2005 Istituto di Filosofia Arturo Massolo
Università di Urbino
Isonomia
Per un’estetica della potenza
Emerson e Nietzsche sul grande stile
Benedetta Zavatta
Università “Carlo Bò” di Urbino
[email protected]
Abstract
Traces of reading of Emerson are scattered all through Nietzsche’s published and posthumous
works over a very wide time span, from his school years up to those just before the onset of his
madness. One of the main themes shared by both authors is the building of character, an ethical
as well as an aesthetical duty. By bringing it off, human beings will be able to rule their own
naturalness, not in order to suppress it but rather to enable its full expression. So beauty reaches
its top expression in the man, who is able to increase his natural power through the artistic
transfiguration of hard facts. Once the art to benefit from necessity is learned, individual will no
longer have to passively be subject to the tyranny of fate, but he will be able to take active part
in its almightiness.
Fu probabilmente per un caso fortuito che, nel 1862, il giovane Nietzsche, studente a
Pforta, si imbattè nella raccolta La condotta della vita, il frutto più maturo della
riflessione di Ralph Waldo Emerson (1803-1882) esposta fresca di stampa nella vetrina
di un librario di Lipsia. Entusiasta del vigore che animava il pensiero dell’americano,
Nietzsche si procurò in breve tempo anche i Saggi: prima e seconda serie, i quali lo
spinsero ben presto a cimentarsi nelle prime, acerbe riflessioni di carattere filosofico1.
Le opere emersoniane, pubblicate in traduzione tedesca e faticosamente promosse da un
ristretto circolo di estimatori facenti capo a Hermann Grimm e Gisela von Arnim,
avevano fino a quel momento incontrato un blando favore di pubblico tra gli intellettuali
tedeschi2. In seguito al fallimento dei moti rivoluzionari del ‘48, la Germania si trovava
in uno stato di arretratezza economica e sociale cui faceva riscontro una profonda crisi
ideologica, segnata dal tramonto della fede nel progresso storico e dal più disperato
pessimismo. La filosofia di Schopenhauer, anche e soprattutto nella popolare
mediazione di Eduard von Hartmann, conobbe a quel tempo la sua maggiore fortuna.
Con il sarcasmo verso ogni ideologia progressista e il rifiuto del mondo e della storia, il
sistema schopenhaueriano divenne l’emblema del disimpegno borghese in cui era
sprofondata una generazione di intellettuali delusi e sconfitti3. La voce di Emerson si
inseriva in questo contesto come una nota dissonante, dai più fraintesa come il
superficiale tentativo di riproporre un idealismo che in Germania aveva ormai fatto il
suo tempo. In realtà, seppure il Trascendentalismo americano fosse innegabilmente
sorto sulla spinta del romanticismo inglese e dell’idealismo tedesco, esso si configurò
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come risposta a una situazione socio-politica assolutamente senza precedenti. F.J.
Turner, nel suo ormai classico studio sul significato della frontiera nella storia
americana, osserva come i valori, le istituzioni, i costumi europei vengano
progressivamente modificati dall’ambiente del Nuovo Mondo fino a diventare qualcosa
di totalmente altro.
Questa rinascita perenne, questa fluidità della vita americana, questa espansione verso
l’Ovest con tutta la sua gamma di infinite possibilità, il suo contatto continuo con la
semplicità della società primitiva, alimentano e forniscono le forze che dominano il
carattere degli americani. L’avanzata della frontiera ha significato un movimento regolare
che s’allontanava sempre più dall’influsso dell’Europa, uno sviluppo costante di
indipendenza su linee prettamente americane.4
Sebbene citasse Goethe o Schelling, Emerson cantava in realtà l’esperienza prettamente
americana della frontiera, erigendo a pilastro della sua etica le virtù dell’intraprendenza
e dell’iniziativa individuale da essa consacrate. Nei suoi saggi trovava voce la speranza
nel futuro che animava i coloni del nuovo mondo, dove l’infinita riserva di risorse
naturali prometteva per ognuno benessere e felicità. Come conferenziere e intellettuale
militante, egli celebrò l’individualismo delle selvagge pianure dell’Ovest, dove non vi
era società ma soltanto l’uomo singolo di fronte alla natura, ravvisando nel dovere e nel
diritto di ogni uomo ad autogovernarsi non un pericolo per l’ordine sociale, ma la vera
forza del suo Paese. Professando l’assoluta sovranità dell’individuo, per tutta la vita
Emerson si sforzò di combattere ogni forma di schiavitù e subordinazione, mise in
guardia i suoi contemporanei dai nuovi pericoli della massificazione e del conformismo
e legittimò in ognuno l’aspirazione a esprimere se stesso. Josiah Royce scriveva di lui:
«trasformava ogni cosa che assimilava. Inventava sulla base della sua personale
esperienza e per questo non fu un discepolo né dell’Oriente, né della Grecia e ancor
meno dell’Inghilterra e della Germania. Egli pensava, sentiva e parlava come
americano»5.
Dai commenti disseminati nell’opera edita e inedita di Nietzsche, si evince come
questi colse e apprezzò del pensiero di Emerson soprattutto gli elementi che lo rendono
assolutamente irriducibile al canone europeo, vale a dire lo scetticismo,
l’antidogmatismo e il pragmatismo della sua impostazione. Con commenti che non
lasciano spazio a fraintendimenti, egli decretò la sostanziale estraneità del saggista
americano alla tradizione di pensiero romantica europea e negò risolutamente la
possibilità di omologarlo al contemporaneo Carlyle6. Ripercorrere le tracce della lettura
nietzscheana di Emerson, protrattasi per oltre venticinque anni, permette allora di
ricostruire un’immagine di questo autore assai più complessa e sfaccettata dello
stereotipo di mistico e trascendentalista tramandato da tanta letteratura secondaria. Sono
infatti soltanto le più recenti interpretazioni a rendere finalmente piena giustizia alla
profondità di un pensatore che, lucido conoscitore dei mali del suo tempo, quale critico
sociale e culturale può a buon diritto rivendicare un posto di primo piano sulla scena
mondiale7. Nietzsche fu il primo a scoprire la profondità del saggista americano, da lui
definito senza esitazione come «l’autore più ricco di idee di questo secolo» (FP 12 [151]
autunno 1881), sebbene mancante di una vera e propria formazione scientifica8. Tra i
tanti fili che intessono attraverso gli anni il dialogo virtuale tra i due autori scegliamo di
dipanare quello che lega etica ed estetica nel progetto di costruzione del carattere. La
nuova avventura americana, nella sua voce più autorevole, rappresentò per Nietzsche il
correttivo alla stanchezza e décadence europea, un invincibile «desiderio di salute [Lust
nach Gesundheit]»9 che, nel corso degli anni, lo aiutò a rinforzare la propria identità
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contro il proprio tempo. La progettualità e l’entusiasmo del nuovo mondo
corroborarono in lui la speranza di vedere sorgere un tipo superiore, finalmente libero
dalla schiavitù morale e ideologica del cristianesimo. Così l’esortazione emersoniana
alla self-reliance, virtù che scaturisce dalla self-acquaintance e self-possession, risuona
chiaramente nell’ideale nietzscheano di grande stile, nel progetto di costruzione
nell’uomo di una ‘seconda natura’ che non soffochi o distrugga la prima, bensì ne
consenta la piena espressione.
1. Bellezza come potenza
Entrambi i nostri autori vedono nell’unione di bellezza e potenza tanto un fatto di
natura, quanto un criterio regolativo per l’agire umano. Questa tematica è anche la
prima a risvegliare in Nietzsche l’interesse per i saggi dell’americano, come dimostrano
gli estratti ricavati nel 1863 dalla raccolta La condotta della vita10. In quel periodo
Emerson compare al primo posto nella lista delle letture preferite di Nietzsche, il quale
progetta di compendiarne le opere per divulgarle tra i suoi amici11. I primi saggi ad
attirare la sua attenzione sono appunto Bellezza e Potenza, nei quali viene celebrata la
bellezza intrinseca alla natura in quanto unità organica, vivente. Ispirandosi al modello
delineato da Goethe ne La metamorfosi delle piante, Emerson concepisce la natura
come informata da una spinta al miglioramento (ameliorating) che urge verso la
produzione di organismi superiori. La definizione offerta in queste pagine viene
annotata da Nietzsche nei suoi tratti salienti: bello è ciò che è «semplice, che non
presenta elementi sovrabbondanti, che corrisponde esattamente al proprio fine» (BAW
II, 258; FL, 200). Nella severa economia della natura ogni forma bella è espressione di
«un’eccellenza di struttura» (FL, 201) e della perfetta corrispondenza al ruolo da
assolvere nell’organismo di cui è parte. La bellezza scaturisce dunque non da un
abbellimento esteriore, bensì dalla perfezione intrinseca di ogni organismo. Negli
estratti ricavati da Nietzsche, Emerson esalta la bellezza che «riposa sulla necessità» e
sull’«utilità» (BAW II, 258; FL, 204), stabilendo una correlazione diretta tra il
sentimento del bello e quello dell’accrescimento delle «capacità» dell’organismo (BAW
II, 258; FL, 201). Il giovane studente di Pforta mostra di apprezzare e condividere
l’assunto più pregnante dell’estetica emersoniana, ossia che la bellezza si manifesta di
pari passo con la progressiva attualizzazione delle proprie potenzialità. Bello è soltanto
ciò che vive, colto nel suo instancabile sforzo ascensionale, teso a raggiungere un
sempre maggiore grado di potenza e pienezza d’esistere. Questa argomentazione viene
compendiata da Nietzsche come segue:
Tutta la bellezza deve essere organica. All’osservatore piace ogni attività necessaria od
organica. Nulla di ciò che è perfetto o rigido, immutabile, può destare il nostro interesse,
bensì soltanto ciò che fluisce insieme alla vita, ciò che si sforza di raggiungere qualcosa di
più alto [was im Bestreben oder Versuchen ist, etwas Höheres zu erreichen]. La bellezza è
un momento di transizione [Übergangsperiode], come se la forma fosse proprio sul punto
di fluire [überzufließen] in altre configurazioni. Ogni arresto, ogni accumulo, sono opposti
al fluire.12 (BAW II, 258; FL, 201-203)
La gerarchia che Nietzsche ritrova nelle pagine dell’americano vede la bellezza della
natura come superiore a quella dell’arte, e la prima costituire indiscutibilmente il
modello per la seconda13. Ma tra le forme scaturite dall’inesauribile produttività della
natura, il primato spetta senza dubbio all’uomo. Sull’onda delle letture evoluzionistiche
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che cominciavano a prendere piede negli States, nonché della Naturphilosophie tedesca
circolante ampiamente nella mediazione di Coleridge, Emerson considera l’uomo non il
culmine dello sviluppo della natura, ma soltanto una tappa del processo di evoluzione
verso forme di vita superiori. Coinvolto in un «continuo sforzo di innalzarsi al di sopra
di se stesso, di raggiungere sempre di nuovo una vetta più alta di quella già raggiunta»
(V, 225), questi è l’essere naturale con il più ampio margine di crescita ed espansione14.
Un estratto ricavato dal giovane Nietzsche nel 1863 (BAW II, 259; FL, 205) conferma
la linea che subordina tanto i capolavori dell’arte quanto quelli della natura alla bellezza
raggiungibile dall’uomo. Questa gerarchia, corroborata dalle suggestioni emersoniane,
viene mantenuta da Nietzsche anche negli anni della maturità. In più di un appunto
degli anni 1880-84 troviamo ribadita con fermezza l’idea che il corpo umano abbia un
potenziale espressivo infinitamente superiore a quello di qualunque spettacolo naturale,
e che riporti vittoria certa sulle opere d’arte per il fatto di incarnare una bellezza
«vivente»15. Al momento, il posto spettante all’uomo nella gerarchia della natura è
tuttavia vacante. Nel saggio Natura, appassionatamente sottolineato e glossato a
margine da Nietzsche, Emerson ribadisce come la nostra grande meraviglia per gli
spettacoli naturali o le opere d’arte non faccia altro che dimostrare la decadenza del tipo
uomo. È questi che infatti dovrebbe suscitare la più grande venerazione.
Se ovunque ci fossero degli uomini buoni, la natura non ci incanterebbe come fa ora. Se il
re è nel suo palazzo, nessuno guarda le mura. Soltanto quando egli non si trova là, e la casa
si riempie di servitori e curiosi, noi distogliamo lo sguardo dalle persone e lo rivolgiamo
alle creature maestose ritratte nella pittura e nell’architettura per trovarvi sollievo. […]
L’uomo è caduto, la natura è salda sui suoi piedi […] Lo spumeggiante ruscello ci attrae: se
la nostra vita fluisse con la giusta efficacia, faremmo impallidire il ruscello. (V, 398)
Come leggiamo in uno degli estratti ricavati dal giovane Nietzsche nel 1863, «la
bellezza è la condizione originaria [ursprüngliche Zustand]» dell’uomo (BAW II, 259;
FL, 207), ma le sue fattezze portano oggi il segno del giogo cui questi è stato sottoposto
da secoli di morale contro natura, la quale ha progressivamente deformato il suo corpo e
il suo volto privandolo dell’orgogliosa fierezza che possedeva nell’antichità pagana. Nel
saggio Bellezza Emerson fa sua l’idea greca secondo la quale la bellezza sarebbe il
segno di un favore accordato all’uomo dagli dei, e la bruttezza invece il marchio della
deformità morale. È questa una convinzione che ritornerà con frequenza nella
tipizzazione nietzscheana dei protagonisti della filosofia, come per esempio di Socrate,
la cui bruttezza fisica è di per sé prova di décadence morale. Ne Il problema Socrate
Nietzsche porterà a sostegno della sua ipotesi tanto la convinzione, dominante presso i
Greci, che la bruttezza fisica sia segno di sfavore presso gli dèi, quanto l’assunto su cui
riposa l’antropologia criminale, secondo cui la corruzione interiore è
inequivocabilmente denotata dai tratti somatici (GD II § 3). I volti dei grandi cristiani,
osserva ancora Nietzsche, sono deformati dall’odio e dal risentimento contro la vita. Chi
pretende di staccare l’uomo dalla natura per elevarlo al di sopra di essa, per farne un
essere celeste, in realtà recide il canale dal quale questi sugge nutrimento e vigore,
finendo per prosciugarlo di quella bellezza che pertiene soltanto all’organico nella sua
spinta vitale.
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2. Il sublime americano
La consonanza spirituale con il pensatore americano si rinsalda dunque per Nietzsche
nel corso degli anni anche e soprattutto sulla base della comune opposizione alla
mortificazione del corpo perpetrata dalla religione cristiana e sulla celebrazione della
grecità quale epoca della pienezza dei sensi non ancora corrotta dalla morale. Un altro
saggio di Emerson offrirà, questa volta al Nietzsche maturo, fecondi stimoli di
riflessione sull’inscindibile unità di spirito e corpo, tale per cui la corruzione del primo
si manifesta inevitabilmente nella deformità del secondo. In alcuni estratti dal saggio
Storia ricavati da Nietzsche nei primi mesi del 1882, quando l’affinità con il pensatore
americano raggiunge il culmine16, viene osservato come le persone che affollano le
strade delle moderne città non siano altro che degli esseri «deformi», a siderale distanza
dal tipo greco. Nella grecità l’eccellenza interiore si manifestava spontaneamente
nell’atteggiamento esteriore, «semplice e sobrio, eppure grandioso», così che alle
qualità personali del «coraggio», del «decoro», della «padronanza di sé», della
«giustizia», corrispondevano esteriormente «forza», «prontezza», «una voce tonante» e
una «possente costruzione del corpo»17. La convinzione che la lettura di Emerson va a
corroborare in Nietzsche è che il cristianesimo, con l’assurda pretesa di liberare l’uomo
dalla propria naturalità, abbia in realtà sortito l’effetto contrario, rendendolo schiavo di
una corporeità che non riesce a comprendere né a controllare. Il corpo mortificato e
negato si vendica parlando da sotto tutti i travestimenti della morale e sfogando in modo
subdolo gli istinti ai quali è impedito un’espressione diretta. Nello Zarathustra lo
«sbirciare [schielen]» sarà così attributo delle anime meschine, dei calunniatori della
vita, di coloro che non osano sfidare lo sguardo del proprio avversario e occhieggiano
con invidia la grandezza altrui. Il loro sguardo schivo rivela non tanto modestia e
rassegnazione, quanto piuttosto paura e debolezza, così come lo «sbirciare da castrati»
degli uomini della «conoscenza pura» (Za II, 148) esprime, più eloquentemente di
qualsiasi ammissione esplicita, l’invidia verso coloro che creano e il disprezzo della
dimensione corporea18. Chi pretende con la ragione di dominare il corpo finisce per
diventarne uno schiavo inconsapevole: il corpo parla sempre, anche quando
pretendiamo di farlo tacere. L’intero progetto genealogico condotto da Nietzsche nelle
opere dei tardi anni ‘80 si basa appunto sulla fondamentale convinzione che la filosofia
sia stata fino a oggi un «fraintendimento del corpo» e una negazione della «grande
ragione» che attraverso di esso si esprime. Egli porta così allo scoperto il grande
“rimosso” della filosofia occidentale e rivendica una nuova antropologia che tenga
conto dell’appartenenza dell’uomo al regno animale, senza farne motivo di vergogna o
degradazione.
Su questo punto Emerson offre alla riflessione nietzscheana stimoli del tutto inediti
rispetto alla tradizione di pensiero europea. Peculiare al Trascendentalismo americano è
infatti una concezione del sublime in cui la potenza della natura non viene avvertita
dall’individuo come sfida o umiliazione, bensì considerata garanzia della possibilità di
raggiungerne una di pari intensità attraverso l’espressione della propria componente
naturale. Nella vastità delle pianure dell’Ovest, nella potenza dell’oceano,
nell’imponenza dei massicci rocciosi, Emerson vedeva prefigurata la magnificenza che
attendeva il popolo americano: la grandeur e solitude dei paesaggi del Nuovo Mondo
avrebbero esercitato un effetto fortificante sul temperamento e sul carattere dell’uomo,
facendo sì che esso giungesse a incutere il medesimo timore reverenziale19.
L’esortazione che egli rivolge ai suoi contemporanei è allora di cercare Dio non nelle
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Scritture, ma nella magnificenza della natura, e dunque dentro di sé in quanto si è parte
di essa. Harold Bloom denomina questo panfusionismo, in cui l’uomo si fa una cosa
sola con Dio e la natura, american sublime, proprio per ribadirne la peculiarità rispetto
alle riflessioni sul sentimento del sublime elaborate in ambito europeo20. Epocale fu il
discorso tenuto da Emerson alla Divinity School di Harvard nel 1838, sei anni dopo
aver rinunciato al suo ufficio religioso di pastore unitariano in seguito al rifiuto degli
elementi soprannaturali della dottrina cristiana (in primis l’eucarestia e la fede nella
resurrezione). Egli esortò i giovani laureati che lo avevano invitato a parlare in
quell’occasione a preferire al culto l’esperienza viva della fede, dal momento che la
rivelazione non può essere ricevuta di seconda mano e soprattutto non attraverso un atto
di sottomissione. L’obbedienza alla dottrina cristiana è considerata da Emerson una
mortificazione della dignità dell’uomo, il quale viene defraudato del diritto di
«rivolgersi direttamente alla natura». «Ora l’uomo ha vergogna di se stesso; si trascina
strisciando nel mondo soltanto per essere tollerato, compatito» (HC, 581). In realtà ogni
uomo è divino nel momento in cui rifiuta di subordinarsi a modelli e diventa un essere
originale. Afferma Emerson: «Il sublime (das Höchste) viene risvegliato in me dalla
grande dottrina stoica: ‘obbedisci a te stesso’. Ciò che mostra Dio in me, mi fortifica.
Ciò che mostra Dio fuori di me, mi rende qualcosa di superfluo» (HC, 575).
L’esperienza di Gesù Cristo deve diventare quella di ogni uomo, così che ognuno possa
dire: «Io sono divino. Attraverso me, Dio agisce, Dio parla. Se volete vedere Dio,
guardate me» (HC, 573). A causa di tali dichiarazioni Emerson venne scomunicato dalla
pure illuminata confessione degli unitariani con l’accusa di immoralismo e ateismo, e
per oltre trent’anni le porte dell’Università di Harvard rimaserò per lui serrate21.
Sebbene manchino citazioni o riferimenti espliciti, è tuttavia possibile che Nietzsche
avesse letto il Divinity School Address nella traduzione tedesca Die zwei Hauptfehler
des geschichtlichen Christentums pubblicata nel 1865 all’interno del volume di K.
Scholl, Freie Stimmen aus dem heutigen Frankreich, England und Amerika über
Lebensfragen der Religion. A ogni modo, nella restante produzione saggistica
dell’americano non mancano accenni in questa direzione, dai quali soprattutto il giovane
studente di Pforta trasse ampiamente spunto per dar voce alla propria insofferenza verso
una religione divenuta ormai soltanto ottuso dogma e vuota consuetudine22. La fede
nella divinità dell’uomo, con la quale il Trascendentalismo intendeva rimpiazzare la
dottrina religiosa, ben s’intonava con l’ascesa economica e politica degli States intorno
agli anni ‘40 dell’Ottocento. La riserva apparentemente inesauribile di risorse naturali
pareva garanzia di un’espansione indefinita del popolo americano, attraverso la quale la
volontà di Dio si manifestava direttamente a ogni uomo senza bisogno di intercessioni
confessionali23. La conquista progressiva di immensi spazi, selvaggi e incontaminati,
generava nell’animo entusiasmo e vertigine, schiudendo il presagio dell’immensa
potenza che il nuovo continente era destinato a dispiegare:
Batto le mani con stupore e gioia infantile al primo schiudersi davanti a me di questa
grandiosa magnificenza, [...] la soleggiata Mecca del deserto. E quale futuro essa inaugura!
Sento un nuovo cuore battere in me con l’amore per la nuova bellezza. Io sono pronto a
morire alla natura e a nascere nuovamente in questa nuova ma inavvicinabile America che
ho trovato nell’Ovest.24 (V, 324)
Questo è il sentimento del sublime americano cui Emerson dà voce e al quale Nietzsche
attinge per risvegliare nell’uomo il «senso della terra». In un frammento della
primavera-estate 1883, nel quale il filosofo tedesco riflette sul fatto che «tutta la
venerazione che abbiamo finora riservato alla natura, dobbiamo imparare a sentirla
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anche di fronte al corpo», invece che disprezzarlo e mortificarlo per tentare di riportare
su di esso una vittoria fallace, troviamo appuntato questo riferimento: «Che cosa
avrebbero da dirci la foresta e i monti – e i corpi celesti lontani ‘che ci invitano nella
solitudine’ (Emerson) – ‘Questi momenti d’estasi sono salutari, ci rendono sobri’» (FP 7
[144] primavera-estate 1883). Si tratta di immagini appartenenti al saggio Natura, ove
viene appunto descritto l’effetto «stimolante ed eroico» (V, 392) di alcuni spettacoli
naturali sull’animo. Sulla scorta della lettura dell’americano, Nietzsche giunge dunque
alla conclusione che l’uomo può affermare la propria grandezza non già sfidando quella
della natura, bensì piuttosto condividendola. La dignità umana non consiste nel
dichiarare una presunta superiorità della ragione sulle forze della natura – come accade
nel sublime kantiano o nella celebre immagine della canna pensante proposta da Pascal
– bensì unicamente nel riconoscersene parte. Recita un appunto di Nietzsche del 1883:
«‘Agli occhi dei saggi la natura si trasforma in un’immensa promessa’, Emerson. Bene,
tu stesso sei natura ed insieme a lei prometti qualcosa d’immenso e ti guardi bene
dall’esplorare precipitosamente il tuo proprio segreto!» (FP 7 [159] primavera-estate
1883). Immenso è infatti il potere di chi impara sfruttare la propria partecipazione alle
leggi naturali come un’arma, invece di rinnegare il corpo in nome della superiorità dello
spirito.
3. Prima e seconda natura
Se lo scopo di Nietzsche è quello di procurare all’uomo una maggiore potenza e di
guadagnargli un nuovo rispetto, gli istinti naturali che la morale comune chiama
malvagi vengono allora rivalutati quale preziosa risorsa per superare la fiacchezza e
l’effeminata mancanza di volontà del proprio tempo: malvagio è infatti semplicemente
un nome, quello che i deboli danno ai potenti per frenare la loro offensiva. L’invito a
mantenersi fedeli al «senso della terra», rivolto da Zarathustra ai suoi discepoli, non può
tuttavia essere letto né come ingenua pretesa di recuperare un’integrità e un’innocenza
ormai perdute per sempre, né come semplice esaltazione della forza selvaggia e
dell’animalità. Perché l’uomo moderno possa riattingere la propria naturalità è
assolutamente necessaria un’arte rigorosa, che conferisca a essa una forma senza con
ciò diminuirne la spinta propulsiva. La costruzione di una «seconda natura» è allora
condizione indispensabile per riappropriarsi della prima, per non essere sbranati dalla
belva che è nell’uomo. Una saggia gestione dei propri impulsi naturali è l’unica via che
possa condurre l’individuo a una relativa libertà, intesa come conoscenza e dominio di
sé. Sulla base di questo assunto Nietzsche fonda il proprio progetto etico di costruzione
di un uomo nuovo e, al tempo stesso, ridefinisce il ruolo dell’arte e dell’artista. Già in
un aforisma di Opinioni e sentenze diverse egli osservava come i Greci, invece di
rinnegare la forza naturale che si esprime negli istinti animali, ritenessero più efficace
inquadrarla e consentirle uno sfogo moderato in determinati giorni e spazi (VM § 220).
Se la grecità è assunta da Nietzsche come modello di contro alla cristianità, essa lo è
però nella misura in cui la sua terribile potenza dionisiaca e selvaggia viene ricondotta
all’ordine da un’altrettanto immane potenza artistica. Il superuomo sarà dunque colui
che non soltanto riceve in dotazione dalla natura energie enormi, ma impara anche a
contenerle e dominarle con uno strenuo esercizio di volontà.
Queste considerazioni trovano un’esemplificazione estremamente perspicua nella
quarta Inattuale, dove Wagner non è in fondo che un pretesto per delineare la figura
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ideale dell’artista e l’attività artistica, a sua volta, è assunta come modello per illustrare
le dinamiche attraverso cui opera la volontà di potenza, intesa come forza di selezione,
organizzazione, interpretazione mirante alla costruzione e all’accrescimento di sé. Se
artista è in primo luogo chi plasma il proprio carattere secondo necessità, liberandolo
dalla schiavitù a canoni prestabiliti e facendo di esso un’opera originale, Wagner
assurge al ruolo di artista par excellence non tanto per la qualità della sua produzione
musicale, quanto piuttosto per l’eroico processo di autoeducazione che lo ha condotto
infine a una piena espressione di sé. Nella vicenda del musicista Nietzsche illustra
esemplarmente come la sovrabbondanza di forza e superiore ricchezza di una natura
ardente e passionale, nella quale si agitano una grande quantità di istinti, costituisca il
dato di partenza per la costruzione di un grande uomo. Sebbene la maggiore complessità
di un tale tipo umano lo esponga maggiormente al rischio di distruzione, quanto
maggiore è il tumulto interno che si presente sotto la superficie, tanto più si apprezza la
forza plastica che lo compone e lo risolve in una rigorosa unità. L’opera di Wagner
maggiormente degna di ammirazione è allora Wagner stesso, ossia il carattere scaturito
dal paziente e tenace lavoro artistico di costruzione di sé, di faticosa composizione degli
istinti. Il grado in cui viene raggiunta questa unità d’espressione decide della salute e
potenza dell’individuo, determinando allo stesso tempo la sua bellezza. Leggiamo nel
Crepuscolo degli idoli: «nell’arte l’uomo gode se stesso come perfezione» (GD IX § 9).
La bellezza è allora definibile come «espressione di una volontà vittoriosa, di una
coordinazione intensificata, di un’armonizzazione di tutti i desideri forti, di un
equilibrio infallibilmente perpendicolare» (FP 14 [117] primavera 1888).
Nelle opere dei tardi anni ‘80 la décadence verrà appunto definita da Nietzsche come
una malattia della volontà che rende impossibile regnare su se stessi, determinando
nell’individuo una vera e propria disgregazione psicofisiologica. Se la forza sintetica
viene a mancare, gli stimoli esterni non possono più venire assimilati; quanto più essa è
invece vigorosa e dominatrice, tanto maggiore sarà il nutrimento che andrà ad
alimentare la potenza dell’organismo. La morale socratica prescrive uno sradicamento
della componente naturale appunto perché, in un tipo umano non abbastanza sano e
robusto da saperla gestire, essa risulta distruttiva. Il brutto allora non è altro che il
riflesso di questo decadimento, lo sprofondare in una condizione di opaca impotenza.
«Ogni sintomo di esaurimento, di pesantezza, di vecchiaia, di stanchezza, ogni specie di
non libertà […] – tutto ciò evoca un’identica reazione, il giudizio di valore ‘brutto’»
(GD IX § 20)25. Il giudizio estetico si rivela dunque come biologicamente condizionato:
il bello e il brutto sono semplicemente ciò che attrae o respinge in riferimento a certe
«condizioni di conservazione» dell’esistenza (FP 10 [167] autunno 1887).
Ugualmente espressione di uno stato fisiologico di estenuazione, derivante dalla
dissipazione di energie conseguente alla mancata coordinazione degli istinti, è per
Nietzsche l’arte romantica. Come egli stesso chiarirà in Ecce Homo, l’ideale che egli
incarnava in Wagner non aveva in realtà nulla da spartire con il Wagner storico,
rivelatosi a Bayreuth. Con la sua «melodia infinita» che non «costruisce», non
«organizza», né «porta a compimento» (WA § 1), ma cerca soltanto di stordire lo
spettatore, questi diventerà per lui l’emblema dell’«infiacchimento» e della nevrosi di
una «sovraeccitata sensibilità» che affliggono il moderno (WA § 5). L’eccessiva
esaltazione della forza, tipica del romanticismo, nasce dal desiderio di occultarne la
mancanza dentro di sé; l’arte classica, al contrario, è contraddistinta dalla misura, dal
rigore, dalla linearità che si esprimono nella massima concentrazione della forza, nel
turgore della pienezza di sé. Essa rappresenta il riflesso di uno stato psicofisico nel
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quale le forze vitali sono elevate al massimo grado e, al tempo stesso, perfettamente
coordinate. L’ebbrezza, indicata da Nietzsche quale condizione da cui procede l’atto
creativo, va pensata allora non tanto come perdita di controllo, quanto come «quello
stato di assoluta coordinazione psicofisica che è il perfetto stato di forma dell’atleta»26.
La lettura di Emerson fornisce a Nietzsche fecondi stimoli di riflessione a questo
proposito, nella misura in cui costanti obiettivi polemici dell’americano sono tanto la
dottrina calvinista dell’intrinseca e irrimediabile depravazione della natura umana,
quanto la visione utopistica dell’uomo che, nato buono, verrebbe poi corrotto dalle
istituzioni. Se l’uomo è parte della natura, essa per Emerson non è in primo luogo bontà,
bensì potenza. L’uomo porta in sé gli istinti buoni insieme a quelli malvagi: «tutte le
specie di forza emergono, di solito, contemporaneamente: le energie buone e le cattive»
(FL, 44-45). Seppure Emerson osservi che la sovrabbondanza di energia vitale è la
materia su cui fanno affidamento tutti i grandi educatori e legislatori, ritenendo gli
uomini dotati di slanci impetuosi e passionali «il miglior legname da costruzione» (FL,
179), egli si mantiene tuttavia a siderale distanza dalla celebrazione della forza bruta e
dal culto degli eroi dell’amico Carlyle. Con la sua acritica e smodata ammirazione verso
i grandi uomini della storia, questi viene a essere per Emerson ciò che il Wagner
décadent rappresenta per il tardo Nietzsche, ovvero la controparte romantica, retorica, di
cattivo gusto: l’antitesi del grande stile. Per ottenere un grande uomo, altrettanto
necessaria della dotazione naturale di un plus di forza è infatti il rigore della volontà che
educhi e componga artisticamente tale prorompente natura. Affinché gli impulsi naturali
non diventino incontrollabili e distruttivi, è necessario che essi vengano incanalati entro
degli argini e costretti a lavorare a proprio vantaggio. Non per questo però vanno
rinnegati o ritenuti dannosi per la civiltà, della quale costituiscono piuttosto l’elemento
fertile e vivificante27. Emerson sostiene che «l’opera di civilizzazione dell’uomo non
può risparmiare nulla, le occorrono tutti i materiali. L’uomo deve convertire tutti gli
ostacoli in strumenti, tutti i nemici in potenza [Macht]. Il danno più spaventoso, diverrà
solo lo schiavo più utile» (FL, 108-109). Sebbene gli elementi naturali spesso
tiranneggino l’uomo fino a renderlo loro schiavo, non per questo si deve «rinunciare al
vapore, al fuoco, all’elettricità»: semplicemente è necessario «imparare a
padroneggiarli» (FL, 47). Questo spirito della frontiera, con il quale l’individuo tenta di
sfruttare la potenza della natura inserendosi vantaggiosamente nel corso inesorabile
delle sue leggi, risuona chiaramente in un passo dello Zarathustra, dove si auspica non
semplicemente che il fulmine non sia più dannoso, bensì addirittura che esso venga fatto
lavorare a proprio vantaggio (Za IV, 351). A nulla serve cercare protezione e riparo
dalle energie selvagge, o chiamarle malvagie: esse verranno addomesticate, imparando a
convivere proficuamente con esse (FP 11 [169] primavera-autunno 1881). Il modello di
educazione di sé che Nietzsche condivide con Emerson, come mostrano i riferimenti
impliciti ed espliciti ai suoi testi, mira dunque non a liberare l’uomo dalla sua
componente animale, bensì a ricavare da essa il massimo vantaggio attraverso procedure
di organizzazione e concentrazione28.
4. «Un frammento di fato»
Se il raffinamento intellettuale dell’epoca moderna ha comportato per l’uomo una
perdita di energia e spontaneità, la tendenza riflessiva a esaminare e dissezionare
l’interiorità gli ha però anche conferito un potere nuovo, quello di agire su di sé,
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schiudendogli così la possibilità di raggiungere una grandezza fino a quel momento
impensata29. Così come gli istinti naturali vanno sfruttati come energia, incanalandoli
secondo direzioni ben precise, anche i limiti costitutivi della specie umana e di ogni
individuo nella sua peculiarità non possono essere negati: di essi è necessario prendere
coscienza e rendere ragione, inserendoli in un superiore piano artistico all’interno del
quale possano risultare vantaggiosi per l’insieme o perlomeno tollerabili30. Risultato
dell’unione di natura e arte è allora il grande stile, suprema espressione di bellezza, dove
la perfetta coordinazione degli istinti si esprime esteriormente in una maestosità che
rasserena e incanta. Nella Gaia Scienza Nietzsche ricorda come la sola cosa veramente
necessaria sia “dare uno stile” al proprio carattere: se ognuno di noi è una somma di
pregi e difetti, forze e debolezze, soltanto la loro disposizione in un «piano artistico»
rende l’insieme gradevole a vedersi. Chi non riesce in questa costruzione è destinato a
rimanere nell’insoddisfazione, pronto a vendicarsi su chi ha avuto miglior sorte (FW §
290). Ne La condotta della vita Emerson osserva parimenti come chi non è riuscito a
diventare padrone di se stesso sia sempre fonte di fastidio e irritazione per se stesso e
per gli altri, contrapponendo al passo furtivo e timoroso di questi schiavi lo «stile
grandioso [großartigen Styl]» delle persone di carattere (FL, 129-130). Nietzsche
penserà il suo Zarathustra come esemplare incarnazione di questa forza carismatica, la
quale si riflette esteriormente in un portamento maestoso e nella perfetta coordinazione
dei movimenti: «Guardate se ha un occhio puro e una bocca scevra dal disprezzo.
Guardate se incede a passo di danza» (FP 5 [1] 228, 1882-1884), consiglia a chi lo
cerca. È proprio in un passo del saggio emersoniano Carattere che egli se lo vede
comparire innanzi, come mostra il commento apposto a margine: «Das ist es!»31.
Con una «künstliche Lebensgestaltung» l’uomo può dunque elevarsi dalla
soggezione nei confronti del fato a partecipare della sua potenza. Scrive Nietzsche nella
quarta Inattuale che «la questione più importante di tutta la filosofia» è «stabilire fino a
che punto le cose abbiano natura e forma invariabile: per poi, quando si sia risposto a
questa domanda, procedere col coraggio più intransigente al miglioramento della parte
di mondo riconosciuta mutabile» (WB § 3). Prendere coscienza della necessità conduce
infatti l’uomo forte non alla rassegnazione, ma alla determinazione più energica.
«Poiché se è vero che il Fato è onnipotente, è anche vero che l’uomo è una parte di esso
[ein Theil von ihm] e può opporre Fato contro Fato» scrive Emerson nel saggio
omonimo (FL, 17). Difatti, chi sa inserirsi nel corso degli eventi, cercando non di
forzare le leggi della natura, ma di volgerle piuttosto a proprio vantaggio, viene a
partecipare della loro potenza e ad agire con la medesima inesorabilità. Riconoscendo in
ogni cosa l’utile che può esserne tratto, ogni ostacolo è convertibile in beneficio: così
«l’onda che voleva annegarvi, sarà da voi attraversata e vi porterà leggermente sul dorso
come la propria spuma» (FL, 22). Anche in un passo del saggio Potenza, copiato dal
giovane Nietzsche tra i suoi appunti nel 1863, leggiamo: «Lo spirito, la cui direzione
procede parallela alle leggi naturali, si colloca nel flusso degli eventi ed è forte della
loro forza» (BAW II, 261; FL, 37-38). Wagner, o comunque il grande uomo che
Nietzsche descrive attraverso di lui, è definito appunto, riprendendo l’espressione
dell’americano: «un frammento di fato [Stück Fatum] e di legge primordiale» (WB §
6)32. L’individuo che ha appreso l’arte di trasfigurare artisticamente il materiale che la
natura e la vita gli hanno donato, come leggiamo ancora nel saggio emersoniano
Carattere, non è più «dipendente dalle circostanze» ma sembra «partecipare della vita
delle cose ed essere espressione delle stesse leggi che governano il corso delle stagioni e
del sole, i numeri e le quantità» (V, 337-338). Nel well-made man la potenza della
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natura giunge a piena espressione, poiché questi ha raggiunto la consapevolezza di poter
essere «un agente e un compagno di giochi delle leggi originali del mondo» (V, 339).
Questa immagine ricompare nello Zarathustra, quando il creatore giunge a conquistarsi
il diritto di sedere al tavolo da gioco degli dei, sentendo dentro di sè il potere di quella
«celeste necessità, che costringe anche le casualità a danzare in un girotondo di stelle»33.
Nell’immagine del fanciullo divino che gioca rivive un riferimento non soltanto al
pais paizon di Eraclito, ma anche e soprattutto allo Spieltrieb schilleriano, nel quale è
infine superata la scissione tra l’uomo fisico e quello morale. L’istinto di gioco
scaturisce appunto dalla composizione dell’istinto sensibile con l’istinto formale che,
perdendo costrizione l’uno sull’altro, danno luogo alla forma vivente, alla bellezza.
Raggiungendo lo stato estetico, l’uomo attinge una condizione di libertà che gli
permette di fare di sé ciò che vuole. Questa seconda creazione, delineata da Schiller
nelle Lettere sull’educazione estetica dell’umanità, è quella che implicitamente
auspicano anche Nietzsche ed Emerson con il loro progetto di costruzione del carattere.
Unicamente la forma artistica che l’uomo conferisce alla propria naturalità, consentendo
un pieno e perfettamente controllato dispiegamento di essa, determina infatti il
raggiungimento del massimo grado di potenza. Questo stato di pienezza è appunto
quello da cui procede l’atto creativo34.
La convinzione che Nietzsche mutua dall’americano è allora quella che l’individuo,
in quanto parte della natura e dotato insieme del potere di manipolarla, nella
configurazione estetica della propria esistenza possa e debba superare tanto la
magnificenza espressa dall’organico, quanto quella dell’arte. Leggiamo in un
frammento dell’estate 1883: «Vogliamo impregnare la natura di umanità e redimerla
dalla mascherata divina. Vogliamo prendere da lei ciò di cui abbiamo bisogno per poter
sognare al di là dell’uomo. Deve ancora nascere qualcosa che è più grandioso della
tempesta e dei monti e del mare – ma come figlio dell’uomo!» (FP 13 [1] estate 1883).
Il sogno di un nuovo inizio, di un uomo nuovo che si elevi da ogni forma di soggezione,
divina e umana, a conquistare per se stesso la libertà dell’autosufficienza, della selfreliance, è il portato più genuino e originale della rivoluzione culturale del New
England e, insieme, il materiale fornito a Nietzsche per plasmare il suo superuomo. La
spinta progettuale, la carica rivoluzionaria e innovativa del movimento
trascendentalista, servirono al filosofo tedesco come combustibile per alimentare il suo
dispositivo di trasvalutazione dei valori e corroborare la ricerca di nuovi stili di vita.
5. Il sogno del superuomo
Tanto in Nietzsche quanto in Emerson la prospettiva etica è dunque dominante e in
base a essa vengono definiti sia lo statuto dell’arte che il ruolo dell’artista. Per
Nietzsche l’arte, come «grande stimolante della vita» (FP 17 [3] maggio-giugno 1888),
è l’unica forza in grado di schiudere all’uomo nuovi orizzonti e rifigurare la sua attuale
condotta di vita, facendogli intravedere le proprie nascoste possibilità. Mentre il Wagner
rivoluzionario aveva acceso le sue speranze in una riforma della cultura e rigenerazione
della nazione tedesca a opera della musica, la produzione successiva del musicista
diventerà suo obiettivo polemico, in quanto finalizzata a stordire lo spettatore con i
narcotici dell’illusione. Il ruolo “militante” che Emerson disegna per il poeta e, più in
generale, per l’artista, corrobora nel filosofo tedesco la convinzione che l’arte non debba
spingere a una fuga dalla realtà, bensì agire in direzione di una sua trasformazione35. Tra
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gli estratti che nel 1882 Nietzsche ricavò dai Saggi di Emerson leggiamo: «L’artista ha
il potere di risvegliare l’energia assopita nelle anime degli altri» (FP 17 [8] inizio 1882;
V, 12). Emerson riconosce infatti al poeta il dono di aprire la realtà in direzione del
possibile, spronando in direzione della realizzazione pratica di ciò che l’immaginazione
ha presentito. L’arte deve essere finalizzata a promuovere e stimolare nell’uomo
l’impulso creativo, spronandolo a farsi artefice della propria vita senza accontentarsi di
riceverne una «di seconda mano»36.
L’arte è il bisogno di creare […]. Il suo fine è nientemeno che la creazione dell’uomo e
della natura. L’uomo dovrebbe trovare in essa uno sfogo per tutte le sue energie. […] L’arte
dovrebbe rasserenare [erheitern] e demolire da ogni lato i muri della casualità, risvegliare
nello spettatore lo stesso sentimento di potenza e connessione universale che l’opera desta
nell’artista, e il suo più alto effetto dovrebbe essere quello di creare nuovi artisti. (V, 265)
È tuttavia da osservare come la portata etico-sociale della filosofia emersoniana sia stata
per lungo tempo misconosciuta: già dal secolo successivo alla sua morte, questi veniva
infatti considerato sì rappresentativo di un glorioso periodo della storia americana, ma
ormai del tutto privo di importanza per l’epoca presente. E questo nel migliore dei casi,
perché non mancarono neppure accuse più pesanti. Tra le più influenti è da ricordare
quella di George Santayana, il quale vide in Emerson soltanto un superficiale ottimista
che preferiva negare la realtà del male piuttosto che cercarvi un correttivo37. Alla facile
tentazione di annoverare Emerson tra gli artisti che cercano di chiudere all’uomo gli
occhi sulla cruda realtà, Nietzsche sembra se non cedere, per lo meno indugiare. Nella
stesura preparatoria di un aforisma di Opinioni e sentenze diverse intitolato La pretesa
«realtà reale», il saggista americano viene menzionato all’interno di un discorso
riguardante la connivenza dell’arte con la metafisica e la religione nella creazione di un
falso mondo, che finisce per svalutare quello vero. Il poeta è detto un «impostore» che
offre un sogno agli uomini stanchi della realtà, conquistandosi la loro fiducia e finendo
per convincere anche se stesso.
Sonno e sogno per la mente – questo è l’artista per gli uomini. Egli conferisce alle cose più
valore: dunque gli uomini credono che ciò che sembra avere più valore sia più vero, più
reale. – Ancor ora gli uomini poetici (per es. Emerson, Lipiner) cercano i confini della
conoscenza, preferibilmente lo scetticismo, per sottrarsi al bando della logica. Essi vogliono
l’insicurezza, poiché allora il mago, il presagio e i grandi effetti sull’anima diventano di
nuovo possibili. (KSA 14, 165)
Nella sua versione definitiva l’aforisma continua con l’affermazione: «I poeti […]
mirano deliberatamente a diffamare e a trasformare ciò che di solito vien detto realtà in
qualcosa di insicuro, di apparente, di non autentico; in cosa piena di peccato, di dolore e
di inganno». L’arte, come la religione, consola l’uomo dal dolore della vita
porgendogliene una irreale: essa ne «rende tollerabile la vista […] ponendo su di essa il
velo del pensiero non puro» (VM § 32). Lo scetticismo di Emerson viene considerato da
Nietzsche funzionale all’esercizio di «grandi effetti» sull’anima: egli cercherebbe «i
confini della conoscenza» per poi delineare poeticamente, a partire da essi, quel che può
essere sperato. Sebbene nell’ottica illuminista di questo periodo ciò non appaia un
merito, a partire dalla Gaia scienza sarà proprio la capacità di indicare in direzione del
possibile a costituire il maggior merito dell’arte. Del resto, anche nella versione
preparatoria de La pretesa «realtà reale» sopra menzionata, Emerson non viene
annoverato tra quegli impostori che, fingendo di sapere qualcosa che in realtà inventano,
cercano in malafede di guadagnarsi la fiducia degli ignoranti. Né, d’altra parte, egli
viene considerato alla stregua di coloro che, con l’ideale, si fanno detrattori del reale,
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riducendolo alla controparte inautentica, inessenziale, colpevole di esso. Ma è
soprattutto nelle sottolineature e glosse apposte al saggio Arte che Nietzsche dimostra di
conoscere e condividere la posizione assunta dall’americano a questo proposito,
lucidamente consapevole tanto del potere dell’arte, quanto degli abusi che di esso
possono essere perpetrati38. Cercare nell’arte asilo dalla sofferenza che procura la vita e
trasferire in essa le energie migliori, che dovrebbero essere impiegate per la costruzione
del mondo e dell’uomo, è additato da Emerson in questo saggio come un errore
imperdonabile. Così facendo, la vita si trasforma in un’incombenza da sbrigare per poi
stordirsi con i narcotici dell’illusione, mentre proprio nelle cose più semplici e
quotidiane dovrebbe essere esercitata l’arte più fine39. Compito dell’arte è quello di
innalzare il reale, di aumentarlo e potenziarlo, non di svilirlo. Il poeta non deve farsi
detrattore del quotidiano, bensì conferire a esso una «legislazione poetica». Nei saggi
dell’eclettico americano Nietzsche può trovare così una cura per quella cialtroneria di
ideali altisonanti all’ombra della quale prospera la pseudocultura tedesca, un antidoto al
fanatismo di Bayreuth. Nella concretezza e nelle massime di semplicità di questo spirito
affine egli scopre un breviario di silenzioso eroismo che ritrova nelle «cose prossime» il
fatto più importante di tutta la filosofia e insieme l’oggetto più degno per l’arte.
Sull’ultima pagina del volume dei Saggi in suo possesso Nietzsche annota così questa
ricetta per «la cura dell’individuo».
Partire dalle cose prossime e più piccole:
1) stabilire tutta la dipendenza in cui si è nati e si è stati educati;
2) stabilire il ritmo abituale del nostro pensiero, del nostro sentimento, dei nostri bisogni
intellettuali e dei nostri nutrimenti;
3) fare tentativi di cambiamento; rompere prima di tutto con le abitudini (per esempio la
dieta);
appoggiarsi intellettualmente ai propri avversari, cercare di vivere nella loro aria;
viaggiare, in ogni senso;
‘incostante e fugace’ – per un certo periodo.
Di tanto in tanto riposare sulle proprie esperienze, digerirle.
4) Esperimenti di poesia ideale e poi di vita ideale. (FP 13 [20] autunno 1881)
La via che conduce al grande stile parte dal saggiare con mano i limiti del fato nella
propria costituzione, nel prendere coscienza di ciò da cui si è dipendenti, nonché delle
numerose e invisibili influenze che inconsapevolmente vengono esercitate da parte
dell’educazione e dell’ambiente. In secondo luogo, è necessario scoprire il ritmo della
propria natura, il suo metabolismo, e stabilire quali siano i bisogni che devono essere
soddisfatti. Sulla base di quanto appreso, si può tentare di agire sulla forma e sul ritmo
che questa ha assunto nel corso degli anni attraverso tentativi di cambiamento,
sperimentando gli effetti che una variazione nelle abitudini può provocare. Tali
esperimenti saranno artisticamente progettati e poi eseguiti concretamente, così che
poesia e quotidianità si vengano a compenetrare. Parimenti, ideale e reale si incontrano
nell’atto di porsi un traguardo ogni volta maggiore quale tappa di un percorso di
incessante autoperfezionamento. Come leggiamo in un aforisma della Gaia scienza, è
necessario imparare dagli artisti a disporre cose ed eventi in una prospettiva artistica «e
per il resto essere più saggi di loro. In essi, infatti, questa sottile forza cessa di solito,
laddove cessa l’arte e comincia la vita; noi, invece, vogliamo essere i poeti della nostra
vita e in primo luogo nelle cose minime e più quotidiane» (FW § 174).
Mentre per Schopenhauer l’arte è il ponte che conduce l’uomo al di là dell’insensato
affannarsi dell’esistenza, liberando l’intelletto dalla sua servitù alla volontà, per
Nietzsche essa è invece «essenzialmente affermazione, benedizione, divinizzazione
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dell’esistenza…» (14 [47] primavera 1888). Nel Crepuscolo degli Idoli egli osserva
come l’art pour l’art non possa in nessun caso essere giustificata, neppure quale
risposta alle tendenze che vorrebbero asservire l’estetica alla morale. L’arte è infatti
sempre un lodare, un glorificare, un trascegliere, e dunque sempre indebolisce o rafforza
degli apprezzamenti di valore. Suo intendimento dovrà essere allora quello di
promuovere «un’immagine ideale di vita» (GD X § 24), di agire cioè in direzione di un
suo potenziamento. Se la filosofia di Hegel è «la nottola di Minerva che scende in volo
al calar della notte», ovvero una riflessione che sopraggiunge a cose fatte, la filosofia
come arte di Nietzsche è scoperta del possibile, invenzione del futuro40. E la spinta
creativa che nessun altro movimento più che il Trascendentalismo americano poteva
trasmettere, fu per Nietzsche il vento robusto che gonfiò le sue vele per consentirgli di
raggiungere la terra dell’uomo nuovo. Sciolto dai vincoli che l’assoggettavano a Dio e
alla legge, ma parimenti privo della loro protezione, l’uomo del ‘900 annunciato da
Nietzsche è costretto a farsi creatore di se stesso, condannato a una divina
autosufficienza.
Bibliografia
Tavola delle abbreviazioni
OFN = Opere di Friedrich Nietzsche, edizione italiana diretta da G. Colli e M.
Montinari, Milano, Adelphi, 1964 ss., seguita dal numero della sezione, oppure dal
numero del tomo, del volume e della pagina.
Sigle delle opere: WB (Richard Wagner a Bayreuth); (MA) Umano, troppo umano I;
(VM) Opinioni e sentenze diverse; (WS) Il viandante e la sua ombra; (M) Aurora;
(FW) La gaia scienza; (Za) Così parlò Zarahustra; (JGB) Al di là del bene e del male;
(GD) Crepuscolo degli Idoli; (WA) Il caso Wagner; (EH) Ecce homo; (FP) Frammenti
postumi.
CW = The Collected Works, a c. di A.R. Ferguson, 4 voll., Cambridge Mass., Harvard
University Press, 1971 ss.
JMN = The Journals and Miscellaneous Notebooks, a c. di W.H. Gilman, 16 voll.,
Cambridge Mass., Harvard University Press, 1960-1982.
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FL = Die Führung des Lebens, trad. di E. S. von Mühlberg, Leipzig, Steinacker, 1862.
HC = Die zwei Hauptfehler des geschichtlichen Christentums, in K. Scholl (a c. di),
Freie Stimmen aus dem heutigen Frankreich, England und America über Lebensfragen
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BAW = Friedrich Nietzsche. Werke und Briefe, historisch-kritische Gesamtausgabe.
Werke, 5 voll., München, C.H. Beck’sche Verlagsbuchhandlung, 1933-1940.
KGB = Nietzsche. Briefwechsel, kritische Gesamtausgabe, a c. di G. Colli e M.
Montinari, Berlin-New York, Walter de Gruyter, 1975 ss.
KSA = Friedrich Nietzsche. Sämtliche Werke. Kritische Studienausgabe, a c. di G. Colli
e M. Montinari, 15 voll., Berlin-New York, Walter de Gruyter, 19882.
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15
E = Epistolario di Friedrich Nietzsche, edizione italiana diretta da G. Colli e M.
Montinari, Milano, Adelphi, 1977 ss., seguita dal numero della lettera.
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Note
1
A gettare luce sul primo, fortuito incontro con le opere del saggista americano è una lettera di Gersdorff
del 1874 (Cfr. KGB II/4, n. 569). Nietzsche acquistò ben due copie di Die Führung des Lebens, una fatta
rilegare insieme a Über Goethe und Shakespeare di Emerson e l’altra insieme alle Psychologische
Beobachtungen di Rée. Entrambe le copie sono purtroppo andate smarrite (cfr. Campioni, D’Iorio,
Fornari, Fronterotta, Orsucci, Müller-Buck 2002, pp. 211-212). Per quanto riguarda i Versuche, la prima
copia acquistata fu smarrita nel 1874 nel viaggio di ritorno da Bayreuth (cfr. E II, n. 390). Nietzsche ne
acquistò subito un secondo esemplare che, corredato da glosse e sottolineature, è oggi conservato
all’Archivio Goethe-Schiller di Weimar. Le opere di Emerson a cui Nietzsche ebbe o potè avere accesso
vengono tradotte dalle stesse edizioni in traduzione tedesca disponibili al tempo. In particolare le citazioni
dagli Essays: first and second series sono tratte da una copia microfilmata della traduzione tedesca
Versuche che egli possedeva nella sua biblioteca personale, ora conservata presso il Goethe-Schiller
Archiv di Weimar. Le sottolineature riproducono quelle dello stesso Nietzsche. Le opere di Emerson che
al tempo di Nietzsche non erano ancora disponibili in traduzione tedesca vengono invece tradotte
dall’originale inglese. Le citazioni delle opere di Nietzsche sono tratte, quando possibile, dalla traduzione
italiana nell’edizione Colli-Montinari edita da Adelphi. Altrimenti sono tradotte direttamente dalle
edizioni tedesche di riferimento. Si veda la bibliografia per l’elenco delle sigle utilizzate.
2
Anche Gisela von Arnim, seppure apprezzasse enormemente Emerson, dimostra di ricadere nel diffuso
pregiudizio di considerarlo semplicemente una copia di Goethe, confronto che finisce inevitabilmente per
penalizzare l’americano. Nella sua prefazione ai Versuche ella commenta: «Emerson bringt uns nur die
Blüten züruck, deren Samen er durch sein Studium des deutschen Volkes und seiner geistigen Produkte
einsammelte» (V, III). La prefazione rimase anonima; leggiamo però in una lettera di Gisela von Arnim a
Moritz Carrière nella primavera del 1858: «wie sehr ich Emerson liebe, das bezeigt das Vorwort, welches
ich schreibt» (cfr. Simon 1937, p. 113). L’obiezione mossa più di frequente nei circoli intellettuali
tedeschi era dunque: «Was brauchen wir einen Amerikaner wie Emerson, da wir doch Goethe haben»
(Simon 1937, pp. 117-118).
3
Vecchiotti ha individuato con mirabile acume ciò che stava a monte del tentativo di Hartmann di
mediare Schopenhauer con Hegel. La Germania stava facendo sacrifici enormi per tentare di ridurre il
divario economico e tecnologico che la separava dalle altre nazioni europee e covava nel suo seno enormi
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tensioni sociali, pronte a esplodere. «Costruzione di una grande industria interna, conquista dei mercati,
espansione coloniale, problemi politici e sociali della crescita interna non si sviluppano come in
Inghilterra e in Francia lungo un congruo numero di anni, ove le crisi hanno il tempo di esplodere e
riassorbirsi, ma si esplicano in modo convulso, trovando la loro soluzione in atti di forza coonestati da
una razionalizzazione, alla cui base c’è una necessità di fatto, scaturente dalla logica brutale delle cose. Si
cerca, di conseguenza, di unificare i due momenti, quello pratico e quello ideologico, che possono
altrimenti costituire una pericolosa contraddizione» (Vecchiotti 1976, p. 43). Vecchiotti ritiene inoltre che
lo ‘schopenhauerismo’, esploso come una sorta di moda culturale nella letteratura tedesca della seconda
metà dell’ottocento, sia da intendersi più come un fraintendimento che come una vera e propria ricezione
della filosofia di Schopenhauer (Cfr. Vecchiotti 1976, p. 62).
4
Turner 1967, pp. 5-7. Secondo lo studio di Marchand sono essenzialmente tre i valori consacrati
dall’esperienza della frontiera che, preannunciati dal pensiero di Emerson, diventeranno la base della
cultura e della società americane: la democrazia, l’individualismo, l’ottimismo (Cfr. Marchand 1931-32,
pp. 149-174). Sulla peculiarità della rivoluzione culturale che investì il New England a partire dalla metà
degli anni ’30 vedi anche i ben documentati studi di Welleck 1965 e Frothingham 1867.
5
Royce 1911, p. 207.
6
Sulla distanza tra Emerson e Carlyle, cfr. GD IX, § 13 e FP 11 [45] novembre 1887-marzo 1888.
7
Cfr. Buell 1984, p. 117-136; Wilson 1998, p. 295-321. Tra gli studi più significativi sul cosidetto
“secondo Emerson”, cfr. Robinson 1993; Packer 1982; West 1989.
8
Cfr. E IV, n. 566: «Non so cosa darei per riuscire, seppur tardivamente, a fare sì che una personalità così
splendida, grande, ricca di sentimento e di spirito [eine solche herrliche große Natur, reich an Seele und
Geist] si sottoponesse a una severa disciplina, a una vera e propria formazione scientifica. Così come
stanno le cose, in Emerson abbiamo perduto un filosofo! [So wie es steht, ist uns in Emerson ein
Philosoph verloren gegangen!]».
9
Baumgarten 1957, pp. 56-57.
10
Si tratta di due serie di estratti, alcuni dei quali annotati due volte con leggere modifiche tra prima e
seconda stesura. Essi non sono inclusi nell’edizione Colli-Montinari.
11
OFN I/1, 297, 366.
12
La bellezza scaturisce dunque dalla vitalità e dinamicità che pertiene all’organico: gli spettacoli naturali
che troviamo belli sono quelli che stimolano in noi un senso di attività e di crescita. La concordanza dei
due autori a questo proposito si radica nella comune lezione goethiana, come suggerisce un frammento di
Nietzsche dell’estate 1878: «Goethe: ‘il bello è, quando contempliamo il vivente secondo leggi nella sua
massima attività e perfezione, sicché ci sentiamo stimolati alla riproduzione, parimenti vivi e immessi
nell’attività’» (FP 30 [5] estate 1878).
13
Alcuni estratti ricavati dal saggio Storia nel 1882 dimostrano come, negli anni, egli mantenga
sostanzialmente la posizione emersoniana: cfr. FP 17 [12] inizio 1882 e FP 17 [11] inizio 1882, tratti da
V, 14-15.
14
Quelli che noi chiamiamo uomini, ribadisce Emerson, in realtà non lo sono ancora. «Noi non abbiamo
mai visto un uomo: non conosciamo ancora questa forma divina, ma soltanto il sogno e la profezia di
esso» (V, 354-355).
15
Cfr. FP 7 [133] primavera-estate 1883 e V, 261 nel confronto proposto da Vivarelli 1987, p. 233.
16
Cfr. la lettera di Nietzsche a Overbeck del 24 dicembre 1883: «Di' alla Tua cara moglie che Emerson lo
sento come una specie di fratello d’ANIMA [Bruder-Seele]» (E IV, n. 477). E nell’autunno 1881 egli
confessa addirittura: «Emerson. Non mi sono mai sentito così a casa e a casa mia in un libro, come – non
devo lodarlo, mi è troppo vicino» (FP 12 [68] autunno 1881).
17
Condividendo queste osservazioni, Nietzsche raccoglie la suggestione emersoniana che, se i tratti del
volto sono nobili e rigorosi, per gli occhi è impossibile sbirciare furtivamente di lato. Cfr. FP 17 [14]
inizio 1882; V, 17-18.
18
Anche nel saggio Leggi spirituali Emerson ribadisce che il corpo parla molto più di tanti discorsi,
scrivendo: «Un aspetto sconvolto, uno sguardo brutale, azioni non nobili e la mancanza delle cognizioni
necessarie, – tutto parla [plaudert]. […] Come può nascondersi un uomo? […] Gli uomini comuni […]
accumulano parvenze su parvenze poiché manca loro la sostanza» (V, 118-119). A fondo pagina
Nietzsche appuntò la seguente considerazione: «La mia filosofia – tirar fuori l’uomo dalla parvenza a
costo di qualsiasi pericolo! E non temere la rovina della vita!» (FP 13 [12] autunno 1881), proprio a
indicare il proposito di portare allo scoperto quegli atteggiamenti che l’uomo occulta sotto nomi
ingannevoli.
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Benedetta Zavatta
19
Osserva Lee Rust Brown: «Nothing could be more American, and at the same time more answerable to
the demands of romanticism, than the West» (Brown 1997, p. 6). Questa convinzione è già espressa da
Emerson in una delle sue prime Lectures: «We must regard the land as a commanding and increasing
power on the American citizen, the sanative and Americanizing influence» (CW I, 229).
20
Cfr. Bloom 1976, pp. 235-266.
21
Sebbene egli non avesse fatto altro che esprimere quanto molti giovani già sentivano nel loro cuore
senza avere il coraggio di confessarlo apertamente, le generazioni più anziane reagirono violentemente,
accusandolo di minare i fondamenti della religione cristiana e dichiarandolo un non più degno
rappresentante della chiesa unitariana. Emerson fu attaccato nei sermoni e sulle pagine dei giornali,
considerato un infedele, difeso soltanto dai due amici Theodore Parker e George Ripley, anch’essi
ministri del culto, che come lui vennero allontanati e ostracizzati. Cfr. Wilbur 1952, p. 463.
22
Cfr. i due saggi sul rapporto tra fato e libero arbitrio composti da Nietzsche nel 1862 (Fato e storia,
Libertà della volontà e fato), nonché la relazione sulla situazione religiosa dei tedeschi in Nord-America
scritta nel febbraio-marzo del 1865 per il Gustav-Adolf Verein di Bonn, organizzazione missionaria al
servizio della diaspora protestante.
23
Recita un passo di Tocqueville copiato da Emerson nei suoi Journals: «This gradual and continuous
progress of the European race towards the Rocky Mountains has the solemnity of a providential event; it
is like a deluge of men rising unabatedly, and daily driven onward by the hand of God» (JMN 5, 531532).
24
Il sogno di questo ‘nuovo Eden’ rimane però sempre «inavvicinabile», promessa che continuamente si
rinnova senza adempiersi. Cfr. Cavell 1989.
25
Cfr. anche FP 14 [117] primavera 1888: «La bruttezza significa décadence di un tipo, contraddizione e
coordinazione difettosa dei desideri interni / significa una diminuzione della forza organizzatrice, di
‘volontà’, fisiologicamente parlando».
26
Baioni 1981, LXII-LXIII. Cfr. GD IX § 8, 9. Nella conferenza Art and criticism del 1859, cui Nietzsche
però non ebbe accesso, Emerson esprime su classicismo e romanticismo un’opinione assai simile:
«Classic art is the art of necessity; organic; modern or romantic bears the stamp of caprice or chance […].
The classic unfolds, the romantic adds. The classic should, the modern would. The classic is healthy, the
romantic is sick» (CW 12, 304). Si può ragionevolmente fondare, ancora una volta, la grande
concordanza di vedute tra i due autori sulla comune lettura di Goethe (Cfr. Shakespeare und kein Ende in
Goethe 1948-1971, vol. 14, pp. 755-69. Anche in un appunto dei Journals Emerson si richiama
esplicitamente a Goethe sotto questo rispetto: «‘Should’ says Goethe “was the genius of the Antique
drama; Would of the Modern, but should is always great and stern; would is weak and small» (JMN 5,
200, tratto da Goethe 1948-1971, vol. 14, pp. 760-62).
27
Cfr. Stack 1992, pp. 97-98.
28
Osserva ancora il saggista americano che, sebbene non ci sia uomo «che non sia in qualche cosa
debitore ai propri vizi, come non c’è alcuna pianta che non tragga dal concime il proprio nutrimento», ciò
su cui si deve insistere è «che l’uomo si perfezioni, e che la pianta cresca in altezza, convertendo così il
basso materiale nella migliore natura». Nietzsche copiò nel suo quaderno di estratti dai Saggi intorno al
1882: «bisogna riuscire con i residui della nostra animalità a foggiare i nostri ornamenti più preziosi: allo
stesso modo che a Iside, dopo la metamorfosi, sono rimaste soltanto le corna lunate» (FP 17 [6] inizio
1882; V 10).
29
Nel saggio Fato Emerson presenta l’uomo come recante in sé le tracce della naturalità che lo costituisce
e che è inevitabilmente data ma, al tempo stesso, anche come l’artista capace di plasmare questa materia
secondo il suo disegno. Questo ritratto di grande effetto verrà ripreso da Nietzsche in un aforisma di Al di
là del bene e del male per illustrare la «disciplina plasmatrice» che «ha creato fino ad oggi ogni
eccellenza umana». Cfr. FL, 15-16 e JGB § 225.
30
Nietzsche aveva già mostrato di condividere questo assunto nella scelta di passi dal saggio Bellezza
effettuata nel 1863: a conclusione del suo discorso, Emerson ribadiva la superiorità della personalità sulla
bellezza puramente fisica, additando ai suoi contemporanei i risultati immensi di cui l’uomo è stato
capace in ogni campo quale prova della possibilità di sottomettere con l’ingegno la nuda fattualità. Con
l’ottimismo e l’energia che contraddistinguono la sua «mentalità americana» (OFN I/1, 297), egli scrive
che se l’uomo è riuscito a fare di un piccolo villaggio un crocevia di importanza mondiale, se è riuscito a
«rendere il pane economico, a popolare i deserti, a mettere gli oceani in comunicazione tramite canali, a
rendere il vapore utilizzabile» (FL, 209), senza dubbio riuscirà a far passare le sue deformità per
ornamento e a renderle vantaggiose per l’insieme. La bellezza del carattere è dunque superiore a quella
semplicemente naturale, poiché inserendo ogni difetto e accidente in un piano superiore lo si trasfigura in
Isonomia 2006
Per un’estetica della potenza
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necessità e in una meraviglia più grande. Nietzsche non mancherà di ribadire in più di un’occasione che
ciò che contraddistingue gli uomini di successo è l’arte di «far apparire sempre solo come forze le loro
deficienze e debolezze», che per questo motivo devono conoscere «in modo straordinariamente chiaro e
preciso» (VM § 296). È invece proprio del «fanatico morale» credere che «il bene possa nascere solo dal
bene e nel bene», senza accorgersi che i propri difetti sono in realtà il concime che alimenta la virtù (WS
§ 70).
31
Cfr. V, 351. Già Montinari segnalava questo passo come una delle fonti più probabili del personaggio
di Zarathustra: cfr. KSA 14, 279 e Venturelli 1983, pp. 27-28.
32
L’espressione emersoniana «frammento di fato» ritorna ancora ne Il crepuscolo degli idoli: «Il singolo
è un frammento di fatum dal principio alla fine, una necessità di più per tutto ciò che accade e accadrà»
(GD V § 6); «Siamo stati noi a inventare il concetto di “scopo”: nella realtà lo scopo è assente… Si è
necessari, si è un frammento di fato, si appartiene al tutto, si è nel tutto» (GD VI § 8).
33
Vivetta Vivarelli osserva come Emerson non faccia che ravvivare in Nietzsche un’immagine a lui
sicuramente già nota attraverso la lettura di Eschilo e Sofocle (1987, pp. 261-262).
34
Leggiamo in un appunto nietzscheano del 1885-86: «Il ‘gioco’, ciò che è inutile, come ideale di chi è
sovraccarico di forza, dell’‘infantile’. L’‘infantilità’ di Dio, ‘pais paizon’» (FP 2 [130] autunno 1885autunno 1886).
35
Cfr. Robinson 1993, 82.
36
James 1911, 20.
37
«There is evil, of course, he tells us. Experience is sad. […] But, ah! the laws of the universe are sacred
and beneficent. […] All things, then, are in their right places and the universe is perfect above our
querulous tears. Perfect? We may ask. But perfect from what point of view, in reference to what ideal? To
its own? To that of a man who renouncing himself and all naturally dear to him, ignoring the injustice,
suffering, and impotence in the world, allows his will and his conscience to be hypnotized by the
spectacle of a necessary evolution, and lulled into cruelty by the pomp and music of a tragic show? In that
case the evil is not explained, it is forgotten; it is not cured, but condoned. We have surrendered the
category of the better and the worse, the deepest foundation of life and reason; we have become mystics
on the one subject on which, above all others, we ought to be men» (Santayana 1962, pp. 31-38).
38
Con un grosso «Ja!» apposto a margine Nietzsche sigla la sua approvazione per il passo seguente: «Al
giorno d’oggi l’artista e l’intenditore cercano nell’arte soltanto un mezzo per far mostra del loro talento o
un rifugio dai dolori della vita. Gli uomini non sono più appagati dalla figura che la loro immaginazione
crea e si rifugiano nell’arte trasportando i loro migliori sentimenti in un oratorio, in una statua o in un
dipinto» (V, 267).
39
Cfr. V, 268: «[Gli uomini] rigettano la vita come prosaica, e creano una morte che chiamano poetica.
Sbrigano velocemente le piccole faccende quotidiane per abbandonarsi poi ai piacevoli vagheggiamenti
del sogno. Mangiano e bevono per potere poi creare un ideale […]. Non sarebbe meglio […] servire
l’ideale nel mangiare e nel bere, nel respirare e nelle funzioni della vita?».
40
Cfr. Deleuze 1962, tr. it., pp. 130-131. È sempre richiamandosi a Nietzsche che anche Heidegger ha
potuto parlare dell’arte, della filosofia, della religione e della politica come di eventi che aprono un
mondo, di contro all’attività puramente constatativa della scienza. Cfr. per esempio L’origine dell’opera
d’arte, Heidegger 1950, tr. it., pp. 3-69.
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