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Dietro l’angolo: questioni e problemi nel palazzo Ducale di Urbino

2021

Dichiarato patrimonio mondiale dell’UNESCO nel 1998, il centro di Urbino ha un’estensione di poco più di un chilometro quadrato: il palazzo voluto da Federico da Montefeltro vi si salda, sorprendendo per forma, funzione e soprattutto dimensioni i visitatori, da Vespasiano da Bisticci che ne apprezza “l’ordine grande et le misure d’ogni cosa” (VESPASIANO DA BISTICCI ed. GRECO 1970, I, p. 382), a Baldassarre Castiglione che lo esalta come “città in forma di palazzo” (CASTIGLIONE ed. QUONDAM 2002, I, p. 14) fino a Michel de Montaigne che, molti decenni più tardi, lo descrive “di tal mole che giunge fino a piè del colle. La vista spazia su mille altri monti vicini” e con “tante stanze quanti sono i giorni dell’anno” (MONTAIGNE ed. CENTO 1972, pp. 244-245).

Francesco Paolo Fiore “non un palazzo, ma una città in forma de palazzo” Campisano ANGOLI e DEMONI Gli angoli nel palazzo Ducale di Urbino ANGOLI e DEMONI collana diretta da Renata Samperi Paola Zampa Questo volume è stato pubblicato con il contributo della Sapienza Università di Roma, Dipartimento Storia, Disegno e Restauro dell’Architettura In copertina, Anonimo del XVI secolo, affaccio a valle del duomo e del palazzo Ducale di Urbino. Venezia, Gallerie dell’Accademia, Libretto di Raffaello, f. v, particolare Nessuna parte di questo libro può essere riprodotta o trasmessa in qualsiasi forma o con qualsiasi mezzo elettronico, meccanico o altro senza l’autorizzazione scritta dei proprietari dei diritti e dell’editore. Progetto grafico Gianni Trozzi © copyright  by Campisano Editore Srl  Roma, viale Battista Bardanzellu,  Tel +   [email protected] www.campisanoeditore.it ISBN ---- Francesco Paolo Fiore “non un palazzo, ma una città in forma de palazzo” Gli angoli nel palazzo Ducale di Urbino Campisano Editore a Francesco, mio figlio Ringraziamenti Ringrazio Massimo Bulgarelli, Flavia Cantatore, Patrizia Franco, Renata Samperi e Paola Zampa per avere letto il testo e avermi dato indicazioni e suggerimenti. Mi sono stati vicini nell’approfondire negli anni questi temi di ricerca gli amici Nicholas Adams e Howard Burns. Per gli scambi di idee sull’argomento sento un debito nei confronti di Arnaldo Bruschi, con cui ho condiviso un lungo percorso d’insegnamento nella Facoltà di Architettura dell’Università Sapienza di Roma, di Manfredo Tafuri, con cui ho curato la mostra e il catalogo Francesco di Giorgio architetto (), e di Alberto Tenenti, che mi ha chiamato a partecipare alle ricerche del Centro Studi Leon Battista Alberti di Mantova, purtroppo scomparsi e con i quali avrei voluto discutere i risultati di questo lavoro. Indice  Saggio introduttivo Flavia Cantatore  Premesse  L’affaccio verso la città  L’affaccio verso il paesaggio  I cortili e il giardino pensile  La Data  Conclusioni  Bibliografia  Indice dei nomi e dei luoghi  Referenze fotografiche  Dietro l’angolo: questioni e problemi nel palazzo Ducale di Urbino Flavia Cantatore A una certa distanza dalla più recente monografia sul palazzo Ducale di Urbino (HÖFLER a), Francesco Paolo Fiore ne presenta una nuova tornando su un suo classico tema di ricerca al quale nel tempo ha rivolto numerosi studi. Il particolare taglio della collana editoriale orienta l’autore verso approfondimenti originali, senza tuttavia rinunciare a una trattazione completa, densa di nessi interpretativi. L’argomento diventa occasione di un affascinante percorso che attraversa una molteplicità di ambienti e di spazi, interni ed esterni, offrendo vedute e prospettive straordinarie in cui spesso gli angoli sono cerniere tra le fasi della costruzione e rappresentano un’opportunità di riflessione sulla effettiva possibilità di distinguere con sufficiente certezza i diversi contributi alternatisi in quella che è un’opera plurale. Dichiarato patrimonio mondiale dell’UNESCO nel , il centro di Urbino ha un’estensione di poco più di un chilometro quadrato: il palazzo voluto da Federico da Montefeltro vi si salda, sorprendendo per forma, funzione e soprattutto dimensioni i visitatori, da Vespasiano da Bisticci che ne apprezza «l’ordine grande et le misure d’ogni cosa» (VE BISTICCI ed. GRECO , I, p. ), a Baldassarre Castiglione che lo esalta come «città in forma di palazzo» (CASTIGLIONE ed. QUONDAM , I, p. ) fino a Michel de Montaigne che, decenni più tardi, lo descrive «di tal mole che giunge fino a piè del colle. La vista spazia su mille altri monti vicini» e con «tante stanze quanti sono i giorni dell’anno» (MONTAIGNE ed. CENTO , pp. -). L’evoluzione del tessuto urbano è stata profondamente segnata dalla realizzazione del complesso sia sul versante orientale che guarda la città, incorporando i preesistenti edifici signorili e ampliando il palazzo fino al duomo, sia sul versante occidentale, esteso oltre il cortile con la facciata dei torricini e affacciato sulla valle e sulla via di collegamento con Roma, che ha avviato lo sviluppo dell’area del Mercatale cui si collega tramite la lunga stalla, la Data. La peculiare orografia del terreno è all’origine del considerevole dislivello tra le due estese fronti che compendiano visivamente il profilo di Urbino e raccontano le difficoltà dell’edificazione. Il sito, dalla conformazione impervia e ripida, ha imposto infatti sostruzioni imponenti mentre un sapiente controllo progettuale ha permesso di recuperare alle differenti quote spazi di risulta per servizi. In tal modo è stato possibile ottenere ambienti disposti su diversi livelli spesso di notevoli dimensioni, nelle cantine come nelle sale, che hanno richiesto perciò grandi coperture a volta. Complessi sono stati i tempi e le vicende costruttive del palazzo che rappresenta un esempio dell’importanza dello studio parallelo delle fonti, della processualità del progetto attraverso la definizione strutturale e funzionale dei corpi di fabbrica, anche in relazione alle preesistenze e al contesto urbano, della stratificazione delle fasi. SPASIANO DA  L’autore segue la scansione in tre periodi avanzata nella fondamentale monografia sul palazzo Ducale di Pasquale Rotondi (ROTONDI -), eccezionale figura di Soprintendente a Urbino che durante l’ultimo conflitto mondiale riuscì in segreto e avventurosamente a porre in salvo un grande numero di opere d’arte, nascondendone alcune proprio nella residenza di Federico da Montefeltro. Perciò, tenendo conto anche di ulteriori indicazioni emerse in studi successivi, soprattutto per le preesistenze signorili tardo medievali (NEGRONI , LUTZ , HÖFLER a), e attraverso rilievi, restauri e ritrovamenti (POLICHETTI a; GIANNATIEMPO LÓPEZ ), la prima fase inizia dopo la pace di Lodi (), interessa il palazzetto della Jole, decorato da Pasquino da Montepulciano e Michele di Giovanni, e si conclude nel  quando Luciano Laurana presenta il modello del palazzo a Federico, la seconda giunge al , anno del conseguimento del titolo ducale, la terza termina con la morte del duca nel . È dunque sul lungo periodo che prende forma una delle dimore più eleganti del primo Rinascimento, un palazzo di rappresentanza con funzioni sia residenziali sia di esercizio del potere, fulcro di una strategia di magnificenza che nell’esibizione delle diverse insegne, mutate da FC (FEDERICVS COMES) a FD o FE DVX (FEDERICVS DUX) nel , riflette l’ascesa sociale e politica di Federico. La sua volontà di autorappresentazione, coadiuvata dalla moglie Battista Sforza e da Ottaviano Ubaldini, si giova delle relazioni diplomatiche con le altre corti italiane per gli scambi culturali e la circolazione di idee e di modelli (SVALDUZ , pp. -), così come il palazzo, metabolizzate soluzioni architettoniche antiche e contemporanee, diviene a sua vol ta exemplum generando nuovi flussi di contatti artistici. L’arco temporale vasto, oltre all’articolazione dell’organismo e alla presenza delle preesistenze, incide naturalmente anche sulla determinazione del ruolo dell’autore. La trama documentaria della vita professionale di Luciano Laurana, un tempo considerato unico artefice, riannodata da Bruschi nelle sue molteplici tracce insieme a una precisazione del ruolo di Leon Battista Alberti e di altri protagonisti in un saggio esemplare per chiarezza metodologica e lucidità di esiti (BRUSCHI ), è ora ampiamente ragionata da Fiore. L’apporto di Laurana è ricostruito a partire dalla migliore precisazione della sua preparazione di ingegnere esperto in matematica e geometria, dell’ambiente culturale nel quale è elaborato il progetto e del ruolo delle persone a vario titolo coinvolte. Una rete di spostamenti tra Mantova, Pesaro, Urbino, Napoli attesta che Luciano è ricercato per le competenze tecniche, mentre non sono documentate richieste di prestazioni professionali progettuali ideative, in edifici completi: è prevalentemente ingegnere direttore dei lavori nelle opere a lui attribuite. Stimato, competente, affidabile, impegnato ma forse non capace di una personale elaborazione della cultura architettonica del momento: se non è l’architetto creativo del palazzo, l’autore dell’esecutivo e dei particolari, Laurana è colui che definisce e realizza la struttura dell’ala settentrionale conclusa con la facciata dei torricini, dell’ala di collegamento con il castellare e del cortile, proposta del tutto convincente. Il coinvolgimento per pareri e forse per disegni di Leon Battista Alberti, presente a Urbino verosimilmente nel  senza escludere ulteriori possibilità, appare ora decisamente accolta: nessun altro intorno alla metà degli anni Sessanta  del XV secolo poteva vantare la sua stessa consapevolezza critica nelle scelte progettuali ponendo a confronto la contemporanea architettura fiorentina con prestigiosi esempi antichi, come dettagliatamente discusso da Fiore. Oltre a ciò vorrei brevemente aggiungere che Alberti poteva offrire a Federico la sua esperienza romana alla corte di Niccolò V, specialmente come esperto partecipe del dibattito per la realizzazione della residenza pontificia. Del progetto papale per il palazzo Vaticano parla il biografo Giannozzo Manetti: è una fonte neutra che lascia trasparire le diverse fasi, da prendere in considerazione dunque anche per quello che non è stato realizzato (MANETTI ed. MODIGLIANI , pp. -, -, libro II, paragrafi -; CANTATORE ; EAD. ). Manetti descrive le molteplici funzioni, le importanti dimensioni, le consistenti preesistenze, l’articolazione degli spazi aperti. Il grandioso palinsesto vaticano rappresentava per la dimora feltresca un utile punto di riferimento per la sua pluralità, comprendente anche soluzioni particolari. Ad esempio, nella tradizione figurativa all’origine della facciata con la loggia tra i torricini si inserisce l’irrealizzato arco trionfale fra torri per l’ingresso al palazzo papale descritto da Manetti e rappresentato nella veduta della Partenza di sant’Agostino da Roma di Benozzo Gozzoli a San Gimignano (MAGNUSON , pp. -, -; WESTFALL , pp. -). Così come cortili porticati sono enumerati dal biografo, mentre Beato Angelico e Benozzo Gozzoli nell’affresco con San Sisto che consegna a san Lorenzo i beni della Chiesa nella cappella Niccolina in Vaticano marcano l’angolo del portico con un pilastro a L affiancato da semicolonne, simile a quello utilizzato nel cortile del palazzo di Federico (BRUSCHI b, p. ). Poco più  tardi un esempio analogo si ritrova in un’opera romana legata ad Alberti, il cortile del viridarium di palazzo Venezia per Paolo II. Né si deve dimenticare che papa Barbo già nel  si trasferì da questa reggia, centralissima e dunque troppo facilmente accessibile, nel palazzo Vaticano del quale, in continuità con quanto avviato da Parentucelli, proseguì la fortificazione dedicandosi anche alla definizione della preziosità dell’interno. Poiché Manetti si era dimostrato attento a delineare l’architettura del potere coniugando i caratteri esterni della rocca del tiranno, fortezza inespugnabile, con quelli interni della residenza principesca rinascimentale, elegante e confortevole, al tempo di Niccolò V la contrapposizione appariva già superata. Nel De re aedificatoria (ALBERTI ed. ORLANDI , I, pp. -, libro V, capitolo ) Alberti propone la dicotomia tra dimora del re e quella del tiranno ma poi giunge ad un compromesso che può essere interpretato come spia dell’incessante composizione e correzione del trattato fino alla morte nel  e che dunque tiene conto della circolazione di modelli da Roma a Urbino e viceversa, tra i pontificati di Niccolò V e di Paolo II (MODIGLIANI , pp. -). Il palazzo raggiunge un’effettiva unitarietà, nonostante la mancanza di continuità nelle scelte, con Francesco di Giorgio Martini, che giunge a Urbino da Siena nel  e completa l’opera di Laurana con la probabile realizzazione delle soprallogge del cortile, la riconfigurazione della facciata ad ali con il giardino pensile e i sottostanti ambienti di servizio e, più in basso, la costruzione delle stalle che terminano nel torrione della Data. Allo studio della fase martiniana Fiore si è dedicato in più occasioni e in questa sede si sofferma con efficacia sull’angolo tra l’ala orientale e quella  settentrionale, analizzandolo sia come volume architettonico sia nelle soluzioni di dettaglio. Partendo dallo scalone a doppia rampa costruito da Laurana, l’autore esamina approfonditamente la ripercussione della inconsueta posizione di tale elemento al cantone dell’edificio sul disegno delle facciate, dalle dimensioni agli allineamenti delle finestre, all’apertura delle porte. Proprio sullo spigolo Francesco di Giorgio pone un pilastro formato da una base corinzia e da un fusto con specchiature riccamente decorate a doppia treccia, innalzato su piedistallo e sormontato da un’interessante trabeazione risaltata che sostituisce il capitello. Si tratta di una sorta di cornice architravata, un’interpretazione sintetica dell’ordine architettonico già diffusa nell’antichità classica e in età medievale, ripresa nell’ambiente brunelleschiano e presente a Urbino nel portale della chiesa di San Domenico del fiorentino Maso di Bartolomeo, proprio di fronte al palazzo Ducale. Sperimentata anche da Alberti, la libera interpretazione del codice linguistico degli antichi si presta a diverse letture semantiche degli elementi: una linea di ricerca che ha ampliato creativamente il linguaggio degli ordini, trovando nel contesto urbinate (da Fra Carnevale a Baccio Pontelli) e soprattutto nel contributo di Francesco di Giorgio fertili proposte destinate ben presto a diffondersi a Roma dove conosceranno nuove elaborazioni nelle opere di Bramante, di Raffaello e dei loro allievi. Roma,  aprile  