[«Il latino e i volgari italiani negli scritti di architettura dal Medioevo al Rinascimento»] In the Italian Renaissance there was a great variety of the architectural texts and besides the treatises of the architects (for exemple, Leon...
more[«Il latino e i volgari italiani negli scritti di architettura dal Medioevo al Rinascimento»]
In the Italian Renaissance there was a great variety of the architectural texts and besides the treatises of the architects (for exemple, Leon Battista Alberti e Francesco di Giorgio) there were the translations of latin treatises and “books on antiquities” full of information about Roman monuments either ancient or medieval. Moreover, thanks to the contracts made with artists, and the bills of payment prepared by the commissioners of works (from the Middle Ages to the Renaissance), specific details can be gleaned about arts and techniques, and about materials and tools used in building works — these papers present a wide use of a terminology, which charaterize the regional speakings, sign of the informal register of language the architectures and their handworkers used. All these texts are precious materials to carry out historical and linguistic research, which allow on the one hand to evaluate the architectural terminology formed during the course of the XVth and XVIth century, thanks to translations and examination of “De architectura” by Vitruvio and the “De re aedificatoria” by Leon Battista Alberti, on the other, to prepare a technique-scientific text amenable to popularisation. The article focuses on the analysis of the texts written or translated (“volgarizzati”) by italian artists and writers of XVth and XVIth century (Leon Battista Alberti, Sebastiano Serlio, Cesare Cesariano, Cosimo Bartoli, Daniele Barbaro, Giorgio Vasari, Bernardino Baldi) with the aim of describing the textual and lexical aspects of the papers in latin and vernacular, where both languages are in strong interaction.
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I «segreti» dell’«ars aedificatoria», come tutti i modi di operare dei rappresentanti di varie arti, costituivano un patrimonio gelosamente custodito dalle corporazioni e dalle botteghe artigiane fin dall’epoca dei Comuni, e le istruzioni delle pratiche artistiche si tramandavano a voce fra gli addetti ai lavori, maestri e apprendisti. Per questo hanno un notevole interesse i contratti stipulati con gli artisti e le note di spesa redatte per conto dei committenti, dai quali si ricavano non soltanto le notizie su tecniche, materiali e strumenti impiegati nei lavori edilizi, ma anche una precisa terminologia settoriale. Nel saggio si presentano i risultati dell’indagine condotta sui testi sia latini sia volgari, redatti nei secoli XIV-XV in Toscana e nell’Italia settentrionale, ponendo in evidenza i linguaggi tecnici circoscritti agli usi locali di architetti e delle loro maestranze, come muratori, tagliapietre, carpentieri, scalpellini e altri. I documenti presi in esame, tratti dagli archivi e pubblicati negli ultimi due secoli, sono gli atti notarili, per lo più i capitolati di lavori, e i registri delle «fabriche» pubbliche e private corredati da resoconti finanziari ("Annali della fabbrica del Duomo di Milano", i documenti dell’Opera del Duomo di Firenze, le testimonianze archivistiche sugli artisti a Ferrara), che illustrano dettagliatamente i progetti di opere edilizie, dalle costruzioni di chiese, ospedali, palazzi alle ristrutturazioni di case e alle rifiniture scultoree, testimoniando una significativa varietà geolinguistica del lessico architettonico. La nomenclatura tecnica delle scritture approntate nei singoli volgari si mantiene ben salda e nelle loro redazioni latine e nei documenti latini differenti, ricchi di termini settoriali che, non di rado, costituiscono le prime testimonianze d’uso dei vocaboli, le cui attestazioni note in volgare sono posteriori. Questa polisemia del vocabolario degli architetti provenienti da varie regioni si riflette nella letteratura artistica rinascimentale, che, dopo il "De re aedificatoria", composto da Leon Battista Alberti nel latino umanistico intessuto di neologismi tecnici trasposti in latino, non di rado, dai volgari settentrionali, esplode nella prima metà del secolo XVI sia con le edizioni e i volgarizzamenti commentati del "De architectura" di Vitruvio sia con i primi trattati (a partire dalle "Regole generali di architettura" di Sebastiano Serlio del 1537) e con i libri delle antichità. La loro veste linguistica documenta la tensione fra l’esigenza avvertita di una nuova terminologia tecnica comune e il sostrato della lingua d’uso degli scriventi. Per esempio, oltre al ricorso ai lombardismi o venetismi nei testi di Cesariano, Daniele Barbaro e altri, si rileva che, nelle parti sull’architettura aggiunte nella seconda edizione delle "Vite" (1568), l’aretino Vasari accoglie i tecnicismi attestati nei documenti medievali milanesi e ferraresi qui esaminati.