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La giustizia in Matteo.

2011, La giustizia in Matteo: Presenza del Regno

La parola δικαιοσύνη appare soltanto dieci volte nei vangeli (7 in Mt, 1 in Lc e 2 in Gv), a confronto delle numerose occasioni in cui essa è menzionata nell'epistolario paolino e negli altri documenti neotestamentari 1 . Delle sette volte che ricorre nel Vangelo di Matteo, quasi tutte ricorrono nel contesto del discorso della montagna (DM).

La giustizia in Matteo: Presenza del regno 1. La δικαιοσύνη nel NT. Una visione d'insieme La parola δικαιοσύνη appare soltanto dieci volte nei vangeli (7 in Mt, 1 in Lc e 2 in Gv), a confronto delle numerose occasioni in cui essa è menzionata nell'epistolario paolino e negli altri documenti neotestamentari1. Delle sette volte che ricorre nel Vangelo di Matteo, quasi tutte ricorrono nel contesto del discorso della montagna (DM). Alla base del termine si trova la δίκη, che nella mitologia greca era la personificazione della figlia di Zeus la quale, denunziando l'ingiustizia degli uomini, ne chiede la punizione. Il concetto si riscontra in OMERO dove viene espresso nel senso di ciò che a ognuno spetta o a cui ognuno ha diritto2. Dei due sensi, è quello della vendetta e del castigo che passa al NT3. Δικαιοσύνη è invece assente in OMERO, ma compare in ESIODO. Già da PLATONE essa era considerata come la virtù emblematica dei governanti e dei legislatori, ma anche la qualità caratteristica di chi compie il proprio dovere, comportandosi onestamente e rettamente. Nella koiné δικαιοσύνη sostituiva tendenzialmente la δίκη. Il concetto evolverà gradualmente nel periodo ellenistico, comportando misura e moderazione, ed implicando anche la πραύτης e la ἐπιείκεια. In questo modo la δικαιοσύνη si rivela incline al perdono, collegandosi alla benevolenza e alla filantropia. Munita da siffatte qualità, essa verrà personificata e divinizzata nel culto4. Pensando anche all'aggettivo δίκαιος, nell'ellenismo viene adoperato per colui che compie le prescrizioni e le leggi divine, sulla scia del pensiero stoico. FILONE poi ne approfondisce il senso e lo collega alle radici religiose del giudaismo, presentando il δίκαιος come l'uomo fedele e retto che accetta la sua condizione ed agisce correttamente, secondo la volontà divina5. La δικαιοσύνη è essenzialmente una virtù divina, una qualità di Dio (cf Dt 32,4; Ps 11,7), retto e giusto giudice (cf Jer 12,1; Ps 7,12; Tob 3,2), che opera con giustizia (cf Gen 18,25; Jdc 5,11; Ps 145,17), punendo e ricompensando (cf Ps 62,13). Soltanto Lui è 1 Il vocabolo appare complessivamente 92 volte nel NT. Nelle lettere paoline ricorre 58 volte, di cui 50 negli scritti protopaolini, 3 in Ef e 5 nelle Pastorali. Si trova anche 4 volte in Atti, 6 in Eb, 12 nelle lettere cattoliche e 2 nell'Apocalisse. 2 OMERO, Il 19,180; Od 24,255. 3 Cf At 28,4; 2 Ts 1,9; Jud 7, le tre volte che ricorre il termine. 4 Cf C. SPICQ, Note di Lessicografia Neotestamentaria (NLT) I, Brescia 1988, 379. 5 NLT I, 371. 2 misericordioso, compassionevole, pieno di bontà (cf Ps 116,5). Da parte dell'uomo invece, la 'giustizia' è un concetto essenziale della morale veterotestamentaria, che si può capire soltanto se si osserva lo stretto rapporto fra morale e religione: l'uomo si trova davanti a Dio come un giudice che riconosce o meno la sua bontà e innocenza6. Ad ogni modo, l'aspetto forense nell'operare di Dio è di gran lunga superato dalla giustizia come fedeltà e manifestazione della sua bontà per la salvezza del genere umano7. Partendo da questa considerazione anche il Messia viene contemplato come giusto, non soltanto perché compie la volontà di Dio ma perché stabilisce la giustizia sulla terra (Es 23,68; Ez 23,45): è colui che compie la volontà del Signore (Sir 16,3). Un essere, insomma, religosamente perfetto, disinteressato e generoso (cf Gen 6,9). In Paolo si aggiunge, agli attributi della giustizia divina veterotestamentaria, l'idea di un Dio che compie e realizza le sue promesse di salvezza. Una tale giustizia oltrepassa i limiti dell'uguaglianza e dell'equità per arrivare alla perfezione ed integrità (cf Rom 7,12). Non possiamo soffermarci sul concetto di giustizia divina che Paolo sviluppa a partire dalla fede in Gesù Cristo; poichè si tratta di una realtà ricca ed articolata che supera di gran lunga il nostro obiettivo. Sarebbe sufficiente sottolineare il fatto che la δικαιοσύνη in Dio è la manifestazione della sua perfezione, del giudizio retto, dei suoi attributi come sovrano onnipotente (cf Ps 9,5; 51,16; 96,13), che mettono in evidenza la sua grande bontà. Oltre alla giustizia come dono e salvezza gli scritti paolini sottolineano anche le caratteristiche di Dio come giudice, davanti al cui tribunale si deve comparire (cf Rom 2,5-8). Sulla scia dei LXX si scorge una frequente sfumatura morale, propria della nuova alleanza. Il concetto di δικαιοσύνη nel Vangelo di Luca si identifica sostanzialmente con l'idea di santità che trapela dai LXX. Il senso della giustizia veterotestamentaria, infatti, viene messo in evidenza mediante l'endiadi ἐν ὁσιότητι καὶ δικαιοσύνῃ, 'giustizia santa', nel Benedictus (Lc 1,75). Le parole di Zaccaria sono ancorate all'ideale di vita retta del giudaismo, che nel contempo è anche devota, da compiersi nel tempo e nel tempio di Dio8. In Giovanni, invece, la δικαιοσύνη ha una connotazione di qualcosa molto simile a un processo giudiziario. Difatti, le due ricorrenze del termine in Gv 16,8.10 servono a provare che 'il mondo' è colpevole nei confronti della giustizia, alla luce della nuova rivelazione che 6 Cf G. SCHRENK, δικαιοσύνη in GLNT, 1254-1256. 7 Cf R. FABRIS, La giustizia di Dio e degli uomini nell'Antico e nel Nuovo Testamento, in R. FABRIS ET AL. (edd.), «Il vissuto virtuoso: la giustizia», Roma 1993, 3-68(25s). 8 Cf E. SCHWEIZER, Il discorso della montagna, Torino 1993, 19. 3 verrà attuata mediante la venuta del Paraclito. Lui chiederà — e perciò chiede adesso — ad ogni ascoltatore di Gesù di manifestare il suo giudizio. 2. Il regno: una visione d'insieme Il regno di Dio, si sa bene, è un'espressione frequente nella predicazione di Gesù che trova eco negli altri scritti neotestamentari. La formula viene menzionata complessivamente 104 volte nel NT9. Com'è logico, la maggior parte delle volte si trova nei vangeli, e in particolare nei sinottici (Gv 3,3.5 è l'unica ricorrenza nel Quarto Vangelo). Essa appare 37 volte in Mt, 14 in Mc e 32 in Lc. Il caso di Matteo è singolare, perché 32 volte usa l'espressione perifrastica 'regno dei cieli', un modo di non menzionare il nome — ineffabile — di Dio, facendo invece riferimento al 'luogo' dove Lui dovrebbe abitare. In questo caso si è vicini al linguaggio di Gesù, che l'ambiente semitico di Matteo rispecchia meglio degli altri. Secondo questo ragionamento potrebbe sorprendere il suo impiego della formula 'regno di Dio', che non andrebbe d'accordo con la sua impostazione teologica. Essa però vi appare 5 volte, e una di esse persino nel DM. La spiegazione andrebbe cercata nella fedeltà alle fonti che l'evangelista ha usato, essenzialmente Mc e Q. Le altre 12 volte nel Primo Vangelo fanno riferimento al 'regno del Padre', al 'regno del Figlio dell'Uomo', al 'vangelo del regno', altre perifrasi usate per accennare alla realtà complessiva del regno di Dio10. La menzione del regno in Mt 5-7 costituisce la base del DM nella sua molteplice articolazione. Ce ne sono sette menzioni esplicite (oltre a tre perifrastiche) che scandirebbero la configurazione dell'insegnamento di Gesù nella concezione matteana11. Dalle strutture proposte previamente, si potrebbe anche presentare il DM in questa forma: 1. Prologo-Beatitudini: 5,1-12 (regno dei cieli: 5,3.10) 2. Riflesso sul mondo: lo spirito delle beatitudini: 5,13-16 (Padre nei cieli: 5,16) 3. Legge e regno: 5,17-48 (regno dei cieli: 5,19.20) 4. Giustizia e regno: 6,1-18 (regno: 6,10) 5. Distacco dai beni: 6,19-34 (regno; 6,33) 6. Bontà evangelica e preghiera: 7,1-12 (Padre nei cieli: 7,11) 7. Legge del regno: 7,13-28 (regno dei cieli/Padre nei cieli: 7,21) 9 Il termine βασιλεία ricorre in realtà 162 volte, in quasi tutti i libri del NT. In alcuni casi si fa riferimento al regno simpliciter, senza specificazioni, e in altri si accenna a potestà terrene o a signorie temporali. 10 La menzione del regno senza aggettivi ricorre 12 volte su un totale di 49 in Mt, 20/34 in Mc, 46/78 in 11 S.A. PANIMOLLE, «La struttura del Discorso della montagna», in Testimonium Christi. Scritti in onore Lc. di J. Dupont, Brescia 1985, 329-350. 4 Prima del DM, in Mt 4,17, appare — come molti riconoscono — una delle due grandi cerniere narrative di Matteo12: ἀπὸ τότε ἤρξατο ὁ Ἰησοῦς κηρύσσειν καὶ λέγειν· μετανοεῖτε· ἤγγικεν γὰρ ἡ βασιλεία τῶν οὐρανῶν. Il regno non soltanto si è fatto vicino, ma si manifesta nella persona e nel kerygma di Gesù13. BULTMANN non era della stessa idea allorché affermava che Gesù — come faceva il giudaismo del suo tempo e come avrebbe fatto dopo la sua comunità — attendeva l'irruzione del regno di Dio come un evento miracoloso, che avrebbe trasformato il mondo14. Il suo punto di vista un po' radicale viene smussato da GOPPELT. È vero, dice seguendo BULTMANN, che Gesù prese il concetto dal suo ambiente socio-culturale, ma gli dà un nuovo senso proprio, rivolgendo il suo appello all'essere umano. La signoria di Dio si deve desumere, conclude, da due parole centrali rivolte agli uomini, indubbiamente risalenti nel nucleo a lui, cioè le beatitudini e il Padre-nostro. "Nello stesso modo in cui il raggio di luce che attraversa il prisma si disperde nei colori dell'arcobaleno, così dalle beatitudini si potrebbe desumere quale rappresentazione Gesù fa del regno di Dio: saziare la fame e consolare, per menzionarne due qualità, sono promesse per l'epoca della salvezza"15. Anche se la realtà del regno verrà analizzata in rapporto alle diverse parti del DM — le beatitudini, le antitesi, la vera devozione, gli altri detti di Gesù — , già fin d'ora si potrebbero enucleare alcune caratteristiche generali che aiutano a gettare un po' di luce sul mistero della signoria di Dio. Innanzitutto, la signoria, o regno di Dio, è stata proclamata da Gesù come qualcosa di imminente e come un dominio escatologico: si tratta della sfera del divino che irrompe nella realtà umana: 'è giunta l'ora', si può dire, parafrasando l'annuncio di Gesù (cf Mc 1,15 par.). È un appello alle pecore perdute di tutto il popolo d'Israele (cf Mt 9,36)— compresi i pagani (cf Mt 8,11) — , e una chiamata alla conversione nonché di misericordia. Il suo annuncio racchiude in sé una tensione fra presente e futuro che sprigiona una forza dinamica, una spinta spirituale a comportarsi secondo il modello di Gesù stesso, e un imperativo morale che evita 12 L'altra sarebbe Mt 16,21: Απὸ τότε ἤρξατο ὁ Ἰησοῦς δεικνύειν τοῖς μαθηταῖς αὐτοῦ…, che inizia con la stessa indicazione temporale di Mt 4,17. Nella prima parte la predicazione messianica non viene capita dai discepoli e ascoltatori, mentre a partire da 16,21 Gesù rende chiaro a loro il mistero della sua vita e della sua missione. 13 Cf J. GNILKA, Il Vangelo di Matteo II, Brescia 1990, 764s. 14 Cf R. BULTMANN, Teologia del Nuovo Testamento, Brescia 1992, 31. 15 Cf L. GOPPELT, Teologia del Nuovo Testamento I, Brescia 1982, 132. 5 interpretazioni erronee. La teologia e l'escatologia si fondono nella proclamazione del regno, in quanto la signoria escatologica è anche la signoria del Padre celeste, la manifestazione del suo amore verso l'umanità16. 3. La δικαιοσύνη in Matteo. Il discorso della montagna Ci sono diversi modi di interpretare la δικαιοσύνη in Matteo. Per alcuni sarebbe l'azione — anticipata dai profeti e presente nel cuore del salmista— con cui Dio viene in difesa della persona retta e onesta17; invece per altri, sarebbe il dono escatologico che sfugge dalle possibilità umane e che si riceve per pura grazia18; in terzo luogo la posizione più comune, che considera la giustizia come il vivere rettamente, d'accordo con il volere di Dio, mettendo in pratica i suoi precetti19. GUELICH accenna ad una quarta alternativa che combina le opzioni precedenti, considerandola come il dovere da compiere e allo stesso tempo come dono20. In Matteo infatti, la δικαιοσύνη implica il comportamento secondo il volere divino in 5,10; 5,20 e 6,1, e in contrasto con chi fa il male, in 5,20 e 7,21 (cf 13,41.43), mentre in 5,6 e 6,33 sembra essere un dono che viene insieme al regno. Il dilemma appare dunque nel modo in cui il primo evangelista concepisce il Vecchio Testamento: come ordinamento giuridico che richiede una condotta adeguata, ovvero come assetto salvifico, come promessa della grazia. Questi sono i due sensi possibili della 'volontà di Dio' in Matteo21. Non si può separare il DM in Mt 5-7 dal discorso della pianura in Lc 6,20-49. Nonostante la notevole diversità di estensione — il primo quasi quattro volte di più del secondo — i due discorsi hanno molto in comune, manifestando probabilmente la loro origine nella fonte Q, che ogni evangelista avrebbe elaborato a modo suo. Difatti, i due evangelisti hanno come obiettivo il comportamento di coloro che seguono Gesù più o meno da vicino. 16 Cf R. SCHNACKENBURG, Il messaggio morale del Nuovo Testamento I, Brescia 1989, 39-43.47. 17 Cf J. SCHNIEWIND, Das Evangelium nach Matthäus, Göttingen 121968, 44; G. EICHHOLZ, Auslegung der Bergpredigt, Neukirchen-Vluyn 1965, 43s. 18 Cf T. SOIRON, Die Bergpredigt Jesu : Formgeschichtliche, exegetische und theologische Erklärung, Freiburg im Breisgau 1941, 171s; E. LOHMEYER, Das Evangelium des Matthäus, Göttingen 1956, 87s. 19 Cf U. LUZ, Matteo 1, Brescia 2006, 362; G. STRECKER, Der Weg der Gerechtigkeit. Untersuchung zur Theologie des Matthäus, Göttingen 1962, 156-8. 20 Cf R.A. GUELICH, The Sermon on the Mount: A Foundation for Understanding, Waco/TX, 1982, 84s. 21 Per STRECKER, ad esempio, solo alla fine del capitolo sesto (Mt 6,33) ci troveremmo di fronte ad un concetto teologico della δικαιοσύνη all'interno del DM; nel resto dei testi la dimensione del termine sarebbe piuttosto antropologica, e farebbe riferimento alla "giustizia del popolo", all'atteggiamento umano che si deve realizzare mediante le opere buone. Cf G. STRECKER, The Sermon on the Mount, Edinburgh 1988, 37. 6 Tutti e due iniziano con le beatitudini e finiscono con la parabola delle case scosse dalla tempesta. Praticamente tutto ciò che Luca scrive si trova anche in Matteo; in tutti e due i vangeli Gesù parla dell'atteggiamento dei discepoli e sottolinea l'amore del prossimo, che diventa filo conduttore di tutto il discorso. Tanto in Matteo come in Luca queste parole di Gesù vengono pronunciate all'inizio della sua vita pubblica, e seguite dalla guarigione del servo del centurione. Nel DM si mette in evidenza anche la tendenza matteana alle inclusioni. Di esse tre sono degne di menzione: all'inizio, in Mt 5,1, si accenna alle folle a cui Gesù sta per rivolgere la parola, e alla fine, in Mt 7,28s, si dice: "quando Gesù ebbe terminato questi discorsi, le folle restarono stupite del suo insegnamento…"; le altre due hanno a che vedere con il corpus del DM: in Mt 5,3.10 si parla del regno dei cieli, espressione che ricorre verso la fine, in Mt 7,21: "non chiunque mi dice Signore, Signore, entrerà nel regno dei cieli"; in Mt 5,17 dice il Signore: "non crediate che io sia venuto ad abolire la Legge o i Profeti; non sono venuto ad abolire, ma a dare pieno compimento"22, mentre in Mt 7,12 l'enunciazione della regola d'oro conclude con le parole: "questa infatti è la Legge ed i Profeti"23. Il vocabolo δικαιοσύνη ricorre cinque volte nel discorso matteano. Nelle beatitudini scandisce le due tavole che finiscono nella 'giustizia' (Mt 5,6.10); all'inizio delle antitesi (Mt 5,20) essa serve di premessa alla proclamazione della nuova legge. Il capitolo che parla del comportamento davanti a Dio e della fiducia nella provvidenza è racchiuso dall'inclusione creata dalla δικαιοσύνη (Mt 6,1.33). Le altre due frequenze del termine nel Primo Vangelo, in Mt 3,15 e 21,32, servono ad incorniciare la giustizia nel DM. Nel primo caso l'evangelista vuole andare incontro alla perplessità che scaturisce dal fatto che Gesù — essendo senza colpa — si sottometta ad un battesimo per il perdono dei peccati. Oltre a ciò, nella primitiva comunità cristiana si provava imbarazzo a far vedere che, apparentemente, quel battesimo indicava una superiorità di Giovanni su Gesù24. Nel dialogo Gesù-Giovanni riportato soltanto da Matteo, il Battista si 22 Cf B. ESTRADA, «Il Comandamento dell'amore e le sue conseguenze alla luce di Mt 5,17-20», in Annales theologici 1 (1987), 107-130. 23 Cf J. SCHNIEWIND, Matthäus, 96. J. LAMBRECHT, Pero yo os digo... El sermón programático de Jesús, Salamanca 1994, 25-27, tiene conto di inclusioni di più ampio respiro, che persino inglobano l'intero vangelo. 24 Di diversa opinione è G. BARTH, Das Gesetzesverständnis des Evangelisten Matthäus, in G. BORNKAMM, G. BARTH, H.J. HELD (edd.), «Überlieferung und Auslegung im Matthäusevangelium», Neukirchen-Vluyn 1961, 54-154(129-132): per lui la difficoltà invece è vedere come colui che conferisce il battesimo messianico si sottopone ad un battesimo di conversione. 7 rifiuta di battezzarlo, fino a quando Gesù esclama: πρέπον ἐστὶν ἡμῖν πληρῶσαι πᾶσαν δικαιοσύνην, "conviene che adempiamo ogni giustizia" (Mt 3,15). In questo caso si indica il compimento della volontà di Dio, come conferma la frase seguente: "allora egli lo lasciò fare". Il pronome ἡμῖν si focalizza su Giovanni e Gesù, che in questo evento hanno il compito di compiere "ogni giustizia"25. Mt 21,32 è la sequenza finale della spiegazione della parabola dei due figli, detta probabilmente davanti ai leaders giudaici. Dopo il racconto, Gesù spiega l'invito di Dio alle autorità ebraiche per mezzo della predicazione di Giovanni Battista ἐν ὁδῷ δικαιοσύνης, 'nella via della giustizia', espressione che deve intendersi come un riferimento al processo del compimento della salvezza nella storia, che Dio attua attraverso l'invio di Giovanni, suo precursore26. Quella 'via della giustizia' (ὁ ὁδὸς δικαιοσύνης) si riferisce altresì alla morale praticata da Giovanni e documentabile dal suo genere di vita, che è al tempo stesso modello ed insegnamento27. Il contrasto che appare fra la ricettività dei peccatori e delle prostitute (soltanto qui menzionate da Matteo) e la durezza di ascolto da parte dei dirigenti del giudaismo contemporaneo di Gesù in rapporto al suo messaggio, è comune nella tradizione evangelica28. Il collegamento fra Giovanni Battista e Gesù è tale che non si può respingere uno senza respingere l'altro. Nei due passi, infatti, si osserva lo stretto collegamento dei due personaggi nella realizzazione della δικαιοσύνη, una volontà divina che Giovanni compirà per tutta la sua vita fino alla morte, e che Gesù porterà alla sua pienezza. C'è dunque una connessione stretta fra l'inizio e la fine della vita pubblica di Gesù e la missione di Giovanni Battista, presentata da Matteo come un atto di giustizia; Gesù ricevendo il battesimo e Giovanni 25 Cf D.A. HAGNER, Matthew 1-13, Dallas 1993, 56, pace G. STRECKER, Weg der Gerechtigkeit, 180s, che vede nel ἡμῖν un modo di includere la comunità matteana. Sul senso di 'giustizia' in questo passo matteano, cf O. EISSFELDT, «πληρῶσαι πάσαν δικαιοσύνηνin Mt 3,15», ZNW 61 (1970) 209-215. Sul senso di 'compiere' in Matteo, cf H. LJUNGMAN, Das Gesetz erfüllen. Mt 5,17ff und 3,15 untersucht, LUA 6, Lund 1954, 97-104. 26 Cf D.A. HAGNER, Matthew 14-28, Dallas 1995, 614. 27 Cf J. DUPONT, Beatitudini II, Alba 1977, 323-345. In queste pagine l'autore presenta degli esempi ed usi dell'espressione ὁδὸς δικαιοσύνης nella Bibbia ebraica e nei LXX nonché nella letteratura intertestamentaria, concludendo che essa vuol indicare essenzialmente una condotta che si conforma alle prescrizioni di Dio (340). 28 Cf Mt 9,10-13; Lc 7,29s.35-50; 18,9-14; Gv 7,48. 8 conferendoglielo, compiono assieme ciò che conviene alla loro missione comune: portare alla sua perfezione l'osservanza di ogni forma di giustizia29. A. Le beatitudini Nell'avvicinarsi alla serie di sentenze con cui apre il DM, si ha l'impressione di essere davanti al "portale di una basilica che crea il clima adatto per captare il messaggio spirituale della costruzione interna"30. Le beatitudini costituiscono l'introduzione di un ampio discorso, di cui preparano il tema fondamentale. Questo è vero, anche se in misura inferiore, nel testo lucano. In Matteo i macarismi sono 8+1, mentre in Luca sono 3+1, con uno stretto parallelismo nell'ultima beatitudine dei due vangeli. Inoltre, in Luca ci sono i 'guai' in contrapposizione ad ogni beatitudine. Anche se tanto l'uno come l'altro evangelista sembrano essersi serviti di Marco per conformare la struttura dei loro vangeli, impressiona il processo di compilazione così tipico di Matteo: il primo evangelista raccoglie, intreccia, fonde; riunisce materiali di contenuto simile e spesso li mescola in modo da riuscire ad ottenere un nuovo insieme di testi. Si parla, a ragione, della tendenza di Matteo a sistematizzare31, come uno degli aspetti più caratteristici della sua attività redazionale. Non a caso il DM è il primo dei cinque grandi discorsi di Gesù che scandiscono la trama narrativa di tutto il suo vangelo. FITZMYER pensa che la costruzione fatta da Matteo nel DM poggia appunto sulla δικαιοσύνη come suo tema predominante. Per lui la struttura sarebbe32: - Introduzione: 5,3-16 - le beatitudini: 3-12 - parole preliminari: 13-16 - la giustizia: proposizione: 5,17-20 - tre tipi di giustizia: 5,21-7,27 - la giustizia degli scribi: 5,21-48 - la giustizia dei farisei: : 6,1-18 - la giustizia dei discepoli: 6,19-7,27 29 Cf J. DUPONT, Beatitudini II, 375. 30 Cf R. FABRIS, Matteo, Roma 1982, 112. 31 Cf J. LAMBRECHT, Pero yo os digo, 20s. 32 Cf J.A. FITZMYER, The Gospel According to Luke, I-IX, Garden City, N.Y. 1981, 628s. LAMBRECHT, Pero yo os digo, 23, critica, a ragione, il fatto che non è facile distinguere, nemmeno in Matteo, la differenza fra la giustizia degli scribi e quella dei farisei, che nel primo vangelo sembrano essere un solo gruppo; inoltre, la giustizia cristiana appare già dalle antitesi e non soltanto alla fine. 9 Qualcosa di simile si potrebbe dire sulla struttura proposta da HANSSEN33, per cui il fulcro del DM è la δικαιοσύνη menzionata in Mt 5,17-20, che si sviluppa poi in due versanti: la comunità cristiana in rapporto con il giudaismo (5,21-6,18) e con il paganesimo (6,197,12). Comunque, sottolineando in un altro modo il ruolo della giustizia nella struttura del DM, vale la pena infine menzionare la proposta strutturale di LAMBRECHT34: - Inizio narrativo: 5,1s - Discorso: 5,3-7,27 - Prologo: 5,3-16 - corpus: 5,17-7,12 - Le antitesi: 5,17-48 - Agire per Dio: 6,1-18 - Fiducia ed impegno: 6,19-7,12 - Epilogo: 7,13-27 - Finale narrativo: 7,28s Si osserva nelle beatitudini di Matteo un'elaborazione accurata, con alcuni effetti retorici. Due sono le realtà lessicali che scandiscono l'enunciazione di macarismi: il regno e la giustizia. Nel primo caso, Matteo impiega l'inclusione semitica; la prima e l'ottava delle beatitudini, infatti, hanno come caratteristica il ὅτι αὐτῶν ἐστιν ἡ βασιλεία τῶν οὐρανῶν. La stessa frase — "perché di essi è il regno dei cieli" — all'inizio e alla fine, serve non soltanto come elemento di unione del brano ma anche da conclusione delle prime otto beatitudini dal punto di vista argomentativo, segnando una linea di demarcazione e di continuità con la nona, quella finale e in un certo senso riassuntiva, diversa dalle precedenti non soltanto per la redazione nella seconda persona del plurale ma anche per la sua ampiezza. Così l'ottava beatitudine ha una carattere di transizione, essendo simultaneamente conclusione ed introduzione35. In modo simile si potrebbe accennare alla ricorrenza parallela della giustizia alla fine della quarta e dell'ottava beatitudine. L'inserzione del termine δικαιοσύνη provoca nei due casi un allungamento del primo membro del macarismo facendo diventare il ritmo della prosa un po' sbilanciato. Probabilmente è dovuta all'evangelista, che ama valorizzare il termine fin 33 Cf. O. HANSSEN, «Zum Verständnis der Bergpredigt. Eine missionstheologische Studie zu Mt 5,17-18», in E. LOHSE, C. BURCHARD, B. SCHALLER (edd.), Der Ruf Jesu und die Antwort der Gemeinde. FS J. Jeremias, Göttingen 1970, 94-111(103s). 34 J. LAMBRECHT, Pero yo os digo, 24. 35 Cf. J. DUPONT, Le beatitudini I, 320. 10 dall'inizio. Infatti, Egli anticipa nelle beatitudini ciò che sarà sviluppato nel resto del DM. Si hanno comunque due strofe quasi uguali e simmetriche36: due tavole che troverebbero il loro culmine nella giustizia evangelica, così cara a Matteo. La prima tavola ha a che vedere con una situazione, uno stato che indicherebbe le condizioni in cui si trovano quelli che sono beati, amati da Dio. La giustizia allora si può plasmare nel dono della povertà, dell'umiltà, del pianto, della mitezza. Il secondo dittico invece segnalerebbe più un atteggiamento, e un rapporto verso gli altri che hanno come fondamento la bontà e la purezza del cuore. Nelle prime quattro beatitudini si scorge una dimensione verticale, in cui spicca la relazione uomo-Dio nelle sue diverse sfaccettature. Vi si scopre anche una progressione che, partendo dall'umiltà di sapersi creature, arriva fino alla fame e sete di Dio. Dalla povertà materiale e spirituale si passa, attraverso la sofferenza, alla ricerca fervorosa della parola divina (cf Am 8,11), della sua grazia (cf Is 55,1), della sua presenza (cf Sal 42,2s; 63,2). Si tratta di un desiderio attivo di accostarsi alla sfera divina. Nelle quattro beatitudini che seguono si osserva invece una dimensione orizzontale dove si mettono in evidenza i rapporti fra le persone in armonia e pace, nell'amore e nella misericordia, nella purezza di cuore e nel perdono. Non si tratta soltanto in questo caso di aspirare ad una giustizia concessa da Dio per pura grazia a chi si riconosce peccatore e bisognoso di Lui, ma di far vedere una condotta conforme alle esigenze divine37. Si evince da questa disposizione che la condizione fondamentale per compiere la giustizia è vivere fino in fondo la relazione con il Creatore, essere radicati nella sua conoscenza e nel suo amore, allo scopo di poter vivere bene il rapporto con gli altri: se la fame fisica è il risultato dell'ingiustizia, fame e sete di giustizia sono l'inizio del cammino per uscire da una tale situazione, per superare quelle condizioni di disuguaglianza estrema38. A questo proposito è bene rilevare che Matteo non fa distinzione fra giustizia sociale e personale: anzi, le considera interdipendenti. La giustizia in Matteo non è pertanto una qualità caratterizzata da relazioni spettacolari o grandiose, ma piuttosto dalla disposizione del cuore, dalla retta intenzione, dalla carità. Nel contempo essa è anche la realtà che forma e corregge, che educa il discepolo in modo da 36 Cf J. SCHNIEWIND, Matthäus, 42; H. FRANKEMÖLLE, «Die Makarismen (Mt 5,1-12: Lk 6,20-23). Motive und Umfang der redaktionellen Komposition», in BZ 15(1971), 52-75. 37 Cf E. BORGHI, La giustizia per tutti, Una lettura esegetico-ermeneutica del Discorso della montagna, Torino 2007, 39. 38 Cf H.D. BETZ, The Sermon on the Mount, Minneapolis 1995, 129. 11 fargli avere i suoi frutti, che sono pegno della salvezza eterna39. Nell'uno e nell'altro caso la δικαιοσύνη apare come il coronamento delle qualità menzionate. Difatti, la quarta beatitudine è quella dell'integrità morale, del desiderio di beni spirituali, mentre l'ottava è quella della contrapposizione fra la persecuzione e il perdono, fra la condotta dei discepoli e quella dei loro nemici. Essa mette in luce ugualmente che i perseguitati sono i prediletti di Dio, secondo la tradizione di Israele e della tarda apocalittica40. Parecchi autori pensano che le beatitudini, aventi nel testo lucano carattere di benedizione e di annuncio escatologico, sono state un po' eticizzate da Matteo41, che avrebbe presentato negli otto primi macarismi un elenco di virtù cristiane, una serie di richieste etiche necessarie per accedere al regno. La tradizione apocalittica primitiva si sarebbe affievolita, seguendo nel Primo Vangelo delle linee morali-sapienziali. Queste affermazioni hanno uno sfondo di verità: basta vedere le esigenze implicite contenute nei macarismi dei misericordiosi e dei puri di cuore, oppure collegare la giustizia di Mt 5,6.10 con le richieste etiche di Mt 5,20 che hanno come presupposto proprio questa realtà. Difatti, alcune sue espressioni come 'in spirito', 'di cuore', 'di giustizia', mettono in risalto una disposizione dell'anima, un atteggiamento spirituale particolare, un orientamento morale da seguire42. Si comprende allora che per alcuni le beatitudini in Matteo siano state trasformate in esigenze e la βασιλεία sia proprio una serie di precetti e norme emanate da Cristo43. Secondo questo punto di vista, nella concezione matteana del regno si allenterebbe la tensione fra presente e futuro. Si scorge comunque che, nelle beatitudini matteane, l'imperativo appare in forma esplicita soltanto nell'ultima, la nona, nell'invito a rallegrarsi e ad esultare44. Inoltre, sapendo che una buona parte degli esegeti è dell'opinione che le beatitudini proprie di Matteo, a confronto con Luca, si trovavano già nella tradizione dei detti, non è possibile sostenere un ipotetico spostamento, da parte del primo evangelista, dall'escatologia alla parenesi: semmai, l'eticizzazione proverrebbe da Q. Infine, le due ultime beatitudini presuppongono nell'ascoltatore lo stato di sofferenza e di prova a cui si offre la consolazione, senza richiedere 39 Cf NLT I, 385. 40 Cf Sal 22; 34,20. Mt 27,43 in rapporto a Sap 2,10-20. 41 Così J. DUPONT, Beatitudini I, 371-374; H. WINDISCH, The Meaning of the Sermon on the Mount, Philadelphia 1951, 26s; G. STRECKER, Weg der Gerechtigkeit, 151. 42 Cf J. LAMBRECHT, Pero yo os digo, 61s. 43 Cf G. STRECKER, Weg der Gerechtigkeit, 171. 44 Cf R.A. GUELICH, Sermon on the Mount, 95. 12 un cambio di comportamento45. Non è dunque così sicuro che Matteo vi abbia sovraccentuato la nota morale. La configurazione matteana è progressiva e tende verso il klîmax. Dalla situazione-dono delle prime quattro beatitudini si passa alle esigenze del secondo gruppo, concludendo infine con la promessa dell'ultimo e più articolato dei macarismi46. Nel primo quartetto non si enunciano i requisiti per arrivare al regno dei cieli ma si descrive la natura dell'assetto divino che caratterizza il regno e le qualità che lo conformano. Le esigenze, invece, appaiono più chiaramente nel secondo quartetto, che culmina con la resistenza e la sopportazione, con la sofferenza a causa della giustizia. L'insieme delle otto prime beatitudini si articola in maniera logica e congruente, partendo dalla carenza e dall'indigenza per giungere alla grandezza della dignità umana e della forza morale. Esse sono al tempo stesso una dimostrazione e una testimonianza della debolezza dell'essere umano e della potenza di Dio, della grazia e della decisione dell'uomo per corrispondervi. La beatitudine finale invece, ha la caratteristica di passare dalla terza persona alla seconda, da una situazione ideale a una concreta, dalla realtà parenetica a quella escatologica, dischiudendo in questo modo il regno e le sue promesse. Sorprende un po' vedere che, in Matteo, le due ultime beatitudini convergono sullo stesso oggetto, la persecuzione. Non sarebbe fuori posto pensare che l'evangelista abbia inserito l'ottava beatitudine per presentare così i suoi dittici coronati dalla giustizia. Diversi autori vi vedono il lavoro redazionale di Matteo, che comunque l'avrebbe trovata nella fonte dei detti di Gesù47. D'altra parte, il quarto macarismo lucano coincide proprio con l'ultimo di Matteo. Considerando l'atteggiamento di Gesù e la sua situazione di contrasto con le autorità giudaiche durante la sua predicazione a Israele, affiorano poi i motivi per i quali anche i suoi discepoli sarebbero perseguitati48. Nella primitiva comunità cristiana le differenze fra i giudeo-cristiani e i fratelli maggiori nella fede dell'unico Dio si sarebbero progressivamente acutizzate fino ad arrivare alla separazione. Perciò questi macarismi accennano, sì, al ministero di Gesù, ma ancor più ad un'epoca posteriore, fino al periodo dopo la distruzione 45 Cf W.D. DAVIES, D. ALLISON, The Gospel According to Saint Matthew. A Critical and Exegetical Commentary, I: Introduction and Commentary on Matthew I-VII, Edinburgh, 1988, 439s. 46 "The second person would help to create such a climax in the whole set of beatitudes": cf. W.D. DAVIES, D. ALLISON, Matthew I, 461. 47 Cf J. LAMBRECHT, Pero yo os digo, 59.64; R.A. GUELICH, Sermon on the Mount, 93. 48 Cf W. ZIMMERLI, «Die Seligpreisungen der Bergpredigt und das Alte Testament», in E. BAMMEL, C.K. BARRETT , W.D. DAVIES (edd.), Donum Gentilicium. New Testament Studies in Honour of Dacf Daube, Oxford 1978, 8-26(15s). 13 del tempio di Gerusalemme49. Il logion matteano con il participio di perfetto, δεδιωγμένοι, indica una situazione che dal passato si protrae fino al presente. I perseguitati a motivo della giustizia entrano nella sfera della logica divina, essendo fedeli alla sua alleanza mediante lo sforzo per compiere la sua volontà salvifica. Il loro merito e la loro grandezza proviene non da loro stessi ma dalle grazie derivate da Dio, che li benedice. Come afferma BORGHI, la persecuzione a causa della giustizia non è certo una novità neotestamentaria. Già PLATONE diceva dell'uomo giusto e onesto: "sarà sferzato, torturato, legato…"50. Esiste in Matteo una stretta unione fra la giustizia e il regno. Le beatitudini, che iniziano e si concludono accennando alla presenza del regno, indicano che esso viene dato ai poveri e ai perseguitati, anche se ciò avverrà pienamente soltanto nell'era escatologica. Il tempo presente (ὅτι αὐτῶν ἐστιν) del primo e dell'ottavo macarismo contrasta con il riferimento al futuro degli altri sei compresi fra di loro, che non accennano al regno in modo esplicito, ma lo indicano come ricompensa futura: difatti, il premio degli eletti sarà la consolazione ai sofferenti (cf Lc 16,22), l'eredità della vita eterna (cf Mt 19,29), la visione di Dio e il suo possesso (cf Mt 25,34) che appagherà qualsiasi desiderio, la misericordia divina (cf Mt 18,35) elargita agli uomini di buona volontà. Si tratta non di beni concreti ma di immagini, già tutte presenti nel giudaismo, che descrivono la salvezza divina come il poter far parte del regno di Dio. Per l'essere umano la misericordia di Dio rappresenta la spinta e il movente del proprio comportamento. Il regno dei cieli appartiene a quanti sono chiamati beati51. Il regno dei cieli per Matteo non è soltanto una realtà futura, uno stato di felicità dopo la morte e il giudizio52, ma costituisce l'evento di salvezza che si avvicina e si inaugura con la presenza del Messia (cf Mt 4,17), annunziata da Giovanni Battista (cf Mt 3,2)53. Gesù predica 'il vangelo del regno', un'espressione esclusiva del primo evangelista54: si è davanti ad una realtà complessa che fa riferimento innanzitutto alla presenza salvifica di Dio: il Signore fa irruzione sulla terra per mezzo di suo Figlio, che proclama il pieno compimento del regno nell'aldilà, quando si diventerà partecipi della gloria del Padre e del suo Cristo. Le beatitudini 49 Cf J.D.G. DUNN, The Partings of the Ways: Between Christianity and Judaism and their Significance, London 22006; D. MARGUERAT, M. DE BOER (edd.), Le déchirement: juifs et chrétiens au premier siècle, Genève 1996. 50 PLATONE, Repubblica I,361e-362a; cit. da E. BORGHI, La giustizia per tutti, 52. 51 Cf R. SCHNACKENBURG, Messaggio morale, 97s. 52 Cf Mt 5,19; 7,21; 8,11; 25,34. 53 Cf P. HOFFMANN, V. EID, Jesus von Nazaret und eine christliche Moral, Freiburg 1975, 29-39. 54 Cf Mt 4,23; 9,35; 24,14. 14 sarebbero una rivelazione sulla misericordia e la giustizia che devono caratterizzare il regno di Dio. I discepoli che vivono lo spirito delle beatitudini fanno già parte del regno dei cieli, sperimentano la grazia che dona la salvezza, sono già figli di Dio, ma soltanto in modo germinale o incoativo. In essi è già posto il seme della futura vita eterna in quanto appartengono al popolo di Dio, in quanto membri della famiglia del Signore, della chiesa, così cara a Matteo55. Comunque l'espressione "perché di essi è il regno dei cieli", al presente prolettico, riflette un significato di futuro, secondo l'uso dei verbi semitici: la frase rivela una sfumatura futurista, che esprime nel contempo vivacità e confidenza56. Vale la pena sottolineare il ruolo di cerniera svolto dalla nona beatitudine, quella conclusiva e riassuntiva, in quanto si collega tematicamente alla pericope seguente, il logion del sale e della luce (Mt 5,13-16). Esso sarebbe come un riflesso sul mondo dello spirito delle beatitudini. Difatti, i discepoli che sono l'oggetto dello sguardo amoroso del Padre celeste, quelli che nel pensiero dell'evangelista si sforzano di avere gli stessi sentimenti che Dio manifesta in suo Figlio, sono il modello per gli altri. Alla fine del logion, in Mt 5,16, viene detto: "rendano gloria al Padre vostro che è nei cieli". In questo modo l'insieme dei due blocchi narrativi (quello delle sette prime beatitudini e quello delle due ultime con il logion del sale e della luce) fa cenno ai cieli all'inizio, al centro e alla fine o, se vogliamo interpretarlo in modo matteano, a Dio stesso. Nella prima parte i destinatari sono nominati in terza persona; nella seconda parte, invece, Gesù si rivolge agli uditori non più nella terza ma nella seconda persona del plurale57. L'accenno alla realtà celeste allora sarebbe il filo rosso della prima parte del DM, che viene presentata dall'Evangelista come struttura narrativa inclusiva58, sottolineando la presenza del regno. A questo scopo Matteo raggruppa tre sentenze, ognuna delle quali si trova negli altri sinottici, in contesti diversi. Anche se si costata il suo carattere artificiale59, Mt 5,13-16 ha il pregio di far vedere ciò che i discepoli devono essere per gli altri. Nel loro annuncio spicca il regno dei cieli che è, nel contempo, dono e promessa, presente e futuro. 55 Cf Mt 16,18s; cf S.A. PANIMOLLE, Il discorso della montagna: Mt 5-7. Esegesi e vita, Roma 1986, 33. 56 Cf W.D. DAVIES, D.C. ALLISON, Matthew I, 446. 57 Fra il molti esegeti che sottolineano questo particolare, vale la pena notare G. BORNKAMM, «Der Aufbau der Bergpredigt», in NTS 24 (1978) 419-432(423). 58 Cf R. MEYNET, I frutti dell'analisi retorica, in Greg. 77 (1996) 403-436(408s). 59 Cf J. DUPONT, Beatitudini I, 190s. 15 Un'idea analoga appareva già in DUPONT, per cui era chiaro il carattere unitario dell'intero brano di Mt 5,3-1660. La conclusione della pericope, "così risplenda la vostra luce davanti agli uomini, perché vedano le vostre opere buone e rendano gloria al vostro Padre che è nei cieli"(Mt 5,16), manifesta la bellezza e la bontà dell'agire richiesto ai discepoli secondo il contenuto delle beatitudini e come introduzione all'interpretazone critica della Torah. Nel Bereshit Rabbah si dice, infatti, a proposito di Gen 1,3: "Sia la luce! Cioè, le opere dei giusti"61. Nel contempo invita a rivolgere lo sguardo verso l'alto, verso il monte del Signore (cf Is 2,2-5) da dove proviene l'esistenza degli esseri umani e delle loro opere buone, ordinate a rendere al Creatore la dovuta lode62. I discepoli sono dunque il sale della terra e la luce del mondo, non soltanto per essere perseguitati a causa della giustizia del loro maestro, ma perché hanno spirito di povertà, sono miti e misericordiosi, hanno cuore puro e costruiscono la pace, "vivono della giustizia e portano a compimento la giustizia"63. B. Le antitesi Il versetto previo alla proclamazione delle antitesi (parola un po' criticata da alcuni esegeti, che preferirebbero dire "verdetti"64, ma visto che è la più frequente, conviene mantenerla), si apre con una frase di Gesù che può essere considerata in un certo modo il riassunto del messaggio morale che sta per proclamare: "se la vostra giustizia non supererà quella degli scribi e dei farisei, non entrerete nel regno dei cieli" (Mt 5,20). Di primo acchitto si vede che Gesù — evitando elegantemente di menzionare la 'giustizia' degli scribi e farisei— non intende entrare in una disputa teorizzante sulla validità e l'interpretazione della legge giudaica, ma parlare piuttosto di obbedienza alla volontà divina, la quale secondo i giudei consisteva nel compiere i precetti dalla legge: se si vive d'accordo con essi, si vivrà 60 "Lo studio delle beatitudini matteane non può arrestarsi al v. 12 ma deve proseguire fino al v. 16. Nel pensiero dell'evangelista l'esortazione del discorso della montagna forma un sol tutto e la nona beatitudine fungendo da transizione tra le beatitudini precedenti e le dichiarazioni: voi siete il sale della terra... voi siete la luce del mondo... ha precisamente lo scopo di assicurare tale unità". J. DUPONT, Beatitudini II, 490s. 61 Si fa cenno all'esegesi di RABBI YANNAI. Cf Génesis Rabbah I: Génesis 1-11. Comentario midrásico al libro del Génesis, a cura di L. VEGAS MONTANER, Estella 1994, 76s. 62 Cf E. BORGHI, Giustizia per tutti, 64. 63 Cf M. STIEWE, F. VOUGA, Le Sermon sur la Montagne, Labor et Fides, Genève 2005, 43. 64 Cf M. BOUTTIER, «Le Père manifesté dans les actes et caché à la pieté», in A cause de L'Evangile. Mélanges offerts a Dom Jacques Dupont, Paris 1985, 40. Anche vengono chiamate "contraposizioni" o "ipertesi", cioè superaffermazioni di valori: cf E. BORGHI, La giustizia per tutti, 79. 16 anche la giustizia, cioè essere retti davanti a Dio65. Inoltre, il verbo περισσεύειν, assieme al termine δικαιοσύνη, vuol indicare l'abbondanza di ogni opera buona, come si desume anche da 2Cor 3,9, l'altro passo neotestamentario dove i due termini sono abbinati66. Questa proclamazione previa è l'ultimo dei quattro versetti (Mt 5,17-20) che l'evangelista ha messo in un unico logion: il primo e l'ultimo sono pronunciati in seconda persona — in continuità con l'ultima beatitudine e il logion del sale e della luce — , mentre gli altri due interni, appunto i versetti 18 e 19, sono in terza persona. Vi spiccano i parallelismi sinonimici e antitetici collegati tematicamente. L'inizio in Mt 5,17: Μὴ νομίσητε ὅτι ἦλθον καταλῦσαι τὸν νόμον ἢ τοὺς προφήτας, considera la 'Legge e i Profeti' come l'assetto storico-salvifico del giudaismo veterotestamentario, come la volontà di Dio riguardo alla speranza di Israele che il Messia è venuto a proclamare. In questa prima sentenza Gesù rifiuta la trasgressione della legge e afferma il suo compimento; in 5,18 sembra confermare la precedente asserzione affermando la perennità dei precetti, facendone poi in 5,19 due precisazioni. Infine, in 5,20 proclama la seconda sentenza, riguardo alla 'giustizia migliore'. La pericope è procatalettica in quanto anticipa due grandi intenzioni: 1) evitare che si possa pensare ad un'opposizione o negazione della Torah, quando in realtà Gesù sostiene la legge mosaica, e 2) far vedere che le sue esigenze superano ciò che veniva tradizionalmente considerato come richieste della Torah stessa67. Al contempo Mt 5,17-20, nel confermare la legge, difende la figura di Gesù dalle accuse— probabilmente da giudei non cristiani — che avesse abbandonato la Torah, e nel contempo da alcuni gruppi del primo cristianesimo che pensavano ad una liberazione dalla legge da parte del Maestro: la Torah è ancora attiva, essa è la parola attuale di Dio. Del resto, nel Primo Vangelo il verbo πληροῦν si impiega sempre, quando si parla del compimento della legge da parte di Gesù (e con lui Giovanni Battista). Alcuni studiosi però, sono dell'opinione che Gesù sembra mettere in dubbio il compimento della legge. In Mt 5,17 può intendersi la legge come definitiva o come già scaduta, a giudicare dalle parole che vengono dopo. Il verbo πληροῦν, 'compiere', ha a che vedere con un'idea cara al primo evangelista, cioè che le Scritture si adempiono nella persona 65 Cf G. HARDER, «Jesus und das Gesetz (Matthäus 5,17-20)», in W. ECKERT, N. LEVINSON, M. STÖHR (edd.), Antijudaismus im Neuen Testament?, Kaiser, München 1967, 105-118. 66 Cf J. DUPONT, Beatitudini II, 381. 67 Cf W.D. DAVIES, D.C. ALLISON, Matthew I, 481s. 17 di Gesù, il Messia d'Israele68. E questo viene indicato di solito con il verbo al passivo (divino). Secondo Mt 5,19, chi trascura μίαν τῶν ἐντολῶν τούτων τῶν ἐλαχίστων, uno di questi precetti minimi, sarà considerato il più piccolo nel regno. Anche se si è il più piccolo, comunque si fa già parte del regno dei cieli: si è superata la tappa della Torah con tutti i suoi precetti e si è passati all'era della 'nuova giustizia'. Non si tratta più dell'obbedienza letterale alla legge, ma dell'accesso al regno dei cieli che è già presente, che si sta avverando mediante la realizzazione della giustizia che conta. Sarebbe pertanto fuorviante pensare che una 'giustizia superiore' a quella degli scribi e farisei consistesse nell'osservare scrupolosamente persino le prescrizioni più piccole69. Gesù parla della giustizia apparente dei farisei70 e dei giusti dell'antica Alleanza71, di coloro che accolgono nel cuore il regno di Dio72, e che hanno una condotta d'accordo con le sue esigenze: parole, pensieri e fatti secondo l' intenzione originale di Dio. Dal loro compimento della legge dovrebbe intravedersi un'impostazione di vita più generosa di quella degli scribi e farisei, che comunque praticano e amano la giustizia. Il Signore però respinge le distinzioni, caricate di sfumature, che sarebbero persino tollerabili se quel 'filtrare il moscerino' non fosse accompagnato dall"ingoiare il cammello'73. Una certa differenza fra i due ceti c'era all'interno del giudaismo, specialmente prima della distruzione del tempio (su ciò poggia la proposta strutturale del DM di FITZMYER74). Dopo il 70 sembrano prevalere gli scribi di provenienza farisaica, e si tende ad una certa unificazione. Comunque, non sembra che Matteo voglia identificarli: bisogna essere cauti al riguardo75. Il significato della δικαιοσύνη che Gesù è venuto a proclamare come premessa della nuova legge, è determinato in questo caso dalle antitesi (Mt 5,21-48) che sono la chiara 68 Cf Mt 1,22s; 2,15.17s.23; 4,14.16; 8,17; 12,17-21; 13,14s.35; 21,4s; 27,9s; 26,54-56. Si propone anche il senso di compleatre, perfezionare, e quello di adempiere mediante l'azione. Cf R. SCHNACKENBURG, Messaggio I, 85. Per uno studio più ampio di πληροῦν, cf J. DUPONT, Beatitudini II, 346-379. 69 Cf J. LAMBRECHT, Pero yo os digo, 90. 70 Cf Lc 18,10-14; Mt 23,28. 71 Cf Mt 13,17; 23,25. 72 Cf Mt 25,37-46; Lc 14,14. 73 Mt 23,24. 74 Cf J.A. FITZMYER, Luke I-IX, 629. 75 Cf W.D. DAVIES, D.C. ALLISON, Matthew I, 500. 18 comprensione del versetto che le precede76. Non sembra che ci sia un'intenzione anaforica che guardi alle beatitudini. Nemmeno si fa riferimento alla giustizia quale dono divino come accade, ad esempio, in Paolo. Questa δικαιοσύνη comporta un 'di più' non soltanto quantitativo ma qualitativo77. Certamente si fa di più quando si salutano e si amano non soltanto i fratelli e gli amici, ma anche i nemici. Ma l'amore si spinge oltre, non può essere quantificato. Nel seguire l'esempio e l'obbedienza di Gesù ai comandamenti, i discepoli devono essere 'perfetti'. Mt 5,20 inizia proprio con una frase solenne: Λέγω γὰρ ὑμῖν, in corrispondenza con il ἀμὴν γὰρ λέγω ὑμῖν di 5,18. Essa è di apertura alla 'giustizia più grande' nella proclamazione delle sei antitesi, dove è rimarcata la preoccupazione di definire una giustizia cristiana attraverso il superamento di quella giudaica. Si tratta di andare — con parole di Gesù — al di là della lettera e spingersi fino alle intenzioni profonde di Dio, le quali hanno un'espressione non del tutto adeguata nella legge antica78. Se si volesse dunque cercare nell'insegnamento del Signore un atteggiamento personale che stia alla base di questa 'giustizia', sicuramente scopriremmo l'interiorità, o meglio, l'interiorizzazione: una δικαιοσύνη autentica che procede da un'impostazione religiosa dell'anima; una virtù in cui si trova un comportamento conforme alla volontà divina. Gesù Cristo non distingue, nel compimento che Lui stesso fa della legge, fra parti etiche e parti rituali di essa. Una simile distinzione sarebbe stata incomprensibile per i suoi ascoltatori, perché la legge dell'AT costituiva per loro in tutte le sue parti (etiche, rituali e giuridiche) un'unità indivisibile. Le sue riserve riguardavano piuttosto la 'tradizione degli antichi' (cf Mt 15,2) che portava ad un'interpretazione angusta della legge, facendo perdere di vista le intenzioni di Dio. Alcuni precetti rituali cadono, essendoci un concetto di purezza morale molto più elevato di quello di prima. Ne consegue un perfezionamento delle esigenze morali: il divieto di omicidio, di adulterio, di spergiuro non viene revocato, ma 'acutizzato': non si deve più considerare solo l'azione esteriore, ma cogliere le intenzioni più profonde della persona nel suo agire79. 76 Cf S. PARISI, «Mt 5,17-48: giustizia superiore e fede "estroversa". La morale sociale da "un punto di vista" della Scrittura», in Vivarium 2 (1994) 45-62(52). 77 Cf E. CUVILLIER, «Torah Observance and Radicalization in the First Gospel. Matthew and First Century Judaism», in NTS 55 (2009) 144-159(155); G. STRECKER, Sermon on the Mount, 60. 78 Cf J. DUPONT, Beatitudini II, 420s. 79 Cf J. SCHMID, L'Evangelo secondo Matteo, Brescia 1961, 129s. 19 Le esigenze di Gesù puntano allora sull'interiorità umana, come contrapposizione al compimento esterno da parte degli scribi e dei farisei. Il rabbinismo parlava di accumulare, mediante il compimento dei precetti e delle buone opere (digiuni, elemosine, studio della Torah), tanti meriti quanti bastavano a controbilanciare e superare le proprie colpe davanti a Dio. Nella pratica il compimento letterale della legge, senza un atteggiamento di amore e di obbedienza nei riguardi di Dio, sfociava in un rigido legalismo esterno, che era proprio ciò che Gesù combatteva. Per Lui infatti, è decisivo l'atteggiamento del cuore, e per questa ragione fa sue le parole di Isaia: "questo popolo si avvicina a me solo con la sua bocca e mi onora con le sue labbra, mentre il suo cuore è lontano da me"80. Al posto di molti precetti e divieti del Vecchio Testamento, Gesù mette l'unico comandamento dell'amore di Dio e del prossimo, che comprende in sé tutti i rimanenti e costituisce anche la norma per la comprensione e la pratica osservanza degli altri comandamenti. In questo modo si è arrivati ad una nuova dimensione della giustizia che supera la legalità casistica degli scribi e farisei. Interiorizzazione della legge significa anche integrazione e perfezionamento. Gesù vuole anche l'accettazione delle sue esigenze come veri precetti che devono essere messi in pratica. Non vuole stabilire una serie di halakot a modo di un codice legale, ma neppure tenta di dare un nuovo comportamento generico, senza norme obbligatorie per la vita concreta. Lui resta un maestro di etica e non un legislatore81. Le antitesi sono la pars construens del DM. Questi versetti (Mt 5,21-48) saldano insieme concretizzazione etica e proiezione evangelica dal presente al futuro escatologico82. Gesù passa, nell'enunciazione di quelle sei regole morali, dall'interno dell'ambiente giudaico con la sua contestualizzazione veterotestamentaria, alla generalità della società umana, con dei principi più validi e profondi. Gesù propone un'obbedienza più grande ed esigente alla Torah, anzi, costruisce sulla base dei precetti di Israele: compie la legge, non l'abroga. La vecchia interpretazione deve essere accettata per poter passare alla nuova spiegazione, che dona a sua volta una nuova comprensione di Dio, degli altri e di noi stessi83. La giustizia che trapela da Mt 5,17-48 ribadisce, da una parte, la continuità fra Gesù e la Torah; dall'altra, il perfezionamento ed interiorizzazione — radicalizzazione — della Torah 80 Is 29,13; cf Mt 15,8 par Mc 7,6. 81 Cf R. SCHNACKENBURG, Messaggio I, 87. 82 Cf E. BORGHI, La giustizia per tutti, 79. 83 Cf E. CUVILLIER, Torah Observance, p.155. 20 stessa. Si nota anche il sostegno che l'autorità di Gesù stesso dona alla legge antica84: essa è la norma suprema per un ebreo. Per un cristiano invece, il punto di riferimento è una persona, Gesù, che osservando la legge porta all'umanità il regno di Dio, segnando un momento determinante nell'evolversi della storia umana. La giustizia è come la chiave che apre la porta del regno dei cieli, è l'unica che ne ha il pegno. Il motivo consiste nel guardare non ciò che si esige ma chi lo esige: il predicatore del DM è il Κύριος, il Figlio di Dio, il crocifisso e il Risorto, il cui insegnamento va accompagnato dal suo potere escatologico. Perciò Gesù è anche signore della sua comunità. Se la giustizia che Gesù predica è più abbondante dal punto di vista quantitativo e anche — e soprattutto — qualitativo, ciò si deve al fatto che Lui è il Cristo che dona alla δικαιοσύνη un nuovo senso personale85. Nelle antitesi ci sono due linee di azione: dall'esterno all'interno e dal particolare all'essenziale. La prima richiede coerenza fra interiorità e socializzazione, la seconda indica la figliolanza divina che porta la persona all'incontro con la trascendenza86. La conseguenza è l'amore come principio secondo il quale si deve regolare la 'nuova giustizia'. Essa si spinge, infatti, aldilà della legge presa alla lettera per trovare un senso più profondo e completo. La meta e il modello sono sempre Dio stesso nella sua perfezione e nel suo amore senza confini. Entro i limiti della nostra condizione creaturale possiamo e dobbiamo imitarlo, guardando però sempre il punto di riferimento più vicino a noi, Gesù Cristo. Nonostante la difficoltà dei suoi precetti, in Lui si intravede la possibilità di realizzazione dei due rapporti fondamentali che, per i cristiani, reggono l'esistenza umana: il dialogo di figli con il Padre comune e l'amore verso tutte le persone, compresi i nemici. Gesù ci ha indirizzati mediante l'esempio in questo doppio versante, arrivando fino alla prova suprema del Calvario. I legislatori del giudaismo contemporanei a Gesù cercavano di interpretare la legge scritta, quella data a Mosè sul Sinai, per mezzo della Torah orale o della 'tradizione degli antichi', cercando di applicarla alle condizioni sociali e alle situazioni del tempo. Gesù invece, annunciando la βασιλεία, vuole attenersi alla volontà originaria di Dio, dando più rilievo all'ethos che all'osservanza esteriore. La sua parola si fonda sull'attuarsi della signoria di Dio, 84 Cf I. BROER, «Osservazioni sull'interpretazione della legge in Matteo», in K. KERTELGE (ed.), Saggi esegetici sulla legge nel Nuovo Testamento, Cinisello Balsamo 1990, 121-138(128). 85 Cf G. STRECKER, Sermon on the Mount, 61. 86 Cf E. BORGHI, La giustizia per tutti, 105. 21 qualcosa che prima era solo una promessa e adesso è diventata realtà nella sua vita e nella sua predicazione87. Concludendo questa parte, si potrebbe dire che la 'giustizia migliore' menzionata in Mt 5,20 non è una semplice pretesa ma un esempio che viene esplicitato nelle antitesi (Mt 5,2148) mediante la presenza permanente di Gesù come modello della sua comunità, mettendo in evidenza l'azione di Dio. Benché nel brano manchino dei riferimenti espliciti al regno, è anche vero che vi si manifesta un'opposizione fra regno di Dio e i suoi nemici. Ciò si addice all'insegnamento di Gesù, che fa vedere come la vita quotidiana è permeata proprio dalla realtà della signoria divina. Anche qui si potrebbe precisare: l'accenno al regno nelle antitesi proviene dallo sterminato amore di Dio per gli uomini, che li rende a loro volta capaci di amarsi fra di loro e persino di amare i nemici88. C. La vera devozione e il Padre Nostro Guardando da vicino l'inizio di Mt 6 con Mt 5,20, nei due casi si menziona ἡ δικαιοσύνη ὑμῶν, 'la vostra giustizia'. Questa frase appare soltanto un'altra volta nel NT, in 2Cor 9,10. Nel caso di Matteo, la virtù abbinata al pronome possessivo in un caso è spiegata nelle sei antitesi, mentre nell'altro è seguita dagli esempi sull'elemosina, la preghiera e il digiuno89. Nei due testi il punto di partenza è la δικαιοσύνη. Si tratta di un kelâl semitico, un principio che fa capo ad una sezione composta di diversi casi particolari. Nelle due sezioni gli esempi sono formulati in forma contrastante, con i casi negativi — procedenti dalla tradizione giudaica — che precedono quelli positivi. Nel caso delle antitesi, le parole di Gesù sono: ἐγὼ δὲ λέγω ὑμῖν, mentre si indica la vera devozione con la frase: ἀμὴν λέγω ὑμῖν. A differenza però di Mt 5,20, in Mt 6,1 il verbo adoperato è ποιεῖν, 'fare la giustizia', un'espressione ebraica che trova dei riscontri e nell'Antico e nel NT (cf Gen 18,19; Is 56,1; Sal 106,3; 1 Gv 2,29; 3,7.10)90. Come negli altri casi con il verbo πληροῦν, ci si riferisce alla 'giustizia che voi praticate', quella che deve caratterizzare la condotta dei discepoli. Gli esempi adesso non sono più attinti dalle prescrizioni della Torah ma dalle pratiche di devozione che mettono in evidenza, in primo luogo, una vita religiosa esemplare. Tanto in questo caso come in quello 87 Cf R. SCHNACKENBURG Messaggio I, 87. 88 Cf U. LUZ, Matteo 1, 440s. 89 Si tratta dei tre aspetti che caratterizzano la pietà semitica (cf Tob 12,8-10), anche se la ‫ צדקה‬ebraica fa riferimento piuttosto all'elemosina. 90 Cf D.A. HAGNER, Matthew 1-13, 138. 22 delle antitesi viene richiesto però un atteggiamento che sgorghi dal più profondo della persona, cercando di piacere a Dio e non agli uomini. La sezione di Mt 6,1-18 potrebbe anche essere — sulla scia delle antitesi — una messa a confronto fra la giustizia esteriore e quell'interiore. Quest'ultima impegna la persona in tutto il suo essere, le chiede una offerta di se stessa, un sacrificio spirituale in corrispondenza con la preghiera dello Shema' (Dt 6,4s), amando Dio con tutto il cuore (preghiera), con tutta l'anima (digiuno) e con tutte le forze (elemosina). Qui nel testo le tre pratiche appaiono in un ordine climattico, dal più facile al più difficile: elemosina, preghiera, digiuno91. La frase ἔμπροσθεν τῶν ἀνθρώπων, 'davanti agi uomini', è sottolineata dal τὸ θεαθῆναι αὐτοῖς, 'essere visti da loro', che nelle ulteriori spiegazioni viene ancor più enfatizzata. Difatti, Mt 6,2 recita δοξασθῶσιν ὑπὸ τῶν ἀνθρώπων, 'essere onorati dagli uomini', mentre in Mt 6,5.16 si dice ὅπως φανῶσιν τοῖς ἀνθρώποις, 'per essere visti dagli uomini'. Chi bada alle apparenze umane è qualificato da Gesù tre volte come ὑποκριτής. Non è difficile pensare in questo caso agli scribi e ai farisei, a cui Gesù rivolge delle parole simili in Mt 23. Se i discepoli fanno queste 'pratiche di giustizia' per essere visti da altri, hanno già ricevuto la loro ricompensa: tre volte (Mt 6,2.5.16) infatti, si dice in modo solenne: ἀμὴν λέγω ὑμῖν, ἀπέχουσιν τὸν μισθὸν αὐτῶν. A differenza, il premio viene dato dal Padre a quelli che sono autenticamente giusti (cf Mt 6,4.6.18). Si tratta di un concetto caro a Matteo: delle 15 volte, infatti, in cui ricorre il termine μισθός nei vangeli (29x nel NT), 10 sono del primo evangelista. Le parole di Gesù si spostano, dal definire la vera giustizia come un corretto adempimento della legge (Mt 5,20-48), agli atti specifici di pietà. Se non si cerca Dio al primo posto, non esiste affatto la giustizia: il premio non è dato ma comprato92 (difatti, il verbo ἀπέχειν è un termine tecnico usato per redigere una ricevuta). Certamente non si tratta di fare le buone opere di nascosto, perché altrimenti non si potrebbero vedere e poi glorificare il Padre nei cieli. Esse devono realizzarsi per la gloria di Dio, aspettando soltanto la ricompensa escatologica93. La giustizia riguardante la preghiera presenta due sfaccettature: Mt 6,7-15 si caratterizza per essere un insegnamento non soltanto sul come pregare, ma anche sul suo contenuto. L'evangelista indica appunto come preghiera perfetta il Padre Nostro. In Luca invece, si trova 91 Cf B. GERHARDSSON, «Geistiger Opferdienst nach Matth 6,1-6.16-21», in H. BALTENSWEILER, B. REICKE (edd.), Neues Testament und Geschichte. FS O. Cullmann, Zürich 1972, 69-77. 92 Cf W.D. DAVIES, D. ALLISON, Matthew I, 582. 93 Cf D.A. HAGNER, Matthew 1-13, 140s. 23 in un altro contesto, allorché i discepoli osservavano Gesù pregare e volevano imitarlo, attratti dalla sua unione con il Padre. Anche se i due evangelisti hanno probabilmente attinto a Q per ricavare la preghiera del Signore, Luca sembrerebbe più fedele al Sitz im Leben di Gesù. Matteo, che nei vocaboli sembra invece molto vicino alla ipsissima vox Jesu, si serve dell'esortazione iniziale di Gesù a vivere la giustizia nel dirigersi al Padre, per poi aggiungere le parole con cui si dovrebbe pregare. Ê chiaro comunque che le differenze fra i due testi sono dovute alle tendenze redazionali degli evangelisti, in linea con il modo di pregare delle diverse comunità della chiesa primitiva: la preghiera matteana è infatti attestata in Didaché, 8,2s. Nella tradizione ebraica era comune che un maestro insegnasse ai discepoli una forma caratteristica di preghiera. Il Padre Nostro può essere visto allora come un riflesso della preghiera dei Shemoneh ‘esreh, anche se Gesù gli dona una nuova dimensione94. Le parole di Gesù, anche se restano in linea con le preghiere tradizionali dell'ebraismo del suo tempo — basterebbe vedere che nella parte iniziale del Qaddish si trovano le tre prime petizioni del Padre Nostro95 — , riguardano piuttosto la sua missione, dove si presenta come l'incarnarsi di un nuovo modo di accostarsi a Dio. A differenza delle preghiere radicate nell'AT ed indirizzate alla comunità d'Israele che aspettava la manifestazione della signoria di Dio e l'esaltazione del popolo davanti alle nazioni, qui si tratta di rivolgersi al Signore in un modo nuovo ed unico. In concreto, il vocabolo ãbbã’ indica l'intimità e l’affetto con cui un bambino si rivolge a suo padre. Essa esprime lo specifico rapporto con Dio del Figlio Gesù: anche se usata nel giudaismo, mai si adoperava per rivolgersi a Dio96. Le tre prime petizioni hanno la stessa costruzione: tre imperativi di aoristo, ἁγιασθήτω, ἐλθέτω, γενηθήτω, indicano che la venuta del regno, la santificazione del nome e il compiersi della volontà divina in cielo e terra sono in pratica una sola richiesta: il τέλος della storia, il culmine dell'opera salvifica di Dio. Benché la venuta del regno possa intendersi anche per coloro che sono fuori dalla cerchia dei più vicini, essa può interpretarsi come il desiderio di portare a compimento l'esperienza presente dei discepoli. Mentre nell'AT e nella letteratura intertestamentaria era sconosciuta l'idea del regno come soggetto che deve venire, 94 W.D. DAVIES, D. ALLISON, Matthew I, 596. 95 Cf J.J. PETUCHOWSKI, M. BROCKE, The Lord's Prayer and Jewish Liturgy, New York 1978, 37. 96 Cf U. LUZ, Matteo 1, 500s; cf J. JEREMIAS, Abba, Brescia 1968. 24 nel NT la dimensione escatologica del regno è determinante97. L'espressione 'venga il tuo regno' è una delle esclamazioni escatologiche più forti dell'annuncio gesuanico. Sorprende vedere che dopo la pasqua, l'espressione sembra perdere importanza, a giudicare dalla sua assenza negli scritti al di fuori dei vangeli. Comunque un desiderio della manifestazione definitiva di quella signoria c'è: basta pensare all'espressione 'vieni, Signore Gesù' presente in 1 Cor e alla fine dell'Apocalisse98. La giustizia si mette in evidenza specialmente nella terza richiesta, dove il γενηθήτω è l'espressione passiva del ποιεῖν + θέλεμά σου che è precisamente una delle accezioni principali della giustizia matteana. Il regno dei cieli verrà quando ognuno prenderà su di sé il proprio giogo, quando si vorrà viverlo. Inoltre, la presenza escatologica del cielo in terra si avvererà allorché la sua volontà è portata a termine mediante la grazia. Il regnum gratiæ infatti, si manifesta nella predicazione della parola, nei sacramenti, nella preghiera, nella missione e nella vita cristiana. Come nel caso delle antitesi, si evidenzia nella giustizia di Matteo la doppia componente dell'esigenza e del dono divino, dell'aiuto di Dio e dell'azione dell'uomo, che in definitiva hanno a che vedere con la doppia visione del 'già ma non ancora' del regno. Nella prima prospettiva la giustizia si estende a tutti gli ambiti dell'esistenza umana, ai comportamenti delle persone fra di loro e in rapporto con Dio, tanto da poter dire che la giustizia racchiude — in un certo senso — tutte le virtù. Nella seconda prospettiva essa è dono, bontà, misericordia fino alla fine dei secoli, grazia salvifica che viene in aiuto di ogni essere umano99. D. I tesori e la provvidenza La sezione di Mt 6,19-34 è la prima parte di una serie di detti un po' affastellati dall'evangelista. In realtà si dovrebbe parlare di una sezione più ampia, quella di Mt 6,197,12, che è equivalente in lunghezza al brano delle antitesi e che Matteo ha voluto mettere in paragone con esse100. Ma a differenza del tono piuttosto personale nelle antitesi, in questo caso vengono prese in considerazione più da vicino le questioni della vita comunitaria101. La 97 Cf W.D. DAVIES, D. ALLISON, Matthew I, 603; R.E. BROWN, «The Pater Noster as a Eschatological Prayer», in ID., New Testament Essays, Milwaukee 1965, 217-253. 98 Cf L. GOPPELT, Teologia del Nuovo Testamento I, 107. 99 Cf J. LAMBRECHT, Pero yo os digo, 111. 100 Cf anche i chiari parallelismi fra le due sottosezioni e le loro corrispondenze: 6,19-24 con 7,1-6 (istruzioni), e 6,25-34 con 7,7-11 (incoraggiamento). Cf W.D. DAVIES, D. ALLISON, Matthew I, 626. 101 Cf U. LUZ, Matteo 1, 520. 25 prima parte del brano, Mt 6,19-24, comprende tre detti caratterizzati da parallelismi, nei quali si ripetono delle intere frasi. Si rilevano anche delle connotazioni antitetiche. In essi affiora il trasfondo semitico del primo evangelista, che qui ha raggruppato tre logia originariamente non collegati, ed ognuno con un senso proprio: quelli sui tesori, sull'occhio come luce e sul servizio a due padroni. Se si cercasse un argomento comune ai tre detti, non lo si troverebbe nella ricchezza, anche se vi si accenna: essa, infatti, rappresenta soltanto un ostacolo, seppur il più cospicuo. Il tema della pericope sarebbe l'impegno per seguire senza compromessi la volontà di Dio, che permette di accumulare dei tesori in cielo. Chi si allontana dal vero discepolato a causa di un occhio invidioso, vive nelle profonde tenebre. Allo stesso modo, non si può servire il Signore part-time: quel concetto univoco del servizio a Dio va dunque d'accordo con l'immagine del discepolo, che trapela nel resto del Primo Vangelo. Un parallelo c'è con la prima parte del Padre Nostro102, dove si sottolineano gli aspetti spirituali. Il passo di Mt 6,25-34 — sei imperativi sulla fiducia nella provvidenza— fa perno sul verbo μεριμνᾶν, 'essere ansioso', che ricorre sei volte in questo brano e soltanto un'altra volta nel vangelo (Mt 10,19, oltre a 5 volte in Lc — di cui tre nel passo parallelo di Lc 12,22-32 — e 7 in Paolo, in tutto 19x nel NT). Come nella pericope precedente (6,19-24), è in gioco un discepolato assoluto, senza pretese ne condizionamenti. La chiave per evitare gli ostacoli che potrebbero intralciare una tale dedizione a Dio consiste nel fare del regno dei cieli una propria priorità. Se Dio si prende cura dell'intero creato, a maggior ragione si prenderà cura di quelli che stanno sotto la sua signoria. Per evitare un'inutile ansietà bisogna avere una dedizione completa al regno e alla giustizia, che ne è la naturale espressione. Essendo l'annuncio del regno dato non soltanto da Gesù ma anche dai suoi discepoli in missione itinerante, a loro specialmente indirizzò questi consigli sull'abbandonarsi nelle mani della provvidenza divina, in linea con la quarta petizione del Padre Nostro: 'dacci oggi il nostro pane quotidiano'. Mt 6,25-26.31-32 fa cenno alla richiesta del pane nella preghiera di Gesù. Inoltre, la parola ἐθνικός 'pagano' di 6,7 — con cui si introduce il Padre Nostro — riecheggia negli ἔθνη di 6,32, esortando subito dopo a cercare il 'regno di Dio e la sua giustizia' e a non preoccuparsi "per il domani, perché il domani si preoccuperà di se stesso. A ciascun giorno basta la sua pena" (Mt 6,34). Il riferimento all'unica richiesta di tipo materiale che c'è nel Padre Nostro è palese. La giustizia che sgorga dal regno di Dio va cercata dal 102 Cf G. BORNKAMM, «Aufbau der Bergpredigt», 427s; B. ESTRADA, «Le beatitudini e il Padre Nostro. Chiarimento strutturale e contenuto», in S. GRASSO, E. MANICARDI, (edd.), "Generati da una parola di verità" (Gc 1,18). Scritti in onore di R. Fabris, Bologna 2006, 29-39(36). 26 discepolo sulla scia della preghiera di Gesù. La priorità del regno segnalata in Mt 6,33 indica che esso sarà dato a colui che prega nello spirito del Padre Nostro. La sentenza "cercate invece, anzitutto, il regno di Dio e la sua giustizia, e tutte queste cose vi saranno date in aggiunta" (Mt 6,33), sarebbe anche una spiegazione della quarta beatitudine: Gesù esorta a cercare il regno di Dio e la sua giustizia, invece di cercare il cibo, il vestito o altre realtà materiali. Al suo posto deve esserci il desiderio ardente delle cose di Dio, la fame e la sete della vera giustizia, le esigenze nel piano salvifico divino, compiendo in tal modo la volontà del Padre Celeste103. In quella frase inoltre si esprimono i due concetti basilari della predicazione di Gesù secondo Matteo: il regno e la giustizia. Il primo si identifica con l'iniziativa salvifica divina, il dono gratuito di Dio all'umanità e, al tempo stesso, rimanda a una delle accezioni della giustizia nel primo evangelista. Ma la giustizia si identifica anche con la volontà di Dio, con i suoi comandamenti ed esigenze che ogni persona deve realizzare in un atto di riconoscenza a Dio. Nel Padre Nostro si chiede l'avvento del regno; si domanda il dono divino, insistendo nel contempo sulla corrispondenza umana. Potrebbero regno e giustizia sembrare la stessa cosa in Mt 6,33? Considerati i due concetti nel campo semantico del dono, potrebbe dirsi di sì. Questa è l'opinione, fra l'altro, di SCHRENK e di TRILLING104; altri invece pensano, sulla scia del P. LAGRANGE105, che sia proprio la giustizia la condizione per accedere al regno106. Sembra però più logica la proposta di DUPONT, che tiene conto del fatto che Matteo — e anche gli altri evangelisti — non dice mai come si debba intendere il regno. Allora l'equivalenza si troverebbe proprio qui: cercare il regno è cercare la giustizia107. E. I detti attorno alla regola d'oro È difficile classificare Mt 7, terzo capitolo del DM, con le sue diverse logia e sentenze. Già prima si era detto come alcuni esegeti considerano unitariamente il brano di Mt 6,19-7,12, 103 Cf S.A. PANIMOLLE, Il discorso della montagna, 26. 104 Cf G. SCHRENK, «δικαιοσύνη», in GLNT II, 1255; W. TRILLING, Il vero Israele, Casale Monferrato 1993, 187s; G. STRECKER, Weg der Gerechtigkeit, 155. 105 Cf M.-J. LAGRANGE, Évangile selon saint Matthieu, Paris 1941, 141. 106 Cf H. RIESENFELD, «Schätzessammeln und Sorgen. Ein Thema urchristlicher Paränese», in Neotestamentica et patristica: eine Freundesgabe, Herrn Professor Oscar Cullmann zu seinem 60. Geburtstag überreicht, NTS 6, Leiden 1962, 47-58(49s): 107 345s. Cf J. DUPONT, Beatitudini II, 461s.473; in parte d'accordo è R.A. GUELICH, Sermon on the Mount, 27 in riscontro a quello delle antitesi. Il motivo sarebbe l'inclusione attorno all'espressione 'la Legge e i Profeti' (Mt 5,17 e 7,12). Si vuole inoltre includere le parole di Gesù riguardo all'orazione perseverante (cf Mt 7,7-11), per metterle in rapporto col Padre Nostro, come fa anche l'evangelista Luca (cf Lc 11,9-13). Accanto si trovano le parole sul giudizio (Mt 7,1-5) come risonanza del postulato sulla perfezione (Mt 5,48). Si potrebbe dire che in Mt 7,12, mediante l'enunciazione della regola d'oro — è da più di due secoli che viene chiamata così — finisce una grande sezione che mette a fuoco, sotto diverse prospettive, l'amore del prossimo108. La novità della regola d'oro in bocca a Gesù è il suo aspetto positivo (una formulazione negativa la si trova, ad esempio, in Hillel e in autori non cristiani109): "tutto quanto volete che gli uomini facciano a voi, anche voi fatelo a loro". E ancor di più colpisce il collegamento con Dt 6,5 e Lv 19,18, i comandamenti dell'amore di Dio e del prossimo, poi confermati con simili parole in Mt 22,37-40. La regola d'oro è vista da non pochi come una conseguenza dell'insegnamento sulla perseveranza nell'orazione, che finisce con queste parole: "quanto più il Padre vostro che è nei cieli darà cose buone a quelli che gliele domandano!" (Mt 7,11). Lo stesso Padre celeste veglia sui suoi figli affinché non si inquietino a cercare le cose materiali (cf Mt 6,32). Matteo conclude la sezione principale del DM presentando la regola d'oro come una naturale conseguenza del comandamento dell'amore verso tutti, compresi i nemici. Essa funge anche da chiave interpretativa di tutto il DM, facendo vedere che vi si trova una summa della giustizia cristiana che coinvolge l'intera esistenza della persona. I singoli precetti prima menzionati non sono che esempi sparsi in un orizzonte che abbraccia la vita intera. Inoltre, la regola d'oro ricorda la natura universale delle indicazioni di Cristo, indirizzata a tutta l'umanità e non soltanto ai cristiani110. La seconda e ultima parte di Mt 7, conclusiva del DM, si può dividere in tre sezioni: il detto sulle due vie (Mt 7,13s), il monito contro i falsi profeti (7,15-23) e la parabola delle due case, con cui si conclude anche il discorso parallelo in Luca (Lc 6,47-49). I due primi logia sono scanditi dal verbo εἰσέρχεσθαι (tre volte), mentre nei due ultimi logia ποιεῖν appare nove volte. È possibile trovare un filo conduttore che colleghi tutti e tre i detti? Una risposta affermativa proverrebbe dal tentativo di fare una sintesi veloce di questa seconda metà del capitolo. Innanzitutto non si deve giudicare, semplicemente perché non si può anticipare il 108 Cf J. LAMBRECHT, Pero yo os digo, 158s. 109 Cf D.A. HAGNER, Matthew 1-13, 176. 110 Cf U. LUZ, Matteo 1, 579. 28 giudizio di Dio. Il criterio di orientamento viene subito dopo: sono i frutti a determinare l'autenticità della fede, perché la giustizia dei veri discepoli deve superare quella dei falsi profeti. Il paragone fra la porta stretta e quella larga, e la parabola delle due case, sono un indirizzo per il proprio comportamento, non un criterio di giudizio. D'altra parte bisogna tener conto della grazia in Matteo, che non soltanto abilita al compimento della volontà di Dio ma comporta anche il riconoscimento di Gesù come Signore. Difatti, la grazia di Dio, oltre ad essere un aiuto offerto agli esseri umani, apre loro la strada verso l'incontro con il Creatore attraverso suo Figlio, Gesù Cristo. I tre logia in un certo senso, sono una conclusione del DM. Nella descrizione delle due vie Gesù invita i discepoli a percorrere il sentiero tracciato dalle sue esigenze etiche. Il suo dialogo escatologico con quelli che lo invocheranno, ricordando loro quello che hanno realizzato nel suo nome ("in quel giorno molti mi diranno: Signore, Signore, non abbiamo forse profetato nel tuo nome? E nel tuo nome non abbiamo forse scacciato demoni? E nel tuo nome non abbiamo forse compiuto molti prodigi?"111) esprime in un modo preciso e semplice l'essenza del discepolato, che non consiste in ciò che si è fatto ma nella manifestazione della vera giustizia: adempiere la volontà di Dio che si fa presente attraverso l'insegnamento di Gesù. La parabola finale delle due case indica che i precetti del DM non sono soltanto da sentire ma da mettere in pratica. Tutto dipende dalla fedeltà a ciò che Gesù ha trasmesso riguardo al compimento della legge. Il carattere escatologico dei tre detti è notorio. Non soltanto l'accenno all'ultimo giudizio (cf Mt 7,22s) ma anche il parallelo delle due vie e il paragone della costruzione delle due case fanno riferimento agli ultimi tempi della manifestazione di Gesù. Ecco un motivo ricorrente nei cinque grandi discorsi del Primo Vangelo112. Il compimento delle richieste di Gesù, sempre impegnative, porta alla giustizia. C'è però un pericolo in questo seguire la nuova legge del Messia, ed è quello di sostituire Gesù a Mosè, creando un nuovo nomismo. La realtà è invece più ricca, perché a partire dalle beatitudini si intravede l'irrompere del regno, la buona novella che annuncia un nuovo eone: quello della grazia di Dio in mezzo all'umanità. Nei diversi momenti in cui ci siamo soffermati a considerare da vicino la giustizia nel DM, sono emerse due qualità: da una parte, l'esigenza che accompagna la proclamazione della nuova legge; dall'altra, il dono della grazia che non 111 Mt 7,22-23; par. Lc 13,26s. 112 W.D. DAVIES, D. ALLISON, Matthew I, p 728. Gli autori, oltre a far vedere il tono escatologico, mostrano una struttura triadica alla fine dei discorsi, con l'eccezione di Mt 18. 29 soltanto viene in aiuto della persona per facilitare il suo incontro con Dio, ma è anche segno della presenza del regno di Dio nel mondo. Prof. Bernardo Estrada v. dei Farnesi, 82 00186 Roma Summary Righteousness is a key concept in the Gospel of Matthew, where the term appears seven times, five of them in the Sermon on the Mount (SM). In this article the concept of righteousness is analyzed in the main sections of the SM and put in relationship with the Kingdom of Heaven/God. On the base of those analysis could be said, on one side, that the righteousness in the First Gospel is identified with the requests demanded by God and at the same time with the striving of human person to accomplish them in doing the will of God. On the other side the concept is very close to the divine grace given to help women and men to fulfill the precepts contained in the SM. This second meaning of the term is very close to the reality of the Kingdom, that shows the presence of messianic era not only in the preaching and miracles of Jesus, but also in the grace given to humanity.