Della subordinazione dei ciclofattorini
MARCO BARBIERI
Università degli Studi di Foggia
vol. 5, no. 2, 2019
ISSN: 2421-2695
Della subordinazione dei ciclofattorini
MARCO BARBIERI
Università degli Studi di Foggia
Professore ordinario di Diritto del Lavoro
[email protected]
ABSTRACT
In reminding us of the need for a careful analysis of the different forms
in which work using digital platforms can be presented in the present world, in
this work the author shows that, although in doctrine we have spoken of
"qualifying obsession", the qualifying problem emerges everywhere, always
and throughout the world, so it is essential to take up the theme of
subordination as defined in art. 2094 c.c. (from which the meaning of the
hetero-organization necessarily emerges).
In fact, the qualification of the platform as a pure intermediary is
certainly possible, but it is not necessary, because there is certainly the
possibility that the digital platform is the instrument of a work performance
characterized by the destination of the productive result to others, and by the
extraneousness of the organization to the legal sphere of the provider.
Moreover, since one cannot escape the qualification problem, in the
work it is highlighted that this can be dealt with in various ways: on the
remedial level, on the contractual one, on the jurisprudential one or on the
normative one, and after having examined all of them (also from a
comparative point of view), the Author focuses his attention on L. n.
128/2019 (conversion of Legislative Decree no. 101/2019, very different from
the text converted into law).
In the law we have a general rule, art. 2, par. 1, d. lgs. n. 81/2015, not
limited to riders, and we have legislative provisions that provide for minimum
safeguards, but the expansive nature of the safeguards that characterizes the
new text has, in some respects, further entangled the discipline, with the
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consequence that the step forward in safeguards there was essentially in the
reform of Article. 2, d. lgs. n. 81/2015 (contained in the conversion law), and
only secondly in the rules of Articles. 47-quater, 47-quinquies and 47-septies.
The work concludes with some considerations of legal policy, and
shows that despite all the technology of the platforms, the work of the bicycle
messenger (or even motorcycle messenger) is always to earn your living with
the sweat of the forehead (and, unfortunately, at the risk of their lives): it is a
very old profession, of which only the technical and organizational methods
have changed, so that only a serious correction of the legislative intervention
contained in the law. n. 128/2015 could promote an organisational model of
the activity through digital platforms different from the current one, and more
respectful of the rights of the people who work.
Keywords: Digital platforms; work; legal qualification; art. 2094 c.c.; legal
policy.
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M. BARBIERI, Della subordinazione dei ciclofattorini
Della subordinazione dei ciclofattorini
SOMMARIO: 1. Alcune notazioni di fatto sulle piattaforme come strumento di
organizzazione. – 2. Diritto del lavoro, subordinazione, attività qualificatoria. – 3. La
giurisprudenza italiana e quella dei Paesi di civil law. – 4. Le proposte legislative: a) in
altri Paesi. - … b) in Italia. b1) prima del decreto legge n. 101/2019 e della legge di
conversione n. 128/2019. – b2) Il decreto legge n. 101/2019 e la legge di
conversione n. 128/2019. – 5. Una conclusione di politica del diritto.
1. Alcune notazioni di fatto sulle piattaforme come strumento di
organizzazione
Il tema della digitalizzazione del lavoro è da diversi anni in primo piano
nelle riflessioni di diverse discipline.
Per quel che riguarda il diritto del lavoro, va osservato che gli effetti di
questo processo sono ancora assai controversi, opponendosi letture sia nel
senso di una maggiore autonomia e creatività del lavoro, sia nel senso opposto.
È stato pure osservato che occorra distinguere tra lavori
“specificamente digitali” e mestieri tradizionali che incorporano interazioni
con artefatti digitali(1).
D’altra parte, anche se si osserva il lavoro svolto attraverso piattaforme
digitali, che apparentemente è la forma più nuova, si può notare come la
piattaforma possa in realtà essere funzionale a scopi – a organizzazioni
produttive di servizi – del tutto differenti, anche se limitiamo l’analisi alle lean
platform, con esclusione di cloud, advertising, ecc.
Vi sono i casi nei quali si può ritenere che la piattaforma abbia la
funzione di un mediatore tra un erogatore di servizi e una clientela: per
esempio, là dove si parla di alloggi, e il caso più celebre, anche per la diffusione
e gli effetti sociali della promozione di questo genere di attività, è Airbnb. È
anche agevole osservare che l’erogatore di servizi è sempre più frequentemente
un imprenditore, e sempre meno un soggetto non imprenditoriale che intenda
integrare il proprio reddito ospitando a pagamento magari nella stessa casa
nella quale dimora.
Mette conto notare che questa è sempre la posizione difesa in giudizio,
anche nei giudizi aventi ad oggetto la prestazione di lavoro, dalle società titolari
delle piattaforme stesse. In questa sede basterà richiamare la sentenza della
(1) A. Salento, Digitalizzazione delle imprese e trasformazione delle competenze. Quadro analitico
e riscontri empirici, Labor, 2019, 131-142, qui 133.
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Corte di Giustizia sul caso Uber, nella quale il carattere non professionistico
degli autisti è apparso rilevante ai fini della qualificazione dell’attività della
piattaforma come fornitrice di un servizio di trasporto e non di un servizio
della società dell’informazione, giacché senza l’applicazione gli autisti “non
sarebbero indotti a fornire servizi di trasporto”, e i clienti “non ricorrerebbero
ai servizi di tali conducenti”(2).
(2) Ci si riferisce a C. giust., Grande Sezione, 20 dicembre 2017, C-434/15, che,
pronunciandosi per la qualificazione come attività di impresa delle piattaforme «avent(i) ad
oggetto la messa in contatto mediante un’applicazione per smartphone, dietro retribuzione,
di conducenti non professionisti, che utilizzano il proprio veicolo, con persone che
desiderano effettuare uno spostamento nell’area urbana» (Uber System Spain era stata citata
in giudizio da Elite Taxi per concorrenza sleale), affermò che un servizio di intermediazione
avente tale oggetto «deve essere considerato indissolubilmente legato ad un servizio di
trasporto e rientrante, pertanto, nella qualificazione di servizi nel settore dei trasporti, ai sensi
dell’art. 58, paragrafo 1, TFUE». Per un puntuale commento alla sentenza della Corte di
Giustizia europea, si veda: M. Delfino, Il lavoro mediante piattaforme digitali tra tradizione e
innovazione: il caso Uber, DLM, 2018, 2, 335-347; M. Midiri, Nuove tecnologie e regolazione: “Il caso
Uber”, RTDPubbl., 2018, II, 1017-1038; A. Donini, Il lavoro attraverso le piattaforme digitali, BUP,
Bologna, 2019, spec. 40 ss; B. Gomes, Les plateformes en droit social, L’apport de l’arrêt Elite Taxi
contre Uber, Revue de Droit du Travail, 2018, n. 2, 150-156. La decisione della giurisprudenza
europea ha segnato un solco nel quale, per la verità, già era inserita la giurisprudenza degli
ordinamenti interni: Trib. Milano, sez. spec. impresa, 25 maggio 2015, in Adapt.it, 15 giugno
2015, n. 23, nt. M. Loconsole, Sharing economy o concorrenza sleale? Breve commento ragionato al caso
“Uber pop”; Trib. Milano, sez. spec. impresa, 9 luglio 2015, RIDL, 2016, II, nt. A. Donini,
Regole della concorrenza e attività di lavoro nella on demand economy: brevi riflessioni sulla vicenda Uber,
46-50; Trib. Torino, sez. spec. impresa, 1 marzo 2017, n. 1553, in Dir. informazione e
informatica, 2017, nt. G. Resta, Uber di fronte alle corti europee, 330-334. E, da ultimo, Cour
d’Appel de Paris, 10 gennaio 2019, n. 18/08357, nt. B. Krief, En étant un travailleur «contraint»,
le chauffeur Uber devient un salarié, in Bulletin Joly Travail, febbraio 2019, 8-13, la quale ha chiarito
che: “[…le chauffeur…] a ainsi intégré un service de prestation de transport créé et
entièrement organisé par la société Uber BV, qui n’existe que grâce à cette plateforme,
service de transport à travers l’utilisation duquel il ne constitue aucune clientèle propre, ne
fixe pas librement ses tarifs ni les conditions d’exercice de sa prestation de transport, qui sont
entièrement régis par la société Uber BV”. L’argomento principale su cui vertono le decisioni
della giurisprudenza riguarda il fatto che Uber – ad esempio – organizza l’attività, in
particolare stabilendo unilateralmente il costo del servizio e le condizioni contrattuali e
assumendosi la responsabilità civile, in caso di danno alla clientela. 2 In Brasile, per esempio,
Uber è stata condannata a risarcire un cliente che aveva perso l’aereo a causa del ritardo
commesso dall’autista che effettuava il trasporto verso l’aereo porto, si veda: 8° Juizado
Especial
Civel,
7
novembre
2016,
0801635-32.2016.8.10.0013,
in
www.conjur.com.br/dl/uber-condenada-maranhaoporque.pdf. Per una completa disamina
del problema della responsabilità in caso di danno a terzi nell’espletamento delle prestazioni
di trasporto persone o consegna di cibo a domicilio, si veda: M. Biasi, Appunti sulla
responsabilità vicaria delle piattaforme della on demand economy, ADL, 2019, n. 2, 40-66. La dottrina
italiana ha considerato anche le attività di pubblicizzazione e di diffusione del marchio ad
opera della piattaforma digitale, che costituiscono una parte importante nella gestione
dell’attività d’impresa, così V. Ferrante, Subordinazione, dipendenza, abitualità, personalità: riflessioni
e proposte per la tutela dei “nuovi” lavori, Labor, 2019, n. 2, 23-37, qui 25.
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Dunque, la qualificazione della piattaforma come puro intermediario è
certamente possibile, ma non necessaria. Se e quando lo sia, siamo al di fuori
del campo di interesse del diritto del lavoro, sebbene evidentemente non di
altre discipline giuridiche.
Altresì, vi è la possibilità che la piattaforma sia sì un intermediario, ma
non tra un cliente e chi desidera offrire una prestazione di un servizio a
connotazione imprenditoriale, o anche non imprenditoriale, ma priva di
prestazione di lavoro, bensì tra un cliente e un soggetto che offre una
prestazione di opera prevalentemente personale, ex art. 2222 c.c.: qualche
segno di uno slittamento dall’attività priva di carattere di lavoro in questo caso
per suddividere le spese di viaggio, verso una attività di lavoro autonomo, sia
pure occasionale, la si può verificare in relazione, per esempio a BlablaCar, con
riferimento al fatto che ormai dal maggio del 2015, prevede per sé la
detrazione di una somma sulla tariffa di viaggio e, quindi, ha perso il suo
carattere sharing prevalentemente gratuito per l’utenza; tuttavia, sopravvive la
titolarità di un potere contrattuale in capo agli autisti privati in merito alla
determinazione del prezzo del trasporto, all’orario, alla continuità o meno
dell’attività(3).
Infine, vi è certamente la possibilità che la piattaforma digitale sia lo
strumento di una prestazione di lavoro connotata dalla destinazione ad altri del
risultato produttivo, e dalla prevalente estraneità dell’organizzazione alla sfera
giuridica del prestatore, quand’anche costui o costei siano, per esempio,
proprietari del veicolo e del telefono mobile attraverso cui svolgono la propria
attività di lavoro.
Almeno in quest’ultimo caso, si rivela molto discutibile se non proprio
largamente infondata l’affermazione che “la fase che stiamo attraversando non
consente di attribuire ai giudici il monopolio di stabilire il regime dei lavoratori
digitali che operano sulle piattaforme allorché, come sempre più spesso
accade, le modalità di prestazione siano radicalmente eccedenti i paradigmi
della subordinazione ove manchi un qualsiasi segnale legislativo. Interventi in
tal senso possono avere effetti paradossali trasformando i giovani fattorini di
Foodora o Deliveroo (che mirano a pagarsi gli studi) a diventare corrieri
professionali”(4): vedremo nel seguito che la prestazione dei ciclofattorini, per
(3) Debbo questa osservazione a una conversazione con Gemma Pacella, che
ringrazio.
(4) Così invece G. Bronzini, Economia della condivisone e lavoro autonomo: una prospettiva
europea, in A. Perulli (a cura di), Lavoro autonomo e capitalismo delle piattaforme, Cedam, 2018, 2 nt.
5.
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esempio di Deliveroo, non eccede affatto i paradigmi della subordinazione
anche se intesa nel senso più stretto, e che in tutta Europa e anche oltre –
salvo che nella sinora sporadica giurisprudenza italiana di cui si parlerà infra, il
che è di per sé un dato significativo -i giudici in misura sempre crescente si
stanno orientando verso il riconoscimento della qualificazione come rapporto
di lavoro subordinato, che il fatto che una parte dei – ma non certo tutti i(5) lavoratori sia costituito da studenti che non pensano di farne il lavoro della
propria vita è un dato che non dovrebbe spiegare alcuna influenza sui processi
qualificatori, a meno che si aderisca all’idea che i “lavoretti” non possano
essere subordinati per ragioni quantitative: il che, come si vedrà, non è tesi
condivisibile(6).
Nel richiamare dunque la necessità di un’analisi attenta delle diverse
forme nelle quali il lavoro a mezzo di piattaforme digitali si può presentare nel
mondo attuale, dal punto di vista giuslavoristico si è rinviati alla questione dei
confini del diritto del lavoro, e dell’istanza di tutela che ne è una delle anime,
sebbene non l’unica(7).
2. Diritto del lavoro, subordinazione, attività qualificatoria
Da molti anni – direi almeno dal convegno di Silvi8 se non da quello di
Trento(9) – esiste una larga discussione, nella dottrina giuslavoristica italiana,
(5) Una indagine compiuta, attraverso 218 interviste svolte tra il 15 novembre 2018 e
il 15 gennaio 2019, da L.M. Fasano e P. Natale per conto del Dipartimento di studi sociali e
politici dell’Università degli Studi di Milano e del Comune di Milano, I riders: una ricerca di
carattere ricognitivo, in https://www.slideshare.net/CristinaTajani/i-riders-a-milano-una-ricercadi-carattere-ricognitivo, ha dato il risultato che il 61% dei ciclofattorini non ha la cittadinanza
italiana, e solo il 15% è studente. V. anche N. Quondamatteo, Non per noi, ma per tutti. La lotta
dei riders e il futuro del mondo del lavoro, Asterios, 2019, 51.
(6) Conf. E. Raimondi, Il lavoro nelle piattaforme digitali ed il problema della qualificazione
della fattispecie, in questo fascicolo.
(7) M.G. Garofalo, Un profilo ideologico del diritto del lavoro, DLRI, 1999, 9-31, e qui 13,
ci ha ricordato che “la diffusa opinione che individua nell'istanza protettiva del lavoratore
[…], la ratio ispiratrice unificante di tutte le norme del diritto del lavoro è storicamente,
sistematicamente ed esegeticamente perlomeno parziale ed unilaterale; occulta, infatti, la
funzione assolta da questo ramo del diritto nella formalizzazione giuridica (e, dunque, nella
legittimazione) dei rapporti di potere propri del modo di produzione sorto con la rivoluzione
industriale”.
(8) Aidlass, Organizzazione del lavoro e professionalità nel nuovo quadro giuridico, XIV
congresso nazionale di diritto del lavoro, Teramo – Silvi Marina, 30 maggio -1 giugno 2003.
Prescindendo dalla relazione di A. Garilli, dedicata al lavoro pubblico, le altre relazioni -di U.
Carabelli, Organizzazione del lavoro e professionalità: una riflessione su contratto di lavoro e post-
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sul rapporto tra le trasformazioni tecnologiche del lavoro, quelle organizzative
dell’impresa, e l’idoneità della fattispecie legale dell’art. 2094 c.c. a fornire il
perimetro dei rapporti di lavoro meritevoli delle tutele, pur mutevoli nel
tempo, che l’ordinamento italiano ritiene di dover assicurare alle persone che
lavorano.
Si è osservato che “il diritto del lavoro del novecento, non solo in Italia,
e non solo nei paesi di civil law, presuppone la grande dicotomia tra lavoro
subordinato e lavoro autonomo (service contract), con una concentrazione delle
tutele legali e contrattuali sulla prima categoria e una esclusione dall’ambito
della regolazione lavoristica della seconda, individuata anche concettualmente
per esclusione”(10).
In realtà, come hanno mostrato da gran tempo alcuni importanti
contributi, questo assetto non è affatto necessitato nelle fonti vigenti, che
sovente hanno riconosciuto questa o quella forma di tutela anche al lavoro
autonomo(11), soprattutto in relazione alla tutela dai rischi derivanti da
malattia, infortunio, gravidanza e disoccupazione.
Quando sono nate le piattaforme, di cui come detto nel paragrafo
precedente si è discussa la qualificazione anche ai fini dell’applicazione della
normativa di diritto pubblico dell’economia e tributaria, perché collegano a
distanza imprese, soggetti che concretamente erogano le prestazioni, e
clientela, la questione si è acutizzata. Ma non solo a questo proposito, bensì in
riferimento alla discussa disciplina dell’art. 2, co. 2, d.lgs. 81/2015(12) in tema
taylorismi, e di M. Magnani, Organizzazione del lavoro e professionalità tra rapporti e mercato del lavoro,
DLRI, 2004, rispettivamente 1-99 e 165-200.
(9) Convegno organizzato presso l’Università di Trento l’11-13 febbraio 1998. Atti in
M. Pedrazzoli (a cura di), Lavoro subordinato e dintorni, il Mulino, 1989.
(10) B. Caruso, Nuove traiettorie del diritto del lavoro nella crisi europea, in B. Caruso, G.
Fontana (a cura di), Lavoro e diritti sociali nella crisi europea, Il Mulino, 2015, 57-94, qui 62.
(11) Una ricostruzione giuslavoristica del lavoro autonomo si trova soprattutto nei
lavori di A. Perulli, a partire dal volume Il lavoro autonomo. Contratto d’opera e professioni
intellettuali, Giuffrè, 1996; v. poi almeno, tra i molti contributi, i più recenti Capitalismo delle
piattaforme e diritto del lavoro. Verso un nuovo sistema di tutele?, in A. Perulli (a cura di), Lavoro
autonomo e capitalismo delle piattaforme, Cedam, 2018, 115-145; Il Jobs Act del lavoro autonomo e agile:
come cambiano i concetti di subordinazione e autonomia nel diritto del lavoro in G. Zilio Grandi, M.
Biasi, Commentario Breve allo Statuto del Lavoro Autonomo e del Lavoro Agile, Cedam, 2018, 43-65;
Il lungo viaggio del lavoro autonomo dal diritto dei contratti al diritto del lavoro, e ritorno, LD, 2017, 251282.
(12) Che ha suscitato un vastissimo dibattito: v. almeno O. Razzolini, La nuova
disciplina delle collaborazioni organizzate dal committente. Prime considerazioni, WP CSDLE “Massimo
D’Antona”.IT, 2015, n. 266; L. Nogler, La subordinazione del d.lgs. n. 81 del 2015: alla ricerca
dell’autorità dal punto di vista giuridico, in WP CSDLE “Massimo D’Antona”.IT, 2015, n. 267, 131; T. Treu, In tema di Jobs Act. Il riordino dei tipi contrattuali, GDLRI, 2015, 155-181; P. Tosi,
L'art. 2, comma 1, d. lgs. n. 81/2015: una norma apparente?, ADL, 2015, 1117-1131; E. M.
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M. BARBIERI, Della subordinazione dei ciclofattorini
di collaborazioni etero-organizzate, si era già osservato che “la capacità
qualificatoria della fattispecie perde rilievo, quando si scontra con esigenze
specifiche rilevate dalle parti”(13), onde si è concluso, richiamando al proposito
la disciplina legislativa del lavoro accessorio od occasionale e il c.d. lavoro
agile, per la sussistenza di una “crisi qualificatoria della fattispecie”(14).
Naturalmente, la raffazzonata produzione legislativa in materia di
lavoro della scorsa legislatura – probabilmente la meno sorvegliata
tecnicamente dell’intera storia repubblicana – ben potrebbe e dovrebbe,
secondo un’altra prospettiva, essere interpretata in maniera differente, essendo
riassumibile nel tentativo di un legislatore intento a sottrarre tutele al lavoro, di
sfuggire alle conseguenze della nota giurisprudenza costituzionale sul principio
generalmente, sebbene impropriamente, definito di indisponibilità del tipo;
principio però ribadito, contemporaneamente, nella sentenza 7 maggio 2015,
n. 76, la quale ha nettamente affermato che “lo statuto protettivo, che alla
subordinazione si accompagna, determina, quale conseguenza ineludibile,
l’indisponibilità del tipo negoziale sia da parte del legislatore, sia da parte dei
contraenti individuali. Con il moltiplicarsi degli interventi legislativi di
qualificazione espressa dei rapporti di lavoro, l’indisponibilità del tipo
negoziale ricopre un ruolo sistematico di rilievo, sia nell’opera adeguatrice
Terenzio, La riaffermata centralità della subordinazione, in E. Ghera, D. Garofalo (a cura di),
Contratti di lavoro, mansioni e misure di conciliazione vita-lavoro nel Jobs Act, Cacucci, Bari, 2015, 131154; L. Tria, La nuova disciplina delle collaborazioni etero-organizzate tra giurisprudenza della Corte di
cassazione e vocazione sovranazionale e internazionale del diritto del lavoro e sindacale, 1 ottobre 2015, in
www.europeanrights.eu/public/commenti/BRONZINI-10-Relazione_Tria.pdf; G. Ferraro,
Collaborazioni organizzate dal committente, RIDL, 2016, I, 53-76; M. Magnani, Autonomia,
subordinazione, coordinazione nel d.lgs. n. 81/2015, WP CSDLE “Massimo D’Antona”.IT, 2016,
n. 294, 1-25; G. Zilio Grandi, M. Sferrazza, Le collaborazioni organizzate dal committente, ADL,
2016, 756-779; A. Di Stasi, Parasubordinazione e subordinazione: un ennesimo giro di valzer, VTDL,
2016, 243-265; G. Santoro Passarelli, Lavoro etero-organizzato, coordinato, agile e telelavoro: un
puzzle non facile da comporre, DRI, 2017, 771-790; D. Mezzacapo, L’incerta figura delle collaborazioni
organizzate dal committente, RGL, 2017, I, 49-61; R. Diamanti, Il lavoro etero-organizzato e le
collaborazioni coordinate e continuative, DRI, 2018, 105-144; M. Pallini, Gli incerti confini dell’ambito
di applicazione dello Statuto del lavoro autonomo, in G. Zilio Grandi, M. Biasi (a cura di),
Commentario breve allo Statuto del lavoro autonomo e del lavoro agile, Cedam, 2018, 229-252; A.
Perulli, Il Jobs Act del lavoro autonomo e agile: come cambiano i concetti di subordinazione e autonomia nel
diritto del lavoro, in G. Zilio Grandi, M. Biasi (a cura di), Commentario breve allo statuto del lavoro
autonomo e del lavoro agile, Cedam, 2018, 43-66.
(13) T. Treu, Rimedi e fattispecie a confronto con i lavori della Gig economy, WP CSDLE
“Massimo D’Antona”.IT, 2017, n. 136, 1-27, e qui 20. Si veda anche T. Treu, Rimedi, tutele e
fattispecie: riflessioni a partire dai lavori della Gig economy, LD, 2017, n. 3-4, 367-405. Anche se qui,
in verità, è ben noto che le esigenze specifiche che hanno determinato l’intervento legislativo
erano di una parte sola.
(14) T. Treu, Rimedi e fattispecie, cit., 20.
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M. BARBIERI, Della subordinazione dei ciclofattorini
dell’interprete, sia nel vaglio di costituzionalità demandato a questa Corte”: sia
pure, come nei precedenti(15), nell’ambito di una fattispecie che ha condotto la
Corte al rigetto della questione.
Peraltro, di ciascuno degli stessi interventi legislativi che hanno indotto
Treu a parlare di crisi qualificatoria si potrebbe fornire una spiegazione
opposta, che viceversa, malgrado le intenzionali ambiguità legislative,
riconduca esattamente alla fattispecie dell’art. 2094 c.c. anche questi casi che il
legislatore malaccorto sperava di tenere lontani(16).
A mio giudizio occorre riprendere proprio il tema della subordinazione
come definita nell’art. 2094 c.c. Senza poter qui ripercorrere tutti gli aspetti
della pluridecennale discussione, alcune osservazioni possono essere qui
formulate.
Qualche anno fa, Pessi(17) ha ripercorso il tema osservando fra l’altro –
il saggio è sintetico ma molto denso – che la tipizzazione di una serie di
fattispecie in precedenza atipiche, cioè non (io direi invece: non pacificamente)
riconducibili alla dicotomia codicistica subordinazione/autonomia, “avrebbe
dovuto arrestare la c.d. tendenza espansiva della nozione di
subordinazione”(18); che si può ritenere siano emersi tre sottosistemi diversi –
lavoro subordinato, lavoro coordinato, lavoro autonomo; e infine, per quel che
qui rileva, che il lavoro coordinato sarebbe caratterizzato dal programma
negoziale sotto il profilo “dello svolgimento di più opere o servizi collegati”,
“nonché” (direi: soprattutto se) “si concretizzi in un programma negoziale
unitario”(19). Più recentemente, lo stesso Autore ne ha tratto la conseguenza
che “i tentativi di riscontrare la natura subordinata del rapporto ed attribuire
alle piattaforme un ruolo datoriale non sembrano avere pieno successo, se
non(20) nei casi in cui il servizio si materializzi in una attività riscontrabile nella
sua oggettività ed omologabile a quella resa da altri prestatori d’opera, come
(15) Come è noto, la teorizzazione risale a C. cost. 29 marzo 1993, n. 121, seguita da
C. cost. 31 marzo 1994, n. 115.
(16) Giustamente P. Albi, Il lavoro mediante piattaforme digitali tra autonomia e
subordinazione, Labor, 2019, 125-130, e qui 128, nota a proposito della disposizione dell’art. 2,
co. 1, d.lgs. 81/2015, che il legislatore, tentando di aggirare la “trappola qualificatoria”
evocando soltanto la disciplina applicabile, in realtà reintroduce il “tratto qualificatorio” nella
descrizione della fattispecie.
(17) R. Pessi, Fattispecie ed effetti nel diritto del lavoro, che è la Sezione Prima del Capitolo
dedicato a L’Autonomia privata ed i limiti alla disponibilità del tipo in F. Carinci, M. Persiani,
Trattato di diritto del lavoro, vol. IV, Contratto di lavoro e organizzazione, t. 1 a cura di M. Martone,
Contratto e rapporto di lavoro, Cedam, 2012, 49-90.
(18) R. Pessi, Fattispecie, cit., 84.
(19) R. Pessi, Fattispecie, cit., 87.
(20) Corsivo mio.
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M. BARBIERI, Della subordinazione dei ciclofattorini
nel caso di Uber”(21): ma è appunto delle piattaforme del terzo tipo indicato
supra, come Uber o quelle del food delivery, che si sta discutendo e
controvertendo.
La domanda che occorre porsi a questo punto è quanto questo
processo di “detipicizzazione della subordinazione”(22) dipenda da difetti
originari della fattispecie, o piuttosto da difetti nelle interpretazioni che della
fattispecie sono stati, di tempo in tempo, fornite dalla dottrina e dalla
giurisprudenza.
Innanzitutto, vanno formulate alcune osservazioni generali.
Una volta assunta la rilevanza dell’organizzazione nel contratto di
lavoro, a partire dai lavori di Persiani e di Liso(23), e constatato dunque che
non è per caso o per una svista che il Codice ha disegnato come fattispecie
tipica il lavoro subordinato nell’impresa(24), pur ammettendone varianti che
questo collegamento non hanno, bisogna chiedersi come affrontare il fatto che
la stessa parola – subordinazione – possa definire sia la fattispecie, o se si
preferisce il tipo contrattuale, sia gli effetti giuridici che da questa scaturiscono.
E ciò tanto più ove si assuma che occorra riportare alla sua matrice
contrattuale e civilistica il lavoro subordinato, e al metodo sussuntivo
l’interpretazione giudiziale, abbandonando le suggestioni di dare rilievo
giuridico alla dipendenza economica(25), che pure hanno avuto seguito nella
legislazione spagnola(26).
Andiamo a vedere, dunque, la relazione al Re: se vi si ricomprendono
espressamente i contratti di lavoro tra i “contratti relativi all’organizzazione
interna dell’impresa” (n. 833), si aggiunge poi che “l’impresa è quindi, in senso
(21) R. Pessi, Il Diritto del lavoro e la Costituzione: identità e criticità, Cacucci, 2019, 166.
(22) R. Pessi, Fattispecie, cit., 67.
(23) M. Persiani, Contratto di lavoro e organizzazione, Cedam, 1966; F. Liso, La mobilità del
lavoratore in azienda, Franco Angeli, 1983.
(24) La relazione al Re del Guardasigilli, pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale del 4 aprile
1942, afferma: “poiché l’economia corporativa è per eccellenza economia organizzata, il libro
[V del nuovo Codice] doveva dare logicamente il posto preminente al lavoro organizzato
nell’impresa” (n. 830).
(25) Come è noto, A. Perulli sostiene la tesi opposta (si v. specialmente Un Jobs Act
per il lavoro autonomo: verso una nuova disciplina della dipendenza economica?, WP CSDLE "Massimo
D'Antona".IT, 2015, n. 235, 1-30).
(26) In Spagna, è in vigore da più di dieci anni il Real Decreto 197/2009, de 23 de
febrero, por el que se desarrolla el Estatuto del Trabajo Autónomo en materia de contrato del trabajador
autónomo económicamente dependiente y su registro y se crea el Registro Estatal de asociaciones profesionales
de trabajadores autónomos. Come si vedrà, questo non ha affatto impedito che si sviluppasse un
vasto contezioso proprio in tema di qualificazione subordinata o meno del rapporto di
lavoro dei riders.
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M. BARBIERI, Della subordinazione dei ciclofattorini
strumentale, l’organizzazione del lavoro cui dà luogo l’attività professionale
dell’imprenditore” (n. 834).
In questo senso, la subordinazione-situazione è quella nella quale si
trova chi eroghi la prestazione di lavoro a favore di una attività d’impresa, cioè
di una altrui organizzazione di lavoro (e di capitale, cioè di lavoro morto(27),
evidentemente).
Allora, ne dovremmo concludere sul piano strettamente esegetico
dell’art. 2094 c.c. che la fattispecie tipica – normativamente tipica, intendo –
sia quella del lavoro per una organizzazione altrui. E qui torna la
considerazione che dobbiamo trarre dalla giustamente celebre sentenza della
Corte costituzionale n. 30/1996(28). Si può condividere la considerazione che
essa abbia “una rilevanza assolutamente preminente”, e che “l’importanza
dell’estensore [sia stata] qui decisiva”(29). È alquanto formalistica, invece, la
considerazione per la quale “resta in ombra nei commenti la soluzione
(laddove è questa soltanto che vincola, mentre i passaggi argomentativi, al di
fuori dello stretto richiamo alla fattispecie, risultano solo indicazioni
concettuali)”: si tratta, proprio per la personalità dell’estensore Luigi Mengoni,
di indicazioni concettuali di eccezionale densità, non certo di un obiter dictum
fatto cadere per caso(30).
E infatti la dottrina continua – bon gré mal gré – a discutere della teoria
della doppia alienità che in quella sentenza è stata così sinteticamente ma
precisamente delineata(31).
(27) K. Marx, Il Capitale, Libro primo (1867), Torino, Einaudi, 1975, 281 ss.
(28) Corte cost. 12 febbraio 1996, n. 30.
(29) R. Pessi, Fattispecie, cit., p. 59 e ivi nt. 36. Nella lettura di E. Ghera, Subordinazione,
statuto protettivo e qualificazione del rapporto di lavoro, DLRI, 2006, 1-37, e qui 2, la sentenza della
Corte costituzionale n. 30/1996, di cui si parlerà subito dopo nel testo, indica una
“propensione della corte a configurare la posizione contrattuale del lavoratore come
dipendenza economica”. Non condivido questa posizione, per le ragioni che saranno
illustrate nel testo. V. pure le considerazioni di M. Martone, La subordinazione. Una categoria del
Novecento, che è il Capitolo primo in F. Carinci e M. Persiani, Trattato di diritto del lavoro, vol.
IV, Contratto di lavoro e organizzazione, t. 1 a cura di M. Martone, Contratto e rapporto di lavoro,
Cedam, 2012, 3-47, e qui 18.
(30) Lo stesso passaggio centrale dell’argomentazione della Corte, riportato infra nel
testo, è quasi letteralmente ripreso dalle Lezioni sul contratto di lavoro dello stesso Luigi
Mengoni, Celuc, 1971, ora parzialmente estratto come Contratto di lavoro e impresa in L.
Mengoni, Il contratto di lavoro, (a cura di M. Napoli), Vita&Pensiero, 2004, 3-48, e qui 34.
(31) Da ultimo V. Pietrogiovanni, Redefining the Boundaries of Labour Law: Is ‘Double
Alienness’ a Useful Concept for Classifying Employees in Times of Fractal Work?, in Theorising Labour
Law in a Changing World -Towards Inclusive Labour Law, A. Blackham -M. Kullmann -A.
Zbyszewska, Hart (a cura di), 2019, 55-69.
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M. BARBIERI, Della subordinazione dei ciclofattorini
Riporto, per comodità di lettura, la pur notissima parte della sentenza:
“assume rilievo non tanto lo svolgimento di fatto di un'attività di lavoro
connotata da elementi di subordinazione, quanto il tipo di interessi cui l'attività
è funzionalizzata e il corrispondente assetto di situazioni giuridiche in cui è
inserita. Devono cioè concorrere tutte le condizioni che definiscono la
subordinazione in senso stretto, peculiare del rapporto di lavoro, la quale è un
concetto più pregnante e insieme qualitativamente diverso dalla
subordinazione riscontrabile in altri contratti coinvolgenti la capacità di lavoro
di una delle parti. La differenza è determinata dal concorso di due condizioni
che negli altri casi non si trovano mai congiunte: l'alienità (nel senso di
destinazione esclusiva ad altri) del risultato per il cui conseguimento la
prestazione di lavoro è utilizzata, e l'alienità dell'organizzazione produttiva in
cui la prestazione si inserisce. Quando è integrata da queste due condizioni, la
subordinazione non è semplicemente un modo di essere della prestazione
dedotta in contratto, ma è una qualificazione della prestazione derivante dal
tipo di regolamento di interessi prescelto dalle parti con la stipulazione di un
contratto di lavoro, comportante l'incorporazione della prestazione di lavoro
in una organizzazione produttiva sulla quale il lavoratore non ha alcun potere
di controllo, essendo costituita per uno scopo in ordine al quale egli non ha
alcun interesse (individuale) giuridicamente tutelato”.
Peraltro, questa posizione della Corte costituzionale ha avuto seguito,
ancorché minoritario, nella giurisprudenza ordinaria(32).
Non corretta appare la lettura di quanti(33) hanno sostenuto che la
Corte costituzionale sia tornata sui propri passi con la sentenza 7 maggio 2015,
n. 76, la quale, occupandosi di una fattispecie particolare come quella del
servizio di guardia infermieristica addetto agli istituti di prevenzione e di pena
e non appartenente ai ruoli organici dell’amministrazione penitenziaria, non
(32) V. Cass. 22 luglio 2019, n. 19657; Cass. 23 ottobre 2018, n. 26813; Cass. 13
giugno 2017, n. 14660; Cass. 16 gennaio 2007, n. 820. Nella giurisprudenza di merito, Trib.
Lucca 18 gennaio 2018, n. 35; App. Genova 30 settembre 2013; Trib. Siena, 24 luglio 2012,
n. 32; Trib. Siena 12 luglio 2012, n. 16; Trib. Siena, 27 aprile 2011, n. 257; Trib. Siena 15
ottobre 2010, n. 119; Trib. Siena 6 settembre 2010, n. 80. Non è del tutto vero, dunque,
quello che sostiene E. Raimondi, op. cit., che si tratti di “qualche rara eccezione” (l’A. cita
soltanto l’ultima tra le sentenze di legittimità qui ricordate). In dottrina, v. M. Roccella,
Spigolature in tema di subordinazione. lo strano caso del sig. B., RGL, 2007, II, 133-148; A.
Allamprese, Subordinazione e doppia alienità: la Cassazione batte un colpo, RGL, 2007, II, 658-659;
più recentemente G. De Simone, Lavoro digitale e subordinazione. Prime riflessioni, RGL, 2019, I,
3-24, e qui 13-15.
(33) E. Raimondi, op.cit.; Cass. 25 febbraio 2019, n. 5436: Cass. 19 novembre 2018, n.
29761, che ne traggono la riproposizione della stantia identificazione della subordinazione
con l’eterodirezione.
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M. BARBIERI, Della subordinazione dei ciclofattorini
smentisce affatto la precedente n. 30/1996, ma si limita a valorizzare, al fine di
respingere la questione di costituzionalità postale, gli elementi del quadro
normativo oggetto del suo giudizio che potevano giustificare la qualificazione
legislativa del rapporto in termini di autonomia (mancanza di vincoli di
esclusività e d’incompatibilità, inserimento nella struttura dell’amministrazione
penitenziaria, imperative ragioni di sicurezza e di cautela che giustificano
diversamente che con la subordinazione il coordinamento esercitato
dall’amministrazione: “piuttosto che l’autonomia decisionale e organizzativa
del datore di lavoro e il potere direttivo e disciplinare caratteristico della
subordinazione”). Al massimo, quindi, la Corte ha affermato che potrebbe non
bastare l’etero-direzione, in presenza delle ragioni anzidette, alla qualificazione
dei rapporti come subordinati, ma certamente non ha offerto elementi per
ritenere si sia discostata dal precedente ricordato.
Insomma, secondo questa impostazione non ha rilievo ai fini delle
operazioni qualificatorie la subordinazione come effetto giuridico del contratto (dei
contratti, ci dice in realtà la Corte), cioè come modo di essere della prestazione
dedotta in contratto, come modalità esecutiva della prestazione vincolata a un
potere altrui. Ha rilievo, invece, la subordinazione come assetto di interessi
scelto dalle parti – quindi non si oblitera affatto il fondamento volontaristicocontrattuale – comportante l’incorporazione della prestazione in una
organizzazione altrui (la subordinazione-situazione connota l’obbligazione).
Che, proprio dal punto di vista esegetico, e in piana applicazione del
metodo sussuntivo, l’art. 2094 c.c. possa essere così interpretato, e non
arbitrariamente, lo dimostra ab origine la già richiamata Relazione al Re, nella
quale si attribuisce alla disposizione in questione la funzione di “precisa[re]
l’essenziale carattere di questa forma di collaborazione (…) che la
giurisprudenza esprime col parlare di «inserzione» o «incorporazione»
nell’impresa” (n. 844).
Del resto, la diversa prospettiva che identifica la subordinazione con
l’eterodirezione della prestazione di lavoro dedotto in obbligazione ha dalla sua
una lunga tradizione ermeneutica che ha finito per identificare l’effetto
dell’obbligazione – la sottoposizione al potere direttivo dell’imprenditore, nei
limiti legali e contrattuali – con gli elementi strutturali della fattispecie, ma non
ha fondamento letterale, se si pensa che abbia un senso la distinzione che pone
proprio il testo dell’art. 2094 c.c. tra le parole “alle dipendenze” e le parole
“sotto la direzione”. Ma di nuovo Luigi Mengoni ci ha spiegato come “i due
membri della frase «alle dipendenze e sotto la direzione dell’imprenditore» non
compongono un’endiadi, il secondo non è esplicativo del primo, ma piuttosto
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M. BARBIERI, Della subordinazione dei ciclofattorini
esprime un suo modo di essere normale (e dunque non essenziale) suggerito
dal modello di riferimento”, onde “nel tipo legale definito dall’art. 2094 c.c.
[…] la subordinazione si identifica con l’inserimento organico del lavoratore
nell’impresa”(34).
Senza arrivare a tanto, ancora recentemente, Oronzo Mazzotta ci ha
ricordato, anche attenuando e correggendo posizioni precedenti(35), che “il
dato del lavorare alle altrui «dipendenze» individuato efficacemente dall’art.
2094 cod. civ. non può essere riduttivamente considerato come sinonimo del
lavorare sotto l’altrui «direzione». Ognuno dei due riferimenti ha una specifica
valenza qualificatoria (…) il requisito della dipendenza identifica, proiettandosi
dal piano dei rapporti socio-economici a quello dell’individuazione dell’essenza
tipica del contratto di lavoro, lo stato di assoggettamento e passività del
prestatore di lavoro direttamente connesso alla disponibilità dei mezzi per
promuovere l’iniziativa economica”(36).
Dunque, il significato del lavoro alle altrui dipendenze(37) sta
nell’emersione, ai fini del riconoscimento del tipo nell’ordinamento, del dato
che il possesso del capitale (che si trasforma in mezzi organizzati per la
valorizzazione di se stesso) assume rilievo giuridico ai fini dell’operazione
qualificatoria.
Allora, riemerge necessariamente il significato dell’eterorganizzazione
quale parametro decisivo di qualificazione dei rapporti alla luce della fattispecie
dell’art. 2094 c.c. Del resto, se così non fosse, se la subordinazione si esaurisse
nell’eterodirezione, non si comprenderebbe perché lo stesso Codice civile
abbia espressamente e direi pacificamente ricondotto alla prestazione di lavoro
subordinata quella dei dirigenti, indicati appunto nell’art. 2095 c.c. tra le
categorie legali del lavoro subordinato. Si tratta infatti del primo ma non unico
caso di lavoro poco prescritto, ovvero in cui il potere direttivo ha scarso
campo di applicazione o addirittura, nei casi estremi come il direttore di
(34) L. Mengoni, La questione della subordinazione i due trattazione recenti, RIDL, 1986, pp.
5-19, e qui p. 17.
(35) O. Mazzotta, Diritto del lavoro, in Trattato di diritto privato, G. Iudica, P. Zatti (a cura
di), Giuffrè, 2002, 46, aveva scritto che “nessuno degli elementi individuati dall’art. 2094 c.c.
appare dotato di qualità definitoria della subordinazione, o perché legato a modi di essere
della relazione di lavoro ormai superati, o perché comune ad altri contratti in cui è implicato
il lavoro o perché rinviene al di fuori dei dati giuridici e direttamente nella realtà sociale gli
elementi di distinzione”.
(36) Id., Diritto del lavoro, in Trattato di diritto privato, G. Iudica, P. Zatti (a cura di),
Giuffrè, 20197, 63.
(37) “troppo spesso svalutato e ridotto a un mero sinonimo del lavorare sotto l’altrui
«direzione»” (O. Mazzotta, Diritto del lavoro, ed ult. cit., 66).
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giornale nel lavoro privato o il dirigente scolastico nelle amministrazioni
pubbliche38, sostanzialmente si esaurisce con la preposizione alla funzione(39).
E tuttavia nella tradizione giuridica italiana, innanzitutto
giurisprudenziale(40), pesa ancora oggi assai più – e direi troppo – l’iniziale
configurazione della subordinazione come eterodirezione, di barassiana
memoria, che non l’esegesi rigorosa della disciplina codicistica, la quale, rilevò
Mengoni anch’egli in epoca ormai risalente(41), non è poi troppo simile a
quella.
Tuttavia, la scarsa fortuna della categoria della subordinazione, pur
essendo vigente l’art. 2094 c.c., è anche maggiore presso il legislatore e presso
la dottrina.
Si è addirittura parlato, nel dibattito dottrinale, di “ossessione
qualificatoria”(42) del legislatore italiano, che andrebbe abbandonata, eludendo
la “trappola qualificatoria”(43) a vantaggio dell’“universalismo, almeno
tendenziale, della protezione sociale rivolta ai lavoratori sulla base della
meritevolezza dell’interesse e non sulla base della qualificazione del
rapporto”(44): idea, invero, difficilmente comprensibile, dato che la
meritevolezza degli interessi in campo è proprio ciò sulla base di cui è stato
(38) Ovviamente quest’ultimo da quando ne è stata operata l’istituzione con il
Decreto Legislativo 6 marzo 1998, n. 59.
(39) Ho provato a segnalare la rilevanza di queste figure in relazione al problema del
contenuto dell’onere di cooperazione creditoria del datore di lavoro, e a quello connesso
dell’eseguibilità in forma specifica nel mio Intervento in M. Barbieri, M. Lobuono e G. Trisorio
Liuzzi (a cura di), La tutela in forma specifica dei diritti nel rapporto di lavoro, atti del convegno di
Foggia, 14-15 novembre 2003, Giuffrè, 2004, 233-239.
(40) Sia sufficiente qui richiamare alcune recenti manifestazioni di questo
orientamento nella giurisprudenza di legittimità: Cass. 30 gennaio 2019, n. 2724; Cass. 16
novembre 2018, n. 29646, per la quale “l'elemento essenziale di differenziazione tra lavoro
autonomo e lavoro subordinato consiste nel vincolo di soggezione del lavoratore al potere
direttivo, organizzativo e disciplinare del datore di lavoro”; Cass. civ., sez. I, 13 marzo 2018,
n. 6095; Cass. 1° marzo 2018, n. 4884; Cass. 2 gennaio 2018, n. 1. In caso, però, di
“prestazioni elementari, ripetitive e predeterminate nelle modalità di esecuzione, il criterio
rappresentato dall’assoggettamento del prestatore all’esercizio del potere direttivo,
organizzativo e disciplinare può non risultare significativo” (Cass. 27 giugno 2019, n. 17384,
ord.); in termini Cass. 11 ottobre 2017, n. 23846 (che vi aggiunge pure il caso “opposto, in
cui le stesse mansioni, per lo più intellettuali, siano tali da essere dotate di notevole elevatezza
e/o creatività”).
(41) L. Mengoni, Il contratto individuale di lavoro, DLRI, 2000, 181-200, e qui 185, rileva
che «il tipo legale definito dall’art. 2094 c.c. non corrisponde alla fattispecie generale
teorizzata da Barassi», proprio per il collegamento con la dimensione organizzativa
dell’impresa.
(42) P. Albi, op. cit., 128.
(43) Ibidem.
(44) Ivi, 129.
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M. BARBIERI, Della subordinazione dei ciclofattorini
enucleato, come si sa, il contratto di lavoro come tipo contrattuale a sé stante,
riconosciuto come tale dal legislatore dopo la fase di formazione
extralegislativa del diritto del lavoro delle origini.
Del resto, si potrebbe appunto osservare che, se mai, il legislatore
italiano ha sofferto di ossessione antiqualificatoria, appunto perché intendeva
sottrarre talune fattispecie alla fattispecie del lavoro subordinato,
indipendentemente dalle effettive modalità esecutive della prestazione, e
dunque in contrasto con la prevalenza, affermata peraltro nella generalità degli
ordinamenti, del concreto svolgimento della fase esecutiva sul contenuto del
programma negoziale, ai fini della qualificazione del rapporto di lavoro.
Dunque, se il legislatore non prende alcuna posizione, l’onere della
qualificazione giuridica di rapporti di lavoro che si presentano in forma nuova,
viene scaricata sulla giurisdizione non solo con riferimento al caso concreto. Se
la prende indicando che si tratti di lavoro autonomo, o di un tertium genus,
questa indicazione non preclude evidentemente alla giurisprudenza una
qualificazione difforme i termini di lavoro subordinato, che non può essere
interdetta dal legislatore appunto per il suddetto principio.
Viceversa, dato il collegamento tra status protettivo e subordinazione,
nulla impedisce, al contrario, al legislatore di estendere la tutela del lavoro
subordinato a rapporti che tali non siano, neppure in fatto oltre che nel nomen
iuris dato dalle parti.
Peraltro, a me pare che, malgrado quello che spesso si legge nel
dibattito giuslavoristico italiano, il problema qualificatorio emerga dovunque,
sempre, in tutto il mondo. Purtroppo, la mia personale ignoranza linguistica mi
impedisce di avere accesso diretto alla giurisprudenza cinese, la quale è in
contrasto fra il profilo civilistico dove (l’equivalente cinese del)la società di
Uber è riconosciuta civilmente responsabile per i sinistri stradali, mentre è
incline a non riconoscere il rapporto di lavoro, in flagrante contraddizione, tra
la piattaforma e l’autista. A parte la giurisprudenza cinese, di cui però ho
cognizione indiretta(45), una domanda di fondo si impone: ci sarà una ragione
per cui in quasi tutti gli ordinamenti, come si vedrà nel successivo paragrafo
sulla giurisprudenza, i ciclofattorini o gli autisti delle piattaforme vengono
prevalentemente qualificati come subordinati e in Italia no? Esaminando qui
(45) M. Zou, “Uberization” and the Digital Workforce in China: regulating tha status of ridehailing drivers, relazione a “15th International Conference in Commemoration of Marco Biagi
– Digital and smart work”, Modena, 20-21 marzo 2017, paper. V. pure V. Cagnin, Gig-economy
e la questione qualificatoria dei gig-workers: uno sguardo oltreconfine, in A. Perulli (a cura di) Lavoro
autonomo e capitalismo delle piattaforme, cit., 31-47, e qui 42 ss.
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solo i paesi di tradizione romanistica, si deve escludere che questo dipenda
dalle differenti nozioni legislative, perché la subordinazione dell’art. 3 della
brasiliana CLT (Consolidação das Leis do Trabalho)(46) è assolutamente simile
al 2094 e all’art. 1, co. 1, dell’Estatuto de los Trabajadores spagnolo(47) o alla
tradizione giurisprudenziale sulla subordinazione in Francia(48).
Eppure, solo in Italia non abbiamo un riconoscimento, che è diffuso,
invece, nella giurisprudenza di tutto il mondo, peraltro anche nei paesi di
common law, dalla California(49) – che poi ha provveduto per legge, malgrado
l’impegno lobbistico della piattaforme in senso contrario(50) - all’Australia.
(46) Decreto-Lei nº 5.452, de 1º de Maio de 1943, Art. 3º: “Considera-se empregado
toda pessoa física que prestar serviços de natureza não eventual a empregador, soba
dependência deste e mediante salário”. La disposizione è rimasta immutata.
(47) Ley 8/1980, de 10 de marzo, Artículo primero -Ambito de aplicación: “La presente
Ley será de aplicación a los trabajadores que voluntariamente presten sus servicios
retribuidos por cuenta ajena y dentro del ámbito de organización y dirección de otra persona,
física o jurídica, denomínada empleador o empresario”. La disposizione è rimasta immutata.
(48) La nozione di subordinazione viene fatta risalire a Cour de Cassation, 6 luglio
1931 (arrêt Bardou), che ha superato il concetto di mera dipendenza economica. V. da
ultimo, in relazione alla qualificazione del rapporto dei lavoratori digitali, E. Dockès, Le
salariat des plateformes. À propos de l’arrêt TakeEatEasy, in Le Droit Ouvrier, gennaio 2019, n. 846.
(49) Supreme Court of California, 30 aprile 2018, Los Angeles County Super Ct. No.
BC332016, Dynamex Operations West, Inc. v. Charles Lee et al.
(50) La legge californiana –Assembly Bill 5 (AB5)-che entrerà in vigore in California
dal 1 gennaio del prossimo anno, approvata nel settembre di quest’anno, ha qualificato come
subordinati i lavoratori delle piattaforme digitali, attraverso la generalizzazione del test ABC,
notoriamente il più severo per le imprese e che viene qui applicato al profilo qualificatorio
del rapporto.
La Sec. 2 aggiunge al Labor Code una section 2750.3 il cui paragrafo (a) (1) prevede:
«For purposes of the provisions of this code and the Unemployment Insurance Code, and
for the wage orders of the Industrial Welfare Commission, a person providing labor or
services for remuneration shall be considered an employee rather than an independent
contractor unless the hiring entity demonstrates that all of the following conditions are
satisfied:
(A) The person is free from the control and direction of the hiring entity in connection with
the performance of the work, both under the contract for the performance of the work and
in
fact.
(B) The person performs work that is outside the usual course of the hiring entity’s business.
(C) The person is customarily engaged in an independently established trade, occupation, or
business of the same nature as that involved in the work performed». È evidente dalla
pluridecennale esperienza dell’uso del test ABC nel diritto nordamericano a vario proposito
che il test B è praticamente invalicabile da parte delle piattaforme. Per un commento
all’operatività dell’ABC test si veda: V. Papa, Verso una rappresentanza misurata? Strumenti e metodi
di misurazione della rappresentanza datoriale, DLRI, 2017, 21-48. Per un commento alla legge
della California si v. A. Loffredo, M. Tufo, Lavoro e impresa digitale tra norme nazionali ed economia
transnazionale, Working paper CSDLE “Massimo D’Antona”, 2019, n. 405, 1-50, e qui 24 nt.
83.
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M. BARBIERI, Della subordinazione dei ciclofattorini
Eppure, anche in Italia dovrebbe essere evidente che la subordinazione
non si identifichi con l’esercizio continuativo del potere direttivo: sono
certamente lavoratori subordinati anche soggetti quali i dirigenti, i direttori
delle testate giornalistiche, e addirittura i dirigenti scolastici, per i quali la eterodirezione del datore di lavoro si esaurisce nell’atto di nomina.
Siccome non si può sfuggire al problema qualificatorio(51), lo si può
affrontare in varia maniera(52).
Innanzitutto, lo si può affrontare sul piano rimediale, attraverso la
predisposizione legislativa di una serie di tutele ad hoc: vedremo infra gli effetti
di questa scelta del legislatore.
Si può provare la via della contrattazione. Abbiamo avuto in Italia il
caso dell’addendum che è stato fatto al contratto dei trasporti e della logistica53.
Tuttavia, nei ben noti limiti di efficacia soggettiva dei contratti collettivi, non è
un atto a qualificazione giuridica privatistica a poter risolvere la qualificazione
dei rapporti di lavoro.
Si può lasciar decidere la giurisprudenza, come è accaduto in Francia
l’anno scorso(54), ma al prezzo di alimentare il contenzioso almeno sino alla
stabilizzazione degli orientamenti giurisprudenziali. Vedremo nel paragrafo 4
che le scelte della legge n. 128/2019 porteranno probabilmente anche in Italia
a questo esito.
(51) R. Voza, Il lavoro reso mediante piattaforme digitali tra qualificazione e regolazione, QRGL,
2017, n. 2, 71-81, e qui 76, ha ottimamente sintetizzato: «Sappiamo bene che, qualunque
modello regolativo si scelga di adottare, non si potrà mai eludere il problema della
qualificazione giuridica del lavoro. Anche il più piccolo frammento di tutela esige che si
stabilisca quale sia il suo campo di applicazione (se non vogliamo usare l’espressione
‘fattispecie’)».
(52) Sul punto v. le varie ipotesi formulate da V. Cagnin, op. cit., 43-47 ed E.
Raimondi, op. cit.
(53) Le parti sociali firmatarie del ccnl Logistica Trasporto merci e Spedizioni
(Confetra, Fedit, Assologistica, Federspedi, Confartigianato trasporti, Fita‐Cna, Filt‐Cgil,
Fit‐Cisl e Uiltrasporti), nel luglio 2018 hanno stipulato l’accordo che ha applicato ai ciclofattorini il medesimo ccnl. Poi, nel 10 maggio scorso, FILT CGIL, FIT CISL,
UILTRASPORTI con l’azienda Laconsegna srls hanno firmato l’Accordo Quadro – Riders
Toscana, finalizzato all’assunzione di 20 riders con contratto di lavoro a tempo
indeterminato e che ricalca il contenuto dell’accordo integrativo del ccnl Logistica,
innanzitutto riconoscendo l’applicazione della disciplina del rapporto di lavoro subordinato.
(54) Cour de Cassation, Chambre Sociale, 28 novembre 2018, n. 1737, con nota di C.
Courcol-Bouchard, Le livreur, le plateforme et la qualification du contract, Revue de Droit du Travail,
2018, n. 12, 812-819; E. Dockès, Le salariat des plateformes. À propos de l’arrêt TakeEatEasy, in Le
Droit Ouvrier, gennaio 2019, n. 846; M. Peyronnet, Take Eat Easy contrôle et sanctionne des salariés,
Revue de Droit du Travail, 2019, n. 1, 36-40; C. Larrazet, Régime des plateformes numériques, du
nonsalariat au projet de charte sociale, DS, 2019, n. 2.
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M. BARBIERI, Della subordinazione dei ciclofattorini
Debbo ricordare al proposito che la Cassazione nel 2018 si è
pronunciata di nuovo sulle agenzie ippiche(55), il cui modello organizzativo,
pur in assenza di piattaforme, presenta molte somiglianze con quello del
lavoro digitale.
Sarebbe dunque stato opportuno, a mio giudizio, un intervento
legislativo che da un lato avesse fornito qualche ulteriore elemento alla
fattispecie dell’art. 2094 c.c., interrompendo così qualche consuetudine
ermeneutica non fondata, e dall’altro che fornisse elementi di disciplina
speciale al rapporto di lavoro dei ciclofattorini non sotto il profilo della
qualificazione, ma sotto quello differente del compenso per il tempo della
disponibilità, come nel lavoro intermittente(56): il che non si può ottenere per
via interpretativa. Perché in realtà, oltre al profilo della “sufficiente
‘sovrappopolazione relativa’ (id est: persone disoccupate pronte a lavorare) nel
mercato del lavoro dei ciclofattorini” su cui ha richiamato giustamente
l’attenzione Marco Novella(57), v’è quello determinante che il tempo della
disponibilità dei ciclofattorini in attesa di chiamata non è, nell’attuale modello
organizzativo socialmente inaccettabile, in alcun modo compensato, il che
rende appunto possibile la sovrappopolazione citata.
La legge n. 128/2015 purtroppo non ha scelto, come vedremo, questa
strada.
(55) Cass., 13 febbraio 2018, n. 3457. La pronuncia ha avuto numerosi precedenti
conformi: Cass. 11 ottobre 2017, n. 23846; Cass., 10 luglio 2017, n. 17009; 5 maggio 2005, n.
9343; Cass. 1 luglio 1999, n. 6761; Cass. 1 giugno 1999, n. 5340; Cass. 24 maggio 1999, n.
5045; Cass. 15 aprile 1999, n. 3779; Cass. 1 marzo 1984, n. 1457. Esiste comunque anche un
orientamento minoritario contrario a qualificare subordinato il rapporto dei lavoratori delle
agenzie di scommesse ippiche: Pret. Milano, 12 dicembre 1979; Trib. Torino, 27 marzo 1995;
ma anche Cass., 29 marzo 1999, n. 3032. Peraltro, Cass. 4 luglio 2017 n. 16377 ha applicato
gli stessi principi ai fattorini che consegnavano pizze, malgrado fossero liberi di scegliere
quando presentarsi al lavoro.
(56) Superando così i problemi applicativi che ragionevolmente individua A. Perulli,
Capitalismo delle piattaforme, cit., 125 ss., sia pure non ragionevolmente addebitandoli
all’“impiego di nozioni aggressive ed espansionistiche di subordinazione” (p. 126). Sembra in
qualche modo aderire all’idea di una diversa retribuzione dei tempi di attesa e di quelli di
disponiblità anche R. Del Punta, Sui riders e non solo: il rebus delle collaborazioni organizzate dal
committente, RIDL, 2019, II, 358-367, e qui 364 ss.
(57) M. Novella, Il rider non è lavoratore subordinato, ma è tutelato come se lo fosse, LLI, 2019,
n. 1, 82-103, e qui 87.
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M. BARBIERI, Della subordinazione dei ciclofattorini
3. La giurisprudenza italiana e quella dei Paesi di civil law
Naturalmente, poiché il lavoro tramite piattaforma, in particolare nel
settore del trasporto di persone (Uber, Lyft, ecc.) o in quello del food delivery
(Deliveroo, Glovo, ecc.), è un fenomeno mondiale, e le società datrici di
lavoro appartengono a gruppi societari multinazionali nella più gran parte dei
casi, il contenzioso qualificatorio che si è sviluppato è stato anch’esso
multinazionale.
Tuttavia, la esigua giurisprudenza italiana sinora prodotta(58) si distingue
significativamente nel panorama interazionale, perché ha escluso – caso unico
nel panorama comparato - che possa trattarsi di lavoratori subordinati, per la
insostenibile argomentazione che possono scegliere se e quando lavorare.
L’opzione interpretativa, peraltro, aveva portato le due sentenze di primo
grado ad escludere non solo l’applicazione dell’art. 2094 c.c., ma perfino
dell’art. 2 del D. Lgs. n. 81/2015, ammessa, invece, dall’ultima pronuncia della
Corte di Appello di Torino. Per entrambe le Corti di primo grado la libertà dei
fattorini digitali di decidere se lavorare compromette, ab origine, l’esercizio da
parte dell’azienda del potere direttivo e disciplinare, giacché il vincolo di
subordinazione tra le parti verrebbe escluso già nella fase di determinazione
del programma negoziale.
Sulla stessa scia si è posto il Tribunale di Milano, con l’aggiunta di
escludere la sussistenza della collaborazione etero-organizzata, perché mancava
(58) V. Trib. Torino, 7 maggio 2018, n. 778, su cui v. i commenti di M. Del Conte, O.
Razzolini, La gig economy alla prova del giudice: la difficile reinterpretazione della fattispecie e degli indici
denotativi, DLRI, 2018, 673-682; V. Ferrante, Subordinazione e autonomia: il gioco dell’oca, DRI,
2018, 1196-1202; M. Biasi, Il Tribunale di Torino e la qualificazione dei riders di Foodora, ADL,
2018, 1227-1241; P. Ichino, Subordinazione, autonomia e protezione del lavoro nella gig-economy,
RIDL, 2018, II, 294-303; E. Gramano, Dalla eterodirezione alla eterorganizzazione e ritorno. Un
commento alla sentenza Foodora, Labor, 2018, 609-619; P. Tullini, Prime riflessioni dopo la sentenza di
Torino sul caso Foodora, LDE, 2018, 1; Trib. Milano 10 settembre 2018, n. 1853, RGL, 2019, II,
83-90, nt. C. Spinelli, Riders: anche il Tribunale di Milano esclude il vincolo di subordinazione nel
rapporto lavorativo, cui adde il commento di M. Forlivesi, Nuovi lavori, vecchie interpretazioni? Note a
margine di una recente sentenza del Tribunale di Milano sulla qualificazione giuridica dei c.d.“riders”, in
Labor, 2019, 112-120. App. Torino, 4 febbraio 2019, n. 26, RIDL, 2019, II, nt. M.T. Carinci,
Il lavoro eterorganizzato si fa strada… sulle ruote dei riders di Foodora, 350-358, e R. Del Punta, Sui
riders, cit.; in RGL, 2019, II, con nota di U. Carabelli e C. Spinelli, La Corte d’Appello di Torino
ribalta il verdetto di primo grado: i riders sono collaboratori etero-organizzati, 92-99; adde A. Perulli, I
lavoratori delle piattaforme e le collaborazioni etero-organizzate dal committente: una nuova frontiera
regolativa per la Gig economy?, Labor, 2019, 320-332; P. Tullini, Le collaborazioni etero-organizzate dei
riders: quali tutele applicabili ?, LDE, 2019, n. 1, 1-7, e qui 4; M. Del Frate, Le collaborazioni eteroorganizzate alla prova della giurisprudenza di merito, DRI, 2019, 937-945; M. Novella, Il rider non è
lavoratore subordinato ma è tutelato come se lo fosse, LLI, 2019, n. 1, 85-103.
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la etero-organizzazione dei tempi di lavoro, sempre per la pretesa libertà del
lavoratore.
In appello, il collegio torinese, invece, pare entrare nell’analisi della fase
esecutiva del rapporto, rilevando la sussistenza dell’etero-organizzazione, in
quanto i ricorrenti erano integrati funzionalmente nell’organizzazione
determinata in via unilaterale dalla committente(59). La Corte ha ritenuto
applicabile la disciplina di cui al primo comma dell’art. 2 del D. Lgs.
81/2015(60), pur chiarendo che ciò non comporta, comunque, la costituzione
di un rapporto di lavoro subordinato, in quanto il fattorino “resta,
tecnicamente, autonomo” nell’esercizio della prestazione di lavoro.
Naturalmente, la decisione deriva dall’interpretazione della norma in
considerazione: il giudice chiarisce, infatti, che l’art. 2 comporta l’applicazione
della disciplina del lavoro subordinato di cui all’art. 2094 c.c., ma resta un
genere a sé e, in quanto tale, distinto anche dalle collaborazioni di cui all’art.
409, n. 3, c.p.c.
In realtà, nel caso dei riders gli elementi della subordinazione ci sono
tutti, restando priva di ogni fondamento la critica per la quale si tratterebbe di
“maldestri tentativi anche giudiziari (oltre che sindacali) di mettere le braghe
alla storia” perché “le caratteristiche proprie della sharing economy ci portano
obiettivamente e direttamente […] fuori dall’orizzonte del lavoro
subordinato”(61). E ci sono tutti anche se si rimane alle consuetudini
interpretative più restrittive, che identificano la subordinazione con
l’eterodirezione(62). Non pare, dunque, si possa imputare a questa idea di
(59) Utile il commento di P. Tullini, Le collaborazioni, cit., che riporta la nozione di
etero-organizzazione adoperata dalla Corte d’Appello a quella usata dalla C. giust. nella
sentenza FNV Kunsten Informatie (sentenza 4.12.2014, C-413/13).
(60) Nel testo all’epoca vigente.
(61) Così invece G. Bronzini, op. cit., 7. V, anche le 14 (con toni anche più accesi) e
15.
(62) Osserva giustamente P. Tullini, Il lavoro nell’economia digitale: l’arduo cammino della
regolazione, in A. Perulli (a cura di), Lavoro autonomo e capitalismo della piattaforme, cit, 171-195, e
qui 186 ss., che «specie riguardo alle prestazioni non specializzate e poco qualificate, le
piattaforme sono in grado di esercitare un ampio potere organizzativo e gestionale,
riproducendo una condizione di etero-direzione di stampo tayloristico che è propria della
fattispecie fondamentale della subordinazione». Per il caso Uber, ha scritto due anni fa R.
Voza, Il lavoro reso mediante piattaforme digitali, cit., 73, che “nello Ubergate, al di là dei profili
legati alla concorrenza con il servizio taxi, è emerso che la piattaforma determina e impone le
tariffe, monitora lo svolgimento delle prestazioni, esercitando un potere di comando
attraverso la dettagliata indicazione del percorso da seguire e altre caratteristiche del servizio
(come il livello di pulizia e integrità dell’auto, la velocità di marcia) ed esercita pure un potere
di controllo, che si affida a terzi, ossia alle recensioni degli utenti, che possono giustificare
l’interruzione del rapporto, sotto forma di disconnessione dell’account intestato all’autista”. E
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“abbracciare, in modo quasi ideologico, una visione del lavoro tramite
piattaforma come necessariamente subordinato”(63).
Non pare, infatti, si possa contestare che i ciclofattorini svolgano la
propria attività all’interno e per le finalità di una organizzazione che è del
titolare della piattaforma, e sulla quale non possono svolgere alcuna influenza e
nella quale non hanno alcun interesse. Non mi pare, cioè, si possa seriamente
revocare in dubbio che sussista il lavoro alle dipendenze altrui, o, se si
preferisce, che si tratti di un lavoro etero-organizzato.
D’altra parte, è la piattaforma a indicare al rider dove si deve recare per
ritirare il cibo, e dove lo deve portare, nonché entro quanto tempo; e che ne
controlla attraverso la geolocalizzazione che deve essere sempre in funzione la
posizione, penalizzando nel punteggio ai fii dell’assegnazione del lavoro il
fattorino che non sia nella zona assegnata. Peraltro, se il fattorino rifiuta di
eseguire una prestazione cala nel punteggio e addirittura può essere interrotto
il rapporto se i rifiuti superano una certa quantità.
Dunque, c’è a mezzo piattaforma l’esercizio del potere direttivo(64) –
senza, la prestazione non potrebbe proprio avere luogo -, c’è il potere di
controllo, esercitato continuativamente attraverso la geolocalizzazione(65), e c’è
persino, di fatto, un potere disciplinare(66).
Gli unici elementi che differenziano la prestazione di lavoro dei
ciclofattorini da quella che usualmente si considera subordinata nelle
concezioni più restrittive, stanno nella mancata predeterminazione, in sede di
programma negoziale, della quantità e della collocazione oraria delle
lo stesso R. Voza, Il lavoro e le piattaforme digitali: the same old story?, WP CSDLE “Massimo
D’Antona”.IT, 2017, n. 336, 1-19, e qui 9, che “la smaterializzazione della figura del ‘capo’ in
un algoritmo può finire per accentuare la pervasività della coercizione sul lavoro”, onde
sarebbe “possibile la riconducibilità del lavoro reso sulle piattaforme digitali al lavoro
subordinato tout court”.
(63) A. Perulli, Capitalismo delle piattaforme, cit., 121.
(64) Acute e condivisibili le considerazioni in proposito di V. Maio, Il lavoro per le
piattaforme digitali tra qualificazioni del rapporto e tutele, ADL, 2019, 582- 598, e qui 589-591.
(65) Nell’analogo caso di Uber, la citata C. giust. UE, Grande Sezione, 20 dicembre
2017, C-434/15, ricorda che la piattaforma “esercita un determinato controllo sulla qualità
dei veicoli e dei loro conducenti nonché sul comportamento di quest’ultimi, che può portare,
se del caso, alla loro esclusione” (punto 39). Non si comprende dunque perché E. Raimondi,
op. cit., sostenga che “nella maggior parte dei casi […] il controllo non viene esercitato sulla
prestazione di lavoro in sé, ma sul risultato dell’opera effettuata dal lavoratore”.
(66) Anche A. Perulli, Capitalismo delle piattaforme, cit., 135, pur nell’ambito di una
impostazione contraria a quella qui proposta, ha finito per riconoscere che “se infatti la
piattaforma esercitasse effettivamente un potere di controllo/direzione sulla prestazione,
dovremmo non solo attribuire al lavoratore la natura di prestatore subordinato, ma
dovremmo anche riconoscere la qualifica di datore di lavoro in capo alla piattaforma”.
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M. BARBIERI, Della subordinazione dei ciclofattorini
prestazioni, e nella teorica facoltà del rider di rifiutare l’esecuzione delle singole
prestazioni richieste.
Tuttavia, la prima non è un elemento essenziale del contratto di lavoro
subordinato. Se non bastasse il fatto che pacificamente il datore di lavoro può
mutare la collocazione oraria della prestazione (turni, ecc.), si può aggiungere
che in quella singolare fattispecie che è il lavoro intermittente (artt. 13-18 d.lgs.
n. 81/2015), che è indiscutibilmente ritenuto una forma speciale di lavoro
subordinato, non vi è alcuna predeterminazione della quantità di prestazione
dovuta, e sul lavoratore – almeno nel tipo legale generale, in cui non si
impegna a garantire la disponibilità a rispondere alle chiamate – non grava
alcun obbligo di presentarsi alla chiamata: senza che questo metta in dubbio
che quando lavora sia un lavoratore subordinato, e gli spetti, ex art. 17, co. 1,
esattamente lo stesso trattamento dei lavori subordinati permanenti(67).
Dunque, anche la teorica facoltà di rifiutare la singola prestazione
richiesta non è affatto incompatibile con la qualificazione del rapporto come
subordinato(68): come del resto ha espressamente affermato la giurisprudenza
di legittimità in tema di agenzie ippiche(69). Si evoca qui solo l’argomentazione
della sentenza n. 3457/2018, già ricordata, per la quale, riprendendo precedenti
della giurisprudenza di legittimità, “il fatto che il lavoratore sia libero di
accettare o non accettare l'offerta e di presentarsi o non presentarsi al lavoro e
senza necessità di giustificazione, non attiene a questo contenuto [del
rapporto], bensì è esterno, sul piano non solo logico bensì temporale (in
quanto precede lo svolgimento). Tale fatto è idoneo solo (eventualmente) a
precludere (per l'assenza di accettazione) la concreta esistenza d'un rapporto
(di qualunque natura); e comporta la conseguente configurazione di rapporti
instaurati volta per volta (anche giorno per giorno), in funzione del relativo
effettivo svolgimento, e sulla base dell'accettazione e della prestazione data dal
lavoratore. L'accettazione e la presentazione del lavoratore, espressioni del suo
consenso, incidono (come elemento necessario ad ogni contratto) sulla
costituzione del rapporto e sulla sua durata: non sulla forma e sul contenuto
della prestazione (e pertanto sulla natura del rapporto)”.
(67) Conf. (ma dubitativamente) G. De Simone, op. cit., 8 e 13; M. Novella, op. cit., 95;
E. Raimondi, op. cit.
(68) In termini V. Maio, op. cit., p. 588. Contra A. Perulli, I lavoratori delle piattaforme, cit.,
p. 324, che ritiene non seriamente revocabile in dubbio l’argomento adoperato dalla
giurisprudenza che qui si critica.
(69) Conf. R. Riverso, Cambiare si può. Nuovi diritti per i collaboratori, in
www.questionegiustizia.it/articolo/cambiare-si-puo-nuovi-diritti-per-i-collaboratori _15-112019.php.
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M. BARBIERI, Della subordinazione dei ciclofattorini
Andando, poi, a guardare gli ordinamenti oltralpe(70), in Spagna(71), lo
Juzgado de lo Social de Madrid(72), in un primo tempo, aveva deciso che i
fattorini della piattaforma di Glovo fossero lavoratori autonomi, in particolare
valutando la libertà in capo ai riders di collocarsi nel giorno e nella fascia oraria
di lavoro e di accettare l’esercizio della prestazione. Dunque, la evidente
flessibilità oraria che caratterizza questi rapporti di lavoro era considerata
estranea ai due elementi giuridici che definiscono il trabajo por cuenta ajena (art. 1
E.T.), ovvero: ajenidad e dependencia.
Tuttavia, a distanza di poco tempo, altra e maggioritaria giurisprudenza
spagnola, di primo e secondo grado(73), ha riconosciuto che il rapporto
intercorrente tra i riders e la piattaforma sia da considerarsi un rapporto di
lavoro subordinato, a partire da una sentenza(74) significativa anche perché
propone un differente indirizzo metodologico per procedere alla qualificazione
del rapporto intercorrente tra le parti in causa: il giudice vaglia il contesto e il
mercato in cui entrambe si incontrano. In effetti, dopo aver elencato gli indici
che escluderebbero la sussistenza di un rapporto di lavoro, propone altri indici
che deriverebbero dalle nuove forme di lavoro da tenere in considerazione per
la qualificazione del rapporto.
(70) Che smentiscono, come si vedrà subito, l’affermazione di E. Raimondi, op. cit.,
per la quale “la difficoltà di ricondurre le prestazioni di lavoro organizzate mediante
piattaforme elle categorie classiche del lavoro subordinato ovvero autonomo, del resto, è
dimostrata anche dall’esperienza di altri paesi” (ma l’A. qui criticato cita solo Stati Uniti e
Regno Unito).
(71) Per una ricognizione completa della giurisprudenza spagnola sul caso dei
fattorini delle piattaforme di food delivery, si rinvia a: M. López Balaguer, Trabajo en plataformas
digitales en España: primeras sentencias y primeras discrepancias, LLI, 2018, 4, 2, 52-78; E. ColàsNeila, Prestación de servicios a través de plataformas digitales en la doctrina judicial española.
¿Trabajadores por cuenta ajena o autónomos?, LLI, 2019, 5, n. 1, 20-46.
(72) Juzgado de lo Social de Madrid 3 settembre 2018, n. 284. Sul ricorso del
lavoratore, la sentenza è stata riformata dal Tribunal Superior de Justicia de Madrid, Sala de
lo Social, 19 settembre 2019, n. 715/2019, che, al contrario, ha ritenuto sussistente una
relazione di lavoro tra le parti sulla base del fatto che, tra gli ulteriori accertamenti, «el glover
existe perque existe Glovo y la inversa, Glovo no podría existir sin glovers».
(73) Eusebi Colàs-Neila, Prestación de servicios a través de plataformas digitales en la doctrina
judicial española. ¿Trabajadores por cuenta ajena o autónomos?, LLI, 2019, 5, n. 1, 20-46, e qui 45 ss.,
contava, all’epoca, cioè prima delle due sentenze di secondo grado favorevoli ai lavoratori
citate qui alle nt. 61 e 65, sette sentenze che riconoscevano la relación laboral e cinque che
invece classificavano i riders come TRADE.
(74) Juzgado de lo Social de Madrid, 11 febbraio 2019, n. 53, per un commento si
rinvia all’articolo di A. Todolì, Análisis a la Primera Sentencia que declara la laboralidad de Rider de
Glovo
(y
declara
nulo
el
despido),
13
febbraio
2019,
in
https://adriantodoli.com/2019/02/13/analisis-a-la-primera-sentencia-que-declara-lalaboralidad-de-rider-de-glovo-y-declara-nulo-el-despido/.
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Nello stesso senso, la giurisprudenza spagnola ha deciso che i fattorini
di Glovo sono da considerarsi lavoratori subordinati. In particolare, a
proposito della libertà oraria, la Corte ha ritenuto che: «la pretendida libertad
en la elección de horas o franjas horarias, que depende de un sistema de
puntuación que hace que el trabajador tiene que plegarse a las exigencias
empresariales si quiere configurar un horario que resulte rentable. Ello hace
que la flexibilidad laboral que pretende hacer ver la empresa se convierta en
una manera de hacer competir a los recaderos para lograr las mejores horas
que ya no son las más compatibles con su vida personal, sino las que la
empresa considera más rentables o de alta demanda»(75). Peraltro, il ricorso
promosso da Glovo avverso la sentenza di primo grado è stato rigettato dal
Tribunal Superior de Justicia, confermando lo status di “trabajador por cuenta
ajena” del fattorino(76).
Per quel che concerne l’ordinamento francese, un primo orientamento
della giurisprudenza aveva più volte escluso la natura subordinata dei fattorini
di food delivery(77); d’altronde, come ha sottolineato la dottrina, «la plupart des
arrêts rendus par la cour d’appel de Paris proviennent de la même chambre
sociale, composée à l’identique, avec le même président et les mêmes asseurs
(pôle 6, chambre 2). Ces arrêts sont donc très proches (pour ne pas dire
identiques…) dans leur construction et leur rédaction»(78). Tuttavia, la
letteratura aveva già rilevato come l’argomento della libertà oraria dei livreurs
risultasse fragile, poiché: «le livreur est certes libre de choisir les créneaux
pendant lesquels il entend travailler, mais, dés lors qu’il se connecte, il perd
toute liberté piusqu’il lui faut alors accepter les courses prescrites, sauf à
risquer la mise en œuvre à ses dépens de la clause résolutoire prévue au
contract». E, dunque, «comment ne pas y voir un pouvoir de direction qui,
s’ajoutant au pouvoir de sanction prévue par le contract, caractérise l’existence
d’un état de subordination du travailleur?»(79). Anche la dottrina italiana,
commentando la sentenza con cui la Corte d’Appello di Parigi aveva escluso la
(75) Juzgado de lo Social de Gijón, 20 febbraio 2019, n. 61.
(76) Tribunal Superior de Justicia Asturias, Sala de lo Social, 25 luglio 2019, n.
01818/2019.
(77) Per Takeateasy: Cour d’Appel de Paris, 20 aprile 2017, n. 17/0051; Cour d’Appel
de Paris, 14 dicembre 2017, n. 17/04607. Per Deliveroo: Cour d’Appel de Paris, 9 novembre
2017, n. 16/12875, anche in RIDL 2018, I, nt. A. Donini, La libertà di lavoro sulle piattaforme
digitali, 63-71.
(78) A. Fabbre, Les travailleurs des plateformes sont-ils des salariés?, DS, 2018, 547-558, qui
549.
(79) A. Fabbre, Plateformes numériques: gare au tropisme “travailliste”!, Revue de Droit du
Travail, 2017, n. 3, 166-170, qui 170.
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M. BARBIERI, Della subordinazione dei ciclofattorini
natura subordinata del rapporto dei ciclo-fattorini, ha osservato che la
subordinazione non fosse stata del tutto esclusa “laddove le condizioni di
esecuzione della prestazione siano determinate unilateralmente dal datore di
lavoro con conseguente integrazione del lavoro di un service organisé, secondo
una logica giustamente accostata a quella della etero-organizzazione
nostrana”(80).
Successivamente, però, la Chambre Sociale della Cour de Cassation
francese(81), sul caso della piattaforma TakeEatEasy, ha qualificato il rapporto
di lavoro tra le parti della piattaforma di consegna di pasti a domicilio nei
termini della subordinazione(82), sulla base del principio, rinvenuto anche nelle
sentenze della giurisprudenza brasiliana(83) e spagnola, della prevalenza ai fini
qualificatori dell’effettivo svolgimento della prestazione sulla volontà cartolare
delle parti e sulla base dell’esercizio di un potere di controllo (sistema di
geolocalizzazione) e sanzionatorio (disconnessione dalla piattaforma) in capo
all’impresa.
(80) R. Voza, Nuove sfide per il welfare: la tutela del lavoro nella gig economy, RDSS, 2018,
657-685, qui 672. Contra J. R. Mercader Uguina, La prestacíon de servicios en plataformas
profesionales: nuevos indicios para una nueva realidad, in A. Todolí, M. Hernández Bejarano
(directores), Trabajo en plataformas digitales: innovacíon, derecho y mercado, Aranzadi, Navarra, 2018,
155-176, spec. 161.
(81) Cour de Cassation, Chambre Sociale, 28 novembre 2018, n. 1737, nt. C. CourcolBouchard, Le livreur, le plateforme et la qualification du contract, Revue Droit du Travail, 2018, n. 12,
812-819; E. Dockès, Le salariat des plateformes. À propos de l’arrêt TakeEatEasy, in Le Droit
Ouvrier, gennaio 2019, n. 846; M. Peyronnet, Take Eeat Easy contrôle et sanctionne des salariés,
Revue Droit du Travail, 2019, n. 1, 36-40; C. Larrazet, Régime des plateformes numériques, du nonsalariat au projet de charte sociale, DS, 2019, n. 2; ed, infine, un commento della CGT, Mémoire en
intervention volontaire de la CGT dans l’affaire TakeEeatEasy.
(82) Resta controversa per ora la qualificazione degli autisti di Uber: le istanze di
riqualificazione dei contratti di collaborazione stipulati dall’azienda in contratti di lavoro
subordinato, presentate dinnanzi al Conseil de prud’hommes di Parigi (si veda, per esempio,
l’azione introdotta dall’avv. J. P. Teissonnière, il 14 aprile 2017, Semaine sociale Lamy, 2017, n.
1767, pp. 8-9), non sono eterogenee: in un primo momento, sia l’azione proposta
dall’URSSAF contro Uber (decisa da Cass. civ., 2e ch., 7 luglio 2016, n° 15-16110) che la
decisione resa dal Conseil de prud’hommes di Parigi (20 dicembre 2016, n. 14/11044)
avevano accertato che i lavoratori della piattaforma fossero falsi autonomi. Tuttavia, lo stesso
Conseil de prud’hommes de Paris ha, poi, emesso una decisione contraria, escludendo che il
contratto di collaborazione tra Uber e un suo autista potesse considerarsi un contratto di
lavoro subordinato (Cons. prud’h. Paris, 29 gennaio 2018, n. F16/11460).
(83) La giurisprudenza brasiliana, che qui non si esamina perché relativa al settore del
trasporto di persone e che ha giudicato in relazione alla formulazione dell’art. 3 della
Consolidação das Leis do Trabalho che contiene una definizione di subordinazione molto
simile a quella del 2094 c.c., è stata oggetto di attenzione in Italia: v. G. Pacella, Lavoro e
piattaforme: una sentenza brasiliana qualifica come subordinato il rapporto tra Uber e gli autisti, RIDL,
2017, II, 570-578.
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M. BARBIERI, Della subordinazione dei ciclofattorini
La dottrina francese, commentando la pronuncia della Cour de
Cassation(84), ha osservato che la motivazione si fonda non sulla nozione di
subordinazione, ma sulla prova della sua sussistenza, tant’è che si è soffermata
sugli elementi fattuali della geolocalizzazione e della disconnessione dalla
piattaforma per ricavarne, in via deduttiva, la sussistenza della subordinazione
stessa.
Si tratta, pertanto, di una pronuncia che, seppure esigua nelle sue
motivazioni, «[…] est significatif de la relative ouverture de la jurisprudence
quant à la qualification de contract de travail. Et elle augure d'une très large
requalification à venir des travailleurs des plateformes […]»(85).
A queste pronunce si aggiungono quelle belga e olandesi, le quali hanno
escluso che i ciclofattorini possano qualificarsi come lavoratori autonomi. Più
nel dettaglio, la Commission administrative de règlement de la relation de
travail (CRT) belga86 ha rigettato la qualificazione di lavoratore indipendente di
un fattorino sulla base del fatto che: “les modalités de réservation des sessions
de même que les conséquences associées au fait de ne pas être disponible
pendant les plages acceptées, sont très contraignantes. Elles imposent, de facto,
au coursier de rester à disposition de la plateforme pendant toutes les plages
qu’il a réservées plus d’une semaine à l’avance”. Rinviando, infatti, alla
consolidata giurisprudenza della Cassazione, la CRT chiarisce che: “La
circonstance que celui qui exécute le travail dispose de la liberté de donner
suite ou non à une offre de travail de son employeur et qu'il peut, le cas
échéant, la refuser, n'empêche donc pas que, dès qu'il a accepté le travail,
l'employeur dispose de sa main-d’œuvre et affecte celle-ci selon les
dispositions du contrat”.
La giurisprudenza olandese, a sua volta, in un primo momento aveva
deciso di non riconoscere il rapporto tra i riders e Deliveroo come un rapporto
di lavoro subordinato87; tuttavia, due successive pronunce(88) hanno
(84) E. Dockès, Le salariat des plateformes. À propos de l’arrêt TakeEatEasy, in Le Droit
Ouvrier, gennaio 2019, n. 846.
(85) E. Dockès, cit., 5.
(86) Commission Administrative de règlement de la relation de travail (CRT) Chambre
Francophone,
9
marzo
2018,
n.
113,
in
https://commissionrelationstravail.belgium.be/docs/dossier-113-fr.pdf.
(87) Rechtbank Amsterdam, 23 luglio 2018, n. 6622665 CV EXPL 18-2673, in
https://uitspraken.rechtspraak.nl/inziendocument?id=ECLI:NL:RBAMS:2018:5183.
(88) Rechtbank Amsterdam, 15 gennaio 2019, n. 7044576 CV EXPL 18-14763, in
https://uitspraken.rechtspraak.nl/inziendocument?id=ECLI:NL:RBAMS:2019:198.
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M. BARBIERI, Della subordinazione dei ciclofattorini
riconosciuto che la società è datrice di lavoro e che, dunque, il rapporto con i
fattorini non possa considerarsi un rapporto di lavoro autonomo.
L’argomento attraverso il quale la Corte dei Paesi Bassi approda alla sua
decisione è interessante, ancora una volta, sul fronte della presunta libertà dei
lavoratori, poiché rileva che il meccanismo a cui è demandato il compito di
assegnare e distribuire la singola commissione di consegna (c.d. Frank),
individua i fattorini che sono più vicini al ristorante da cui dovrebbe partire la
consegna; dunque, il rider che intende ottenere l’assegnazione dell’incarico deve
già farsi trovare nelle vicinanze del ristorante: un dato di fatto che non è privo
di effetti e di rilevanza anche sul piano della qualificazione del rapporto di
lavoro, poiché vuol dire che il rider deve già essere disponibile ad effettuare la
consegna. Questo, nel giudizio della Corte olandese, relativizza il concetto di
libertà del fattorino e, insieme, all’accertamento degli altri elementi di cui
all’art. 7:610 (lid 1) del Burgerlijk Wetboek(89), aiuta a confermare la
sussistenza di un contratto di lavoro subordinato tra le parti.
Si può qui omettere l’esame della giurisprudenza degli ordinamenti di
common law, che peraltro almeno in relazione al caso inglese degli autisti di Uber
ha sollevato ampia attenzione e commenti anche in Italia, se non per segnalare,
come è stato già osservato dalla dottrina(90), che l’esistenza nell’ordinamento
inglese, a fianco degli employees che grosso modo corrispondono ai lavoratori
subordinati(91), di workers(92) cui si applicano solo alcune tutele specifiche(93),
(89) Art. 7:610: «1. De arbeidsovereenkomst is de overeenkomst waarbij de ene partij,
de werknemer, zich verbindt in dienst van de andere partij, de werkgever, tegen loon
gedurende zekere tijd arbeid te verrichten.
2. Indien een overeenkomst zowel aan de omschrijving van lid 1 voldoet als aan die
van een andere door de wet geregelde bijzondere soort van overeenkomst, zijn de bepalingen
van deze titel en de voor de andere soort van overeenkomst gegeven bepalingen naast elkaar
van toepassing. In geval van strijd zijn de bepalingen van deze titel van toepassing».
(Trad.: 1. Il contratto di lavoro è l'accordo in base al quale una parte, il lavoratore, si
impegna a lavorare per un certo periodo di tempo al servizio dell'altra parte, il datore di
lavoro. 2. Quando un accordo soddisfi sia la definizione del paragrafo 1 che quella di un altro
tipo speciale di contratto regolato dalla legge, le disposizioni del presente titolo e le
disposizioni per l'altro tipo di accordo si applicano congiuntamente. In caso di conflitto, si
applicano le disposizioni del presente titolo).
(90) V. Pietrogiovanni, L’importanza di chiamarsi lavoratori, ossia delle corti del Regno Unito
alle (p)rese con il lavoro a chiamata sulle piattaforme, LLI, 2019, 5, n. 1, 44-67.
(91) “In this Act ‘employee’ means an individual who has entered into or works
under (or, where the employment has ceased, worked under) a contract of employment” (art.
230 (1) Employment Rights Act).
(92) In this Act “worker” (except in the phrases “shop worker” and “betting
worker”) means an individual who has entered into or works under (or, where the
employment has ceased, worked under)—[… ]
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I. 29
M. BARBIERI, Della subordinazione dei ciclofattorini
si è tradotta nel fatto che “la serie minima di diritti garantiti in favore dei
workers non può rappresentare in alcun modo un argine effettivo al dilagare
dello sfruttamento e delle disuguaglianze a cui quotidianamente sono
sottoposti gli autisti di Uber o i ciclofattorini di Deliveroo”(94).
E che questa esperienza sia interessante lo sostiene lo stesso autore da
ultimo citato, che ha effettuato una analisi accurata della giurisprudenza inglese
sul punto, affermando che “l’esperienza britannica dovrebbe servire da monito
a tutte le iniziative legislative che spuntano in giro per l’Europa che ambiscono
tanto alla creazione del tertium genus lì dove non c’è, quanto alla creazione di un
plateau di diritti fondamentali per tutti, aggirando o svuotando la funzione
ermeneutica del procedimento qualificatorio”(95): constatazione, del resto,
condivisa anche da chi altrove ha scritto, a proposito della parasubordinazione
italiana e dei TRADE spagnoli, che “ces statuts intermédiaires ont fonctionné
comme des trappes à salariat”(96).
4.
Le proposte legislative: a) in altri Paesi…
In Portogallo è stata approvata una disposizione di legge specifica per il
servizio di trasporto privato su auto prive dei distintivi dei taxi, che investe
anche il rapporto di lavoro degli autisti attraverso il rinvio dell’art. 10 della
legge n. 45/2018 all’art. 12 del Codigo do Trabalho, cioè alla presunzione di
esistenza del contratto di lavoro (subordinato)(97).
(b)any other contract, whether express or implied and (if it is express) whether oral
or in writing, whereby the individual undertakes to do or perform personally any work or
services for another party to the contract whose status is not by virtue of the contract that of
a client or customer of any profession or business undertaking carried on by the individual”
(art. 230 (3) Employment Rights Act).
(93) Quelle previste dalle norme di legge sull’orario di lavoro, sul salario minimo
nazionale, sulle discriminazioni, nonché sul whistleblowing.
(94) V. Pietrogiovanni, L’importanza, cit., 65.
(95) Ibidem. Del resto, anche chi invece è favorevole al tertium genus, ha finito per
riconoscere che casi come quello degli autisti di Uber andrebbero classificati come employees
(G. Davidov, Setting labour law’s coverage: between universalism and selectivity, in A. Perulli (a cura
di), Lavoro autonomo e capitalismo delle piattaforme, cit., 49-80, e qui rispettivamente 67-70 e 79.
Contra A. Perulli, Capitalismo delle piattaforme, cit., 139-145.
(96) Groupe de recherches pour un autre Code du travail, Proposition de Code du Travail,
cit., 2, Paris, Dalloz, 2017.
(97) J. Leal Amado, T. Coelho Moreira, La legge portoghese sul trasporto passeggeri tramite
piattaforma elettronica: soggetti, rapporti e presunzioni, LLI, 2019, 5, 1, 47-81.
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M. BARBIERI, Della subordinazione dei ciclofattorini
Non mi constano altre leggi approvate, sebbene in diversi Paesi
latinoamericani (dal Cile alla Costa Rica, all’Uruguay, all’Argentina) siano in
corso iniziative legislative, tuttavia più orientate alla regolazione dei rapporti di
convivenza tra i taxi e queste nuove forme organizzative del trasporto di
passeggeri che non alla disciplina dei rapporti intercorrenti tra i gestori delle
piattaforme digitali e le persone che prestano la propria opera per la
realizzazione del servizio a vantaggio della clientela. Peraltro, tanto in alcuni di
questi Paesi quanto in Spagna(98) l’iniziativa legislativa è stata trasferita alle
istituzioni subnazionali, sempre perché la questione è venuta all’attenzione
sotto il profilo del servizio di trasporto e non già della disciplina del rapporto
di lavoro.
In Spagna, dove il contenzioso in sede giurisdizionale è stato
particolarmente vivace e alterno negli esiti(99), e dove si è registrato anche un
notevole intervento degli organi ispettivi, in Italia del tutto mancato per ragioni
oscure, si è avuta una prima proposta di intervento specifico già alla fine del
2017, ad opera di un parlamentare di UP che ha presentato una interrogazione
volta ad accertare se il governo dell’epoca intendesse regolare le condizioni dei
lavoratori su piattaforma digitale(100), cui tuttavia il governo Rajoy replicò
affermando che la materia di cosa fosse una relazione di lavoro (subordinato)
fosse già ben definita nel diritto del lavoro spagnolo, onde non fosse
opportuna una modifica legislativa.
Successivamente, a fronte dell’attivismo degli organi ispettivi e
dell’orientamento prevalente della giurisprudenza, è stata l’organizzazione
datoriale delle imprese del settore (Adigital) a richiedere un intervento
legislativo di adeguamento della nozione di subordinazione per preservarne
queste forme organizzative(101).
Tuttavia, allo stato le vicende politiche spagnole, con le ripetute
interruzioni della legislatura, hanno sinora impedito che la discussione, con le
sue opposte prospettazioni, giungesse a uno sbocco legislativo.
(98) Con il Real Decreto-ley 13/2018, de 28 de septiembre, si sono trasferite le
competenze regolatorie del servizio svolto in ambito urbano a Comunidades autónomas e
Ayuntamientos.
(99) E. Colàs-Neila, Prestación de servicios a través de plataformas digitales en la doctrina judicial
española¿ Trabajadores por cuenta ajena o autónomos?, LLI, 2019, 5, n. 1, 19-46.
(100) BOCG. Congreso de los Diputados, serie D, núm. 268, de 15 de diciembre de
2017, p. 35 (Alberto Rodríguez Rodríguez).
(101) V. da ultimo https://www.adigital.org/?noticias=adigital-celebra-anuncio-delgobierno-crear-una-mesa-dialogo-abordar-debate-del-trabajo-plataformas, 6 marzo 2019, e
nello stesso sito altre prese di posizione precedenti, cui ha espresso sostegno un parlamentare
di C’s (Sergio Del Campo).
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M. BARBIERI, Della subordinazione dei ciclofattorini
In Francia, invece, dove il concetto di subordinazione ha origine nella
giurisprudenza degli anni Trenta del secolo scorso, la dottrina pro-labour aveva
proposto una opera complessa di riscrittura orientata del Code du Travail(102), la
quale contiene una interessante proposta di riscrittura del concetto di salariato
articolato tra salarié, salarié autonomes, e salarié externalisés, sulla quale non ci si
può qui intrattenere.
Al contrario, una volta in carica un governo liberale come quello di
Macron, il legislatore si sta orientando nel senso opposto, prevedendo all’art.
20 del Projet de loi d’orientation des mobilités, adottato il 19 novembre dall’Assemblée
nationale e attualmente sottoposto al controllo a priori del Conseil
constitutionnel su ricorso di un gruppo di senatori, l’applicazione ai lavoratori
che svolgano le attività di conduzione di un veicolo da trasporto con
conducente, o di distribuzione di mercanzie con un veicolo a due o tre ruote,
motorizzato o no, di una carta sociale, soggetta ad omologazione
amministrative per verificarne la conformità alle previsioni legali; nonché,
direttamente, il diritto a rifiutare una prestazione e quello a disconnettersi,
senza subire conseguenze negative, più altre disposizioni di minore rilievo.
Quel che è più importante ai fini del discorso che qui si conduce, è che
questo intervento legislativo, introducendo un art. L. 1326-1 al Code des
transports, si riferisce espressamente “ai lavoratori definiti all’articolo L. 7341-1
del Code du travail103 che ricorrano per la loro attività alle piattaforme
menzionate all’articolo L. 7342-1 dello stesso codice(104)”.
Dunque, sin dall’intervento legislativo del 2016 che ha introdotto le
norme ora richiamate, e ancora in quest’ultimo, il legislatore francese sembra
orientarsi verso una tutela di spettro limitato e rivolta esclusivamente verso
lavoratori qualificabili come autonomi: così, senza prendere una posizione
espressa, si spinge implicitamente la giurisprudenza verso una tale
qualificazione, e tuttavia non le si preclude quella di rapporti di lavoro
subordinato: che infatti è prevalsa, come si è visto, innanzi alla Cour de
Cassation.
(102) Si veda Groupe de recherches pour un autre Code du travail, Proposition de Code
du Travail, Paris, Dalloz, 2017.
(103) Cioè “lavoratori autonomi che ricorrano per l’esercizio della loro attività
professionale a una o più piattaforme di collegamento per via elettronica definite all’art 242
bis del codice generale delle imposte”.
(104) Che dispone: “quando la piattaforma determina le caratteristiche della
prestazione di servizio fornita o del bene venduto e fossa il suo prezzo, essa ha, a riguardo
dei lavoratori coinvolti, una responsabilità sociale che si esercita alle condizioni previste nel
presente capitolo”. Entrambe queste previsioni sono state introdotte con l’art. 60 della Loi n.
2016-1088 dell’8 agosto 2016.
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M. BARBIERI, Della subordinazione dei ciclofattorini
… b) in Italia
b1) prima del decreto legge n. 101/2019 e della legge di
conversione n. 128/2019
In Italia, forse anche per la minore diffusione che ha avuto, ancora per
conflitti con gli esercenti la tradizionale attività di taxi, il servizio di Uber,
Cabify, eccetera, non è stata tra gli autisti, a differenza che nel Brasile o nel
Regno Unito, che è nata la rivendicazione di un intervento, legislativo o
giurisprudenziale, che fornisse livelli minimi di tutela ai lavoratori delle
piattaforme digitali, mentre un singolare processo di sindacalizzazione, svoltosi
in larga prevalenza al di fuori delle – sebbene non in polemica espressa con le
– organizzazioni sindacali esistenti si è svolto tra i ciclofattorini(105).
Dal punto di vista delle proposte legislative, la prima – se non erro – è
stata quella presentata da Pietro Ichino e altri (AS 2934) il 5 ottobre 2017, la
quale, in dichiarata continuità con l’interpretazione che lo stesso primo
firmatario fornì della vicenda dei pony express negli anni ’80 del secolo scorso,
appare orientato dall’idea, non certo nuova, di un tertium genus tra lavoro
subordinato e lavoro autonomo(106). Qui la novità, a giudizio dei proponenti,
consisteva non nella dipendenza economica o nella durata del tempo del
rapporto con un unico creditore delle prestazioni, bensì proprio nel fatto che
la disintermediazione consentita dalla piattaforma digitale determinasse una
totale esposizione alla concorrenza dei simili, cui ci si proponeva di rimediare
da un lato con un moderato salario minimo e dall’altro attraverso la disciplina
di un rapporto di nuovo conio con le umbrella companies, denominato “contratto
di assistenza e protezione mutualistica”, in modo che fossero queste ultime a
farsi carico di una parte delle funzioni -riscossione dei compensi, mutualità che
assicurasse continuità di reddito, copertura previdenziale – conservando
tuttavia ai partecipanti il carattere di lavoratori autonomi e una propria
clientela.
Si trattava, dunque, di una proposta volta a spingere verso
l’autoimprenditorialità la qualificazione di queste forme di lavoro,
conformemente alla fede ideologica nelle virtù salvifiche del mercato propria
del primo firmatario.
(105) Una interessante ricostruzione in N. Quondamatteo, Non per noi ma per tutti. La
lotta dei riders e il futuro del mondo del lavoro, Asterios, 2019.
(106) Improprio appare invece il riferimento della relazione, peraltro dichiarato
parziale, alla legge francese sugli entrepreneurs salariés (L. n° 2014-856 du 31 juillet 2014 in tema
di economia sociale e solidale), assimilabili piuttosto ai nostri soci lavoratori di cooperative di
produzione e lavoro.
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M. BARBIERI, Della subordinazione dei ciclofattorini
Anche a questo progetto si deve applicare l’osservazione appena fatta in
tema del progetto governativo francese: “il fatto che atti normativi abbiano
ipotizzato la possibilità che il lavoro in esame assuma natura autonoma, non
esclude che il lavoro stesso, nella sua contingente manifestazione ed in
presenza degli elementi che caratterizzano la subordinazione, assuma […]
natura subordinata”(107).
Tuttavia, la fine della legislatura dopo pochi mesi e la non ricandidatura
dello stesso Ichino ha fatto sfumare dal dibattito politico questa proposta.
Tuttavia, l’emergere del conflitto sindacale e le prime pronunce
giurisdizionali hanno contribuito anche nell’attuale legislatura, inaugurata da
poco più di un anno, a tenere viva l’attenzione sul tema di un possibile
intervento legislativo.
Innanzitutto, il Ministro del Lavoro incontrò alcuni gruppi di riders e
sollecitò uffici e consulenti esterni alla predisposizione di una bozza di
interventi legislativo ad hoc.
In realtà, un gruppo di consulenti esterni al Ministero, giuristi ed
economisti, dopo una larga discussione cui chi scrive ha partecipato, produsse
una bozza il cui testo è trapelato, e che sembrava destinata a essere parte di
quello che poi è stato chiamato “decreto dignità”(108).
Qui l’impostazione era del tutto differente: l’intervento legislativo
prospettato incideva direttamente sul campo di applicazione dell’art. 2094,
interpretandone il significato nel senso che “sotto la direzione” fosse da
interpretare nel senso che la direzione si esplicasse mediante “direttive, almeno
di massima e anche se fornite a mezzo di applicazioni informatiche”. In questo
primo passaggio, peraltro discutibile, appariva la volontà di ridurre l’intensità
della direzione minima necessaria all’identificazione di questo elemento
strutturale della fattispecie, e di ammetterne l’esercitabilità anche per via della
stessa app con la quale la piattaforma prescrive la prestazione, conformemente
per esempio alla pratica di Uber di indicare all’autista un itinerario ottimale, sia
pure non vincolante.
Ancor più rilevante, soprattutto ai fini del contenzioso giurisdizionale di
cui si è parlato nel paragrafo precedente, era la successiva puntualizzazione per
la quale che la subordinazione fosse rinvenibile pure “nei casi nei quali non vi
sia la predeterminazione di un orario di lavoro e il prestatore sia libero di
(107) Così Cass. 5 maggio 2005, n. 9343.
(108) La si può leggere in http://www.bollettinoadapt.it/norme-in-materia-di-lavorotramite-piattaforme-digitali-applicazioni-e-algoritmi-decreto-dignita/. V. Maio, op. cit., 595 nt.
43, la definisce “poco equilibrata”.
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M. BARBIERI, Della subordinazione dei ciclofattorini
accettare la singola prestazione richiesta, se vi sia la destinazione al datore di
lavoro del risultato della prestazione e se l’organizzazione alla quale viene
destinata la prestazione non sia la propria ma del datore di lavoro”.
Qui si intendeva evidentemente dare una correzione all’indirizzo
ermeneutico, giurisprudenziale e dottrinale, che aveva gravato l’art. 2094 c.c. di
elementi in realtà esterni alla fattispecie, che se presenti ben potevano essere
adoperati quali indici della subordinazione secondo l’id quod plerumque accidit,
ma la cui assenza non avrebbe dovuto determinare in alcun modo l’esclusione
della subordinazione, come ci ha ricordato la giurisprudenza di legittimità in
diverse occasioni nell’ultimo ventennio e ancora l’anno scorso, soprattutto ma
non soltanto a proposito di personale delle agenzie di scommesse ippiche.
In particolare, non è stato considerato un elemento strutturale della
fattispecie del lavoro subordinato la continuità della prestazione, sin dalla Cass.
17 agosto 1983, n. 5366(109), onde la “scarsità e saltuarietà delle prestazioni
rese”(110) non costituisce un elemento idoneo alla qualificazione del rapporto
come autonomo(111): fatto del più grande interesse ai fini della ricostruzione,
che non può essere oggetto di questo lavoro, di quell’altro singolare istituto del
diritto del lavoro italiano che è il lavoro occasionale(112), oltre che,
evidentemente, per liquidare l’idea che i “lavoretti”, la gig economy, possano
prescindere per ragioni puramente quantitative dal problema qualificatorio.
Ancora, è stata elaborata la nozione – invero non rigorosa dal punto di vista
tecnico – della c.d. subordinazione attenuata, a indicare la consapevolezza da
parte della giurisprudenza del fatto che in certi casi la subordinazione consiste
essenzialmente “nell’inserimento continuativo nell’ambito dell’organizzazione
dell’impresa […] tale inserimento può manifestarsi in vari modi e pertanto
anche implicitamente nelle direttive programmatiche coincidenti con la stessa
struttura aziendale”(113). È indubbio che in questa giurisprudenza si riflettesse
la consapevolezza della riconducibilità alla fattispecie del lavoro subordinato di
(109) V. pure Cass. 5 novembre 1986, n. 6476; Cass. 1° luglio 1999, n. 6761; Cass. 10
luglio 1999, n. 7304; Cass. 5 maggio 2005, n. 9343; Cass. 1° agosto 2008, n. 21031; Cass. 7
gennaio 2009, n. 58; da ultimo Cass. 13 febbraio 2018, n. 3457.
(110) Così Cass. 10 luglio 1999, n. 7304. In termini Cass. 7 gennaio 2009, n. 58.
(111) Invece, incautamente, App. Torino 4 febbraio 2019, cit., ricava dalle modalità
temporali di svolgimento della prestazione (durata tra i sei e gli undici mesi, prestazione
“decisamente inferiore alle 20 ore settimanali”) l’incongrua conclusione che si tratti “di
modalità […] già di per sé poco compatibili con la natura subordinata dei rapporti di lavoro”.
(112) Convincente V. Pinto, Prestazioni occasionali e modalità agevolate di impiego tra passato
e futuro, in G. Zilio Grandi, M. Biasi (a cura di), Commentario breve allo Statuto del lavoro autonomo
e del lavoro agile, Cedam, 2018, 169-194.
(113) Così Cass. 29 maggio 1991, n. 6086, che prosegue: “e, quindi, non
necessariamente in espressi e continui ordini e controlli del datore di lavoro”.
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M. BARBIERI, Della subordinazione dei ciclofattorini
quelli che abbiamo chiamato lavori poco prescritti; ma, al di là della non
appropriatezza della categoria della c.d. subordinazione attenuata, perché qui
non si attenuava alcunché, semplicemente si sussumeva nella fattispecie legale
una serie di casi concreti che evidentemente apparivano in essa riconducibili, è
estremamente interessante notare come già da un trentennio, e addirittura
prima della sentenza della Corte costituzionale n. 30/1996, si facesse
coincidere la direzione del lavoro con l’organizzazione stessa dell’impresa, con
la conseguenza implicita ma innegabile che l’eterodirezione si risolvesse
nell’eterorganizzazione, soprattutto nei rapporti di breve durata(114).
Addirittura, la giurisprudenza ha risolto il “potere direttivo, disciplinare e di
controllo, esercitato dal datore” in “una predisposizione; il datore predispone,
in una misura maggiore o minore (a seconda del livello più o meno elevato del
lavoro), i luoghi, i tempi e le modalità della prestazione (che è pertanto
eterodiretta)”, con una ancor più netta soluzione dell’eterodirezione
nell’eterorganizzazione, che culmina nell’affermazione che “l'esistenza d'un
potenziale potere disciplinare […] non è parte del parametro normativo della
subordinazione: la relativa assenza non la esclude”(115).
Dunque, su questi precedenti nella giurisprudenza di legittimità, si
fondava la proposta che qui si esamina per ricondurre alla eteroorganizzazione, oltre che all’alienità del risultato produttivo, la corretta
interpretazione dell’art. 2094 c.c., essendo peraltro proposto di precisare che
fosse irrilevante anche l’eventuale uso di strumenti produttivi in parte proprio
del prestatore, come appunto accade nei casi degli autisti o dei ciclofattorini di
cui si parla. L’eterorganizzazione, peraltro, si definiva sussistesse “qualora la
prestazione di lavoro avvenga tramite piattaforme digitali, applicazioni e
algoritmi elaborati dal datore di lavoro o per suo conto, a prescindere dalla
titolarità degli strumenti attraverso cui è espletata la prestazione”.
Si trattava, in questa logica, di sfruttare la storica plasticità della
fattispecie del lavoro subordinato, per adeguarla interpretativamente (sebbene
non fosse accolta neppure nella bozza l’idea di farne una norma di
interpretazione autentica) alle nuove forme organizzative del lavoro al fine di
estendere pienamente le tutele, o almeno quel tanto di tutele che un’opera
ventennale di demolizione ha lasciato al lavoro subordinato. In questa logica
va anche intesa la disposizione che proponeva l’abrogazione dell’art. 2 d.lgs. n.
81/2015, che non avrebbe avuto più alcuna ragion d’essere, essendo evidente
(114) Cass. 10 luglio 1999, n. 7304.
(115) Così Cass. 5 maggio 2005, n. 9343, poi ripresa da Cass. 13 febbraio 2018, n.
3457.
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M. BARBIERI, Della subordinazione dei ciclofattorini
che l’organizzazione della prestazione da parte del committente sarebbe
pienamente rientrata nella definizione del lavoro subordinato, quand’anche la
prestazione di lavoro non fosse stata “esclusivamente personale” ma
accompagnata dall’uso di limitati strumenti produttivi di proprietà del
lavoratore.
Perciò, si presentava come un fuor d’opera l’art. 7, ultimo della
proposta, che indicava come ai ciclofattorini che consegnassero pasti a
domicilio – una delimitazione del campo di applicazione priva di qualunque
giustificazione né sistematica né pratica – si dovessero applicare le disposizioni
degli articoli precedenti, che si sarebbero comunque dovute applicare anche in
assenza di tale previsione, nonché quelle generali sul lavoro subordinato, se le
prestazioni fossero espletate nell’ambito di apposita organizzazione apprestata
dal committente, ancorché il veicolo fosse di proprietà del fattorino e questi
avesse facoltà di determinare l’ordine di precedenza delle consegne.
Si avverte qui l’eco di quella disputa, che si sta svolgendo in tutti gli
ordinamenti, tra l’idea di una normativa ritagliata più o meno ad hoc, e che
magari non prenda posizione sul dilemma qualificatorio, ma si limiti a dettare
delle tutele più o meno ridotte, e la differente idea di ricondurre alla disciplina
generale della subordinazione il fenomeno del lavoro con piattaforme digitali,
eventualmente aggiungendovi alcune discipline specifiche per tenere conto
delle peculiarità organizzative del lavoro: per esempio, della difficoltà di
precisare l’orario di inizio della prestazione.
Infatti, nella proposta ora in esame una serie di altri articoli
disponevano tutele specifiche, sia relative al trattamento economico, con una
anticipazione delle norme ora in discussione in tema di salario minimo legale e
con il divieto di cottimo; all’organizzazione del lavoro, con la definizione di
algoritmo ai fini della partecipazione sindacale per la assegnazione dei turni, la
distribuzione delle occasioni di lavoro e dei luoghi di esecuzione delle
prestazioni di lavoro, e per la valutazione delle prestazioni di lavoro eseguite,
chiaramente esemplata sul modello del cottimo stesso; al diritto alla
disconnessione e all’orario di lavoro, con la rilevante distinzione tra
retribuzione della prestazione effettuata, e corresponsione di una indennità per
il periodo in cui il prestatore, pur non effettuando alcuna prestazione sia
restato a disposizione, sul modello di uno dei sottotipi del lavoro intermittente.
Quest’ultima previsione riveste particolare interesse, poiché investe
direttamente il modello organizzativo con cui attualmente operano le imprese
che gestiscono le piattaforme. È evidente infatti che fissando l’indennità
troppo in basso si otterrebbe la prosecuzione del modello attuale, in cui un
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M. BARBIERI, Della subordinazione dei ciclofattorini
numero potenzialmente illimitato di soggetti è a disposizione e l’impresa ha
interesse appunto ad incrementarne il numero sia per ragioni organizzative –
essere sempre in grado di soddisfare i picchi di domanda della clientela – sia
per alimentare l’autodisciplinamento del lavoro derivante da una larghissima
concorrenza volta a ripartirsi introiti scarsi. Altresì, fissandola troppo in alto
l’impresa sarebbe disincentivata a inserire nei turni lavoratori per i quali
dovrebbe in qualche maniera sostenere dei costi, con l’effetto di un
irrigidimento organizzativo potenzialmente eccessivo.
La questione era risolta, nella bozza, riprendendo il modello del lavoro
intermittente, cioè demandando la fissazione dell’indennità di disponibilità ai
contratti collettivi, con la previsione di un minimo da parte di un decreto
ministeriale, da emanare ascoltate le parti sociali.
Questa bozza suscitò un certa quantità di polemiche giornalistiche,
specie da parte delle aziende del settore(116) e sedicenti esperti, e questo
indusse il Ministro a ritirarla dal tavolo, preferendo cercare una via negoziale.
Con una non frequente iniziativa, è stato poi il Consiglio regionale del
Piemonte, dopo una articolata discussione, a presentare alle Camere,
nell’esercizio del potere conferitogli ex art. 121, co. 2, Cost., un progetto di
legge, approvato nella seduta del 22 gennaio 2019 (attualmente giacente alla
Camera dei deputati: C1592, presentato il 12 febbraio 2019). ), a cui ha fatto
seguito, in data 3 luglio 2019, la proposta, sostanzialmente analoga, del
Consiglio Regionale dell’Emilia Romagna (n. 1393).
La proposta piemontese riprende largamente la bozza di cui si è
parlato sopra, pur essendo stata frutto di una ampia convergenza politica che
non ha visto voti contrari, con qualche maggiore precisazione in tema di forma
del contratto, libertà di opinione, tutela antidiscriminatoria, protezione dei dati
personali e controlli, per i quali ultimi si afferma l’applicabilità degli artt. 2, 3, 6
e 8 dello statuto dei lavoratori anche a chi lavori tramite piattaforma, il che
invero sarebbe stato già ricavabile dall’impianto generale della proposta.
Per quanto riguarda i problemi qualificatori, la differenza rispetto alla
bozza sopra esaminata stava nel fatto che si parlava di subordinazione in
presenza di “direttive, anche se fornite esclusivamente a mezzo di applicazioni
informatiche, dell’imprenditore”.
A questa proposta si è poi aggiunta quella del Consiglio regionale
dell’Umbria, che è uguale alla precedente, salvo il diverso ordine degli articoli,
(116) Molto violente le parole dell’amministratore di Foodora in
https://www.corriere.it/economia/18_giugno_16/con-decreto-maio-saremmo-costretti-adabbandonare-l-italia-879a2cc6-71a3-11e8-8802-09859fdb268.shtml?refresh_ce-cp.
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che è stata presentata al Senato il 26 marzo 2019 (S1198) e assegnata alla
Commissione lavoro in sede redigente il 13 maggio 2019. Risulta che l’ultima
proposta regionale, del Consiglio regionale delle Marche (C-2114), sia stata
depositata in Parlamento il 25 settembre 2019: il suo contenuto riprende, nei
primi articoli, i precedenti disegni regionali, ma se ne discosta riproducendo
all’art. 6 parzialmente il contenuto del decreto legge n. 101/2019, estendendo
l’applicazione dell’art. 2 del D. Lgs. n. 81/2015 anche al lavoro svolto tramite
piattaforma digitale.
Bisogna aggiungere che esisteva una proposta del Pd (C1497,
presentata il 15 gennaio 2019), prima firmataria Serracchiani, che esprimeva
una linea completamente diversa dalle precedenti, giacché si propone di
definire “le garanzie minime che devono essere riconosciute ai lavoratori
impiegati nelle predette attività, qualunque sia la tipologia contrattuale
applicata”: dunque, si ripropone l’elusione del dilemma qualificatorio.
Le garanzie minime di cui tratta questo progetto consistono
nell’obbligo di assicurare i lavoratori contro gli infortuni e le malattie
professionali, ma non necessariamente con l’INAIL, nonché per la
responsabilità civile; nell’obbligo di fornire al lavoratore dispositivi di
protezione; nel diritto alla disconnessione, peraltro qui rinviato per le modalità
al contratto individuale salvo il divieto di geolocalizzazione al di fuori delle fasi
di prestazione; nel diritto all’informazione sui “parametri utilizzati per la
determinazione della prestazione lavorativa nonché delle modalità di
elaborazione delle procedure di valutazione dell’attività svolta”. Vi è inoltre
una disposizione senza precetto, nella quale si consente ai contratti collettivi di
prevedere ulteriori tutele. Per quanto riguarda il trattamento economico, la
proposta del Pd imponeva “una retribuzione oraria non inferiore ai minimi
tabellari definiti dagli accordi collettivi di settore sottoscritti dalle
organizzazioni sindacali nazionali comparativamente più rappresentative per
prestazioni equivalenti o equiparabili”, senza che sia chiaro, è dall’articolato né
dalla relazione, se si tratti dei minimi definiti dai Ccnl per i lavoratori
subordinati che svolgano prestano equivalenti o equiparabili, o se le
proponenti abbiano in mente accordi ad hoc, sul modello dell’art. 2, co. 2, lett.
a), d. lgs. n. 81/2015.
Ancora diversa è un’altra proposta del Pd, ad opera del senatore
Nannicini (S699, presentata il 20 luglio 2018), nella quale si prevedeva, in
mancanza degli accordi collettivi previsti dall’art. 2, co. 2, lett. a), d.lgs. n.
81/2015, l’estensione della disciplina del lavoro subordinato anche ai “casi in
cui le modalità di esecuzione sono organizzate dal committente attraverso
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strumenti o procedure informatizzate”, il che si sarebbe potuto comunque
ricavare anche dal testo vigente dell’art. 2 d.lgs n. 81/2015, e si aggiungeva
l’estensione della normativa vigente in tema di sicurezza del lavoro anche ai
lavoratori mediante piattaforme digitali.
Infine, vi è stata la legge regionale del Lazio 12 aprile 2019, n. 4(117), la
quale, su una più che dubbia base di competenza legislativa regionale, si rivolge
ai lavoratori digitali “indipendentemente dalla tipologia e dalla durata del
rapporto di lavoro” – il che in questo caso potrebbe apparire una
manifestazione di apprezzabile self restraint, non appartenendo certo al
legislatore regionale la qualificazione giuridica di un rapporto di lavoro.
Tuttavia, l’impressione è smentita dal contenuto successivo della legge,
nella quale, se da un lato si promette il sostegno regionale, si deve supporre
anche di natura finanziaria dato che sono previsti appositi stanziamenti, agli
interventi in tema di informazione sui diritti, formazione in materia di salute e
sicurezza, e forme di tutela integrativa in materia di previdenza e assistenza,
d’altra arte però si impongono alle imprese del settore obblighi, sanzionati
amministrativamente, in materia di tutela della salute e della sicurezza, tutela
assistenziale e previdenziale, compenso orario minimo e divieto di cottimo(118),
informativa preventiva al lavoratore digitale, parità di trattamento e non
discriminazione con riferimento al rating reputazionale, che appaiono
nettamente eccedere ogni sia pure estensiva interpretazione delle competenze
legislative regionali ex art. 117 Cost., e in particolare della “tutela e sicurezza
del lavoro” come materia di legislazione concorrente ex art. 117, co. 3, Cost.
Più importante di tutto quello che si è discusso sinora, però, mi pare il
fatto che in tutte le principali discussioni legislative in materia di lavoro –
decreto dignità, reddito di cittadinanza, decreto crescita e ora salario minimo
legale – vi siano stati emendamenti, non solo da parte di alcune forze di
opposizione ma anche della stessa principale forza di maggioranza che esprime
il Ministro del Lavoro, volti a introdurre una qualche disciplina del lavoro
mediante piattaforme digitali.
È certo tuttavia che le proposte sin qui note, e qui brevemente
considerate, appaiono raggruppabili secondo diversi criteri. Innanzitutto vanno
considerate quelle che restano indifferenti al tema qualificatorio, e che si
occupano solo di predisporre talune tutele: con il che, evidentemente, le
(117) Per un commento al d.d.l. prima che fosse approvato, si rinvia a L. Torsello, Il
lavoro dei riders. L’iniziativa di legge della Regione Lazio, Diritti Regionali, 2018, n. 3.
(118) Su questo invero esisteva un precedente, anche quello giustificato dalla sicurezza
del lavoro, nell’art. 139 della legge regionale Piemonte 17 dicembre 2018, n. 19.
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prevedono per il solo caso in cui la risposta al dilemma qualificatorio sia nel
senso del lavoro autonomo, perché se invece fosse nel senso del lavoro
subordinato, come ben potrebbe essere anche ove il legislatore associasse la
propria nuova disciplina al lavoro autonomo e come ci ha spiegato la
giurisprudenza citata in questo paragrafo, evidentemente non ci sarebbe
questione, dovendosi applicare per intero le tutele per lo stesso lavoro
subordinato previste, come mostra di sapere il preannunciato emendamento
ministeriale. In contrapposizione, possiamo considerare invece quelle che
intervengono a chiarire la fattispecie dell’art. 2094 c.c., e che estendono ai
lavoratori che operano mediante queste piattaforme lo status del lavoratore
subordinato con le relative tutele, che poi specificano per vari aspetti.
Potremmo ancora distinguere tra le proposte che affidano un ruolo
centrale all’autonomia collettiva, e quelle che invece lasciano uno spazio al
contratto individuale, o all’iniziativa unilaterale delle imprese che gestiscono le
piattaforme.
Tuttavia, si deve osservare che lo stesso reiterato porsi del tema di un
intervento legislativo nei dibattiti parlamentari dell’anno e mezzo intercorso
dall’inizio della legislatura, sembra indicare che, pur nella diversità delle
impostazioni, fosse diffusa la percezione dell’opportunità di tale intervento:
percezione che del resto, come si è detto, non è affatto propria solo
dell’ordinamento italiano.
b2) Il decreto legge n. 101/2019 e la legge di conversione n.
128/2019
Questa necessità di intervento legislativo si è tradotta dapprima nel
decreto-legge 3 settembre 2019, n. 101 (in realtà preparato anteriormente alla
crisi del primo Governo Conte), e poi – con altro Governo, altra maggioranza
parlamentare e altri equilibri politici – nella legge di conversione 2 novembre
2019, n. 128. Tra il primo e il secondo testo vi sono, per il tema qui in
discussione, modificazioni assai rilevanti.
Nell’art. 1 del decreto-legge n. 101/2019, il legislatore ha evitato di
intervenire sulla fattispecie dell’art. 2094 c.c. – che sarebbe stata la strada
sistematicamente più adeguata(119) – e in genere di prendere posizione sul tema
(119) In termini R. Riverso, op. cit. Contra, con riferimento all’art. 2, co. 1, d.lgs. n.
81/2015, P. Tullini, Il lavoro nell’economia digitale, cit., 185, parlando di accogliere positivamente
il “pragmatismo legislativo” (che però sarebbe una critica, indicando mancanza di
consapevolezza sistematica e di progetto).
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M. BARBIERI, Della subordinazione dei ciclofattorini
qualificatorio. Ha preferito limitarsi da un lato a dichiarare applicabili le
previsioni dell’art. 2, co. 1, d. lgs. n. 81/2015 – cioè l’estensione ai
collaboratori etero-organizzati della disciplina sul rapporto di lavoro
subordinato – anche qualora le modalità di esecuzione elle prestazione fossero
etero-organizzate mediante piattaforme digitali(120); e dall’altro a predisporre,
attraverso l’introduzione nel d. lgs. n. 81/2015 di un Titolo V-bis, di “livelli
minimi di tutela” espressamente destinati ai “prestatori occupati co rapporti di
lavoro o subordinato” nell’attività di “consegna di beni per conto altrui, in
ambito urbano e con l’ausilio di velocipedi o veicoli a motore di cui all’articolo
47, comma 2, lettera a), del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285121,
attraverso piattaforme digitali”.
Abbiamo dunque una norma generale, come generale è la previsione
dell’art. 2, co. 1, d.lgs. n. 81/2015, non limitata ai riders, che era d’altra parte
una norma perfettamente inutile, dato che nulla ostava che l’eteroorganizzazione di cui parlava e parla l’art. 2 risultasse anche dal collegamento
con una piattaforma: il che è stata, evidentemente, la base della sentenza della
Corte d’Appello di Torino di cui si è parlato. D’altro canto, abbiamo
disposizioni legislative che prevedono tutele minime (dunque, norme
lavoristiche speciali inderogabili in peius, anche eventualmente da parte di
contratti di prossimità ex art. 8 d.l. n. 138/2011), nelle quali si parla di
“contratti collettivi” (art. 47-bis, co. 3) a proposito delle modalità di
corresponsione del corrispettivo per il lavoro, che vengono pure definiti
“schemi retributivi”, con linguaggio che evoca quello adoperato dal legislatore
per i rapporti di lavoro subordinato. Questa non limpida neutralità
qualificatoria del decreto-legge può qui non essere discussa in dettaglio, perché
il testo legislativo è stato riscritto, in sede di conversione in legge, da un
emendamento governativo faticosamente concordato tra i gruppi politici della
nuova maggioranza parlamentare.
Nella legge n. 128/2015, il doppio binario è restato, ma il carattere
espansivo delle tutele che caratterizza il nuovo testo ha, per certi aspetti,
aggrovigliato ulteriormente la disciplina.
L’intervento sull’art. 2, co. 1, del d.lgs. n. 81/2015 è diventato assai più
incisivo, facendo rientrare nel campo di applicazione della disposizione – e
dunque, della disciplina del lavoro subordinato – le collaborazioni etero(120) “Anche digitali”, dice la disposizione, rimasta anche identica anche ella
sostituzione operata dalla legge di conversione: fatta salva l’intenzione estensiva, resta
qualche dubbio sul riferimento reale.
(121) Ciclomotori, tre ruote, quadricicli.
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M. BARBIERI, Della subordinazione dei ciclofattorini
organizzate “prevalentemente” – e non più “esclusivamente”, come nel testo
del 2015 – personale, cioè includendo anche i casi in cui il prestatore di lavoro
apporti all’attività elementi strumentali che siano nella propria disponibilità,
che nel caso dei ciclofattorini sono le biciclette.
La scelta legislativa non ha scarso rilievo, considerata la giurisprudenza
di legittimità(122) e di merito(123) che ha adoperato e adopera il possesso e l’uso
di strumenti di lavoro propri quale indice per escludere la sussistenza della
subordinazione, e che dall’avverbio dell’art. 2 avrebbe potuto trarre
l’esclusione anche dal campo di applicazione di quello dei ciclofattorini.
Si deve sottolineare – indipendentemente da ogni considerazione su
questa giurisprudenza, che appare discutibile124: non mi pare che negli anni più
vicini all’emanazione del codice civile qualcuno abbia negato la qualificazione
di lavoratore subordinato ai braccianti agricoli che andavano a mietere il grano
con falci proprie, come era uso – che quando si parla di “prestazioni di lavoro
prevalentemente personali” si intenda cosa differente dal “lavoro
prevalentemente proprio” dell’art. 2222 c.c.
Infatti, in quest’ultimo caso si ritiene che l’apporto personale del
lavoratore autonomo nel contratto d’opera possa sussistere anche in presenza
di una minima organizzazione di mezzi, e in particolare anche nel caso egli si
sia avvalso della collaborazione di altre persone, familiari o meno, talché la
distinzione con la fattispecie del piccolo imprenditore ex art. 2283 c.c. appare
essere stata tracciata dalla giurisprudenza essenzialmente sotto il profilo della
professionalità (e sovente non essere stata tracciata affatto, in particolare dalla
giurisprudenza intenta a distinguere contratto di appalto e contratto
d’opera)(125). Invece, come è stato giustamente osservato in uno dei primi
(122) Cass. 16 aprile 2018, n. 9316; Cass. 4 marzo 2015, n. 4346; Cass. 9 maggio 2003,
n. 7139. Ma v. invece, giustamente, la giurisprudenza di legittimità in tema di qualificazione
come subordinato o meno del rapporto di lavoro degli agenti, che ha costantemente definito
“elementi marginali […] l’appartenenza dei mezzi o strumenti di produzione all’una o all’altra
delle parti contraenti” Cass. 15 maggio 2002, n. 7087, e Cass. 26 novembre 1985, n. 5867;
Cass. 18 gennaio 1984, n. 429; Cass. 10 dicembre 1982, n. 6770).
(123) Da ultimo, Trib. Mantova 8 novembre 2019; App. Bari 7 maggio 2019; App.
Roma 22 marzo 2019; tutte su DeJure.
(124) Contra A. Perulli, L’attività in prevalenza personale esclude la subordinazione dei co.co.org.,
in Il Sole 24 Ore, 16 novembre 2019, ha sostenuto che “la natura prevalentemente personale
della prestazione è del tutto incompatibile con la fattispecie di subordinazione”.
(125) Cass., sez. lav., 2 gennaio 2018, n. 1; Cass. civ., sez. II, 29 maggio 2001, n. 7307;
Cass. civ., sez. II, 17 luglio 1999 n. 7606; Cass. civ., sez. II, 4 giugno 1999 n. 5451; Cass. civ.,
sez. II, 17 settembre 1997 n. 9237; Cass. civ., sez. II, 27 gennaio 1997, n. 819. Sul punto v. G.
Canavesi, Il contratto d’opera, in M. Persiani (diretto da), I nuovi contratti di lavoro, Utet, 2010, 339, e qui 11 ss.
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M. BARBIERI, Della subordinazione dei ciclofattorini
commenti(126), poiché la definizione delle collaborazioni etero-organizzate è
funzionale a definire l’applicazione della disciplina del lavoro subordinato, è
sistematicamente incompatibile che il carattere prevalentemente personale si
definisca rispetto non a una organizzazione di mezzi per quanto esigui ma
rispetto alla collaborazione di altre persone. Dunque, il collaboratore eteroorganizzato non può essere definito tale se si avvale di collaboratori.
Questa conclusione determina due corollari: il primo è che il problema
ha un rilievo pratico, poiché generalmente esiste nel rapporto tra le
piattaforme (per esempio Deliveroo) e i riders la possibilità di farsi sostituire
nell’esecuzione del turno assegnato, la quale – indipendentemente dal
contenuto del programma negoziale, non rilevante ai fini qualificatori di fronte
al rilievo che assume invece la fase esecutiva del rapporto obbligatorio –
appare se concretamente attuata incompatibile con la qualificazione del
rapporto come collaborazione etero-organizzato anche ai sensi del nuovo testo
dell’art. 2, co. 1, d. lgs. n. 81/2015.
Il secondo corollario è che la fisionomia della collaborazione eteroorganizzata ex art. 2, co. 1, d.lgs. n. 81/2015, tanto discussa sin dall’apparizione
nell’ordinamento di questa disposizione(127), appare più lontana e dotata di
caratteri più spiccatamente propri rispetto al lavoro autonomo e anche alle
collaborazioni coordinate e continuative che non rientrino nel campo di
applicazione della norma stessa. Non mi pare, invece, che ci si sia avvicinati
alla concezione espressa dalla Corte d’Appello di Torino, la quale finiva per
restringere significativamente la nozione di subordinazione proprio per
costruire uno spazio applicativo all’art. 2, co. 1, d.lgs. n. 81/2015(128). Credo
che invece le modifiche legislative operate su quest’ultima disposizione
possano indurre a valorizzare l’idea che l’esistenza della subordinazione non
dipenda dall’eterodeterminazione dei tempi e del luogo della prestazione,
cancellati anche per le collaborazioni etero-organizzate, talché di fatto
l’applicazione (non selettiva, ovviamente, non esistendo nulla nella
disposizione legale che consenta simili spericolate acrobazie ermeneutiche(129))
degli effetti della fattispecie lavoro subordinato finiscono per dipendere non
(126) R. Riverso, op. cit.
(127) V. supra nt. 12.
(128) Come ha giustamente osservato F. Martelloni, La Corte d’appello di Torino tira la
volata ai riders di Foodora, in http://www.questionegiustizia.it/articolo/la-corte-d-appello-ditorino-tira-la-volata-ai-riders-di-foodora_17-04-2019. php. M.T. Carinci, op. cit., 352, ha
riferito questa restrizione già all’impostazione del Tribunale di Milano.
(129) In termini M. T. Carinci, op. cit., 354 s.; F. Martelloni, op. cit.; A. Loffredo, M.
Tufo, op. cit., 13.
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M. BARBIERI, Della subordinazione dei ciclofattorini
più dall’eterodirezione, superflua almeno nel caso dell’art. 2, ma dalla sola
etero-organizzazione, comunque attuata(130): in pratica, il legislatore ha operato
per una via sistematicamente tortuosa proprio la riforma dell’art. 2094 c.c. che
aveva deciso politicamente di non affrontare(131). Resta naturalmente
impregiudicata, a questo punto, la tenuta costituzionale della previsione
dell’art. 2, co. 2, lett. a), d.lgs. n. 81/2015, che non si può qui affrontare.
Ancora nel senso dell’allargamento del campo di applicazione delle
tutele va intesa l’abrogazione, nella legge di conversione, della parole “anche
con riferimento ai tempi ai tempi e al luogo di lavoro”: onde l’eteroorganizzazione della prestazione non deve più necessariamente manifestarsi in
relazione ai tempi e al luogo, ma può essere riconosciuta come tale in
qualunque maniera: il riferimento ai tempi avrebbe potuto essere adoperato
per contestarne la riferibilità ai riders, posta la facoltà di rifiutare di volta in
volta l’esecuzione della singola prestazione richiesta dalla piattaforma(132).
Detto questo, in estrema sintesi, sulla riforma delle collaborazioni
etero-organizzate, resta da esaminare, per il profilo d’indagine che qui
interessa, il Titolo V-bis, dedicato – nel differente testo contenuto nella legge di
conversione – ai “lavoratori autonomi” (non più “non subordinati”, come era
nel decreto-legge) che esercitino l’attività anzidetta.
Senonché, il cambiamento ora ricordato, che indubbiamente
contribuisce a ricordare che le modalità esecutive della stessa attività che ne
possono determinare la qualificazione come lavoro subordinato (come a me
pare vero nella grande maggioranza dei casi, alla luce delle prassi in atto), come
collaborazioni etero-organizzate (alla lue della nuova disciplina, sarà forse la
strada prevalente nell’attività ermeneutica della giurisprudenza) o autonome,
coordinate e continuative o occasionali che siano, si scontra con una vistosa
smagliatura tecnica del tessuto legislativo.
Infatti, nell’art. 47-bis, co. 2, il campo di applicazione del primo comma
– delimitato soggettivamente dal carattere autonomo dello svolgimento della
prestazione e oggettivamente dalla natura dell’attività, dai mezzi di svolgimento
della stessa e dal fatto che si svolga “attraverso piattaforme anche digitali” –
(130) Soprattutto se si interpreta, come hanno fatto M.T. Carinci, op. cit., 354, e R. Del
Punta, op. cit., 359, l’art. 2 come norma di disciplina e non di fattispecie.
(131) Da altro punto di vista, R. De Luca Tamajo, La Sentenza della Corte d'Appello
Torino sul caso Foodora. Ai confini tra autonomia e subordinazione, LDE, 2019, n. 1, 1-11, ha infatti
osservato, in critica alla sentenza torinese di secondo grado, che vi sia “difficoltà a seguire la
sentenza in esame nella ricerca di un impalpabile confine tra la fattispecie delineata dall’art. 2
e quella dell’art. 2094 c.c.” (p. 6).
(132) Nello stesso senso A. Perulli, L’attività, cit.
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M. BARBIERI, Della subordinazione dei ciclofattorini
viene precisato nel senso che “ai fini del comma 1 si considerano piattaforme
digitali i programmi e le procedure utilizzati dal committente” – espressione
coerente con il carattere autonomo del rapporto – “che, indipendentemente
dal luogo di stabilimento, sono strumentali alle attività di consegna di beni,
fissandone il compenso e determinando le modalità di esecuzione della
prestazione”.
Qui le differenze con il testo del decreto sono molte. Innanzitutto, il
comma viene riferito, anziché all’intero decreto, al solo comma 1 dell’art. 47bis, dunque al campo di applicazione delle disposizioni del Titolo V-bis. Poi, i
programmi e le procedure informatiche, anziché essere “delle imprese che
organizzano” eccetera, divengono nella legge di conversione, come si è visto
“utilizzati dal committente”. Di conseguenza, mentre nel decreto-legge il
soggetto del periodo “organizzano le attività di consegna dei beni” era
inequivocabilmente “le imprese”, qui sono i programmi e le procedure a essere
“strumentali alle attività di consegna dei beni”. Viene il dubbio che si sia
inteso, in difformità dall’ispirazione della riforma della collaborazione eteroorganizzate sopra sintetizzata, sfumare la qualificazione del titolari della
piattaforme come imprese che organizzano l’attività, nel tentativo, non
destinato al successo, di resuscitare la tesi che le imprese titolari delle
piattaforme non esercitino l’attività ma siano semplici mediatori tra i clienti e
uno stuolo di lavoratori autonomi: tesi già definitivamente bocciata dalla
giurisprudenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea, sia pure a
proposito di Uber e non dei ciclofattorini(133).
Vi è di più. Nel testo del decreto-legge, “fissandone il prezzo” si riferiva
appunto al prezzo che avrebbe dovuto corrispondere il cliente, con il quale
dunque si riconosceva implicitamente ma chiaramente il prestatore di lavoro
non avesse alcun rapporto contrattuale. Qui invece il “prezzo” diventa il
“compenso”, e soprattutto il soggetto, come si è visto, non sono più “le
imprese” ma “i programmi e le procedure informatiche”, che però all’evidenza
non fissano alcun compenso non essendo in grado di esprimere alcuna volontà
che non sia quella di chi ne dispone. Per di più, il comma termina con
“determinando le modalità di esecuzione della prestazione”, che aveva un
senso quando – nel decreto –legge – il soggetto del periodo erano “le
imprese”, mentre, come per l’espressione da ultimo esaminata, ne ha assai
meno quando il soggetto della proposizione sono diventati – nella legge di
conversione – “i programmi e le procedure informatiche”. Soprattutto, nasce
(133) C. giust. UE, Grande Sezione, 20 dicembre 2017, C-434/15, cit.
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un problema: se è l’impresa committente, sia pure tramite la piattaforma e i
programmi che incorpora, a determinare le modalità di esecuzione della
prestazione, cioè etero-dirige l’esecuzione della prestazione stessa, in qual
senso mai si potrebbe predicare di questi lavoratori la qualificazione come
lavoratori autonomi?(134)
Le contraddizioni linguistiche e sistematiche che marcano anche altre
disposizioni del nuovo Titolo V-bis per esempio nella previsione di “contratti
collettivi” -così definiti dall’art. 47-quater -per lavoratori autonomi ai quali però
il legislatore ha dimenticato di attribuire diritti sindacali, l’applicazione indicata
nell’art. 47-quinquies, co. 1, a questi lavoratori autonomi di tutele vagamente
definite che in parte presuppongono appunto diritti sindacali e contratti
collettivi, l’intricata norma dell’art. 47-quinquies, co. 2, che limita la libertà di
organizzazione delle imprese titolari delle piattaforme e la loro stessa libertà
negoziale nei confronti di lavoratori pur sempre qualificati appunto autonomi,
e infine la stessa composizione dell’Osservatorio sull’applicazione del Titolo
V-bis previsto all’art. 47-octies, con i suo riferimenti alle organizzazioni sindacali
comparativamente più rappresentative sul piano nazionale, sono solo segni
aggiuntivi delle inestricabili contraddizioni del compromesso politico che è
stato tradotto nella legge n. 128/2015, tra coloro che desideravano fornire
tutele a un settore di lavoratori particolarmente esposti a fenomeni di
sfruttamento derivate dai modelli organizzativi e contrattuali adottati dalle
imprese titolari delle piattaforme, e coloro che invece tali modelli intendevano
consentire o addirittura proteggere dalle conseguenze dell’intervento
legislativo(135).
Il passo avanti nelle tutele, dunque, c’è stato, ma lo si deve ritenere
essenzialmente confinato alla riforma dell’art. 2 d.lgs. n. 81/2015 contenuta
nella legge di conversione, e solo in secondo luogo nelle norme degli artt. 47quater (di non immediata applicazione), 47-quinquies e 47-septies.
(134) Conf. E. Raimondi, op. cit., che parla di alto «rischio di illegittimità
costituzionale” perché “il legislatore ha proceduto a qualificare come autonomi rapporti di
lavoro che, già nella loro definizione normativa, presentano caratteristiche assai simili alla
subordinazione».
(135) Solo in quest’ultimo senso può essere letto l’art. 47-octies, co. 2, che rinvia di
dodici mesi l’applicazione dell’art. 47-quater relativo ai compensi da corrispondere ai
prestatori di lavoro.
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5.
Una conclusione di politica del diritto
In conclusione, va osservato che la linea interpretativa che qui si
propone prende spunto dal tema nuovo del lavoro mediante piattaforme
digitali per estendersi a questioni di più larga portata.
Si può, nella evoluzione organizzativa, tecnica e sociale delle imprese
odierne, scongiurare quel tramonto della subordinazione che una parte della
dottrina sembra auspicare da parecchi anni, come forma di erosione delle
tutele e di ristabilimento di un nuovo comando datoriale sull’erogazione della
prestazione,
ancorché
sotto
l’insidioso
mascheramento
dell’autodisciplinamento e dell’autosfruttamento del prestatore che si fa, come
si dice con orribile espressione, “imprenditore di se stesso”?
Occorre pur tenere presente che gli spazi che il progresso tecnologico
apre in una serie di lavori sono assai più spazi di discrezionalità dentro regole
eteronome che non di autonomia, anche se noi confondiamo le due cose per
effetto dell’eredità culturale delle Human relations(136).
In fondo, con tutta la tecnologia delle piattaforme, il lavoro del
ciclofattorino (o anche motofattorino) consiste sempre nel guadagnarsi il pane
con il sudore della fronte (e, purtroppo, a rischio della propria vita: quattro
morti nel 2019 da gennaio a ottobre(137)): cioè è un mestiere assai antico, di cui
sono cambiate solo le modalità tecniche e organizzative (più le seconde delle
prime). E il cambiamento ha riguardato in realtà assai più il datore di lavoro e
le forme attraverso le quali i poteri datoriali – di organizzazione, direttivo, di
controllo, disciplinare – sono esercitati, che non la fase esecutiva della
prestazione da parte del prestatore.
L’erosione della subordinazione, dunque, appare manifestarsi sia verso
l’alto, verso i lavori poco prescritti dove gli spazi di cui si diceva tendono a
spostare sull’autoresponsabilità del lavoratore la realizzazione del risultato
atteso dal creditore della prestazione, sia verso il basso, verso i “lavoretti”, dei
quali la marginalità è appunto determinata e segnata non solo dalla ridotta
capacità reddituale che ne deriva – se si preferisce, dalla condizione cronica di
sottosalario o dalla “dipendenza economica”– ma proprio dalla negazione
della posizione giuridica e simbolica di lavoratore.
(136) B. Maggi, De l’agir organisationnel. Un point de vue sur le travail, le bien-etre,
l’apprentissage, Bologna, TAO Digital Library, 2016, vol. I, 12. Egli precisa (B. Maggi, De l’agir
organisationnel. Un point de vue sur le travail, le bien-etre, l’apprentissage, Bologna, TAO Digital
Library, 20162, vol. II, 90), riferendosi alle tesi di H. Simon, che “l’autonomie signifie la capacité
de produire ses propres règles, tandis que la discrétion indique des espaces d’action dans un processus réglé”.
(137)
Fonte:
www.asaps.it/68306-_osservatorio_rider_food_delivery_elenco_
incidenti_aggiornato_al_25_ ottobre _2019.html.
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Ma non si tratta affatto di un esito necessitato, tanto più che è una
favola il collegamento del diritto del lavoro, e della fattispecie attorno alla
quale è stato costruito, con l’epoca del fordismo/taylorismo(138), giacché in
Italia forse più che altrove è evidente che il diritto del lavoro nasce prima e
dunque morirà dopo la fabbrica fordista.
La già richiamata plasticità della definizione dell’art. 2094 c.c. – alle
dipendenze e sotto la direzione – permette, come si è visto nella
giurisprudenza costituzionale e di legittimità richiamata qui nonché nella
giurisprudenza degli altri ordinamenti, e specie di quelli di tradizione
romanistica che conoscono una definizione, legale o giurisprudenziale, della
subordinazione pressoché identica alla nostra, una straordinaria aderenza alla
trasformazione organizzativo-tecnologica in corso: purché si intenda
provvedere a una interpretazione in linea con i tempi.
Da questo punto di vista, la scarsa giurisprudenza italiana che si è
pronunciata su questo tema si è distinta direi a livello intercontinentale per
misoneismo: neppure i numerosi precedenti che nella giurisprudenza
costituzionale e di legittimità hanno ricostruito con profondità il significato
effettivo dell’art. 2094 c.c. sono stati sufficienti sinora a interrompere la
ripetizione tralaticia di una tecnica definitoria – quella degli indici della
subordinazione – che appare, nella sua sostanziale indipendenza dalla
fattispecie legale, piuttosto derivata da un tipo sociale che era una volta
qualitativamente dominante, sebbene mai quantitativamente e ancor meno
esclusivo(139), quale quello della fabbrica fordista/taylorista (che peraltro, come
si sa, sono due cose diverse e non sempre coincidenti), e oggi è largamente
recessivo, per quanto tutt’altro che scomparso.
(138) Conf. G. De Simone, op. cit., p. 9.
(139) In una Italia quale quella dell’epoca del Codice civile, nella quale una parte
grande della popolazione lavorava precariamente in agricoltura, a nessuno sarebbe venuto in
mente che i braccianti agricoli non fossero lavoratori subordinati sol perché il loro rapporto
di lavoro era sovente giornaliero, o, si direbbe oggi, un “lavoretto”. Ancora nel 1951 (appena
dieci anni dopo l’entrata in vigore del codice civile) su 10.334.000 lavoratori dipendenti, quelli
che lavoravano in agricoltura erano 2.251.000 (il 21,78%) e quelli che lavoravano
nell’industria, di ogni genere e dimensione – quindi non solo nella fabbrica fordista -, erano
4.556.000, cioè il 43,12% dei lavoratori subordinati, di cui 3.338.000 erano impiegati
nell’industria manifatturiera (il 33,30%) (Istat, Sommario di statistiche storiche dell’Italia, 18611965, tavola 96, p. 126). Peraltro, alla stessa data il 54, 5% dei lavoratori dell’industria era
dipendente da imprese sino a 100 addetti (S. Brusco, S. Paba, Per una storia dei distretti
industriali italiani dal secondo dopoguerra agli anni novanta, in F. Barca (a cura di), Storia del
capitalismo italiano, Donzelli, 1997, 265-333, qui 270), delle quali difficilmente si può sostenere
il carattere fordista.
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Peraltro, la necessità di non limitarsi ad attendere la chiusura del
contenzioso qualificatorio in sede di legittimità, che a breve consisterà soltanto
in una sentenza che difficilmente potrà dire una parola finale, se è vero che nel
caso Foodora contro la sentenza della Corte d’Appello di Torino non sia stato
interposto appello da parte dei riders, appare anche per il motivo che,
indipendentemente dalle ragioni per le quali una interpretazione rigorosa
dell’art. 2094 c.c. dovrebbe portare a qualificare come lavoratori subordinati i
prestatori di lavoro mediante le piatteforme digitali, soltanto una seria
correzione dell’intervento legislativo contenuto nella l. n. 128/2015 potrebbe
promuovere un modello organizzativo dell’attività mediante piattaforme
digitali diverso da quello attuale, e più rispettoso dei diritti delle persone che
lavorano, come si è sopra accennato. Inoltre, si eviterebbe lo sviluppo del
contenzioso in sede giurisdizionale sul punto che a me pare più spinoso della
ricostruzione giuridica del lavoro mediante piattaforme digitali, assai più del
tema qualificatorio, che è la definizione del momento esatto nel quale si possa
considerare al lavoro il lavoratore dipendente da queste piattaforme digitali ai
fini sia dell’applicazione della normativa in materia di orario di lavoro, sia della
quantificazione della controprestazione retributiva. La prospettiva è,
naturalmente,
alquanto
improbabile,
data
l’espressa
previsione
dell’Osservatorio contenuta nell’art. 47-octies del d.lgs. n. 81/2015, a
dimostrazione della scarsa volontà del legislatore di riaprire a breve una
discussione che è stata intensa ma faticosa.
Tornerà, dunque, in capo alla giurisprudenza il compito di sciogliere i
molti nodi che sono stretti attorno alla vicenda, e che il testo della l. n.
128/2015 ha finito, con le migliori intenzioni, per aggrovigliare ulteriormente.
Sotto questo aspetto, anche la riflessione dottrinale e la produzione
giurisprudenziale hanno da scrollarsi di dosso i punti di vista e le battaglie dei
decenni passati, talvolta mal concluse, come nel caso della giurisprudenza in
materia di pony express, o talvolta ispirati a temi fuori tempo come quello della
sovrainclusione, di coloro che godono di tutele senza averne affatto
bisogno(140). In realtà non è la dipendenza economica(141) o il bisogno sociale a
(140) Il tema è stato ripreso da A. Perulli, Capitalismo delle piattaforme, cit., 123, parlando
di “ipertutele”. Non è dato comprendere dove l’A. veda, nel quadro odierno e ancor più
rispetto ai lavoratori di cui qui si discorre “ipertutele”.
(141) Anni addietro E. Ghera, op. cit., 33, pur riconoscendo alla dipendenza
economica il ruolo di motore dei differenziati statuti protettivi dei rapporti c.d. atipici,
concludeva che questa constatazione “non vuol dire riconoscere allo stato di dipendenza
economica – in luogo della subordinazione – la rilevanza di situazione (o presupposto)
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M. BARBIERI, Della subordinazione dei ciclofattorini
motivare la protezione che il diritto del lavoro riconosce al prestatore, ed
entrambi non mancano certamente nel caso dei ciclofattorini, ma la minaccia
che inevitabilmente la subordinazione – la doppia alienità – porta alla libertà e
alla dignità della persona che lavora, indipendentemente dal carattere poco o
molto prescritto della prestazione che si sia obbligato a svolgere. Ancor più
certamente, il tema sarebbe molto mal posto nei confronti dei lavoratori che
svolgano la loro attività mediante piattaforma digitale, i quali appaiono
piuttosto classificabili come gli ultimi tra gli ultimi, lavorando in ogni
condizione meteo in una situazione pericolosa per definizione come la strada,
all’aperto se fattorini muniti di bicicletta o motociclo, mal pagati, soggetti al
penetrante controllo del rating reputazionale(142) e a un potere disciplinare che
si manifesta nell’imprevedibile disconnessione dalla piattaforma che estingue il
rapporto di lavoro e priva del reddito conseguente.
Dunque, occorre augurarsi che la giurisprudenza italiana corregga la
rotta sinora seguita nelle tre sentenze di cui si è parlato; e che, di fronte
all’intervento legislativo di cui si è parlato, che ha eluso il dilemma
qualificatorio, sia capace di riportare al significato che le deve essere attribuito
la fattispecie dell’art. 2094 c.c. anche senza un ulteriore contributo
chiarificatore del legislatore, contribuendo ad affermare un ragionevole punto
di equilibrio tra esigenze delle imprese del settore e tutele del lavoro.
A quanti, da parte datoriale, lamentano la pretesa rigidità che
deriverebbe dalla qualificazione di questi lavori come subordinati, è facile
rispondere che la rigidità, come emerge dalla giurisprudenza ricordata, non è
affatto una caratteristica del lavoro subordinato in generale, e che la possibilità
per il prestatore di rifiutare singole prestazioni non sarebbe affatto messa in
discussione dalla qualificazione del rapporto di lavoro come subordinato,
come pure è stato ripetutamente chiarito dalla stessa giurisprudenza, onde si
tratta di argomenti non giuridici ma puramente propagandistici.
Alla fine, contro i cantori della magnifiche sorti e progressive
dell’abbandono del lavoro mediante piattaforme digitali alla virtù salvifiche del
unificante per l’imputazione soggettiva dello statuto protettivo (e, tanto meno, la attitudine a
sostituire la subordinazione come criterio per la qualificazione del rapporto di lavoro)”.
(142) Su cui v. G. Pacella, Il lavoro nella gig economy e le recensioni on line: come si ripercuote
sui e sulle dipendenti il gradimento dell’utenza?, LLI, 2017, 3, 1, 1-34; A. Ingrao, I sistemi di feedback
basati su rating e reviews tra controllo della prestazione lavorativa e divieto di decisioni automatizzate, in
C. Alessi, M. Barbera, L. Guaglianone (a cura di), Impresa, lavoro e non lavoro nell’economia
digitale, Cacucci, 2019, 193-209. A quel che si sa, però, il rating pesa almeno per Glovo solo
per il 5% del punteggio con cui vengono assegnati i lavori.
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M. BARBIERI, Della subordinazione dei ciclofattorini
mercato, del contratto individuale, di interventi legislativi che non ne
pregiudichino la qualificazione, vale pur sempre l’argomento di Diogene di
Sinope, che confutò la negazione del movimento ad opera di filosofi di altra
scuola semplicemente alzandosi e mettendosi a camminare: che è quel che
hanno fatto in molti Paesi del mondo i lavoratori e lavoratrici mediante
piattaforme digitali, rivolgendosi ai competenti organi, giurisdizionali e no, al
fine di vedere riconosciuta la subordinazione onde poter godere delle tutele
che ciascun ordinamento riconosce ai lavoratori subordinati.
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