia e
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408 Profeti e re
porte della città celeste, alla gloria infinita riservata ai redenti (cfr.
Giacomo 5:7, 8).
I salvati conosceranno soltanto la legge del cielo. Tutti forme-
ranno una famiglia felice, unita e saranno rivestiti dal manto della
lode e del ringraziamento. Echeggeranno le melodie cantate dalle
stelle del mattino e i figli di Dio esulteranno di gioia mentre Dio e
Cristo proclameranno insieme: “Non ci sarà più il peccato né vi sarà
più la morte!”.
“A ogni festa di luna nuova e ad ogni sabato tutti verranno ad
inchinarsi davanti a me” (Isaia 66:23). “Allora il Signore manifesterà
la sua presenza gloriosa e tutti potranno vederla” (Isaia 40:5). “Come
la terra fa nascere i germogli... così Dio, il Signore, farà sbocciare la
giustizia e la lode davanti a tutte le nazioni” (Isaia 61:11; cfr. Isaia
28:5; Isaia 51:3; Isaia 35:2; Isaia 62:4, 5).