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Serie occidentale 5
—
Per una poetica
storica delle
chansons de geste
Elementi e modelli
Andrea Ghidoni
Edizioni
Ca’Foscari
Per una poetica storica delle chansons de geste
Serie diretta da
Eugenio Burgio
6|5
Edizioni
Ca’Foscari
Filologie medievali e moderne
Serie occidentale
Direttore
Eugenio Burgio (Università Ca’ Foscari Venezia, Italia)
Comitato scientifico
Massimiliano Bampi (Università Ca’ Foscari Venezia, Italia)
Saverio Bellomo (Università Ca’ Foscari Venezia, Italia)
Marina Buzzoni (Università Ca’ Foscari Venezia, Italia)
Serena Fornasiero (Università Ca’ Foscari Venezia, Italia)
Lorenzo Tomasin (Università Ca’ Foscari Venezia, Italia)
Tiziano Zanato (Università Ca’ Foscari Venezia, Italia)
Serie orientale
Direttore
Antonella Ghersetti (Università Ca’ Foscari Venezia, Italia)
Comitato scientifico
Attilio Andreini (Università Ca’ Foscari Venezia, Italia)
Giampiero Bellingeri (Università Ca’ Foscari Venezia, Italia)
Paolo Calvetti (Università Ca’ Foscari Venezia, Italia)
Marco Ceresa (Università Ca’ Foscari Venezia, Italia)
Daniela Meneghini (Università Ca’ Foscari Venezia, Italia)
Antonio Rigopoulos (Università Ca’ Foscari Venezia, Italia)
Bonaventura Ruperti (Università Ca’ Foscari Venezia, Italia)
http://edizionicafoscari.unive.it/col/exp/36/FilologieMedievali
Per una poetica storica
delle chansons de geste
Elementi e modelli
Andrea Ghidoni
Venezia
Edizioni Ca’ Foscari - Digital Publishing
2015
Per una poetica storica delle chansons de geste: Elementi e modelli
Andrea Ghidoni
http://edizionicafoscari.unive.it/col/exp/36/74/FilologieMedievali/6
Per una poetica storica delle chansons de geste: Elementi e modelli / Andrea Ghidoni. — 1.
ed. — Venezia : Edizioni Ca’ Foscari - Digital Publishing, 2014. — 120 p. ; 23 cm. — (Filologie
medievali e moderne ; 6). — ISBN 978-88-6969-001-3. — Disponibile in PDF all’indirizzo http://
edizionicafoscari.unive.it/col/exp/36/74/FilologieMedievali/6
Abstract
An innovative model for the formation of the genre of the chansons de geste in the
eleventh-century France should focus on the concept of genre and conceive itself as
a historical poetics. This approach will not take in consideration individual legends,
but it will study how heroic narratives were transformed by the literary tradition of
the first chansons de geste.
We cannot exclude the presence of very old materials (imagery, patterns, char-
acters) that survive even in medieval poems, but these are dissolved and processed
within the formal and structural frame of the medieval poetics and the Carolingian
chronotope of the chansons de geste.
The matter of the French epic – a mass of polymorphic legends and texts, not able
to set up a firm literary tradition before the genesis of the chansons – through the
first poems is in a certain sense reworked and canonized. The traditional models of
the origins of the genre, the individualism and the traditionalism, fail to consider an
approach to the genre: they are inclined to identify the stages of single legendary
or poetic traditions; they explain, with different perspectives, how, for example, the
legend about Roland evolved, but not what distinguishes specifically a chanson de
geste from other coeval vernacular heroic narratives, in terms of poetic techniques
and rhetorical formulas, imagery, patterns, characters: this is instead the perspec-
tive of a historical poetics.
The neologism ‘proto-gestic’ tries to label the materials preceding the chansons,
not from a chronological point of view, but because they reflect a previous formal
phase: it is an unstable mass of legends and texts, loose traditions and poetic nar-
ratives; the first chansons were a portion of them that gradually gained importance
and imposed a traditional form for the heroic epic with Carolingian background.
In practice, the model presented is an individualism of the texts, according to
which a few texts – a population of texts, in biological words – forged in a limited
area (possibly, the Loire Valley) would have contributed to the definition of a more
and more standardized form for the epic texts, through mutual imitation: these texts
can be invested with a kind of rôle directeur in the process of the definition of the
verbal means of the chansons and of their Carolingian chronotope, on which they
are based and to which they always do reference.
Indice
Introduzione9
Il transfert epico 25
Bibliografia107
Per una poetica storica delle chansons de geste
Elementi e modelli
Andrea Ghidoni
1 Introduzione
1 Il termine ‘gestico’ è coniato in analogia a aggettivi di largo uso nella critica dei generi
letterari come ‘tragico’, ‘comico’, ‘epico’ (rispettivamente da ‘tragedia’, ‘commedia’, ‘epos’).
Mancando un aggettivo che designasse ciò che pertiene alle chansons de geste (intese com-
plessivamente come genere letterario storicamente e culturalmente definito), ho introdotto
il neologismo, ricalcato sul sostantivo antico-francese geste, il quale, grazie alle sue diverse
accezioni (‘storia’, ‘impresa eroica’, ‘narrazione leggendaria’, ‘lignaggio’), dal punto di vi-
sta del contenuto meglio identifica sia la componente storico-narrativa delle chansons, sia
quella eroica e quella legata all’esaltazione di un lignaggio. Con il termine ‘protogestico’ mi
riferisco a ciò che precede la tradizione delle chansons de geste, ossia tradizioni narrative
non inquadrate nella tecnica e nel genere delle canzoni di gesta come le conosciamo noi: non
è necessariamente un concetto temporale ma può anche indicare l’evoluzione in progress
delle tradizioni epiche francesi (un’alternativa poteva essere l’utilizzo di ‘protoepico’, ma
questo termine rischia di creare l’equivoco che le leggende non inquadrate nei poemi non
siano epica).
9
Per una poetica storica delle chansons de geste
2 Lo studioso spagnolo qua si riferisce alla letteratura arturiana, ma le sue parole si applicano
bene alla materia carolingia.
Introduzione11
Per una poetica storica delle chansons de geste
3 Per l’ipotesi di una elaborazione delle tecniche delle chansons e dei primi testi del genere
attraverso una collaborazione ristretta all’interno di uno o più laboratori, avanzo qua un con-
fronto esemplificativo con un’altra realtà ‘epica’ medievale. Il caso è tratto dalla tradizione
di Nibelungenlied e Nibelungenklage (che narrativamente è il seguito del primo). Queste due
opere, composte all’incirca all’inizio del XIII secolo, presentano ciascuna differenti versioni,
alle quali è impossibile attribuire una certa priorità cronologica: non si tratta di rielaborazioni
di versioni precedenti, di rimaneggiamenti; sembra piuttosto che vi sia stata fin dal momento
della loro composizione una reciproca contaminazione, pur presentando ciascuna versione
una propria autonomia ideologica e poetica, un’accentuazione di determinate prospettive
narrative solo in nuce nelle altre varianti. La stretta interrelazione pare estendersi anche tra
le due opere stesse, per cui la tradizione manoscritta, fin dall’inizio, lega assieme i due testi,
i quali presentano reciproci prestiti e reciproca conoscenza. Pertanto è verosimile l’ipotesi di
un’immediata vicinanza, nel tempo e nello spazio, tra Lied e Klage, tanto che si può parlare
di Nibelungenwerkstatt: le opere sarebbero state commissionate a un laboratorio (presumi-
bilmente a Passau) che, eventualmente sotto la guida di un ‘maestro’, avrebbe prodotto anche
diverse versioni delle medesime opere, utilizzando pure differenti tecniche compositive (Klage
e Lied utilizzano elementi prosodici diversi). L’esempio è calzante per spiegare l’uniformità
generica che si riscontra fin dalle chansons più antiche, pur permanendo differenti opzioni
poetiche (l’uso di octo- e décasyllabe). Il contesto del laboratorio e della bottega sotto la gui-
da di un maestro è una rappresentazione costante e assodata per l’arte medievale: potrebbe
essere utilmente applicata anche per la formazione del genere delle chansons de geste. Per
una breve discussione delle ipotesi sulla prima tradizione manoscritta dei poemi nibelungici
si veda Bumke 1996, pp. 590-594.
4 Sul ruolo della scrittura nella composizione e nella rielaborazione si può vedere Delbouille
1959.
12Introduzione
Per una poetica storica delle chansons de geste
[…] C’est ainsi que, dans le cours progressif des genèses collectives,
grâce à quelqu’un et en un moment privilégié, une mutation brusque
peut s’opérer, qui transforme tout en valeur et en qualité [Pierre Le
Gentil 1960, pp. 132-133].
Introduzione13
Per una poetica storica delle chansons de geste
Elementi e modelli
Andrea Ghidoni
1 Nel seguito del discorso farò riferimento alle sole conclusioni della mia edizione (Ghidoni
2013a, 2014b): per ulteriori dettagli rinvio agli apparati introduttivi e alle appendici. Sia il lavo-
ro ecdotico che il presente studio sulle origini delle chansons de geste sono stati inizialmente
elaborati nel corso della mia tesi di dottorato, discussa nel marzo 2013 presso l’Università
di Macerata.
2 Sinteticamente, la lingua del frammento è caratterizzata soprattutto da elementi occidentali
e sud-occidentali: in particolare, per quanto concerne la fonetica, decisive sono l’equivalenza
praticamente a tutti i livelli dei suoni esito di Ō e Ŭ latine e le sporadiche occorrenze in cui non
si verifica l’effetto previsto dalla legge fonetica di Bartsch. Tali tratti sono la maggioranza di
fronte all’unico elemento propriamente franciano – comunque ineludibile – tale da escludere i
dialetti occidentali, cioè l’utilizzo di e nasale in assonanza con a nasale, convergenti nel suono ã.
15
Per una poetica storica delle chansons de geste
che, oltre a fornire la base per la localizzazione del poema, sono utili ad
agganciare la tradizione epica delle prime chansons de geste al prestigio
culturale del Poitou.3 In realtà questo tratto è riscontrabile anche nella
Chanson de Roland, nella Chanson de Guillaume: pertanto è plausibile
che non si tratti di un dialettalismo del compositore, ma di un elemento
della poetica delle prime canzoni di gesta, la cui tradizione andrà quindi
localizzata in un’area prossima a quella del basso corso della Loira.
Aggiungo qui una breve nota sulla lingua del Gormund, su cui, assie-
me alle considerazioni sulla tradizione della leggenda, poggia l’ipotesi
sull’area della Loira che propongo. Facendo ricorso alle delimitazioni dia-
lettali entro il dominio linguistico oitanico che ci vengono proposte dalle
grammatiche storiche, i dati in nostro possesso estrapolati dai pochi versi
superstiti del poema coinvolgono due aree fondamentali: una regione la
cui parlata è moderatamente occidentale, con alcuni tratti sud-occidentali,
e una regione linguisticamente franciana. Alla prima corrispondono le
regioni storiche che si affacciano sulle rive della Loira, area che definirei
compresa tra l’Anjou orientale e meridionale (considerando anche le terre
al di là del fiume in possesso degli Angiò nell’XI secolo, come Loches e la
Turenna) e i possedimenti dei conti di Blois e Chartres, senza escludere
le frange più settentrionali del Poitou; alla seconda corrisponde invece la
regione tra Parigi e Orléans. Poiché le aree definite sopra sono contigue,
si può accogliere la definizione territoriale data già da Pope (1918), la
quale faceva coincidere la localizzazione del poema con il Comitatus Ble-
sensis, assurto a Grenzgebiet tra il dominio franciano e quello definibile
sud-occidentale (rispetto all’Île de France): ossia un’area le cui parlate
erano caratterizzate da elementi che le nostre grammatiche storiche ten-
dono a separare rigidamente in categorie che andrebbero considerate
con più elasticità. Più che di lingua letteraria, mi sembra più verosimile
e ragionevole parlare di koinè, di una lingua sovraregionale che necessi-
ta l’introduzione di regole di versificazione basate sulla commistione di
differenti sistemi fonetici entro una regione culturalmente e socialmente
attiva (quella delle contee sulla Loira), un’area comunque limitata sebbene
a cavallo tra più domini dialettali in cui venivano effettuate queste raffinate
performances di intrattenimento fondate su un testo scritto da recitare o
cantare. La vivacità culturale della valle della Loira non si limita soltanto
alla produzione latina ma produce anche testi in volgare e compone codici
che contengono molti dei primi monumenti letterari oitanici e occitanici.
Si pensi al codice Paris, BnF, lat. 2297 (inizio XII sec.) contenente il tro-
po Quant li solleiz converset en leon (XI secolo, occidentale), il ms. Reg.
Lat 1462, della Biblioteca Apostolica Vaticana (XI sec.) contenente l’Alba
religiosa bilingue occitanica e allestito a Fleury, come copiato a Fleury è
3 Ben descritto in Avalle 1962; si vedano anche: Zaal 1962; Bezzola 1944.
4 Confrontando Gormund et Isembart con due testi ritenuti contemporanei (fine XI sec.
- inizio XII), come il Roland e il Guillaume, e con il Couronnement de Louis (ritenuto del
XII secolo inoltrato) individuo alcuni tratti – limitandomi ai più significativi, intesi general-
mente e senza tener conto di singole eccezioni – che sembrano essere patrimonio comune
di questa primissima epica medievale in lingua volgare, sempre facendo affidamento alla
ragionevole certezza che genera l’occorrenza in assonanza: distinzione in assonanza tra
l’esito di a lat. ton. lib. influenzata da palatale e l’esito di a lat. ton. lib. semplice; passaggio
ai > ę il cui esito assuona con è (XI secolo; possono stare in assonanza anche a e ai, tratto
non riscontrabile in Gormund et Isembart, mentre nel Couronnement risulta assente ai >
ę); e nasale > ã (XI secolo; in Guillaume sembra che la distinzione sia meglio conservata);
equivalenza dei suoni esito di Ō e Ŭ latine, siano essi in sillaba libera o chiusa, davanti a
nasale o meno, compresi anche i latinismi in or, e di Ŏ latina in sillaba seguita da nasale;
uso del perfetto in -iet accanto a quello in -i. Questi tratti, specialmente il penultimo, sono
fenomeni che caratterizzano le aree occidentali, tranne il passaggio e nasale > ã, che è in-
dice di una localizzazione più prossima alla regione del franciano. Quest’ultimo fenomeno,
il passaggio ai > ę e l’assenza nelle assonanze a i e ü di parole contenenti gli esiti di ę + jod
e ǫ + jod (che ritroviamo verificati anche in Gormund et Isembart) costituiscono l’ossatura
della localizzazione linguistica della Chanson de Roland ipotizzata da Baist (1902) e Pope
(1928), tra i distretti attorno a Chartres e Châteaudun e l’Anjou: in pratica, quasi la stessa
area individuata per il Gormund et Isembart.
5 Per una diversa considerazione dei contenuti delle prime canzoni di gesta da quella qua pro-
posta, si veda Suard 2005. In maniera alquanto sintetica, la questione è ripresa in Ghidoni 2012.
2.2 Il quadro di stretta interrelazione tra questi testi mi porta a una du-
plice conclusione: la tecnica delle chansons de geste si è presumibilmente
formata pochi decenni prima (ma non oltre) rispetto alla composizione
dei suoi primi testimoni, mentre l’uniformità relativa che questi presen-
tano lascia pensare a un’origine se non monogenetica, comunque a una
poligenesi piuttosto ristretta nel tempo e nello spazio.6 Intendo dire che,
a prescindere da quello che possa esservi stato prima – tradizione leggen-
daria, orale o scritta, poemi epici di fattura differente, testi in volgare a
carattere agiografico; materiali che comunque fornirono sia i contenuti che
le tecniche –, a formare il genere delle canzoni di gesta deve essere stato
un gruppo ristretto di poemi assunti a modello, prodotti eventualmente da
pochi ateliers, la cui tecnica venne immediatamente imitata e considerata
esemplare in tutta la regione della Loira.7 Vi può essere stata senz’altro
una tradizione epica all’inizio dell’XI secolo, fortemente intrecciata con
i testi agiografici che costituiscono oggi i primi monumenti della lingua
volgare, ma la chanson de geste è un’altra cosa e si separa dalla testua-
lità precedente con una mutazione improvvisa e brusca – le «soudaines
mutations du XIe siècle qui donnèrent alors à tout ce qui ne vivait encore
que d’une vie fragile et modeste ou ne suscitait qu’un intérêt limité, une
dimension, une solidité, une qualité nouvelles» (Le Gentil 1970, p. 1004).8
6 Uniforme non significa monolitico: le prime canzoni di gesta, pur presentando un notevole
grado di varietà tra loro, allo stesso tempo mostrano di far parte della medesima tradizione.
Sui richiami intertestuali della prima tradizione epica si vedano Hoepffner 1931; Rychner
1955; Wathelet-Willem 1964. Il fatto che gli elementi linguistici in questione sembrano non
risalire a uno stadio anteriore alla metà dell’XI secolo (o comunque non troppo oltre quel limite
arretrato) è a mio modo di vedere una conferma di una elaborazione della tecnica poetica
e formale delle chansons in un breve periodo attorno alla metà di quello stesso secolo: se
infatti tale koinè presentasse arcaismi o una più accentuata stratificazione, potrebbe essere
il riflesso di una tradizione letteraria sviluppatasi in arco temporale più lungo, nella dizione
orale si sarebbero fossilizzate formule e immagini che tradirebbero un retaggio più antico.
Ma non essendo questo il caso delle chansons, si deve concludere che l’uniformità attuale è
il risultato di una creazione circoscritta nel tempo e nello spazio.
7 Alle spalle di quei modelli non si può escludere l’azione di un committente, di un impulso
ideologico, di un interesse culturale, politico, ecclesiastico, educativo che spingeva a elabo-
rare i contenuti di quei testi in quel modo. Per esempio il Gormund et Isembart è pieno di
riferimenti alla realtà geopolitica dell’XI secolo (molti dei cavalieri che Gormund atterra uno
dopo l’altro sono trasfigurazioni di conti e duchi realmente vissuti), anche se non è possibile
definire un piano o un intento direttivo. Si veda per esempio Bezzola 1944.
8 Quando parlo di intreccio tra agiografia e racconti (poemi?) a carattere epico non intendo
entrare nel merito della questione dei rapporti genetici tra queste forme narrative: pertanto
è indifferente il problema se siano sorte prima le vite dei santi (Segre) o se il primato sia da
attribuire a brevi poemi epici (Fassò). La tecnica di ciascuno dei due generi si è arricchita al
confronto con l’altro, ma certamente i poemi agiografici (che anticiperebbero la tecnica delle
chansons de geste), anche se fossero influenzati da una tradizione epica anteriore al Mille,
mostrano una considerevole distanza (lessicale, stilistica, narrativa) che li divide dai prodotti
della fine dell’XI secolo, per cui è necessario ipotizzare sempre una mutazione brusca per
spiegare la genesi delle chansons de geste. Cfr. Segre 1954; Zaal 1962; Fassò 2005.
9 Riassumo brevemente la leggenda a cui fa riferimento la canzone: il nobile francese Isem-
bart ha tradito e rinnegato le proprie origini cristiane e francesi per allearsi con il pagano
Gormund contro re Luigi; i due alleati, alla testa di un grande esercito, invadono la Francia set-
tentrionale e compiono devastazioni (in particolare, distruggono il monastero di Saint-Riquier);
a Cayeux l’armata pagana affronta quella francese e (qui inizia il frammento, in mediis rebus)
Gormund fa strage di cavalieri avversari; dopo aver perso gran parte dei suoi migliori cavalieri,
Luigi si decide ad affrontare lui stesso il temibile pagano; il duello termina con l’uccisione di
Gormund, anche se lo sforzo dello scontro risulterà fatale pure a Luigi: morirà un mese dopo;
Isembart, dopo aver pianto sul cadavere del suo alleato, continua a combattere pur essendo
conscio del proprio destino; nella furia cieca dello scontro, sconfigge in duello perfino il pro-
prio padre, senza riconoscerlo ma senza nemmeno ucciderlo; mentre i pagani cominciano a
fuggire, Isembart viene ferito a morte da quattro Francesi; prima di spirare chiede perdono
a Dio e alla Vergine (qui improvvisamente termina il frammento).
10 Il quadro storico di questi eventi ispiratori è fornito dalle razzie vichinghe del IX secolo
lungo le coste della Francia, attacchi che non si limitavano però alle regioni litoranee, ma che
potevano anche spingersi all’interno seguendo a ritroso il corso dei fiumi, in particolare della
Senna, della Loira, della Somme e del Rodano. Nell’879, un’armata vichinga che si ritirava
dall’Inghilterra sbarcò sul continente, a Calais e a Boulogne. Iniziò così una serie di devasta-
zioni provocate dagli invasori che si stanziarono per qualche anno nella regione della Somme:
ne fecero le spese Thérouanne, l’abbazia di Saint-Bertin; poi, l’anno successivo, Tournai, Noyon
e il distretto di Reims, quindi Arras, Cambrai e Péronne. Nel febbraio dell’881 fu devastata
ancora una volta Thérouanne. Da lì i Vichinghi mossero verso le abbazie di Saint-Riquier e
di Saint-Valery. Le devastazioni proseguirono ad Amiens e a Corbie, quindi gli invasori si spo-
starono verso Eu. In quegli anni in Francia regnavano congiuntamente i figli di Luigi il Balbo,
ossia Luigi III (nato nell’864) e Carlomanno (866-884). Fu Luigi III a superare il fiume Oise
e a muoversi con un’armata verso i Vichinghi che costituivano ormai una spina nel fianco. Il
31 agosto dell’881 ebbe luogo la battaglia nei pressi di Saucourt-en-Vimeu, al termine della
quale la vittoria fu indiscutibilmente dei francesi: al di là delle cifre sovrastimate, secondo
Reginone di Prüm i Vichinghi lasciarono sul campo ben 8 000 uomini. Emerge comunque la
sensazione che si trattasse di una vittoria senza precedenti da parte dei francesi, almeno
nell’ottica dei contemporanei. I Vichinghi però, pur ritirandosi sulla Mosa, persistettero nelle
loro razzie e continuarono ancora per diverso tempo a tormentare i regni di Carlomanno e
Carlo il Grosso. Luigi invece morì poco tempo dopo la splendida vittoria riportata a Saucourt,
il 5 agosto dell’882, forse per un incidente a cavallo.
11 In effetti, non si può fare a meno di notare la vistosa assenza del rappresentante di una
delle più importanti e illustri casate dell’XI secolo, vale a dire proprio quella di Angiò. Certa-
mente l’assenza si può spiegare con l’acefalia del poema che ci è stato tradito, tanto più che
i versi sopravvissuti iniziano con l’epilogo di una lassa in cui è evidente che Gormund abbia
appena ucciso in singolar tenzone un eroe di Francia, esattamente come succede nelle lasse
immediatamente successive. Abbiamo ottime ragioni per credere che questo cavaliere del re
di Francia sia proprio Goffredo d’Angiò: le prove a supporto di questa ipotesi sono due, una
interna al frammento, l’altra esterna a questo. Nel corso delle analisi linguistiche che ho fatto
seguire alla già citata edizione critica del testo (Ghidoni 2013a), ho insistito sul pittavinismo
probabile che è costituito da Peitiers (v. 114) in assonanza con é proveniente da a latina tonica
in sillaba aperta: il toponimo può stare in tale assonanza solo in un quadro fonetico in cui a
latina tonica in sillaba aperta preceduta da palatale abbia come esito in francese é anziché
il dittongo ie. Questa particolarità fonetica è registrata a sud della Loira, nel Poitou, di cui
appunto Poitiers (< Pictavis, locativo latino) è il capoluogo. Che tale parola non fosse solo un
pittavinismo di circostanza legato a un toponimo regionale è dimostrato dal fatto che ai vv. 471,
475, 487 sia necessario ricorrere allo stesso fenomeno fonetico per accettare le assonanze: è
verosimile che il poema sia stato composto da un individuo la cui lingua (naturale o poetica)
era caratterizzata da questa particolarità fonetica dialettale. Pertanto con rammarico sco-
priamo che la lassa acefala con cui inizia il frammento fosse in assonanza é (< a latina ton. in
sillaba libera) e che quindi nei versi perduti avremmo potuto confermare con nuovi esempi la
natura dialettale del poema. Ma possiamo indovinare alcune costanti che quasi certamente si
saranno ripresentate in questa lassa come avviene in quelle in nostro possesso: per esempio,
una caratterizzazione della provenienza del cavaliere francese attraverso un toponimo in
assonanza. A mio giudizio, solo un toponimo corrispondente a un grande dominio vassallatico
dell’XI secolo poteva essere adattato a quel contesto prosodico: Angers (< Andecavis), facen-
do ricorso ovviamente alla pronuncia pittavina. In tal modo verrebbe colmata quella lacuna
notevole causata dalla mancata partecipazione nel poema della casa d’Angiò. L’ipotesi ha un
riscontro importante in un testo successivo al frammento, il Loher und Maller, vale a dire la
traduzione tedesca che nel 1437 Elisabetta di Lorena, contessa di Nassau (1397-1456), fece
del poema (perduto) Lohier et Maillart, il quale conteneva un episodio legato alle vicende
di Gormund e Isembart. Per quanto la traduzione di Elisabetta sia un testo tardo e poco
affidabile per la ricostruzione della tradizione della leggenda, notiamo come vi siano alcune
2.3 Il recupero dei miti imperiali del mondo carolingio che riscontriamo
nella chanson de geste trova un parallelo nella pubblicistica storiografica
delle grandi famiglie vassallatiche, in particolare in quella d’Angiò, la ca-
sata che mostra la maggiore coscienza del proprio retaggio. La letteratura
genealogica12 sorge entro le mura delle abbazie-necropoli, ossia quelle
dove venivano sepolti i conti di Angiò e di Fiandra, vale a dire rispettiva-
mente Saint-Aubin d’Angers e Saint-Bertin, le quali giocano lo stesso ruolo
delle abbazie legate alla dinastia capetingia, Saint-Denis e Fleury. In questi
luoghi vengono stilate nel corso dell’XI secolo (ma con qualche sporadico
esempio già nel X secolo) tavole genealogiche estremamente succinte
e vengono prodotti anche epitaffi per le tombe dei conti. In un secondo
momento l’attività genealogica viene spostata alla corti magnatizie, dove
ci si avvale degli archivi dinastici nonché degli aneddoti e delle storie che
rimangono nella memoria dei discendenti: le genealogie, da semplici elen-
chi di nomi, si rimpolpano con dovizia di particolari storici ma anche con
leggende e miti. La genealogia non diventa quindi solo la fonte giuridica
(in un diritto basato sui rapporti di sangue) dell’ereditarietà del patrimonio,
analogie tra questo testo e la vicenda narrata nel frammento belga, le quali mostrano come il
rifacimento (o i rifacimenti) alla base del primo avesse comunque per matrice il poema dell’XI
secolo. Infatti i personaggi che compongono la corte di Ludovico sono pressappoco gli stessi
che muoiono lassa dopo lassa nel frammento: si vedono combattere per esempio un conte di
Fiandra, un conte di Champagne, Riccardo di Normandia, personaggi che per quanto generici
sono probabilmente mutuati dal poema. Vi è anche un Joffrei Dangier, a cui è affidato uno
dei vessilli del re di Francia e che viene ucciso da Germon (versione tedesca del pagano). La
storpiatura del toponimo è chiara e lascia pensare che la fonte di Elisabetta avesse Anger(s)
piuttosto che Anjou, esattamente la forma che, per ragioni prosodiche, ci si aspetterebbe nella
lassa acefala del frammento (cfr. Ghidoni 2013a, pp. 133-144).
12 La definizione di letteratura genealogica e la descrizione di questo genere letterario e
storiografico viene formulata da Duby (1967).
ma diventa anche indice della statura morale della dinastia e gli antenati
diventano veri e propri exempla proto-cavallereschi.
Da uno di questi testi di matrice comitale, la Chronica de gestis con-
sulum Andegavorum (Lot 1927) nella sua redazione più antica (inizio XII
secolo), apprendiamo le gesta di uno dei capostipiti della dinastia, il primo
Goffredo d’Angiò, detto Grisegonelle, il quale si rende protagonista di
diverse imprese al servizio del re di Francia fino a diventare gonfaloniere
reale. Su questo personaggio, esisteva una tradizione di carattere eroico,
tanto che si può dire che Geoffroi d’Anjou doveva effettivamente essere un
personaggio di frequentazioni epiche. Lo ritroviamo infatti menzionato in
numerose canzoni di gesta (Chanson des Saisnes, Aspremont, Renaut de
Montauban, Fierabras, Gaydon, Girart de Roussillon, Chevalerie Ogier).
Ma molto più importante è il ruolo che un Gefrei d’Anjou – e più in gene-
rale la dinastia angioina – riveste nella Chanson de Roland. Infatti è citato
già al v. 106 nel ruolo non irrilevante di rei gunfanuner e nella seconda
parte del poema acquista una statura eroica nelle imprese che vendicano
la morte di Roland. Notevole è che il vendicatore ultimo di Roland, ossia
il vincitore di Pinabello, rappresentante di Gano nell’ordalia che chiude il
poema, sia un Tierri «frere Gefrei, a un duc angevin» (v. 3 819).
Qualcosa di analogo alle lasse del Gormund formano le lasse del Roland
in cui vengono presentate le schiere che compongono l’esercito di Carlo
che muove per vendicare l’affronto di Roncisvalle (vv. 3 026-3 095). Cia-
scuna schiera raccoglie gli uomini di popoli o regioni assoggettate a Carlo:
i Bavaresi, gli Alemanni, i Normanni, i Bretoni, i Pittavini, gli Alverniati,
i Fiamminghi, i Frisoni, i Lorenesi e i Borgognoni. Aprono e chiudono lo
schieramento i Francesi, alla cui testa è Carlo in persona assieme a Gof-
fredo d’Angiò come gonfaloniere. Ciò che manca al Gormund rispetto al
poema rolandiano è una designazione precisa della nazione francese e
pertanto emergono in quello le casate feudali piuttosto che gruppi regio-
nali. Nel Roland invece la variegata realtà politica tra la Loira e Parigi è
assorbita all’interno del concetto di Francia: viene così esposto un modello
molto più verticistico, al cui culmine vi è il re ma anche Goffredo d’Angiò,
non più eroe connotato in senso regionale e confuso in una moltitudine di
pari, ma eroe asservito al centralismo monarchico.
Nel Gormund sembra prevalere un pluralismo paritario, in cui le varie
casate aristocratiche sono poste tutte sullo stesso piano, incarnate da
personaggi minori che si distinguono ben poco l’uno dall’altro; nel po-
ema rolandiano invece, riscontriamo un pluralismo gerarchico, in cui il
personaggio di Goffredo d’Angiò sembra rivestire un ruolo più marcato
rispetto ad altri rappresentanti di casate. In questo modo il Roland sembra
incarnare maggiormente lo spirito della letteratura genealogica del suo
tempo e tradire la matrice angioina e ligerina del testo, presente, sebbene
modulata diversamente, anche nel frammento di Bruxelles.
Il Gormund et Isembart può essere ritenuto un caso esemplare pure
22 Il contributo del Gormund et Isembart e l’ipotesi ligerina
Per una poetica storica delle chansons de geste
13 Dallo stesso Bonafin è stato poi pubblicato un nuovo studio, più approfondito, sullo stesso
argomento (2010). Si veda sul motivo del voeu du paon anche Gosman 1985 e Ghidoni 2011.
3 Il transfert epico
transfert, per il quale gli strati più antichi sono gli unici che orientano la
costruzione narrativa dei poemi che oggi possediamo: la logica sottesa al
paradigma del transfert era unicamente genetica, a scapito degli elementi
più recenti, considerati solo come una vernice sopra la sostanza sotto-
stante. Ma un simile ragionamento funzionerebbe soltanto se la radice
storica o mitica all’origine di una tradizione narrativa fosse unica e se le
altre componenti vi si aggregassero per sovrapposizione o per addizione,
mentre non funziona se consideriamo il grado di relativa uniformità delle
costruzioni narrative (senza contare la tecnica verbale) delle chansons
de geste della fine dell’XI secolo; uniformità per la quale è necessario
ipotizzare un riordinamento dei materiali storico-mitici in base a uno o
più modelli ritenuti esemplari, che forniscono la base attorno alla quale
vengono rifunzionalizzati tutti i materiali preesistenti: un mito letterario
che cercherò più avanti di meglio definire. L’origine delle chansons de ge-
ste nell’XI secolo non consiste in una utilizzazione passiva e poligenetica
di una casuale aggregazione di racconti e leggende avvenuta nei secoli,
ma ha alla base un’azione incisiva e riorganizzatrice di fronte a elementi
frammentari della tradizione culturale.
Nella prossima sezione cercherò invece di riformulare il paradigma del
transfert in modo tale da far emergere un modello diacronico che si smar-
chi dalle filiazioni genetiche1 (le quali, s’intende, non sono errate per se
stesse: è errato il modello in cui sono concepite e che le pone come prin-
cipio delle canzoni epiche; esse infatti irrigidiscono la morfologia storica
del genere delle chansons de geste). Cercherò di far emergere uno schema
che illustri le soudaines mutations dell’XI secolo attraverso una poetica
storica dell’epica francese medievale.
forma, almeno nel contenuto) nella sua evoluzione muta aspetto esterno,
perde o acquisisce dettagli, ma viene rimaneggiato seguendo comunque
linee isomorfe tracciate dalle sue versioni più antiche, riapplicando schemi
narrativi e strutture propri del suo nucleo sostanziale di partenza.
La finalità del concetto di transfert è quella di definire e illustrare le
strategie di persistenza di lunga durata di testi presenti nella memoria
culturale di certe comunità, miti e leggende che sopravvivono semplice-
mente cambiando veste, rimanendo comunque nel solco di una tradizione
continua e più o meno ininterrotta. Attorno al transfert si addensa un ap-
parato lessicale metaforico che è funzionale a rappresentare visivamente
la stratificazione degli elementi del nuovo testo sulle solide fondamenta
di quello primitivo: nei lavori della critica tradizionalista si parla infatti di
‘riverniciatura’, ‘riedificazione di città nuove sui vecchi ruderi’, di ‘nuova
veste’. La redazione finale del testo, spesso in forma scritta, quella tradi-
zionalmente considerata ultima e definitiva, diventa soltanto lo stato finale
di un processo conservativo e quello che possiamo definire un mero ‘colore
temporale’, ossia l’azione dei tempi più recenti sul materiale antico. La
storia è vista come origine del testo e il suo strato più antico diviene radice
storica. Il transfert è così concepito come principio di storicizzazione e di
antichizzazione del testo.
Prendo a titolo d’esempio un breve brano di Pio Rajna tratto dal capitolo
XII delle Origini dell’epopea francese:
Si noti l’uso della metafora della stratificazione: «là dove sorgevano gli
antichi edifici s’è venuta innalzando una città di apparenze affatto nuove»,
dove il termine «apparenze» riflette una concezione riduttiva degli stadi
più recenti dell’evoluzione letteraria rispetto a quanto viene «fabbricato
coi ruderi del vecchio».
Naturalmente il breve paragrafo citato poc’anzi richiama e riflette la
peculiare concezione delle origini dell’epica francese e romanza di Rajna,
per il quale la traslazione, il transfert, avveniva da un patrimonio di con-
tenuti narrativi e di forme poetiche dell’epoca e della cultura merovingia
all’ambiente carolingio. La trasformazione del contesto e delle esigenze
storiche e l’urgenza di cantare fatti e personaggi più recenti e sentiti più
attuali avrebbero spinto a una riscrittura dei poemi su Carlo Martello o su
Pipino il Breve utilizzando materiali dell’epoca di Carlo Magno e dei suoi
successori, in particolare una sostituzione della topografia, dell’onoma-
Il transfert epico 27
Per una poetica storica delle chansons de geste
[Le présent livre] entend démontrer que […] le Cycle des Narbonnais
plonge ses racines dans le plus lointain passé, qu’une partie importante
des légendes et romans dont il est riche représente un héritage que,
pour leur part et sous des travestissement imposés par des temps, des
modes de pensée et des cultures différentes, les épopées de l’Iran et de
l’Inde ont elles aussi reçu et conservé [Grisward 1981a, p. 19].
2 Rajna cita le due figure con rimando esplicito a Castelvetro (2004, c. 61v).
4 «L’épopée est donc une narration poétique, fondée sur une poésie nationale antérieure,
mais qui est avec elle dans le rapport d’un tout organique à ses éléments constitutifs» (Paris
1865, p. 4). Si veda anche Baehler 2004.
5 Può essere utile per inquadrare il rapporto tra epica e storia il seguente volume miscella-
neo: Konstan, Raaflaub 2010.
Il transfert epico 31
Per una poetica storica delle chansons de geste
Elementi e modelli
Andrea Ghidoni
1 Si vedano per esempio le condivisibili impressioni di François Pirot (2004), il quale sottoli-
nea come il dibattito critico al giorno d’oggi soffra del complesso del «déjà dit» e che pertanto,
scavalcati gli steccati imposti dalle tradizionali scuole critiche, è necessario dare «réponses
diversifiées» a ciascun caso problematico che la storia dell’epica ci pone (p. 12).
33
Per una poetica storica delle chansons de geste
4 Pertz 1829, p. 612. In realtà questa edizione dei Monumenta Germaniae Historica interpre-
ta il passo in maniera diversa e in modo da cambiarne il senso: «Willelmus primus, signifer
Hadhemarus». Il passo è comunque oggetto di discussione, per cui non ci addentriamo ulte-
riormente e prendiamo per buono il testo di Grisward (il quale però non cita la sua edizione
di riferimento).
5 Ci si riferisce ai personaggi di Adalberone di Laon e di Renart studiati da Carozzi (1976)
e Batany (1981). In sostanza il nome proprio coagulerebbe attorno a sé una serie di elementi
che possono essere trasferiti nella nuova cornice epica che fino a quel momento soffriva
di un vuoto onomastico. In questo caso si formerebbe nelle tradizioni folkloriche un mito
intermediario attorno al nome del personaggio storico i cui caratteri verrebbero trasferiti
assieme al nome quando riutilizzato per nominare nuovi personaggi. Per esempio nel caso
di Adalberone di Laon, detto anche Ascelin, vescovo implicato nel tradimento che portò alla
corona di Francia i Capetingi contro i legittimi eredi Carolingi, si sarebbe formato una sorta
di mito che lo intrecciava con la storia degli eredi di Carlo Magno, ma anche con il tradimento
di Giuda. Questa serie di relazioni è trasferita nel momento in cui nel Couronnement de Louis
il normanno Acelin (variante di Ascelin) si oppone al giovane Louis erede di Carlo: il nome
di Adalberon/Ascelin è impregnato di significati tradizionali. Viceversa, nell’ambito della
zooepica, più conti di Sens – figure ambigue e infingarde secondo la tradizione, il cui nome
dinastico più reiterato era Renart – sarebbero stati fusi sotto il nome di Renart in una figura
esemplare, etichetta trasferita poi assieme ai caratteri dei suoi portatori per nominare la volpe
delle tradizioni narrative alla base del celebre roman.
6 Qualcosa di simile si può dire per il personaggio di Gormund. Nel momento in cui la
leggenda della battaglia di Saucourt viene portata entro il mito epico e viene piegata alle
esigenze di questo (i Normanni diventano Saraceni, Luigi III diventa Ludovico figlio di Carlo
ecc.), le norme del genere epico pretendono che si dia un volto e un nome al comandante delle
truppe contro cui combattono i Francesi, poiché le fonti sulla battaglia tacevano su questo
punto. Nell’ottica di Bédier (1913) e Panvini (1990), il pirata Godrum avrebbe svolto lo stesso
ruolo di Hadhemarus, cioè il suo nome sarebbe stato importato entro lo schema epico della
battaglia; dal mio punto di vista invece il solo nome non è necessariamente il tratto guida per
identificare un personaggio, ma possono essere utili anche altri elementi (le caratteristiche
attribuite a Hasting dalla tradizione culturale su questo personaggio storico si avvicinano in
parte a quelle di Gormund).
7 Di queste aporie si è accorto in parte anche Jean Batany in un articolo che risponde proprio
a questo scritto di Grisward (Batany 1985). Lo studioso, che si può considerare un neotradi-
zionalista storicista, sottolinea il primato della storia rispetto al mito, ma conclude che l’uno
non esclude l’altro: «Les constructions narratives de l’épopée peuvent être issues à la fois du
mythe et de strates de vérité historique dont l’une ou l’autre a pu jouer un rôle primordial (la
strate carolingienne dans la chanson de geste, celle de l’an mille dans Renart). Les études de
type dumézilien risquent évidemment de négliger l’apport ‘historique’, et d’oublier ce qu’il a
pu apporter d’original dans chaque culture» (p. 419).
8 Per quest’ultimo, rimando allo studio di Bonafin 1984.
9 Grisward (1981b, p. 268) afferma che, poiché solo la prima parte del Roland è fondata
sullo schema trifunzionale, risulterebbe pertanto superfluo (e quindi posteriore) l’episodio di
Baligante. Curiosamente, l’edificazione della struttura da parte di Grisward avviene tramite
la versione della Historia Karoli Magni et Rotholandi dello Pseudo-Turpino, dichiarata più
genuina e antica, la quale cita, accanto a Marsilio, un Beliguandus frater eius. Vero è che la
storia dello Pseudo-Turpino devia dal racconto della chanson, ma – se manteniamo l’impian-
to di Grisward – dobbiamo ammettere che la versione più antica contenesse già accenni a
Baligante, sviluppati poi nel poema epico; altrimenti, se la versione è posteriore al Roland
(come credo che sia), il Beliguandus dello Pseudo-Turpino sarà da considerare un riflesso
del personaggio della canzone, tratto dalla seconda parte di questa (episodio che poteva non
essere originariamente attaccato alle vicende rolandiane, ma che forse potrebbe essere stato
aggiunto molto presto).
10 Per un approfondimento delle tematiche affrontate in questa sezione, si veda Ghidoni 2014c.
1 La logica trifunzionale permea l’intera canzone di gesta, come ben dimostra Grisward,
tanto da dare l’impressione che non si tratti di uno schema replicato in maniera passiva, ma
del riuso insistito di un modulo vitale che genera nuove strutture, proprio per conferire alla
canzone un’architettura coerente e sistematica e un’evidente ossatura mitica: il che corri-
sponde all’estetica della chanson de geste del XIII secolo, intessuta di elementi romanzeschi,
folklorici e da una tendenza al gusto fiabesco.
47
Per una poetica storica delle chansons de geste
interventi miracolosi di Carlo del tipo di quelli del Roland: semmai, come
nota Karl-Heinz Bender (1965), l’importanza di questi eventi inseriti nella
storiografia latina anteriore all’XI secolo consiste nel fatto che i prodigi
avvengano nel corso di campagne contro i pagani, siano essi musulmani
in terra di Spagna o Sassoni, e non in altri casi. La letteratura latina non
contiene che sparsi germi del mito epico, in racconti secondari.
2 Sul mito di Carlo Magno si possono vedere: Suard 1990; Boutet 1992; Horrent 1995;
Cordonnier 2009.
3 Sul Frammento dell’Aia si vedano: Aebischer 1957, 1975a.
dici figli è citato en passant in alcune delle più celebri canzoni (Chanson
de Guillaume, Aymeri de Narbonne, Aliscans, Prise d’Orange), anche se
quel poco che viene detto non coincide affatto con il frammento: talvolta
gli assedianti sono Borel e la sua progenie e Hernaut l’assediato, altrove
sono Rainouart o Vivien a uccidere Borel in battaglia.4
La seconda traccia – e praticamente l’ultima, visto che è databile a ri-
dosso delle primissime chansons, ossia al terzo quarto dell’XI secolo – è
la cosiddetta Nota Emilianensis che è un appunto scritto in un latino non
correttissimo su un foglio del ms. Aemilianensis 39 della Real Academia de
la Historia di Madrid. In questo breve testo viene riassunto il racconto di
una spedizione di Carlo a Saragozza conclusasi col disastro di Roncisvalle,
in cui perisce Rodlane per mano di saraceni, tratto già epico. Chiaramente
ci troviamo in un contesto simile a quello della celebre chanson, ma anche
qua troviamo punti di discordanza: non si accenna in alcun modo a Gano
e al tradimento, i Pari di Carlo sono detti duodecim neptis (dodici nipoti)
e tra questi figurano personaggi non presenti nella chanson, come Bert-
lane, Ghigelmo alcorbitanas, Oggero spata curta (quest’ultimo è presente
nella canzone, ma non partecipa alla disfatta): i primi due in particolare
(Bertrand e Guglielmo «au corb nez») non hanno nulla a che vedere con
la morte di Rolando a Roncisvalle, almeno secondo la vulgata successiva.
Possiamo quindi avanzare alcune riflessioni a partire da questi due testi
ricchi di indizi. In primo luogo non è possibile negare l’esistenza di una
tradizione narrativa già formata fin dall’inizio del secolo XI (la cui gestazio-
ne andrà retrodatata), ossia almeno mezzo secolo prima dei nostri poemi,
una materia che già si fonda sul mito carolingio. Tuttavia notiamo come
entrambi i récits appartengano a circuiti eccentrici rispetto alla vulgata a
cui fanno riferimento le canzoni di gesta. L’epica di Borel non ci è conser-
vata in alcun poema, nonostante il ciclo di Guglielmo sia ben rappresentato
da manoscritti ciclici che contengono canzoni anche non perfettamente
conciliabili tra loro: a questo filone narrativo si accenna solo brevemente
e comunque senza preciso accordo tra le menzioni; la trama della Nota
non rispecchia quella della Chanson de Roland, semmai riflette uno stato
protogestico assai confuso, in cui i personaggi legati alla storia mitica dei
4 Sulla figura di Guglielmo si potrebbe aggiungere un’ulteriore traccia che potrebbe attesta-
re uno stadio leggendario precocissimo. È noto che uno dei tratti caratterizzanti il personaggio
epico è l’efficacia del suo pugno come arma. Nel panegirico di Ermoldo Nigello In honorem
Hludowici (data: 826 circa), che racconta l’assedio di Barcellona, il supposto prototipo storico
del personaggio, Guglielmo di Tolosa, colpisce un prigioniero saraceno – reo di ingannare i
suoi carcerieri con false informazioni – con un pugno ben sferrato («illum | percussit pugno»,
vv. 524-525). Il carattere collerico del Guglielmo epico è adombrato in questo passaggio del
IX secolo? Forse è troppo poco per parlare di leggenda in via di formazione: a ogni modo si
tratterebbe di un processo di mitizzazione di un personaggio storico, al di fuori di ogni strut-
turazione mitica precedente (non avrebbe senso l’introduzione di un personaggio di fantasia
in un’opera poetica incentrata su fatti e persone contemporanee ancora viventi). Per ulteriori
informazioni sul personaggio, si veda Corbellari 2011.
5 La Nota nomina solo sei dei dodici nipoti di Carlo: Rolando, Olivieri, Ogier, Turpino, Ber-
trando, Guglielmo. Un riflesso di una diversa canonizzazione della lista dei Pari – differente
da quella del Roland e forse più antica – potrebbe essere il catalogo del Voyage de Charlema-
gne, nel quale troviamo i seguenti nomi: Rolando, Olivieri, Guglielmo, Namo, Ogier, Gerino,
Berengario, Turpino, Ernaldo, Aïmer, Bernardo e Bertrando.
La riorganizzazione di cui parla Paris avrebbe avuto luogo alla fine del X
secolo. La tradizione delle cantilene, la «poésie nationale», sarebbe nata
praticamente a ridosso dei fatti storici, coi quali intratterrebbe un lega-
me stretto ed emotivo. Paris quindi ritiene che la tradizione precedente
l’epica fosse già in veste poetica e che sia stata cancellata dalla distanza
dagli eventi storici e dall’avanzata delle nuove forme epiche, più consoni
al gusto in evoluzione.
Una prospettiva simile, pur concedendo meno forza agli aspetti roman-
tici del ‘nazionalismoʼ di Paris, è quella di Ramon Menéndez Pidal (1959).6
Il concetto di tradizione poetica si sposa con quello di ‘stato latente’, ossia
uno stadio di canti epici (si badi bene: non lirici, come nel caso di Paris,
bensì già di argomento eroico-guerresco) caratterizzato da una produzione
anonima e ‘unanimistica’: un processo di rielaborazione continua, perlopiù
di carattere orale e sociale, che secondo lo studioso spagnolo deve essere
postulato a dispetto del ‘silenzio dei secoli’.
Le posizioni individualiste (tranne forse quelle di Pauphilet)7 tutto som-
mato non negano la presenza di una tradizione precedente le canzoni di
gesta. La differenza consiste nel fatto di separare nettamente leggenda
e poema: infatti l’individualismo pone l’accento sull’azione poetica di un
singolo individuo che rinnova e riforma la tradizione precedente, formata
da racconti e leggende ma non da poemi, mentre nel caso del tradizionali-
smo si insiste sulla sparizione di questi testi versificati e su una tradizione
di lunga durata e non attestata alle spalle delle canzoni dell’XI secolo.8 La
posizione tradizionalista è forse inficiata da un certo tasso di positivismo:
soprattutto nel caso di Menéndez Pidal, per il quale è sufficiente l’atte-
stazione o la minima allusione di una leggenda epica in una cronaca o in
un’opera storiografica per stabilire l’esistenza di una tradizione poetica
popolare.
Certamente il ‘silenzio dei secoli’ rafforza la posizione di coloro che
pongono l’accento sulla novità costituita dalle chansons de geste dell’XI
secolo. Tuttavia il concetto di tradizione protogestica che cerco di pro-
porre è più elastico e sfumato per quanto concerne l’identità dei suoi
singoli costituenti (forma e contenuti dei testi protogestici), mentre cerca
di definire meglio un modello generale con cui possiamo descrivere la
tradizione protogestica nel suo complesso in opposizione a quella delle
chansons de geste.
6 Per una rassegna bibliografica tra linguistica, lirica ed epica, si può leggere con profitto
Le Gentil 1953.
7 Si ricordi per esempio la sentenza «au commencement était le poéte», contenuta nel sag-
gio sul Gormund et Isembart (cfr. Pauphilet 1924), che richiama, con una dose più massiccia
di individualismo, l’au commencement était la route di Bédier.
8 Cfr. anche la rilettura critica di Siciliano 1951, per es. pp. 45-47.
Per quanto riguarda la forma dei singoli testi, proprio l’assenza di pro-
ve decisive in un senso o nell’altro non può far escludere l’esistenza di
forme poetiche precedenti la chanson de geste nella forma che possiamo
definire canonica: sicuramente le poche tracce che ho già discusso sopra
fanno propendere per una tradizione narrativa già discretamente formata
all’inizio dell’XI secolo (il Frammento dell’Aia) con la tendenza alla messa
in versi (anche se latini).
Pertanto le tradizioni protogestiche non possono essere determinate
in maniera univoca ma vanno pensate come un insieme di testi poco o
nulla uniformati e di tradizioni di argomento eroico e storico, mescidate
variamente con elementi del folklore. Ciò che le distingue dalla produzione
gestica successiva è appunto l’assenza di principi formali e contenutistici
tali da permettere la definizione di genere provvisto di un’identità solida.
Pierre Le Gentil – in un articolo del 1953 dedicato a una rilettura cri-
tica del concetto neotradizionalista di état latent – utilizza la distinzione
tra langue e parole di saussuriana memoria per stabilire i rapporti fra
tradizione e azione individuale. Il principio da cui lo studioso parte è che
«tout acte poétique et tout acte de parole procèdent de l’individu», il
quale «utilise toujours des signes, des mécanismes et des concepts, des
idées, des thèmes et une technique qu’il n’a pas créés, mais appris de
ceux qui l’entourent» (p. 140). Nel caso della creazione poetica tuttavia
il grado di libertà dell’individuo è senz’altro maggiore rispetto a quella
presente nell’atto di parola, anche se in entrambi gli atti l’individuo non
può essere completamente avulso dall’aspetto sociale della sua azione;
allo stesso tempo, il fenomeno sociale in sé è una astrazione in quanto è
definito dalla somma, in costante movimento, di una serie di atti individuali.
«[L]’élaboration de la légende […] ne saurait être considérée comme un
phénomène de caractère exclusivement sociologique, puisqu’elle résulte
aussi d’initiatives individuelles efficaces, bien que passées inaperçues.
Quant à l’explication du poème, elle ne doit pas dissocier l’acte visible de
liberté, dont ce poème est le produit, de tous les autres actes de liberté,
petits ou grands, qui, amalgamés, forment le patrimoine, la tradition ou
la mode poétiques du moment» (p. 141).
La spiegazione ‘saussuriana’ di Le Gentil non è altro che una traspo-
sizione nella linguistica strutturale del già citato modello della mutation
brusque, punto di equilibrio tra il tradizionalismo e l’individualismo: all’in-
terno della tradizione andrà stabilito un punto in cui l’azione individuale
produrrà un rilevante scarto dalle abitudini sociali. Tuttavia ritengo che
questo modello vada ulteriormente specificato, per spiegare tanto ciò che
è protogestico quanto la chanson de geste. I testi protogestici hanno alle
spalle una serie indistinta di tradizioni narrative, la maggior parte (ma
non tutte) aventi per argomento la storia (deformata) dei primi carolingi.
Ogni rielaborazione di queste leggende, ogni singolo testo, costituisce in
effetti un atto di parole individuale che si rifà a una langue minima, che non
58 Preistoria del mito ‘carolingio’
Per una poetica storica delle chansons de geste
61
Per una poetica storica delle chansons de geste
ma questa affinità potrebbe essere legata al comune uso della lingua della
scrittura e pertanto alla cultura che doveva inevitabilmente condividere
chi era alfabetizzato.
Ulteriore luce sulle caratteristiche del genere agiografico dell’XI secolo,
sulla sua forma e soprattutto sulle sue relazioni con la produzione protoge-
stica può venire dalla canzone di Sancta Fides, su cui vorrei soffermarmi
brevemente per un paio di riflessioni. Come si sa, il testo, scritto in occita-
nico nella seconda metà dell’XI secolo e poi copiato a Fleury, presenta un
prologo in tre lasse (il verso è l’octosyllabe: sostanzialmente si utilizzano
gli stessi mezzi tecnici del Gormund et Isembart) in cui si tratteggiano le
caratteristiche formali del poemetto stesso e dei suoi modelli. Mi basta
citare la seconda lassa (vv. 14-22):
2 Molto più azzardata è la tesi di Robert Lafont, per il quale francesca è da legare alla co-
lonia di parlanti occitano in Navarra. Le tesi di Lafont, nelle quali è centrale l’interpretazione
della Sancta Fides, sono in realtà molto più complesse, anche se fondate su basi fragili e su
congetture che devono scontare la sostanziale mancanza di testimonianze epiche in lingua d’oc
per l’XI secolo: per un quadro complessivo di queste ipotesi si consigliano Lafont 1987 e 2002.
3 Questa opinione della Kullmann è per ora priva di un riferimento bibliografico, in quanto
si tratta di un’opera non ancora pubblicata. La si può leggere tuttavia in Suard 2011, p. 47.
4 Cfr. v. 193 del Gormund et Isembart.
1 Assai utile per la ricostruzione della tradizione è Louis 1947. Si veda altresì: Bédier 1913,
t. II, pp. 3-95.
2 Roland, v. 797: «vint i Gerart de Rossillon li veillz»; v. 2189: «Truvat Gerard le veill de
Russillun»; v. 2409: «U est Gerard de Russillun li veilz».
ne degli antenati di Carlo, una sorta di precoci enfances del Girart che
cade eroicamente a Roncisvalle. In questo senso, avremmo un ulteriore
esempio di risistemazione del patrimonio mitico-storico operato all’altez-
za cronologica delle prime chansons de geste, forse anche per effetto di
una di queste (non necessariamente il Roland): il Girart originario aveva
già subito l’effetto di un aggancio all’orbita del mito epico carolingio, il
suo sviluppo rossiglionese viene ulteriormente rimaneggiato in base al
tratto mitico dell’anzianità e quindi collocato in una posizione precisa
all’interno del cronotopo di Carlo Magno, ossia in un tempo che possa
giustificare l’epiteto di veilz.
Infine la tradizione su Girart de Vienne si pone all’avanguardia all’in-
terno del processo di ciclificazione, in una fase già avanzata di produzione
di chansons (XII secolo, presumibilmente), per cui già nella forma della
Karlamagnus Saga assistiamo al tentativo di fornire un antecedente al
compagnonaggio di Rolando e Olivieri, opera completata da Bertran de
Bar che procede alla fusione tra il ciclo del Re e il ciclo guglielmino e
dei narbonesi, rendendo Girart figlio di Garin de Monglane.3 Ma questo
aspetto della ciclificazione pertiene più allo sviluppo della materia delle
chansons de geste che non alla sua origine.
8.3 Un altro personaggio minore del Roland, Ogier il Danese4 (li Daneis,
v. 3 033), può essere il punto di partenza per una serie di riflessioni sul
rapporto tra storia e leggende epiche e sulla rielaborazione del materiale
protogestico operato dalle prime canzoni di gesta.
Ogier non fa parte dei dodici paladini che cadono a Roncisvalle, poiché
è proposto proprio da Gano come condottiero per l’avanguardia (v. 749).
3 Mi permetto un appunto sul nome della moglie di Girart de Vienne nel poema di Ber-
trand: non è più Ermengarda (nome storico della moglie di Bosone), ma diventa Guiborc,
segno tangibile dell’effetto del ciclo di Guglielmo su questo testo che arriva quasi a creare
un’incongruenza con l’omonimia tra la moglie di Girart e quella di Guglielmo. Più che altro
è interessante rilevare che sono numerosi i tratti di congiunzione tra Ermengarda e Guiborc,
entrambe donne tenaci e saldamente sostenitrici del marito. Il trasferimento del nome (in cui
il primato spetta ovviamente alla tradizione su Guglielmo) seguirebbe la via dell’antonomasia,
in forma simile al modello già esplicato (cap. 7) di Carozzi (1976) e Batany (1881).
4 Si elencano qua di seguito alcuni lavori sull’argomento, utili alla discussione che seguirà:
Bédier 1913, tomo II, pp. 192-205 e pp. 297-334; Becker 1942; Lejeune 1948, pp. 41-195; To-
geby 1969; Aebischer 1975b. All’opera di Togeby si rimanda per una bibliografia esaustiva e
completa. L’origine del soprannome di Ogier non è chiara: nella Chevalerie Ogier l’eroe risulta
essere il figlio di un re danese, ma la tradizione è tarda e la spiegazione fornita sembra essere
creata proprio per chiarire un epiteto oscuro. Per Becker, il riferimento ai Danesi è legato alla
menzione di questo popolo tra le conquiste di Carlo nella Vita Karoli Magni di Eginardo, per
cui la creazione del personaggio sarebbe di natura colta; per Rita Lejeune, li Daneis sarebbe
un epiteto col significato generico di ‘barbaroʼ, ma nel Roland stesso Ogier è legato esplici-
tamente alla Danemarche (vv. 749, 3 856, 3 937): viene quindi ribadita la nozione geografica
dietro a questo soprannome.
che conduce alle canzoni di Ogier dell’inizio del XIII secolo, una tradizione
che affonda le proprie radici nella negatività del ribelle a Carlo. Tuttavia si
può individuare un secondo aspetto della figura di Ogier, assai più positivo,
in parte abilmente fuso nella Chevalerie Ogier con la tradizione sul ribel-
le, nel momento in cui Ogier non solo emerge come vittima di un’offesa
reale (che reagisce però oltre il limite consentito), ma si rivela, dopo la
pacificazione all’interno del regno franco, un’utile risorsa contro il nemico
esterno (Brahier e i Sassoni). Quando la Chanson de Roland assume Ogier
come eroe ed eccellente cavaliere, lo fa non in base a un’operazione to-
talmente originale, ma basandosi su una tradizione eroica svincolata – se
non completamente differenziata – da quella dell’Autcharius storico. Le
poche tracce di questa seconda versione di Ogier costituiscono per noi
vere e proprie fonti di materiale protogestico, nel senso che, a differenza
delle cronache citate sopra, sono informate dal cronotopo carolingio delle
chansons de geste in via di formazione.
Si tratta di tre testi che riflettono una tradizione differente da quella del
Roland di Oxford, in quanto inseriscono Ogier nella lista dei dodici Pari
di Carlo. Il primo testo è la già citata Nota Emilianensis, in cui a fianco di
Rodlane o Ghigelmo alcorbitanas troviamo un Oggero spata curta (nella
tradizione non oxoniense del Roland la spada del Danese ha nome di
Corte o Cortain). Allo stesso modo, nel falso diploma di Saint-Yrieix (1090
circa), tra i firmatari, tutti principi illustri come Turpino o Guglielmo, è
annoverato anche Otgerio palatino. Infine nel Voyage de Charlemagne,
ritroviamo Ogier tra i dodici paladini che seguono Carlo Magno nel suo
viaggio in Oriente – quando a Costantinopoli i cavalieri franchi ubriachi
giocano a chi la spara più grossa, il gab di Ogier è quello di riuscire a far
crollare il palazzo frantumando con la propria forza il pilastro centrale
(vv. 518-527).
Il testo più fortunato dal punto di vista critico è uno scritto di stampo
agiografico, la Conversio Othgerii militis (1080 circa), la cui matrice mona-
stica ha interessato più di altri soprattutto Bédier. Il testo latino racconta
la vicenda di Ogier, praeliator fortis et pugnator (una caratterizzazione che
può avere legami con il puinneres del v. 3 033 della canzone rolandiana),
uno dei migliori uomini al servizio di Carlo Magno, addirittura il secondo
uomo più prestigioso dell’impero dopo il sovrano. Seguendo uno schema
tipico delle vite di santi, questo principe illustre decide di abbandonare la
gloria mondana e si ritira nel monastero di Saint-Faron a Meaux, dove a
lungo si mostrerà la sua tomba monumentale.
Questo testo rappresenta senz’altro il culmine della fortuna della versio-
ne positiva dell’eroe. Ma la distanza tra le due caratterizzazioni di Ogier – il
ribelle opposto al paladino-santo – viene colmata da un dettaglio che rivela
come i due Ogier non fossero percepiti totalmente come due personaggi
differenti, ma come tradizioni differenti su un unico personaggio unificato
solo sotto il profilo onomastico – in maniera simile a quanto visto per Girart.
72 Dalle tradizioni protogestiche alle chansons: alcuni esempi
Per una poetica storica delle chansons de geste
Infatti nella Conversio si legge che Carlo dona a Ogier un’abbazia che ipse
olim in suburbio Vercellensi tenuerat. Al di là dell’ambiguità di quell’ipse
(si deve attribuire a Ogier o a Carlo?; cfr. Togeby 1969, pp. 20-21), il det-
taglio rivela un legame tra Othgerius e le terre del Pavese presso le quali
si era rifugiato Autcharius (e dove combatterà l’Ogier della Chevalerie),
forse patria di una tradizione leggendaria affine a quella su Ami e Amile
(come si vedrà in seguito).
Mi pare evidente la presenza viva di almeno due tradizioni sul medesimo
personaggio, in cui il nome è un’etichetta che identifica un personaggio
polimorfo, con alcuni tratti identitari costanti (il legame con l’Italia, la
collocazione entro il cronotopo carolingio) e altri mobili (il tipo di rapporto
con il sovrano). Le prime chansons de geste operano una selezione spe-
cifica sul materiale polimorfo finalizzata alla costruzione di una precisa
poetica – ciò si riscontra tanto in Ogier come in Girart. Il cronotopo caro-
lingio delle prime canzoni – almeno quello del Roland e quella di Gormund
et Isembart – è incentrato sul re (Carlo Magno o il figlio Ludovico), il quale
viene esaltato – con i toni agiografici del Roland – e la cui potenza è grani-
tica e mai messa in discussione. Mentre la figura di Carlo nella canzone su
Roncisvalle è in tutta evidenza assolutamente positiva, una precisazione
richiede la canzone su Gormund e Isembart: facendo la tara al fatto che si
sia conservato solo un frammento e alla ribellione di Isembart, Ludovico,
pur essendo riconosciuto nel ciclo di Guillaume come re imbelle e ambiguo,
qui emerge comunque come trionfatore finale sui suoi nemici, i quali ne
riconoscono la grandezza.
Il Roland nei confronti di Ogier opera dunque la selezione di un aspetto,
quello più confacente alla poetica esaltatrice della tradizione letteraria
nascente: un personaggio ambiguo viene appiattito sullo sfondo della po-
sitività di Carlo e pertanto la presenza di Ogier come fedele vassallo al
fianco di Carlo è di supporto all’accrescimento della gloria carolingia. Le
chansons de geste delle origini operano uno sfrondamento della varia
morfologia del materiale protogestico e favoriscono attraverso una ridu-
zione del patrimonio narrativo una parziale canonizzazione di quello stesso
materiale leggendario: Ogier emerge definitivamente come personaggio
alleato di Carlo, la cui funzione è quella di supportare l’eroicizzazione di
Carlo o di altri personaggi nelle loro rispettive canzoni, in cui l’eroicità di
Ogier serve soltanto per accrescere la fama di chi si rivela essere ancora
più eroico di lui.5 Come nel Girart de Roussillon o nel Girart de Vienne
la ribellione alla fine rientra, allo stesso modo i poemi che riprendono la
tradizione del ribelle devono piegarsi alla necessità di riconciliare le parti
in conflitto.
5 Per altri interventi del personaggio nel dominio epico carolingio, si vedano: Historia Karoli
Magni et Rotholandi (la cronaca attribuita allo Pseudo-Turpino), Agolant, Aymeri de Narbonne,
Aspremont.
6 Si potrebbe quasi ipotizzare che il nome del personaggio, a livello sincronico e nella men-
talità medievale, sia l’etichetta di una categoria polimorfa ed elastica, comprendente elementi
diversissimi, talvolta anche contraddittori, ma sempre accomunati da una vaga aria di famiglia.
Il nome Ogier (ma si dica lo stesso per Girart) non sarebbe allora l’etichetta che accomuna due
personaggi omonimi ma differenti, bensì si riferirebbe a un’unica figura fluttuante, compren-
derebbe tratti anche contraddittori, accettati dal pubblico medievale come qualità differenti
dello stesso personaggio, all’interno di una cultura narrativa abituata all’incoerenza. L’equi-
indifferenza dei tratti cessa nel momento in cui una tradizione canonizzata e con modelli più
o meno fissi (mi riferisco al genere delle chansons) impone norme e limitazioni alla varietà
protogestica. Ma è una scelta operata non tra differenti personaggi, ma tra differenti identità
dello stesso personaggio: pertanto il solo nome avrebbe una forza aggregante aspetti opposti
che ovvia all’accettazione di contraddizioni e incoerenze. Si tratta di un’ipotesi sulla mentalità
medievale che varrebbe la pena approfondire ulteriormente.
7 Ogier e Autcharius deriverebbero dal nome germanico Audagari (cfr. Lejeune 1948, pp. 79-
91), mentre Audaccr potrebbe derivare da Audavacar, da cui deriva l’italiano Odoacre. Aldilà
del problema etimologico, è comunque evidente che la similarità dei nomi può indurre facil-
mente alla confusione di un Autcharius con un Audaccr. A ogni modo, discutendo di Girart, si
è visto come la differenza onomastica non ponga alcuna difficoltà alla fusione di più tradizioni
narrative: infatti il Girart leggendario è l’esito del connubio di due figure storiche distinte, i
conti Girart e Bosone. Si tenga presente questa riflessione di Avalle: «Se un nome proprio o
termine analogo di origine oscura, oltre a mostrare una qualche somiglianza, comunque non
verificabile in termini di stretto rigore fonetico, con un altro nome proprio o termine analogo,
anche appartenente ad area geografica e/o storica assai remota, risulta essere specifico del-
lo stesso motivo o struttura etnica cui appartiene il secondo, è assai probabile che fra i due
esista un qualche rapporto di parentela, naturale o acquisita. In altre parole, alle leggi fone-
tiche possono sostituirsi nel caso dei nomi propri e termini analoghi considerazioni di ordine
contestuale, in sostanza funzionale, tutte le volte che si possa far valere nei loro confronti
la pregiudiziale dell’ambiente di appartenenza, e che l’ipotesi della poligenesi appaia tanto
onerosa da doverla scartare senza troppi rimorsi» (1989, p. 25).
8 Sono numerosi i motivi folklorici che costellano questa leggenda: la spada guardiana
di castità, l’identità fisica dei fratelli, la sostituzione tra i sosia, il sangue guaritore ecc.
Si vedano i seguenti studi per un ampio repertorio: Huet 1919; Calin 1966; Boutet 1993;
Grisward 1996.
Il primo testo, quello di Rodolfo Tortario, è quello che risulta più inte-
ressante per quanto concerne le origini della fortuna epica della tradi-
zione agiografica, per mettere a fuoco il seguente problema: la versione
di Rodolfo aveva già come fonte una canzone di gesta (che sarebbe stata
rimaneggiata da quella del XIII secolo)?
La vicenda nell’epistola latina è la seguente: Amicus (di Clermont) e
Amelius (di Blaia) stringono una salda amicizia tra loro, anche in virtù
della sorprendente somiglianza che li unisce, e si mettono al servizio del
re di Poitiers Gaiferus e della regina Berta; Amelius intreccia una relazione
con la figlia del re, Beliardis, e per questo viene accusato di fronte al re
stesso dal vile Ardradus; per discolparsi ha soltanto la possibilità di sotto-
porsi a un duello giudiziario col suo accusatore, ma ovviamente, essendo
davvero colpevole, è votato a morte certa; Amicus si offre di sostituirsi
ad Amelius e vince il duello facendosi passare per l’amico; quindi sposa,
sempre a nome di Amelius, la figlia del re, senza però toccarla nella notte
di nozze; tuttavia, dopo qualche tempo, viene colpito da lebbra, forse in
relazione al giuramento pronunciato durante il matrimonio e infranto a
causa dell’inganno della sostituzione; Amelius, saputo che il sangue dei
propri figli può guarire Amicus, si decide per l’estremo sacrificio della
propria prole; Amicus guarisce ma i figli di Amelius vengono riportati
miracolosamente in vita per intervento divino; infine i due amici – senza
che ne siano spiegate le circostanze – muoiono e vengono sepolti l’uno
accanto all’altro a Mortara.9
Proprio la circostanza della morte dei due protagonisti è il locus criti-
cus che presenta notevole diffrazione nei testi sulla leggenda: la canzo-
ne di gesta di cui i due amici sono eroi eponimi li fa morire di malattia
al ritorno da un pellegrinaggio in Terra Santa; la Chevalerie Ogier li
fa cadere per mano di Ogier stesso a Pavia, mentre tentano, pellegrini
inermi di ritorno da Roma, di aggregarsi all’esercito di Carlo Magno; la
V ita li fa morire in una battaglia tra Carlo e Desiderio, sempre a Pavia;
Rodolfo non accenna alle circostanze limitandosi a specificare il luogo
di sepoltura. La discordanza si può spiegare, oltre che con la possibilità
che diverse versioni fungessero da fonte per gli autori di questi testi, col
fatto che la tradizione agiografica originaria non prevedesse un aggancio
tra le vicende francesi e la morte a Mortara, semplicemente perché Ami
e Amile erano italiani.
Infatti è plausibile che la prima stratificazione a depositarsi sulla tradi-
zione dei due amici sia il transfert geografico, in particolare una caratte-
rizzazione legata a luoghi della Francia meridionale. La critica storicista ha
9 Queste sono le linee principali del racconto di Rodolfo: la leggenda conosce altrove un
arricchimento di dettagli e alcune modifiche strutturali, ma la trama rimane pressoché la stes-
sa. Pertanto evito di ripetermi riassumendo anche il récit degli altri testimoni della leggenda,
limitandomi a segnalare le differenze rilevanti.
10 Per esempio nel Gaydon, in Gui de Bourgogne, in Fierabras e diversi altri. Langlois eti-
chetta il personaggio come «un des chefs du lignage des traitres» (1904, s.v. Hardré).
11 ‘Berte’ era il nome di un’antenata, della madre e di una figlia (Angilbert) di Carlo Magno.
Nelle canzoni di gesta, Berte è la madre di Carlo in Berte, Mainet, Renaut de Montauban,
Girart de Vienne, Gui de Nanteuil, come anche nella Karlamagnus Saga; è invece la sorella,
madre di Rolando, in Entrée d’Espagne, Mort Charlemagne. Cfr. Langlois 1904, s.v. Berte.
12 Belissant, nonna di Carlo: Berta de li gran pié; Belissant, moglie di Carlo: Berta e Milone;
Belissant, sorella di Carlo: Karlamagnus Saga; Belissant, figlia di Carlo: Otinel e naturalmente
Ami et Amile. Cfr. Langlois 1904, s.v. Belissant.
della camera del padre e la porta ad Amicus: il tutto però nei pochi attimi
in cui Amicus si rialza e Ardradus gli piomba addosso per finirlo). Ma è
comunque interessante il tentativo di Rodolfo (o della sua fonte) di san-
cire l’importanza di quello che racconta connettendolo alle storie profa-
ne ed epiche di cui era conoscitore: questo fenomeno è simile a quanto
accade, con ben più incidenza sulla struttura dei singoli racconti, con le
tradizioni estranee al mondo carolingio che vengono attratte attraverso
un processo trasformazionale graduato nella nebulosa mitico-epica delle
canzoni di gesta.13
L’avvicinamento della leggenda di Mortara alle chansons de geste cono-
scerà poi diversi esiti. Da una parte abbiamo una trasformazione ‘leggera’
nel mito carolingio, esemplificata dalla canzone di Ami et Amile, in cui
la vicenda ha luogo alla corte di Carlo – oltre al quale vengono aggiunti
nuovi personaggi del ciclo come il giovane Louis figlio del re –, ma che
alla fine riesce a mantenere la struttura fondamentale della storia tanto
che la morte dei due personaggi è svincolata da ogni riferimento epico.
Dall’altra invece un attachement più profondo al ciclo carolingio, per cui
la vicenda viene innestata sui fatti relativi allo scontro fra Ogier e Carlo
(testimone di questa variante è la Chevalerie Ogier).
13 Si veda Ghidoni 2014d, in cui, pur salvaguardando le conclusioni sull’Epistola di Rodolfo
qui proposte, approfondisco la questione delle fonti di Rodolfo (o meglio: le fonti della sua
fonte) e indico come probabile che tra queste vi fosse una chanson de geste, anche se non
avente per argomento Ami e Amile. In pratica Rodolfo o il suo antecedente avrebbero cercato
di raccontare la leggenda dei due amici imitando l’uso gestico, utilizzando artificiosamente
segni e motivi di una tradizione narrativa affermata, ma senza per questo comporre una vera
e propria chanson.
14 Per questo particolare, si veda per esempio Lot 1927, p. 462. Si vedano, sulla figura di
Guglielmo, anche Frappier 1955 e Corbellari 2011.
cui anche poche canzoni prese a modello alla metà dell’XI secolo potevano
incidere profondamente nella tradizione epica e nel processo di genesi del
nuovo genere.15
15 Una posizione simile sul Couronnement è quella espressa da Tyssens (2011, pp. 57-84).
La studiosa ripercorre le origini del ciclo narbonese mettendo in evidenza le dissimilarità
tra i primi stadi del ciclo e quelli successivi fino alla metà del XII secolo, sulla stessa linea di
quanto ho affermato circa la narrativa protogestica. Il primo è rappresentato dal Frammen-
to dell’Aia e la Nota Emilianense, il secondo dalla Chanson de Guillaume (almeno la prima
parte, più antica), il terzo dalla triade Couronnement - Charroi de Nîmes - Prise d’Orange.
La ridefinizione narrativa avviene sul piano generazionale («déplacement chronologique»),
in quanto «[l]a structure ancienne […] groupe les Narbonnais autour de Charlemagne et
en fait en quelque sorte des contemporains de Roland et Olivier». Ma «ce déplacement […]
entraîne une mutation majeure: à la simplicité d’un conflit univoque où s’opposent ‘la nation
hostile au roi du ciel’ et les ‘bataillons impériaux’ menés par les Narbonnais groupés autour
d’un empereur vaillant, […] succède une situation confuse où les Aimerides auront à la fois
à affronter sans relâche la ‘gent averse’, le plus souvent sans leur garant naturel ou malgré
lui, à lutter contre la dispersion, voire l’antagonisme des forces chrétiennes, suscités par la
carence de celui qui devait être la principe de l’unité» (pp. 58-59). In particolare, la centralità
della figura inetta di Luigi sarebbe dovuta, secondo Tyssens, alla tradizione a cui è legato il
Couronnement, che darà l’impronta al ciclo in formazione.
83
Per una poetica storica delle chansons de geste
Insights derived from prototype theory suggest how we might deal pro-
ductively with great variety. And they help defuse a common complaint
voiced about a family resemblance approach to religion: the complaint
that, in absence of a set of necessary features that distinguish religion
from all else, a huge and bewildering array of phenomena can be as-
signed to the category and this renders the category virtually useless as
a scholarly analytical tool. That complaint calls in effect for sure borders
erected by stipulating necessary features or conditions. Prototype theory,
in contrast, induces us to celebrate central tendencies and peripheries
rather than necessities and borders [Saler 1993, pp. 12-13].
6 Per quanto riguarda le somiglianze di famiglia, naturale è il rinvio al pensiero del Ludwig
Wittgenstein delle Ricerche filosofiche (1953). Ma si rinvia anche alle opere di Rodney
Needham (cfr. bibliografia), antropologo impegnato nella riflessione sulle classificazioni po-
litetiche, ossia raggruppamenti epistemologici tra oggetti che condividono una serie di tratti
senza che l’identità sia totale e senza che tutti questi stessi tratti siano presenti in tutti gli
enti in questione.
7 Scorrendo il volume di Saler, sono numerosissime le puntualizzazioni su questi due metodi
di ricerca (cfr. per esempio il capitolo VI «A Prototype Approach»).
10 Popolazioni di testi
(con un prestito dalla biologia)
1 Per una sintesi delle teorie che ora discuterò si rinvia a: Gould 2008. In particolare le
pp. xxv-xlii.
una ragione o per l’altra, si sono trovati in una condizione di forte stress
adattivo oppure isolati dal resto della popolazione della stessa specie.
Per esempio, nel caso della cosiddetta speciazione allopatrica, un discre-
to gruppo di individui di una specie abita un’area che presto una circo-
stanza casuale (la deviazione di un corso d’acqua, un movimento tellurico)
separa dal resto della popolazione. La popolazione locale separata – il
termine specifico è ‘deme’ –, nel corso di parecchie migliaia di anni, subirà
un’accelerata modificazione dei suoi tratti, proprio in virtù del suo isola-
mento, mentre il resto della popolazione continuerà il suo periodo di stasi
e varierà molto lentamente anche all’eventuale modificarsi delle condizioni
ambientali. Vi sono poi altre modalità di speciazione attraverso l’isolamen-
to di un deme definibili in base all’area occupata da questo in relazione
alla distribuzione geografica del resto della specie: se nella speciazione
allopatrica, l’evoluzione avviene in un’area differenziata, nella speciazione
peripatrica il deme occuperà una nicchia appena fuori dai margini esterni,
nel caso parapatrico una zona di confine; infine la speciazione simpatrica
avviene all’interno della regione geografica occupata dalla specie, nel caso
in cui quest’ultima presenti un polimorfismo genetico.
In un secondo momento la specie formatasi in questo modo occupa l’a-
rea della specie madre e, se mostrerà migliori capacità adattive e supererà
la selezione, progredirà quantitativamente mentre il gruppo ancestrale
tenderà all’estinzione. Se la punteggiatura improvvisa del percorso evo-
lutivo non è dimostrabile tramite la documentazione fossile, al contrario il
migliore argomento a favore della teoria di Gould e di Eldredge, a scapito
della teoria dell’anagenesi, è proprio la convivenza nello stesso strato di
specie ancestrale e specie figlia: se l’evoluzione fosse un processo conti-
nuamente in corso, inesorabile ed esteso a tutti gli individui di una spe-
cie, non vi potrebbero essere convivenze di quel tipo, ma i reperti delle
due specie dovrebbero essere in successione. A questo si connette un
altro aspetto che oppone la teoria dell’equilibrio punteggiato alla versione
anagenetica: infatti l’evoluzione non sarebbe più un fenomeno sempre in
essere in tutti gli individui e quindi con un certo carattere di necessità,
bensì diventerebbe un fenomeno sporadico e del tutto casuale, indotto da
motivazioni che riguardano le contingenze in cui si trova una popolazione
(ossia ciò che provoca l’isolamento e la definizione del deme).
Da questo modello paleontologico possiamo trarre alcune suggestioni
utili al nostro discorso. L’avvento della chanson de geste è infatti un mo-
vimento di rottura spalmato in un breve lasso di tempo (alcuni decenni
dell’XI secolo) e circoscritto spazialmente. Utile è il concetto di deme, in
quanto ho individuato all’origine del genere non un singolo testo ma una
stretta interrelazione tra un numero minimo di testi che si influenzano a
vicenda e che condividono fin da subito una tecnica e un cronotopo nar-
rativo comune, sebbene in via di definizione, un ‘deme testuale’ uscito da
uno o pochi ateliers di professionisti dell’intrattenimento poetico.
92 Popolazioni di testi (con un prestito dalla biologia)
Per una poetica storica delle chansons de geste
Scrive Poirion:
95
Per una poetica storica delle chansons de geste
ca. Per esempio nei capitoli precedenti si è visto come io abbia utilizzato il
termine protogestico anziché quello, per esempio, di protoepico, in quanto
quest’ultima etichetta può generare l’equivoco che quanto essa designa
possa non avere caratteri epici. La fluidità di questa concezione dell’epica
deriva in primo luogo dalla genericità dei temi che essa tratta: infatti il
mito eroico, che è molto sinteticamente il primo requisito del genere, è
reperibile in produzioni narrative differenti tra loro.
Tuttavia vale la pena approfondire e riprendere qui il significato ori-
ginario di poetica storica, come è inteso dalla culturologia russa, che ha
fatto ampio uso di questo peculiare aspetto dello studio della letteratura.
Nella Poetica degli intrecci di Veselovskij essa si definisce in rapporto a
questo compito: «determinare il ruolo e l’ambito specifico della tradizione
nel processo della creazione individuale». Ma la poetica storica non ha
semplicemente un approccio diacronico per descrivere tali forme (i ge-
neri, le forme classiche della poetica aristotelica): la tradizione formale
(stile, immagini, ritmi, schemi) viene analizzata nelle forme poetiche più
elementari, in quanto «espressione naturale della psiche collettiva e delle
corrispondenti condizioni di vita ai primi stadi della convivenza umana.
L’uniformità di questa psiche e delle condizioni del vivere sociale spiega
l’uniformità dell’espressione poetica presso popoli mai entrati in contatto
tra loro» (Veselovskij 1981, p. 282).
Pertanto fare della poetica storica non equivale a fare della storia
della letteratura, intesa come successione di idee e di testi, ma ha un
preciso indirizzo antropologico e implica un approccio comparativista.
Non è la semplice applicazione di un principio storicista né tantomeno
la poetica storica coincide con un’impostazione storica. La poetica sto-
rica – nelle parole questa volta di Meletinskij – «studia innanzi tutto le
forme e le categorie poetiche […] nel loro divenire e nella logica della
loro formazione storica. […] La poetica storica dunque dedica una parti-
colare attenzione alle forme iniziali e arcaiche, alle tappe di transizione,
mentre la poetica teorica è maggiormente attenta alle forme classiche»
(1993, pp. 19-20).
L’esperimento comparativo che propongo nel seguito di questo studio
cerca allora di conciliare la poetica jaussiana dei genera filii temporis con
l’approccio antropologico della poetica storica. Se ciò che interessa è lo
sviluppo diacronico di un genere letterario e in particolare le origini di
questo, il confronto con altre tradizioni epiche ha lo scopo di mettere in
evidenza come alcuni meccanismi di epogenesi possano essere riscontrati
sia nella storia delle chansons de geste che altrove. La comparazione che
metterò in atto nel prossimo capitolo farà emergere un possibile modello
per la formazione di un genere all’interno di una cultura letteraria (o agli
albori di questa) che non può essere ristretto soltanto al genere epico,
né tantomeno è sufficiente a incasellare alcuni testi (le canzoni di gesta,
per esempio) all’interno del modo epico; il confronto circoscritto però
96La chanson de geste come epica: prospettive comparative
Per una poetica storica delle chansons de geste
1 Il ruolo delle feste panatenaiche nella tradizione omerica può essere legato alle regola-
mentazioni imposte dai Pisistratidi alla recitazione dei poemi omerici in sessioni rapsodiche
consecutive nell’ordine che conosciamo oggi. Un ruolo simile per la fissazione del testo può
comunque essere attribuito alle festività delie (sull’isola di Delo) o alle festività panioniche
(a Micale, in Asia Minore).
2 La fonte principale di Nagy per tale confronto è Blackburn 1989.
3 A determinare lo sviluppo dell’epica greca potrebbe essere stata anche la vivacità culturale
dell’area ionica, se ci allineiamo all’idea di una formazione stabile dei testi già all’inizio del seco-
lo VII. È possibile che le prime redazioni del testo fossero in forma scritta: le attestazioni di un
Omero scritto risalgono al VI secolo a.C., ma poteva già circolare un testo scritto anche prima di
quell’epoca, in quanto si hanno tracce di una scrittura ‘epica’ attestate in iscrizioni che potevano
avere familiarità con modelli librari su pergamena o su papiro (Cassio 1999, pp. 67-69; Cassio
2002, pp. 118-119). La tradizione poetica ionica opera una profonda rielaborazione delle tecniche
compositive preomeriche, non soltanto attraverso una nuova lingua poetica ma anche tramite la
riformulazione (e una nuova canonizzazione) dei materiali narrativi precedenti: «Se le origini e
molti degli sviluppi del testo omerico sono stati per lungo tempo orali, a un certo punto ci fu una
fissazione, orale o scritta, forse per qualche tempo contemporaneamente orale e scritta. Prima
di questa fissazione le narrazioni devono essere state molto oscillanti dal punto di vista sia dei
contenuti che della lingua, e hanno spesso lasciato tracce nei testi fissati giunti fino a noi. […] I
medesimi dèi ed eroi potevano avere genealogie e storie mitiche che si contraddicevano; esiste-
vano sicuramente in alcune zone racconti epici locali a proposito di eroi epicorici completamente
ignoti in altre regioni del mondo greco, e potevano essere recitati in esametri redatti in una me-
scolanza dialettale diversa da quella che troviamo in Omero ed Esiodo, anche se da quanto ci è
rimasto possiamo ricavare solo pochi elementi sicuri, perché l’epica ha acquisito definitivamente
l’impasto linguistico che conosciamo già nell’VIII secolo a.C.» (Cassio 2012, p. 254). Secondo
West: «It is convenient to speak in schematic terms of the Aeolic phase being ‘succeeded’ by the
Ionic. Of course this did not happen overnight. There must have been a period of concurrence.
[…] On the other hand it is clear that the epic poetry which overran Greece from about 750 [BC]
was Ionian epic and that it had no serious rival in Lesbian or any other dialect. The one Lesbian
epic poet who is named, Lesches of Mytilene, seems to have written in Ionic» (1988, p. 165). Le
innovazioni che giungono sul continente dopo il passaggio della tradizione epica in Asia Minore
sono notevoli e si può dire che lo ionico orientale diventa presto il dialetto normativo dell’epopea.
È senz’altro possibile che il prestigio della tradizione ionica sia derivato dall’eccellenza rappresen-
tata in alcuni poemi particolarmente innovativi rispetto ai prodotti poetici precedenti, poemi (i due
poemi omerici: soprattutto l’Iliade, più antica) la cui divulgazione a partire dalla prima metà del
VII secolo è stata facilitata dalla scrittura e quindi da una precoce standardizzazione: «Why was
this influence so dominant? […] the sole plausible explanation: only an exceptional flowering of
the Ionian epic, such as Homer represents, can account for the pre-eminence of Ionic as language
of hexameter poetry in Hesiod’s time» (Janko 1982, p. 84).
13 Conclusione:
Elementi di poetica storica delle forme epiche
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