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AHI POPPER!
RIPENSANDO CRITICAMENTE AL SUO MITO FRA I GIURISTI
di Giovanni Boniolo e Giuseppe Gennari
A partire dalla nota sentenza Daubert, pronunciata dalla Suprema Corte degli Stati Uniti nel
1993, la giurisprudenza e la dottrina italiana citano sovente la teoria falsificazionista di Karl
Popper come punto di riferimento epistemologico per la selezione della “buona” scienza. Il
contributo intende verificare se, effettivamente, ancora oggi le argomentazioni di Popper siano
davvero attuali nel contesto della filosofia della scienza. Gli autori evidenziano come,
effettivamemte, il falsificazionismo sia stato sottoposto, da anni, ad approfondita critica. Gli
autori concludono ritenendo che il riferimento a Popper sia errato dal punto di vista teorico e
fuorviante ai fini del compito di selezione della scienza in corte.
SOMMARIO: 1. Perché Popper? – 2. Rivalutiamo Popper alla luce degli errori e delle debolezze della sua
proposta. – 2.1. Che cos’è la falsificazione popperiana? – 2.2. La falsificazione non funziona nel mondo reale
quando ci sono enunciati statistici. – 2.3. La falsificazione non funziona nel. Mondo reale anche quando non
ci sono enunciati statistici. – 3. Conclusione.
1. Perché Popper?
Perché mai una rivista di diritto si dovrebbe occupare di Karl Raimund Popper
(1902-1994)? Vi è una prima risposta immediata, visto un recente contributo pubblicato
su questa stessa Rivista. In questo lavoro1, per altri aspetti interessante, si legge che
“quello che Karl Popper denomina tentativo di falsificazione” deve essere il nucleo
essenziale del ragionamento del giudice. La giurisprudenza italiana, si dice, avrebbe
davvero elaborato una illuminata “epistemologia della scienza forense” recata da
principi:
che trovano formidabile riscontro nel falsificazionismo popperiano, che, con la sua forza
espansiva, rappresenta il senso stesso del processo penale. Con vera e propria nonchalance
le Sezioni unite Pavan hanno considerato il metodo di Popper come un’acquisizione
epistemologica ormai assodata. D’altronde, a livello di filosofia della scienza si è dinanzi
a princìpi tanto consolidati da essere espressi in un volume per ragazzi, dal titolo ‘Errori
CONTI C., La prova scientifica alle soglie dei vent’anni dalla sentenza Franzese: vette e vertigini in epoca di pandemia,
in questa Rivista, 9 febbraio 2021.
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galattici. Errare è umano, perseverare è scientifico’, redatto con finalità divulgative da un
giovane astrofisico.
Insomma, Popper dovrebbe essere una conquista definitiva della epistemologia
e il giudice dovrebbe avvantaggiarsene. Ma da dove viene questa passione del giurista
per Popper? Qui la risposta è un po’ più articolata. A quanto ne sappiamo, la prima volta
che un giurista cita, in modo apparentemente determinante, Popper (insieme a Carl
Gustav Hempel) è nella sentenza Daubert2. Il giudice Blackmun, che l’ha redatta, scrive:
Scientific methodology today is based on generating hypotheses and testing them to see if
they can be falsified; indeed, this methodology is what distinguishes science from other
fields of human inquiry." Green, 645. See also C. Hempel, Philosophy of Natural Science
49 (1966) ("[T]he statements constituting a scientific explanation must be capable of
empirical test"); K. Popper, Conjectures and Refutations: The Growth of Scientific
Knowledge 37 (5th ed. [509 U.S. 579, 13] 1989) ("[T]he criterion of the scientific status
of a theory is its falsifiability, or refutability, or testability").
Effettivamente, tra i commentatori americani si è subito detto che Blackmun (e
ancor di più i suoi colleghi della Corte Suprema, che non avrebbero preventivamente
condiviso il passaggio della opinion del giudice relatore) non intendesse
consapevolmente evocare la nozione di falsificabilità. In realtà, le poche righe in cui
viene richiamato Popper sono la testimonianza della gran confusione che molte volte si
fa tra il concetto di falsificabilità e quello di falsificazione, tra teoria effettivamente
controllata e quella per la quale sussiste la possibilità teorica di un controllo empirico.
Probabilmente, la Corte Suprema intendeva solo dire che ipotesi non verificate dal punto
di vista sperimentale sono meno accreditate di quelle verificate 3. Ma tant’è. Comunque,
è da sottolineare che la sentenza Daubert piacque da subito (e piace tuttora) in Italia,
mentre le sue critiche sono rimaste confinate negli Stati Uniti 4, forse anche per l’enorme
influenza che Popper ha avuto qui da noi a differenza di ciò che è accaduto nei paesi
anglo-sassoni.
In Italia, pochi anni dopo la sentenza Daubert, abbiamo la pronuncia della
sentenza Franzese (Cass. SU, 30328/2002 Riv. 222138-01). È vero che la decisione non cita
mai, in modo esplicito, Popper. Tuttavia, sicuramente le teorie del filosofo austriaco sono
sul tavolo della corte. Si ricordi che, in quegli anni, lavora al massimario una valente
donna magistrato, Teresa Massa, che preparò per le Sezioni Unite una relazione5 “densa”
Daubert vs. Merrel Dow Pharmaceuticals Inc., 509 U.S. 579 (1993).
Tutto ciò lo si può leggere in KAYE D.H., On “Falsification” and “Falsifiability”: The First Daubert Factor and
the Philosophy of Sciences, in Jurimetrics, vol. 45, 2005, 2, 473-481.
4 GENNARI G., I criteri di ammissione della prova scientifica nel contesto internazionale, in Canzio G. – Luparia L.
(a cura di), Prova scientifica e processo penale, CEDAM-Wolters Kluwer, Milano, 2018, 165.
5 Come noto, l’ufficio del Massimario della Corte di Cassazione prepara relazioni informative, con dottrina
e giurisprudenza, per le questioni rimesse alle Sezioni Unite.
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di falsificazionismo. In realtà, Teresa Massa espliciterà il suo pensiero in un successivo
commento alla sentenza in cui richiamerà in modo ampio la teoria di Popper 6,
sostenendo che il ragionamento probatorio dei giudici sarebbe una trasposizione del
falsificazionismo in ambito giudiziario7.
Negli anni successivi il falsificazionismo percola da numerose decisioni. Ad
esempio, la sentenza Cozzini (Cass. 43786/2010 Riv. 248944-10) non prende posizione in
favore di Popper, ma – curiosamente –, poiché propone un metodo di verifica della
scienza analogo alla sentenza Daubert, diverrà nella dottrina il cavallo di battaglia del
popperismo (cfr. infra). La sentenza Knox-Sollecito (Cass., 36080/2015 Riv. 264863-01)
pone la falsificazione come criterio essenziale di validazione del dato genetico,
traendone la non corretta conclusione per cui l’analisi non ripetibile è, per ciò stessa,
priva di pregio. La sentenza Pavan (Cass. SU, 14426/2019 Riv. 275112-01) dice che nelle
aule di giustizia è stato introdotto, a proposito della valutazione della prova scientifica,
il “principio della falsificabilità della prova (secondo il quale una tesi scientifica non può
essere mai provata in modo certo, ma può essere solo falsificata)”.
Tuttavia è stata la dottrina, più della giurisprudenza, che si è innamorata di
Popper. Questo, forse, è accaduto per la naturale tendenza di professori e accademici a
cercare di collocare le regole di diritto all’interno di belle cornici teoriche. Tornando alla
Cozzini, proprio a commento di questa sentenza uscì un autorevole articolo di Paolo
Tonini8 che ripropose il criterio della falsificabilità secondo la giurisprudenza americana,
per trarne che anche la Corte di Cassazione aveva fatto proprio quel principio.
Esistono, poi, lavori che dichiarano piena adesione ai criteri elaborati nella
sentenza Daubert –interpretata come dichiaratamente popperiana –, indicando che è vera
scienza solo quella che resiste ai tentativi di falsificazione9. E ci sono lavori in cui il
discorso di Popper viene inserito un panorama più ampio e articolato di critica al
ragionamento induttivo.10
E poi ci sono interi volumi dedicati al falsificazionismo nel processo penale11.
Insomma, quello che interessa evidenziare è che Popper e la “sua” filosofia della
scienza sono potentemente presenti nel mondo giuridico e giudiziario; per inciso,
presenti anche con un certo grado di confusione. Falsificazione e falsificabilità sono due
MASSA T., Le Sezioni unite davanti a “nuvole ed orologi”: osservazioni sparse sul principio di causalità, Cass. pen.,
2002, 12, 3643.
7 In particolare, nella parte in cui la motivazione chiede la verifica della eventuale “interferenza di fattori
alternativi” nella verificazione dell’evento (naturalmente stiamo parlando di nesso di causalità, come è a
tutti noto), rispetto alla spiegazione che sembrerebbe sorretta dai dati scientifici.
8 TONINI P., La Cassazione accoglie i criteri Daubert sulla prova scientifica. Riflessi sulla verifica delle massime di
esperienza, in Dir. pen. proc., 11/2011, 2341.
9 BRUSCO C., La valutazione della prova scientifica, in AA. VV., La prova scientifica nel processo penale (a cura di
De Cataldo Neuburger L.), Cedam Padova, 2007, 40; CANZIO G., La motivazione della sentenza e la prova
scientifica: “reasoning by probabilities”, in AA. VV., Prova scientifica e processo penale, cit., 13.
10 DI GIOVINE O., Il concetto scientifico e il concetto giuridico di probabilità: il grado di certezza da raggiungere nel
giudizio sul fatto, in AA. VV., La prova scientifica nel processo penale, cit., 161.
11 NAIMOLI C., Principio di falsificazione, tra prova indiziaria e prova scientifica, Pacini Giuridica, Pisa, 2017.
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cose diverse e se Popper deve essere usato per dire che la scienza è fallibile ed
empiricamente controllabile, allora sembra anche piuttosto banale.
Ma questo interesse per Popper è veramente giustificato? La sua proposta
epistemologica è ancora attuale e può essere utilizzato per separare buona e cattiva
scienza? In quanto segue mostreremo che così forse non è e che una trivializzazione di
un pensatore non è mai una cosa buona e giusta, soprattutto per amore di quel pensatore
e per amore della società12.
2. Rivalutiamo Popper alla luce degli errori e delle debolezze della sua proposta.
K. R. Popper, come ogni pensatore che si rispetti, ha proposto un quadro teorico
e questo, come ogni quadro teorico, è stato sottoposto al vaglio critico dei pari. Un
procedimento del tutto normale. Quello che invece appare non essere del tutto normale
è il fatto che le critiche che hanno mostrato la debolezza della proposta del filosofo
austriaco risalgono agli anni 70 del ventesimo secolo, ma non sono mai giunte in Italia
con la dovuta notorietà, trasformando così uno dei molti pensatori interessanti in un
mito apparentemente esente da critiche.
In realtà, l’intero pensiero di Popper è punteggiato da vistosi errori e da
debolezze che solo la sua celebrazione hanno impedito di considerare sotto la corretta
luce filosofica. Rimandando a fra poco l’analisi critica delle debolezze del suo
falsificazionismo, vale la pena ricordare fin da subito gli errori scientifici e logici in cui
incorse fin dagli inizi della sua carriera e che non si è mancato di mettere in evidenza.
Cominciamo rammentando l’avversione popperiana per l’interpretazione
cosiddetta ortodossa della meccanica quantistica. Questa avversione fu contraddistinta
da una serie notevoli di errori interpretativi e formali. In particolare, Popper pubblicò
nel 1934 su Die Naturwissenschaften un lavoro in cui proponeva un esperimento ideale
atto, a suo giudizio, a sconfessare l’interpretazione vincente della meccanica quantistica.
Sfortunatamente, il saggio conteneva un errore, che peraltro Popper stesso più tardi
ammise13, e che indusse il comitato editoriale della rivista a pubblicarlo solo seguito da
un commento di K.F. von Weiszäcker che ne metteva in luce la non correttezza. Il
secondo errore popperiano relativo ai fondamenti della meccanica quantistica ha a che
fare con il dibattito Einstein-Bohr sulla validità delle relazioni di Heisenberg. In seguito
alla lettura del saggio che N. Bohr scrisse per il volume della “Library of Living
Philosophers” dedicato ad Einstein14, Popper cercò di mostrare come quest’ultimo
avesse ragione con un argomento che ora si può trovare nell’Appendice *XI della Logica
Quanto segue è una ripresa modificato di quanto già esposto in BONIOLO G., VIDALI, P. Filosofia della scienza,
Bruno Mondadori, Milano 1999 e poi formulato in modo più sintentico in BONIOLO G., VIDALI, P. Introduzione
alla filosofia della scienza, Bruno Mondadori, Milano 2003.
13 Cfr. successiva n. 15.
14 Cfr. BOHR N. , trad. it. Discussione con Einstein sui problemi epistemologici della fisica atomica, in SCHILPP P.A.
(a cura di) (1949), Albert Einstein: Philosopher-Scientist, trad. it. Boringhieri, Torino, 1979.
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della scoperta scientifica15. A ben leggere questa appendice, si scopre facilmente l’errore,
anzi il duplice errore: interpretò scorrettamente la relatività speciale e la correlazione fra
questa teoria, la relatività generale e la meccanica quantistica16. Il terzo punto critico
dell’interpretazione popperiana della meccanica quantistica è legato a un altro
importantissimo momento nella storia della scienza, ossia al famosissimo saggio del
1936 di G. Birkhoff e J. Von Neumann sulla logica quantistica. Vi è da dire che questo
saggio, quando uscì, fu piuttosto trascurato e che solo più avanti, verso gli anni Sessanta,
ebbe modo di essere apprezzato come meritava. Ed è proprio negli anni Sessanta che
Popper lo lesse e che lo trovò contraddittorio e ambiguo. Decise allora di pubblicare un
articolo fortemente critico, che fu accettato da Nature17. L’articolo di Popper sollevò un
mare di critiche da parte di quei fisici e matematici che, come J.M. Jauch, A. Ramsay e
J.C.T. Pool stavano lavorando sulle indicazioni contenute nel saggio di Birkhoff e von
Neumann. L’aspetto curioso dell’intera faccenda è che le critiche al saggio di Popper e
la sua replica avrebbero dovuto uscire su Nature, cosa che però non accadde mai.
Tuttavia le errate obiezioni popperiane al lavoro di Birkhoff e von Neumann svanirono
nel nulla18.
Non solo errori di fisica hanno contraddistinto il suo percorso intellettuale, ma
anche errori di logica e questi han minato fin dai fondamenti la sua proposta
epistemologica. In effetti per completare il quadro, vale la pena ricordare pure l’errore
di logica che inficiò la sua teoria della verosimiglianza, che doveva essere il secondo
cardine logico della sua concezione epistemologica (il primo è dato dal falsificazionismo
che discuteremo a breve). Mentre la tesi falsificazionista ha il 1919 come data di nascita19,
l’origine di quella sulla verosimiglianza può essere fissata intorno ai primi anni del 1960,
come si evince dalla prima edizione, del 1963, di Congetture e confutazioni. Vi è subito da
rilevare che la proposta popperiana fu considerata, al suo apparire, una buona soluzione
al problema di quale fosse la teoria scientifica più vicina al vero. Tuttavia, nel 1974,
comparvero tre articoli – uno di P. Tichý, uno di J. Harris e uno di D. Miller –, in cui si
mostrava l’errore logico in essa contenuto. A questo proposito è interessante notare che
anche in questo caso Popper riconobbe che aveva effettivamente sbagliato 20.
POPPER K.R. (1934-1959), Logik der Forschung, Springer Verlag, Wien, trad. ingl con nuove note e aggiunte
The Logic of Scientific Discovery, Hutchinson, London 1959, trad. it. Logica della scoperta scientifica, Einaudi,
Torino 1970., 507.
16 Cfr. JAMMER M., The Philosophy of Quantum Mechiancs, John Wiley and Sons, New York., 1974, p. 136-138.
17 Cfr. POPPER, K.R, Birkhoff and von Neumann’s Interpretation of Quantum Mechanics, in Nature, n. 219, 1968, p.
682-685.
18 Cfr. JAMMER M., op. cit., p. 351-354.
19 Cfr. Popper K.R., Unended Quest, Fontana Collins, London, trad. it. La ricerca non ha fine, Armando, Roma
1978.
20 È stato dimostrato che anche il contenuto di falsità aumenta con il contenuto; si vedano le quattro note
della discussione di P. TICHÝ, J. HARRIS e D. MILLER in BJPSD, 25, 1974, p. 155-188.
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2.1 Che cos’è la falsificazione popperiana?
Forse un po’ troppo enfaticamente, nel capitolo 17 della sua autobiografia,
intitolato “Chi ha ucciso il neopositivismo?”, Popper si autoaccusa con un certo
compiacimento:
credo di dover ammettere la mia responsabilità. Ma non lo feci di proposito: la mia unica
intenzione era di mettere in luce quelli che mi sembravano errori fondamentali (Popper,
Unended Quest, cit., p. 91).
Sicuramente non è stato Popper a uccidere il neopositivismo europeo. Più di
Popper sono stati, da un lato, il nazismo e, dall’altro, il neopositivismo stesso con un
criterio di significanza troppo rigido e restrittivo e con i tentativi un po’ troppo acrobatici
fatti per salvarlo.
Anche se Popper non fu mai un adepto del Circolo di Vienna (d’altronde – come
lui stesso racconta – non fu mai invitato a farne parte), fra la fine degli anni ’20 e gli inizi
degli anni ’30 entrò in contatto con alcuni dei circolisti, soprattutto con V. Kraft e H.
Feigl, con i quali ebbe modo di intavolare lunghe discussioni. E fu proprio Feigl che lo
stimolò a stendere in un libro le sue idee. Così vide la luce Die beiden Grundprobleme der
Erkenntnistheorie, il cui manoscritto fu letto da R. Carnap, M. Schlick, Ph. Frank, H. Hahn
e O. Neurath e che, nel 1933, Schlick e Frank accettarono nella collana del Circolo:
Schriften zur wissenschaftlichen Weltauffassung. Ma si trattava di un lavoro troppo ampio
e l’editore, Springer, decise di publicarne una parte, che nel 1934 apparve con il titolo di
Logik der Forshung21. Tuttavia, al di là della immediata ricezione positiva, con l’avvento
del nazismo il testo popperiano ebbe un periodo di oblio che terminò quando nel 1959
uscì l’edizione inglese ampliata e intitolata The Logic of Scientific Discovery22.
La tesi fondamentale della Logik era che non si dovesse chiedere che cosa fosse
significante né, tantomeno, che si dovesse tentare di rispondervi attraverso il criterio di
verificazione. In realtà, era centrale chiedersi che cosa fosse scientifico e tentare di
rispondervi tramite il criterio di falsificabilità. Il problema principale di Popper non era
quello di stabilire un criterio di significanza, quanto un criterio di demarcazione in grado
di separare l’ambito degli enunciati scientifici dall’ambito degli enunciati non scientifici,
senza però minimamente togliere valore conoscitivo (e meno che mai esistenziale) a
quest’ultimi, specialmente se erano enunciati metafisici23:
Il lavoro originale di Popper (Die beiden Grundprobleme der Erkenntnistheorie) apparirà solo nel 1979 (cfr.
POPPER K.R. (1979), Die beiden Grundprobleme der Erkenntnistheorie, Mohr, Tubingen, trad. it. I due problemi
fondamentali della conoscenza, Il Saggiatore, Milano 1987). L’anno ufficiale di pubblicazione della Logik è, in
realtà, il 1935.
22 Cfr. nota 15. Intanto Popper, durante la sua permanenza in Nuova Zelanda, aveva scritto altri due lavori
di filosofia (segnatamente di filosofia della storia e di filosofia della politica), ossia The Poverty of Historicism
e The Open Society and its Enemies che pubblicò con grande difficoltà, rispettivamente, nel 1944 e 1945.
23 Si noti che, ovviamente, anche il criterio di significanza è un criterio di demarcazione, segnatamente fra
l’ambito del significante e quello del non significante. Tuttavia, storicamente si usa contrapporre il criterio
neopositivista di significanza al criterio popperiano di demarcazione (da intendersi nel senso visto). Per
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Non mi spingo […] ad asserire che la metafisica non ha nessun valore per la scienza
empirica. Infatti, non si può negare che, accanto alle idee metafisiche che hanno ostacolato
il cammino della scienza, ce ne sono state altre – come l’atomismo speculativo – che ne
hanno aiutato il progresso (Popper, Logik der Forschung24, p. 19).
La proposta popperiana parte dalla constatazione di due difficoltà, o, meglio, di
una difficoltà che presenta due lati, della concezione verificazionista:
• il criterio di verificazione elimina dall’ambito del significante le leggi di natura;
queste sono enunciati universali e quindi parlano di infiniti casi, ne segue che
una loro verifica conclusiva è impossibile e quindi dovrebbero essere considerati
non significanti:
i positivisti nella loro ansia di distruggere la metafisica, distruggono, con essa, la scienza
della natura. Infatti le leggi scientifiche non possono, a loro volta, essere ridotte ad
asserzioni empiriche elementari (ivi, p. 16);
•
il criterio di verificazione è strettamente connesso all’esistenza di un’inferenza
induttiva che permette di passare dalla verificazione di un numero finito di
enunciati singolari alla verificazione di una legge che, come detto, governa
infiniti casi e da cui possono essere dedotti infiniti enunciati; ma l’esistenza di
un’inferenza induttiva è un mito:
i positivisti moderni […] intendono ammettere come scientifiche, o legittime, soltanto
quelle asserzioni che siano riducibili ad asserzioni elementari, o “atomiche”, di esperienza
– a “giudizi di percezione” a “proposizioni atomiche”, o “enunciati protocollari”, o dio
sa cosa. È chiaro che il criterio di verificazione qui implicito è identico alla richiesta di
una logica induttiva (ivi, p. 14-15).
Da tutto ciò si conclude che
Il criterio di demarcazione inerente alla logica induttiva – cioè il dogma positivistico del
significato – è equivalente alla richiesta che tutte le asserzioni della scienza empirica
(ovvero tutte le asserzioni “significanti”) debbano essere passibili di una decisione
conclusiva riguardo la loro verità e falsità […] Ora, secondo me, non esiste nulla di simile
all’induzione. È pertanto logicamente inammissibile l’inferenza da asserzioni singolari
“verificate dall’esperienza” (qualunque cosa ciò significhi) a teorie. Dunque, le teorie non
sono mai verificabili empiricamente (ivi, p. 21-22).
Il criterio di verificazione non funziona, per cui si deve concludere che
avere un’idea del portato esistenziale degli enunciati non scientifici, o almeno di certi, si leggano le due
opere più “politiche” di Popper, ossia The Poverty of Historicism e The Open Society and its Enemies.
24 POPPER K.R. (1934-1959), Logik der Forschung, Springer Verlag, cit.
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tanto i sistemi metafisici quanto quelli scientifici sono costituiti da pseudo-asserzioni
insignificanti. Dunque, invece di sradicare la metafisica dalla scienza, il positivista
conduce all’irruzione della metafisica nel dominio della scienza” (ivi, p. 17).
Per ovviare a questa débâcle bisogna cambiare indirizzo di ricerca e chiedersi
come la scienza empirica possa essere caratterizzata e quindi come essa possa
differenziarsi dalla metafisica. Ebbene, secondo Popper, una buona risposta si trova
nell’idea di fasificabilità: dato un sistema T, questo è “empirico”, o “scientifico” o
“falsificabile” se da esso è possibile estrarre delle conseguenze C, le asserzioni-base, le
quali possono essere confrontate con il mondo empirico tramite un esperimento e quindi
da questo falsificate. Se l’esperimento porta a un risultato negativo allora, tramite il
modus tollens della logica classica, la teoria è falsificata.
Cioè, sia C l’asserzione-base dedotta dalla teoria, e sia C’ nonC, l’asserzione-base
contraddittoria, che Popper chiama falsificatore potenziale. Se l’esperimento dice che
vale C’, allora
((T→ C)
nonC) → nonT.
Non servirebbe nemmeno ricordalo, ma ci si consenta di sottolineare che il modus
tollens non è certo una scoperta logica di Popper, ma una legge di inferenza nota da
moltissimi secoli se non millenni. Comunque sia, banalmente mentre un fatto unico
basta a rendere falsa una teoria scientifica, nessuna teoria scientifica può essere resa vera,
nemmeno da moltissimi fatti. A questo proposito, Popper parla di asimmetria fra
verificazione e falsificazione dovuta al fatto che per falsificare un enunciato basta un
fatto che lo contraddice mentre per verificarlo ne servirebbero infiniti 25. Anche questo,
peraltro, noto da secoli a qualunque intellettuale con una formazione logica di base26.
Riassumendo, una teoria è scientifica se è falsificabile, ossia se ammette dei
falsificatori potenziali che, se effettivamente trovati veri mediante l’esperimento, la
falsificano via modus tollens. Una volta stabilito ciò, Popper distingue il contenuto logico
“La mia proposta si basa su un’asimmetria tra verificabilità e falsificabilità, asimmetria che risulta dalla
forza logica delle asserzioni universali. Queste, infatti, non possono mai essere derivate da asserzioni
singolari, ma possono venir contraddette da asserzioni singolari. Di conseguenza è possibile, per mezzo di
inferenze puramente deduttive (con l’aiuto del modus tollens della logica classica), concludere dalla verità di
asserzioni singolari [i falsificatori potenziali] alla falsità di asserzioni universali” (POPPER K.R., op. ult cit., p.
23).
26 Cosa, comunque, non del tutto nuova, come esemplifica questo passo di Kant: “Ora il modus tollens di
conchiudere alla verità di una conoscenza dalla verità delle sue conseguenze, sarebbe permesso allora
soltanto, quando fossero vere tutte le possibili conseguenze, perché allora per esse non è possibile se non un
solo principio, il quale dunque, è anch’esso vero. Ma questo procedimento è impossibile, poiché eccede le
nostre forze conoscere tutte le conseguenze possibili di una qualsiasi proposizione data […] Perciò su questa
via non può mai un’ipotesi trasformarsi in una verità dimostrata. Il modus tollens dei sillogismi, che
conchiudono dalle conseguenze ai principi, non prova con tutto rigore, ma anche con perfetta facilità. Perché
se da una proposizione può essere ricavata anche una sola conseguenza falsa, questo principio è falso”
(KANT I., Kritik der reinen Vernunft, trad. it. Critica della ragion pura, Laterza, Roma-Bari 1985., p. 603).
25
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di una teoria, ossia la classe degli enunciati non-tautologici che possono essere da essa
derivati, dal contenuto empirico di una teoria, ossia la classe dei suoi falsificatori
potenziali, ovvero la classe delle asserzioni-base che la contraddicono.
A questo punto, bisogna soffermarsi sulla nozione di asserto-base. Innanzi tutto,
è un enunciato singolare controllabile intersoggettivamente mediante l’esperimento (ad
esempio, “Sopra la tavola che hai davanti, c’è una penna”, “Alle ore 17,30 del 14 aprile
1999, c’è un elettrone che sta passando in un campo magnetico” ecc.). Comunque, non
tutti gli enunciati singolari sono asserzioni-base; lo sono solo quelli che si convenziona
essere tali, ossia solo quelli sulla cui accettazione o rifiuto i ricercatori, tramite un
esperimento, si possono mettere facilmente d’accordo 27. In effetti, ogni enunciato
singolare potrebbe essere l’origine di una nuova catena di deduzioni che portano ad altri
enunciati singolari. Per ovviare a ciò, a un certo momento si convenziona che quel dato
enunciato singolare a cui si è giunti sia un’asserzione-base, ossia un enunciato che
permette di controllare la validità della teoria da cui è stato dedotto, ossia che
eventualmente permette di falsificarla.
Si noti che una cosa è la falsificabilità e un’altra la falsificazione:
Dobbiamo fare una netta distinzione tra falsificabilità e falsificazione. Abbiamo introdotto
la falsficabilità soltanto come criterio per stabilire il carattere empirico di un sistema di
asserzioni. Per quanto riguarda la falsificazione, dobbiamo introdurre regole speciali che
determinano in quali condizioni un sistema si debba considerare falsificato (ivi, p. 76).
Insomma, si parla di “falsificabilità” quando si parla del criterio per demarcare
la scienza dalla non-scienza; si parla di “falsificazione” quando si parla del processo
metodologico che porta a dire che la teoria è effettivamente falsificata dall’esperienza.
Per concludere, Popper, nel 1934, critica l’efficacia del criterio di verificazione, al
quale sostituisce il criterio di falsificabilità, e rifiuta la coppia significanza-verificazione,
alla quale sostituisce la coppia scientificità-falsificabilità. E queste sono posizioni con cui
i neopositivisti dovettero fare i conti, come accadde. E a prova dell’interesse per la
posizione di Popper vi è il fatto che il suo lavoro fu molto citato in quegli anni, come ci
si avvede leggendo, per esempio, Über Protokollsätze28 e Testability and Meaning di R.
Carnap e Language, Truth and Logic di A. Ayer29.
Va notato che alcuni autori avevano tuttavia interpretato il criterio di
falsificabilità come una variante sofisticata del criterio di significanza30. Interpretazione
che, ovviamente, Popper osteggiò sia negli anni ’30 31 sia successivamente, come
documenta una nota stesa per l’edizione del 1959 de The Logic of Scientific Discovery:
POPPER K.R., op. ult. cit., 99-104.
Si noti che questo è un lavoro del 1932, ma Carnap, come detto, aveva letto il manoscritto della Logik prima
della pubblicazione.
29 Sulle recensioni che la Logik ebbe da parte dei neopositivisti, cfr. POPPER K.R., Unended Quest p. 93
30 Ad esempio, Ayer e Carnap lo interpretano così e anche Hempel lo fa, sebbene aggiunga che forse Popper
non sarebbe d’accordo (cfr. HEMPEL C.G. (1966), Philosophy of Natural Science, trad. it. Filosofia delle scienze
naturali, Il Mulino, Bologna 1968, p. 216 e n. 8 p. 235).
31 In realtà, nella Logik del ’34 la sua posizione era chiara, ed era una posizione che ricalcava quella descritta
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Si noti che io propongo la falsificabilità come criterio di demarcazione, ma non di
significato […] È pertanto un puro e semplice mito […] che io abbia proposto la
falsficabilità come criterio di significato. La falsificabilità separa due tipi di asserzioni
perfettamente significanti: le falsificabili e le non falsificabili. Essa traccia una linea
all’interno del linguaggio significante, non intorno ad esso (Popper, cit., n. *3, p. 22).
Solo dopo la pubblicazione dell’edizione inglese nel 1959, ossia de The Logic of
Scientific Discovery, la proposta epistemologica popperiana comincia a riprendere vigore
e a caratterizzarsi come possibile alternativa alla standard view che in quegli anni
imperava: da un lato, l’anti-induttivismo popperiano, dall’altro, l’induttivismo di quasi
tutti gli appartenti alla standard view; da un lato, l’enfasi popperiana sulla falsificazione,
dall’altro, l’enfasi sulla conferma. Tuttavia, almeno limitatamente al tema del controllo
empirico delle teorie scientifiche, sebbene Popper criticasse l’approccio enfatizzante la
conferma, ricorrendo più o meno ad argomentazioni che non si discostavano molto da
quelle che aveva usato contro i verificazionisti negli anni ‘30, la sua posizione non fu per
molti anni oggetto di nessuna critica particolarmente interessante e pregnante da parte
di appartenenti alla tradizione avversa. Bisognerà aspettare fino al 1976: anno in cui A.
Grünbaum pubblicò quattro saggi in cui il cuore logico della proposta popperiana
veniva analizzato per mostrarne le debolezze32, in particolare si mostrava come essa
incontrasse delle serie difficoltà relativamente alle questioni dell’olismo e delle ipotesi
ad hoc33.
Tuttavia, prima di analizzarle, vorremmo dedicare un paragrafo al problema
della falsificazione degli enunciati statistici o probabilistici. Molto spesso questo è un
tema sorvolato quando si parla di approccio falsificazionista, eppure sono molti gli
asserti statistici nella scienza contemporanea. Ebbene, sono falsificabili? E se non lo
fossero, come potremmo considerarli scientifici? Popper affrontò questi problemi e ne
propose una soluzione; ma, come vedremo, non fu affatto una soluzione soddisfacente.
2.2. La falsificazione non funziona nel mondo reale quando ci sono enunciati statistici.
L’idea di Popper in merito agli enunciati statistici o probabilistici è chiara:
in una lettera del 1933 spedita a “Erkenntnis” in cui discute del rapporto fra demarcazione e falsificazione
(“Erkenntnis”, n. III (1933), p. 426-427 e poi aggiunta come Appendice *1 a Popper, The Logic, ed. 1959, p. 344349).
32 Ci stiamo riferendo a GRÜNBAUM A., Is Falsifiability the Touchstone of Scientific Rationality? Karl Popper versus
Inductivism, in Cohen, Feyerabend, Wartofsky (1976), p. 213-252; GRÜNBAUM A., Can a Theory Answer More
Questions than One of its Rivals?, in The British Journal for the Philosophy of Science, n. 27, 1976, p. 1-23;
GRÜNBAUM A. , Is the Method of Bold Conjectures and Attempted Refutations justifiably the Method of Science?, in
The British Journal for the Philosophy of Science, n. 27, 1976, p. 105-136; GRÜNBAUM A., Ad hoc Auxiliary
Hypotheses and Falsificationism, in The British Journal for the Philosophy of Science, n. 27, 1976, p. 329-362.
33 Per un superamento della concezione popperiana che tiene conto delle sue debolezze e del modo in cui
Popper le tratta, cfr. BONIOLO G., VIDALI P. (1999), Filosofia della scienza, B. Mondatori, Milano 1999, Cap. I.
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Comunque si definisca il concetto di probabilità […] le asserzioni probabilistiche non
saranno verificabili. Le ipotesi probabilistiche non mettono fuori causa nulla che sia
osservabile; le stime probabilistiche non possono contraddire una asserzione-base, né
possono esserne contraddette; neppure possono essere contraddette dalla congiunzione di
un qualsiasi numero finito di asserzioni-base né, di conseguenza, da un numero finito di
osservazioni (Popper, Logik der Forschung, cit., p. 201).
Quindi, un qualunque enunciato statistico o probabilistico del tipo S: “La
probabilità che accada l’evento E è x” non può essere falsificato in quanto, anche se
accade non-E, questo non comporta affatto una sua falsificazione. D’altronde, S non può
essere falsificato nemmeno da una sequenza lunga quanto si voglia di eventi non-E: un
enunciato statistico o probabilistico non nega che certi eventi possano accadere o non
accadere, ma dice solo quanto probabile è che accadano o non accadano. Oltre tutto,
ovviamente, un enunciato del tipo S non può nemmeno essere verificato in modo
conclusivo.
Se tutto ciò è vero, ogni enunciato del tipo S, per il criterio di falsificabilità,
dovrebbe essere considerato non-scientifico. Ma possiamo permetterci di eliminare
come non scientifici tutti gli enunciati statistici o probabilistici della fisica, della chimica,
della biologia? No di certo, e Popper ne è ben consapevole. Allora, che cosa fare? L’idea
di Popper, che però era già presente in A.A. Cournot34, sta nel considerare gli enunciati
statistici come “falsificabili in pratica” anche se non lo sono logicamente35.
Supponiamo, immagina Popper, che un fisico abbia trovato un risultato empirico
relativo a una certa ipotesi statistica, ebbene
di solito […] è capacissimo di decidere se, per il momento, possa accettare una certa
particolare ipotesi probabilistica come ‘confermata empiricamente’ o se, invece, debba
rigettarla come ‘falsificata in pratica’ cioè come inutile per gli scopi della predizione. È
abbastanza chiaro che questa ‘falsificazione in pratica’ si può ottenere soltanto attraverso
una decisione metodologica consistente nel considerare messi fuori causa – proibiti – gli
eventi altamente improbabili. Ma con quale diritto questi eventi possono essere
considerati tali? Dove mai dovremo tracciare la linea di demarcazione? Dove cominciare
questa ‘alta improbabilità’? (ivi, p. 202-203).
Per rispondere a queste domande,
COURNOT A.A., Exposition de la théorie des chances et des probabilités, Paris, 1843. Su Cournot come
“precorritore” di Popper, cfr., HOWSON C. e URBACH P., Scientific Reasoning: the Bayesian Approach, Open
Court, La Salle (Ill.), 1989, p. 121-123.
35 Si noti che proprio negli anni dell’uscita della Logik der Forschung, in ambito di fondamenti della
probabilità, si dibatteva esattamente intorno alla questione di come controllare un’ipotesi statistica in base
all’evidenza empirica e tale discussione era fatta all’interno di un quadro chiaramente ipotetico-deduttivo.
Su questi temi, cfr. HOWSON C. e URBACH P., op. cit., p. 123-141 e 155-176. Vale sottolineare il fatto che la
discussione sul controllo degli enunciati statistici è assai vasta. Noi, per evidenti motivi contestuali, ci
limitiamo a considerare la posizione di Popper.
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propongo – dice Popper – di prendere la decisione metodologica consistente nel non
spiegare mai gli effetti fisici, cioè le regolarità riproducibili, come accumulazioni di
accidenti (ivi, p. 213).
In questo modo, il valore fisso a cui tende per numero molto alto di lanci la
frequenza relativa di una sequenza di risultati di eventi casuali (come il lancio di una
moneta, o di un dado) non dovrà essere considerato come dovuto a una “accumulazione
accidentale”, bensì come stabile e ritrovabile nelle ripetizioni successive. Ma che cos’è
che può essere considerato come “accumulazione accidentale”? Sembrerebbe essere tale
ciò che ha una piccola probabilità di accadere. Tuttavia, questa risposta è solo
parzialmente corretta, in realtà, è “accumulazione accidentale” solo ciò che non è
riproducibile.
La regola secondo cui si devono trascurare le improbabilità estreme […] coincide con
l’esigenza dell’oggettività scientifica. Infatti è chiaro che l’ovvia obiezione alla nostra
regola è che anche la più grande improbabilità è pur sempre una probabilità, per quanto
piccola, e che di conseguenza anche i processi più improbabili – cioè quelli che ci
proponiamo di trascurare – un giorno o l’altro avranno luogo. Ma di questa obiezione ci
si può liberare richiamando l’idea di effetto riproducibile […] Non nego la possibilità che
eventi improbabili possano accadere. Per esempio, non asserisco che le molecole di un
piccolo volume di un gas non possano, per un breve tempo e spontaneamente,
concentrarsi tutte in una parte del volume, o che in un volume maggiore di gas non avrà
mai luogo una variazione spontanea di pressione. Quello che asserisco è che tali
accadimenti non sarebbero effetti fisici, perché, a causa della loro immensa improbabilità,
non sono riproducibili. […] Se troviamo deviazioni riproducibili da un macro effetto che
è stato dedotto da una stima probabilistica, dobbiamo assumere che la stima probabilistica
è falsificata (ivi, p. 216-217).
Allora, data un’ipotesi statistica S, supponiamo che questa preveda l’evento E
con una probabilità pari a p. Supponiamo che accada non-E, avente probabilità (1 – p).
Supponiamo che (1 – p) sia piccolo. Dovremo forse supporre S falsificato? No di certo.
L’evento non-E, infatti, aveva una probabilità così bassa di verificarsi che è fisicamente
pressoché impossibile riprodurlo. E proprio perché è non riproducibile possiamo
considerarlo non significativo relativamente alla validità di S. Supponiamo invece che
non-E, avente probabilità (1 - p), anche piccola, sia ripetibile. Ebbene in questo caso esso
è significativo relativamente alla validità di S e, di conseguenza, S è da considerarsi
falsificata.
Da quanto detto, un evento viene considerato come falsificante un’ipotesi
statistica se essa lo nega e se esso è riproducibile, ossia se è considerabile come un “effetto
fisico”. Invece non è da considerarsi come falsificante se il suo accadere è così
improbabile che non è da considerarsi un “effetto fisico”, cioè se ha una probabilità
talmente bassa di verificarsi che è pressoché impossibile che accada, oppure, se si è
verificato, che è pressoché irripetibile il suo ripetersi.
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Vi è un problema: quando la probabilità di un evento può essere considerata
piccola abbastanza da considerare pressoché impossibile il suo realizzarsi? Per Popper,
questa domanda non ha una risposta univoca. È il fisico, in genere lo scienziato, che, di
caso in caso, deve decidere che cosa debba ritenersi avere una probabilità così bassa da
dover essere considerato pressoché impossibile.
Quindi una soluzione pragmatica, legata a quello che – lo vedremo tra breve –
Popper chiama “l’istinto dello scienziato” e che Duhem aveva chiamato “buon senso”.
Ma è una risposta soddisfacente per tutti? Certamente no:
Questa regola – sembra vaga e senza speranza [… Tutto] sembra inevitabilmente una
questione di gusto e di stipulazione arbitrari (Howson e Urbach, Scientific Reasoning:
the Bayesian Approach, cit., p. 125).
Non è questo l’unico problema. Ve ne sono almeno altri due, come evidenziano
Howson e Urbach:
I fenomeni naturali (cicloni, tempeste, terremoti, eruzioni vulcaniche, ecc.) devono essere
considerati fisicamente significativi anche se hanno una piccola probabilità di avvenire e
anche se non sono ripetibili, nel senso di riproducibili artificialmente, come accade in un
esperimento di fisica o di chimica (ivi, p. 122).
Consideriamo una moneta e facciamo 1000 lanci. Supponiamo che siano uscite 1000 teste.
Secondo Popper, dovremmo considerare falsificata l’ipotesi statistica S: “La moneta non
è truccata”. Consideriamo ora la probabilità che da 1000 lanci di una moneta non truccata
esca una certa sequenza di teste e croci. Visto che ogni sequenza è equiprobabile, vi è la
stessa probabilità, pari a 21000, che escano 1000 teste o 1000 croci o una qualunque
combinazione di 1000 teste e croci. Se seguissimo Popper, in base alla loro probabilità
estremamente bassa, dovremmo considerare ognuna di tali sequenze pressoché
impossibile fisicamente. Eppure una ne è uscita (ivi, p. 123).
Comunque sia, si noti che se accettassimo l’idea di Popper di eliminare dal
fisicamente possibile ciò che gli scienziati considerano tale e quindi se considerassimo
falsificato un enunciato statistico in funzione di ciò che gli scienziati decidono sia da
considerarsi una sua falsificazione, la falsificazione non sarebbe più qualcosa di
totalmente oggettivo e soprattutto non si potrebbe più parlare di falsificabilità di un
enunciato in base alla pura osservazione della sua struttura logica. In questi casi, come
ammette Popper, la falsificazione (ma anche la falsificabilità) sarebbe una questione
meramente “pratica”, sarebbe oggetto di stipulazione; di conseguenza, sarebbe oggetto
di stipulazione pure il criterio di scientificità degli enunciati statistici. E sicuramente
questo non è un risultato di cui egli stesso possa ritenersi soddisfatto.
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2.3. La falsificazione non funziona nel mondo reale anche quando non ci sono enunciati statistici.
Ritorniamo adesso ai problemi più classici che il popperismo presenta,
segnatamente a quelli relati alla falsificabilità degli enunciati non statistici, ma che
tuttavia inficiano pure l’eventuale falsificabilità degli enunciati statistici. Iniziamo con il
problema connesso all’argomento olistico.
Mentre Popper (o almeno – come vedremo – un certo Popper) sostiene che una
singola ipotesi scientifica possa essere falsificata dall’esperienza, i sostenitori della tesi
olistica ritengono che ciò sia impossibile per il semplice fatto che nella scienza non si
danno mai ipotesi isolate ma sempre e solo sistemi più o meno complessi di ipotesi fra
loro interrelate.
Ciò che può apparire strano a uno sguardo storico è che quando si parla di olismo
si fa sempre riferimento a quel capolavoro della filosofia della scienza del ‘900 che è La
théorie physique: son object et sa structure di P. Duhem36, la cui prima edizione risale al 1906
e la seconda al 1914. Questo significa che essa fu disponibile alla riflessione dei filosofi
europei fin dai primi anni del secolo ventesimo. Quindi, com’è possibile che essa possa
costituire un problema per il cuore teorico di un lavoro che fu pubblicato quasi vent’anni
dopo e poi ristampato con qualche aggiunta dopo altri vent’anni? Forse Popper non ha
letto il capolavoro di Duhem o non si è accorto che conteneva un argomento così
devastante per il suo falsificazionismo? La questione è un’altra: Popper lo lesse – come
appare dalle note della Logik del 1934 – solo che lo interpretò a suo beneficio tanto da far
sostenere al fisico-filosofo francese tesi che egli né sostenne né scrisse mai.
Tuttavia, ed è questo l’aspetto veramente sorprendente della faccenda, nessuno
si avvide di questa interpretazione fuorviante – o almeno nessuno di quelli che se accorse
ne fece oggetto di un lavoro influente – fino agli anni ’70 quando cominciarono a
comparire i lavori di I. Lakatos e quando, nel 1976, Grünbaum non accostò
esplicitamente quanto scrisse Duhem e quanto Popper sosteneva che il fisico-filosofo
francese avesse scritto.
Come primo punto del suo confronto, Grünbaum sottolineò che Duhem non
cadde affatto nella fallacia dell'affermazione del conseguente, come implicitamente
sembrerebbe suggerire Popper quando afferma che Duhem nega gli esperimenti cruciali
perché li interpreta come verificazioni. D’altronde, è sufficiente leggere con attenzione
quanto il fisico-filosofo francese scrisse per accorgersi che, oltre a non cadere in tale
fallacia, mise soprattutto sull'avviso di non cadere nella fallacia della non causa pro
causa. In effetti, Duhem sostenne – è il nucleo della tesi olistica – che non abbiamo mai
da controllare un enunciato isolato P, ma sempre un insieme di n enunciati P1, P2, ..., Pn.
Ed è eventualmente contro questo insieme, preso nella sua interezza, che si scaglia la
freccia falsificante del modus tollens. Bisogna, allora, fare attenzione a non cadere nella
fallacia della non causa pro causa e imputare il fallimento empirico a un certo enunciato
DUHEM P., La théorie physique: son object et sa structure, M. Rivière, Paris, 1906-1914, trad. it. La teoria fisica:
il suo oggetto, la sua struttura, Il Mulino, Bologna 1978.
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Pi quando invece può essere dovuto a un enunciato Pj diverso da Pi, o a una particolare
combinazione di enunciati Pj, Pj+1, … Pj+k37.
Come detto, Popper conobbe e addirittura citò il lavoro di Duhem, ma lo
interpretò in modo “piuttosto personale”, come si può agevolmente controllare
mettendo a confronto le pagine duhemiane de La teoria fisica con quelle della Logica della
scoperta scientifica38 o di Congetture e confutazioni39 dove il pensatore francese viene
direttamente o indirettamente menzionato.
Tuttavia, indubbiamente in seguito alle riflessioni duhemiane, talvolta sembra
che Popper accetti la differenza metodologica fra il controllo di enunciati isolati e il
controllo di sistemi di enunciati40, anche se sembra dimenticarsene subito dopo41. E
quando Popper sembra dimenticarsene non lo fa certo perché era filosoficamente
sprovveduto, quanto proprio perché è filosoficamente avveduto e non può accettarla,
visto le letali ricadute che avrebbe per il suo falsificazionismo. Fatto di cui – è ipotizzabile
– fosse perfettamente consapevole fin dal '34. Si noti, tuttavia, che la prima formulazione
precisa della tesi olistica deve essere ascritta a P. Duhem. Va comunque detto che molti
autori a lui coevi avevano intuito o lambito il problema. Valga ad esempio di tale
consapevolezza un passo de La science et l’hypothése di H.J. Poincaré42 dove il fisicomatematico e filosofo francese formula senza ambiguità il problema:
D’altra parte, sottolineiamo che importa non moltiplicare le ipotesi oltre misura e
formularle una dopo l’altra. Se costruiamo una teoria basata su ipotesi multiple e, se
l’esperienza la condanna, quale delle nostre premesse deve mutare? Sarà impossibile
saperlo (Poincaré, La science et l’hypothèse, cit., p. 167).
Qui, anche se Poincaré sta mettendo in guardia intorno alla possibile
proliferazione delle ipotesi relativamente a una stessa teoria, in realtà sta sollevando
proprio il problema dell’olismo: se vi sono una congiunzione di ipotesi e un esperimento
negativo, la condanna dovuta a quest’ultimo è rivolta contro l’intera congiunzione di
ipotesi, ma così non sapremmo affatto quale sia l’ipotesi o la sotto-congiunzione di
ipotesi che deve essere imputata del fallimento empirico. Quindi – è il suggerimento
metodologico di Poincaré – “non moltiplichiamo le ipotesi oltre misura”.
Comunque, lo stesso Grünbaum non è esente dalle stesse colpe nei riguardi di Duhem di quelle che lui
imputa a Popper. In particolare, Grünbaum (specialmente, GRÜNBAUM A., The Duhemian Thesis, in Philosophy
of Science, n. 27, p. 75-87, 1960, rist. in HARDING (1976), p. 116-131.) sostiene una certa equivalenza fra l’olismo
di Duhem e quello di Quine.
38 POPPER K.R., op cit., 62-65.
39 POPPER K.R. (1969), Conjectures and Refutations, Routledge and Kegan Paul, London, trad. it. Congetture e
confutazioni, Il Mulino, Bologna 1972, cap. III, 194.
40 Ad esempio, “Dunque, a prima vista non possiamo sapere a quale delle varie asserzioni del rimanente
sotto-sistema t’ […] sia da imputarsi la falsità” (Popper, Logik, cit., p. 64, n. 2).
41 Ad esempio, “La questione, se esista qualcosa come un’asserzione singolare falsificabile (o un’“asserzione
base”) sarà presa in esame più tardi. Qui assumerò che a questa questione venga data una risposta positiva”
(POPPER, op. ult. cit., p. 66).
42 POINCARE H.J. (1902), La science et l’hypothèse, E. Flammarion, Paris, trad. it. in POINCARE (1989), vol. I, p.
51-234.
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Potrebbe sembrare che l’origine della tesi olistica debba essere fatta risalire a
Poincaré in quanto il passo appena citato è del 1902 e perciò di quattro anni precedente
alla prima edizione del testo di Duhem in cui, tra l’altro, Poincaré è menzionato 43. In
realtà, così non è perché la prima formulazione esplicita della tesi olistica sembra essere
contenuta in due lavori duhemiani del 1894: Quelque réflections au sujet de la physique
experimentale e Les théories de l’optique. Proprio nel secondo di tali saggi si trova un passo44
che contiene inequivocabilmente la tesi olistica, visto che parla dell’impossibilità di
“condannare” un’ipotesi isolata, cioè visto che parla – se usassimo una terminologia
popperiana – dell’impossibilità di falsificarla. Ed è esattamente questa tesi che sarà
ribadita nel lavoro del 1906 dove il titolo del § 2 del Cap. VI della Parte II recita: “Un
esperimento di fisica non può mai condannare un’ipotesi isolata, ma soltanto tutto un
insieme teorico” e dove nel successivo, che ha come titolo “In fisica è impossibile fare
l’experimentum crucis”, si nega la possibilità di poter dire quale fra due ipotesi isolate con
conseguenze contraddittorie sia vera e quale sia falsa. E questo accade perché nelle
scienze della natura non si danno mai ipotesi isolate, ma sempre insiemi di ipotesi tra
loro correlate.
Si noti, per completezza di informazione, che ben differente dalla tesi
metodologica dell’olismo – la cui paternità abbiamo visto essere attribuibile a Duhem –
è la tesi semantica dell’olismo – la cui paternità può essere attribuita a W.V.O. Quine.
Quest’ultima, infatti, non tratta della possibilità di “condannare” (falsificare) o di
confermare un’ipotesi teorica isolata tramite un esperimento (cruciale o meno), ma
affronta la significanza di termini linguistici isolati. Bisogna, quindi, fare molta
attenzione e distinguere le due versioni di olismo, anche se talvolta, pericolosamente, si
parla della “tesi Duhem-Quine” e anche se lo stesso Quine le considera fortemente
interdipendenti, sostenendo non solo un olismo smenatico ma anche una forma di
olismo metodologico45.
Abbiamo visto che l’olismo metodologico rende problematica la falsificazione di
un’ipotesi e proprio per questo è stato considerato una specie di contraltare ai problemi
della verificazione. Ovvero, se Popper ha parlato di asimmetria fra verificazione e
falsificazione, in quanto per verificare un’ipotesi servono infinite istanze favorevoli
mentre per falsificarla ne basta una contraria, di contro si è suggerito di parlare, tenendo
conto della tesi olistica, di simmetria fra verificazione e falsificazione: come è impossibile
verificare conclusivamente un’ipotesi, così è impossibile falsificarla tenendo conto che
essa è sempre connessa a un insieme di altre ipotesi.
In effetti, bisogna andare un po’ cauti e destreggiarsi con cura fra ipotesi isolate
e teorie, fra impossibilità logica di falsificare e impossibilità pragmatica di falsificare.
DUHEM P., op. cit., p. 204.
DUHEM P., Les théories de l’optique, in Revue des Deux Mondes, n. 123, 1894, p. 94-125.
45 QUINE W.V.O., Ontological Relativity and Other Essays, Columbia University Press, New York, trad. it.
Relatività ontologica e altri saggi, Armando, Roma, 1969; QUINE W.V.O., Theories and Things, The Belknap Press,
Cambridge (Mass.), 1981; QUINN P.L., What Duhem Really Meant, in Cohen R.S. e Wartofsky M. (a cura di),
Methodological and Historical Essays in the Natural and Social Sciences, D. Reidel Publishing Company,
Dordrecht., 1974, p. 33-56.
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Consideriamo un altro aspetto: sappiamo che se I è un’ipotesi confutata
dall’esperimento, è sempre possibile trovare una ipotesi A, tale che I A riesce a cooptare
il risultato empirico prima sfavorevole. Qui non siamo in presenza, ripetiamo, della
situazione in cui la freccia del modus tollens non colpisce mai un’ipotesi isolata,
comportandone la falsificazione, in quanto un’ipotesi isolata non si dà, ma siamo nella
situazione in cui un’ipotesi contraddetta da risultati sperimentali può sempre essere
salvata tramite l’aggiunta di un’opportuna ipotesi ausiliaria. In tal modo, ossia grazie a
ciò che Popper chiamerà nel 1934 “stratagemma convenzionalistico” e nel 1974,
seguendo H. Albert, “immunizzazione contro la critica”, si arriva a rendere impossibile
la falsificazione di un’ipotesi. Che questo trucco metodologico sia possibile è innegabile,
come pure è innegabile che abbia in un qualche modo a che fare con la tesi olistica.
Tuttavia conviene per ora tralasciarne la discussione e procrastinarla a quando
discuteremo la questione delle ipotesi ausiliarie e della loro relazione con la
falsificazione.
Ritorniamo alla tesi di Duhem e chiediamoci: se non è mai un enunciato isolato
che viene confrontato con l’esperienza, ma sempre e solo un insieme di enunciati e se
l’esperimento risponde negativamente, qual è l’enunciato o insieme di enunciati che
dobbiamo imputare dell’insuccesso empirico? La risposta di Duhem è precisa e per certi
versi sorprendente: non è la logica che permette di indirizzare la freccia del modus tollens
contro un particolare enunciato o contro una particolare combinazione di enunciati, ma
“quei motivi che non discendono dalla logica e tuttavia indirizzano la nostra scelta, le
‘ragioni ignote alla ragione’ che parlano all’esprit de finesse e non invece all’esprit
géométrique”46, ossia chi permette di dirimere la faccenda è il “buon senso” degli
scienziati: ‘Il buon senso giudica quali sono le ipotesi da scartare’.
Vale ora la pena ricordare che, sorprendentemente per chi abbia una visione
logicista di Popper, anche il filosofo austriaco, quando è messo alle strette a proposito
dell’estrema pericolosità dell’argomento olistico per il suo falsificazionismo, ricorre a un
“buon senso” molto duhemiano:
[È l’]istinto scientifico del ricercatore [...] che gli fa indovinare quali asserzioni [...]
debbano essere considerate innocue e quali debbano essere considerate bisognose di
modificazione (Popper, Logik, cit., p. 64 n. 2).
È il buon senso degli scienziati e non la logica, che in questo caso è del tutto
impotente, a decidere quale sia l’enunciato che deve essere considerato falsificato e quale
sia l’enunciato che deve essere tenuto perché si ha fiducia nella sua validità.
Abbiamo visto che la tesi E collegata con l’olismo parlava dell’impossibilità di
falsificare un’ipotesi isolata in quanto è sempre possibile trovare un’altra ipotesi, la
cosiddetta ipotesi ausiliaria, che aggiunta alla prima consente di cooptare il risultato
empirico sfavorevole, e quindi di tramutare l’istanza falsificante in un’istanza
confermante.
46
DUHEM P., La théorie physique, cit., 244
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Ebbene, contro una tale “stratagemma convenzionalistico”, come lo chiama
Popper, si scagliarono non solo (e paradossalmente) proprio quegli autori che vengono
chiamati convenzionalisti, come ad esempio Poincaré 47, ma anche Popper in quanto la
possibilità di salvare ogni teoria falsificata ha conseguenze disastrose per una
concezione metodologica che, come la sua, ruota attorno all’idea che la scienza proceda
per congetture, confutazioni, nuove congetture più potenti ecc.
E in effetti, fin dal 1934, Popper si impegna a disinnescare la mina costituita dalla
possibile aggiunta di ipotesi ausiliarie, ma è costretto a riconoscere che nella storia della
scienza ci sono stati casi in cui tali aggiunte ausiliarie hanno portato un progresso
conoscitivo. Ecco allora che il suo problema si presenta come quello di trovare un criterio
che permetta di distinguere le ipotesi ausiliarie “buone”, quelle che possono essere
introdotte, dalle ipotesi ausiliarie “cattive” che non dovrebbero essere introdotte e che
chiama “ipotesi ausiliarie ad hoc”.
Come detto, il primo tentativo popperiano di definire quale ipotesi ausiliaria
debba essere considerata ad hoc, e quindi quale ipotesi ausiliaria non debba essa
introdotta, risale alla Logik
Per quanto riguarda le ipotesi ausiliarie, decidiamo di enunciare la regola secondo cui
sono accettabili soltanto quelle la cui introduzione non diminuisce il grado di
falsificabilità o di controllabilità del sistema in questione, ma, al contrario, l’accresce
(Popper, Logik, cit., p. 72).
Quindi, come peraltro ribadirà sempre, le ipotesi ausiliarie ad hoc sono quelle
ipotesi ausiliarie che non aumentano il contenuto empirico di una teoria, cioè che non
aumentano l’insieme dei suoi falsificatori potenziali, o, dicendola diversamente, che
sono collegate con un insieme vuoto di falsificatori potenziali. E tali ipotesi non devono
essere avanzate semplicemente perché minano alla base la sua idea che si debba
aumentare e non diminuire la falsificabilità delle teorie, in modo da poterle falsificare al
più presto per cercare teorie nuove, migliori e più vicine alla verità delle precedenti.
Anche se questo è il motivo principale per cui Popper prescrive di non fare
ipotesi ausiliarie ad hoc, ve ne solo altri due in qualche modo collegati: un’ipotesi
ausiliaria ad hoc molto spesso è circolare, come esemplifica Popper con il seguente
dialogo: “Perché il mare è così impetuoso oggi? – Perché Nettuno è molto arrabbiato –
Ma quale prova hai per sostenere che Nettuno è molto arrabbiato? – Oh, ma non vedi
come è impetuoso il mare oggi? E non è così quando Nettuno è arrabbiato?” 48; un’ipotesi
ausiliaria ad hoc non può mai essere controllata indipendentemente, ossia oltre a
Si ricordi quando scrive che “importa non moltiplicare le ipotesi oltre misura e formularle una dopo
l’altra” (POINCARÉ H.J., La science et l’hypothèse, E. Flammarion, Paris, 1902, trad. it. in POINCARÉ (1989), vol.
I, p. 51-234., 1902, p. 167).
48 POPPER K.R., Objective knowledge, Clarendon Press, Oxford, 1972, trad. it. Conoscenza oggettiva, Armando,
Roma 1975, p. 192. Non tutti ritengono che l’esempio discusso da Popper sia veramente pertinente.
47
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rendere conto degli explicanda per cui è stata introdotta non comporta altre conseguenze
controllabili49.
Abbiamo a questo punto un chiaro criterio demarcativo tra ipotesi ausiliarie nonad hoc e ipotesi ausiliarie ad hoc? Popper non sembra esserne perfettamente convinto: “È
chiaro che, come ogni cosa in metodologia, la distinzione tra un’ipotesi ad hoc e un’ipotesi
ausiliaria conservativa è piuttosto vaga” 50. Tuttavia, sembrerebbe il contrario, visto che
un’ipotesi ad hoc comporta una classe vuota di falsificatori potenziali e quindi un criterio
di distinzione piuttosto chiaro.
Comunque, il criterio popperiano di demarcazione della “ad hocneità” basato sul
concetto di contenuto informativo è soltanto ambiguo, come lui stesso ammette, oppure
è del tutto errato? Sfortunatamente per Popper, non solo è ambiguo ma è pure basato su
un errore logico, come mostra Grünbaum in uno dei quattro saggi del 1976 citati. La
critica di Grünbaum si basa su una considerazione popperiana relativa alle relazioni fra
contenuto informativo, contenuto empirico e contenuto logico di una teoria:
si può immediatamente vedere […] che gli elementi di questo insieme [del contenuto
informativo] e gli elementi del contenuto logico stanno in una corrispondenza uno-a-uno:
per ogni elemento che si trova in uno dei gruppi c’è nell’altro gruppo un elemento
corrispondente, cioè la sua negazione. Troviamo quindi che ogni volta che in una teoria
cresce o decresce la forza logica, o la potenza, o la quantità dell’informazione, allo stesso
modo deve crescere o decrescere sia il suo contenuto logico sia il suo contenuto
informativo. Ciò dimostra che le due idee sono molto simili: c’è una corrispondenza unoa-uno tra ciò che si può dire dell’uno e ciò che si può dire dell’altro (Popper, Unended
Quest, cit., p. 28).
Secondo Grünbaum51, tale passo dice che, date due teorie T e T’ si ha che
[CI(T) CI(T’)]
[CL(T) CL(T’)],
ossia il contenuto informativo di una teoria T, cioè CI(T), è un sottoinsieme del
contenuto informativo della teoria T’, cioè CI(T’), se e solo se lo stesso avviene per i
rispettivi due contenuti logici. Ma questo, sostiene Grünbaum, è errato da un punto di
vista logico. Infatti, supponiamo che da T si estragga la conseguenza c contraddetta
dall’esperienza, per la quale invece si dovrebbe avere c’ c. In tal caso, per modus tollens,
T sarebbe falsificata. Però possiamo aggiungere a T l’ipotesi ausiliaria non ad hoc I, in
modo da cooptare il risultato sfavorevole, ossia in modo che (T I)→c’. Sia T’ T I. In tal
caso T e T’ sono incompatibili perché T, implicando c, implica la negazione di c’, mentre
T’ implica proprio c’ (è stata costruita apposta per farlo). Questo comporta che CL(T)
non può mai essere incluso in CL(T’), cioè il contenuto logico della teoria non modificata
“Chiamo ‘ad hoc’ un’ipotesi se è introdotta per spiegare una data difficoltà [… ma] non può essere controllata
indipendentemente” (POPPER K.R., Replies to my Critics, cit., p. 986).
50 POPPER K.R., Replies to my Critics, cit., p. 986.
51 GRÜNBAUM A., Is falsifiability, cit.
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non può essere incluso nel contenuto logico della teoria modificata. Ma dal momento
che il contenuto logico e il contenuto informativo – e quindi, a fortiori, il contenuto
empirico – sono collegati dalla relazione di cui sopra, CI(T’) non può mai includere CI(T),
cioè il contenuto informativo della teoria modificata non può mai includere il contenuto
informativo della teoria non modificata. E questo va contro la tesi popperiana secondo
cui il contenuto informativo di una teoria salvata tramite un’ipotesi ausiliaria non ad hoc
dovrebbe contenere il contenuto informativo della teoria originaria. Ma visto che proprio
su questo aspetto si basa la demarcazione fra ipotesi ausiliarie non ad hoc e ipotesi
ausiliarie ad hoc, la demarcazione popperiana fallisce nel suo compito52.
A questo punto si apre un’altra questione non banale: anche se Popper non è
riuscito a demarcare correttamente tra ipotesi ad hoc e non, è possibile farlo? Grünbaum
è piuttosto scettico su questa possibilità e per enfatizzarla ricorda quando sancì Hempel
una decina di anni prima:
non esiste […] alcun criterio preciso per riconoscere le ipotesi ad hoc (Hempel, 1952, p.
52).
Risultato piuttosto scoraggiante, ma corretto. Comunque, anche se fosse possibile
trovare un criterio di “ad hocneità” e questo fosse quello di Popper, potremmo dirci
soddisfatti? Non completamente. Infatti, come afferma la tesi E vista nel caso dell’olismo
forte, potremmo aggiungere una dopo l’altra ipotesi ausiliarie non ad hoc (e quindi
accettabili anche per il falsificazionismo popperiano) in modo da rendere de facto
infalsificabile il sistema. Certo, per evitare tale pericolo, a un certo punto – direbbe
Popper – dovremmo smettere di aggiungerne di nuove. Ma quando smettere? Popper
forse demanderebbe tale decisione all’“instinto del ricercatore”, visto che in questo caso
la logica potrebbe poco. Tuttavia, così facendo non si ritornerebbe a quanto avevano già
detto Poincaré, per il quale non bisogna “moltiplicare le ipotesi oltre misura”, e Duhem,
che con il suo “buon senso” riesce addirittura a dirimere la questione?
Una cosa è certa: nella scienza l’introduzione delle ipotesi ausiliarie è prassi del
tutto usuale. E come sempre, è poi la storia a decidere se le ipotesi introdotte si sono
rivelate utili o del tutto inutili. Inoltre, è sempre il giudizio storico a dirci che cosa era ad
hoc, ovvero che cosa era stato introdotto “appositamente per quello scopo” senza
nessun’altra conseguenza, empirica o teorica. Ragionare in questi termini significa, però,
abbandonare la strada della definizione astratta, magari basata su un “gioco logico”.
Come si è visto, i tentativi di definizione, come quello popperiano, basati su qualche
“gioco logico” in realtà sono finiti proprio in seguito alle aporie che quel “gioco logico”
portava con sé.
Per una critica non logica alla concezione popperiana di ad hocneità, cfr. cfr. BAMFORD G., Popper’s
Explications of ad hocness: Circularity, Empirical Content and Scientific Pratice, in The British Journal for the
Philosophy of Science, n. 44, 1993, p. 335-355.
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3. Conclusione.
Anche se il percorso è stata un po’ più complesso e articolato rispetto ai primi
interrogativi che ci siamo posti, abbiamo visto che il falsificazionismo di Popper non
funziona, al di là della banalità fissabile nel modus tollens, e non funziona ancora di più
con enunciati statistici o probabilistici. E qui, forse, molto giuristi dimenticano che la
stragrande maggioranza degli enunciati utilizzati dalle scienze forensi, appartengono
proprio a questa categoria. Genetica forense, epidemiologia, psichiatria, neuroscienze –
l’elenco potrebbe proseguire – utilizzano metodiche statistiche che consentono di
esprimere la probabilità di osservare un certo evento data una certa ipotesi esplicativa
(cioè l’ipotesi fattuale da verificare nel giudizio). Per non parlare degli algoritmi di
intelligenza artificiale con cui si vorrebbe predire e/o prevenire un determinato
comportamento futuro.
Come si è avuto modo di evidenziare in un precedente lavoro 53, quando si usano
nozioni e termini che appartengono ad un campo del sapere diverso dal diritto, questo
va fatto con rigore metodologico e con la migliore conoscenza tecnica che li circonda.
Allora, quando, a ogni piè sospinto, troviamo citato e richiamato e invocato il
falsificazionismo di Popper in articoli e sentenze possiamo ipotizzare due situazioni.
La prima è che questo accade perché si intende fare riferimento davvero alle
teorie dell’epistemologo austriaco. Se così è abbiamo però capito che non ha più senso,
che è un riferimento obsoleto e superato. È un po’ come se il filosofo pretendesse, oggi,
di spiegare il diritto civile sulla base della teoria del negozio giuridico di Emilio Betti54;
teoria bellissima, ma datata. Insomma, il giurista dovrebbe fare attenzione a non cadere
nella tentazione di esercitarsi nella “filosofia del week end”. La filosofia è materia
complessa esattamente come il diritto e come il diritto richiede studio costante e
aggiornamento. Praticare il cherry picking con lavori, per quanto noti, risalenti a oltre
mezzo secolo fa è irrispettoso di questa complessità, oltre che tecnicamente inadeguato.
La seconda è che questo accade semplicemente perché, usando il termine
“falsificazionismo” o “falsificabile”, si vuole evidenziare il carattere provvisorio e
sempre soggetto a revisione della scienza. Ma se è così, come abbiamo già detto sopra,
si tratta solo di un espediente retorico per affermare una banalità. Cioè che ogni risultato
scientifico deve essere sempre e costantemente controllato e ogni teoria scientifica può
essere smentita già il giorno dopo.
Si potrebbe pensare che, l’una o l’altra che sia, si tratta comunque di peccato
veniale, magari di un uso poco attento del linguaggio.
Non è così. E non si tratta solo di precisione lessicale, che comunque dovrebbe
essere sempre perseguita.
Si chiede al giudice del merito di sottoporre a rigorosa falsificazione ogni nuova
teoria o tecnica scientifica che venga presentata in corte; per verificare se tale teoria o
tecnica meriti ascolto. Ora, leggendo dotte considerazioni su questo o quell’approccio
BONIOLO G. – GENNARI G., Note su giurisprudenza e probabilità: fra leggi di natura e casualità, in questa Rivista,
10/2021.
54 BETTI E., Teoria generale del negozio giuridico, Esi, Napoli, 2002 (rist.).
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epistemologico e, appunto, su Popper, viene da dire che la giurisprudenza (di
legittimità) e, a seguire, la dottrina davvero abbiano raggiunto un invidiabile livello di
elaborazione multidisciplinare. E forniscano al manovale (in senso bonario) del diritto,
che quotidianamente si misura con i “fatti” da giudicare, eccellenti strumenti di
conoscenza. Ma – tralasciando tutto quello che abbiamo detto fino ad ora sui difetti del
falsificazionismo – si può veramente credere che il giudice “medio” (ma anche il
“massimo”) sarebbe in grado di esercitarsi nella ricerca di falsificatori potenziali che, se
trovati, falsificherebbero via modus tollens la teoria o tecnica scientifica presentata dal
consulente o dal perito? Questo interrogativo è posto come domanda retorica perché è
veramente l’unico modo con cui può essere posto!
Dunque, anche se il riferimento a Popper fosse inteso in senso letterale e fosse
corretto (e non lo è), esso avrebbe un valore concreto ancora di espediente retorico
perché nessun giurista sarebbe in grado di amministrare quel principio. Quindi, se si
dice che il giudice deve accettare solo teorie falsificabili, si dice qualcosa che forse rende
più apparentemente acculturata la decisione, ma si dice qualcosa che è comunque
irrealistico e inutile per migliorare la qualità della decisione giudiziaria.
E il danno maggiore è che, in questo modo, si tralasciano verifiche ben più
semplici e basilari sulla qualità della scienza forense. Ad esempio, chiedere a laboratori
ed esperti se sono accreditati, mettere il naso nei proficiency test per quei settori in cui
vengono praticati, seguire le istruzioni che organismi accreditati forniscono per la
redazione e valutazione di una buona perizia 55, fare qualche domanda sulla
preparazione ed esperienza specifica dell’esperto e magari qualche altra domanda sulle
sue dotazioni strumentali (sono aggiornate?), chiedere all’esperto di dare conto della
letteratura a sostegno e contraria alla sua tesi, verificare se le società scientifiche
forniscono linee guida, chiedere conto di eventuali tassi di errore se conosciuti e
misurati… ecco l’auspicio è che, alla prossima occasione, la suprema corte imponga al
giudice del merito dei controlli di questo tipo. Molto meno intellettualisticamente
appaganti, ma molto più efficaci e praticabili.
Le Enfsi Guideline for evaluative reporting in forensic science e altri manuali sono consultabili all’indirizzo
https://enfsi.eu/documents/forensic-guidelines/.
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