Le nuvole che per tutto il giorno hanno coperto e scoperto i crinali esausti della montagna sono un segno inequivocabile. La pioggia è scesa incessante. I campi appena arati e messi a riposo sono un pantano. Solo i cani che porto a scorrazzare lungo il fiume hanno il coraggio di addentrarcisi, salvo per venirne fuori sudici come due spugne. L’autunno è la nostra stagione. È il tempo di chi resta quando, dopo la sbornia estiva, si fanno i conti di chi non è partito, di chi avrà a che fare con le asperità della vita al margine: scarsi servizi, poche persone, freddo intenso – quest’ultimo non necessariamente un male.* Quella che descrive così lievemente Savino Monterisi nel suo ultimo libro Infinito restare è la realtà di un paesino dell’Abruzzo ai piedi del monte Morrone nella valle Peligna ma è una realtà condivisa da molti altri luoghi e non solo di questa regione. Quando improvvisamente, le piazzette e le vie che si erano per qualche settimana rianimate, ritornano ai loro silenzi e quando anche le giornate di sole si fanno più rare. Monterisi è uno di quelli, ancora pochi, che ha deciso di restare, malgrado tutto e non per un sacrificio personale ma perché, in definitiva, tra i pro e i contro, sono i primi, almeno per adesso, a prevalere. È un libro che ispira letture diverse, tutte stimolanti e ricche di spunti. Monterisi prosegue il discorso che aveva cominciato nel suo precedente Cronache della restanza, pubblicato nel 2020. Ci racconta il suo legame con la terra natale, la volontà di rinsaldare e di rinnovare questo rapporto fatto di affetti e di relazioni con le persone e i luoghi e irrorato dalla necessità di fare qualcosa, di contribuire ad un futuro possibile per il quale valga la pena di impegnarsi. E queste riflessioni l’autore le fa accompagnandoci tra paesini e montagne, alla scoperta di luoghi affascinanti, tra storia e natura, popolati da personaggi vivi e accattivanti. Poi c’è il racconto vero e proprio, la narrazione che si arricchisce nel ricordo delle tradizioni e nell’autobiografia. Monterisi, che è giornalista ma anche guida ambientale, ha deciso di tornare a vivere in questa regione spopolata dall’emigrazione e ha voluto incontrare quelli che hanno fatto la sua stessa scelta, una scelta che, a parole, ispira simpatia e ammirazione ma che poi deve fare i conti con gli ostacoli e le difficoltà quotidiane che possono minare anche le volontà più risolute. Apparentemente qualcosa sembra muoversi anche tra i paesi dell’entroterra abruzzese, ancora sconosciuti ai più e che hanno cominciato ad accogliere un numero di turisti più alto e magari imprevisto. In questi ultimissimi anni, anche a causa della particolare situazione che abbiamo conosciuto, il tema del “ritorno verso la campagna o la montagna”, verso “i borghi”, ha suscitato un interesse mediatico inconsueto. Paradossalmente, l’Abruzzo ha approfittato delle conseguenze della pandemia per uscire allo scoperto, per farsi conoscere come meta per viaggiatori alla ricerca di Natura e di “autenticità”. Soprattutto nell’estate del 2021 e soprattutto i paesi dell’entroterra montano hanno accolto visitatori provenienti da altre regioni che spesso scoprivano questa parte di Appennino. Savino Monterisi pour non negando l’interesse di questa novità, si interroga – giustamente – sulle prospettive di uno sviluppo turistico che potrebbe, come è già accaduto altrove, sconvolgere irrimediabilmente un ecosistema così fragile e delicato. Questa sembrerebbe infatti per la regione una nuova partenza, a prima vista meno aggressiva dopo un primo, limitato e poi fallito tentativo di sviluppo industriale. Forse non a caso il libro si apre con un’escursione verso un eremo “introvabile” (ma infine trovato) che domina il sito di “Bussi Officine” ormai tristemente famoso per le sue scorie chimiche clandestine ma anche, ricorda l’autore, per le esemplari lotte operaie. Ma ora i pericoli sono altri: sono le montagne aggredite da impianti sciistici che snaturano l’ambiente e si appropriano di risorse idriche preziose; sono i paesi, luoghi di vita costituiti anche da persone e dalle loro storie che si trasformano in “borghi”, musei immobili di un tempo passato, luoghi fatti di seconde case vuote la maggior parte dell’anno. Il borgo è un paese che non ce l’ha fatta* dice Monterisi con un’efficace formula. Il libro di Savino Monterisi non è però solo una riflessione sul futuro dell’Abruzzo. È anche uno scritto molto personale e intimo. Un interrogarsi sulle proprie scelte e un dialogo con “i vicini”, lo siano essi materialmente o idealmente, con chi come lui, vive giorno dopo giorno in luoghi certamente in disparte rispetto ai “flussi” più importanti della modernità. Ed è un omaggio alla natura di questa regione, rude e affascinante, alle sue montagne, ai boschi, al vento e alla neve che rende eterno il silenzio. Con accenti pavesiani l'autore ci spiega il suo proposito: Infinito restare s’insinua dunque nello spazio vissuto ed è soprattutto un viaggio. Un viaggio dentro e fuori sé stessi. Un viaggio alla scoperta del non conosciuto a portata di mano. Restare non vuol dire stare fermi, ma trovare un approdo, poterci contare, farci base, creare comunità. Un punto di partenza dal quale esplorare il quotidiano e i suoi contorni, il vissuto e l’immaginato. Spingersi oltre il crinale delle montagne perché non c’è ritorno senza partenza. La partenza come inizio, il viaggio sempre verso casa, dalla quale si parte e si torna. In viaggio per conoscere a fondo sé stessi, la propria geografia, scoprirne i limiti e le virtù.*
*Savino Monterisi, Infinito restare. Radici edizioni 2022