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Varianti della subordinazione, 2. I Glossatori

Initium. Revista catalana d'Historia del Dret, 16, 2011, pp. 73-132

1.-La Scuola di Bologna, a partire dai suoi primissimi esponenti, non sembra solo perpetuare l'impostazione concettuale unitaria della locatioconductio che riceve dalla compilazione giustinianea 1 , ma anzi in certo senso la esplicita, mostrando come la locatio operarum implichi sempre la locazione della persona delle cui opere si tratta, affinché il conduttore tragga da queste un'utilità per la realizzazione di un proprio interesse. Tale è l'impostazione assunta da una glossa al Digestum uetus, e precisamente a D.19,2,19,9 2 , che reca la sigla "b.", ed è dunque riferibile a Bulgaro, vale a dire, occorre sottolinearlo, un giurista appartenente a quel gruppo dei quattro dottori, allievi di Irnerio, nei quali, dopo il maestro, la scuola intraprende il suo lungo glorioso percorso e in certa misura si perpetua. Affrontando e risolvendo l'apparente antinomia tra D.19,2,19,9 e D.19,2,15,6, così conclude la glossa in questione:

INITIUM INITIUM, revista fundada en 1996 por Aquilino Iglesia Ferreirós en memoria de Josep Maria Gay, con el siguiente consejo científico: Adriana CAMPITELLI (Roma) Pio CARONI (Berna) Jerry CRADDOCK (Berkeley) José A. GARCÍA DE CORTÁZAR (Santander) André GOURON (Montpellier) Aquilino IGLESIA (Barcelona) Francisco L. PACHECO (Barcelona) Encarna ROCA (Barcelona) Director: Aquilino Iglesia Ferreirós Redacción. Redactor jefe: Francisco Luis Pacheco Caballero. Redactores: Marta Bueno, Oriol Oleart, Teresa Ramos, Max Turull (Barcelona). Jesús Vallejo (Sevilla). Fernando Martínez, Carlos Garriga, Faustino Martínez Martínez (Madrid). Enrique Álvarez Cora (Murcia). Jon Arrieta (San Sebastián). Emma Blanco Campos (Santander). Victor Crescenzi, Martino Semeraro (Roma). Mª Virtudes Pardo Gómez, Teresa Bouzada Gil (Santiago). Secretaría: Max Turull. 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I GLOSSATORI Victor CRESCENZI 1.– La Scuola di Bologna, a partire dai suoi primissimi esponenti, non sembra solo perpetuare l’impostazione concettuale unitaria della locatioconductio che riceve dalla compilazione giustinianea1, ma anzi in certo senso la esplicita, mostrando come la locatio operarum implichi sempre la locazione della persona delle cui opere si tratta, affinché il conduttore tragga da queste un’utilità per la realizzazione di un proprio interesse. Tale è l’impostazione assunta da una glossa al Digestum uetus, e precisamente a D.19,2,19,92, che reca la sigla “b.”, ed è dunque riferibile a Bulgaro, vale a dire, occorre sottolinearlo, un giurista appartenente a quel gruppo dei quattro dottori, allievi di Irnerio, nei quali, dopo il maestro, la scuola intraprende il suo lungo glorioso percorso e in certa misura si perpetua. Affrontando e risolvendo l’apparente antinomia tra D.19,2,19,9 e D.19,2,15,6, così conclude la glossa in questione: Supra titulo eodem contra, (l.) Ex conducto § item cum [D.19,2,15,6]. Solutio: aliud est cum personam conducis meam, ut operis meis utaris, aliud cum rem meam tibi loco utendam; hoc enim casu pensio seu merces non debetur, sed etiam soluta repetitur, nisi pro rata temporis quo usus es, uel uti potuisti, quod multis casibus etiam superius ostenditur. Priore uero, idest ubi personam meam conducis, totius temporis pensiones uel mercedes prestabis, ut in hac l(ege) [D.19,2,19,9], cum per me non steterit, sed per te uel per 1 Sulla quale da ultimo v. V. CRESCENZI, «Varianti della subordinazione, 1. L’età tardo antica», negli Atti del XIX Convegno internazionale dell’Accademia Romanistica Costantiniana sul tema Organizzare, sorvegliare, punire: il controllo del corpo e delle menti nel diritto della tarda antichità, Spello-Perugia 25-27 giugno 2009, in corso di pubblicazione, con la bibliografia ivi citata. 2 La glossa è edita da C. F. V. SAVIGNY, Storia del diritto romano nel medio evo [SAVIGNY, Geschichte des römischen Rechts im Mittelalter, lib. IV, §35, nota a], (trad. di E. Bollati, Torino 1854-1857, anast. Roma 1972) III, 381, B Chiose di Bulgaro; qui, 382, n. 8 a D.19,2,19,9, ms. Paris. 4450. 4458a. Il «tibi» della penultima riga sembra di troppo e privo di senso; potrebbe costituire una sorta di ripetizione della stessa parola per attrazione in quanto già presente nel contesto. INITIUM 16 (2011) 75-130 76 VICTOR CRESCENZI casum fortuitum quo minus operam meam tibi prestarem, ita tamen si [tibi] ab alio residui temporis mercedem non acceperim. B(ulgarus). Il problema affrontato da Bulgaro è quello della mancata prestazione per causa non riconducibile alla responsabilità del locatore: un problema che, come si vedrà, costituisce oggetto di attenzione in tutta la scuola dei glossatori, fino ad Accursio. Il caso disciplinato da D.19,2,19,9 è quello dell’exceptor3, il quale si trova nell’impossibilità di adempiere all’obbligazione che gli deriva per aver locato le sue operae ad Antonius Aquilae in quanto questi è venuto meno: decessisset, recita il testo, ma non è chiaro se qui il decedere del conduttore costituisca propriamente un decesso o un semplice allontanamento dal luogo di residenza, o il ritirarsi dalla vita attiva; non sembra, tuttavia, che lo stabilire se si tratta della prima, della seconda o della terza di queste ipotesi sia rilevante per la risoluzione del problema qui dibattuto; infatti il punto è che il venir meno del conduttore, creditore della prestazione, impedisce all’exceptor di adempiere; infatti, come sottolineerà una glossa contenuta nell’apparato accursiano, l’exceptor è colui che scrive sotto dettatura–aliquo dictante–: si tratta, dunque, di una prestazione che tipicamente è eseguita al servizio diretto del conduttore che ne imprime l’indirizzo esecutivo. Si può presumere che il venir meno di colui che l’ha assunto renda impossibile all’exceptor di svolgere il proprio lavoro, quale che sia la causa di questo venir meno, di questa decessio4. L’imperatore, interpellato per stabilire se in presenza di questa evenienza all’exceptor sia o meno comunque dovuta la merces pattuita, risolve il quesito in senso positivo, in quanto la mancata prestazione–la sua impossibilità–non dipende dalla responsabilità del locator, purché nel medesimo anno egli non abbia percepito retribuzioni da altri: «cum per te non stetisse proponas, quo minus locatas operas Antonio Aquilae solueres, si eodem anno mercedes ab alio non accepisti, fidem contractus impleri aequum est». L’altro caso preso in considerazione dalla glossa di Bulgaro è disciplinato da D.19,2,15,6 ed è quello della perdita della nave presa in locazione da un procurator Caesaris per il compimento di un viaggio di servizio, che quindi non può realizzarsi–cum munere vehendi functus non sit–; in questo caso, statuisce nel suo rescritto l’imperatore a sua volta interpellato, secondo quanto riferisce il testo di Ulpiano in questione, il locatore è tenuto a rifondere il nolo al conduttore–vale a dire al procurator Caesaris–in quanto questi non ha potuto avvalersi della prestazione dovutagli; il frammento avverte che Già esaminato in CRESCENZI, «Varianti della subordinazione, 1. L’età tardo antica». ACCVRSII gl. a D.19,2,19,9: «cum quidam exceptor Quia excipiebat, idest redigebat aliqua in scriptis, expensas forte, uel gesta, uel distinctiones quas colligebat a magistro, aliquo dictante». 3 4 VARIANTI DELLA SUBORDINAZIONE, 2. I GLOSSATORI 77 la qualità di procurator Caesaris del conduttore è irrilevante ai fini di tale conclusione: essa vale naturalmente nei confronti di qualsiasi altra persona che venga a trovarsi in una simile situazione: «quod in omnibus personis similiter obseruandum est»5. Bulgaro, proponendo un insegnamento che rimarrà sostanzialmente costante nella scuola e dunque nella dottrina, sia pure con successive specificazioni, affinamenti e arricchimenti delle situazioni relative, risolve l’apparente antinomia facendo leva sulla distinzione tra le due fattispecie rispettivamente implicate dai due passi del Digesto. Rileva Bulgaro che nel caso di D.19,2,15,6 la perdita della nave presa in locazione impedisce al conduttore–il procurator Caesaris–di assolvere l’incarico assegnatogli di eseguire il viaggio, ossia di conseguire l’utilità in vista della quale aveva preso in locazione la nave; l’impossibilità di usare la nave fa venir meno l’obbligo del conduttore al pagamento di un debito che costituisce il corrispettivo della realizzazione dello scopo della conduzione della nave, consistente nel suo uso per il compimento del viaggio, e ciò indipendentemente dalla circostanza che la perdita del bene preso in locazione non ricade nella responsabilità del locatore; sicché, conclude la glossa di Bulgaro, la merces pattuita–la uectura–, se non ancora corrisposta non è dovuta, se non per il tempo in cui la cosa sia stata eventualmente usata dal conduttore; se, com’è il caso espressamente disciplinato dal passo del Digesto in questione, la mercede sia stata preventivamente corrisposta come corrispettivo per la disponibilità della nave, deve essere restituita, ovviamente, anche qui, tenuto conto dell’eventuale rata temporis durante la quale il conduttore se ne sia avvalso: aliud cum rem meam tibi loco utendam; hoc enim casu pensio seu merces non debetur, sed etiam soluta repetitur, nisi pro rata temporis quo usus es, uel uti potuisti, quod multis casibus etiam superius ostenditur. Come si è già rilevato sopra, D.19,2,19,9 tratta il caso di una schietta locatio operarum, ovvero, secondo quanto testualmente afferma Bulgaro, il caso in cui una persona viene conducta al fine di avvalersi delle di lei opere: aliud est cum personam conducis meam, ut operis meis utaris; in questo caso, idest ubi personam meam conducis, secondo quanto ribadisce il glossatore, ammenoché la mancata prestazione non sia imputabile alla persona conducta–ovvero, 5 Ecco l’intero testo di D.19,2,15,6: «Item cum quidam, naue amissa, uecturam, quam pro mutua acceperat, repeteretur, rescriptum est ab Antonino Augusto non immerito procuratorem Caesaris ab eo uecturam repetere, cum munere uehendi functus non sit: quod in omnibus personis similiter obseruandum est». Il testo della glossa accursiana da me consultata (Venetiis 1488, anast. Torino 1969, f. 288rb) reca, invece della parola mutua la parola inuecto. La variante è registrata nell’apparato dell’editio maior del Digesto; mentre la parola mutua è testimoniata da F (vale a dire dalla littera Florentina alias Pisana), la variante inuecto è testimoniata da P (Parisinus, 4450); V (Vaticanus, 1406) e U (Patauinus Digesti ueteris). 78 VICTOR CRESCENZI correlativamente, locata–, che altro non è che la persona del locatore stesso, la mercede deve essere corrisposta per intero; e ciò, ovviamente, sia quando la prestazione non è adempiuta per fatto del conduttore, sia quando il mancato adempimento debba essere ricondotto al caso fortuito: totius temporis pensiones uel mercedes prestabis, ut in hac l(ege) [scil. D.19,2,19,9], cum per me non steterit, sed per te uel per casum fortuitum quo minus operam meam tibi prestarem. E’ interessante notare il modo con il quale nella glossa che qui sto commentando è identificata la figura di quella che correntemente è denominata locazione di opere. Bulgaro non usa questa locuzione, ma ricorre testualmente ad una configurazione terminologica d’indole analitica, tale da mettere in evidenza sia l’oggetto, sia il fine di questa fattispecie di locatio-conductio: il primo viene identificato nella persona del locatore, che il conduttore, appunto, conducit–aliud est cum personam conducis meam–; il secondo è identificato nell’uso delle operae, ossia nel vantaggio che il conductor si propone di ricavare dalle operae che la medesima persona del locatore è, in virtù del contratto, tenuta a prestare–ut operis meis utaris. Non c’è dubbio che queste considerazioni, che si risolvono in constatazioni, dimostrano che la locuzione locatio operarum è una locuzione sintetica: in particolare, il genitivo “operarum”, lungi dall’identificare l’oggetto della locatio, sintetizza la funzione del contratto in ordine a ciò che la persona deve prestare in quanto oggetto della locazione, che nella locuzione locatio operarum rimane implicito; si tratta, dunque, di una sintesi derivante dalla fusione dello scopo con l’oggetto, nel senso che il primo definisce i termini all’interno dei quali la persona viene locata, ovvero, correlativamente, viene conducta. Con ulteriore contegno analitico, si può dire che in tal modo si delineano i termini all’interno dei quali la persona entra nel contratto, costituendone l’oggetto: questi termini sono dati dal fine dell’esecuzione di operae per l’utilità di colui che conduce la persona locata; questa, d’altra parte, è appunto locata e correlativamente conducta soltanto a questo fine ed entro i limiti da questo tracciati. Infine, l’implicazione della persona come oggetto contrattuale è a sua volta una conseguenza del fatto che le operae non hanno individualità oggettiva, ma esistono solo in quanto si postuli la persona che le presta, dalla quale non sono, come si vedrà meglio più sotto, materialmente scindibili; del resto, sono astrattamente pensabili solo come unità di misura giornaliera. In altre parole, in questa fattispecie, tanto più in quanto è in gioco la persona del locatore, è indispensabile delimitare lo spazio all’interno del quale questo coinvolgimento personale si realizza per effetto del contratto. VARIANTI DELLA SUBORDINAZIONE, 2. I GLOSSATORI 79 2.– Ad analoga constatazione si presta la Summa Codicis di Piacentino; nemmeno questo glossatore nell’introdurre la materia de locato et conducto usa la locuzione locatio operarum, ma identifica questa figura nella sua funzione per così dire utilitaristica avuto riguardo al suo oggetto consistente nella persona del locatore6: Est autem locatio persone reiue ad usum facta concessio, mercede certa constituta in pecunia numeranda. Dalla definizione piacentiniana il contratto di locatio-conductio risulta rappresentato come un’entità unitaria, sia che abbia per oggetto la persona sia che abbia per oggetto una res; del resto Irnerio, in una glossa a D.19,2,2,1 sulle parole unum esse negotium aveva puntualizzato: «hoc dicit propter illos qui putabant duo esse negocia, idest emptionem materie et locationem opere», anche se qui il dualismo si sarebbe posto con la figura della locatio operis7. In particolare, il Piacentino configura il contratto di locazione come lo strumento giuridico con il quale si attribuisce, dietro un corrispettivo– merces–, il diritto di trarre utilità da una persona o da una res: ancora una volta, ci troviamo dinnanzi ad una nozione analitica che mette l’accento sull’uso della entità locata, il corpus locato8, uso che costituisce lo scopo e allo stesso tempo il limite della concessio; ma non c’è dubbio che qui, come e forse ancor più di quel che emerge dalla glossa di Bulgaro sopra considerata, si sancisce una situazione di assoggettamento della persona o della res in funzione della sua idoneità ad essere fonte di un’utilità, ovvero di un godimento, in poche parole: ad usum. In questo senso, è notevole che il Piacentino non senta il bisogno di riferirsi alle operae per qualificare quella, delle due forme di locatio, che ha per oggetto la persona, ma ritiene corretto porre al centro del suo argomentare la persona stessa, della cui concessio si tratta, in funzione dell’usum che di essa può essere conferito ad altri. In questo senso, questo giurista, notoriamente poco incline al conformismo, ma molto alla concisione, testimonia che nessun aggiornamento dogmatico ha subito PLACENTINI Summa Codicis 4,65 (Moguntiae 1536, anast. Torino 1962), 189. E. BESTA, L’opera di Irnerio (Torino 1896, anast. Bologna 1980), 197. 8 Così lo designa–l’ho già rilevato sopra–Ulpiano in D.19,2,11,2, con un termine idoneo a ricomprendere sia la persona, sia la res, che Azzone, tra i tanti, farà proprio: AZONIS Summa Codicis (Venetiis 1581), C.4,65, col. 456, n. 17: «Item si conductor corpus sibi locatum uel ius fieri deterius patiatur, ut D. eodem l. uideamus § item prospicere[D.19,2,1,,2]. Dare enim debet operam ne res ledatur, uel cedatur, uel uratur […]»; col. 458, n. 29: «Ex conducto actio datur conductori alicuius corporis […]»; col. 459, n. 36: «[…] uel propter quemlibet alium casum fortuitum quo conductor frui non potuit corpore conducto, ut D. eodem l. ex conducto § cum quidam [D.19,2,15,3] et l. qui insulam § edilis [D.19,2,30,1]». 6 7 80 VICTOR CRESCENZI la struttura della locatio-conductio9, e che essa è inestricabilmente fondata sull’esistenza di un corpus–la persona del locatore, e dunque la persona locata, oppure, rispettivamente, la res–, della disponibilità del quale si disciplina la collocazione materiale ad usum del conduttore, in funzione della utilità di cui è portatore. Il Piacentino si attiene rigorosamente all’impostazione iniziale anche allorché, con la stringatezza che caratterizza la sua esegesi, riprende la distinctio tra locatio personae e locatio rei per introdurre l’argomento della prestazione impossibile delle operae per fatto del conduttore ovvero per caso fortuito, vista in relazione al problema della sussistenza o meno dell’obbligo al corrispettivo, analogamente a quanto abbiamo visto sopra essere dibattuto da Bulgaro. Rileva il Piacentino10: Distinguitur ita locatio: locatur alias persona, ut fossoris et exceptoris; alias res, ut ager, domus, equus. Et certe ubi locatur persona, siue persone opera, locator debet recipere persone mercedem, siue operam exhibuerit, siue <non, si> per eum non steterit, sed per conductorem, sed per morbum, aliumue casum in eius persona contigentem, presertim si eodem anno ab aliis, ut non intersit sua, exceptor mercedem non accepit, ut D. eodem l. sed addes § Iulianus [!] [D.19,2,19,9] et l. qui operas [D.19,2,38 pr.]. Ergo per contrarium predictis modis si per exceptorem, fossorem perque aduocatum steterit, nec perceptam mercedem potuerit retinere. Locare personam, dunque, vale per locare personae operam, secondo quel che risulta dal testo sopra riportato–ubi locatur persona, siue personae operam– ovvero, tenendo conto del passo introduttivo dello stesso Piacentino sopra commentato, locare personam consiste in una concessio personae ad usum facta e dunque, parafrasando Bulgaro, locare personam vale attribuire la disponibilità di una persona ut operis personae utatur. In altre parole, con la locuzione locare personam si guarda al contratto dal lato dell’oggetto; con la locuzione locare personae operam è guardarlo dal lato dello scopo, cioè dell’usum che dalla concessio di tale oggetto è facta tramite il contratto e limitatamente a questo, e identificare il contenuto dell’obbligazione assunta dal locatore. L’usum, poi, introduce l’elemento dell’utilità, ossia del godimento in funzione del quale il conduttore ha preso in locazione la persona. Dunque, tutte queste 9 Contrariamente a quanto sostenuto da F. M. DE ROBERTIS, I rapporti di lavoro nel diritto romano, Milano, 1948, p. 129-130. 10 PLACENTINI Summa Codicis 4,65, 190. Si tratta di un testo con qualche corruttela, che ho tentato di emendare, come si può constatare. VARIANTI DELLA SUBORDINAZIONE, 2. I GLOSSATORI 81 locuzioni si devono intendere nel senso che la disponibilità della personaoggetto è teleologica, ma anche che è limitata al conseguimento della di lei opera, per la realizzazione dei fini e sotto le direttive del conduttore; sicché, anche secondo l’opinione del Piacentino, se esso conduttore non si avvale dell’opera che il locatore mette nella sua disponibilità, non di meno deve corrispondere la mercede al locatore che era pronto ad exhibere operas suas, ma non ha potuto farlo; alla stessa conclusione si giunge qualora il locatore non esegue la prestazione per casum in eius persona contingentem. E’ tuttavia da mettere in evidenza che il glossatore sottolinea che il mantenimento del diritto alla mercede pattuita è in particolar modo–praesertim–garantito se il locatore non ha comunque percepito una mercede da parte di altri nel corso dell’anno–si eodem anno ab aliis exceptor mercedem non accepit–, e ciò affinché egli non abbia a subire una perdita–ut non intersit sua. 3.– In un medesimo ordine di idee si colloca il contributo che Rogerio, un glossatore quasi sicuramente allievo di Bulgaro, appartenente alla terza generazione dei maestri bolognesi (generazione alla quale appartiene sostanzialmente anche il Piacentino) dà nella sua Summa Codicis, nella quale così troviamo delineate le due figure della locatio-conductio11: locatio quidem est cum usum rei mee, uel operas meas pro mercede tibi do. Anche per questo autore, dunque, il contratto ha la funzione di trasferire la disponibilità di un bene, che Rogerio identifica nell’usum rei, oppure nelle operae stesse. Ma anche qui occorre capire interpretando le parole del glossatore. In primo luogo va sottolineato come questa dottrina costituisca un ulteriore argomento contrario alla tesi, già ampiamente discussa altrove12, di una revisione dogmatica della locatio operarum, che da contratto generativo di obligationes in dando si sarebbe trasformato in un contratto da cui scaturiscono obligationes in faciendo. Qui Rogerio dice chiaramente e senza ambiguità che la locatio consiste in un dare pro mercede e non in un facere. Ma questo è argomento sul quale non si dovrebbe ulteriormente tornare, se non per sottolineare che le operae per Rogerio sono, del tutto in linea con la concettualizzazione propria del diritto romano, dei beni che si 11 ROGERII Summa Codicis 4,65, nella Bibliotheca iuridica medii Aeuii, Scripta anedocta glossatorum, I, curante I. B. Palmerio, Bononiae 1913, lib. IV, tit. LXII, De locato conducto, 133. 12 CRESCENZI «Varianti della subordinazione, 1. L’età tardo antica». 82 VICTOR CRESCENZI somministrano, ovvero che l’obbligazione che scaturisce dalla locatio rimane all’interno della categoria delle obligationes in dando. Il punto, però, sul quale ci si deve soffermare è relativo all’oggetto di questo dare, che, secondo la proposizione sopra riferita, consiste o nell’usum rei meae (per il caso di locatio rei), ovvero, letteralmente, nelle operae meae (per il caso di locatio operarum). Non c’è dubbio che qui ci troviamo, ancor più che in Bulgaro, dinnanzi ad un modo genuinamente ellittico di esporre, un modo che contiene una forte sintesi. Dare l’usum di una cosa, infatti, implica il mettere a disposizione la cosa affinché venga usata e dunque implica il dare la cosa stessa sulla quale l’uso si potrà realizzare da parte di colui che la riceve a quel fine. Analogamente, dare operas, soprattutto alla stregua della concettualizzazione che delle operae vige nella cultura e nella prassi coeve, alla quale accenneremo oltre, per la quale esse non sono separabili dalla persona, implica il mettere a disposizione la persona che quelle operae deve erogare13. In altre parole, anche in questo caso, il fulcro del discorso riguarda l’uti, che, come per quel che lo stesso Rogerio afferma a proposito della locatio rei, si trasferisce dal locator al conductor; ma questo non significa altro che se ne trasferisce la facoltà di avvalersi, di trarre vantaggio dalla disponibilità del corpus locato, res o persona che sia: nel caso della persona, però, la disponibilità è limitata alle operae, intese anche nel senso quantitativo di unità di misura della disponibilità di cui si tratta14. 4.– L’impostazione che sorregge l’esegesi del Piacentino, che fa pernio sulla persona del locator, identificandola come il corpus oggetto della locazione, in modo del tutto coerente con quanto si è visto essere il portato 13 Del resto, F. SANTORO-PASSARELLI, Nozioni di diritto del lavoro (Napoli 1970), 130 ha già da tempo chiarito che «Oggetto caratteristico del contratto di lavoro è precisamente il lavoro, inteso come attività, come fare, e non, come da altri è sostenuto, le energie del lavoratore, inseparabili dalla sua persona, perché si esauriscono nell’atto stesso in cui vengono impiegate». Dietro questo discorso c’è la trasformazione dell’obbligazione di lavoro da obbligazione in dando in obbligazione in faciendo, quale risulta dall’art. 2094 c. c., e la concettualizzazione del lavoro come attività, appunto, ossia come «atto», del tutto coerentemente con l’affermazione di Paolo, contenuta in D. 7,7,1, secondo la quale «Opera in actu consistit nec ante in rerum natura est, quam si dies venit, quo praestanda est». Ma su questi argomenti si dovrà tornare, anche tenendo conto di ciò che significa la parola «opera» nella terminologia giuridica classica e nello ius commune e della relazione che essa intrattiene con la moderna locuzione «lavoro». 14 In questo senso, tra l’altro, va letto quanto troviamo sintetizzato nella Lectura sulle Institutiones giustinianee di ambiente anglosassone tramandata dall’unico manoscritto LONDON, British Library, Royal MS. 4 B. IV, edita in F. de ZULUETA - P. STEIN, The Teaching of Roman Law in England around 1200, (London 1990), 98, dove, a proposito di Inst.3,24, si trova scritto: «Post uenditionem et emptionem agit de locato et conducto, quia proxima sunt, et conuenientia tantum, quod id, quod hic dicitur merces, ibi dicitur pretium; ibi transfertr dominium, hic usus». VARIANTI DELLA SUBORDINAZIONE, 2. I GLOSSATORI 83 della configurazione romanistica, è fatta propria da Azzone nella sua Summa Codicis15: Est autem locatio persone reiue ad usum facta concessio, mercede in pecunia numeranda et conuenta. La conformità dell’esegesi azzoniana alla lezione del Piacentino, una lezione che, per certi versi, è già tracciata in linea di principio da Bulgaro, non si esaurisce in un atteggiamento conformistico, ma funge da punto di partenza verso un’analisi del contenuto obbligatorio del contratto, visto dal punto di vista dei soggetti implicati. Questa analisi passa per la nomenclatura delle varie figure coinvolte dal contratto; in questo ordine argomentativo locator è colui che permette che altri faccia uso di qualcosa che gli appartiene e per questo riceverà il pattuito corrispettivo, e correlativamente conductor è colui che fa uso di qualcosa che appartiene ad altri–al locator–e per questo gli pagherà il relativo corrispettivo16: Locator ergo dicitur, qui eo quod suum est, alium uti permitti, conuenta mercede. Conductor uero econuerso, qui eo quod alienum est utitur, conuenta mercede. Questa nomenclatura è riprodotta sostanzialmente inalterata nella Lectura super Codicem che alla Summa rinvia17. Da questa posizione Azzone fa immediatamente discendere una conseguenza rilevante per il discorso che si sta qui svolgendo, il cui obiettivo, è opportuno ricordarlo, è quello di mettere in luce la relazione che passa tra il prestare le opere e la persona del locatore e di identificare quale sia la forma della subordinazione in età premoderna. L’esegesi azzoniana, invero, è configurata come una concatenazione di argomentazioni: lo dimostra l’uso della congiunzione “ergo”, la quale, come aveva introdotto il discorso generale sulla nomenclatura delle figure tra le quali il contratto è concluso–locator AZONIS Summa Codicis C.4,65, col. 454, n. 1. AZONIS Summa Codicis C.4,65, col. 454, n. 2. Ho sostituito con la parola alienum la parola aliorum testimoniata dall’edizione da me consultata; cfr. a questo riguardo il testo parallelo della Lectura, qui sotto nella nota 17. 17 AZONIS Lectura super Codicem C.4,65 (Parisiis 1577, anast. Torino 1966) 360, C.4,65,1: «Locator enim dicitur, qui eo quod suum est, alii uti permittit, conuenta mercede; conductor uero econuerso, qui eo quod alienum est utitur, pacta mercede, ut in Summa § i»; v. AZONIS Summa Codicis 4,65, col. 454, n. 1 cit. supra, nota 15. Nella Summa Decretalium dell’Ostiense (cfr. infra, la nota 23) tutto ciò è condensato in un uersiculus così formulato: Qui locat, ille capit; conducit, qui precium dat, che troviamo riprodotto anche in HENRICI DE SEGUSIO CARDINALIS HOSTIENSIS In tertium Decretalium librum Commentaria, X.3,18 (Venetiis, apud Iuntas 1581, anast. Torino 1965), f. 59vb. 15 16 84 VICTOR CRESCENZI ergo dicitur–, nel segmento di testo che sùbito segue ha la funzione a sua volta di introdurre le specifiche conseguenze che da quella nomenclatura discendono, avuto riguardo alla distinzione implicata dalla concessio personae reiue che costituisce la sostanza della locatio-conductio, con la quale Azzone stesso, sulla scia del Piacentino, ha dato inizio alla propria esegesi18. Invero, così prosegue, con andamento analitico, il testo della Summa19: Ergo si domum haberem et te conuenta mercede inhabitare permitto, tu conductor, ego locator dicor. Tu quoque, si operis tuis, mercede conuenta in re mea utaris, diceris locator operarum tuarum et ego eorundem conductor, ut D. eodem l. qui operas [D.19,2,38 pr.]. Dunque, locator è il nome che identifica colui che, avendo la proprietà di una casa, permette che un altro la abiti, essendo stato convenuto un corrispettivo; conductor è il nome che identifica colui che della casa farà uso abitandola; più in generale, in una locatio rei, locator è il termine che identifica colui che, avendo la proprietà o comunque la disponibilità della cosa locata, permette ad altri di usarla, dietro un corrispettivo pattuito. Se, d’altro canto, il contratto riguarda le operae, sostiene Azzone, con il termine locator viene identificato colui che mette a disposizione le proprie opere a vantaggio di un conductor per la realizzazione del di lui interesse, anche qui essendo convenuta una mercede: è in questo modo che si può parafrasare la proposizione che leggiamo nella Summa azzoniana, la quale presenta alcune particolarità sulle quali, però, è necessario soffermarsi. Si può, infatti, dubitare della lezione «in re mea utaris», peraltro tramandata non soltanto dall’edizione da me correntemente utilizzata, vale a dire l’edizione stampata Venetiis, sub signo Angelis Raphaelis,1581, ma anche dalla totalità delle edizioni a stampa, compresi alcuni incunaboli, da me consultati20. In particolare, si potrebbe essere tentati di emendare la parola utaris con la prima persona del verbo, utar, riferendo l’uti al conductor, così come al conductor è riferito l’inhabitare dell’ipotesi di locatio rei. Ad ingenerare sospetti sulla solidità della lezione tràdita è il fatto che essa sembrerebbe in contrasto con la linea esegetica di Bulgaro, così come testimoniata dalla glossa sopra commentata, dove, come si ricorderà, per la locatio personae, l’uti delle relative operae è attribuito al conductor, in perfetta simmetria con quel che accade per una locazione il cui oggetto consista in V. supra, il testo di cui alla nota 15. AZONIS Summa Codicis 4,65, col. 454, n. 2. 20 Cfr. Venezia 1489, f. 78va; Venezia 1498, f. 113ra; Venezia 1499, f. 100rb; Pavia 1506, p. 170a (anast. Torino 1960); Venezia 1572, col. 454; Venezia 1584, col. 454; Lione 1596, f. 614. 18 19 VARIANTI DELLA SUBORDINAZIONE, 2. I GLOSSATORI 85 una res: «aliud est cum personam conducis meam, ut operis meis utaris, aliud cum rem meam tibi loco utendam»21; e utendam si deve intendere da parte del conduttore, simmetricamente a quanto è detto per la locatio personae. Ma la lezione tramandata sembrerebbe in contrasto anche con l’intera impostazione della stessa esegesi azzoniana; nel segmento di testo che precede immediatamente quello qui commentato, che di quel segmento costituisce, secondo la costruzione impressa all’intero passo, una conseguenza logica (ho già rilevato che è introdotta dalla preposizione «ergo») e anche nella formulazione che abbiamo incontrato nella Lectura, in generale la funzione della locatio è identificata nel trasferimento al conductor dell’uti–rectius, del diritto di utilizzare, ovvero di avvalersi–di ciò che appartiene al locator, sicché il locator è colui che alii uti permittit, mentre il conductor è qui eo quod alienum est utitur. Qui, invece, a stare alla lezione tràdita, chi utitur delle operae del locator è il locator stesso, sia pure a vantaggio, nell’interesse del conductor–in re mea. Il effetti, quell’«utaris» può essere ricondotto ad un errore dovuto all’attrazione del «Tu» posto a inizio di proposizione, che può aver indotto alla seconda persona del verbo finale dando l’impressione di esserne il soggetto; o, più banalmente, potrebbe esser stato cagionato semplicemente da un fraintendimento di un probabile segno di compendio sulla lettera «a», o da entrambe le cause. Aiuta ad una corretta impostazione dei problemi qui sollevati ricorrere ad un testo di poco successivo a quello della Summa azzoniana, vale a dire a quella celebre Summa aurea Decretalium composta da un giurista, canonista questa volta, di grande levatura e autorevolezza, quale fu Enrico da Susa, di una generazione successivo al glossatore bolognese22, noto anche come il Cardinale Ostiense, dove così troviamo sintetizzata la relazione che intercorre tra locator e conductor, con la necessaria differenziazione tra la locatio rei e la locatio operarum23: V. supra, il testo di cui alla nota 2. Azzone compare in documenti tra il 1190 e il 1220, secondo quanto risulta dalla biografia redatta da P. FIORELLI, «Azzone», nel Dizionario biografico degli italiani, 4 (Roma 1962) (ora anche in http://www.treccani.it/enciclopedia/azzone_(Dizionario-Biografico)/). L’Ostiense, nato a Susa (Torino) intorno alla prima decade del XIII secolo, muore a Lione nel 1271; vedine la biografia redatta da K. PENNINGTON «Enrico da Susa» nel Dizionario biografico degli italiani, 42 (Roma 1993) (ora anche in http://www.treccani.it/enciclopedia/enrico-da-susa-detto-l-ostiense_(Dizionario-Biografico)/). 23 HENRICI DE SEGVSIO CARDINALIS HOSTIENSIS Summa aurea X.3,18 (Basileae, apud Thomam Guarinum 1573), lib. III, De locato et conducto, col. 753, nn. 3 s. Ecco l’intero passo: [3.] Quis dicatur locator? Is qui pretium recipit. [4.] Quis conductor? Is qui precium donat. Vnde uersiculus: Qui locat, ille capit; conducit, qui precium dat.Si ergo domum meam inhabitare patiar certa mercede mihi data uel danda, tu conductor, ego locator dicar, ut D. eodem (l.) si tibi [D.19,2,5] et l. qui fundum [D.19,2,32 rectius 33] et l. si quis fundum [D.19,2,5 rectius 9], C. eodem l. iii [C.4,65,3] et l. nemo [C.4,65,6] et l. conductoris [!] [C.4,65,33 [?]]. Item si operareris in re mea certa mercede 21 22 86 VICTOR CRESCENZI Si ergo domum meam inhabitare patiar, certa mercede mihi data uel danda, tu conductor, ego locator dicar […]. Item si operareris in re mea, certa mercede tibi danda, tu locator operarum tuarum, ego conductor eorundem dicor, D. eo(dem) (l.) qui operas [D.19,2,38 pr.]. La relazione di questo testo con quello azzoniano, che ebbe ampia diffusione e che godette della più grande autorevolezza, è più che evidente. Come altrettanto evidente è che l’utaris azzoniano deve aver posto al canonista un problema di coerenza del genere di quello qui sopra sollevato, che questi risolve con la sostituzione di quel verbo con operareris in un testo altrimenti per certi versi quasi sovrapponibile all’esegesi del civilista bolognese. Ed è notevole, rimanendo all’interno di questo ordine di idee, quell’allegazione di D.19,2,38 pr., con la quale il passo dell’Ostiense, parallelamente a quello azzoniano, si chiude24. In particolare mi sembra singolarmente significativo il mantenimento da parte dell’Ostiense di una formulazione nella seconda persona singolare che assume il locator come soggetto; questa soluzione gli consente di conservare nella propria versione, parallelamente a quella del civilista, l’andamento a chiasmo antimetabolico che connota l’impianto azzoniano, che in parte sarebbe andato perduto dall’uso della parola «utar». Il che permette di dire che dinnanzi ad un utaris che poteva apparire poco persuasivo in termini concettuali (poiché chi utitur è pur sempre il conductor, secondo quel che da Bulgaro in poi si trova detto, come ho notato sopra), che con ragionevole sicurezza legge nell’esemplare della Summa azzoniana a sua disposizione, l’Ostiense preferisce ricorrere a quell’operareris, nel quale le operae vengono inglobate, senza pregiudizio per un’esigenza conservativa che connota il procedere di questi giuristi nella composizione dei propri testi rispetto alla tradizione; ma anche senza pregiudizio della coerenza concettuale che indubbiamente sembra, ma, come si vedrà, non è messa in discussione dall’imputazione dell’uti al locator invece che al conductor, in tibi danda, tu locator operarum tuarum, ego conductor eorundem dicor, D. eo(dem) (l.) qui operas [D.19,2,38]. Sed respectu <operis>, ego locator et tu conductor diceris, D. eodem (l.) item queritur § i. [D.19,2,13,1] et § si gemma [D.19,2,13,5] et § si fullo [D.19,2,13,6] et l. si opus [D.19,2,60,4]. Item quandoque diceris redemptor, ut D. eodem (l.) qui insulam § qui eden. et l. ea lege § ult. C. eodem (l.) si hi. Et hec est emptio mirabilis in pecunia et opera communi sumptu facta. Sed respectu opere econtra est, et sepe unum pro alio ponimus ut D. de actionibus empti et uenditi l. ueteres [D.19,1,19]. Il uersiculus di cui sopra è riprodotto anche nel citato HOSTIENSIS In tertium Decretalium, X.3,18, f. 59vb. 24 Peraltro l’Ostiense seguita i propri ragionamenti aprendo il tema della locatio operis e del conseguente problema terminologico relativo alla identificazione delle due figure, com’è possibile constatare dalla lettura dell’intero passo del canonista che troverai trascritto nella nota 23. VARIANTI DELLA SUBORDINAZIONE, 2. I GLOSSATORI 87 divergenza con quanto sostenuto altrove dallo stesso Azzone e nell’esegesi di Bulgaro e del Piacentino e, per certi versi, di Rogerio25. Questa comparazione ci permette di farci un’idea adeguata di come sia intesa, nella dottrina corrente, l’obbligazione cui è tenuto il locator e ci permette di concludere che la linea che unisce Bulgaro, il Piacentino e Azzone, sotto questo riguardo, non è messa in discussione dal fatto che nel testo di quest’ultimo per identificarla compaia la parola «utaris», perché il concetto che vi è sotteso, e cioè che il locator eroga le proprie operae nell’interesse–in re–del conduttore è mantenuto nell’«operareris» che compare nella Summa dell’Ostiense; e ciò indipendentemente dal fatto che quella parola sia originale, e dunque risalente al calamo stesso di Azzone, oppure sia il residuo di un guasto nella parte alta della tradizione. In realtà, aldilà degli aspetti rigorosamente filologici, pur degni di nota, non sembra che l’una o l’altra lezione modifichi la sostanza giuridica del discorso che qui Azzone sta svolgendo. Anzi, si può affermare, come si vedrà tra poco, che Azzone, in questo specifico passo della Summa, con l’imputare l’uti al locator compie un’operazione interpretativa di grande finezza concettuale. In altre parole, quel verbo, sia che si riferisca al locatore, sia che concerna il conduttore, altro non vuol significare che le operae sono devolute a vantaggio del conduttore. Anzi, in certo senso «utaris», col il riferire l’azione al locatore mantiene l’esposizione logicamente all’interno di una specie di una specularità costituita dai due segmenti testuali «si domum inhabitare permitto-si operis tuis in re mea utaris»: colui che permittit o che utitur–ovvero che operatur, secondo la fraseologia dell’Ostiense–è sempre il locatore, mentre se si dovesse accogliere l’idea di emendare «utaris» in «utar», l’azione passerebbe al conduttore; invero, è sempre il locatore che devolve un bene, un corpus per la realizzazione di un interesse–per la soddisfazione di un bisogno–del conduttore e, da altro punto di vista chi eroga le operae è il locatore che però le indirizza, le utilizza in funzione del conduttore: in re mea. In altre parole, quella specie di chiasmo, di gioco a specchio tra la locazione di cose e quella di operae nella proposizione azzoniana dovrebbe deporre a favore della lezione tramandata e potrebbe essere 25 Riporto qui i segmenti testuali implicati: «cum personam conducis meam, ut operis meis utaris, aliud cum rem meam tibi loco utendam» (Bulgaro); «Est autem locatio persone reiue ad usum facta concessio» (Piacentino); «locatio quidem est cum usum rei mee, uel operas meas pro mercede tibi do» (Rogerio); «Est autem locatio persone reiue ad usum facta concessio» (Azzone); «Conductor uero econuerso, qui eo quod alienum est utitur, conuenta mercede» (Azzone). 88 VICTOR CRESCENZI considerato un efficacissimo espediente retorico per ipostatizzare l’unità del contratto, pur nella differenza del modo nel quale questo viene eseguito26. Quel che più conta, comunque, è che accettando la lezione tràdita la situazione del locator operarum rimane disegnata nei termini di una sostanziale dipendenza, perché l’uti cui quello è tenuto–e la lezione «utaris» mantiene la sua prestazione all’interno di un adempimento che grava sulla sua responsabilità–non si esplica in modo autonomo, conforme con le intenzioni del locatore, ma deve dirigersi nell’interesse e si deve intendere secondo le direttive del conduttore–in re mea. 5.– La conseguenza di immediata rilevanza di questo modo di esporre e di spiegare in cosa consista una locatio operarum, ovvero, più precisamente, una locatio personae–secondo la fraseologia che accomuna Bulgaro, Piacentino e lo stesso Azzone–è che se le operae della persona, della locazione della quale si tratta, sono usate dal locatore stesso nell’interesse del conduttore–tu quoque si operis tuis […] in re mea utaris diceris locator operarum tuarum–esse non possono essere l’oggetto della locazione, poiché in tale configurazione la loro considerazione rimane intrinsecamente connessa con la persona del locatore che ne fa uso in funzione della soddisfazione della res, ossia dell’interesse del conduttore; in altre parole, se si accetta la lezione tràdita si deve concludere che Azzone imprime alla questione una precisa configurazione, secondo la quale non sono le operae ad essere trasferite al conduttore, perché è pur sempre lo stesso locatore dal quale non sono separabili, a spenderle in funzione della soddisfazione dell’interesse del conduttore che se ne avvantaggia; e in tal senso possono convivere la «concessio ad usum» e l’«utaris [eseguito dal locatore] in re mea [del conduttore]» in un medesimo contesto, concetti che trovano nell’«operareris [da parte del locatore] in re mea [del conduttore]» dell’Ostiense una corretta sintesi del problema di identificare 26 Può essere interessante ristabilire una certa continuità testuale della Summa, ricollocando i diversi segmenti di testo a partire dal momento in cui il glossatore dà avvio all’esegesi di C.4,65, in modo tale da cogliere ed apprezzare in tutto il suo rigore la linea argomentativa che sorregge l’intero ragionamento: «Est autem locatio persone reiue ad usum facta concessio, mercede in pecunia numeranda et conuenta. […]. Locator ergo dicitur, qui eo quod suum est, alium uti permitti, conuenta mercede. Conductor uero econuerso, qui eo quod alienum est utitur, conuenta mercede. Ergo si domum haberem et te conuenta mercede inhabitare permitto, tu conductor, ego locator dicor. Tu quoque, si operis tuis, mercede conuenta in re mea utaris, diceris locator operarum tuarum et ego eorundem conductor, ut D. eodem l. qui operas [D.19,2,38 pr.]»; cfr. AZONIS Summa Codicis C.4,65, nn. 1 e 2, col. 454. Il segmento di testo qui omesso concerne le ipotesi di contratti innominati in quanto relativi a cause contrattuali diverse da quella locativa–alioquin si de re alia danda faciendaue conuenerit, non erit locatio, sed innominata forma negocii, ex quo agetur actione incerti, idest prescriptis uerbis–, che esulano dal discorso che si sta qui svolgendo. VARIANTI DELLA SUBORDINAZIONE, 2. I GLOSSATORI 89 l’atto dell’esecuzione delle operae, che è proprio del locator, e l’avvalersi delle medesime, che è proprio del conductor. Se questo è vero ne risulta implicitamente riaffermato il concetto, secondo il quale oggetto del contratto è la persona: è questa che passa nella disponibilità del conduttore, vale a dire alle dipendenze di quest’ultimo; solo se si realizza questa condizione di dipendenza si può conseguire il risultato che l’uso delle operae sia indirizzato alla soddisfazione dell’interesse del conduttore, non potendosi dare una configurazione delle cose tale che sia il conduttore a prelevare dal locatore le operae per utilizzarle nel proprio interesse, come se queste siano un’entità avulsa dalla di lui persona, così come il medesimo conduttore preleva dal locatore che gliela concede la res oggetto della locazione; mentre è perfettamente ragionevole e coerente con la struttura della locatio-conductio che il locatore, parafrasando le parole di Azzone, sia obbligato in virtù e in conseguenza del contratto a uti operibus suis in re conductoris, che vale come dire: a operari, ossia a prestare le proprie opere per il vantaggio del conduttore. D’altra parte, ad una medesima conclusione si perviene qualora ci si convincesse della scorrettezza della lezione tràdita; anche se fosse necessario emendare quell’utaris in utar, attribuendo alla persona del conduttore l’esercizio dell’uso delle operae del locatore che, dietro un compenso, glielo conceda, la persona del locatore ne risulterebbe inevitabilmente comunque coinvolta. Infatti, dietro le operae c’è sempre la persona, e dire che col contratto si acquisisce la disponibilità delle operae significa dire che con esso contratto si acquisisce la disponibilità della persona che quelle operae deve erogare, o, come è specificato dall’esegesi bolognese, che si attiene così alla terminologia della compilazione, deve exhibere. In realtà, la simmetria tra locatio rei e locatio operarum, che è conseguenza dell’unità del contratto nelle due figure, non si riflette sul suo versante esecutivo, ossia quando si guardi al contratto sotto il profilo del contenuto dell’obbligazione del locatore, perché mentre il corpus-res è avulso dalla persona del locatore, gode di uno status reale autonomo rispetto alla persona del locatore, è, come direbbero i giuristi classici, in rerum natura, e come tale può essere di per sé oggetto del contratto, ma anche oggetto della prestazione, le operae non sono il corpus oggetto del contratto ed infatti esse in rerum natura non sunt27 prima di essere prestate, o, ancor più precisamente, prima che cada il dies della prestazione28, mentre in rerum natura è la persona dalla quale provengono: esse sono l’oggetto della prestazione, 27 28 D. 38,1,9 pr.; cfr. CRESCENZI, «Varianti della subordinazione, 1. L’età tardo antica». Cfr. CRESCENZI, «Varianti della subordinazione, 1. L’età tardo antica». 90 VICTOR CRESCENZI il contenuto dell’obbligazione che il locatore si assume con il contratto29. Nella locatio operarum, ancora una volta, questo corpus è la persona, che, secondo le parole di Bulgaro, è conducta al fine di avvalersi delle di lei operae: personam conducis meam ut operis meis utaris; e, occorre precisare, di esse se ne può pensare l’uti soltanto allorché sono effettivamente erogate. Il che implica che le operae prima di quel momento, e cioè nel tempo in cui il contratto è concluso, tempo che precede sia cronologicamente sia logicamente quello della prestazione, sono tutt’uno con il corpus locato che dovrà erogarle; del resto si è ampiamente dimostrato sopra, esponendo la dottrina di Bulgaro, che la locuzione locatio operarum sintetizza la funzione del contratto in ordine a ciò che la persona deve prestare come oggetto della locazione30. E dunque, sia che nella Summa azzoniana si debba leggere utar, sia che si debba leggere utaris, nulla cambia circa la sostanza della relativa conclusione, come dimostra proprio la glossa di Bulgaro qui appena ripresa, che, per quanto riferisca l’uti al conduttore impernia l’argomentazione della quale è portatrice sul fatto del personam meam conducere, ossia, sulla centralità della persona. E’ su questa asimmetria del momento esecutivo tra locatio rei e locatio operarum che, tra l’altro, si fonda la diversa conclusione, a seconda che si tratti dell’una o dell’altra figura di locatio, cui Bulgaro, seguito dalla successiva dottrina bolognese, perviene relativamente al problema dell’obbligo della corresponsione del corrispettivo quando il locatore non abbia eseguito la prestazione per fatto a lui non imputabile, dentro la quale ipotesi sta anche il caso fortuito che concerna la sua stessa persona. Ma su questo specifico punto dovrò tornare. Del resto, sia il passo azzoniano, sia quello dell’Ostiense si chiudono con l’allegazione di D.19,2,38 pr.31 che non tratta né espressamente né ex professo della struttura della locatio operarum, ma che contiene la disciplina della impossibilità della prestazione del locatore per fatto a lui non imputabile e costituisce a sua volta la fonte elettiva di argomenti rilevanti per l’analisi del contenuto delle obbligazioni che alle parti derivano dal contratto. Si ricorderà che l’esegesi di Bulgaro si dispiega con riferimento a un frammento parallelo, D.19,2,19,9, che disciplina una medesima ipotesi: nel suo contributo esegetico il glossatore sviluppa i suoi ragionamenti differen29 E, del resto, Azzone stesso distingue, per l’incidenza del caso fortuito, tra il caso del locator corporis e il caso del locator operarum: «Et ita patet ex his casum fortuitum locatori corporis nocere in mercede, ne habeat eam, nisi pro rata. Secus autem uideo in eo, qui locat operas suas tantum, uel locat rem et operam, uel accipit speciem ex innominato contractu, ut aliquid faciat. […]»: AZONIS Summa Codicis 4,65, col. 459, n. 36. Ma, ancora una volta, la distinzione non è rilevante ai fini della determinazione dell’oggetto del contratto, ma del contenuto della prestazione. 30 V. supra p. 76. 31 D.19,2,38 pr.: «Qui operas suas locauit, totius temporis mercedem accipere debet, si per eum non stetit, quo minus operas praestet». VARIANTI DELLA SUBORDINAZIONE, 2. I GLOSSATORI 91 ziali tra locatio rei e locatio operarum e mette in evidenza le relative differenziate responsabilità. Come ho sopra detto, Bulgaro, del tutto coerentemente con D.19,2,38 pr., sostiene che la mancata erogazione delle opere da parte del locatore per l’impossibilità sopravvenuta a causa di un evento che riguarda il conduttore, il quale, per la sua decessio, non può avvalersene, non fa venir meno il diritto a percepire la mercede pattuita, sempreché nell’anno in corso non l’abbia percepita da altri. D.19,2,19,9 sembra dunque assolvere alla funzione di topos dove vengono analizzate le rispettive obbligazioni in un contratto di locatio operarum. Il frammento32, come sappiamo, tratta dell’ipotesi di un exceptor, ossia di uno scrivano, il quale, avendo locato le proprie operae, non può eseguire la prestazione perché è intervenuto il decessus di Antonio Aquila, conduttore, e riferisce un rescritto imperiale nel quale si risolve il quesito proposto, che costituisce la sostanza della controversia: deve o non deve il locatore ricevere, in questo caso, la pattuita mercede? Il responso dei principes si rivolge all’exceptor con il dispositivo che per il momento possiamo così parafrasare: «poiché non hai eseguito la prestazione per causa a te non imputabile–per te non stetisse quominus locatas operas solueres–è conforme ad equità che la mercede ti sia corrisposta». L’apparato accursiano su questo frammento contiene alcune glosse che rivestono un sicuro interesse per il discorso qui svolto. Una prima glossa, appesa alle parole iniziali Cum quidam exceptor, delinea a scopo esemplificativo alcune situazioni empiriche atte a identificare le fattispecie coinvolte dal precetto: «Quia excipiebat, idest redigebat aliqua in scriptis, espensas forte, uel gesta, uel distinctiones quas colligebat a magistro, alio dictante»: excipere qui vale per esplicare la professione di scrivano alle dipendenze e sotto la direzione del committente–alio dictante; venendo meno quest’ultimo il lavoro non può essere svolto. La seconda glossa accursiana chiarisce i termini dell’impossibilità della prestazione e cade sulle parole non stetisse: «Set per casum fortuitum in persona conductoris contingentem». La mancata prestazione, dunque, è fatta risalire ad un caso fortuito–il decessus– che colpisce la persona del conduttore. La terza, che grava sulla parola solueres ne spiega il significato: «idest exhiberes». 32 Non è inopportuno riportarne di nuovo il testo; D.19,2,19,9: «Cum quidam exceptor operas suas locasset, deinde is qui eas conduxerat decessisset, imperator Antoninus cum divo Seuero rescripsit ad libellum exceptoris in haec uerba: “cum per te non stetisse proponas, quo minus locatas operas Antonio Aquilae solueres, si eodem anno mercedes ab alio non accepisti, fidem contractus impleri aequum est”». 92 VICTOR CRESCENZI Una quarta, che esaminerò più oltre, è situata sulle parole aequum est e contiene i fondamenti della decisione imperiale. Qui è opportuno soffermarsi sulla terza, perché introduce una precisazione terminologica sulla quale è opportuno richiamare l’attenzione, in quanto rilevante in ordine alla determinazione delle operae, ossia dell’oggetto dell’obbligazione del locatore. 6.– La glossa accursiana in questione, per esigua che appaia, costituisce l’indizio di un’esigenza di rigore terminologico che ha rilievo concettuale: spiegare la parola soluere del testo di D.19,2,19,9, con la quale genericamente si designa la soddisfazione di un obbligo cui il debitore è tenuto, con exhibere implica una specificazione di questo obbligo, avuto riguardo al contratto dal quale scaturisce. In effetti, se Rogerio, come si è visto sopra, usa la locuzione «dare operas», un’altra locuzione si trova usata nella letteratura giuridica bolognese per identificare la prestazione del locatore di opere: operas exhibere. Ci siamo imbattuti in questa locuzione nel passo del Piacentino sopra citato: locator debet recipere persone mercedem, siue operam exhibuerit, siue non33; la ritroviamo in Azzone almeno due volte in un passo della Summa che tratta dell’actio ex conducto, con riferimento al caso di una persona che loca le proprie operae a due diversi soggetti34: Item uenit in actionem istam ex conducto, ut, qui locauerit operas suas mihi, exhibeat eas. Si autem mihi et alii locauerit simul, priori conductori satisfaciendum est ante, ut D. eodem, l. in operis [D.19,2,26]. [39.] Et hoc aduerbium simul denotat coniunctionem uel identitatem et in persona operantis, et in operis, uel seruitio exhibendo. La locuzione è conforme alla terminologia della compilazione giustinianea, anche se non sembra ricorrere nel titolo Locati conducti 19,2 del Digesto35, né nel corrispondente titolo De locato et conducto C.4,65 del Codex36 e nemmeno nell’eponimo titolo De locatione et conductione 3,24 delle Istituzioni. Tuttavia la troviamo proprio con riferimento alla locazione di opere in D.14,1,1,18, in cui si esclude che l’exercitor nauis debba far ricorso V. supra, p. 79. AZONIS Summa Codicis 4,65, nn. 38 s., col. 460. 35 D.19,2,19,5 l’exhibere è riferito alla relativa actio; D.19,5,1,2 tratta della fides exhibita. 36 In C.4,65 l’exhibere è riferito ad altre entità, quali, per esempio, i custodes (C.4,65,4 pr.), la fides (C. 4,65,4,2); ma exhibere fidem compare anche in C.4,64,7. 33 34 VARIANTI DELLA SUBORDINAZIONE, 2. I GLOSSATORI 93 all’actio exercitoria contro coloro che cum magistro contraxerunt in quanto i rimedi processuali di cui l’exercitor dispone sono quelli derivanti appunto dal contratto concluso col medesimo magister; sicché agirà ex locato cum magistro si mercede operam ei exhibet37. A questi, è opportuno aggiungere altri due reperti38. Il primo, D.41,1,23, è singolarmente importante per la materia qui trattata in quanto concerne un’ipotesi di seruitium sia di un servo altrui, sia di un liber homo e disciplina l’effetto della prestazione delle operae: qui compare la locuzione «quia iure operas ei exhibere debet, cui bona fide seruit»39: e di exhibere seruitium discorre anche Azzone nel passo appena qui sopra riferito. Il debere exhibere operas, dunque, è giuridicamente implicato dal seruire alicui. Nel secondo, D.50,1,17 pr., è presa in esame la posizione del liberto con riferimento ai munera ciuilia, cui è tenuto, anche se sia gravato dagli obblighi nei confronti del patronus che vengono identificati con la locuzione «operas patrono vel ministerium […] exhibere», per quanto questi possano essere assorbenti40. All’interno di questo ordine di considerazioni stanno le locuzioni «angariorum exhibitio» di D.50,5,11 e «operam publicis utilitatibus exhibere» di D.50,6,6,12. Si può dire che tutte queste locuzioni indicano come la esecuzione di un’obbligazione che implica le operae, siano dovute, queste, in virtù del contratto o in conseguenza di uno status, ovvero per altra causa, presenta alcune specificità che occorre illustrare, perché rilevanti in ordine alla più rigorosa comprensione di ciò di cui consistono le operae dedotte nel contratto di locazione, ma anche nella stipulatio operarum. Non è casuale che 37 D.14,1,1,18: «Sed ex contrario exercenti nauem aduersus eos, qui cum magistro contraxerunt, actio non pollicetur, quia non eodem auxilio indigebat, sed aut ex locato cum magistro, si mercede operam ei exhibet, aut si gratuitam, mandati agere potest. Solent plane praefecti propter ministerium annonae, item in prouinciis praesides prouinciarum extra ordinem eos iuuare ex contractu magistrorum». 38 Cfr. H. HEUMANN-E. SECKEL, Handlexikon zu den Quellen des römischen Rechts (Jena 1907, anast. Graz 1971) col. 190b, che, con riferimento a questi due passi del Digesto sopra citati, attribuiscono a exhibere il significato di gewähren (garantire), leisten (prestare, assicurare). 39 D.41,1,23: «Qui bona fide alicui seruit, siue seruus alienus est siue homo liber est, quidquid ex re eius cui seruit adquirit, ei adquirit, cui bona fide seruit. Sed et si quid ex operis suis adquisierit, simili modo ei adquirit: nam et operae quodammodo ex re eius cui seruit habentur, quia iure operas ei exhibere debet, cui bona fide seruit». 40 D.50,1,17: «Libertus propter patronum a ciuilibus muneribus non excusatur, nec ad rem pertinet, an operas patrono uel ministerium capto luminibus exhibeat». 94 VICTOR CRESCENZI la medesima locuzione compare in D.12,6,26,12 che concerne le relazioni intercorrenti tra liberto e patrono con riguardo appunto alle operae41. A questo scopo è opportuno tener conto di un’enunciazione generale che troviamo nel titolo de uerborum significatione del Digesto, e, in particolare, in D.50,16,246 pr.: exhibet, qui praestat eius de quo agitur praesentiam; in questo passo, la locuzione «de quo agitur» si può intendere sia in senso stretto, con riferimento ad un’azione processuale, sia in senso lato, con riferimento a ciò di cui si tratta, ossia all’oggetto dell’azione giuridica generalmente intesa; in questo senso, infatti, lo si contrappone al restituere, così come è spiegato nel successivo § 1. Alla luce di questa considerazione, possiamo fare riferimento anche al precedente frammento di D.50,16,22 dove al verbo exhibere è attribuito il significato di praesentiam corporis praebere42. In cosa consistano il praestare di D.50,16,246 e il praebere di D.50,16,22 si comprende seguendo il percorso sul quale insiste questo titolo del Digesto, che, nei due reperti nei quali dà la significatio del uerbum «exhibere» fa leva sull’analisi differenziale dell’exhibere con il restituere. Restituere, invero, per D.50,16,22 consiste nel facere possessorem fructusque reddere; per D.50,16,246 consiste nel praestare non solo un corpus, ma anche omnem rem condicionemque reddita causa. Vale a dire consiste nel porre in essere un’attività finalizzata ad un risultato materiale, effettivo, e non per caso il riferimento è alla possessio, vale a dire ad uno stato di fatto, che implica la materiale apprensione di un bene; quindi restituere è praestare corpus, nel senso di dare materialmente il corpus di cui si tratta, consegnarlo, tenuto conto della condicio nella quale si trova, ossia nel suo stato di fatto e di diritto. Questo elemento della materialità sembra qualificare anche l’exhibere, che concerne la praesentiam corporis, anche se qui non si tratta di una 41 Cfr. J. THÉLOHAN, «De la stipulatio operarum», in AA. VV., Études d’histoire juridique offertes à P. Fr. Girard (Paris 1913), 355-377; qui, 356, dove è messa in relazione di sinonimia o almeno di equivalenza con l’altra, che lascia pochi dubbi sulla natura materialistica delle operae (peraltro da intendersi in modo specifico con riguardo alla persona di colui che deve prestarle, come si vedrà meglio infra), di suscipere operas, per es. del Gaio di D.19,5,22: «Si tibi polienda sarciendaue uestimenta dederim, si quidem gratis hanc operam te suscipiente, mandati est obligatio, si vero mercede data aut constituta, locationis conductionisque negotium geritur. Quod, si neque gratis hanc operam susceperis neque protinus aut data aut constituta sit merces, sed eo animo negotium gestum fuerit, ut postea tantum mercedis nomine daretur, quantum inter nos statutum sit, placet quasi de nouo negotio in factum dandum esse iudicium, id est praescriptis uerbis». 42 D.50,16,22: «Plus est in restitutione, quam in exhibitione: nam “exhibere” est praesentiam corporis praebere, “restituere” est etiam possessorem facere fructusque reddere: pleraque praeterea restitutionis uerbo continentur». Questo è il testo di D.50,16,246: «Pr. Apud Labeonem pithanon ita scriptum est: exhibet, qui praestat eius de quo agitur praesentiam. Nam etiam qui sistit, praestat eius de quo agitur praesentiam, nec tamen eum exhibet: et qui mutum aut furiosum aut infantem exhibet, non potest uideri eius praestare praesentiam: nemo enim ex eo genere praesens satis apte appellari potest. 1. Restituit non tantum, qui solum corpus, sed etiam qui omnem rem condicionemque reddita causa praestet: et tota restitutio iuris est interpretatio». VARIANTI DELLA SUBORDINAZIONE, 2. I GLOSSATORI 95 consegna, quanto di costituire una disponibilità; per questo exhibere è praebere praesentiam corporis, o, come ho appena mostrato, praestare praesentiam eius de quo agitur cioè garantire al destinatario dell’exhibitio la praesentia, vale a dire l’esistenza effettiva di ciò di cui si tratta, ovvero garantire che ciò che costituisce l’oggetto dell’azione giuridica sia reso disponibile, ponendolo dinnanzi a chi abbia un interesse giuridicamente tutelato: per esempio l’interesse ad avvalersene, a acquisirne la disponibilità effettiva. Il fine dell’exhibere sembra dunque essere quello di garantire al destinatario di disporre del corpus se ne ha diritto, consentirgli di acquisirne la disponibilità, renderlo disponibile; fine del restituere è di attribuire la disponibilità immediata, diretta, effettiva e materiale del corpus poiché ne ha diritto. Entrambi i termini, comunque, hanno come riferimento un corpus, cioè un’entità materialmente identificata: mediata dalla praesentia, l’exhibere, immediata e attuale, il restituere. E, infatti, Azzone precisa: «Nomine autem exhibitionis non continet rei restitutio»43. Ora, naturalmente, qui ci troviamo in un ambito empirico totalmente diverso da quello delineato dall’exhibere in senso stretto, quale risulta dalla funzione esplicata da questo termine con riferimento specifico alla materia delineata dall’actio ad exhibendum, all’interno della quale l’exhibere assume una dimensione processuale, nella quale rileva l’aspetto propriamente pubblico che in quell’ambito vi è sotteso, vale a dire l’aspetto funzionale alla tutela giurisdizionale dei diritti, come scolpisce Azzone, facendo proprie le parole di D.10,4,2: «Est autem exhibere facere in publico potestatem, ut ei qui agit experiundi fiat copia»44; per aggiungere poco più sotto: «In publicum intellige, idest apud magistratum, ut D. de seruis fugitiuis l. in publicum»45. Ma, pur tenendo conto di questa avvertenza, rimane fermo, poiché ne costituisce la base, il significato specifico e generale di exhibere di in publicum rem deducere et uidende, tangendeque et adprehendende rei facultatem prebere46, del qual significato è opportuno sottolineare la conformità con D.50,16,2247. AZONIS Summa Codicis 3,42, col. 259, n. 1. AZONIS Summa Codicis 3,42, col. 259, n. 1. 45 AZONIS Summa Codicis 3,42, col. 259, n. 2. 46 AZONIS Summa Codicis 3,42, col. 259, n. 1. 47 Cfr. un vocabolario giuridico di un autore vissuto tra il XV e il XVI secolo: A. NEBRISSENSIS Vocabolarium utriusque iuris (Venetiis 1597), f. 129vb: «Exhibere est in publicum deducere, seu ostendere, ut copiam habeat aduersarius rem suam tangendi, et eam sic uisam si sibi sua uidetur uendicandi, de hoc, D. ad exhibendum, l. 3, § ait pretor. Req. supra actio ad exhibendum; quandoque etiam exhibere apud Iurisconsulti accipitur pro alere, ut l. si quis, de agnoscendis liberis». f. 260rb: «Restituere est retro statuere hoc est rem in eum statum ducere, in quem fuisset, si nihil, aduersus, quod facienda esset restitutio, euenisset, l. i § restituas, ne quid in loco publico, et uerb. restituere, de uerb. sig. Proprie tamen restituere dicimus quod accepimus, secundum Alc. in d. l. restituere». 43 44 96 VICTOR CRESCENZI Sicché, se l’exhibere si riferisce sempre ad un corpus che ne costituisce l’oggetto, ci troviamo dinnanzi alla stessa problematica terminologica che concerne la locuzione locare operas: come quest’ultima locuzione implica la persona del locatore in funzione della prestazione delle operae, così l’uso del termine exhibere riferito alle operae implica il praebere di una facultas, secondo le parole di Azzone appena qui sopra riferite, che coinvolge, ancora una volta la persona del locatore, ovvero di colui che le operae, il seruitium, le angariae devono prestare; questa persona in tanto exhibet operas suas in quanto mette in condizione il destinatario della prestazione di esercitare la facultas di avvalersi delle di lei operae. Di conseguenza dispositivo del rescritto imperiale riportato da D.19,2,19,9 può essere parafrasato così: «E’ conforme ad equità che sia data piena esecuzione al contratto e ti sia corrisposta la mercede pattuita se, secondo quanto affermi, il fatto che non hai messo in condizione Antonio Aquila di avvalersi della facoltà di trarre vantaggio dalle operae da te a lui locate non è avvenuto per causa tua, purché durante questo medesimo anno tu non abbia percepito una mercede da altri». Ma poiché locare operas, da tutto quel che si è detto fin qui, è locuzione ellittica che implica il locare se, che dell’exhibere operas è il fondamento giuridico, in quanto è dal locare se che nasce l’obbligazione alla prestazione delle proprie operae, si può dire che quella glossetta accursiana–idest exhiberes–specifica che ciò che non si è realizzato senza responsabilità del locatore–la solutio di D.19,2,19,9–è il fatto che il locatore non ha potuto, senza sua responsabilità rendere effettiva la facoltà del conduttore di realizzare il diritto che gli deriva dal contratto di avvalersi della persona del locatore al fine di disporre delle di lui operae cui il locatore è tenuto, cioè non ha potuto uti operibus suis. La glossa dunque sottolinea che il generico «solueres» del testo del Digesto identifica un’obbligazione specifica, che consiste nel rendere disponibile al conduttore la persona del locatore nella misura delle operae alle quali questi è tenuto, per le quali questi si è locato. Tutto questo discorso ci riporta al problema fondamentale per questa indagine, che concerne la relazione che intercorre tra persona e operae, in una parola ci riporta al problema delle operae. 7.– Cosa sono le operae? E’, questa, la domanda che, arrivati a questo punto dell’indagine, non si può più eludere. Diciamo subito che tradurre operae con lavoro, se per certi versi, e in via del tutto generica, può aiutare a capire di cosa parliamo, può aiutarci, cioè, a capire a quale fenomeno ci riferiamo, per altri versi non permette di ricostruire in modo sufficientemente rigoroso e corretto e scientificamente soddisfacente la fenomenologia del lavoro come oggetto di considerazione VARIANTI DELLA SUBORDINAZIONE, 2. I GLOSSATORI 97 giuridica (vale a dire, nel momento in cui diviene entità giuridicamente rilevante), e nemmeno il problema specifico che qui si sta tentando di risolvere, vale a dire quello della subordinazione. Prendiamo l’avvio da una considerazione fondamentale che il SantoroPassarelli svolge analizzando il contratto di lavoro nella struttura data dal codice civile vigente, che si è già richiamata sopra48, dalla quale risulta che, in quanto entità implicata dal contratto di cui all’art. 2094 c. c.49, il lavoro deve essere «inteso come attività, come fare, e non, come da altri è sostenuto, le energie del lavoratore, inseparabili dalla sua persona, perché si esauriscono nell’atto stesso in cui vengono impiegate»50. Per quanto sia strettamente connessa con la fattispecie tipica disciplinata dall’art. 2094 c. c., si tratta di un’affermazione che ha le sue origini nella dottrina dei primi decenni del Novecento, e segnatamente nel Barassi uno dei più strenui difensori–e dunque elaborata essendo vigente il codice civile del 1865, che non conosce la fattispecie tipica del contratto di lavoro subordinato. In particolare, quest’ultimo autore, nella prima edizione del suo trattato, considera le «energie» come ciò che egli sussume nella nomenclatura che adotta, come il requisito o elemento tipico o caratteristico del contratto di lavoro, ovvero come il suo «contenuto»; esso consiste nella «prestazione di determinate energie di lavoro a favore di una delle parti»51. Tuttavia, con più avvertito contegno analitico, lo stesso Barassi, nella seconda edizione del trattato su Il contratto di lavoro nel diritto positivo italiano, perviene ad una più precisa conclusione, secondo la quale, il «lavoro è attività»; e spiega: «Attività è un dispiegamento di energia, uno sforzo anche inibitorio, una distensione di muscoli guidata dalla volontà per un fine esteriore, che per noi, dal punto di vista del contratto di lavoro, è l’utilità di terzi»52. Più oltre, con specifico riguardo a quello che egli stesso designa come «lavoro tecnicamente subordinato», il Barassi scrive che «qui solamente chi dà il lavoro mette a disposizione di un’altra persona una quantità di energie di lavoro»53, e perviene a negare che le energie siano cose, ma anzi, in polemica con il Carnelutti, confuta recisamente la tesi di quest’ultimo, fondata sull’equiparazione delle energie di lavoro alle cose, che implicherebbe la loro autonomia materiale rispetto all’uomo dal V. supra, nota 13. Art. 2094 c. c.: «(Prestatore di lavoro subordinato) E’ prestatore di lavoro subordinato chi si obbliga mediante retribuzione a collaborare nell’impresa, prestando il proprio lavoro intellettuale o manuale alle dipendenze e sotto la direzione dell’imprenditore». 50 SANTORO-PASSARELLI, Nozioni di diritto del lavoro, 130. 51 L. BARASSI, Il contratto di lavoro nel diritto positivo italiano, I ed. (Milano 1901, anast. Milano 2003) 288. 52 L. BARASSI, Il contratto di lavoro nel diritto positivo italiano, II ed. (Milano 1915) I 30. 53 BARASSI, Il contratto di lavoro2 I 441. 48 49 98 VICTOR CRESCENZI quale provengono54, per giungere alla seguente affermazione: «Insomma le forze umane non si conservano una volta esplicate, e con ciò utilizzate: il che è quanto dire che non sono separabili da chi le produce»; di qui la conclusione, secondo la quale, «non le energie dell’uomo, e neppure (tanto meno!) l’uomo sono oggetto di rapporti giuridici»55. L’impegno esegetico che porta il Barassi a porre l’attività al centro della prestazione di lavoro e a farne l’oggetto è diretta conseguenza della insanabile contraddizione che deriva a tutta questa materia dalla centralità che la locazione di opere, intesa come continuazione della locatio operarum di diritto romano, ha continuato ad avere in quanto forma dello scambio di lavoro contro mercede, nell’esperienza giuridica italiana sotto l’impero del codice civile del 1865. L’aporia che ne deriva è denunciata proprio dalla difficoltà di identificare l’oggetto del contratto nella quale si dibatte una parte della dottrina dell’Ottocento e del Novecento mantenendo ferma quella centralità. Difficoltà di cui è sintomo il problema del rapporto tra la persona del lavoratore, le energie lavorative e la necessità di ricorrere alla figura della attività: una figura, questa, che non è implicata esclusivamente dalla locazione di opere (ma nemmeno dal contratto di lavoro subordinato) e dunque non la caratterizza in forma tipica. Anche il mandato, per esempio, implica un’attività a favore e nell’interesse di una persona diversa dall’agente. Ed invero, il medesimo Barassi non si sottrae ad un’analisi differenziale tra mandato e locazione di opere, identificandone il tratto appunto differenziale nella gratuità dell’uno contro la onerosità dell’altra56. Tanto che lo stesso Barassi, distinguendo il mandato gratuito da quello oneroso, riconduce quest’ultimo all’interno della fattispecie del contratto di lavoro, inteso come locazione di opera e non di opere57. Non è dunque la «prestazione di lavoro» ciò che connota il rapporto in misura tale da accomunare mandato (gratuito) e contratto di lavoro, ma proprio l’esistenza o meno della gratuità, che agisce in questi due rapporti in modo tale da differenziarli profondamente, tanto da impedire di «poterli porre uno accanto all’altro» per quanto in entrambi concorra appunto questo che costituisce un «elemento fondamentale: BARASSI, Il contratto di lavoro2 I 454 ss. BARASSI, Il contratto di lavoro2 I 456, con ampia bibliografia. 56 BARASSI, Il contratto di lavoro2 I 264 ss.; qui, v. in part., 280-306. Il discorso svolto dal Barassi è più complesso di quel che potrebbe apparire a prima vista dalle considerazioni che svolgo qui sopra nel testo, ma per quel che qui si sta dicendo può forse bastare il rinvio alla conclusione sopra stilizzata. 57 BARASSI, Il contratto di lavoro2 I 289-90; v. 295, dove è qualificato anche come sottospecie del contratto di lavoro (v. ibidem nota 2, con rinvio alla giurisprudenza). 54 55 VARIANTI DELLA SUBORDINAZIONE, 2. I GLOSSATORI 99 prestazione di lavoro»58. Se si può avanzare una notazione critica a questo proposito, tuttavia, è che in questa analisi differenziale sembra rimanere latente ogni considerazione per la subordinazione–latenza che risale, per la verità, alla formulazione stessa dell’art. 1570 c. c. 1865 e dunque alla configurazione che questa norma dà della fattispecie della locazione di opere59–, del resto in linea con il generale riferimento di questo elemento ad una rilevanza meramente sociologica, o di fatto, ovvero «tecnica», in linea con quanto appena qui sopra già rilevato. Ma la latenza della subordinazione sembra accomunare il Barassi agli autori con i quali si confronta nella sua analisi differenziale della locazione di opere con il mandato60. Mettendo, per il momento, da parte questa considerazione, seguiamo l’ordine di ragionamenti cui, comunque, il Barassi si attiene, che lo conduce a configurare il contratto che ha per oggetto questa attività come la forma dello scambio di due promesse obbligatorie: quella del datore di lavoro è la promessa della mercede; quella del lavoratore è la promessa del lavoro e il fatto che si tratti di promessa obbligatoria non sposta i termini della questione61. Ma dovendo individuare in cosa si risolva il contenuto dell’obbligazione di lavoro derivante dalla promessa, il Barassi conclude che esso non può essere identificato con il lavoro in quanto tale, poiché questo «essendo inseparabile dall’uomo, non ne è che una qualità, un atteggiamento, un modo di essere, per sé non autonomo, né suscettibile di autonomo trattamento giuridico»62; il lavoro, invero, «non è cosa, ma una forma di prestazione»63; sicché, in conclusione, ne risulta così «già delineato quella che è […] la vera rete giuridica che assicura il lavoro alla persona a cui il lavoratore l’ha promesso, non già in forma di una signoria sulle energie di lavoro, ma di una pretesa che l’un contraente ha a che l’altro, il lavoratore, assuma quel dato atteggiamento che si chiama “prestazione del 58 BARASSI, Il contratto di lavoro2 I 307: «Ritengo che da un punto di vista economico e giuridico dobbiamo tenere accuratamente separato il lavoro retribuito da quello gratuito, pur ammettendo che per l’identità della prestazione fondamentale alcune norme saranno comuni; per esse occorrerà quindi il rinvio al contratto di lavoro. I due contratti appartengono a due grandi gruppi distinti: i contratti a base almeno apparententemente altruistica e quelli fondati sullo scambio». 59 Art. 1570 c. c. 1865: «La locazione delle opere è un contratto, per cui una delle parti si obbliga a fare per l’altra una cosa mediante la pattuita mercede». 60 BARASSI, Il contratto di lavoro2 I 278 s. con riferimento alle dottrine dello Sraffa, del Vivante, del La Lumia e del Barberis. 61 BARASSI, Il contratto di lavoro2 I 465 e 467: «Poi il contratto è stipulato; con esso si è scambiata una promessa di lavoro contro una promessa di retribuzione. […]. Ed ecco dunque due rapporti obbligatori. […] Qui vi è rapporto di scambio, e giuridicamente nesso di onerosità». Non può non destare qualche perplessità il fatto che il Barassi parli di due rapporti obbligatori, laddove si dovrebbe ritenere che le due promesse generino un solo rapporto obbligatorio di tipo sinallagmatico, connotato da due obbligazioni corrispettive. 62 BARASSI, Il contratto di lavoro2 I 467-468. 63 BARASSI, Il contratto di lavoro2 I 468. 100 VICTOR CRESCENZI lavoro”, così come gli è stato promesso; insomma, un diritto di credito, il diritto a una prestazione»64. Insomma, oggetto dell’obbligazione altro non finisce per essere che l’obbligazione stessa, ossia, correlativamente appunto il diritto ad una prestazione: «il diritto del creditore di lavoro non è che un semplice diritto di credito» che si specifica nella «pretesa ad una data attività di lavoro […] senza peraltro che questa signoria si traduca in una signoria sulla persona»65; e ciò nemmeno nel contratto di lavoro che il Barassi qualifica come «tecnicamente subordinato»66. Riconoscendo che la subordinazione costituisce «l’elemento più delicato del nostro rapporto», il Barassi così conclude67: Ma teoricamente anche qui non vi è dal punto di vista giuridico una signoria sulla persona: il rapporto di subordinazione non è che una maggiore intensificazione della pretesa ad un dato comportamento, quindi non esce dalla categoria dei rapporti obbligatori a cui appartiene, ad es., quella medesima signoria che ha l’operaio vero il padrone per il pagamento della mercede. Questa conclusione porta ad una conseguenza che, per quel che riguarda il tema qui trattato, ha un rilievo singolare: la subordinazione, infatti, rischia di «degenerare a qualche cosa che assomigli a una manifestazione esteriore di signoria sulla persona. E a impedir ciò deve provvedere, più che non le leggi sociali del lavoro, la coscienza nelle due parti del limite preciso dei propri doveri e dei propri diritti»68. Vale a dire ha come effetto quello di espungere la subordinazione dal novero delle conseguenze giuridiche del contratto, relegandola ad un mero strumento tecnico, il cui rilievo non supera la sfera dei fatti: come tale, essa può pervenire a giuridica rilevanza solo per effetto di leggi speciali, quelle che il Barassi designa come leggi sociali del lavoro, al di fuori dell’ambito delle quali essa subordinazione è affidata all’invero molto incerto dominio della «coscienza» che le due parti devono avere «del limite preciso dei propri doveri e dei propri diritti», come abbiamo appena visto69: come possa, questo limite, essere «preciso», una BARASSI, Il contratto di lavoro2 I 468. BARASSI, Il contratto di lavoro2 I 473. 66 BARASSI, Il contratto di lavoro2 I 473. 67 BARASSI, Il contratto di lavoro2 I 474. 68 BARASSI, Il contratto di lavoro2 I 474. 69 Il che ci permette di escludere che la subordinazione costituisca, nella costruzione del Barassi, un «requisito causale» del contratto. Contra P. PASSANITI, Storia del diritto del lavoro. I. La questione del contratto di lavoro nell’Italia liberale (1865-1920) (Milano 2006) 190: proprio dalle affermazioni del Barassi sopra riportate nel testo risulta come appunto essa subordinazione è del tutto estranea alla causa contrattuale. 64 65 VARIANTI DELLA SUBORDINAZIONE, 2. I GLOSSATORI 101 volta affidato alla coscienza di parti in posizione di diseguaglianza sociale ognuno può immaginare; e, del resto, la storia si è incaricata variamente di mostrarlo in modo impietoso. E’ questa l’aporia più vistosa e più grave che vizia questo ordine concettuale. In realtà, il soggetto che subisce i maggiori danni da questa impostazione è proprio il lavoratore “tecnicamente” subordinato, il quale, restando ferma la struttura contrattuale della locatio operarum, ed essendo escluso che la sua persona sia oggetto di obbligazione, non essendo sopportabile alla coscienza della borghesia liberale una simile impostazione, finisce per non godere più nemmeno di quella tutela che, sempre all’interno della locatio operarum, ne costituisce elemento strutturale, ossia l’obbligazione del conduttore di fare uso del corpus locato senza deteriorarlo e di restituirlo, alla fine del periodo contrattuale, indenne70. Quanto questo abbia pesato nella lunga penosa vicenda relativa alla responsabilità per gli infortuni sul lavoro e quanto tutto ciò si sia riflesso nella incredibile configurazione di tale responsabilità come extracontrattuale, ossia tale da postulare l’irrilevanza del rapporto di lavoro per la costruzione della sua struttura è facile vedere71. L’aporia consiste nell’aver espunto, in nome della sua dignità, la persona del lavoratore dalla struttura del contratto pur mantenendo ferma una figura contrattuale, quale la locatio operarum, della quale la persona costituisce proprio strutturalmente il centro, in quanto corpus del contratto, eliminare il quale non è possibile senza snaturarne appunto la struttura e, dunque, la stessa identità72. In realtà, il diritto romano, come risulta da quel che fin qui si è dimostrato, consegna all’esperienza di ius commune, nell’ambito della quale è ricevuta nella sua struttura tipica, una costruzione contrattuale, nella quale CRESCENZI, «Varianti della subordinazione, 1». Basterà rinviare al saggio magistrale di L. GAETA, Infortuni sul lavoro e responsabilità civile. Alle origini del diritto del lavoro (Napoli 1986), autentica pietra miliare in materia, per rendersene conto. 72 E dunque, non è sufficiente affermare, senza un’adeguata analisi che tenga conto della struttura della locazione, che con la locazione, appunto, «l’uomo rimane estraneo all’oggetto del contratto», laddove nella configurazione dello scambio di lavoro contro mercede nell’ambito concettuale della vendita ne sarebbe stato implicato, secondo quanto afferma PASSANITI, Storia del diritto del lavoro. I, 190. In effetti, proprio con il rimanere ancorati alla locazione, intesa come continuazione della locatio operarum, si produce l’effetto di mantenere inesorabilmente all’uomo la posizione di verace oggetto del contratto; e non bastano volontaristiche affermazioni in contrario da parte della dottrina a espungervelo senza conseguenze non perfettamente calcolate. Mantenere la locazione come strumento contrattuale per l’acquisizione del lavoro contro una retribuzione costituisce, quindi, come qualcuno direbbe, un clamoroso esempio di ignoratio elenchi. In altre parole, la logica giuridica, intesa come logica di strutture che hanno una storia precisa, rivela in questo caso tutta la sua potenza. E non si tratta di mera equivalenza nominalistica: la locazione degli artt. 1568 e 1627 c. c. 1865 è, infatti, proprio un calco non meramente linguistico della locatio operarum che trascina il fraintendimento di ciò che sono le opere. 70 71 102 VICTOR CRESCENZI la persona del locatore è il vero e ineludibile oggetto, come dimostra la linea dottrinale che risulta dalla linea esegetica che unisce Bulgaro ad Azzone e alla glossa accursiana, fino almeno a Raniero Arsendi da Forlì. Ricordo che sia Bulgaro, sia il Piacentino, sia Azzone pongono la persona al centro della locatio-conductio operarum e, precisamente, identificano nella persona l’oggetto del contratto73. E la persona viene in considerazione nel rapporto che dal contratto scaturisce, specificandosi nelle operae, vale a dire in quelle entità che con essa costituisce un’unità inscindibile: sicché possiamo rispondere all’interrogativo, col quale si è aperto questo paragrafo, affermando che le operae altro non sono che la persona, la persona stessa del locatore, un suo modo di essere che assume determinazione nell’ambito nel quale questa si pone a disposizione del conduttore per un tempo predefinito, vale a dire la giornata di lavoro. Esse non sono né l’attività del locatore (ma, semmai, ne sono una potenzialità), né le sue energie idealmente o materialisticamente considerate, ma la persona non nella sua indeterminatezza, ma in quanto gravata da quel diurnum officium (D.38,1,1) nella misura quantitativa contrattualmente stabilita: sono, le operae, il quanto di officium che essa persona è tenuta a dare, exhibere, praestare, in senso proprio, vale a dire a consegnare nella disponibilità del conduttore corrispondente ad una giornata convenzionalmente stabilita, che, secondo calcoli che si possono ritenere piuttosto precisi e attendibili, almeno con riferimento per esempio alle lavorazioni dell’arte della lana a Firenze, è composta da nove ore di lavoro effettivo74; naturalmente, per le lavorazioni agricole il discorso non può non tener conto della durata del giorno; ma quel che conta, in questo discorso, è la funzione di unità di misura che si deve attribuire al termine “opera”. Che questa impostazione sia sostanzialmente condivisa nell’intera esperienza di ius commune e non si esaurisca in un rigoroso contegno dottrinale che rimane estraneo alla effettività della vita socioeconomica e giuridica dell’età di mezzo risulta dal fatto che gli statuti, in genere, anche della tarda età di diritto comune, parlano di locare se75. E’, questa, una locuzione, che 73 BULGARO: «aliud est cum personam conducis meam, ut operis meis utaris, aliud cum rem meam tibi loco utendam […]. Priore uero, idest ubi personam meam conducis»; PIACENTINO: «locatur alias persona, ut fossoris et exceptoris; alias res, ut ager, domus, equus. Et certe ubi locatur persona, siue persone opera […]»; AZZONE: «Est autem locatio persone reiue ad usum facta concessio, mercede in pecunia numeranda et conuenta[…]» (corsivi ovviamente miei). 74 Cfr. la ricostruzione delle modalità di lavoro nella produzione laniera in B. DINI, «I lavoratori dell’arte della lana a Firenze nel XIV e XV secolo», in AA. VV, Artigiani e salariati. Il mondo del lavoro nell’Italia dei secoli XII-XV, atti del decimo convegno internazionale del Centro di studi di storia e d’arte di Pistoia, Pistoia, 9-13 ottobre 1981 (Pistoia 1984) 27-68; qui, 52 s. 75 Traggo gli esempi dalle cospicue allegazioni di G. ROSSI, Sul profilo della «locatio operarum» nel mondo del lavoro dei comuni italiani secondo la legislazione statutaria, ed. provvisoria (Milano 1958), ora in ROSSI, Studi e testi di storia giuridica medievale, a cura di G. Gualandi e N. Sarti (Milano 1997) 457-602 (tra parentesi quadre indico la nota e la pagina di questo saggio da cui traggo gli esempi che VARIANTI DELLA SUBORDINAZIONE, 2. I GLOSSATORI 103 il Rossi qualifica come «imprecisa»76, quantunque la si trovi attestata, per esempio, in D.19,2,60,7, sia pure con riferimento ad un seruus mulio del quale si dice letteralmente che «se locasse»; ma non ritengo che il fatto che colui che locat se sia un seruus costituisca argomento decisivo per escluderne la correttezza e nemmeno l’applicabilità alla persona del libero, soprattutto se si tiene conto del contesto in cui compare, nel quale vengono dibattute differenziali figure di responsabilità. Del resto, che, per esempio, alienus servus seruire nobis potest, sicuti liber, et multo magis operas dare, è sancito da D.40,7,4,4; e la glossa accursiana sulle parole sicuti liber chiarisce: «Accepto uerbo seruire non pro domino»77. Al contrario, la locuzione locare se si può fondatamente ritenere di natura tecnica e in tal funzione la si trova usata nelle carte di locatio operarum, per esempio del secondo secolo (a. 169 d. C.), nelle quali il locator non è qualificato come seruus: «[…] dixit se locasse et locauit operas suas […]»78, ovvero «[…] fatetur se locasse et locauit operas suas […]»79. In realtà, se la locatio operarum, come ho dimostrato altrove80, costituisce la forma della subordinazione, ciò non implica, secondo quanto ha dimostrato il Martini per l’età romana81, che «il lavoratore si riducesse in una condizione di semilibertà»82, in quanto se l’oggetto del contratto rimane la persona, questa ne risulta bensì assoggettata, ma solo quanto e limitatamente al contenuto dell’obbligazione che dal contratto scaturisce, che determina il contenuto della prestazione che grava su colui che locat se: questo contenuto sono le operae e ciò, come abbiamo visto, giustifica la locuzione locatio operarum, che si è sopra qualificata come una locuzione sintetica. Ma questo ci riconduce al problema appena qui sopra enunciato: seguono): locare se incontriamo, per esempio, negli statuti di Bene Vagienna (1293) [nota 14, 477] e Feltre (1340) [nota 57, 517]; da notare la seguente fraseologia adottata dagli statuti di Sant’Anatolia (1324) [nota 83, 525]: «Statuimus quod quicumque promiserit stare cum aliquo et iuuare ipsum cum persona uel rebus per diem uel dies […]» (corsivo mio): il riferimento alle res riguarda evidentemente gli arnesi di lavoro; Belluno (1456) [nota 155, 545], la rubrica del cap. CC del lib. II è: De locationibus personarum; nel testo del capitolo: «[…] quod talis persona sic locata ut supra, discedat a domino suo, siue domina, uel magistro, cum quo se locauerit, uel locata fuerit […]» [nota 167, 549]; Feltre (1350) [nota 161, 546], la rubr. CV del lib: II è: De se locantibus cum aliquo ad standum, habitandum uel ad laborandum; Catania (1345) [nota 171, 550]: «Et si forte persona conducta […]» (v. anche nota 191, 554); passim. 76 ROSSI, Sul profilo, 508. 77 Questo è l’intero testo della glossa in questione relativa a D.40,7,4,4: «sicuti liber Accepto uerbo seruire non pro domino, alias secus, ut supra l. proxima § ult. [D.40,7,3,16 s.]». 78 FONTES IURIS ROMANI ANTEIUSTINIANI [FIURA], III, Negotia, ed. V. ARANGIO-RUIZ, ed. altera (Florentiae 1969) n. 150, 467. 79 FIURA, 468. 80 CRESCENZI, «Varianti della subordinazione, 1. L’età tardo antica». 81 R. MARTINI, «Mercennarius». Contributo allo studio dei rapporti di lavoro in diritto romano (Milano 1958) 38, 47, passim. 82 ROSSI, Sul profilo, 508. 104 VICTOR CRESCENZI cosa sono le operae nella terminologia e nell’esperienza giuridica, ma anche economica del diritto comune? Né possiamo accontentarci, se non in via di primissima approssimazione, di quel che si è appena sopra enunciato: essere, cioè, le operae l’unità di misura giornaliera alla quale deve essere riferito l’impegno del locator, ossia in base alla quale si definisce la durata del tempo in cui questi rimane a disposizione del conduttore. Per affrontare questo interrogativo si deve tener conto di una considerazione preliminare: la teoria delle operae, nelle fonti giustinianee non si trova sviluppata con immediato e specifico riferimento alla trattazione della locatio-conductio: né in Inst. 3,24 (De locatione et conductione), né in D.19,2 (Locati conducti), né in C.4,65 (De locato et conducto). Questi titoli, che costituiscono le sedes materiae della locatio operarum come specificazione dell’unitaria figura contrattuale della locatio-conductio, usano il termine operae mostrando di implicarne il significato che evidentemente deve essere cercato altrove, e in particolare dove le operae costituiscono un’entità dotata di relativa identità, in quanto oggetto di obbligazione. In altre parole, il fatto che le operae non trovino definita alcuna fisionomia nei titoli dedicati alla locatio è l’ulteriore dimostrazione del fatto che non sono esse a costituire l’oggetto del contratto. Al contrario, sono oggetto di obbligazione con riferimento alla relazione che intercorre tra liberto e patrono, nella quale la relativa disciplina assume la forma della stipulatio operarum. Qual è la funzione di questo contratto con specifico riferimento al rapporto tra liberto e patrono? In via di prima approssimazione, per quel che può interessare qui, si può rispondere che questa funzione consiste nel rendere giuridicamente determinato l’obbligo delle operae cui è soggetto il liberto in seguito alla manomissione, che fa parte del complesso di doveri cui il manomesso è assoggettato a causa dell’affrancamento; doveri che, insieme con alcune pretese, si collocano prevalentemente sul piano sociale, ovvero sul piano delle obbligazioni naturali, come dimostra D.12,6,26,12. All’atto della manomissione, dunque, lo schiavo da manomettere presta la promissio iurata liberti, con la quale si impegna a prestare a favore del patrono una certa quantità di operae, vale a dire giornate di lavoro–secondo quanto specifica espressamente l’Arangio-Ruiz83–; questa promissio ancora non costituisce, né potrebbe costituire, dato lo stato di servitù in cui fino alla manomissione versa il promittente, fonte di obbligazione civile (lo schiavo non può obbligarsi, in linea di principio)84; avvenuta la manomissione, il liberto ripete la promessa probabilmente con la forma della stipulatio e in tal modo si obbliga civilmente. 83 84 ARANGIO-RUIZ, Istituzioni di diritto romano (Napoli 1934), 471. ARANGIO-RUIZ, Istituzioni, 310-311. VARIANTI DELLA SUBORDINAZIONE, 2. I GLOSSATORI 105 Checché sia di ciò, quel che interessa qui è la assoluta univocità della stipulatio operarum come un contratto dal quale scaturisce un’obbligazione di dare85: precisamente di dare una determinata quantità di operae, ossia di giornate di lavoro. Allineiamo qualche dato testuale in questo senso assolutamente univoco86: D.37,14,6,1: «Stipulatus est centum operas aut in singulas aureos quinos dari: non uidetur contra legem stipulatus, quia in potestate liberti est operas dare»; D.38,1, De operis libertorum, 15,1: «[…] denique Celsus libro duodecimo scribit, si communis libertus patronis duobus operas mille daturum se iurauerit […]»; D.38,1,24: «[…] operas tuas pictorias centum hodie dare spondes? […]»; D.38,1,39: «[…] si decem dierum operas non dederis, uiginti nummos dare spondes? […]»; D.40,7,4,4: «[…] Stichus si Titio per triennium seruierit uel si illi centum operas dederit, liber esto […] nam et alienus seruus seruire nobis potest, sicuti liber, et multo magis operas dare […]»; D.40,7,20,5: «[…] quia operae per singulos dies dantur […]». Questa rapida esemplificazione dimostra che le operae non possono identificarsi sic et simpliciter con l’attività, intendendo con ciò un quid di immateriale che fluisce dalle energie di colui che la esplica, com’è proprio di un ordine di idee oggi corrente; esse vanno viste in un’ottica materialistica e in quest’ottica non possono essere identificate altrimenti che in un corpus che costituisce l’oggetto del contratto; questo corpus altro non può essere che la persona stessa dell’obbligato, sia esso libero, liberto o schiavo; questi, ancora una volta, si consegna nella disponibilità del destinatario della promessa per una durata stabilita, che appunto è determinata dalla quantità di operae promesse. Le operae, dunque, non sono ancora l’attività, ma la potenzialità di un’attività; in tanto esse si risolvono in un’attività in quanto siano datae, editae, exhibitae; o, detto altrimenti, è l’operas dare a costituire l’attività, il facere, non le operae di per sé. Il coinvolgimento della persona, peraltro, è necessario per dare concretezza giuridica al modo dell’esecuzione dell’obbligazione, che non solo deve ridondare in utilità del creditore, ma deve svolgersi in modo conforme alle sue indicazioni, direttive e organizzazione: in una parola è un modo subordinato. Ancora una volta, dare operas presuppone il dare personam nella disponibilità di colui al quale la promessa è resa nella misura di una o più giornate quante sono le operae promesse e che dovranno essere datae. Locare se, dunque, è mettere se stessi nella disponibilità del conduttore; operas dare è portare a compimento l’esecuzione del contratto: la prima è l’obbligazione principale, geneticamente preordinata alla conseguente ulteriore, ma necessaria obbligazione 85 86 Cfr. in questo senso, J. THÉLOHAN, «De la stipulatio», v. in part., 356. Traggo gli esempi da THÉLOHAN, «De la stipulatio», 359, nota 5 (corsivi miei). 106 VICTOR CRESCENZI di dare operas che determina la misura della disponibilità concessa e la rende concreta nel relativo facere. Locare se, con il suo connotato di subordinazione che gli è intrinseco, è il presupposto del dare operas, e ne costituisce l’elemento tipico tale da distinguere il dare operas che si esegue all’interno e in conseguenza di una locatio operarum da tutte le altre forme all’interno delle quali qualcuno compie un’attività nell’interesse di un altro, come il mandato e probabilmente anche la negotiorum gestio. E’ soltanto in questo senso che appunto il facere entra in un contratto la cui struttura consiste in un’obligatio dandi, secondo la terminologia e la nomenclatura romanistica. Infatti, con il dare operas il contratto completa la sua funzione, in quanto preordinato alla realizzazione di un’utilitas da parte del conduttore: in questo senso, il dare operas è propriamente complementare all’atto con il quale il locatore locat se. Per convincersene basta fare riferimento alla esposizione di Azzone, che, come si è sopra visto, distingue tra concedere personam ad usum87 e uti operis suis [del locatore] in re conductoris88; la concessio personae è appunto l’obbligazione primaria, il presupposto, che realizza la causa contrattuale instaurando il rapporto tra locatore e conduttore, all’interno del quale assume funzione specifica e tipica l’esecuzione dell’obbligazione di uti operibus, che è appunto un altro modo di identificare l’operam dare: la seconda presuppone la prima e la qualifica89. E’ dunque in questo senso che deve essere intesa quella faciendi necessitas che troviamo in D.19,2,22,2. Da questo frammento risulta come l’effetto obbligatorio specifico e ineliminabile del locare se è la necessitas, vale a dire l’obbligo, di facere, ossia di operas dare, ovvero, per assumere il punto di vista di Azzone, di uti operibus, dell’erogare un’attività nell’interesse del conduttore. 8.– Si può così evitare di rimanere relegati all’interno di una visione formalistica dell’intera fenomenologia, e si può così liberare lo sguardo verso ciò che accade effettivamente tra locatore di opere e loro conduttore facendo interagire la forma con il complesso delle relazioni reciproche tra le parti. Se, infatti, si supera il punto di vista formale e puramente concettuale fin qui assunto per identificare la struttura del contratto, e si accede ad un punto di vista che guardi alla concretezza della vita giuridica e socioeconomica dello scambio si vede che per quanto il locatore abbia posto la propria persona nella disponibilità del conduttore e di conseguenza si trovi gravato AZONIS Summa, col. 454, n. 1; cfr. supra, p. 83. AZONIS Summa Codicis, col. 454, n. 2; cfr. supra, p. 83 s. 89 V., in questo senso, FORCELLINI, Lexikon totius latinitatis (Patauii, 1864-1926, anast. Bologna 1965), III, ad uoc. opera, 493: «I, 3 Item speciatim dare, reddere, edere operas et similia, est facere, praestare, praebere alicuius commodo, alicui inseruire […]». 87 88 VARIANTI DELLA SUBORDINAZIONE, 2. I GLOSSATORI 107 dell’obbligazione a exhibere le proprie operae per il conduttore, ad un facere nell’interesse di quest’ultimo, non è detto che la prestazione di tali operae si realizzi sempre; lo dimostra il caso, dall’esame del quale ha preso l’avvio questo discorso, dell’exceptor, ossia dello scrivano che non può eseguire la sua prestazione a causa del decesso del conductor. Nel caso dell’exceptor, per quanto questi fosse pronto ad exhibere operas suas, venendo meno il destinatario di questo exhibere viene meno per il locator la possibilità materiale di portare alle sue conseguenze pratiche e concrete l’obbligazione assunta. In altre parole, viene meno il fatto dell’uti operibus locatoris da parte del conductor, ovvero il fatto dell’uti operibus suis in re conductoris da parte del locator, secondo la configurazione di Azzone nella Summa, sulla quale mi sono soffermato in modo diffuso sopra90. Del resto, che l’exhibere, si risolva in concreto nel facere da parte del locator ciò che il conductor ritiene utile per la realizzazione dei propri interessi è reso in modo rigoroso dall’Ostiense che, come ho mostrato sopra, descrive il contenuto obbligatorio che grava sul locator come un operari in re conductoris91. Non c’è dubbio che sia la formulazione azzoniana–operis tuis, mercede conuenta in re mea utaris–, sia quella dell’Ostiense–si operareris in re mea, certa mercede tibi danda–con l’introdurre la considerazione dell’azione esecutiva del locator, vista nella sua dimensione concreta e pratica–che Azzone identifica nell’uti e l’Ostiense nell’operari in re conductoris–, dimostrano che la dottrina dei glossatori è consapevole del fatto che, la conseguenza necessaria della struttura del contratto che ha per oggetto la persona del locatore, è che questi dovrà esplicare un’attività, un facere nell’interesse del conductor, senza di che il dato strutturale che vede implicata la persona del locator si risolverebbe in un mero asservimento. In altre parole, sia Azzone, sia l’Ostiense concentrano il fuoco della loro costruzione sul locatore, mettendo in certo senso in un relativo secondo piano il conduttore. E con ragione. Infatti, differentemente da quel che accade per la locatio rei, nella quale è il conduttore ad agire, una volta conseguita la disponibilità della cosa locata, facendone uso ai fini del godimento delle utilità che da questa intende ricavare, nella locatio operarum, affinché il conduttore possa conseguire la relativa utilitas, ossia affinché possa realizzare l’interesse per il quale ha condotto le operae–ovvero ha condotto la persona, le operae della quale sono strumentali alla realizzazione di un proprio determinato interesse–ha generalmente bisogno della cooperazione del locatore: questi, non può limitarsi a mettersi nella disponibilità del conduttore (parallelamente a quel che 90 91 V. supra pp. 83-84. V. supra pp. 85-86. 108 VICTOR CRESCENZI accade nella locatio rei, nella quale il locator deve dare al conduttore la piena disponibilità del corpus locato e lasciare che questi ne goda nel modo che più ritiene conforme ai propri interessi, salva la destinazione economica del bene e i limiti conseguenti), facendosene mero strumento inerte e passivo, ma, appunto, deve tradurre questa disponibilità in azione, deve eseguire, facere quel che il conduttore gli richiede in esecuzione del contratto: operari. Ciò, se si può dire che rimanga implicito nel passo dell’Ostiense sopra richiamato, è da Azzone testualmente reso esplicito dal fatto che questi definisce la locatio come concessio persone ad usum92, ma subito dopo, nel passo che ho assoggettato a analisi critica, specifica che questo usum, questo uti sono imputati al locator93: Tu quoque, si operis tuis, mercede conuenta in re mea utaris, diceris locator operarum tuarum et ego eorundem conductor; e rinvia a D.19,2,38 pr. che ha il suo fulcro appunto in un locator che, senza sua colpa, quominus operas praestet. Questo complesso di considerazioni costituisce un argomento molto forte a favore della lezione tramandata dalle edizioni della Summa e può permetterci di concludere che Azzone guarda alla fenomenologia dell’esecuzione del contratto nella sua interezza, e per questo colloca il locator come il soggetto dell’azione dell’uti delle proprie operae in re conductoris. In tal modo ne risulta mirabilmente sottolineata la profonda differenza che passa da un punto di vista fenomenologico tra la locatio operarum e la locatio rei, come appena sopra ho rilevato, differenza che non mette in discussione l’unitarietà concettuale e strutturale esistente tra le due figure. Del resto, che questo aspetto del contratto–visto non nella sua dimensione meramente formale, ma come mezzo di composizione di un conflitto d’interessi, com’è per ogni contratto, ossia come strumento sociale di scambio di utilità tra soggetti che mettono in gioco qualcosa per ricavarne un corrispettivo, insomma e in poche parole, come forma della vita associata e del relativo dinamismo–, che questo aspetto del contratto sia presente all’attenzione del glossatore, risulta da un passo della sua Summa Codicis, già sopra segnalato a mero scopo esemplificativo a proposito del termine «exhibere». Si tratta dell’esegesi a D.19,2,26, che, con riferimento al caso di una persona che loca le proprie operae, simul, a due diversi soggetti sancisce: «In operis duobus simul locatis conuenit priori conductori ante satisfieri». Il problema si pone proprio a causa dell’identificazione postulata 92 93 Cfr. supra, p. 83. Cfr. supra, p. 84. VARIANTI DELLA SUBORDINAZIONE, 2. I GLOSSATORI 109 e enfatizzata dallo stesso glossatore delle operae con la persona, nonché per l’indivisibilità della giornata di lavoro, ossia dell’opera94: Si autem mihi et alii locauerit simul, priori conductori satisfaciendum est ante, ut D. eodem, l. in operis [D.19,2,26]. [39.] Et hoc aduerbium simul denotat coniunctionem uel identitatem et in persona operantis, et in operis, uel seruitio exhibendo; non notat identitatem temporis, alioquin nullus esset ordo temporis, quod in litera negatur, cum dicit «priori conductori». Quid iuris se qualcuno ha locato le proprie opere nello stesso tempo– simul–a due conduttori? Qui Azzone mette subito a fuoco il problema: simul non può riferirsi al momento della conclusione del contratto, tanto è vero che la litera di D.19,2,26 parla di un conductor prior, ovvero di un conduttore al quale deve essere riconosciuta la precedenza: «In operis duobus simul locatis conuenit priori conductori ante satisfieri»; del resto una simile simultaneità sarebbe in contraddizione con l’ordo temporis, ovvero sarebbe impossibile. Secondo Azzone, in realtà, l’avverbio simul identifica una contemporaneità che riguarda due entità che qui si presentano nella reciproca inscindibilità: i. la persona di colui che deve operari, e (di conseguenza) ii. le operae (ovvero il seruitium) che devono essere exhibitae. Ancora una volta, l’una e le altre sono configurate come due facce d’una medesima realtà: l’uomo nella sua potenzialità di lavoro, o, più sinteticamente, l’uomo che lavora. E in effetti, la persona in tanto entra nel contratto in quanto dovrà necessariamente operari; di conseguenza la simultaneità coinvolge le operae. Dunque, qualcuno ha locato le proprie opere con due distinti contratti a due diversi conduttori, promettendone l’esecuzione in un medesimo tempo; la domanda è: si può simultaneamente dare operas a due diversi conduttori? Il senso di questa problematica è che l’identità nell’oggetto non inficia il contratto; ma poiché questo si risolve in un operari, in un facere, è non solo valido, ma anche efficace: il locatore eseguirà il proprio adempimento dando la precedenza al conduttore con il quale per primo ha concluso il contratto. Vale a dire, l’identità dell’oggetto non implica l’identità nelle esecuzioni che, sebbene promesse per uno stesso tempo, possono essere distribuite ed erogate in due momenti diversi, dando la precedenza a quello, tra i conduttori, che per primo ha concluso il contratto. L’identità dell’oggetto–lo stesso locator e dunque le stesse operae per uno stesso tempo–non rende impossibile l’esecuzione, la quale può essere eseguita dando la precedenza al prior conductor. 94 AZONIS Summa Codicis 4,65, nn. 38 s., col. 460. 110 VICTOR CRESCENZI La glossa accursiana95 riprende le argomentazioni dell’esegesi azzoniana appena illustrate facendone propri i presupposti e sottopone l’intero problema ad un’analisi approfondita. In primo luogo qui Accursio rileva una apparente–uidetur–contraddizione logica interna al passo del Digesto commentato: «Hec lex uidetur sibi contraria; nam dicit simul esse locatas, et dicit postea aliquem esse priorem». La contraddizione si risolve, conformemente con quanto già rilevato da Azzone, riconoscendo all’avverbio simul la funzione di determinare l’identità nelle operae eiusdem hominis che concorre con l’identità nel tempo dell’esecuzione: hec dictio “simul” denotat identitatem operarum eiusdem hominis et in id tempus faciendarum; il rinvio a D.20,4,7,1 e a D.20,1,16,8 serve per introdurre il tema del concorso dei creditori ad una medesima prestazione relativa ad un medesimo oggetto, su cui ruota tutta questa glossa. Il che costituisce argomento per sostenere che qui, ossia al livello dello strato esegetico accursiano, immediatamente successivo a quello azzoniano96, l’homo e le sue operae continuano ad essere configurati come l’oggetto del contratto di locazione, da tenere ben distinto dal suo contenuto obbligatorio, identificato dalla locuzione tempus operarum faciendae. 95 Gl. a D.19,2,26: «in operis duobus simul Hec lex uidetur sibi contraria; nam dicit simul esse locatas, et dicit postea aliquem esse priorem. Solutio: dico quod hec dictio «simul» denotat identitatem operarum eiusdem hominis et in id tempus faciendarum, non temporis contractus, idest non eadem hora, alioquin nullus esset ordo temporis, quod hic negatur, et probatur infra qui potiores in pignore habeantur l. idemque § fi. [D.20,4,7,1]; uel dic simul, idest eodem die, ut infra qui potiores in pignore habeantur l. si fundus § si duo [D.20,1,16,8]. Item intellige secundum quosdam hanc l(egem) quando coram eodem iudice ambo conductores agunt. Nam tenetur ex officio suo: quia simul utrique non potest liberari, priori debet satisfieri. Secus in chirografariis creditoribus, nam omnes concurrunt in pecunia prout omnibus de rebus satisfieri potest, nec ob(stat) supra de iudiciis l. qui prior [D.5,1,29], quia licet in uentilationem cause sit prior qui ante prouocauit, licet post conduxerit, non tamen in executione sententie, uel dicas apud diuersos agi si tamen unus iudex exequatur utramque sententiam debet iuberi priori satisfieri ante omnia. Item quero quomodo hic extimatur priuilegium in personali actione ex tempore; hoc enim esse non debet, ut infra de priuil(egiis) cre(ditorum) l. priuilegia [D.42,5,32]. Respondeo: hic secundus conductor sciebat alii prelocasse operas et non posse eum satisfacere duobus, ibi ignorabat; uel hic in faciendo ubi impossibile est utrumque simul fieri, uel ibi in dando, nam in dando non extimatur ex tempore, ut, si unus duorum tutelam fecit, primo uni postea alii, certe actione tutele ambo admittuntur equaliter, ut d(icta) l. priuilegia [D.42,5,32], set hypothecaria secus. Fallit autem hoc in dote, in qua siue personali siue hypothecaria agatur, consulitur prius filiis primi matrimonii, ut C. qui potiores in pignore habeantur l. asiduis § pe. [C.8,17(18),12, 7 s.]. Ex his contingit quod si quis obligauerit alicui priuato qui habet habiturusue est et postea fisco prefertur priuatus in his que habebat tempore obligationis; nam in his que postea quesiuit prefertur fiscus, ut infra de iure fisci l. si is qui mihi [D.49,14,28]. Item intellige hanc l(egem) cum ipsum factum faciendum est, alias si interest prestandum est, tunc satisfit utrique simul, ut dixi in personali.». 96 Sul concetto di “strato” cfr. S. CAPRIOLI, «Satura lanx:17. Convenzione su strato e apparato» in Studi Senesi 31 (1981), 417-20; P. MARI, «Fenomenologia dell’esegesi giuridica bolognese e problemi di critica testuale» in Rivista di storia del diritto italiano 55 (1982), 17 nota 42; P. MARI, «Esperienze filologiche su glosse e apparati» in Initium, 8 (2003), 415-487. VARIANTI DELLA SUBORDINAZIONE, 2. I GLOSSATORI 111 L’ipotesi ventilata dalla glossa è quella, secondo la quale entrambi i conduttori si rivolgono ad un medesimo giudice, il quale, visto che il locatore è debitore delle operae ex officio suo, ma non può adempiere simultaneamente nei confronti dei suoi conduttori, è tenuto a dare la precedenza al conduttore che per primo ha concluso il contratto97. Diverso è il trattamento per i debiti chirografari, ossia privi di privilegi, come quelli di cui tratta D.20,4,7,1, per i quali il concorso è possibile, come è possibile che tutti siano soddisfatti nei limiti delle sostanze del debitore. Né è rilevante chi per primo tra i conduttori abbia proposto la domanda giudiziale; in ogni caso, quindi anche se per primo ha agito in giudizio il conduttore che ha stipulato per secondo, il giudice deve ordinare, nell’esecuzione della sentenza, che sia soddisfatto il conduttore che ha per primo concluso il contratto98. Per l’Ostiense, poi, quando non sia determinabile questa priorità si dovrà ricorrere alla sorte99. Nemmeno è rilevante, secondo l’ordine di ragionamenti seguito dalla glossa, quanto si desume da D.42,5,32 che concerne le obbligazioni che hanno un privilegio; questo passo del Digesto, infatti, per tali obbligazioni sancisce l’irrilevanza del tempus nello stabilire le precedenze tra di esse, in quanto priuilegia non ex tempore aestimantur, sed ex causa, tanto che quelli che vantano titoli equivalenti sono in concorso tra di loro, indipendentemente dal tempo della loro costituzione100; questa norma, invero, potrebbe apparire in contraddizione con il precetto di D.19,2,26 qui commentato, che per parte sua stabilisce la priorità del primo conduttore proprio tenendo conto del tempo di conclusione del contratto. A parte la considerazione della scienza da parte del secondo conduttore dell’esistenza di un precedente contratto101, considerazione che mi sembra di poca consistenza e di dubbia efficacia, poiché di questa scienza non è menzione nel caso ventilato da D.19,2,26 qui esaminato, la soluzione che la glossa dà del contrasto tra le due disposizioni fa pernio sull’esplicitazione di ciò che nell’esegesi azzoniana rimaneva implicito in quell’aggettivo «operantis» che qualifica la persona obbligata e la proietta nel momento esecutivo, nell’attività, nel 97 Si tratta del segmento di testo da «Item intellige» a «debet iuberi priori satisfieri ante omnia». 98 Si tratta del segmento di testo da «Secus in chirografariis» a « priori satisfieri ante omnia». 99 HOSTIENSIS Summa aurea X.3,18, lib. III, De locato et conducto, n. 7, col. 758: «Si quis autem operas locauerit duobus, primo satisfaciendum est primo conductori, ut D. eodem (l.) in operis [D.19,2,26]. Quid si non apparet quis primus? forte dirimendum est argu(mento) D. de iudiciis (l.) in his tribus [D.5,1,13] et l. seq. [D.5,1,14], C. communia de legatis l. ult. [C.6,43,3]». 100 D.42,5,32: «Priuilegia non ex tempore aestimantur, sed ex causa, et si eiusdem tituli fuerunt, concurrunt, licet diuersitates temporis in his fuerint». 101 «Respondeo: hic secundus conductor sciebat alii prelocasse operas et non posse eum satisfacere duobus, ibi ignorabat». 112 VICTOR CRESCENZI facere che costituisce ciò in cui si concreta il seruitium exhibendum e che, dunque, racchiude il senso di quel che qui si sta dicendo: ossia, che l’identità dell’oggetto dell’obbligazione insieme con quella del tempo in cui questo oggetto è impegnato si risolve, per il fatto che il contenuto esecutivo dell’obbligazione stessa consiste in un’attività, in un facere, distribuendone l’esecuzione nel tempo, dando la precedenza al prior conductor: uel hic in faciendo, ubi impossibile est utrumque simul fieri, uel ibi in dando, nam in dando non extimatur ex tempore. Il criterio risolutivo del contrasto tra i due passi del Digesto in questione è dunque identificato nel fatto che in D.19,2,26–hic–, si parla di un obbligazione il cui contenuto si risolve in un facere, in D.42,5,32–ibi–si parla di obbligazioni di dare, per le quali il tempo in cui l’obbligazione e nata non è rilevante. Che peso si deve dare a questa conclusione? Forse che essa è testimonianza di quella revisione dogmatica pretesa dal De Robertis e dal Rossi che avrebbe sottratto il contratto di locatio operarum dal novero delle obligationes in dando per ricondurla all’interno di quello delle obligationes in faciendo? La risposta continua ad essere negativa, perché i testi esegetici qui commentati sono irrilevanti ai fini di questo problema. Invero, qui il glossatore non si propone di configurare una teoria generale della locatio operarum modificandone la struttura concettuale. Da tutto quel che si è venuto dicendo dovrebbe risultare evidente che il problema qui affrontato e risolto non ha una dimensione teorica, né è indirizzato alla costruzione di fattispecie, ma è un problema squisitamente pratico e consiste nel dare senso alla coesistenza di due casi che sembrano avere in comune un medesimo presupposto di fatto: la contemporaneità della prestazione dovuta; la soluzione non si sposta dal terreno pratico sul quale il problema è collocato e fa leva su una distinzione di tipo fenomenologico, ossia sul fatto della possibilità di un adempimento dovuto nello stesso tempo che è conseguenza delle modalità con le quali tale adempimento si dovrà svolgere. Ne consegue che mentre è possibile che due creditori si trovino in concorso tra di loro per esempio per un’obbligazione pecuniaria, e il loro conflitto si risolve con le norme che disciplinano il concorso dei creditori, non è possibile che una medesima attività sia svolta dalla stessa persona nello stesso tempo nei confronti di due diversi soggetti che di quella attività sono creditori: un simile concorso di conductores operarum è impossibile e dunque la norma che scaturisce da D.42,5,32 non è loro applicabile, in quanto nessuno di questi due conductores gode di un preuilegium personale che ne potrebbe costituire VARIANTI DELLA SUBORDINAZIONE, 2. I GLOSSATORI 113 il presupposto102. In poche parole, qui il glossatore opera una distinctio, in base alla quale si determina l’ambito applicativo dei due precetti, quello di D.19,2,26 e quello appunto di D.42,5,32. Ma questa distinctio, come è facile constatare, si fonda su un mero dato di fatto, vale a dire sull’impossibilità materiale di risolvere il concorso dei creditori per un credito che si adempie con l’esplicazione di un’attività, di un facere altrimenti che sulla base del criterio temporale che tenga conto di quel dei due contratti di locazione è stato stipulato prima. Che sia quello fenomenologico ovvero fattuale il criterio che, nella glossa in questione, sovrintende alla soluzione della contraddizione rilevata risulta dai successivi esempi addotti a sostegno della tesi accolta. Esempi, per i quali con molta difficoltà si potrebbe identificare un intento concettuale relativo alla distinzione tra obbligazioni di fare o di dare. Così, l’esempio del tutore di due pupilli non sembra concernere effettivamente, sempre da un punto di vista concettuale, questa distinzione e, del resto, con una certa difficoltà la tutela può essere ricondotta all’una o all’altra categoria. Né, per essere rigorosi, l’officium cui è tenuto il tutore può essere ricondotto nel novero delle obbligazioni che hanno come fonte un contratto. In realtà, se gli adempimenti cui è tenuto simultaneamente uno dei contraenti consiste in un’attività, in quanto tale deve essere distribuito nel tempo nei confronti dei due diversi destinatari, sicché ricade sotto l’impero di D.19,2,26. Del resto, questo criterio sopporta delle eccezioni–fallit–nella dote e, per certi riguardi quando il fisco concorra con un privato, esempi che non è il caso di illustrare qui. La glossa si chiude con un’ultima considerazione che ne definisce meglio l’ambito applicativo: Item intellige hanc l(egem) cum ipsum factum faciendum est, alias si interesse prestandum est, tunc satisfit utrique simul, ut dixi in personali. Essa, dunque, si riferisce a tutti i casi nei quali il factum cui è tenuto il locatore deve essere realizzato in quanto tale; altrimenti, sarà prestato l’id quod interest, cioè il risarcimento del danno, e in questo caso la prestazione sarà adempiuta ad entrambi simultaneamente come avviene per la generalità delle obbligazioni personali, vale a dire, in questo caso, pecuniarie. Il che costituisce ulteriore definitivo argomento a dimostrazione della dimensione 102 Che si tratti, appunto, di priuilegia personalia risulta espressamente dalla gl. personalia secus in sulla parola priuilegia di D.42,5,32, con sigla «Azo»: «priuilegia Personalia, secus in realibus, ut C. de priuilegio fisci l. ii [C.7,73,2]. Azo». 114 VICTOR CRESCENZI materiale e pratica del piano sul quale si svolge il ragionamento della glossa. Non c’è dubbio, infatti, che, aldilà delle considerazioni che si potrebbero svolgere a proposito della classificazioni delle actiones secondo la rigorosa nomenclatura propria del diritto classico, che qui non è il caso di svolgere, in quanto sarebbero, per lo meno, anacronistiche, il riferimento che la glossa fa alle actiones personales come criterio distintivo in ordine all’applicazione del criterio temporale, relativo al momento in cui il contratto è stato concluso, non è finalizzato ad una concettualizzazione differenziale tra tali actiones e l’actio ex conducto. Questa, nei termini della nomenclatura romanistica è propriamente un’actio ex fide bona che scaturisce da un contratto; in quanto tale è certamente molto prossima alle actiones in personam; se non vi rientra, tenendo conto di quella nomenclatura, è solo per motivi storici relativi all’evoluzione dello ius ciuile e alla relazione che questo intrattiene con lo ius gentium e lo ius honorarium, piuttosto che per motivi sistematici. Ancora una volta, qui si guarda al dato fenomenologico relativo alle caratteristiche di fatto dell’adempimento delle obbligazioni ex locato, al loro contenuto obbligatorio e non alla struttura del contratto in quanto tale. 9.– Si può dunque tornare a indagare il rapporto tra persona e operae, così come risulta dal punto di vista dal quale ha preso l’avvio questo discorso relativo all’analisi differenziale dell’effetto che ha un caso fortuito che impedisca la prestazione secondo che ci troviamo dinnanzi ad una locatio rei o ad una locatio operarum. E’, del resto, il problema sul quale è incardinato il ragionamento svolto nella glossa di Bulgaro dall’esame della quale è iniziato questo discorso. Si è già visto sopra che nella locatio rei il perimento per caso fortuito della cosa locata (la nave, nell’ipotesi di D.19,2,15,6) fa venir meno il credito per la mercede; al contrario, l’impossibilità della prestazione per un caso fortuito (la morte) che colpisce il conduttore di un exceptor (uno scrivano), secondo il disposto di D.19,2,19,9 e D.19,2,38, non determina l’estinzione del credito al corrispettivo in quanto locator operarum. Si tratta di una conclusione generalmente condivisa nella scuola dei glossatori, che come si è osservato, risale a Bulgaro. In particolare la Summa Codicis di Azzone svolge questo ordine di ragionamenti: se la res locata è colpita da sterilità, da terremoto, da invasione da parte di nemici oppure da incendio, la mercede non è dovuta in tutto o in parte, nella misura nella quale il conductor frui non potuit corpore conducto a causa di tali eventi, secondo quel che sancisce D.19,2,15,3 e D.19,2,30,1; stessa sorte colpisce il diritto al corrispettivo quando la cosa locata non possa essere goduta perché deve essere necessariamente restaurata: VARIANTI DELLA SUBORDINAZIONE, 2. I GLOSSATORI 115 propter necessariam refectionem103. L’impedimento, tuttavia, deve essere tale da produrre un magnum incommodum, secondo quanto stabilisce D.19,2,25,2; se invece il conductor può godere della cosa locata in modo poco meno che agevole–paulo minus commode–non per ciò stesso la mercede deve essere rimessa (D.19,2,27)104. La ragione di questa conseguenza non può che risiedere nel fatto che a cagione di quelle ipotesi, quantunque non riconducibili alla responsabilità del locatore in quanto effetto di un caso fortuito, non si realizza la causa della locatio, poiché il conduttore non consegue il godimento della cosa locata, o perché, quantunque ne abbia conseguito la disponibilità, la res si rivela inidonea all’uso per il quale è stata presa in locazione (ipotesi della sterilità, ma anche, per certi versi, ipotesi della necessaria refectio), o perché un evento ha impedito o gravemente intralciato l’acquisto stesso della disponibilità e dunque, di conseguenza, la fruizione (ipotesi del terremoto, dell’incendio, dell’invasione e, per altri versi, della necessaria refectio); in altre parole, non si realizza quella concessio rei in funzione dell’usum (letteralmente concessio rei ad usum facta, secondo la definizione azzoniana sopra vista)105, nella quale il contratto consiste. Per questo, se il conductor comunque consegue una parziale fruizione della cosa, la mercede è dovuta pro rata. La concessio, infatti, non è genericamente intesa, ma è finalizzata e deve essere funzionale all’usum: non realizzandosi questo, e non realizzandosi il relativo frui, non si realizza una delle ragioni dello scambio, sicché non si genera la conseguente obbligazione al pagamento del corrispettivo. Il fatto che tutto ciò sia riconducibile al caso fortuito esclude la responsabilità del locatore e dunque il risarcimento del danno, ma anche il diritto alla mercede, poiché la causa contrattuale non si è realizzata. Diverso, tuttavia, posegue Azzone, è il caso della locatio operarum, o della locatio che riguardi una res e le operae, ovvero quando qualcuno si obbliga a fare qualcosa per un altra persona dietro un compenso non pecuniario sulla base di un contratto atipico106. In queste ipotesi, rileva Azzone, se si 103 AZONIS Summa Codicis 4,65, n. 36, col. 459: «Sicut autem dixi, remissionem fieri mercedis pro rata propter sterilitatem, uel terremotum, uel incursum hostium, ita et fiet propter causam incendii, uel propter quemlibet alium casum fortuitum, quo conductor frui non potuit corpore conducto, ut D. eodem l. ex conducto § cum quidam [D.19,2,15,3] et l. qui insulam § edilis [D.19,2,30,1], uel propter necessariam refectionem rei, ut diximus». 104 «Si tamen conductor rustici predii uel urbani paulo minus commode aliqua parte predii uteretur, non statim deductio fiet de mercede, sed tunc demum fiet, quando magno incommodo afficitur conductor, ut D. eodem l. habitatores et l. si merces § si uicino. Et ita patet ex his, casum fortuitum locatori corporis nocere in mercede, ne habeat eam, nisi pro rata.»: AZONIS Summa col. 459, di seguito al passo riportato alla nota 103. 105 AZONIS Summa Codicis 4,65, col. 454. V. supra nota 15. 106 «Secus autem uideo in eo qui locat operas suas tantum, uel locat rem et operam, uel accipit speciem ex innominato contractu, ut aliquid faciat. Nam si casu fortuito impediatur, uel in sua, uel 116 VICTOR CRESCENZI verifica un caso fortuito che colpisca in qualsiasi modo la persona del locator o di altri–si casu fortuito [locator] impediatur, uel in sua, uel in alterius persona, uel quomodocumque contingente–, tale da impedire l’esecuzione dell’obbligazione, il corrispettivo è tuttavia dovuto, a meno che la prestazione non sia stata eseguita per colpa del locatore o perché questi non abbia rispettato il termine; oppure, a meno che si possa opporre al locatore, debitore della prestazione, che nel tempo nel quale non ha potuto eseguire la prestazione per caso fortuito, egli abbia comunque operato a favore di un altro conduttore dietro corrispettivo. Aggiunge Azzone che su questa materia leges uidentur consonare, sia con riferimento agli onorari degli avvocati, sia con riferimento ai compensi dovuti agli operai, agli exceptores, agli scrivani, ai comites praesidis, ai marinai, che abbiano dato in locazione la nave e la propria opera per il trasporto delle merci; e anche con riferimento al caso in cui la liberazione di un seruus, disposta per testamento, è subordinata alla condizione che questi presti il proprio servizio per un tempo stabilito all’erede onerato quando, per un caso fortuito–la sua malattia–il medesimo schiavo sia impedito nel soddisfare tale condizione (è il caso ventilato in D.40,7,4,5 citato da Azzone). Come si vede, qui il glossatore mette insieme fattispecie diverse– alcune profondamente diverse–non tutte riconducibili ad una locatio operarum. Così, se vi rientrano senza alcun dubbio gli operarii, gli exceptores, i comites presidis e i nauclerii, non ricadono nell’ambito di questo contratto i rapporti che s’instaurano con alcune figure professionali, come quella degli aduocati. E’ lo stesso Azzone, in un passo precedente della Summa, a precisare, che esistono quasdam res que locari dedignantur: tra queste, rientra l’opera del mensor107, sicché il compenso che gli è corrisposto prende il nome di honorarium, in quanto non è una merces108; lo stesso deve dirsi per l’aduocatus, il cui compenso è denominato salarium, o honorarium, o anche, talvolta, suffragium in alterius persona, uel quomodocumque contingente, nihilominus mercedem totam, uel conuentam rem potest persequi, nisi culpa, uel mora possit sibi imputari; uel nisi obiciatur ei, quod eo tempore, quo non potuit operari uni, alteri est operatus a quo debet habere mercedem. Leges enim in hoc uidentur consonare et circa salaria adocatorum et circa mercedes operariorum et circa mercedes exceptorum, uel scriptorum et circa salaria comitum presidis et circa mercedes nautarum, qui nauem suam et operam locauerunt pro mercibus uehendis, et circa liberatem prestandam seruo, si seruierit tempore certo, ut D. de uariis et extraordinariis cognitionibus l. i § penult. [D.50,13,1,13], et de statuliberis l. cum heres § antepenult. [D.40,7,4,5], et supra de condictione ob causam datorum l. penult. [C.4,6,10], et D. eodem l. sed addes § ult. [D19,2,19,10] et l. diem functo [D.19,2,19,10 in c.], et de officio assessoris l. diem [D.1,22,4]»: AZONIS Summa, col. 459, n. 36, di seguito al passo riportato alla nota 104; da notare la sostanziale identità di ipotesi di D.1,22,4 con D.19,2,19,10. 107 AZONIS Summa col. 454, n. 8: «Item sciendum est quasdam res esse que locari dedignantur, sicut est mensoris opera». 108 AZONIS Summa col. 454, n. 8: «id quod datur ei est in quantitate, non merces sed honorarium appellatur». VARIANTI DELLA SUBORDINAZIONE, 2. I GLOSSATORI 117 (nel senso di manifestazione di extimatio); la conseguenza è che il mensor o l’aduocatus possono rivendicare il proprio compenso con un actio in factum, e non con l’actio locati109. Il testo azzoniano mostra che il glossatore è sorretto da una chiara consapevolezza del fatto che egli sta enumerando ipotesi giuridicamente, e quindi formalmente, o, meglio, strutturalmente diversificate. Eppure, a dispetto di tali differenziazioni formali, che fanno capo a strutture contrattuali distinte, alle quali sono riconnesse conseguenze differenziate, per esempio quanto al mezzo processuale per la tutela dei propri interessi, il glossatore qui guarda a ciò che materialmente unifica i fenomeni osservati; il comune denominatore di questi risiede nel contenuto obbligatorio dei rispettivi contratti, che consiste in ciò, che una persona si obbliga a compiere nell’interesse di un’altra un determinata attività, e per questo le è promesso un compenso. Sotto questo riguardo, il caso fortuito che impedisce l’esecuzione dell’attività non fa venir meno l’obbligo di pagare il compenso pattuito. Accursio riprenderà l’ordine dei ragionamenti azzoniani in una notevolissima glossa che si può dire contenga un trattatello sul tema della mancata prestazione per caso fortuito, ovvero per responsabilità di una delle parti110. Si deve notare che Accursio dichiara espressamente di seguire l’insegnamento di Azzone e, sulle sue orme inizia con il distinguere tre ipotesi: 109 AZONIS Summa col. 454, n. 8: «Idemque et in aduocato: quod ergo datur aduocato dicet salarium, uel honorarium, forte et dicetur suffragium, ut diximus supra de suffragio [C.4,3 un.], et probatur D. si mensor falsum modum dixerit l. i. § ideo autem [D.11,6,1 pr. in c.]». Analoghe considerazioni valgono per il caso in cui dedero tibi pecuniam ut seruum manumittas, di cui a D.19,5,52. 110 ACCURSII gl. ad D.19,2,15,6: «personis Non solum in procuratorem Cesaris repetitur ergo uectura a nauta, ex quo non nauigauit casu fortuito impeditus; sed contra infra eodem l. penult. § nauem [D.19,2,61,1]. Solutio: ibi culpa conducentis nauem, retenta fuit nauis, ut quia illicitas merces intulit et eius facto etiam dominus nauis naue caruit, hic autem nulla fuit culpa conductoris. Merito ergo mercedem hic repetit secundum Ir(nerium). Vt autem plene circa hoc habeas, dic, secundum Azonem, quod locat quis quandoque res, quandoque operas, quandoque rem et operam. Cum rem suam locat, siue stetit per eum, siue per casum fortuitum ex ipsius parte contigentem quominus conductor re utatur, tenetur actione ex conducto. Sed in primo casu, scilicet cum per locatorem stetit, agitur ad interesse, in quo etiam lucrum continetur, uel ad penam quam prestari rupta fide conuentionis placuit, si conductor pensionibus paruerit et ut oportet coluerit nec in re locata male uersatus fuerit, ut C. eodem l. ede[m] [C.4,65,3], et l. si de fundo [C.4,65,15], et supra eodem l. ex conducto [D.19,2,15], et infra eodem l. quero § inter [D.19,2,54,1], et infra hac lege § ubicumque [D.19,2,15,7], ibi “plane” et c. [D.19,2,15,8], et infra eodem l. si fundus [D.19,2,33], ibi “nam <et> si colonus” etc. l. si in lege § colonus [D.19,2,24,4]. In secundo autem casu, scilicet quando per casum fortuitum, ut pensio pro rata remittatur uel reddatur, ueluti si edes locate exuste fuerunt uel ager terremotu corruerit, ut supra eodem l. si quis domum in fine [D.19,2,9] et l. ex conducto § primo [D.19,2,15,1], et infra eodem l. sed addes § si quis [D.19,2,19,1], et hac l. § ubicumque [D.19,2,15,7] et l. qui insulam § edilis [D.19,2,30,1]. Idem est si locator rem ex necessitate demolitus est, scilicet locatam, uel propriis usibus probauerit necessariam, uel conductor iusti timoris gratia migrauerit uel frui ab eo prohibeatur, quem locator propter uim maiorem aut potentiam eius prohibere non potest, ut infra eodem l. qui insulam [D.19,2,30], et l. si fundus [D.19,2,33] et l. 118 VICTOR CRESCENZI Vt autem plene circa hoc habeas, dic, secundum Azonem, quod locat quis quandoque res, quandoque operas, quandoque rem et operam. Si può, almeno per il momento, tralasciare di esaminare il contenuto della trattazione concernente la prima ipotesi di locatio che ha per oggetto una res: locat quis quandoque res. Puntiamo, al contrario, l’attenzione sulla seconda parte, relativa alle altre due ipotesi, che peraltro sono trattate congiuntamente: locat quis […] quandoque operas, quandoque rem et operam. perinde [D.19,2,34] et l. et hec distinctio [D.19,2,35], et l. habitatores [D.19,2,27] et C. eodem l. edem [C.4,65,3]. Si uero stetit per conductorem uel per casum fortuitum ex eius parte contingentem quominus re locata utatur, solidam pensionem prestare cogitur, ut infra eodem l. colonus § nauem [D.19,2,61,1]. Cum autem quis operas suas locat uel rem et operam, nec per eum stat quominus eas soluat, sed per conductorem, licet casu fortuito impeditum, mercedem totius temporis consequatur, ut de scriptore dicitur, et de eo qui mancipia vehenda conduxit et de herede aduocati a quo non repetitur salarium, quia per eum non stetit quominus causam ageret, ut infra de uariis cognitionibus l. i § diuus Seuerus [D.50,13,1,13] et infra eodem l. sed addes § cum quidam [D.19,2,19,9] et l. qui operas [D.19,2,38] et l. si fundus [D.19,2,33], et supra ad l. Rhodiam de iactu l. si vehenda [D.14,2,10]. Si uero stetit per locatorem quominus operas prestet, uel per casum fortuitum in sua persona contingentem, tenetur in primo casu ad interesse, in secundo ut pensionem remittat uel reddat pro rata temporis, quo eas non prestitit, ut dicitur de eo qui munere vehendi functus non est, ut C. de locato l. si hi [C.4,65,14] et in hac l. § item cum quidam [D.19,2,15,3] et C. de condictione ob causam l. aduocationis [C.4,6,11]. Ir(nerius). Si opponatur quod casus fortuitus non debet in bone fidei iudicio uenire, potest dici non uenire, scilicet ut teneatur locator operarum ad interesse, nec petere potest solidam pensionem, quia casu fortuitus non debet conductori nocere et prodesse locatori. Dicet quis: et nonne uenditor etiam si res uendita casu fuit amissa pretium consequitur? ergo et iste mercedem, licet casu fuerit impeditus prestare operas? Respondeo: aliud est in uenditore qui certat de damno uitando, nam si non haberet pretium, damnum rei sue pateretur; locator autem certat de lucro, cum nihil de suo amiserit, arg. infra de condicionibus et demonstrationibus l. Titio fundus § i. [D.35,1,73]. Item uidetur contra, quod est infra, de uariis et extraordinariis cognitionibus l. i § penult. [D.50,13,1,13] et de statuliberis l. cum heres § antepen. [D.40,7,4,5]. Respondeo: speciale est in libertate, et in aduocatis. Nec obstat huic § quod dicitur C. de condictione ob causam l. pe. [C.4,6,10], quia ut supra dictum est, loquitur cum contingit casus in conductore, secus in locatore, arg. supra de condictione ob causam datorum l. si milites [C.4,6,5]. Item contra uidetur, supra de condictione causa data l. si pecuniam, i. responso, ibi «et cum per te non stet<er>it» [D.12,4,5 pr.] etc. Respondeo: illud dicit disputando; est enim alia ratio repetendi, quia non est secutum id propter quod dedi, unde etsi non sit contractus in quo liceat penitere, dabitur tamen repetitio, ut infra eodem l. fi. [D.12,4,16] et l. si pecuniam § fina. [D.12,4,5,4]. Item uidetur contra supra de condictione causa data l. iii. § quod si Stichus [D.12,4,3,3]. Sed ibi contingit casus non in manumittente, sed in manumittendo, unde distinguitur <an> fuerit in mora, uel non. Item pro hoc est supra ad l. Rhodiam de iactu l. leuande § si uehenda [D.14,2,10 pr.], et in eadem l. arg. contra § si ea [Dd.14,2,10,1]. Vel dic, quod est uerius, ubicumque tantum operas uel rem et operas loco, uel ex innominato contractu aliquid pro specie facere conueni, si casu fortuito impedior, uel in mea uel in alterius persona uel quocumque modo contingente, nihilominus mercedem uel conuentam rem persequi possum, nisi culpa uel mora mihi possit imputari, nam leges in hoc consonare uidentur. Vna tamen uidetur aduersari cum diuisione modica ut supra de condictione causa data (l.) si pecuniam § set ubi [D.12,4,5,4]. Hoc si tale sit impedimentum ut nullo modo possit de cetero operari quod conuenit; si uero ad tempus est impeditus suppleat in sequenti, quod in tempore precedenti non potuit, quia saltem hodie faciendum est, nisi peniteat eum cui erat faciendum, quod autem de penitentia dico ad contractum innominatum tantum referendum est». VARIANTI DELLA SUBORDINAZIONE, 2. I GLOSSATORI 119 Qui la glossa procede ad un’ulteriore distinzione, secondo il metodo analitico proprio di questa scuola di giuristi: la prima ipotesi coinvolge il caso in cui la prestazione è impedita da un fatto del conduttore, sia questo o meno un evento fortuito che lo riguarda o comunque sia o meno riferibile alla sua persona (per es. la sua morte, come nel caso dell’exceptor di cui D.19,2,19,9); la conclusione è che il locatore mantiene il diritto al corrispettivo: Cum autem quis operas suas locat uel rem et operam, nec per eum stat quominus eas soluat, sed per conductorem, licet casu fortuito impeditum, mercedem totius temporis consequatur, ut de scriptore dicitur, et de eo qui mancipia vehenda conduxit et de herede aduocati a quo non repetitur salarium, quia per eum non stetit quominus causam ageret. A questo punto la glossa inizia una ampia ellissi, che sembra pervenire alla duplice conclusione secondo la quale, quando la prestazione sia mancata per responsabilità del locatore ovviamente questi è tenuto al risarcimento del danno; quando sia mancata per caso fortuito che concerna la persona del locatore, questi perde il diritto al corrispettivo: Si uero stetit per locatorem quominus operas prestet, uel per casum fortuitum in sua persona contingentem, tenetur in primo casu ad interesse, in secundo ut pensionem remittat uel reddat pro rata temporis, quo eas non prestitit, ut dicitur de eo qui munere vehendi functus non est ut C. de locato l. si hi [C.4,65,14] et in hac l. § item cum quidam [D.19,2,15,3] et C. de condictione ob causam l. aduocationis [C.4,6,11]. Ir(nerius). Il discorso svolto da Accursio, che sembra far risalire questa conclusione a Irnerio, passa per una analisi di varie fattispecie normative, che dovrebbero costituirne il fondamento; tuttavia il caso disciplinato da C.4,65,14 costituisce un’ipotesi schietta di inadempimento del locatore; quello trattato in D.19,2,15,3 riguarda un caso fortuito relativo ad un’ipotesi di locatio rei, già trattata nella prima parte della glossa; infine C.4,6,11 tratta di nuovo di un caso generico di inadempimento; sicché, mentre risulta persuasiva la parte di conclusione relativa all’inadempimento del locatore– si stetit per locatorem quominus operas prestet–, non altrettanto testualmente fondata è la seconda conclusione relativa al caso fortuito che concerne la persona del locatore, impedendogli di eseguire la prestazione. 120 VICTOR CRESCENZI In realtà tutto il seguito del discorso della glossa costituisce una giustapposizione di punti di vista in relazione a questo argomento, svolta in modo problematico, ma che, nella sua conclusione, non smentisce la consolidata dottrina azzoniana. Ed invero, così la glossa conclude questa sequela di argomentazioni: Vel dic, quod est uerius, ubicumque tantum operas uel rem et operas loco, uel ex innominato contractu aliquid pro specie facere conueni, si casu fortuito impedior, uel in mea uel in alterius persona uel quocumque modo contingente, nihilominus mercedem uel conuentam rem persequi possum, nisi culpa uel mora mihi possit imputari, nam leges in hoc consonare uidentur. Vna tamen uidetur aduersari cum diuisione modica ut supra de condictione causa data (l.) si pecuniam § set ubi [D.12,4,5,4]. Anche qui, così come per Azzone, dunque, nei contratti di locatio operarum, di locatio che abbia per oggetto una res e l’opera e quelli innominati in cui qualcuno si obbliga a fare qualcosa per un altro dietro compenso, se non è possibile eseguire la prestazione per caso fortuito, nondimeno il corrispettivo pattuito deve essere pagato. Né si distingue se il caso fortuito riguarda la persona del locatore o quella del conduttore. Naturalmente la mercede non è dovuta qualora il mancato adempimento sia dovuto alla colpa o alla mora del locatore. Come per Azzone, questa regola si basa su una universale consonantia delle leges, non attenuata dal fatto che una tamen lex uidetur aliquantulum aduersari, secondo quel che anche Azzone rileva111, ossia D.12,4,5,4 (anche se si deve notare che nel passo qui in esame Azzone cita non una, bensì tre leges): si tratta del caso in cui sia stato dato un corrispettivo per la manomissione di uno schiavo, che però muore nelle more dell’atto di manomissione, caso che qui non è il caso di approfondire. L’esegesi accursiana, su tale argomento, si chiude, così come quella azzoniana112, con una considerazione che concerne la qualità dell’impedi111 AZONIS Summa col. 459, n. 36: «Vna tamen lex uidetur aliquantulum aduersari cum modica diuisione, scilicet ubi accepit quis pecuniam ut seruum manumitteret et seruus decessit antequam ipse esset in mora. Nam si seruus erat distracturus, uel eo usurus, pecuniam acceptam non refundit. Si uero nihil eorum erat facturus, pecuniam refundit, nisi forte profectio manumissionis gratia mortis causam prebuit, uel a latronibus sit interfectus, uel ruina in stabulo oppressus uel vehiculo obtritus, uel alio quoquo modo perierit, quo non perisset, nisi manumissionis causa proficisceretur, ut D. de condictione causa data l. dedi § i. [D.12,4,3,1] et l. si pecuniam § ult. [D.12,4,5,4] et l. ulti. [D.12,4,16]». 112 AZONIS Summa col. 459, n. 36 (di seguito al passo riportato supra alla nota precedente): «Et hoc si casus fortuitus sit talis, ut nullo modo possit de cetero fieri, quod conuenit. Si uero ad tempus impeditus, suppleat in sequenti tempore quod non potuit facere in casu precedenti quia saltem hodie VARIANTI DELLA SUBORDINAZIONE, 2. I GLOSSATORI 121 mento per caso fortuito; infatti, il discorso sulla sua irrilevanza ai fini del corrispettivo vale se l’impedimento che esso produce è tale che l’attività che costituisce il contenuto obbligatorio della locatio operarum non possa più essere eseguita–nullo modo possit de cetero operari–; se l’impedimento è temporaneo, al cessare di questo l’esecuzione della prestazione deve essere posta in essere, a meno che il conduttore cessi di avere per essa interesse–nisi peniteat–e ciò sia con riferimento alla locatio sia con riferimento ai contratti innominati qui presi in considerazione. L’allegazione di D.12,4,5 pr., che compare in Azzone, ma non in Accursio, chiarisce che in caso di poenitentia del committente, la ripetizione del corrispettivo è subordinata al fatto che colui che è tenuto allo svolgimento di una certa attività resasi temporaneamente impossibile per caso fortuito, non abbia sostenuto spese necessarie per l’esecuzione della prestazione. 10.– Il caso fortuito, dunque, sembra dispiegare un diverso effetto, a seconda che interagisca con una locatio che abbia per oggetto una res o una persona. Questa considerazione metterebbe in dubbio l’unitarietà della figura della locatio-conductio, che risulta dal modo in cui essa è configurata, per esempio, dal medesimo Azzone113, e prima di lui dal Piacentino114, così come si è messo in evidenza più sopra. Quanto è coerente con questa configurazione rigorosamente unitaria un diverso modo di operare del caso fortuito a seconda che la locatio abbia per oggetto una persona o una res? E, guardando le cose da un ulteriore punto di vista, dove si colloca la ratio di questa diversa disciplina, a seconda che oggetto della locazione sia una res o una persona? Ma, considerando le cose più in generale, è sicuro che si tratti di un diverso trattamento dell’effetto del caso fortuito a seconda che la locatio abbia per oggetto una res o una persona? Una domanda analoga troviamo nella Summa Decretalium dell’Ostiense, coevo di Accursio, che esibisce, come ho rilevato più volte sopra, indubbi rapporti di dipendenza dalla Summa azzoniana. L’Ostiense riassume così i termini della questione in un modo che riecheggia appunto il testo del glossatore civilista115: sciendum est nisi peniteat eum cui erat faciendum. Quod autem de penitentia dico, solummodo ad contractum innominatum referendum est, tu D. de condictione causa data l. si pecuniam [D.12,4,5]». 113 AZONIS Summa Codicis 4,65, n. 1, col. 454; v. supra pp. 83-84. 114 PLACENTINI Summa Codicis 4,65, p. 189; v. supra pp. 79-81. 115 HOSTIENSIS Summa aurea X. 3,18, lib. III, De locato et conducto, n. 7, col. 757 s.: «Item fit remissio propter casum fortuitum, quo conductor impeditus, frui non potuit corpore conducto, D. eodem (l.) (ex) conducto § item cum quidam [D.19,2,15,6] et l. qui insulam § edilis [D.19,2,30,1], 122 VICTOR CRESCENZI Et sic casus fortuitus nocet locatori corporis in mercedem, ut non habeat nisi pro rata, secus in eo qui locat operas suas tantum, uel locat rem et operam, uel accipit species ex innominato contractu, ut aliquid faciat: nam totum recipit, nisi mora uel culpa imputari possit, puta si operatus fuit alii eo tempore quo mihi commode poterat operari; in hoc concordant leges circa honoraria aduocatorum, et mercedes operariorum et exceptorum, idest alio dictante, qui mortuus est scribentium, uel scriptorum et notariorum et comitum presidis, con allegazione dei medesimi testi giustinianei che corredano le analoghe conclusioni di Azzone e di Accursio. Il canonista, tuttavia, aggiunge un contributo all’intera questione che, allo stato delle testimonianze, si può definire come del tutto originale. Egli infatti, dopo aver prospettato, immediatamente dopo il passo sopra riportato, il caso di colui che locat simul a due conduttori le proprie operae, che si è qui sopra esaminato, si propone di indagare i fondamenti di questa diversa disciplina e formula il seguente interrogativo116: uel propter necessariam refectionem domus, ut dictum est supra § que actiones [HOSTIENSIS Summa, n. 7, col. 754]. Si tamen conductor rustici predii, uel urbani, paulominus commode aliqua parte predii uteretur, non fit remissio, sed tunc tantum quando magno incommodo afficitur, ut D. eodem (l.) habitatores [D.19,2,27] et l. si merces § sed uicino [D.19,2,25,2]. Et sic casus fortuitus nocet locatori corporis in mercedem, ut non habeat nisi pro rata, secus in eo qui locat operas suas tantum, uel locat rem et operam, uel accipit species ex innominato contractu, ut aliquid faciat: nam totum recipit, nisi mora uel culpa imputari possit, puta si operatus fuit alii eo tempore quo mihi commode poterat operari; in hoc concordant leges circa honoraria aduocatorum, et mercedes operariorum et exceptorum, idest alio dictante, qui mortuus est scribentium, uel scriptorum et notariorum et comitum presidis, D. de uariis et extraordinariis cognitionibus l. i. § pe. [D.50,13,1,13] et de statuliberis (l.) cum heres § pen. [D.40,7,4,5] et antepe. [D.40,7,4,4], C. de condictione ob causam l. pe. [C.4,6,10], D. eodem (l.) qui operas [D.19,2,38] et l. sed addes § pe. [D.19,2,19,9] et ultim. [D.19,2,19,10] alias est l. et incipit diem functo, alias defuncto [D.19,2,19,10 in c.] et de assessori l. diem [D.1,22,4] et tamen argu. contra D. de condictione causa data (l.) si pecuniam [D.12.4.5]. Si quis autem operas locauerit duobus, primo satisfaciendum est primo conductori, ut D. eodem (l.) in operis [D.19,2,26]. Quid si non apparet quis primus? forte dirimendum est argu(mento) D. de iudiciis (l.) in his tribus [D.5,1,13] et l. seq. [D.5,1,14], C. communia de legatis l. ult. [C.6,43,3]. Sed quero quare in locatione operarum, non obstante casu fortuito, agitur ad totam mercedem et in locatione corporis remittitur? Respondeo: natura res omnes gratia hominis comparauit, D. de usuris (l.) <in pecudum> [scrive: ideoque tunica] [D.22.1.28.1] et res accedit corpori, idest homini locanti operas, non econtra, ut D. de euic(tionibus) [rectius: de edilicio edicto] (l.) iustissime [D.21,1,44]. Item si ego loco rem corporalem, et ipsa res deficit, nullo modo intelligitur seruire res que non est, et que sensu caret. Secus est in homine cuius animus inspicitur, ut D. de statuliberis (l.) cum heres § Stichus [D.40,7,4,4]. Nec obest si moriatur, quia adhuc uiuit anima, que idem compositum intelligitur habere; sed hoc intelligo quando sine culpa incidit in casu fortuitum, alias ex delicto suo hoc priuilegium habebit, ut argum(ento) D. de negotiis gestis (l.) siue hereditaria [D.3,5,21(22)] et de locato (l.) si merces § culpe [D.19,2,25,4] et de interdictis et relegatis (l.) relegatorum in fine [D.48,22,7] et supra de etate et qualitate c. i. [X.1,14,1]». 116 HOSTIENSIS Summa aurea X.3,18, lib. III, De locato et conducto, n. 7, col. 758. VARIANTI DELLA SUBORDINAZIONE, 2. I GLOSSATORI 123 Sed quero quare in locatione operarum, non obstante casu fortuito, agitur ad totam mercedem et in locatione corporis remittitur? La risposta è sicuramente degna della più grande attenzione, anche dal punto di vista lessicale. In primo luogo il glossatore canonista pone il problema su un terreno di carattere generale, in questi termini: Respondeo: natura res omnes gratia hominis comparauit, D. de usuris (l.) <in pecudum>117 [D.22,1,28,1] et res accedit corpori, idest homini locanti operas, non econtra, ut D. de euic(tionibus) [rectius: de edilicio edicto] (l.) iustissime [D.21,1,44]. In altre parole, l’Ostiense affronta il problema, sottolineando la destinazione che la natura ha impresso alle omnes res in funzione dell’homo, e lo affronta facendo leva sull’interpretzione di un enunciato che si trova in D.22,1,28,1, e anche nelle Istituzioni giustinianee (Inst. 2,1,38) (ma che risale al Gaio delle Res cottidianae), in base al quale il partus dell’ancilla è escluso dal novero dei fructus, in quanto, appunto, absurdum enim uidebatur hominem in fructu esse, cum omnes fructus rerum natura hominum gratia comparauerit118. Di conseguenza, come i fructus, così anche tutte le res–res omnes–sono funzionali all’homo; posto ciò, l’Ostiense richiama un altro passo del Digesto, in base al quale ricava il principio, secondo il quale è la res ad accedere al corpus, inteso come homo, qui come locator operarum, e non il contrario, ovvero, detto in linea più generale, ancora una volta è la res funzionale all’uomo e non il contrario. In realtà, sia nel caso di D.22,1,28,1, sia in quello di D.21.1.44 l’homo di cui parla il testo giustinianeo è uno schiavo e per questo si pone il problema della funzionalità della res, posto che lo schiavo, per quanto abbia una fisionomia personale che inizia, nell’età postclassica e tardoantica, a farsi faticosamente strada, rimane pur sempre nel novero giuridico appunto delle res. E’ tuttavia opportuno sottolineare 117 D.22.1.28.1: «Partus vero ancillae in fructu non est itaque ad dominum proprietatis pertinet: absurdum enim uidebatur hominem in fructu esse, cum omnes fructus rerum natura hominum gratia comparauerit.». Cfr. Antonii FABRI Rationalium in tertia partem Pandectarum, t. V (Aurelianae 1626), p. 263b, § i.; cfr. anche da ultimo il recente contributo di R. QUADRATO, «Hominum gratia», negli Studi in onore di Remo Martini, III (Milano 2009), 273-288 (relazione svolta nel XVIII Convegno internazionale dell’Accademia romanistica costantiniana sul tema Persona e persone nella società e nel diritto della tarda antichità Spello-Perugia, 18-20 giugno 2007), incentrato sull’apporto di Gaio, confluito in D.22,1,28,1, ai fini della valorizzazione della persona nell’esperienza giuridica della tarda antichità, con particolare riferimento alla persona dello schiavo. 118 In Inst.2,1,38 il passo è identico, salvo il comparauit finale che compare al posto del comparauerit della lezione tràdita nel Digesto. 124 VICTOR CRESCENZI ancora una volta che il canonista compie un’operazione di schietta interpretazione, in quanto estende il senso di queste enunciazioni di rango normativo ai problemi relativi alla locatio-conductio. Ma non c’è dubbio che proprio per questo, la posizione interpretativa assunta da Enrico da Susa implica l’unitarietà del corpus locato che è res pura e semplice nella locatio rei ed è un homo nella locatio personae, che come tale è anche il corpus locato, ma è pur sempre un’entità che tra le altre è in posizione di maggiore dignità. Ed è opportuno anche notare che alla dignitas hominum si riferisce D.21,1,44 pr.: «Iustissime aediles noluerunt hominem ei rei quae minoris esset accedere, ne qua fraus aut edicto aut iure ciuili fieret: ut ait Pedius, propter dignitatem hominum». Non è dunque assumendo alla lettera le enunciazioni sulle quali si basa l’Ostiense che potremo comprenderne la portata, ma guardando al loro senso complessivo, in base al quale si vuole rinvenire la ratio della diversificazione delle conseguenze del caso fortuito a seconda che si tratti di locatio rei o di locatio personae. Tenuto conto di ciò, ecco come argomenta Enrico da Susa: se si dà in locazione una res corporalis e questa viene a mancare, in nessun modo questa res, che non c’è più, può essere di utilità; invero, in quanto venuta a mancare è deprivata di ogni senso in funzione della sua attitudine a servire: nullo modo intelligitur seruire res que non est, et que sensu caret. Diverso è il caso dell’homo, del quale il giurista prende in considerazione l’animus, vale a dire l’elemento psicologico: Secus est in homine cuius animus inspicitur; qui l’Ostiense allega un passo del Digesto (D.40,7,4,4) dove, appunto, è necessario inspicere l’animus del testatore al fine di determinare la portata di una disposizione testamentaria in cui si statuisce, tra l’altro, che un proprio schiavo–Stichus– potrà acquistare la libertà alla condizione che abbia prestato il proprio servizio–seruierit–per un triennio sotto le dipendenze di Titius; il problema consiste nello stabilire se quel «seruierit» designi una locazione di opere da parte dello stesso schiavo, il quale, sicuti liber, può appunto prestare le proprie opere a persona diversa dal proprio dominus–nam et alienus seruus seruire nobis potest, sicuti liber, et multo magis operas dare–, oppure implichi un trasferimento del dominium–nisi testator seruitutis appellatione dominium magis quam operam intellexit. Che implica questa considerazione appunto psicologica? Lo precisa, dopo un’osservazione d’indole generalissima relativa all’immortalità dell’anima–nec obest si moriatur, quia adhuc uiuit anima, que idem compositum intelligitur habere–lo stesso Ostiense, perché dall’indagine sull’elemento psicologico del locatore può scaturire una sua responsabilità nell’essere incorso nel caso fortuito che gli ha impedito di eseguire la prestazione119: 119 HOSTIENSIS Summa aurea, col. 758. VARIANTI DELLA SUBORDINAZIONE, 2. I GLOSSATORI 125 sed hoc intelligo quando sine culpa incidit in casu fortuitum, alias ex delicto suo hoc priuilegium habebit, ut argum(ento) D. de negotiis gestis (l.) siue hereditaria [D.3,5,21(22)] et de locato (l.) si merces § culpe [D.19,2,25,4] et de interdictis et relegatis (l.) relegatorum in fine [D.48,22,7] et supra de etate et qualitate c. i. [X.1,14,1]. Sicché, se il caso fortuito colpisce il locator per sua colpa, il diritto alla mercede ne rimarrà escluso, altrimenti il medesimo locator godrebbe di un privilegio per effetto di un atto illecito–ex delicto–come si ricava per argumentum dalle ipotesi trattate nei tre luoghi del Digesto e delle Decretali allegati, negli ultimi due dei quali si sancisce la perdita di un honor in tutti i casi in cui colui che ne sia titolare abbia commesso un illecito che lo rende indegno dell’honor. Per altro verso, D.3,5,21(22) sancisce che il gestore di affari altrui non può essere risarcito per quanto ha speso per gli acquisti necessari di cose poi andate perdute, se il loro perimento sia riconducibile a causa a lui imputabile. Il ragionamento del cardinale, tuttavia, se serve a precisare meglio i termini della responsabilità del locatore, e dunque il contenuto del suo diritto alla mercede anche per il caso fortuito in eius personam contingentem, che, in tanto sussiste, in quanto egli non sia responsabile del verificarsi del fatto che gli impedisce di eseguire la prestazione, non risolve l’interrogativo che egli stesso ha formulato, se non con riferimento ad un principio che non concerne la struttura del contratto, ma la relazione che passa tra l’homo e la res. Se capisco bene il ragionamento del canonista, egli fonda il diverso trattamento del caso fortuito a seconda che ci si trovi all’interno di una locatio rei o di una locatio personae sulla considerazione della maggiore dignità della persona rispetto alla res; maggiore dignità che però non perviene a proteggere il diritto alla mercede del locatore che non può eseguire la prestazione per caso fortuito anche quando l’inspectio animi, l’indagine psicologica non riveli una sua culpa in ordine al verificarsi del caso fortuito o in ordine ai suoi effetti, culpa che altrimenti ridonderebbe a suo esclusivo vantaggio. Dunque, anche l’Ostiense, che pure si pone il problema, non lo risolve se non con un argomento allotrio rispetto alla struttura del contratto, la quale, sotto questo riguardo, non è indagata a sufficienza. 11.– In realtà, si può dire che la dottrina dei glossatori, con la sola eccezione dell’Ostiense, sembra non andar oltre il dato normativo della consonantia totalitaria delle leges in ordine a questo punto: leges enim in hoc uidentur consonare, afferma Azzone, affastellando fattispecie di locatio con fattispecie di obbligazioni di facere qualcosa per qualcuno dietro un corri- 126 VICTOR CRESCENZI spettivo; lo stesso deve dirsi per Accursio, come abbiamo visto–nam leges in hoc consonare uidentur–e anche per l’Ostiense–in hoc concordant leges–che ne seguono le orme, anche se quest’ultimo, come ho appena ricordato, tenta di dare spiegazioni non meramente formali. Questa è una possibile risposta, sia pure di immediata approssimazione, alla seconda delle tre domande con le quali ho aperto il paragrafo precedente: dove si colloca la ratio di questa disciplina, che differenzia a seconda che oggetto della locazione sia una res o una persona? Si tratta, però, di una risposta anch’essa d’indole formale, se non proprio formalistica, poiché tale è una ratio che si esaurisca nel dato normativo, senza individuarne un’organicità, se non addirittura una sistematicità. Si tratta, cioè, di una risposta che non può pienamente soddisfare l’indagine storiografica, perché relegata all’interno del modo di porre la questione da parte della dottrina dei glossatori, civilisti e canonisti, che, soprattutto dall’Ostiense è imperniata sul rilievo di una diversità di trattamento tra locatio rei e locatio personae quanto agli effetti del caso fortuito; in funzione dell’indagine storiografica, quindi, è necessario riformulare l’intera questione e riproporre la terza delle tre domande: è sicuro che si tratti di un diverso trattamento dell’effetto del caso fortuito a seconda che la locatio abbia per oggetto una res o una persona? Questo interrogativo trascina con sé, poiché lo implica, ancora una volta, proprio da un punto di vista storiografico, il primo di quelli che ho posto all’inizio del paragrafo precedente: quanto è coerente con questa configurazione rigorosamente unitaria un diverso modo di operare del caso fortuito a seconda che la locatio abbia per oggetto una persona o una res? Dico subito che l’incoerenza di questa disciplina con l’unitarietà della figura della locatio è il datum demonstrandum, soprattutto se ci collochiamo all’interno della disciplina squisitamente romanistica. Altro discorso è, o può essere quello che guardi alla dottrina dei glossatori, per i quali non sembra che la diversa disciplina costituisca un problema dal punto di vista della coerenza concettuale, visto che essi lo risolvono in termini normativi, facendo leva sulla consonantia delle omnes leges. Né, per le considerazioni già sopra delineate, l’Ostiense sembra superare i dubbi che pure la sua posizione dottrinale implica. Peraltro, già nella gl. non solum a D.19,2,15,6 dell’apparato accursiano, come abbiamo visto sopra, era ventilata una posizione, fatta risalire, come sembra, ad Irnerio, in cui Si uero stetit per locatorem quominus operas prestet, uel per casum fortuitum in sua persona contingentem, tenetur in primo casu VARIANTI DELLA SUBORDINAZIONE, 2. I GLOSSATORI 127 ad interesse, in secundo ut pensionem remittat uel reddat pro rata temporis, quo eas non prestitit. Delle tre allegazioni poste a fondamento di questa tesi, come ho già rilevato, una sola concerne un caso che si può considerare analogo ad una locatio operarum; quello di C.4,6,11, relativo a certi aduocati che hanno percepito l’onorario per svolgere un’attività professionale che poi non hanno svolto; Diocleziano e Massimiano, nel luogo citato del Codex, sanciscono, che si per eos qui acceperant, quominus susceptam fidem impleant, stetisse probetur, restituendam esse convenit; però non si può fare a meno dal sottolineare che qui non ci troviamo dinnanzi ad un caso fortuito, ma ad un caso di inadempimento, poiché la disposizione imperiale è fondata sulla circostanza che si sia data la prova che esiste una responsabilità dei committenti–si per eos stetisse probetur–in ordine al fatto che il contratto non è stato adempiuto– quominus susceptam fidem impleant–, ed è per questa ragione che la pecunia percepita deve essere restituita. Questa ipotesi, dunque esula dal tema del caso fortuito e, del resto, la stessa glossa accursiana a C.4,6,11 contiene un reperto esegetico sulle parole per eos, che specifica: secus si per casum uel per clientulum steterit, ut D. de uariis cognitionibus l. i § pe. [D.50,13,1,13] et D. locati (l.) qui operas [D.19,2,38] et supra de iudiciis (l.) properandum § honorariis [C.3,1,13,9 in c.], ut supra l. proxima [C.4,6,10]. Insomma, se gli aduocati non eseguono per inadempimento la loro prestazione nulla è loro dovuto, a meno che l’adempimento si sia reso impossibile per casum o per colpa del clientulus. Né la glossa distingue per il caso fortuito, che colpisca la persona del clientulus o degli aduocati. Il problema, in realtà, è quello di tener ben distinta l’ipotesi di impossibilità sopravvenuta della prestazione per caso fortuito dall’inadempimento, che è tale se riconducibile alla culpa o al dolus del contraente. In questo quadro, il caso del conduttore che muore quando il locatore è pronto ad eseguire, qual è quello dell’exceptor, è significativo proprio in ordine al tema qui esaminato che concerne la struttura della subordinazione. Non per caso esso è regolarmente trattato dalla dottrina come caso emblematico, tanto da potersi ritenere che abbia valore topico. Per comprendere bene l’intera questione, invero, si deve richiamare all’attenzione quanto ho detto sopra in ordine al contegno analitico che occorre tenere quando si va ad indagare la locatio personae. In questa species in cui si articola l’unitaria figura della locatio-conductio, lo si è mostrato sopra, occorre distinguere il momento strutturale del contratto da quello 128 VICTOR CRESCENZI esecutivo; il primo consiste nell’attribuzione che il locatore fa della disponibilità della propria persona al conduttore, e costituisce l’adempimento dell’obbligazione strutturale della locatio personae in funzione delle sue operae, ma anche il presupposto del secondo–il momento esecutivo–, vale a dire della necessaria conseguente obbligazione di dare operas, ossia della faciendi necessitas, ovvero dell’obbligazione di facere alcunché nell’interesse–in re–del conduttore. Una volta acquisita la disponibilità della persona del locatore come effetto causale e quindi primario della locazione, il conduttore può impartirgli le necessarie direttive in ordine al facere da cui trarrà la propria utilitas. Ma la disponibilità si acquisisce, data la natura consensuale del contratto, appunto una volta concluso l’accordo, vale a dire nel momento in cui il reciproco consenso sia stato raggiunto. Solo dopo, nell’ambito del rapporto che per effetto del consenso si costituisce, e come conseguenza di tale costituzione, sorge a carico del locatore la faciendi necessitas, di cui D.19,2,22,2. Ne consegue che, come si è già rilevato sopra, la causa contrattuale si realizza con la prestazione del reciproco consenso per effetto del quale il locatore si pone nella disponibilità del conduttore, come si è detto ampiamente e ripetutamente. Ma dire questo, vuol dire anche che ancora una volta l’elemento della subordinazione sta proprio dentro questo momento genetico del contratto, perché il locatore in tanto vi entra in quanto presta il suo consenso a che il conduttore disponga della propria persona in funzione delle operae che dovranno essere date. E, del resto, lo stesso Azzone, alla domanda an quis possit cogi precise operari? risponde: potest, et in hoc omnes doctores Bononiae consenserunt120. Invero, l’exceptor, il quale non può esplicare l’attività cui è obbligato a causa di un impedimento che non può essere ricondotto alla sua responsabilità, in realtà, ha già adempiuto alla obbligazione causale e primaria di porre e mantenere se stesso nella disponibilità del conduttore, tanto è vero che, al contrario, nulla gli è dovuto si eodem anno mercedes ab alio accepit121: in questo caso, infatti, egli evidentemente non ha mantenuto per il conduttore deceduto quella disponibilità a causa della quale avrebbe diritto al corrispettivo, e dunque nulla può pretendere, essendo venuta meno la causa di quel contratto che non poté essere eseguito. Ma, a meno che si realizzi quest’ultima ipotesi, l’evento impeditivo consistente nel decesso del committente conduttore non tocca il segmento originario della vita del contratto, genetico della successiva conseguente obbligazione di operari, ma quello esecutivo del dare operas; il locatore è pronto appunto a dare operas al conduttore, e in 120 AZONIS Summa Codicis 4,65, n. 7, col. 454: «Si queras: an quis possit cogi operari? responde: potest, et in hoc omnes doctores Bononie consenserunt». 121 si può dire parafrasando D.19,2,19,9. VARIANTI DELLA SUBORDINAZIONE, 2. I GLOSSATORI 129 ciò risulta indubbiamente rilevante il suo animus, cui si riferisce l’Ostiense; ma se il conduttore non gliele richiede perché non vuole o, come nel caso in specie, non può, non di meno al locatore è dovuta la mercede; questa, peraltro, costituisce il corrispettivo per il fatto di aver posto e mantenuto la propria persona a disposizione del committente conduttore, non per le operae datae. Ed infatti, l’obbligazione di pagare a mercede al locatore nasce fin dal momento del consenso, non da quello dell’esecuzione del facere conseguente, tanto è vero che il suo pagamento avviene in conformità con quanto pattuito, e dunque anche prima della esecuzione della prestazione, e non necessariamente a prestazione avvenuta122. Se tutte queste considerazioni sono corrette ne risulta che non c’è differenza di trattamento del caso fortuito tra locatio personae e locatio rei. In quest’ultima, infatti, il caso fortuito che determina, per esempio, il perimento della cosa locata impedisce il realizzarsi della causa che consiste nell’acquisto, da parte del conduttore, del godimento della cosa e sul suo mantenimento. Qui la distinzione tra il momento genetico e quello esecutivo del contratto non trova cittadinanza, sicché il perimento della cosa fa vacillare la struttura del contratto fino al suo sgretolamento se il locatore non sostituisce la cosa con un’altra di pari utilità permettendo al conduttore di conseguire lo scopo. Non realizzandosi la causa, non viene in essere neanche l’obbligo sinallagmatico al corrispettivo, se non nella misura nella quale la cosa è stata effettivamente goduta, salvo il risarcimento dei danni qualora esista una responsabilità del dominus della cosa che l’ha concessa in locazione. 12.– Dovrebbe essere dunque chiaro che non solo non si rompe, sotto questo riguardo, l’unità strutturale della locatio-conductio, ma che né il diverso modo di operare del caso fortuito è incoerente con tale unità, né si può dire che esista, su questo tema, una diversa disciplina; la diversificazione degli effetti del caso fortuito deriva non da una diversificazione nella struttura del contratto, ma dal fatto che consistendo l’oggetto di esso nella persona del locatore la sua esecuzione non può risultare da atti di utilizzazione del conduttore di tale oggetto, ma dal trarre vantaggio da un operari, ossia da operae che possono essere exhibitae solo dal locatore, in quanto sono intrinsecamente connesse alla sua persona ed effettivamente richieste dal conduttore; ancora una volta, le operae si rivelano come un modo di essere della persona: insomma, sono la persona stessa nel suo atteggiarsi a soggetto operante. E’ forse questo il reale senso delle notazioni del cardinal Ostiense a proposito 122 AZONIS Summa Codicis 4,65, n. 22, col. 455. 130 VICTOR CRESCENZI della preminenza dell’homo sulle res in funzione della valorizzazione della sua dignitas. Del resto, sarà Raniero da Forlì a chiarire una volta per tutte che opera coheret persone illius qui tenetur123: è difficile sottovalutare l’importanza di queste icastiche parole, che non lasciano spazio a dubbi di alcun genere su ciò che costituisce l’oggetto del contratto anche nella successiva dottrina di ius commune che sarà oggetto di ulteriore indagine, la quale dovrà tener conto anche delle testimonianze che scaturiscono dallo ius proprium. 123 RAYNERII DE FORLIVIO Lectura super prima et secunda Digesti noui, s. l., s. d. (anast. Bologna 1968 Opera iuridica rariora), f. 88vb, n. 2. ÍNDEX Carta del Director ...................................................................................................................................................................................... V DE RE IURIDICA GESTA Aquilino IGLESIA FERREIRÓS, ¿Hay juristas en el medioevo peninsular? .. 3 José Miguel VIEJO-XIMÉNEZ, La Summa quoniam in omnibus de Paucapalea: una contribución a la Historia del Derecho Romano-Canónico en la Edad Media.................................................................................................................................................................. 27 Victor CRESCENZI, Varianti della subordinazione, 2. I Glossatori ........................ 75 Carlos LARRAINZAR, El Opúsculo “De Origine Ivrisdictionvm” del Cardenal Pierre Bertrand ....................................................................................................................................... 131 Francisco Luis PACHECO, Desarrollo medieval y moderno del heredamiento catalán............................................................................................................................................................................ 173 Enrique ÁLVAREZ CORA, El Derecho penal de Alfonso X .................................................. 223 DE BATAYLA FACIENDA Mario ASCHERI, La cittadinanza nella città medievale italiana ................................ 299 Ferdinando TREGGIARI, Ordine pubbico e guerra nell’Italia delle città .... 313 Aquilino IGLESIA FERREIRÓS, De códices antiguos: lex consuetudo usus (I) . 345 DE OPINIONIBUS ET NOSCENDIS Paolo MARI, Per l’edizione critica del Codice di Giustiniano ..................................... 397 Aquilino IGLESIA FERREIRÓS, Frangullas ou migallas (15) ................................................... 417 888 INITIUM DE OFFICIIS Aquilino IGLESIA FERREIRÓS, André Gouron y la historia del derecho peninsular .......................................................................................................................................................................................... 545 DOCUMENTA Aquilino IGLESIA FERREIRÓS, Consuetudines Cathalonie Scripte per Bertrandum de Cena ..................................................................................................................................................................................... 563 Aquilino IGLESIA FERREIRÓS, Ensayo de una edición sinóptica de los Usatici ......................................................................................................................................................................................................... 655 DE RE BIBLIOGRAPHICA I: RECENSIONES GARCÍA PÉREZ, Rafael, Antes Reyes que Leyes. Cultura jurídica y constitución política en la edad moderna (Navarra, 1512-1808). Rec. de Francisco Luis Pacheco Caballero .............................................................................................................................................. 773 III: BIBLIOGRAFÍA IV: ÍNDICE DE AUTORES Normas y siglas para envíos de originales ..................................................................................................... 851 Últimos libros registrados........................................................................................................................................................... 861 Boletín de suscripción......................................................................................................................................................................... 863 Publicidad ................................................................................................................................................................................................................ 865 Índice 887