Carlo Crivelli

The article seeks to draw attention to the saintly bodies depicted by Crivelli in the polyptych for Montefiore dell’Aso, considering them from different points of view. As written in the introduction, the figures painted by Carlo Crivelli are not simple representations of people, but contain deep religious meanings. The second part of the article focuses on the importance of the technical process of gilding used in the Montefiore panels for the definition of the holy figures, and its significance for a more precise dating. In its third part, the paper suggests a new identification for the Franciscan saint painted in half length with St. Anthony of Padua; the final section looks into Crivelli’s mode of representing the holy bodies of St. Francis and, above all, of St. Louis of Toluse, who wears a ring in which the artist left a previously unnoticed inscription.

Lo scopo di questo saggio è analizzare, attraverso immagini e testi, come si siano modificate tra XV e XVIII secolo la rappresentazione e la percezione dell’alterità religiosa, in un processo che porta a sostituire progressivamente il “nemico” ebreo a quello turco. Questa tematica generale sarà affrontata attraverso l’analisi di un flusso di immagini presenti nel bacino adriatico, interpretate anche alla luce dei testi di alcune prediche francescane.
Nel XV secolo l’alterità religiosa per eccellenza è ancora rappresentata dall’ebreo, normalmente raffigurato con tratti del volto mostruosi e con consueti attributi iconografici (in particolare il segno giallo, il cappello a punta, il tallit), mentre compie azioni riprovevoli contro la Cristianità o riceve un’esemplare punizione per le sue “malefatte”. A partire dal XVI secolo l’alterità ebraica inizia ad essere genericamente identificata con quella orientale: gli ebrei cominciano ad essere raffigurati in maniera esotica, con abiti lussuosi, turbanti e ricchi copricapo, fino a diventare in alcuni casi dichiaratamente turchi. Nella Salita al Calvario di Simone de Magistris, realizzata nel 1598, gli ebrei che conducono Gesù sul Golgota hanno chiaramente i tratti somatici, gli abiti e le armi degli ottomani: l’accusa di deicidio passa dunque, con un significativo anacronismo, dagli ebrei ai turchi. Nel corso del Cinquecento, come testimoniano le prediche, gli ebrei cessano di essere percepiti come un gravissimo pericolo per la Cristianità, anche grazie all’efficace politica delle “conversioni forzate”, mentre l’avanzata ottomana diviene progressivamente una concreta minaccia nell’Adriatico. Come conseguenza gli ebrei progressivamente scompaiono dall’iconografia, mentre i turchi altrettanto progressivamente vi entrano, con una vistosa specificità: se gli ebrei venivano normalmente raffigurati mentre compivano azioni violente contro Cristo o Maria, i turchi, soprattutto a seguito della vittoria di Lepanto, vengono in genere rappresentati nel momento della sconfitta, mentre soggiacciono alla forza cristiana, o addirittura come schiavi sottomessi. È quanto accade ad esempio in una singolare e tarda rielaborazione dell’iconografia della Madonna del Rosario (la trionfatrice di Lepanto), la quale, in due dipinti settecenteschi, viene raffigurata sopra un alto trono circondato da schiavi turchi incatenati, pregnante immagine del ricco bottino della guerra contro gli ottomani.

El motiu pel qual em vaig interessar per l’obra de Carlo Crivelli està rela- cionat amb un dels meus més deplorables fracassos professionals. En una d’aquelles duríssimes oposicions al cuerpo de adjuntos que es feien a Madrid, no vaig poder reconèixer una de les seves obres en l’examen pràc- tic. Vaig quedar confusa per l’arcaisme d’un artista que semblava ser més modern i me’n vaig (mal) sortir amb una resposta plena d’ambigüitats. Uns anys més tard vaig retrobar la peça –ja classificada en el meu «fons per- sonal» d’imatges– en una visita a la National Gallery de Londres i em va captivar. En primer lloc, pel seu primitivisme amb tocs de modernitat, però també per la seva història, tota una mostra del canvi de gustos –i també dels criteris de valoració– que s’han produït dins de la història de l’art.

Carlo Crivelli’s multi-paneled altarpieces for the Dominicans of Ascoli Piceno are analyzed in their ability to operate as in-between spheres that connect human and divine. The liminal zone of the altarpiece is explored through Crivelli’s amalgams of media and matter, in which ontological categories blur to suggest continuities between different realms of existence. Living and nonliving, natural and artificial echo each other, resulting in hybrid states of being and signaling the interdependence of figure and ornament. The writings of Thomas Aquinas shed light on Crivelli’s artistic process, in which the combination of preexisting forms to produce new compositions follows the principles of rhetorical inventio. It is suggested that Crivelli’s representational system appealed to the contemplative practices of his Dominican viewers, triggering them to reflect upon the mysteries of God’s created universe. The essay concludes that Crivelli’s hybrid assemblages dissolve boundaries and enhance the capacity of the saints to act as intercessors.

Alcune considerazioni sulla prima attività di Carlo Crivelli nelle Marche. Il dossier Crivelli della Fondazione Federico Zeri Partendo dal ricco materiale archivistico e fotografico raccolto da Federico Zeri, la ricerca si pone l’obiettivo di fare luce su alcuni aspetti relativi alla committenza della prima attività di Carlo Crivelli nelle Marche. In particolare questo scritto parte dall’esame di un dossier raccolto attorno alle vicende di realizzazione e dispersione del polittico che l’artista veneziano eseguì per la chiesa parrocchiale di Porto San Giorgio nel 1470. A tale materiale, inviato a Federico Zeri qualche mese prima della sua morte dalla figlia della contessa Gladys Salvadori, è allegato un memorandum in cui sono riportate alcune righe del contratto di commissione a Crivelli di un’opera, che in più occasioni la letteratura specialistica legava al polittico del 1470, senza però il minimo riscontro materiale.

Oltre ad una migliore definizione di quanto contenuto in questo dossier, l’articolo avanza delle nuove riflessioni sul reale significato delle notizie riportate al suo interno: infatti, se gli studi del secolo scorso richiamavano queste informazioni per dimostrare la commissione del dipinto del 1470 da parte di Giorgio da Prenta, l’analisi del dattiloscritto conservato alla Fondazione Zeri porta a pensare che i riferimenti del documento siano piuttosto relativi al polittico di San Domenico a Fermo del 1472.

This article explores how and why the fifteenth-century Venetian painter, Carlo Crivelli (1430/5-c. 1494), signed his pictures. Until recently, Crivelli’s work has received comparatively little critical attention; this is ironic given that he was acutely aware of his reputation and artistic legacy, an awareness that is expressed through his signatures. Whether carved into fractured stone, or emblazoned in gold on an affixed label, Crivelli’s signatures contemplate his role as a creator of religious images that would outlive him. While the carved inscription signifies permanence and durability, labels, sometimes crumpled and appearing as if about to fall away, suggest transience and ephemerality.

The article presents the lecture notes from the first of three university courses on Venetian painting taught by Roberto Longhi at the University of Bologna (1945-1946). Preserved in typescript form in the library of the Department of Visual Arts in Bologna, the volume regards the same topics addressed in a concise, razor-sharp manner in Longhi’s contemporary Viatico per cinque secoli di pittura veneziana (1946), embracing a period of about two centuries, from the Trecento of Paolo Veneziano to the Quattrocento of Giovanni Bellini. Through its dissection of the most significant parts of these notes, the article casts light on their concordance with other celebrated essays by Longhi (especially his “Lettera pittorica” a Giuseppe Fiocco, Giudizio sul Duecento and Viatico), offering a response to thorny questions concerning fourteenth- and fifteenth-century Venetian painting left unresolved or unaddressed in Longhi’s text of 1946.