Italiano 5
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Luigi Pirandello è stato un drammaturgo, scrittore e poeta italiano, riportando il disagio sociale di quel periodo.
Nasce nel 1867, ha vissuto la 1ª guerra mondiale, nel 1934 ebbe il premio Nobel per la letteratura e muorì nel 1936.
Si sposa con una donna ed insieme portano avanti la miniera di zolfo di famiglia, dopo l’allagamento della miniera, una grave crisi
economica insieme alla forte gelosia, getta la moglie in uno stato depressivo, ricoverata successivamente in un ospedale psichiatrico;
così Pirandello vede il mondo dei malati psichiatrici e viene a conoscenza della filosofia di Freud e le sue prime teorie sulla psicanalisi.
Le opere di Pirandello sono state influenzate da una serie di fattori, tra cui il contesto storico in cui è vissuto e la malattia della moglie.
Pirandello considera la vita un flusso, sostenendo che le forme sociali che noi assumiamo interrompono il flusso del divenire.
Afferma che cerchiamo di avere un ruolo che ci chiedono di seguire con delle maschere sociali, tolte queste verremmo ritenuti pazzi.
L’uomo è costretto a seguire un modo di vivere diversa dalla vita che vorrebbe vivere, perché altrimenti verrebbe giudicato folle.
La domanda che gli uomini si devono porre è cosa vorrebbero decidere di fare:
• Se essere se stessi senza maschere e rischiare di non essere accettati dalla società
• Se indossare 1000 maschere imposte dalla società e rinunciare ad essere se stessi.
Questo contrasto di decisione non ha via d’uscita, perché tutto è relativo, poiché conosciamo solo l’apparenza.
Non esiste una verità oggettiva, ma esistono tante verità soggettive.
Le maschere sono i nostri ruoli nella società, alla base del contrasto tra forma e vita.
Poetica dell’umorismo
La "Poetica dell'umorismo" di Pirandello è una chiave di lettura importante per comprendere sia la sua vita che le sue opere.
Pirandello credeva che l'umorismo fosse uno strumento potente per esplorare le contraddizioni e le assurdità della vita umana.
Pirandello utilizza l'umorismo per mettere in luce le incongruenze della società e per sondare le complessità della psiche umana.
La sua visione dell'umorismo spesso includeva un elemento di tragedia, in cui il comico e il tragico si mescolano per creare una
prospettiva più profonda sulla condizione umana.
Nel saggio “L’umorismo” Pirandello ci spiega la differenza tra comicità, ironia e umorismo.
• Il comico, definito come “avvertimento del contrario”, nasce dal contrasto tra l’apparenza e la realtà.
• L’umorismo è definito come “sentimento del contrario”, spiegando che in esso implica la comprensione di sentimento e riflessione.
Nella 2ª parte del saggio “l’umorismo”, il passo della vecchia imbellettata, narra di una vecchietta che se ne andava conciata come
fosse giovane e tutti ridevano di lei. Pirandello si chiese se dietro, ci fosse il voler compiacere per il marito perché se fosse stato così,
non sarebbe stato un comico che ride, ma avrebbe riso come un umorista.
Il pensiero di Pirandello diviene chiaro e incisivo grazie alle frequenti metafore visive.
Pirandello fornisce un esempio diretto di scrittura in forma "umoristica".
L’io diviso
L'identità dell'essere umano è minacciata da diversi fattori, al punto che il soggetto si frantuma, tanto da non riuscire a rispondere alla
domanda "Chi sono io?".
La coesistenza di diverse e opposte personalità in uno stesso soggetto è illustrata da Pirandello con l'immagine dello
specchio, che riflette un nostro doppio.
Il senso di solitudine che nasce dal sapersi "nessuno" non trova altro rimedio che abbandonare definitivamente la propria
individualità, per riconoscersi parte di un tutto nel vortice della vita universale.
Uno, nessuno, centomila
I contenuti tematici
Come può, dopo un veloce scambio di battute con la moglie, sgretolarsi d'improvviso l'immagine che fino a quel
momento Vitangelo Moscarda ha avuto di sé?
Il naso ( quel naso da sempre uguale a sé stesso ) viene sottoposto casualmente a un'analisi minuziosa che finisce per
travolgere l'intera esistenza del protagonista, smantellando i tratti della sua persona sociale. Questo difetto marginale
non compromette la piacevolezza dell'insieme, eppure l'effetto è sproporzionato rispetto alla causa.
Quel che sconvolge Vitangelo è il riconoscersi da sempre cieco di fronte a ciò che più di tutto dovrebbe conoscere:
sé stesso, almeno nella veste esteriore del proprio corpo.
Come appare davvero, all'esterno, la forma della nostra persona?
La risposta di Pirandello è semplice, ma devastante: in un'ottica relativista, ognuno vede e sente con i "propri" occhi e le
"proprie" orecchie, attraverso il filtro di una soggettività che deforma il reale.
Nessuno ha ragione e nessuno ha torto; per questo non può esserci "un solo" naso di Moscarda: esso è moltiplicato
dagli sguardi degli altri, in un relativismo senza fine.
Si innesca così un meccanismo di riflessioni che sradicheranno ogni certezza pazientemente costruita.
Vitangelo Moscarda si è "infettato" irrimediabilmente: l'analisi spietata e minuziosa non lo abbandonerà più, fino a
quando anche l'ultimo tassello della propria identità ( il suo nome ) non finirà fra le macerie del vecchio io.
Solo alla fine di questo percorso difficile e doloroso si offrirà una speranza di salvezza, come a dire che unicamente
distruggendo l'immagine stereotipata del proprio io è possibile rinascere a una nuova vita.
La presunta malattia mentale di Moscarda diviene così fonte di guarigione.
Fin dal primo capitolo del romanzo si trova una caratterizzazione abbastanza precisa delle attitudini psicologiche del
protagonista. Parlando di sé, Vitangelo dipinge il ritratto di un inetto, indifferente e superficiale quando si tratta di
occuparsi degli affari di famiglia: sbadato e inattivo, egli è un "pensatore" con la testa tra le nuvole.
Seguendo svogliatamente i consigli del padre, Moscarda si attarda a osservare ogni sassolino in cui si imbatte durante
le sue passeggiate.
Il sassolino è materia solo in apparenza insignificante: in questa attenzione maniacale al particolare, il protagonista
segue il canone dell'umorista, che scompone in minuscoli granelli il mondo circostante per osservarlo meglio e tentare
di capirlo.
Le scelte stilistiche
La narrazione in prima persona, che permette all'autore di alternare racconto e riflessione, sfocia in una sorta di
"flusso di coscienza" adatto alla forma teatrale.
Il monologo di Moscarda appare più un soliloquio recitato da un attore sul palcoscenico che una confessione intima che
lasci emergere il subconscio della voce narrante.
Pirandello rifiuta la civiltà moderna dell'industrializzazione e delle macchine, criticando i valori di velocità, potenza e produttività,
esaltati dai Futuristi. Vengono sacrificati il sentimento, la coscienza e la memoria. La macchina, simbolo della civiltà moderna, per
Pirandello è un oggetto inquietante e minaccioso, un mostro che tende a sostituire il suo stesso creatore, cioè l'essere umano.
La nuova industria del cinema, è un esempio di come la tecnica, permettendo la riproducibilità delle opere d'arte, toglie loro la
caratteristica di essere uniche e irripetibili, e priva di vita vera l'individuo moderno, disumanizzandolo e estraniandolo.
La produzione drammatica è lo sbocco naturale dell'arte di Pirandello.
Le sue tematiche chiave della solitudine, del doppio, della follia trovano sul palcoscenico l'espressione più forte e originale.
Dopo alcuni primi esperimenti di teatro dialettale, Pirandello supera il dramma borghese naturalistico attraverso la fase del grottesco,
nella quale i personaggi sono contraddittori e il linguaggio si fa frammentario.
La successiva fase del metateatro è una vera e propria rivoluzione rappresentata dalla cosiddetta trilogia del «teatro nel teatro».
Qui cade la soglia invisibile che separa il palcoscenico dalla platea e il teatro stesso diventa l'irrisolto protagonista della
rappresentazione.
I personaggi creati da Pirandello drammaturga mettono in scena il dramma dell'incomunicabilità, della radicale solitudine
dell'individuo che non riesce a condivicere idee e giudizi nell'assoluto relativismo, mettendo in crisi ogni certezza.
Il fu Mattia Pascal
Scritto di getto dopo il tracollo finanziario del1903, Il fu Mattia Pascal esce a puntate nel 1904 sulla "Nuova Antologia" e subito dopo
in volume. Così l'attività letteraria di Pirandello ebbe doppia funzione: di incrementare le entrate per sostenere la famiglia e di fornire
un'evasione dai problemi economici ed emozionali del momento.
Mattia Pascal è la prima grande incarnazione dell'umorismo pirandelliano, vive in un paese immaginario, dove conduce un'esistenza
sempre uguale tra il lavoro in una biblioteca e una convivenza familiare litigiosa ed esasperante.
Un giorno dei parenti lo riconoscono nel cadavere di un suicida: così egli sfrutta la sua presunta morte per cominciare una nuova vita.
Non ritorna al suo paese, ma tenta di costruirsi una nuova identità assumendo il nome di Adriano Meis.
Dopo aver girovagato per l'Europa, si stabilisce a Roma in una stanza affittata nella casa di un bizzarro personaggio, teosofo e
spiritista. Qui comincia a manifestare i primi segni di inquietudine per l'Inconsistenza della sua posizione. Se ne rende
drammaticamente conto quando, innamoratosi della figlia dell’affittuario, vorrebbe chiederle di sposarlo, ma non lo può fare perché
non è più Mattia e non è in verità neanche Adriano. Sapendo di essere vivo per la morte, ma morto per la vita, decide di inscenare un
secondo suicidio, quello di Adriano Meis, e di tornare al paese e farsi riconoscere. Tornato scopre che la moglie si è risposata e ha
avuto una figlia dal nuovo marito. Così il Mattia divenne «il fu Mattia Pascal»: si ritira nella biblioteca per scrivere le sue memorie e
ogni tanto va al cimitero a deporre un fiore sulla propria tomba.
Il nome Mattia Pascal è la conferma di un'identità che mantiene paradossalmente il suo potere anche quando la persona che
denomina non esiste più. Il destino di Mattia Pascal è di restare imprigionato nel suo nome anche quando è un "fu" Mattia Pascal.
L'impulso vitalistico a uscire dalla costrizione di una forma in nome della vita, comporta lo smarrimento dell'identità. L'azzardo
di Mattia Pascal di incarnare un'altra forma si rivela una scommessa perduta e con umorismo l'autore osserva il suo tentativo di
mascherarsi induce nel lettore un sentimento di pietosa partecipazione.
Il tema del doppio nella vicenda del romanzo si sviluppa attraverso la doppia morte, strumento liberatorio, che permette di uscire ed
entrare nelle identità.
Il fu Mattia Pasca porta la critica radicale al romanzo naturalista: il tradizionale eroe positivo diventa un uomo tormentato e
frantumato, un antieroe, un eroe moderno.
La trama del romanzo ha uno sviluppo circolare: il suicidio di uno sconosciuto diventa la presunta morte di Mattia, che apre la strada
alla nascita di Adriano; poi il finto suicidio di Adriano porta alla rinascita di Mattia, che torna però a essere presunto morto.
La narrazione è condotta in prima persona. L'io narrante è intradiegetico e coincide con il protagonista del racconto, del quale
fornisce una visione e un'interpretazione soggettiva e in quanto tale, non completamente affidabile. Il pensiero dell'autore emerge a
intermittenza, affidato alle parole di qualche personaggio ( in particolare del "filosofo" Anselmo Paleari ).
Svevo
Ettore Schmitz nacque nel 1861 a Trieste, da una famiglia ebraica dell'alta borghesia.
Trieste era città di frontiera e città portuale. Nell'800, diventò un importante punto di incontro di
merci, culture, lingue e etnie diverse.
Nel 1874, Ettore venne mandato con il fratello in Baviera a studiare tedesco e contabilità.
Il padre commerciante voleva che anche i figli si dedicassero al commercio.
Rientrato a Trieste 5 anni dopo, egli iniziò a frequentare un istituto commerciale, amava tuttavia la
letteratura anche se ostacolato dalla famiglia. Nel 1880 l'azienda del padre fallì.
Abbandonati gli studi, Ettore diventò impiegato presso la Union Bank.
Per alleviare la noia del lavoro in banca iniziò a scrivere.
Nel 1892 pubblicò il suo 1º romanzo “Una vita”.
Nacque così lo pseudonimo Italo Svevo, che rappresentava l'unione delle 2 culture e personalità.
Il 1º romanzo non venne considerato né dal pubblico né dalla critica, le copie vendute erano poche.
Nonostante l'insuccesso, 6 anni dopo pubblicò a sue spese, un nuovo romanzo “Senilità” : anche
questo non suscitò interesse.
Nel 1896 Ettore sposò Livia Veneziani, figlia di un ricco imprenditore: entrando così a far parte
dell'alta socletà di Trieste. Lasciò il lavoro in banca e iniziò a lavorare per il suocero.
Sembrava perfettamente integrato nel nuovo ambiente borghese: era diventato un uomo di
successo che si dedicava al lavoro e alla famiglia, egli tuttavia era insoddisfatto della sua vita,
inquieto e angosciato.
Doveva rinunciare di nuovo alla letteratura, ma per fuggire da una quotidianità insoddisfacente,
continuò a dedicarvisi di nascosto.
Per l'attività letteraria di Svevo si rivelano 2 incontri fondamentali.
Il 1º nel 1905 con James Joyce: i 2 scrittori diventano amici e si scambiano le rispettive opere.
Il 2º nel 1908 con gli studi di Freud.
Egli era attratto e interessato dalla psicanalisi, ma non la ritieneva valida come terapia.
Dopo la 1ª guerra mondiale Svevo perse il lavoro a causa della chiusura della fabbrica del suocero:
ed è così si potette dedicare liberamente alla letteratura.
Nel 1923 pubblicò sempre a sue spese “La coscienza di Zeno”, inviò il romanzo a Joyce che si
trovava a Parigi e che provvedete a farlo circolare fra pubblico, critici e giornalisti; così per Svevo
arriverò il successo, susseguito da riconoscimenti e omaggi letterari.
Nel settembre 1928 Svevo ebbe un incidente, con uno stato di salute già instabile, risentendo delle
ferite, si aggravò e morì il giorno dopo, avendo goduto solo pochi mesi del tanto atteso successo.
Una vita
“Una vita” è il primo romanzo di Svevo uscito nel 1892 con il titolo immaginario di “un inetto” ipotesi poi scartata a
seguito del giudizio di Treves ( editore di prestigio ).
Il protagonista Alfonso Nitti si trasferisce a Trieste dal paese natale. A egli sarebbe piaciuto diventare uno scrittore, ma
lavorava in banca: intrappolato in una vita frustrante e insoddisfacente. Quando il suo capo, il signor Maller, lo invita a
unirsi al salotto letterario della figlia, incontra Annetta Maller e tra i 2 nasce una storia d'amore.
Per Alfonso le nozze sarebbero state l'occasione di cambiare vita. Il giovane però ne era spaventato e si rifugiò dalla
madre malata. Dopo la morte della madre tornò a Trieste, ma lo accolse una fredda indifferenza da parte dei colleghi,
della famiglia Maller compresa Annetta, che presto lo sostituì con Macario.
L'esito del romanzo è tragico: infatti Alfonso si suicidò.
“Una vita” ha caratteristiche del romanzo dell’800: descrizione di ambienti e paesaggi, scelta di un narratore esterno e
oggettivo; con primi elementi diversi: discorso indiretto libero, attenzione per la psicologia e l'interiorità del protagonista.
Alfonso è un "vinto", vittima del mondo in cui vive e di sé stesso, incapace di vivere, di lottare per la sua affermazione.
Il suo insuccesso non dipendono da un destino ostile e contrario, come accade in Verga, ma dalla sua incapacità.
Il suicidio di Alfonso non è un gesto di coraggio, ma la fuga definitiva da una vita che non è capace di affrontare.
Il libro di testo preso in adozione intitola il capitolo 12 “Una serata in casa Müller”
I contenuti tematici
Appassionata da poco alla letteratura, Annetta Maller invita nel proprio salotto il meglio del mondo culturale di Trieste.
Tra i presenti c'è Alfonso, l'unico a non pavoneggiarsi per piacere ad Anneta. Forse per questa discrezione Annetta si
invaghisce di lui, al punto da proporgli di scrivere un romanzo insieme. Nel brano antologizzato, il giovane intraprende
però un lacerante confronto con sé stesso. L’idea di una relazione con una ragazza socialmente così attraente lo
interessa, ma lo deprime al tempo stesso, cosicché il sentimento viene sottoposto ad oscure alterazioni più o meno
volontarie. Alfonso si presenta all'incontro con Annetta e inventa problemi immaginari per giustificarsi di non aver scritto
la parte assegnata del romanzo; nello scusarsi non riesce a trattenere le lacrime e a nascondere le frustrazioni subite da
parte del lavoro burocratico. Egli è convinto che la sua educazione umanistica lo ponga su un piano più alto rispetto ai
colleghi, ma l'amor proprio lo porta a rifiutare l'aiuto della ragazza, e se lo facesse Alfonso intaccherebbe l'immagine di
sé come duro e incorruttibile letterato e costretto a rinunciare al proprio orgoglio.
Alla fine della serata Alfonso rimugina sui propri successi poetici: l'autoanalisi è al tempo stesso spietata e
inconcludente.
Cerano 2 possibilità: troncare il rapporto con Annetta che non amava oppure proseguire la recita, sapendo che
sposandola avrebbe realizzato tutti i suoi sogni di scalata sociale.
I lunghi ragionamenti dominati da dubbi e agitazione nascondono soluzioni, vincendo la tendenza a lasciarsi vivere.
Le scelte stilistiche
Svevo si avvale del discorso “indiretto libero”, collocando nella coscienza del protagonista il punto di vista della
narrazione. La concentrazione sul soggetto è sottolineata da interrogativi ed esclamativi: trattandosi per lo più di
domande retoriche, concepite per ammettere l'abbandono della lotta. Alfonso si chiese se ne fosse valsa la pena
tormentarsi in quel modo per trovare una soluzione che si sarebbe trovata e svolta da sé, dando per scontata la risposta
negativa. La voce del narratore esterno commenta il costante, ma inutile monologo di Alfonso, mettendo a nudo la
lamentosa e vittimistica irresolutezza, fino alla sentenza finale: Lo faceva soffrire il conoscersi.
Senilità
Il 2º romanzo di Svevo “Senilità” esce in volume al giornale triestino “l’indipendente” nel 1898.
Il protagonista di Senilità, Emilio Brentani, ha aspirazioni letterarie, vive con la sorella Amalia e ha un solo amico, Stefano
Balli. Mentre Balli è sicuro di sé ed entusiasto, Emilio si sente sempre inadeguato, insoddisfatto e rassegnato. Ha una
relazione con Angiolina: lei vive il rapporto con leggerezza e disimpegno, frequentando anche altri uomini. Amalia
conduce un'esistenza priva di significato e di emozioni, si innamora di Balli, reprimendo i suoi sentimenti, inizia ad
abusare di etere, si ammala di polmonite e muore. Emilio invece se ne innamora, considerandola una creatura perfetta e
le scrive poesie. Dopo la sua morte rimane solo. Gli resta soltanto il ricordo di Angiolina, fuggita con un altro uomo e la
tristezza di una ragazza mai vissuta fino in fondo.
Emilio è diverso da Alfonso ( protagonista di “Una vita”). Se Alfonso si aggrappa, fino alla fine, ai suoi progetti illusori;
Emilio invece è consapevole della vanità dei suai sogni, perché sa di non essere capace di fare in modo che si
realizzino. Emilio si arrende, rinuncia a lottare e si rassegna a vivere un'esistenza anonima e insignificante.
Nel romanzo si oppongono 2 coppie di personaggi:
• Emilio e Amalia vittime della vita, demotivati, insoddisfatti, incapaci di agire.
• Angiolina e Stefano Balli sono invece entusiasti,decisi a godersi la vita.
Realisti e sognatori si incontrano e si scontrano, e quest’ultimi ne escono sconfitti.
La voce narrante in 3ª persona, assume il punto di vista del protagonista attraverso monologhi interiori e discorsi
indiretti liberi. La soggettiva ricostruzione delle vicende viene smentita e contraddetta dai commenti ironici del narratore.
Il libro di testo preso in adozione intitola il 1º capitolo “l’inconcludente senilità di Emilio”
I contenuti tematici
Emilio, al pari di Alfonso in “Una vita”, sopravvaluta sé stesso: un artista in procinto di creare qualcosa di nuovo, ma
costretto a fare i conti con gli impegni del lavoro e della famiglia.
In quanto intellettuale é convinto di essere al di sopra della massa, nonostante abbia un impiego di poca importanza
presso una società di assicurazioni. La sua autostima si fonda su una reputazione che alimenta più vanità che reali
ambizioni. Emilio considera la letteratura e la filosofia mezzi per travestire e distorcere la realtà.
Si tratta di un gratificante autoinganno, che gli permette di sopravvivere. Emilio traveste l'esistenza con le false verità del
romanzo, a differenza di Alfonso che si illude di poter realizzare i propri sogni di gloria letteraria, egli ha chiarissima
coscienza della nullità della propria opera. Conosce i propri limiti, riconosce di non provare sentimenti, sa che il suo
linguaggio è un artificio. Dinanzi ad Angiolina, Emilio recita la parte del corteggiatore prudente, oscillando tra un
desiderio sessuale e dichiarazioni di affetto. Vorrebbe dar prova della sua astuzia, volendo sottomettere la donna e
ridurla a oggetto di svago come un giocattolo, ma di fatto scambiando Angiolina per una fanciulla semplice e ingenua,
finisce per idealizzarla e comportarsi da goffo romantico. Il ritratto di Angiolina mostra che è il perfetto opposto del suo
corteggiatore. Dall'inizio appare dotata di benessere, con volto illuminato dalla vita, raggiante di gioventù e bellezza.
Emilio non comprende la realtà che ha davanti agli occhi, proiettando su Angiolina i propri desideri.
Le scelte stilistiche
L'inizio del romanzo, senza introduzione e subito nel centro dell'azione, ricorda quelli della narrativa naturalista: alcuni
critici sottolineano l'affinità con l'inizio di Mastro-Don Gesualdo di Verga, uscito 9 anni prima. Le prime righe del testo
sono quelle del protagonista e il narratore sembra svanito, intento solo a registrare i pensieri del personaggio.
Improvvisamente il narratore smonta l'alibi altruistico di Emilio per dirci le vere ragioni del suo disimpegno affettivo: la
difesa dei valori della "carriera" e della "famiglia".