2010 12 Tinazzi
2010 12 Tinazzi
2010 12 Tinazzi
A.A. 2010‐2011
INTRODUZIONE
Il progetto affronta il tema di ridefinire e riarticolare gli spazi del centro di Sesto San Giovanni
compresi tra piazza della Repubblica, ad est della ferrovia Milano-Monza, e l’area che fa
riferimento a piazza IV novembre, comprendendo il sistema di vie che la ricollega a piazza Oldrini.
Attualmente il complesso di questi spazi (vie carrabili, vie pedonali, sottopassi, giardini, piazze,
edifici storici ed edifici pubblici) non risponde ad un’organizzazione in cui ogni elemento giochi un
ruolo, al di là della mera funzionalità, strategicamente finalizzato alla creazione di un contesto di
riferimento urbano, quale storicamente il “centro antico” della città industriale è sempre stato. I tre
poli su cui articolare l’intervento sono le tre piazze Repubblica, IV Novembre e Oldrini, il
ripensamento dei rapporti di relazione all’interno di questo triangolo porta inevitabilmente al
confronto con i temi guida che geneticamente caratterizzano l’essenza di quest’area: l’importanza
di un ri-inquadramento su scala lombarda della posizione territoriale del Rondò sulla via per Monza
e sulla via napoleonica per la Villa Reale; il rapporto con la ferrovia, infrastruttura fondamentale per
la “fortuna” industriale della Sesto novecentesca ma al contempo patologia urbana nella
separazione delle parti est ed ovest della città; il ripensamento del Rondò come piazza, ovvero la
ridistribuzione delle funzioni che in esso convergono secondo un principio che reindirizzi l’attuale
congestione di segni urbani figurativamente inespressi; la sceneggiatura per un dialogo tra
personaggi, coinvolgendo, in una risposta al circuito Bottoniano della zona est, le occasioni
collettive ad ovest della ferrovia, come il giardino Corridoni-Padovani, la bocciofila di via Rovani, il
giardino Rovani-Bandiera, le scuole di via Marconi e via Risorgimento, il cinema teatro Elena; il
ridisegno dell’enorme vuoto urbano di Piazza Oldrini, testata nord di questo ideale circuito.
Un’operazione sugli interni urbani. Dal punto di vista operativo tra piazza della Repubblica e Rondò
il progetto prevede il rifacimento del collegamento sotto la ferrovia e del mezzanino della
metropolitana e la creazione di una struttura adibita a “urban center”. In piazza Oldrini l’occasione
per la destinazione funzionale è suggerita dalla presenza del centro civico-culturale,ospitante
biblioteca e scuole civiche pe r la formazione permanente e il tempo libero, presente sul lato est
dell’invaso, al quale potrebbe ricollegarsi il progetto di una struttura più consolidata, per
l’insegnamento della danza e della musica.
In fase di ideazione e progettazione si è sempre cercato di affrancare il movente principale del fare
architettura dalle univoche problematiche della destinazione funzionale, proprio perché, non
essendocene tra l’altro l’esigenza, considerando dal punto di vista umanistico, oltre che tecnico, lo
spazio di ricerca e progettazione dell’università, l’ampiezza delle questioni del tema generale di
progetto sarebbe difficilmente potuta rientrare in una dettagliata programmazione a priori. E per
questo il susseguirsi di varie proposte progettuali, rielaborazioni di idee precedenti o immediate
ripartenze da zero, ha costantemente cercato di trovare risposte nella creazione di figure
architettoniche che potessero appunto rientrare in un ipotetico dialogo tra personaggi urbani, così
da pensare, ad esempio, all’edificio per scuole di danza e musica di piazza Oldrini come ad un
fenomeno di teatralizzazione della città, in modo complementare alle istanze distributive interne.
Lo spunto d’indagine è infatti stato la proposta di una copertura praticabile, che, salendo
gradualmente in altezza, portasse l’abitabilità dell’invaso su differenti quote, finalizzandosi alla
messa in scena di uno spazio piazza estroverso; analogamente si è pensato alle piazze
Repubblica e IV Novembre, come a teatri del vivere civile, pensando che lo spazio del mezzanino
della metropolitana, rafforzandosi reciprocamente, attraverso la comunanza di quota, con
l’accesso da Repubblica e il braccio sotterraneo che unisce il centro storico con il centro della
“nuova città”, potesse ambire ad un ruolo di marcata rappresentatività collettiva.
La riconoscibilità dei capisaldi di un rito collettivo nella vita degli spazi urbani, l’innesco di un
rapporto di identificazione del cittadino con la civitas.
1 Progetto e contesto
Immagini
SCHEDE
2 Analisi progettuale
SCHEDE
S2.1_Iter progettuale
S2.1.1_Piazza Oldrini. Storyboard progettuale.
S2.1.2_Piazza Oldrini. Il primo progetto.
S2.1.3_Piazza Oldrini. Ipotesi intermedie.
S2.1.4_Piazza Oldrini. Ipotesi intermedie.
S2.1.5_Rondò. Ipotesi preliminari.
S2.1.6_Rondò. Ipotesi intermedie.
S2.1.7_Rondò. Ipotesi intermedie.
S2.1.8_Rondò. Ipotesi intermedie.
S2.1.9_Rondò. Ipotesi intermedie.
S2.2_Riferimenti di progetto
S2.2.1_Raimund Abrahm, Progetto per il Times theater tower, New York, 1984
S2.2.2_Alessandro Anselmi, Teatro della Casa della cultura, Chambery le Haut, Francia, 1982
S2.2.3_John Andrews, Gund Hall, Harvard Graduate School of Design, Cambridge, Usa, 1968
3 Descrizione interventi
TAVOLE
T3.1_Tavola Analogica
T3.2_1:200
T3.3_1:500 Rondò
T3.4_1:500 Oldrini
T3.5_1:200 piante Rondò
T3.6_1:200 piante Oldrini
T3.7_1:200 sezioni Rondò
T3.8_1:200 sezioni Rondò
T3.9_1:200 sezioni Oldrini
T3.10_1:200 sezioni Oldrini
T3.11_1:200 prospetti Rondò
T3.12_1:200 prospetti Rondò
T3.13_1:200 prospetti Oldrini
T3.14_1:200 prospetti Oldrini
4 Bibliografia
A metà ‘800 Sesto era un borgo agricolo e di villeggiatura per le ricche famiglie milanesi, il
richiamo turistico era in parte dovuto anche alla fama raggiunta dai fratelli Zappa, coltivatori di fiori
e giardini. Il borgo era costituito da un nucleo di case e botteghe di pietra col tetto di legno e tegole
e da 24 cascine sparse in una vasta campagna che produceva gelsi, frumento, granoturco, miglio,
segale, ravizzone, uve, patate, ciliegie, persiche. Verso il lambro vi era stanziato anche qualche
allevamento di buoi. I tipi di abitazione, oltre alle ville dei signori milanesi, erano “le corti” e “le
cascine”, costruzioni sostanzialmente simili che differivano solamente per alcuni particolari dovuti
all’ubicazione in centro o in campagna. Il principio fondamentale era quello di edifici a quadrilatero
che ospitavano più famiglie al loro interno, consentendo un organizzazione della vita lavorativa di
tipo comunitario. Le case erano suddivise tra gli ambienti lavorativi (depositi, stalle, botteghe,…)
al piano terra e le stanze da letto al piano superiore, che facevano tutte riferimento ad un’unica
grande cucina in cui si ritrovavano a mangiare tutti. Il Cadioli: “ La vita in queste corti aveva un
carattere comunitario: si mangiava sul gradino di casa o su uno sgabellino, in scodelle, si lavava
nel cortile, nel cortile si raccoglievano i gruppi delle donne a lavorare o a chiacchierare, nel cortile
razzolavano le galline e in mezzo a loro giocavano i ragazzi”(da “Profili di Sesto antica”,AA.VV.,
Gelmi Edizioni d’arte 1980).
Nel 1857-1858 il censimento rilevava 110 case nelle quali risiedevano 502 famiglie. Il censimento
del 31 dicembre 1871 diceva che 3497 sestesi vivevano “agglomerati in centri abitati” e 1542
“sparpagliati nella campagna”. Il centro del paese era ad est della attuale linea ferroviaria. Nel
centro passava la strada per Cinisello lambendo cascina Lambro, mentre più ad ovest si trovava
una grande piazza ottagonale nota come il “Rondeau dello stradone” dalla quale partiva il grande
viale alberato fatto costruire da Napoleone che portava a Monza dalla parte della Villa Reale e che
più tardi gli austriaci fecero continuare fino al piazzale Loreto con quello che attualmente è il viale
Monza, da questa parte del paese vi erano però pochissime case.
I borghi agricoli, come lo stesso Sesto San Giovanni, tendevano a sorgere nei pressi dei fiumi e
torrenti. Nel nostro caso sono il Lambro, il Naviglio della Martesana, che ancora passa all’estremo
sud di Sesto, costruito da Francesco Sforza nel 1465, e il Canale Villoresi, a nord.
Vi erano numerose corti e cascine, che iniziarono a soccombere con la crescita dell’industria.
Le Cascine e le Corti si potevano riconoscere dalla casata padronale, oppure dal nome di
caratteristiche persone: cosi’ le ancora esistenti Cascina Rabina, Pelucca, Baragiola, Baragia,
Rubina, Parpagliona, Colombo, De Gatti, De Ponti, Bergamina, Novella, Valdimagna, Sartirana,
Torretta e Molino Tuono, da salvare secondo l’importanza storica e artistica.
Tra le cascine distrutte si ricordano la Muggiasca, Lambro, Nava, Gioconda, Teresa, Margherita,
S.Uguzzone, S.Giuseppe, Balzarolo e Pasquale.
Le Ville rimaste sono invece la Torretta, la Puricelli, la Mylius, la Zorn. La Pelucca, la Negri, la De
Ponti.
Sono scomparse le Ville Alzati, Vigoni, Zappa, Musati, Montaldi.
Fino al 1869 Cassina de Gatti era un comune autonomo , ma proprio per lo spostarsi del centro di
vita più ad ovest era venuta negli anni a perdere di importanza e autonomia, venendo assorbita dal
comune di Sesto. Fra il 1820 e il 1850 avvenne a Sesto un profondo mutamento delle forme di
affitto dei campi da coltivare, si passò dalla masseria alla mezzadria, ovvero le famiglie possidenti
che prima affittavano vasti appezzamenti per lunghi periodi a gruppi di famiglie contadine, ora
iniziarono a spezzettare gli affitti in terreni di dimensioni ridotte gestiti da singole famiglie con
contratti a breve termine. La struttura delle corti non mutò più di tanto se non per quanto
riguardava le parti comuni.
1.2_L’attività agricola e le prime manifatture
All’aprirsi del decennio ottanta dell’Ottocento Sesto San Giovanni era un centro rurale di media
grandezza, che andava via via aumentando di dimensioni.
Da 4.344 abitanti nel 1861, Sesto era passato a 5.039 residenti dieci anni dopo, a 5.597 nel 1881,
che sarebbero diventati oltre 6.900 nel 1901. Aumento dovuto al naturale accrescimento della
popolazione.Dal 1902 invece, l’insediamento delle grandi industrie provocò un rapido accrescersi
della polpolazione, arrivando a toccare, nell’intervallo 1902-1911, una percentuale del67,7% del
tasso di accrescimento.
Per quanto riguarda il regime fondiario, dalle documentazioni catastali del 1856 risulta che a Sesto
prevalevano la grande e la media proprietà.
Nel 1880, il 69% del territorio comunale, che comprendeva anche i comuni di Sant’Alessandro dal
1841 e di Cassina de Gatti dal 1869, apparteneva a 10 proprietari, tra cui van ricordati i Puricelli
Guerra e i De Ponti. Il 28% era invece distribuito tra 15 medi proprietari e si trattava di istituzioni
caritative come l’Ospedale di Vaprio d’Adda e la Congregazione di Carità di Milano.
Riguardo alla destinazione colturale dei fondi nel 1873, il 81% del territorio sestese era destinato
all’aratorio, sul quale era praticata la cultura promiscua: frumento e mais in rotazione biennale, il
primo per il pagamento dell’affitto del fondo, il secondo per l’alimentazione dei contadini. Ai cereali
erano associate colture arboree come le viti e il gelso.
L’associazione cereali-colture arboree si confermo’ come la destinazione colturale prevalente dei
terreni di sesto nel periodo preunitario e sino oltre il primo decennio del secolo successivo; infatti
risulta che nel 1913 il 53% era coltivato a seminativi e a piante legnose, sebbene con una
contrazione del 30% rispetto a quarant’anni prima dovuta all’incremento di superficie occupata da
edifici e infrastrutture varie. Con l’avvento della ferrovia sorsero nuovi fabbricati nelle vicinanze
della stazione ferroviaria e alcuni edifici che facevano parte della sesto vecchia videro mutata la
loro destinazione, che passo’ da uso agricolo a quello industriale. In questo modo l’area del borgo
assunse una fisionomia piu’ compatta, che conservo’ fino al dopoguerra. Furono destinate ad uso
industriale anche aree poste lungo la ferrovia e lungo le sue diramazioni, da nord-est a sud-ovest.
La forma contrattuale prevalente era l’affitto misto grano e mezzadria, che imponeva al coltivatore
di consegnare al proprietario una quota della produzione cerealicola proporzionata all’estensione
del terreno di cui si occupava, meta’ dei prodotti del soprassuolo, e di prestare giornate lavorative
per il trasporto dei prodotti agricoli verso i luoghi di contrattazione, oltre a un affitto per la casa. Vi
era poi una distinzioni tra le famiglie, i massari, nuclei pluricellulari che aravano col bestiame; e i
pigionanti, nuclei monocellulari che utilizzavano zappa e vanga. Dalle documentazioni catastali di
meta’ 800 sappiamo che il 71% dell’intera superficie comunale era affidato ai pigionanti: i terreni
dei comuni censuari di Sesto con la Torretta e di Sant’Alessandro con la Pellucca risultavano
classificati come “coltivo a vanga”, non e’ specificato niente per Cascina de Gatti.
Questa forma di contratto permetteva alle famiglie contadine di occuparsi anche di attiva
manifatturiere, e le integrazioni di reddito derivanti dalle attività extra agricole assunsero una
grande importanza a partire dai primi anni 80 del 800’, quando ci fu la più grave crisi
dell’agricoltura, dovuta anche alle importazioni da oltreoceano di cereali.
Sesto non poteva soddisfare molto posti lavoro nelle officine metallurgiche, cosa che invece
soddisfacevano Milano e Monza, e dalla meta’ dagli anni 80 anche il settore dei trasporti offriva
impieghi.
Con l’inizio degli anni 90 anche Sesto può fornire degli impieghi, in quanto fu coinvolto dal
processo di diffusione centrifuga della manifattura milanese, che da tempo aveva interessato le
aree limitrofe al centro di Milano: i Corpi Santi, aggregati al comune di Milano nel 1873.
Ovvio era che le aree periferiche ben si prestavano con grossi terreni e prezzi minori rispetto alla
città, e gia nel 1882 vi erano industriali disposti a impiantare officine a Sesto.
Il primo impianto di opifici non riconducibili solo al settore serico si ebbe quando il comune
provvide a dotarsi di uno scalo merci ferroviario a piccola velocità nel 1885. E conseguenza
indiretta era l’apprezzamento degli stabili.
La posizione territoriale di Sesto non e’ stata una condizione determinante dell’attivazione degli
opifici, ma e’ stato una dei principali motivi dell’avvento della grande industria: Sesto si trovava
sulla linea ferroviaria che collegava Milano con l’Europa centrale attraverso il San Gottardo.
1.3_L'attività serica
Nel 1840 i Puricelli Guerra,trasformando parte della loro villa, aprirono la prima filanda a carattere
industriale, alla quale seguì uno sviluppo generale del settore (Savini-Gaslini, De Ponti, Gnocchi,
Chiavelli) a Sesto San Giovanni con la conseguente richiesta di manodopera e la creazione di
posti di lavoro.
La crescita delle filande fu importantissima perché di fatto aprì il mercato dell’economia sestese
con la divisione sociale del lavoro. Negli anni settanta dell’ottocento l’occupazione nelle
manifatture seriche si aggirava intorno ai 730 addetti, ai quali si aggiungevano una serie di
operatori a domicilio nel campo della tessitura del cotone, della canapa e del lino. Il periodo di
lavoro per gli impiegati nella lavorazione dei bachi andava da luglio alla fine dell’anno. Impegnava
un ottavo dei sestesi: le donne prevalevano nelle filande, le minorenni nelle fasi di torcitura, gli
uomini erano addetti nella manutenzione degli impianti e al trasporto dei materiali. Fra il 1882 e il
1883 sorsero tre filande di piccole dimensioni, con una quindicina di bacinelle ciascuna, queste
erano la filanda Chiavelli, la De Ponti e la Casartelli. Maggiori dimensioni avevano raggiunto le tre
filande già attive da dieci anni. La filanda Sormani crebbe e assorbì la Puricelli Guerra nel 1872.
Seconde per dimensioni erano le filande Savini e Gaslini.
Nel 1872 si attestava in 11003 il numero dei gelsi esistenti a Sesto. La coltura dei gelsi fu
estremamente importante per Sesto anche perché permetteva di guadagnare soldi dalla vendita
dei suoi prodotti che veniva divisa tra i padroni e i coltivatori.
La lavorazione del baco da seta fu alla base dell’inizio della grande trasformazione di Sesto in un
centro industriale, il gruppo dei proprietari terrieri che risiedevano in paese si rese conto ben presto
che era possibile lavorare i bozzoli da seta in loco anziché venderli e quindi impiantarono le
filande.
Sesto registro’ un primo anche se contenuto incremento delle attività non seriche dal 1887 al 1892.
La conseguenza dell’installazione di nuove officine fu il fatto che lo scalo merci di ridotte
dimensioni realizzato qualche anno prima, fu insufficiente alle esigenze della Sesto dei primi anni
90. Nel 1891 se ne reclamava l’ampliamento.
Mettendo ora a confronto i periodi 1880-1887 e 1888-1895 gli impiegati all’agricoltura erano scesi
dal 71% al 64%.
Nella fase di ripresa che caratterizzo’ l’economia italiana, 1895, Sesto apri’ solo un nuovo opificio
tessile. Invece a partire dal 1897 si insediarono le pompe Gabbioneta e l’anno successivo la
Turrinelli e C. per la costruzione di vetture, carri elettrici accumulatori, e nel 1901 le Trafilerie e
Corderie Metalliche Luigi Spadaccini, mentre l’officina Camona, Giussiani e C. dopo 10 anni di
attività in loco aveva raggiunto una certa dimensione.
Camona e Spinelli trattavano prodotti di lattoneria e fumisteria e impianto la sua officina a Milano
nel 1887, e già nel 1891 era considerata tra i principali produttori di utensili in latta, ferro e ghisa.
Nel 1891 si trasferisce a Sesto e nel 1895 vi ci trasferisce anche la sede la ditta.
Dai primissimi anni del novecento a Sesto iniziò la concentrazione di stabilimenti industriali, nel
1903 la Breda, nel 1905 l’Ercole Marelli, nel 1906 le Acciaierie e Ferrerie Lombarde e la Osva.
Questo fu la conseguenza della necessità di Milano di espandersi verso più convenienti direttrici
spaziali. Già nel 1885 il piano “Beruto”, ormai ampiamente esaurito nelle sue previsioni di sviluppo,
indicava la direttrice nord come la soluzione più probabile. L’opera di espansione verso nord delle
aree industriali avvenne quindi per tappe successive in un lasso di tempo relativamente ristretto,
grazie alla collaborazione di diversi attori ( gruppi industriali, banche, proprietà terriera).in grado di
concentrare grandi capitali. Il primo obbiettivo era quello dell’acquisizione delle aree oggetto di
interesse e la loro riconversione da suolo agricolo a suolo industriale. Questo processo venne
guidato da una “visible hand”(Varini) , costituita dalla condivisione di un progetto comune realizzato
tra i primi del secolo e gli anni venti, secondo macro-fasi successive. Furono i principali istituti
finanziari ad avere un ruolo trascinante nelle fasi progressive della lottizzazione, tra queste spicca
la Banca Commerciale; questa nel 1906 estese i suoi interessi alla sfera immobiliare e si fece
promotrice di una società il cui obbiettivo era “la creazione nei dintorni di Milano di un quartiere
industriale, per trasferirvi alcune importanti industrie che attualmente sono installate nel centro
della città”. L’area individuata per l’operazione immobiliare venne individuata in “una vasta
proprietà situata tra Sesto San Giovanni e Greco Milanese in posizione particolarmente favorevole
per la costruzione di stabilimenti industriali”, per il suo acquisto venne creata la Società Quartiere
Industriale Nord Milano, con un capitale sociale di 5.000.000 di lire, finanziato dalle società Breda
e Pirelli,che si trasferirono, ingrandendosi, dalla zona di Porta Nuova a Milano, le banche Pisa e
Feltrinelli, le Ferrovie Meridionali e la Banca Commerciale (con una quota minoritaria di 400.000
lire). Un’operazione del genere fu resa possibile dall’alleanza che i sottoscrittori di questo gruppo
immobiliare strinsero con le famiglie di rinnovata tradizione industriale già presenti a Sesto, le quali
durante la seconda metà del XIX sec., si specializzarono nell’industria di trasformazione dei
prodotti da bachicoltura, impiantando sul territorio sestese una nuova, ma già solida, tradizione
industriale. Le famiglie in questione erano i Puricelli Guerra, i De Ponti, i Mylius, i Vigoni, i
Wonviller e gli Zorn. Il futuro sindaco di Milano Giulio Vigoni, fu presidente della “società per lo
sviluppo economico e industriale di Milano”. Il piano urbanistico di questa speculazione immobiliare
prevedeva un nuovo viale tra Milano e Sesto San Giovanni dedicato alla circolazione di vetture,
tram, cavalli e pedoni: a inizio, metà e fine di questa arteria vi dovevano essere tre grandi parchi, il
primo occupava un’area di 150.000 mq, il secondo di 100.000 e si estendeva intorno alla Bicocca e
il terzo, di dimensioni più ridotte, attorno alla Torretta. Inoltre la pianificazione prevedeva anche tre
zone residenziali: la prima, nei sobborghi milanesi, con delle villette con giardino in modo da che il
costruito non occupasse più di un terzo dell’area, la seconda con case più alte per operai, la terza
prevedeva gli stabilimenti. Nell’ultima area andarono ad insediarsi negli anni gli stabilimenti della
Breda, che nell’intervenire nella Quartieri Industriali Nord Milano aveva esplicitato l’interessamento
per le aree comprese tra la Bicocca e Torretta, e come personale apporto aveva immesso nella
proprietà della società i fondi Bauer e Stuardi siti in Prato Centenario.
Contemporaneamente si costituì un’altra società immobiliare, la Società Terreni Industriali, fondata
da alcuni partecipanti alla Quartieri Nord, tra cui la Banca Commerciale, intenzionata all’acquisto di
territori compresi tra Sesto San Giovanni, Niguarda e Greco Milanese. Il capitale sociale fu di
3.000.000 di lire venne sottoscritto anche da alcuni finanziatori d’oltralpe, fatto che evidenzia il
carattere internazionale dell’interesse speculativo a Sesto. L’operazione riguardò prevalentemente
il territorio sud-est di sesto. La grandezza dell’opera urbana vide nella famiglia De Ponti , la
protagonista di numerose transazioni di vendita di terreni, tra le quali particolare importanza
ebbero le cessioni fatte all' Ing. Attilio Franco e alla Società Anonima Milano, per il fatto che su
queste proprietà andarono a situarsi in prevalenza attività siderurgiche. L’area interessata era
quella a sud-est (mappa topografica del Nuovo Quartiere Industriale Raccordato) della ferrovia,
naturale scelta localizzativa dell’industria siderurgica che discendeva dalle alture del lecchese.
Nella Società Anonima Milano, costituita il 23 ottobre 1905, partecipavano Giorgio Enrico Falck e
altri industriali lecchesi. L’entità dei capitali investiti dalle società anonime per la speculazione
edilizia tra il 1905 e il 1909 fu uguale al 42% del complessivo investimento immobiliare in tutta
l’area milanese. Il vecchi borgo sestese ne risentì in larga misura, tanto che vi fu una rivalutazione
degli immobili del 33,7%, l’espansione del costruito all’interno del comune passò dal 2,2% del 1856
al 31,4% del 1910, questa venne guidata dalle industrie Breda, Osva, Marelli e Acciaierie
Lombarde, che fecero da traino per la nascita di altre piccole-medie imprese specializzate e
collaboranti; questo contribuì alla diffusione di una specifica cultura tecnico professionale
all’interno del contesto sestese.
1.5_L’industria minore
Il centro venne occupato maggiormente da imprese di dimensioni minori, tra cui sono da ricordare
le Soffierie Monti, l’ alimentari Maggi, il Nastrificio Strauss, il Pastificio Battilano, le Distillerie
Alemagna e la Società Editoriale Milanese, le Distillerie Moroni, famose per il loro Marsala all’uovo,
e la società Davide Campari. Quest’ultima e’ un’antica ditta sestese, fabbricante liquori, nota in
tutto il mondo per i suoi caratteristici prodotti distillati, quali il Bitter ed il Cordial Campari.
Questa celebre industria comincio’ le sue attività nel 1860 a Novara e nel 1862 si trasferì a Milano
in Via Manzoni, e passo’ poi nel 1892 in Via Galileo fino agli inizi del nostro secolo.
Per la necessita’ di sviluppare l’azienda ormai pienamente avviata, nel 1902, il Comm. Davide
Campari, provvide alla costruzione di una nuova Sede stabilimento a Sesto S. Giovanni sul Viale
Monza (oggi Viale Gramsci) puntando sulle due specialità Bitter e Cordial, e nel 1932 si aggiunse il
Campari Soda. Lo stabilimento fu progettato da Luigi Perrone secondo lo stile neo-romanico,
impiegando mattoni a vista e decorazioni parietali in ceramica. Nelle strutture portanti e nei saloni
interni e’ notevole l’impiego del cemento armato, una novità per l’epoca. L’edificio originario e’
stato ampliato con ottimo gusto negli anni ’30 e ’50, oggi inveceè disastrosamente inglobato in una
massa edilizia di Mario Botta. La ditta si e’ sempre avvalsa dei maggiori artisti e grafici
contemporanei per la pubblicità dei propri prodotti, l’oggettistica e le iniziative editoriali. La famiglia
Campari inoltre nel 1903 compro’ l’adiacente settecentesca Casa Alta, oggi sede del Museo
Campari.
Erano presenti anche 3 stabilimenti meccanico-siderurgici, ed erano i più grossi tra le aziende del
centro: le Trafilerie e Corderie Luigi Spadaccini, la Fonderia Bartolomeo Camona poi Osva, e infine
le Pompe Gabbioneta. Quest’ultima e’ stato un piccolo ma importante stabilimento tra le antiche
industrie sestesi, posta tra i due viali che portano a Monza, fondata nel 1897 a Milano e portata in
seguito a Sesto nel 1905 con una nuova fabbrica tecnicamente attrezzata e specializzata in
costruzioni di pompe idrauliche, elettropompe e termopompe, adatte a tutte le applicazioni
industriali.
Collegata con lo stabilimento, fronte Viale Casiraghi, vi è la villa padronale risalente ai primi anni
’20, tipico esempio del “cà e butega” dell’imprenditoria lombarda.
La Gabbioneta, dagli anni ’20 si impegno’ nella progettazione e realizzazione di impianti di bonifica
e irrigazione, e negli anni ’30, che occupava mediamente 200 persone, realizzo’ uno spaccio
alimentare, un dopolavoro e due case per operai.
Un’altra società che diede vita allo sviluppo di Sesto fu l’ Osva, Officine Sestesi Valsecchi Abramo,
specializzata nella fabbricazione di smalti antiacidi e smalti metallici.
Nata tra le campagne sestesi, dall’unione delle preesistenti officine Valsecchi e Camona del 1896
con la Giussani del 1906, la nuova società fiorì nella produzione di fusioni di ghisa, smaltature,
forniture sanitarie e da cucina, ecc. Le stabilimenti d’origine sorti nei pressi della ferrovia, tra campi
e cascinali, inizialmente occupavano un area di 6.000mq, che salirono poi con lo sviluppo della
società a 180.000 mq con le officine affiliate. Purtroppo la sua attività cessò negli anni ’70.
Lo smantellamento fu determinato da vicende, risentite anche da altre aziende, frutto
dall’immediato dopoguerra, che ha fatto subire rischi e contraccolpi notevoli, facilmente
comprensibili.
La Osva era ritenuta tra le società meglio organizzate, competitiva con i produttori esteri. Dopo la
crisi degli anni ’20 la società venne ristrutturata nei reparti di fonderia di ghisa e ottone, smalterie,
rubinetterie, meccanica e lattoneria e per gli articoli sanitari. Dopo la dismissione degli stabilimenti
è stato edificato un centro residenziale ad alta densità, denominato “Colosseo”.
Un discorso più approfondito meritano le vicende della “Trafilerie e Corderie Italiane”, dismessa,
dopo alterne vicende e cambi di proprietà, e demolita alla fine degli anni ’80. Nell’invaso lasciato
dalla scomparsa dello stabilimento è stata progettata una piazza, inaugurata nel 1990 ed intitolata
ad Abramo Oldrini.
Piazza Oldrini si presenta come un grosso invaso di grandi dimensioni che non permette il giusto
sfruttamento dello spazio in qualità di piazza pubblica. Non presenta alberature e attrezzature
urbane se non otto panchine di forma circolare adibite a seduta e bocche di areazione del
parcheggio sottostante; poste a notevole distanza tra loro non possono essere utilizzate per creare
dei contesti di socializzazione.
La piazza e’ delimitata da alcuni edifici destinati ad uso commerciale, tra cui troviamo delle
banche, un hotel, alcuni negozi di dimensioni minori, un supermercato in disuso e un centro
culturale adibito a scuola di danza. Gli edifici sui lati ovest e nord presentano delle altezze notevoli,
essendo quasi tutti intorno ai 10 piani per un’ altezza totale di circa 30 m, e disagio nella
percezione della piazza, al tempo stesso eccessivamente dilatata e compressa sui contorni, fuori
da una scala umana. Questo spazio poco organizzato e’ il risultato di una disattenta progettazione
urbana, uno spazio di risulta lasciato in seguito alla demolizione di uno stabilimento industriale che
precedentemente occupava quella parte di città.
La fabbrica era la “Trafilerie e Corderie Luigi Spadaccini e C.” divenuta in seguito “Trafilerie e
Corderie italiane”. Era uno stabilimento metallurgico, fondato da Luigi Spadaccini nel 1880 che si
occupava della fabbricazione di impianti, corde e reti metalliche per funivie e teleferiche, che
vennero addirittura utilizzate durante la prima guerra mondiale per il trasporto di armi pesanti e
rifornimenti alle truppe alpine.
Lo stabilimento sestese fu edificato nel 1905 e venne successivamente ampliato dopo l’attivazione
di un forno Martin-Siemens; il sedime dello stabilimento occupava una porzione di territorio pari a
piu’ del doppio dell’invaso attuale di Piazza Oldrini. Possiamo vedere infatti come l’odierna piazza
sia delimitata a sud da Via Rovani, a est da Via Nazario Sauro e a nord da un parco che culmina in
Via Corridoni; mentre il complesso industriale era delimitato a sud sempre da Via Rovani, mentre a
est si estendeva fino a Via Risorgimento, che a’ una parallela di Via Nazario Sauro, e a nord fino a
Via Corridoni.
Non era una fabbrica molto grossa, in quanto contava solo 350 operai, ma le sue dimensioni
fisiche era molto grandi proprio a causa di ciò che veniva prodotto, ossia le funi, che avevano
bisogno di spazi molto lunghi per poter essere tirate e arrotolate. Si poteva quasi definirla un
azienda “familiare” a causa del basso numero di operai impiegati e per questa ragione si poterono
effettuare diversi interventi di tipo assistenziale a favore dei dipendenti.
“La Società ha diverse provvidenze e istituzioni operaie che qui di seguito riassumiamo : Casa
operaia composta di 42 appartamenti di 2 e 3 locali ognuno in località Restellone a Sesto. Orti e
giardini affidati gratis agli operai per lo sfruttamento. Casa costruita nel 1925 con tutte le
comodità. Gruppo di case operaie di complessivi 57 appartamenti in Via Rovani a Sesto San
Giovanni, recentemente dotate di tutte le comodità. Orti in consegna agli operai per la
coltivazione.Casa nuova operaia di 18 locali a Ponte dell'Olio con tutte le comodità.Terreno
affidato agli operai per coltivazioni orticole di uso domestico. Dormitorio a Sesto per gli operai
scapoli o lontani dalle famiglie.Refettorio per impiegati a Sesto.Refettorio a Sesto condotto in
economia dalla Società ove consumano i loro pasti circa 80 operai ogni giorno.Spacci di generi
alimentari a Sesto e a Ponte dell'Olio. Fiorenti Mutue di soccorso per malattie fra operai in tutti gli
Stabilimenti.”(dall'art. "Sesto Fascista industriale", anno 1934, a cura del Fascio di Combattimento
di Sesto S.G. Tipografia Bono & Beveresco).
Sesto San Giovanni come altri centri industriali fece da sfondo alla lotte politiche dei lavoratori, a
cui non pote’ sottrarsi neppure la Spadaccini, che fu addirittura la prima fabbrica italiana ad essere
occupata dai lavoratori nel corso delle lotte sindacali del maggio 1920. L’Industria oltre ad aver
subito dei cambiamenti d’assetto al suo interno, dovuti a mutamenti politici ed economici, subi’
anche delle variazioni fisiche, o per meglio dire plani volumetrici, all’interno nella pianta dello
stabilimento, dovuti essenzialmente allo sviluppo della fabbrica e alle innovazioni tecnologiche.
Utilizzando le fonti cartografiche e iconografiche a noi pervenute abbiamo potuto fare un confronto
tra la conformazione della piazza odierna e quella dello stabilimento, e si e’ intuito che lo spazio
effettivo che occupa la piazza e’ ampio tanto quanto lo spazio tra le due case operaie ed è lungo
tanto quanto il primo gruppo di capannoni che si sviluppano in senso longitudinale; mentre il
secondo gruppo e’ occupato attualmente dal parco con l’asilo. Si può intuire anche che i capannoni
che vediamo dietro alla casa operaia di destra siano quelli di cui al giorno d’oggi intravediamo i
resti dietro alla scuola di musica. Quest’ultimi sono gli unici resti visibili di quella che fu la Trafilerie
e corderie Luigi Spadaccini, escluso ovviamente l ‘immenso spazio vuoto che hanno lasciato.
2.Analisi progettuale
2.1_Casus progettuale
“Il Rondò è una sorta di invaso teatrale, storicamente designato sia come punto di transito che
come luogo di convegno. E’ uno spazio stratificato nella memoria storica cittadina, oggi
compromesso nel suo ruolo simbolico.
Rappresenta il centro antico della città industriale, un tempo fortemente connotato nel paesaggio
dal disegno delle infrastrutture (la linea tranviaria, la ferrovia con la stazione e il sovrappasso
pedonale, il convergere dei rettifili per Monza e Milano), progressivamente declassato man mano
che si è andato consolidando, ad est della ferrovia, il centro del vecchio borgo rurale lungo l’asse
di via Dante.
Piazza Oldrini è un invaso incompiuto. Nella ricca sequenza di spazi collettivi che si dispiega lungo
un circuito tra piazza Rondò e piazza Oldrini (…) la conversione dell’area Redaelli ha lasciato un
vuoto smisurato, su cui affaccia un’edilizia spuria, unitamente alla presenza tumida , anche se
vitale, del centro civico con le scuole e la biblioteca per i ragazzi.”
Da “Progetti didattici della Facoltà di Architettura Civile per Sesto San Giovanni”, Teatralità e
paesaggio nella città del lavoro, “Addizione, montaggio, innesto. Temi progettuali di una
sperimentazione didattica-Rondò e Piazza Oldrini: una strategia di inserti architettonici reinventa
l’individualità dei luoghi, in una nuova praticabilità degli spazi pubblici del centro”, Sabrina Greco,
pg. 75, Maggioli Editore, 2008
Metodo
“Le figure dell’architettura (termine che contrappone intensità e profonda struttura alla superficialità
e volubilità della immagini), costruite su caratteri di facilitazione al comportamento, percorribilità
pedagogica, rapporto problematico fra interno ed esterno non meno che su elementi più canonici
quali archetipi e partiti, o plastica ritmo e proporzione, secondo un’eterogeneità interprete della
connaturata eteronimia del progetto, compongono insieme il paesaggio proprio e quello della città.
Si dispongono secondo un inventario di operazioni che ricercano senso: la triangolazione (termine
sottratto al rilievo cartografico) fra capisaldi, che può diventare modo di traguardare
prospetticamente o piano-sequenza di avvicinamento; l’alterazione dei vuoti urbani per
riproporzionarli e renderli complementari all’emergenza architettonica;l’andare in altezza non
secondo modelli privatistici, ma per accedere, superare, acquisire dominio; la contaminazione e
insieme valorizzazione di nuovo e antico, dando evidenza ai nessi e rendendoli reciproci
contrappunti; la connessione di opportunità in percorsi e circuiti, unità concettuale nella
discontinuità fisica; ed altre ancora”.
Da “Progetti didattici della Facoltà di Architettura Civile per Sesto San Giovanni”, Teatralità e
paesaggio nella città del lavoro, “Dissolvenza e ricomposizione di un paesaggio: un laboratorio per
l’architettura”, Gian Paolo Semino, pg. 12, Maggioli Editore, 2008
2.2_Analisi funzionale e formale degli elementi progettuali. Piazza della Repubblica, piazza IV
Novembre. Ridisegno del nodo stradale del Rondò, collegamento delle due piazze, accesso alla
metropolitana e urban center.
Guardando una foto aerea, scattata ad una adeguata distanza, l’attuale configurazione dell’area
compresa tra Piazza della Repubblica (il Rondò) e Piazza IV novembre è principalmente
caratterizzata dalla presenza della ferrovia, che separa nettamente le due piazze e divide il tessuto
del centro urbano in due parti, una, quella est, corrispondente all’area della Sesto antica, quella
delle ville settecentesche, delle corti rurali ormai scomparse e del municipio, facente a sua volta
parte dell’intervento di Bottoni, e una, ad ovest, identificabile con lo sviluppo degli stanziamenti
successivo all’arrivo della strada ferrata, avvenuto nel 1841. Dal punto di vista urbanistico si
potrebbe dire che Sesto abbia avuto due fondazioni, nata come borgo rurale a pochi chilometri di
distanza da Milano e da Monza, tra la fine dell’ottocento e i primi del novecento è stata rifondata
come città delle fabbriche. Questa seconda genesi industriale ha avuto come conseguenza
l’annichilimento della parte centrale e storica della città, che si è dovuta sviluppare all’interno degli
sbarramenti costituiti dagli stabilimenti industriali posizionatisi lungo tutto il perimetro del nucleo
cittadino e dalla presenza patologica della ferrovia.
Ripensare al disegno della parte centrale della città, e quindi accingersi al ridisegno degli “interni
urbani”, non può dunque prescindere da una consapevole necessità di ricucire i due blocchi
centrali del tessuto sestese.
Attualmente ciò che unisce le due piazze della Repubblica e IV novembre è un sottopassaggio che
conduce al livello di -4.50m del mezzanino della MM1, afferente alla fermata di Sesto Rondò.
Funzionalmente il passaggio è garantito ed è relativamente di facile percorrenza, ma nulla di più.
Se il tutto viene effettivamente considerato come il principale punto di passaggio pedonale tra le
due parti del centro cittadino, risulta chiaro che la sua attuale configurazione non rende giustizia
alla reale importanza strategica di questo nodo urbano, ovvero non riesce a rispondere al carico
urbanistico determinato dalla sua posizione.
La mancanza di un disegno adeguato alla valorizzazione di questo punto di scambio e l’attuale
configurazione delle due piazze rendono tutta l’area adiacente alla ferrovia come una presenza
patologica e non propulsiva della comunicazione tra i le due parti della città. Allo stato attuale il
Rondò non è che uno svincolo stradale ad elevata percorrenza, con una minima e disorganizzata
zona pedonale nella parte sud ovest e un’isola spartitraffico al centro, con le attività commerciali,
pur abbondantemente presenti, che si trovano a vivere lo spazio ai margini della “piazza”, ovvero
lungo i perimetri dell’edificato che ne delimita l’invaso. Passati al livello sotterraneo del mezzanino
e risaliti in superficie dall’altra parte della ferrovia ci si ritrova in piazza della Repubblica, la cui
unica vocazione è quella di essere anch’essa uno svincolo stradale, con una rotonda-giardino nel
mezzo totalmente inservibile come spazio ad uso civile e di aggregazione.
Un progetto su quest’area deve partire dal presupposto di ampliare il senso del collegamento delle
due parti di città e di restituire dignità di luoghi di aggregazione e valore di figura civile alle due
piazze.
Dunque i passi da compiere saranno il ripensamento del passaggio della ferrovia e il ridisegno
delle piazze che ne costituiscono lo sbocco in superficie.
L’ipotesi di ricucitura iniziale è stata quella di creare un sistema di ponti sopraelevati, che, partendo
dal lembo estremo di piazza IV Novembre, andasse a culminare in un diorama visivo sulla città di
Sesto e ad approdare dapprima in piazza della Repubblica per poi ripartire fino ad appoggiarsi
sulla copertura dell’autorimessa di via Casiraghi e da lì riattraversare la ferrovia fino ad arrivare ai
giardini di villa Zorn. Progettualmente il sistema si configurava in una successione di tre ponti-
abitati collegati, adibiti a mercato. Dall’alto la figura che ne derivava era quella di una vera e
propria sutura del tessuto urbano circostante la ferrovia. Questa ipotesi, radicale e sicuramente
affascinante, è stata poi scartata per la difficoltà di gestire i punti di attracco a terra delle strutture
sopraelevate, dal momento in cui l’ingombro delle strutture necessarie andava a soffocare le zone
a livello strada-marciapiede.
La soluzione alternativa è stata quindi quella di gestire il passaggio dal Rondò a piazza della
Repubblica con un collegamento sotterraneo, al livello del mezzanino della metropolitana (-4.50m).
Questa scelta potrebbe sembrare un semplice riadattamento di quello che già esiste, magari
risistemato e ampliato in modo da consentire un passaggio pedonale più fluido nelle ore di punta,
ma la differenza sostanziale sta nella scelta di portare anche le piazze collegate dal passaggio al
livello ipogeo. Questo dovrebbe garantire una maggiore continuità del sistema piazza-
sottopassaggio-piazza, mettendo in relazione diretta l’utilizzo di questi tre elementi. Il
riposizionamento ad un livello inferiore di Rondò e Repubblica è stato anche determinato dalla
necessità di mantenere le quantità di traffico stradale attuale, seppur gestite in maniera differente.
Nel progetto il Rondò è stato trasformato in una rotonda a due corsie che delimita lo spazio del
mezzanino della metropolitana, ripensato quindi come piazza circolare, all’interno del quale un
ulteriore foro circolare consente l’accesso ai binari della metropolitana (-9.00m). Dentro l’invaso del
mezzanino si innestano due edifici adibiti a urban center, che figurativamente derivano da un
solido cilindrico a cui è stata sottratta una porzione corrispondente alle due corde tracciate
seguendo gli assi dei viali che si dipartono dal Rondò, uno per Monza e uno per la Villa Reale,
leggermente più orientato a nord-ovest. L’accesso alla piazza sotto elevata del mezzanino avviene
attraverso gradinate circolari che circondano la rotonda stradale. Questa scelta è stata dettata
dalla volontà di consentire un accesso diretto al livello sottostante, in modo da non avere
sbarramenti rappresentati dall’attraversamento pedonale della rotonda. Dalla parte superiore del
mezzanino si eleva una torre-teatro posta a conclusione ideale dell’isolato edilizio, in dialogo con
l’esistente edificio residenziale a sviluppo verticale, che divide le due vie per Monza e per la Villa
Reale. La torre teatro ha preso spunto dal disegno del teatro verticale progettato da Raymund
Abrahms per Times Square a New York, operandone una significativa variazione.
I due edifici adibiti a urban center si elevano su un sistema di pilastri circolari che sostengono delle
solette a semicerchio, fondamentalmente il principio tipologico è quello degli edifici a pianta libera,
in modo da consentire un utilizzo libero degli spazi per le attività degli urban center.
L’edificio di sinistra parte con una base adibita a servizio biglietteria-edicola, per poi avere
l’accesso agli spazi del vero e proprio urban center attraverso una scalinata che porta ad un
ingresso al livello +0.00m, sopra di questo si posiziona a livello +4.50m la soletta tagliata secondo
l’asse del viale per la villa Reale. L’edifico di destra invece parte da strutture fondative il cui
posizionamento deriva dal non interferire con la presenza dei binari della metropolitana, il vero e
proprio urban center inizia già a livello +0.00 e si eleva per due piani fuori terra. Le coperture dei
due urban center sono entrambe su due livelli, in modo da poter avere per entrambi una gradonata
per assistere a eventuali spettacoli teatrali, aventi come sfondo la vista sui rispettivi assi stradali
sui quali sono allineati i gradoni. La struttura della torre teatro è composta da solette trapezoidali, i
cui orientamenti sono stati ottenuti dai due assi stradali per Monza e per la Villa Reale. A partire da
quota +9.00m si sviluppano due teatrini uno verso nord su un livello e uno verso sud su due livelli.
Il carattere generale dell’intervento sul Rondò è quello di un’apertura delle potenzialità espressive
dello spazio circolare delimitato dalla rotonda stradale e del conseguente abbassarsi del livello
praticabile della piazza a quello del mezzanino,a quota -4.50m. Il tutto è inteso come un unico
meccanismo che parte dal livello a -9.00m della metropolitana passando per la piazza al
mezzanino con gli accessi diretti delle gradinate, che lo collegano con l’esterno dal livello inferiore
alla quota stradale, fino ad arrivare alle coperture praticabili degli urban center e al volume della
torre teatro in testata all’isolato. A questo sistema si collega quindi il sottopassaggio che porta a
piazza della Repubblica, accesso alla parte storica del centro cittadino. Qui il disegno generale
riprende per analogia la figura circolare del Rondò, in un incavo che viene guardato dalle gradinate
di accesso e da una testata di gradoni, utili per un eventuale utilizzo dello spazio sottostante come
scena teatrale o palcoscenico per concerti. Arrivati alla quota del livello stradale il foro circolare
della piazza inferiore è sovrastato da un doppio passaggio a croce, che ne consente
l’attraversamento diretto. Alla piazza si annette un percorso sopraelevato (+4.50m) con pista
ciclabile che parte dai giardini di Villa Zorn, prosegue quindi lungo la ferrovia fino a scendere al
livello -4.50m seguendo un quarto del perimetro della piazza. Unendo anche l’accesso diretto per
le biciclette al sottopassaggio si è cercato di convogliare traffico pedonale e ciclabile in un sistema
che ne agevolasse lo svolgimento e l’integrazione.
In piazza della Repubblica viene quindi a configurarsi un punto di accesso, con possibilità di sosta
e adattamenti per esibizioni teatrali-musicali, che riprende il carattere del mezzanino del Rondò e
ne costituisce una prosecuzione funzionale alla continuità del triplice sistema di accesso alla
metro, collegamento est-ovest e centro civico.
La decisione di contemplare l’edificazione di un urban center, nell’intervento di risistemazione del
Rondò e degli accessi alla metropolitana, è stata motivata dall’attuale mancanza nel centro di
Sesto di una struttura che fornisca servizi civici e possa configurarsi come accentratrice della
comunicazione ai cittadini e agli ospiti da parte della città. Inoltre l’occasione data dalla particolarità
dell’area di progetto è stata determinante: il Rondò è effettivamente un luogo di attività molteplici e
strategicamente molto importante per ciò che riguarda commercio e mobilità, in un certo senso
potrebbe anche essere considerato come il principale veicolo dell’immagine Sestese. L’operazione
che quindi si propone il progetto di un urban center è quella di aumentare il consolidamento e
l’integrazione funzionale di questo nodo urbano, attuando però un riconteggio e una ridistribuzione
degli elementi che concorrono a crearla (strada, metropolitana, piazza, collegamenti pedonali-
ciclabili, servizi civici, verde).
2.3_Analisi funzionale e formale degli elementi progettuali. Oldrini. Progetto di macchina per
l’insegnamento della danza e della musica con Auditorium per rappresentazioni interne.
Riprogettazione degli spazi della piazza.
Quella che è l'attuale piazza Oldrini, intitolata ad Abramo Oldrini, storica figura sestese, fino
all'ultimo decennio del secolo scorso era sede di uno stabilimento industriale dell'azienda Redaelli.
A sua volta l'area della piazza fu già oggetto di un passaggio di proprietà alla metà degli anni '60,
quando vennero dismessi gli stabilimenti della "Trafilerie e Corderie Italiane", già Luigi Spadaccini.
L'ampio sedime dell'attuale piazza è diretta conseguenza della superficie che occupava lo
stabilimento delle corderie un tempo. I processi di trafilatura dei semilavorati metallici richiedevano
l'utilizzo di macchinari dallo sviluppo longitudinale molto elevato. Ad oggi la piazza si presenta
come un immenso ritaglio di spazio urbano la cui destinazione è del tutto incerta; nonostante la
sua posizione centrale, il suo carattere di vuoto urbano è avvertito come una patologia del tessuto
cittadino. Il perimetro è costituito su tre lati da edifici alti (una banca, un albergo, un supermercato
di dimensioni ridotte ed edifici residenziali) che accentuano ulteriormente la dispersione nel
percepire gli spazi, sul lato est invece è presente una stecca bassa longitudinale che attualmente
ospita una scuola di danza. Questo può essere preso come punto di partenza per una sinergia con
la funzione esistente e tentare di percorrere la strada della riqualificazione della piazza,
ridisegnandone gli spazi e ri-destinandola attraverso un'articolazione di funzioni consolidate e
aggregate.
Il progetto prevede una scuola di danza e una di musica. Queste funzioni sono state inserite in un
contenitore scolastico-culturale, che ha come primo intento quello di ricostituire l'attività urbana
della piazza, connettendosi con la scuola esistente, cercando di creare una sorta di dipartimento
urbano a gestione civica. L'edificio comprende sei aule prova per il ballo, sei aule prova per la
musica e un auditorium, il cui utilizzo dovrebbe essere inteso come estensione delle aule dove
normalmente si svolgono le lezioni, inteso come parte attiva degli spazi della scuola, attraverso ad
esempio rappresentazioni settimanali degli studenti. Il carattere totale dello spazio del contenitore
si esprime attraverso l'affaccio di tutte le aule, servite da ballatoi sullo spazio a tutta altezza del
sotto copertura. Quest'ultima è sicuramente l'elemento guida del progetto.
L'ispirazione principale all'approccio progettuale in senso stretto viene da dalla Casa della Cultura
di Anselmi a Chambery. La riqualificazione della piazza ha preso le mosse da una volontà di resa
teatrale della scena urbana; in questo senso il progetto di Anselmi ha ispirato le fasi preliminari
dell'ideazione. La nuova scuola di danza deve massivamente costituire un limite che riconcentri
l'attività all'aperto riducendo l'estensione della piazza; allo stesso momento l'edificio con la sua
copertura gradonata diventa episodio interattivo nella sperimentazione della nuova spazialità
ricercata. Successivamente per quanto riguarda l'organizzazione interna degli spazi la principale
fonte tipologica è stata la Scuola di Design di John Andrews a Cambridge, Boston; qui l'edificio
presenta sempre una copertura a ziggurat, tratto d'unione con il progetto di Anselmi,
l'organizzazione dei piani adibiti a laboratori per gli studenti è tutta affacciata su uno spazio
digradante secondo l'andamento della copertura.
L'intervento comprende inoltre un appendice di contrappunto alla copertura dell'edificio costituita
da un piccolo edificio, anch'esso con la copertura praticabile che si lega alla destinazione del suo
edificio corrispettivo a nord ovest, un supermercato. AI piano terreno si accede a un mercato
coperto in uno spazio climatizzato. Al piano copertura un organizzazione di piccoli padiglioni
gestisce una serie di negozi. L'intervento intende riallacciarsi al contesto sestese attraverso una
distribuzione interna e una resa formale direttamente conseguente che faccia della scomposizione
funzionale il proprio principio costitutivo. Gli spazi ad aula sono moduli che si aggregano
mantenendo la loro riconoscibilità
2.4_Riferimenti
Raimund Abrahm, Progetto per il Times theater tower, New York, 1984
Marpillero, da Casabella, nov.’84 “La mostra in corso, con gli otto vincitori, tra i 565 partecipanti,
riafferma le qualità essenziali di attività, diversità ed accessibilità del punto di “confluenza
architettonica” del sito, la insostituibilità pubblica del suo cuneo edilizio (…) Tra tutte le soluzioni
premiate, la Torre di Abrahm sovrappone sette teatri tra una base a doppia altezza e uno schermo
quadrate in alto che trasmette messaggi: il valore del montaggio delle cellule tipologiche di “spazio
pubblico” si oppone, con la forza scultorea di una brancusiana “Colonna senza fine”, alla cinica
resa di fronte al fluire metropolitano ed al carattere distruttivo imposto dal ritmo sincopato che ne
incalza l’ottimismo”.
Scrivono Frampton e Rag : “La torre di Abrahm è la dimostrazione magistrale della comprensione
di una situazione unica unita alla concezione elementare di un grattacielo. A distinguere una torre
dall’altra, essendo il principio sempre lo stesso (vale a dire la sovrapposizione di solai ripetuta per
un numero “x” di piani) è il rivestimento esterno facciata di pietra o vetrata continua per lo più. Qui
la distinzione è realizzata nell’espressione del programma: sette cinema si sovrappongono per
comporre un’immagine basata sul triangolo, ipotesi suggerita dalla geografia urbana e sviluppata
in volumi, piante, sezioni, facciate, che fanno che fanno del grattacielo contemporaneamente un
supporto all’immaginazione (fiction) ed una potenza segnaletica.
Alessandro Anselmi, Teatro della Casa della cultura, Chambery le Haut, Francia, 1982
John Andrews, Gund Hall, Harvard Graduate School of Design, Cambridge, Usa, 1968
Dalla Relazione di progetto: “ E’ un grande spazio laboratorio, con annessi spazi più piccoli per le
attività di specializzazione. Allo scopo di sfruttare al meglio lo spazio disponibile, gli studi sono
predisposti a piani sovrapposti e coperti dal solo piano inclinato del tetto. (…) La specifica
caratteristica della costruzione, (integrazione delle discipline, contatto, uguaglianza, apertura
illimitata, ricerca, flessibilità) è rappresentata dalla disposizione dello spazio destinato allo studio.
Dal piano superiore uno studente può gettare un aeroplano di carta verso il piano terra e, nel
recuperarlo, ha la possibilità di scoprire ciò che viene elaborato in merito alla ricerca sul design
urbano. (…) La parte scoperta di ogni piano è uno spazio di studio flessibile, visivamente e
funzionalmente connesso agli altri piani, così da permettere agli studenti di scegliere e spostarsi
secondo necessità.”
3 Descrizione interventi
3.2_Rondò e Repubblica
L’incavo di piazza della Repubblica è un foro circolare sormontato da due pontili che si intersecano
perpendicolarmente, gli accessi a questi ultimi dividono il perimetro dello scavo in quattro settori: i
settori inferiore e superiore sono costituiti da gradinate per il traffico pedonale che portano al livello
inferiore della piazza a -4.50m. I gradini sono divisi in tre settori da 8 gradini l’uno. Il dislivello nella
sezione est della circonferenza è invece collegato da una gradonata di 10 gradoni da 45x60cm
l’uno. La sezione ovest invece non consente la discesa pedonale al livello della piazza sottostante
ed è sbarrata da un parapetto di 1,10m. Agli estremi dell’arco di circonferenza che la costituisce vi
sono 2 ascensori 2x2m per il collegamento con il -4.50m. A livello +0.00 la piazza è delimitata da
una pavimentazione che riprende il disegno circolare dell’invaso, costituendo una zona di
percorribilità pedonale che lo separa dalla strada. Il disegno è spezzato dalla presenza, nella parte
superiore di due piccoli spazi verdi triangolari, separati da un vialetto di accesso. Il tutto è
sovrastato da un setto che ha l’estensione di un quarto di circonferenza posto perpendicolarmente
al pontile di attraversamento dello scavo con direzione est-ovest. Il setto fa da contenitore per una
rampa ciclabile che si “richiude” su se stessa per raggiungere il livello della piazza inferiore a -
4.50m, partendo dalla quota di +4.50m, alla quale si giunge da una passerella sopraelevata che
corre da nord lungo il margine della ferrovia e parte con un attracco ai giardini di villa Zorn.
Lo spazio della piazza inferiore è caratterizzato dalla presenza di un circolo centrale sul quale
insistono i disimpegni delle strutture d’accesso dal livello superiore. La piazza sbocca poi nel
braccio sotterraneo che passa sotto la ferrovia e fa da collegamento con gli accessi alla stazione
della metropolitana di Sesto Rondò. Percorrendo la galleria si incontra una rampa ciclabile che
salendo porta alla quota stradale in piazza IV novembre.
Giunti in superficie troviamo una rotonda a doppia corsia per il traffico veicolare con accessi da via
Roma a sud, viale Gramsci e viale Casiraghi a nord e via fratelli Bandiera ad ovest. Esternamente
si innestano gli accessi al livello mezzanino della metropolitana a -4.50, questi sono ricavati negli
spazi tra le strade confluenti nella rotonda e coprono il dislivello per mezzo di due ordini di
gradinate circolari, interrotte puntualmente da delle alberature impostate su dei vasi cilindrici
disposti con scansione regolare,che riproducono il perimetro dell’invaso originale del Rondò
napoleonico. Tra via Roma e viale Gramsci la gradinata è divisa in due sezioni, separate dalla
sede di due ascensori 2x2m, analogamente al settore tra via Roma e via fratelli Bandiera. Discesi
alla piazza inferiore, il mezzanino della metropolitana, ci si trova in uno spazio circolare, ricavato
dal perimetro interno della sovrastante rotonda stradale. L’invaso ha un diametro di 50m, e al suo
interno si trovano la zona di accesso alle banchine dei treni, le relative strutture di servizio e le
fondazioni di due edifici per “urban center” e di una “torre teatro”. Accedendo dalla gradinata
adiacente a via Roma e percorrendo il perimetro dello scavo da sinistra, troviamo in sequenza: la
nicchia riservata al disimpegno per lo sbarco dagli ascensori, la seconda parte della gradinata che
va ad attaccarsi a via fratelli Bandiera, su cui sta, sopraelevato, il corrispondente braccio di rotonda
stradale a livello +0.00m, il quale è sostenuto da dei setti murari strutturali con base di 5x0.70-
0.90m disposti regolarmente con interasse medio di 6.30m. Sotto la rotonda continua, tra via
fratelli Bandiera e viale Casiraghi, vi è un'altra partizione di gradinata alla quale segue, tra viale
Casiraghi e viale Gramsci, una rientranza orizzontale del muro di contenimento verticale
dell’invaso che crea uno spazio coperto, utilizzabile per servizi commerciali. Proseguendo si
incontra la prima porzione di gradini afferente all’isolato compreso tra via Roma e viale Gramsci,
seguita dall’accesso alla galleria di collegamento con piazza della Repubblica, a destra di questo
continua la seconda parte di gradinata alla fine della quale ci ritroviamo al punto di partenza.
La soletta della piazza mezzanino è forata in un punto corrispondente alla sede dei binari della
metropolitana a -9.00m, il foro è circolare, concentrico alla metà del raggio della circonferenza del
mezzanino ed è suddiviso in due semicerchi, quello ovest con raggio di 12m e quello est di 10m.
Sui lati inferiore e superiore dello scavo vi sono due zone per gli accessi ai binari ciascuna
suddivisa in due parti, una per i provenienti dal Rondò e una per chi viene dal sottopassaggio, le
zone di entrata sono dotate di cabina per lo stazionamento dei controllori e i tornelli per i biglietti. Il
dislivello che porta alla banchina dei treni è coperto da due gradinate frontali, una a sud e l’altra a
nord. Una volta giunti ai binari, la banchina è occupata centralmente da un corpo ascensori, che
collega a due passerelle aeree che si dipartono dai lati destro e sinistro dello sfondato. Gli
ascensori portano anche ai piani superiori del sovrastante urban center. Questo edificio è
impostato strutturalmente su dei setti paralleli all’andamento della banchina sottostante e su altri
due setti circolari ricavati da un estrusione del foro circolare che apre sul livello dei binari. A queste
strutture circolari si appoggiano due scalinate che portano al livello +0.00, dove si trovano le sale
dell’urban center, il cui solaio è costituito da una soletta continua a ricavata da un’arco della
circonferenza interna della rotonda stradale e tagliata sull’altro lato da una corda che ne unisce gli
estremi, allineata all’asse viario della strada per Monza. Attraverso una scala addossata sul setto
circolare si sale al piano superiore che riprende il disegno della soletta sottostante, ma è suddiviso
in una parte interna e in una esterna a terrazza, dalla quale si sale, attraverso dei gradoni
45x60cm, al livello + 9.00m. L’edificio è chiuso per la maggior parte da vetrate, incassate lungo il
perimetro esterno tra i solai e su quello interno da una vetrata continua tipo “curtain wall”,
sostenuta da una trama longitudinale in acciaio con ganci a “ragno” per i vetri. In una sezione del
lato circolare esterno le vetrate sono interrotte da una parete in calcestruzzo a tutta altezza, e per il
resto coperte da una serie di “brise soleil” a tutta altezza. L’altro edificio per lo “urban center” si
eleva a partire dal mezzanino con una struttura a blocco centrale e pilotis, che sostengono il
solaio, di forma analoga a quello dell’altro “urban center”, solo che con la corda di circonferenza
del lato interno impostata sull’asse viario della strada per la Villa Reale. Il blocco centrale si eleva
per 9.00m ed è suddiviso in due parti non comunicanti. La stanza del livello inferiore può avere
destinazione commerciale, su questa insiste una scalinata esterna che porta al secondo livello, a
+0.00m, in cui vi è la zona di ingresso al collegamento con il piano superiore, al quale si accede
per una scala, che sbarca nella metà coperta del livello +4.50m. L’altra metà di solaio è all’esterno
ed è collegata per mezzo di gradoni 45x60cm al livello +9.00. Il trattamento degli esterni
dell’edificio è analogo a quello dell’altro “urban center”.
Sulla testata superiore del mezzanino si innesta la torre teatro. Da -4.50m si accede alla quota
stradale attraverso una scalinata, di forma trapezoidale, con corpo ascensore 2x2m, ricavata tra
due setti cementizi sui quali si elevano dei reticoli strutturali in acciaio per 27m. Dal livello +0.00m
si accede per una scala, o proseguendo con l’ascensore, al livello +4.50m, da questo livello in poi
si sovrappongono diversi livelli ricavati dalla traccia trapezoidale dei due allineamenti su viale
Gramsci e viale Casiraghi che portano fino all’ultima soletta a +27m. Al primo piano c’è la zona
ingresso della torre, si sbarca in un corridoio che gira intorno al corpo ascensore, di fronte al quale
ci sono i servizi igienici. La metà superiore della soletta è chiusa e destinata a deposito per i
materiali scenici, lungo il margine esterno insiste una scala diservizio che continua per tutti i livelli
fino alla sommità. Rigirando alla sinistra dell’ascensore si sale al livello +9.00 dove c’è l’entrata al
teatrino che guarda verso nord, con la scena nella metà superiore e una gradonata che sale a
+13.50m. Qui, attraverso un passaggio ricavato nella soletta inclinata superiore, si entra sulla
scena del teatrino-sala conferenze che guarda verso sud. Da questa quota parte una gradonata
che sale per due livelli fino ad arrivare a +22.50m, da qui si può ridiscendere attraverso la scala sul
margine esterno ad un livello immediatamente inferiore dotato di servizi igienici. Le scene e le
gradonate dei teatri sono ricoperte esternamente di pareti in calcestruzzo con casserature a vista,
le altre parti sui lati della torre sono vetrate. Il lato sud e il lato nord sono anch’essi vetrati; il lato
nord è ulteriormente schermato da brise soleil a tutta altezza, non strettamente necessari per
filtrare i raggi solari, ma utili formalmente per dare continuità di lettura al fronte circolare
delcomplesso urban center-torre/teatro.
3.3_Oldrini
L’intervento su piazza Oldrini è costituito da due edifici separati, il principale è unascuola civica per
l’insegnamento della danza e della musica con un auditorium e contraddistinto da una copertura
praticabile inclinata a gradoni, l’edificio più piccolo è una struttura per il mercato, anch’esso con
copertura praticabile.
Arrivando da via Rovani la scuola si presenta con il suo fronte principale. I punti di accesso sono
tre: dalla sala a navata longitudinale che occupa la parte sinistra del piano terra, dall’ingresso del
foyer dell’auditorium al centro del fronte principale e dall’entrata di servizio per i camerini, sul lato
est dell’edificio. Entrando dalla prima entrata si accede alla sala a navata longitudinale. L’accesso
è limitato da una vetrata suddivisa in infissi quadrati di 1,8x1,8m, la sala quindi si estende in
lunghezza per circa 45m, occupando 15m in larghezza. Lo spazio è a tutta altezza, essendo
sovrastato dalla copertura a gradoni estesa su tutto l’edificio. Sul lato sinistro si hanno gli innesti
dei corpi cilindrici assegnati all’insegnamento della musica con i relativi punti di ingresso, sul lato
destro vi è dapprima il portale che sbocca nel foyer del teatro poi una porzione di sala ad altezza
ridotta per la presenza di un’estrusione del corpo dell’auditorium, dopo di questa, sul fondo, ci sono
delle porte d’accesso ai locali di servizio. L’invaso della sala è occupato nella metà sinistra da un
corpo scale-ascensore che porta ai ballatoi distributivi delle aule, al centro da una fila di colonne in
calcestruzzo che sostengono le travature di copertura e sulla sinistra da una rampa per l’uscita
d’emergenza dall’auditorium. Passati attraverso il portale a tutta altezza sul lato destro si entra
nella zona foyer, la stanza ha forma rettangolare: subito a destra si trova la biglietteria con
annesso guardaroba, sulla parete successiva sono addossati in sequenza l’ingresso per gli
spettatori, un blocco di servizi igenici, il bar, un secondo blocco di servizi. Al centro c’è un corpo
scale-ascensore e due colonne in calcestruzzo, il soffitto, da questo punto alla parete che da sul
teatro, è a tutta altezza. La parete di fronte al portale invece è divisa in due parti, un muro e una
vetrata. Adiacente a quest’ultima c’è la parete che da sull’auditorium, vetrata per la maggior parte
dell’altezza a partire dai 2m, si apre alla sala per mezzo di pareti vetrate scorrevoli di forma ricurva,
conseguenza della forma circolare del perimetro della copertura dell’auditorium. L’area della sala
occupa uno spazio di 37x22m ed è suddivisa in tre parti, la platea con 320 posti a sedere, la cavea
e, in posizione rialzata di 1m, la scena. La cavea e la scena sono all’interno di un corpo cilindrico
innestato all’interno della copertura a gradoni. Il soffitto della platea è ad altezza crescente, in
quanto sotto la copertura inclinata, mentre la cavea è a tutta altezza sotto la copertura della
struttura cilindrica che la contiene. Sopra la scena a 6.8m di altezza è sospesa la camera per i
macchinari di scena. Addossati alla parete esterna del cilindro scenico ci sono i camerini ai quali si
accede attraverso una porta sulla stessa parete. L’accesso a questa zona può avvenire dalla
scena, dai locali di servizio in testa all’edificio e dall’esterno. I camerini sono in numero di sei a
piano, disposti su due livelli collegati da una scala a chiocciola e da un montacarichi.
I piani superiori sono costituiti da ballatoi che affacciano sullo spazio a tutta altezza del
sottocopertura. Salendo dal corpo scale nella sala a navata longitudinale si approda al primo livello
a +4.50m, qui il ballatoio porta agli accessi del primo livello delle aule di musica, queste stanno
all’interno di corpi cilindrici costituiti da tre livelli: il piano terra, a cui si accede dalla sala
sottostante, è predisposto per delle lezioni frontali con banchi e sedute per gli studenti, il piano
primo e secondo sono invece organizzati come delle sale prova per le esecuzioni musicali, con
una piccola gradonata ad emiciclo che occupa metà dell’area delle aule. Tutti e tre i livelli sono
finestrati a tutta altezza sul lato esterno, nelle zone di passaggio tra un cilindro e l’altro ci sono i
servizi igienici e delle logge che danno sull’esterno. Proseguendo sul ballatoio si incontrano le sale
adibite a spogliatoio e , disposte sul braccio perpendicolare, le aule per l’insegnamento della
danza. Sul dorso di ogni aula sono addossate delle vetrate che consentono la permeabilità visiva
su tutti i punti, le aule all’interno sono organizzate con un piano da 12x7m per la pratica e una
gradonata sulla parete che da verso l’interno dell’edificio. Le finestrature sull’esterno sono a tutta
altezza e sulle pareti laterali ci sono gli accessi per le logge che dividono un’aula dall’altra, a
queste fanno testata sull’interno del ballatoio i servizi igienici.
Salendo di un ulteriore livello si ritrova la stessa disposizione delle aule del piano precedente, con
l’eccezione che il braccio di ballatoio che porta alle aule per la danza, per seguire l’andamento
della copertura inclinata, è spostato verso l’esterno di circa 2.5m; da qui si può accedere, tramite i
corpi scale interni, sulla copertura. Questa è costituita da una serie di gradoni di 1,8x0.45m che
partendo dalla quota +0.00m arrivano, coprendo gli interni dell’edificio, fino ad una terrazza, il cui
solaio è posto a quota +13.50m. Da qui si può accedere anche alle coperture dei cilindri che
contengono le aule di musica.
Il secondo edificio in piazza Oldrini è posto frontalmente all’edificio delle scuole e allineato
all’esistente supermercato in alto a sinistra sul margine della piazza. Al piano terra l’edificio si
presenta come una sala unica a pianta libera, con finestrature apribili completamente per l’aflusso
dei visitatori sui lati est e ovest, con un corpo scale ascensore per l’accesso al piano copertura, sul
quale sono impostati 8 padiglioni destinati a contenere i negozi del mercato. Da questo piano,
posto a +4.50m, si ridiscende nella piazza attraverso dei gradoni le cui dimensioni riprendono
quelle della copertura dell’edificio delle scuole.
4 Bibliografia
La lista di fonti bibliografiche qui sotto riportata è da ritenersi di carattere essenziale. Per la
redazione delle schede le fonti iconografiche sono state reperite dagli archivi comunali, da
database di raccolte fotografiche online o dagli stessi volumi citati.
-”Sesto San Giovanni dalle origini ad oggi”, Pietro Lincoln Cadioli, ed.G.Beveresco, 1954
-”Sesto San Giovanni (comprensorio 21), in “Edilizia Popolare”, anno XIV, n.135, marzo aprile
1977
-“Cultura e paesaggio a Sesto, le ville”, Athos Geminiani e Toni Nicolini, Vangelista, 1984
-”Sesto San Giovanni, storia, arte, cultura”, a cura di Ezio Parma, Ezio Parma ed., 1989
-”Cascine di Sesto”, Amos Geminiani, Athos Geminiani, Enzo Macchi, ed.d’arte Gelmi, 1990
-”Metamorfosi di una città”, a cura di Ezio Parma e Mario De Biasi, Ezio Parma ed., 1992
-”Famiglie e dimore patrizie”, a cura di Ezio Parma, Ezio Parma ed., 1995
-“Sesto San Giovanni, 1880-1921; economia e società : La trasformazione“, a cura di Luigi Trezzi,
Banca di Credito Cooperativo di Sesto San Giovanni, Skira, 1997
-”Costruzione e trasformazione del paesaggio: la città industriale di Sesto San Giovanni”, a cura di
Sabrina Greco con la supervisione scentifica di Gian Paolo Semino, libreria Clup, 2006
-“L’opera condivisa, la città delle fabbriche, Sesto Sn Giovanni 1903-1952: l’industria“, Valerio
Varini, Franco Angeli ed., 2006
- “Progetti didattici della Facoltà di Architettura Civile per Sesto San Giovanni”, Teatralità e
paesaggio nella città del lavoro, Gian Paolo Semino , Sabrina Greco, Maggioli Editore, 2008