INITIUM
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Associació Catalana d’Història del Dret “Jaume de Montjuïc”
INITIUM
REVISTA CATALANA D’HISTÒRIA DEL DRET
16
2 011
VARIANTI DELLA SUBORDINAZIONE,
2. I GLOSSATORI
Victor CRESCENZI
1.– La Scuola di Bologna, a partire dai suoi primissimi esponenti,
non sembra solo perpetuare l’impostazione concettuale unitaria della locatioconductio che riceve dalla compilazione giustinianea1, ma anzi in certo senso
la esplicita, mostrando come la locatio operarum implichi sempre la locazione
della persona delle cui opere si tratta, affinché il conduttore tragga da queste
un’utilità per la realizzazione di un proprio interesse. Tale è l’impostazione
assunta da una glossa al Digestum uetus, e precisamente a D.19,2,19,92,
che reca la sigla “b.”, ed è dunque riferibile a Bulgaro, vale a dire, occorre
sottolinearlo, un giurista appartenente a quel gruppo dei quattro dottori,
allievi di Irnerio, nei quali, dopo il maestro, la scuola intraprende il suo
lungo glorioso percorso e in certa misura si perpetua. Affrontando e risolvendo l’apparente antinomia tra D.19,2,19,9 e D.19,2,15,6, così conclude
la glossa in questione:
Supra titulo eodem contra, (l.) Ex conducto § item cum
[D.19,2,15,6]. Solutio: aliud est cum personam conducis meam, ut
operis meis utaris, aliud cum rem meam tibi loco utendam; hoc enim
casu pensio seu merces non debetur, sed etiam soluta repetitur, nisi
pro rata temporis quo usus es, uel uti potuisti, quod multis casibus
etiam superius ostenditur. Priore uero, idest ubi personam meam
conducis, totius temporis pensiones uel mercedes prestabis, ut in
hac l(ege) [D.19,2,19,9], cum per me non steterit, sed per te uel per
1
Sulla quale da ultimo v. V. CRESCENZI, «Varianti della subordinazione, 1. L’età tardo antica»,
negli Atti del XIX Convegno internazionale dell’Accademia Romanistica Costantiniana sul tema Organizzare,
sorvegliare, punire: il controllo del corpo e delle menti nel diritto della tarda antichità, Spello-Perugia 25-27
giugno 2009, in corso di pubblicazione, con la bibliografia ivi citata.
2
La glossa è edita da C. F. V. SAVIGNY, Storia del diritto romano nel medio evo [SAVIGNY, Geschichte
des römischen Rechts im Mittelalter, lib. IV, §35, nota a], (trad. di E. Bollati, Torino 1854-1857, anast.
Roma 1972) III, 381, B Chiose di Bulgaro; qui, 382, n. 8 a D.19,2,19,9, ms. Paris. 4450. 4458a.
Il «tibi» della penultima riga sembra di troppo e privo di senso; potrebbe costituire una sorta di
ripetizione della stessa parola per attrazione in quanto già presente nel contesto.
INITIUM 16 (2011) 75-130
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VICTOR CRESCENZI
casum fortuitum quo minus operam meam tibi prestarem, ita tamen
si [tibi] ab alio residui temporis mercedem non acceperim. B(ulgarus).
Il problema affrontato da Bulgaro è quello della mancata prestazione
per causa non riconducibile alla responsabilità del locatore: un problema
che, come si vedrà, costituisce oggetto di attenzione in tutta la scuola dei
glossatori, fino ad Accursio. Il caso disciplinato da D.19,2,19,9 è quello
dell’exceptor3, il quale si trova nell’impossibilità di adempiere all’obbligazione che gli deriva per aver locato le sue operae ad Antonius Aquilae in quanto
questi è venuto meno: decessisset, recita il testo, ma non è chiaro se qui il
decedere del conduttore costituisca propriamente un decesso o un semplice
allontanamento dal luogo di residenza, o il ritirarsi dalla vita attiva; non
sembra, tuttavia, che lo stabilire se si tratta della prima, della seconda o
della terza di queste ipotesi sia rilevante per la risoluzione del problema qui
dibattuto; infatti il punto è che il venir meno del conduttore, creditore della
prestazione, impedisce all’exceptor di adempiere; infatti, come sottolineerà
una glossa contenuta nell’apparato accursiano, l’exceptor è colui che scrive
sotto dettatura–aliquo dictante–: si tratta, dunque, di una prestazione che
tipicamente è eseguita al servizio diretto del conduttore che ne imprime
l’indirizzo esecutivo. Si può presumere che il venir meno di colui che l’ha
assunto renda impossibile all’exceptor di svolgere il proprio lavoro, quale che
sia la causa di questo venir meno, di questa decessio4. L’imperatore, interpellato per stabilire se in presenza di questa evenienza all’exceptor sia o meno
comunque dovuta la merces pattuita, risolve il quesito in senso positivo,
in quanto la mancata prestazione–la sua impossibilità–non dipende dalla
responsabilità del locator, purché nel medesimo anno egli non abbia percepito retribuzioni da altri: «cum per te non stetisse proponas, quo minus
locatas operas Antonio Aquilae solueres, si eodem anno mercedes ab alio
non accepisti, fidem contractus impleri aequum est».
L’altro caso preso in considerazione dalla glossa di Bulgaro è disciplinato da D.19,2,15,6 ed è quello della perdita della nave presa in locazione da
un procurator Caesaris per il compimento di un viaggio di servizio, che quindi
non può realizzarsi–cum munere vehendi functus non sit–; in questo caso, statuisce nel suo rescritto l’imperatore a sua volta interpellato, secondo quanto
riferisce il testo di Ulpiano in questione, il locatore è tenuto a rifondere il
nolo al conduttore–vale a dire al procurator Caesaris–in quanto questi non
ha potuto avvalersi della prestazione dovutagli; il frammento avverte che
Già esaminato in CRESCENZI, «Varianti della subordinazione, 1. L’età tardo antica».
ACCVRSII gl. a D.19,2,19,9: «cum quidam exceptor Quia excipiebat, idest redigebat aliqua in
scriptis, expensas forte, uel gesta, uel distinctiones quas colligebat a magistro, aliquo dictante».
3
4
VARIANTI DELLA SUBORDINAZIONE, 2. I GLOSSATORI
77
la qualità di procurator Caesaris del conduttore è irrilevante ai fini di tale
conclusione: essa vale naturalmente nei confronti di qualsiasi altra persona
che venga a trovarsi in una simile situazione: «quod in omnibus personis
similiter obseruandum est»5.
Bulgaro, proponendo un insegnamento che rimarrà sostanzialmente
costante nella scuola e dunque nella dottrina, sia pure con successive
specificazioni, affinamenti e arricchimenti delle situazioni relative, risolve
l’apparente antinomia facendo leva sulla distinzione tra le due fattispecie
rispettivamente implicate dai due passi del Digesto. Rileva Bulgaro che
nel caso di D.19,2,15,6 la perdita della nave presa in locazione impedisce
al conduttore–il procurator Caesaris–di assolvere l’incarico assegnatogli di
eseguire il viaggio, ossia di conseguire l’utilità in vista della quale aveva
preso in locazione la nave; l’impossibilità di usare la nave fa venir meno
l’obbligo del conduttore al pagamento di un debito che costituisce il
corrispettivo della realizzazione dello scopo della conduzione della nave,
consistente nel suo uso per il compimento del viaggio, e ciò indipendentemente dalla circostanza che la perdita del bene preso in locazione non ricade
nella responsabilità del locatore; sicché, conclude la glossa di Bulgaro, la
merces pattuita–la uectura–, se non ancora corrisposta non è dovuta, se non
per il tempo in cui la cosa sia stata eventualmente usata dal conduttore; se,
com’è il caso espressamente disciplinato dal passo del Digesto in questione,
la mercede sia stata preventivamente corrisposta come corrispettivo per
la disponibilità della nave, deve essere restituita, ovviamente, anche qui,
tenuto conto dell’eventuale rata temporis durante la quale il conduttore se
ne sia avvalso: aliud cum rem meam tibi loco utendam; hoc enim casu pensio seu
merces non debetur, sed etiam soluta repetitur, nisi pro rata temporis quo usus es, uel
uti potuisti, quod multis casibus etiam superius ostenditur.
Come si è già rilevato sopra, D.19,2,19,9 tratta il caso di una schietta
locatio operarum, ovvero, secondo quanto testualmente afferma Bulgaro, il caso
in cui una persona viene conducta al fine di avvalersi delle di lei opere: aliud
est cum personam conducis meam, ut operis meis utaris; in questo caso, idest ubi
personam meam conducis, secondo quanto ribadisce il glossatore, ammenoché
la mancata prestazione non sia imputabile alla persona conducta–ovvero,
5
Ecco l’intero testo di D.19,2,15,6: «Item cum quidam, naue amissa, uecturam, quam pro
mutua acceperat, repeteretur, rescriptum est ab Antonino Augusto non immerito procuratorem
Caesaris ab eo uecturam repetere, cum munere uehendi functus non sit: quod in omnibus personis
similiter obseruandum est». Il testo della glossa accursiana da me consultata (Venetiis 1488, anast.
Torino 1969, f. 288rb) reca, invece della parola mutua la parola inuecto. La variante è registrata
nell’apparato dell’editio maior del Digesto; mentre la parola mutua è testimoniata da F (vale a dire
dalla littera Florentina alias Pisana), la variante inuecto è testimoniata da P (Parisinus, 4450); V (Vaticanus, 1406) e U (Patauinus Digesti ueteris).
78
VICTOR CRESCENZI
correlativamente, locata–, che altro non è che la persona del locatore stesso, la
mercede deve essere corrisposta per intero; e ciò, ovviamente, sia quando la
prestazione non è adempiuta per fatto del conduttore, sia quando il mancato
adempimento debba essere ricondotto al caso fortuito: totius temporis pensiones
uel mercedes prestabis, ut in hac l(ege) [scil. D.19,2,19,9], cum per me non steterit,
sed per te uel per casum fortuitum quo minus operam meam tibi prestarem.
E’ interessante notare il modo con il quale nella glossa che qui sto
commentando è identificata la figura di quella che correntemente è denominata locazione di opere. Bulgaro non usa questa locuzione, ma ricorre
testualmente ad una configurazione terminologica d’indole analitica, tale
da mettere in evidenza sia l’oggetto, sia il fine di questa fattispecie di
locatio-conductio: il primo viene identificato nella persona del locatore, che
il conduttore, appunto, conducit–aliud est cum personam conducis meam–; il
secondo è identificato nell’uso delle operae, ossia nel vantaggio che il conductor
si propone di ricavare dalle operae che la medesima persona del locatore è,
in virtù del contratto, tenuta a prestare–ut operis meis utaris.
Non c’è dubbio che queste considerazioni, che si risolvono in constatazioni, dimostrano che la locuzione locatio operarum è una locuzione sintetica:
in particolare, il genitivo “operarum”, lungi dall’identificare l’oggetto della
locatio, sintetizza la funzione del contratto in ordine a ciò che la persona
deve prestare in quanto oggetto della locazione, che nella locuzione locatio
operarum rimane implicito; si tratta, dunque, di una sintesi derivante dalla
fusione dello scopo con l’oggetto, nel senso che il primo definisce i termini
all’interno dei quali la persona viene locata, ovvero, correlativamente, viene
conducta. Con ulteriore contegno analitico, si può dire che in tal modo
si delineano i termini all’interno dei quali la persona entra nel contratto,
costituendone l’oggetto: questi termini sono dati dal fine dell’esecuzione
di operae per l’utilità di colui che conduce la persona locata; questa, d’altra
parte, è appunto locata e correlativamente conducta soltanto a questo fine ed
entro i limiti da questo tracciati. Infine, l’implicazione della persona come
oggetto contrattuale è a sua volta una conseguenza del fatto che le operae
non hanno individualità oggettiva, ma esistono solo in quanto si postuli la
persona che le presta, dalla quale non sono, come si vedrà meglio più sotto,
materialmente scindibili; del resto, sono astrattamente pensabili solo come
unità di misura giornaliera.
In altre parole, in questa fattispecie, tanto più in quanto è in gioco
la persona del locatore, è indispensabile delimitare lo spazio all’interno del
quale questo coinvolgimento personale si realizza per effetto del contratto.
VARIANTI DELLA SUBORDINAZIONE, 2. I GLOSSATORI
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2.– Ad analoga constatazione si presta la Summa Codicis di Piacentino;
nemmeno questo glossatore nell’introdurre la materia de locato et conducto usa
la locuzione locatio operarum, ma identifica questa figura nella sua funzione
per così dire utilitaristica avuto riguardo al suo oggetto consistente nella
persona del locatore6:
Est autem locatio persone reiue ad usum facta concessio,
mercede certa constituta in pecunia numeranda.
Dalla definizione piacentiniana il contratto di locatio-conductio risulta
rappresentato come un’entità unitaria, sia che abbia per oggetto la persona sia
che abbia per oggetto una res; del resto Irnerio, in una glossa a D.19,2,2,1
sulle parole unum esse negotium aveva puntualizzato: «hoc dicit propter illos
qui putabant duo esse negocia, idest emptionem materie et locationem
opere», anche se qui il dualismo si sarebbe posto con la figura della locatio
operis7.
In particolare, il Piacentino configura il contratto di locazione come
lo strumento giuridico con il quale si attribuisce, dietro un corrispettivo–
merces–, il diritto di trarre utilità da una persona o da una res: ancora una
volta, ci troviamo dinnanzi ad una nozione analitica che mette l’accento
sull’uso della entità locata, il corpus locato8, uso che costituisce lo scopo e
allo stesso tempo il limite della concessio; ma non c’è dubbio che qui, come e
forse ancor più di quel che emerge dalla glossa di Bulgaro sopra considerata,
si sancisce una situazione di assoggettamento della persona o della res in
funzione della sua idoneità ad essere fonte di un’utilità, ovvero di un godimento, in poche parole: ad usum. In questo senso, è notevole che il Piacentino
non senta il bisogno di riferirsi alle operae per qualificare quella, delle due
forme di locatio, che ha per oggetto la persona, ma ritiene corretto porre al
centro del suo argomentare la persona stessa, della cui concessio si tratta, in
funzione dell’usum che di essa può essere conferito ad altri. In questo senso,
questo giurista, notoriamente poco incline al conformismo, ma molto alla
concisione, testimonia che nessun aggiornamento dogmatico ha subito
PLACENTINI Summa Codicis 4,65 (Moguntiae 1536, anast. Torino 1962), 189.
E. BESTA, L’opera di Irnerio (Torino 1896, anast. Bologna 1980), 197.
8
Così lo designa–l’ho già rilevato sopra–Ulpiano in D.19,2,11,2, con un termine idoneo a
ricomprendere sia la persona, sia la res, che Azzone, tra i tanti, farà proprio: AZONIS Summa Codicis
(Venetiis 1581), C.4,65, col. 456, n. 17: «Item si conductor corpus sibi locatum uel ius fieri deterius
patiatur, ut D. eodem l. uideamus § item prospicere[D.19,2,1,,2]. Dare enim debet operam ne res
ledatur, uel cedatur, uel uratur […]»; col. 458, n. 29: «Ex conducto actio datur conductori alicuius
corporis […]»; col. 459, n. 36: «[…] uel propter quemlibet alium casum fortuitum quo conductor
frui non potuit corpore conducto, ut D. eodem l. ex conducto § cum quidam [D.19,2,15,3] et l.
qui insulam § edilis [D.19,2,30,1]».
6
7
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VICTOR CRESCENZI
la struttura della locatio-conductio9, e che essa è inestricabilmente fondata
sull’esistenza di un corpus–la persona del locatore, e dunque la persona locata,
oppure, rispettivamente, la res–, della disponibilità del quale si disciplina
la collocazione materiale ad usum del conduttore, in funzione della utilità
di cui è portatore.
Il Piacentino si attiene rigorosamente all’impostazione iniziale
anche allorché, con la stringatezza che caratterizza la sua esegesi, riprende
la distinctio tra locatio personae e locatio rei per introdurre l’argomento della
prestazione impossibile delle operae per fatto del conduttore ovvero per caso
fortuito, vista in relazione al problema della sussistenza o meno dell’obbligo
al corrispettivo, analogamente a quanto abbiamo visto sopra essere dibattuto
da Bulgaro. Rileva il Piacentino10:
Distinguitur ita locatio: locatur alias persona, ut fossoris et
exceptoris; alias res, ut ager, domus, equus. Et certe ubi locatur
persona, siue persone opera, locator debet recipere persone mercedem,
siue operam exhibuerit, siue <non, si> per eum non steterit, sed
per conductorem, sed per morbum, aliumue casum in eius persona
contigentem, presertim si eodem anno ab aliis, ut non intersit sua,
exceptor mercedem non accepit, ut D. eodem l. sed addes § Iulianus
[!] [D.19,2,19,9] et l. qui operas [D.19,2,38 pr.]. Ergo per contrarium predictis modis si per exceptorem, fossorem perque aduocatum
steterit, nec perceptam mercedem potuerit retinere.
Locare personam, dunque, vale per locare personae operam, secondo quel
che risulta dal testo sopra riportato–ubi locatur persona, siue personae operam–
ovvero, tenendo conto del passo introduttivo dello stesso Piacentino sopra
commentato, locare personam consiste in una concessio personae ad usum facta e
dunque, parafrasando Bulgaro, locare personam vale attribuire la disponibilità di una persona ut operis personae utatur. In altre parole, con la locuzione
locare personam si guarda al contratto dal lato dell’oggetto; con la locuzione
locare personae operam è guardarlo dal lato dello scopo, cioè dell’usum che dalla
concessio di tale oggetto è facta tramite il contratto e limitatamente a questo,
e identificare il contenuto dell’obbligazione assunta dal locatore. L’usum,
poi, introduce l’elemento dell’utilità, ossia del godimento in funzione del
quale il conduttore ha preso in locazione la persona. Dunque, tutte queste
9
Contrariamente a quanto sostenuto da F. M. DE ROBERTIS, I rapporti di lavoro nel diritto romano,
Milano, 1948, p. 129-130.
10
PLACENTINI Summa Codicis 4,65, 190. Si tratta di un testo con qualche corruttela, che ho
tentato di emendare, come si può constatare.
VARIANTI DELLA SUBORDINAZIONE, 2. I GLOSSATORI
81
locuzioni si devono intendere nel senso che la disponibilità della personaoggetto è teleologica, ma anche che è limitata al conseguimento della di lei
opera, per la realizzazione dei fini e sotto le direttive del conduttore; sicché,
anche secondo l’opinione del Piacentino, se esso conduttore non si avvale
dell’opera che il locatore mette nella sua disponibilità, non di meno deve
corrispondere la mercede al locatore che era pronto ad exhibere operas suas,
ma non ha potuto farlo; alla stessa conclusione si giunge qualora il locatore
non esegue la prestazione per casum in eius persona contingentem. E’ tuttavia
da mettere in evidenza che il glossatore sottolinea che il mantenimento del
diritto alla mercede pattuita è in particolar modo–praesertim–garantito se il
locatore non ha comunque percepito una mercede da parte di altri nel corso
dell’anno–si eodem anno ab aliis exceptor mercedem non accepit–, e ciò affinché
egli non abbia a subire una perdita–ut non intersit sua.
3.– In un medesimo ordine di idee si colloca il contributo che Rogerio,
un glossatore quasi sicuramente allievo di Bulgaro, appartenente alla terza
generazione dei maestri bolognesi (generazione alla quale appartiene sostanzialmente anche il Piacentino) dà nella sua Summa Codicis, nella quale così
troviamo delineate le due figure della locatio-conductio11:
locatio quidem est cum usum rei mee, uel operas meas pro mercede
tibi do.
Anche per questo autore, dunque, il contratto ha la funzione di
trasferire la disponibilità di un bene, che Rogerio identifica nell’usum rei,
oppure nelle operae stesse. Ma anche qui occorre capire interpretando le
parole del glossatore.
In primo luogo va sottolineato come questa dottrina costituisca un
ulteriore argomento contrario alla tesi, già ampiamente discussa altrove12,
di una revisione dogmatica della locatio operarum, che da contratto generativo di obligationes in dando si sarebbe trasformato in un contratto da cui
scaturiscono obligationes in faciendo. Qui Rogerio dice chiaramente e senza
ambiguità che la locatio consiste in un dare pro mercede e non in un facere.
Ma questo è argomento sul quale non si dovrebbe ulteriormente tornare,
se non per sottolineare che le operae per Rogerio sono, del tutto in linea
con la concettualizzazione propria del diritto romano, dei beni che si
11
ROGERII Summa Codicis 4,65, nella Bibliotheca iuridica medii Aeuii, Scripta anedocta glossatorum, I,
curante I. B. Palmerio, Bononiae 1913, lib. IV, tit. LXII, De locato conducto, 133.
12
CRESCENZI «Varianti della subordinazione, 1. L’età tardo antica».
82
VICTOR CRESCENZI
somministrano, ovvero che l’obbligazione che scaturisce dalla locatio rimane
all’interno della categoria delle obligationes in dando.
Il punto, però, sul quale ci si deve soffermare è relativo all’oggetto di
questo dare, che, secondo la proposizione sopra riferita, consiste o nell’usum
rei meae (per il caso di locatio rei), ovvero, letteralmente, nelle operae meae (per
il caso di locatio operarum). Non c’è dubbio che qui ci troviamo, ancor più
che in Bulgaro, dinnanzi ad un modo genuinamente ellittico di esporre, un
modo che contiene una forte sintesi. Dare l’usum di una cosa, infatti, implica
il mettere a disposizione la cosa affinché venga usata e dunque implica il
dare la cosa stessa sulla quale l’uso si potrà realizzare da parte di colui che
la riceve a quel fine. Analogamente, dare operas, soprattutto alla stregua
della concettualizzazione che delle operae vige nella cultura e nella prassi
coeve, alla quale accenneremo oltre, per la quale esse non sono separabili
dalla persona, implica il mettere a disposizione la persona che quelle operae
deve erogare13. In altre parole, anche in questo caso, il fulcro del discorso
riguarda l’uti, che, come per quel che lo stesso Rogerio afferma a proposito
della locatio rei, si trasferisce dal locator al conductor; ma questo non significa
altro che se ne trasferisce la facoltà di avvalersi, di trarre vantaggio dalla
disponibilità del corpus locato, res o persona che sia: nel caso della persona,
però, la disponibilità è limitata alle operae, intese anche nel senso quantitativo di unità di misura della disponibilità di cui si tratta14.
4.– L’impostazione che sorregge l’esegesi del Piacentino, che fa
pernio sulla persona del locator, identificandola come il corpus oggetto della
locazione, in modo del tutto coerente con quanto si è visto essere il portato
13
Del resto, F. SANTORO-PASSARELLI, Nozioni di diritto del lavoro (Napoli 1970), 130 ha già da
tempo chiarito che «Oggetto caratteristico del contratto di lavoro è precisamente il lavoro, inteso
come attività, come fare, e non, come da altri è sostenuto, le energie del lavoratore, inseparabili dalla
sua persona, perché si esauriscono nell’atto stesso in cui vengono impiegate». Dietro questo discorso
c’è la trasformazione dell’obbligazione di lavoro da obbligazione in dando in obbligazione in faciendo,
quale risulta dall’art. 2094 c. c., e la concettualizzazione del lavoro come attività, appunto, ossia
come «atto», del tutto coerentemente con l’affermazione di Paolo, contenuta in D. 7,7,1, secondo la
quale «Opera in actu consistit nec ante in rerum natura est, quam si dies venit, quo praestanda est».
Ma su questi argomenti si dovrà tornare, anche tenendo conto di ciò che significa la parola «opera»
nella terminologia giuridica classica e nello ius commune e della relazione che essa intrattiene con la
moderna locuzione «lavoro».
14
In questo senso, tra l’altro, va letto quanto troviamo sintetizzato nella Lectura sulle Institutiones giustinianee di ambiente anglosassone tramandata dall’unico manoscritto LONDON, British
Library, Royal MS. 4 B. IV, edita in F. de ZULUETA - P. STEIN, The Teaching of Roman Law in England
around 1200, (London 1990), 98, dove, a proposito di Inst.3,24, si trova scritto: «Post uenditionem
et emptionem agit de locato et conducto, quia proxima sunt, et conuenientia tantum, quod id, quod
hic dicitur merces, ibi dicitur pretium; ibi transfertr dominium, hic usus».
VARIANTI DELLA SUBORDINAZIONE, 2. I GLOSSATORI
83
della configurazione romanistica, è fatta propria da Azzone nella sua Summa
Codicis15:
Est autem locatio persone reiue ad usum facta concessio,
mercede in pecunia numeranda et conuenta.
La conformità dell’esegesi azzoniana alla lezione del Piacentino, una
lezione che, per certi versi, è già tracciata in linea di principio da Bulgaro,
non si esaurisce in un atteggiamento conformistico, ma funge da punto
di partenza verso un’analisi del contenuto obbligatorio del contratto,
visto dal punto di vista dei soggetti implicati. Questa analisi passa per la
nomenclatura delle varie figure coinvolte dal contratto; in questo ordine
argomentativo locator è colui che permette che altri faccia uso di qualcosa
che gli appartiene e per questo riceverà il pattuito corrispettivo, e correlativamente conductor è colui che fa uso di qualcosa che appartiene ad altri–al
locator–e per questo gli pagherà il relativo corrispettivo16:
Locator ergo dicitur, qui eo quod suum est, alium uti permitti,
conuenta mercede. Conductor uero econuerso, qui eo quod alienum
est utitur, conuenta mercede.
Questa nomenclatura è riprodotta sostanzialmente inalterata nella
Lectura super Codicem che alla Summa rinvia17.
Da questa posizione Azzone fa immediatamente discendere una conseguenza rilevante per il discorso che si sta qui svolgendo, il cui obiettivo,
è opportuno ricordarlo, è quello di mettere in luce la relazione che passa
tra il prestare le opere e la persona del locatore e di identificare quale sia la
forma della subordinazione in età premoderna. L’esegesi azzoniana, invero,
è configurata come una concatenazione di argomentazioni: lo dimostra l’uso
della congiunzione “ergo”, la quale, come aveva introdotto il discorso generale
sulla nomenclatura delle figure tra le quali il contratto è concluso–locator
AZONIS Summa Codicis C.4,65, col. 454, n. 1.
AZONIS Summa Codicis C.4,65, col. 454, n. 2. Ho sostituito con la parola alienum la parola
aliorum testimoniata dall’edizione da me consultata; cfr. a questo riguardo il testo parallelo della
Lectura, qui sotto nella nota 17.
17
AZONIS Lectura super Codicem C.4,65 (Parisiis 1577, anast. Torino 1966) 360, C.4,65,1:
«Locator enim dicitur, qui eo quod suum est, alii uti permittit, conuenta mercede; conductor
uero econuerso, qui eo quod alienum est utitur, pacta mercede, ut in Summa § i»; v. AZONIS Summa
Codicis 4,65, col. 454, n. 1 cit. supra, nota 15. Nella Summa Decretalium dell’Ostiense (cfr. infra,
la nota 23) tutto ciò è condensato in un uersiculus così formulato: Qui locat, ille capit; conducit, qui
precium dat, che troviamo riprodotto anche in HENRICI DE SEGUSIO CARDINALIS HOSTIENSIS In tertium
Decretalium librum Commentaria, X.3,18 (Venetiis, apud Iuntas 1581, anast. Torino 1965), f. 59vb.
15
16
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VICTOR CRESCENZI
ergo dicitur–, nel segmento di testo che sùbito segue ha la funzione a sua
volta di introdurre le specifiche conseguenze che da quella nomenclatura
discendono, avuto riguardo alla distinzione implicata dalla concessio personae
reiue che costituisce la sostanza della locatio-conductio, con la quale Azzone
stesso, sulla scia del Piacentino, ha dato inizio alla propria esegesi18. Invero,
così prosegue, con andamento analitico, il testo della Summa19:
Ergo si domum haberem et te conuenta mercede inhabitare
permitto, tu conductor, ego locator dicor. Tu quoque, si operis tuis,
mercede conuenta in re mea utaris, diceris locator operarum tuarum
et ego eorundem conductor, ut D. eodem l. qui operas [D.19,2,38 pr.].
Dunque, locator è il nome che identifica colui che, avendo la proprietà
di una casa, permette che un altro la abiti, essendo stato convenuto un
corrispettivo; conductor è il nome che identifica colui che della casa farà
uso abitandola; più in generale, in una locatio rei, locator è il termine che
identifica colui che, avendo la proprietà o comunque la disponibilità della
cosa locata, permette ad altri di usarla, dietro un corrispettivo pattuito. Se,
d’altro canto, il contratto riguarda le operae, sostiene Azzone, con il termine
locator viene identificato colui che mette a disposizione le proprie opere a
vantaggio di un conductor per la realizzazione del di lui interesse, anche qui
essendo convenuta una mercede: è in questo modo che si può parafrasare la
proposizione che leggiamo nella Summa azzoniana, la quale presenta alcune
particolarità sulle quali, però, è necessario soffermarsi.
Si può, infatti, dubitare della lezione «in re mea utaris», peraltro
tramandata non soltanto dall’edizione da me correntemente utilizzata, vale
a dire l’edizione stampata Venetiis, sub signo Angelis Raphaelis,1581, ma anche
dalla totalità delle edizioni a stampa, compresi alcuni incunaboli, da me
consultati20. In particolare, si potrebbe essere tentati di emendare la parola
utaris con la prima persona del verbo, utar, riferendo l’uti al conductor, così
come al conductor è riferito l’inhabitare dell’ipotesi di locatio rei.
Ad ingenerare sospetti sulla solidità della lezione tràdita è il fatto che
essa sembrerebbe in contrasto con la linea esegetica di Bulgaro, così come
testimoniata dalla glossa sopra commentata, dove, come si ricorderà, per la
locatio personae, l’uti delle relative operae è attribuito al conductor, in perfetta
simmetria con quel che accade per una locazione il cui oggetto consista in
V. supra, il testo di cui alla nota 15.
AZONIS Summa Codicis 4,65, col. 454, n. 2.
20
Cfr. Venezia 1489, f. 78va; Venezia 1498, f. 113ra; Venezia 1499, f. 100rb; Pavia 1506,
p. 170a (anast. Torino 1960); Venezia 1572, col. 454; Venezia 1584, col. 454; Lione 1596, f. 614.
18
19
VARIANTI DELLA SUBORDINAZIONE, 2. I GLOSSATORI
85
una res: «aliud est cum personam conducis meam, ut operis meis utaris, aliud
cum rem meam tibi loco utendam»21; e utendam si deve intendere da parte
del conduttore, simmetricamente a quanto è detto per la locatio personae. Ma
la lezione tramandata sembrerebbe in contrasto anche con l’intera impostazione della stessa esegesi azzoniana; nel segmento di testo che precede
immediatamente quello qui commentato, che di quel segmento costituisce,
secondo la costruzione impressa all’intero passo, una conseguenza logica
(ho già rilevato che è introdotta dalla preposizione «ergo») e anche nella
formulazione che abbiamo incontrato nella Lectura, in generale la funzione
della locatio è identificata nel trasferimento al conductor dell’uti–rectius, del
diritto di utilizzare, ovvero di avvalersi–di ciò che appartiene al locator,
sicché il locator è colui che alii uti permittit, mentre il conductor è qui eo quod
alienum est utitur. Qui, invece, a stare alla lezione tràdita, chi utitur delle
operae del locator è il locator stesso, sia pure a vantaggio, nell’interesse del
conductor–in re mea.
Il effetti, quell’«utaris» può essere ricondotto ad un errore dovuto
all’attrazione del «Tu» posto a inizio di proposizione, che può aver indotto
alla seconda persona del verbo finale dando l’impressione di esserne il
soggetto; o, più banalmente, potrebbe esser stato cagionato semplicemente
da un fraintendimento di un probabile segno di compendio sulla lettera
«a», o da entrambe le cause.
Aiuta ad una corretta impostazione dei problemi qui sollevati ricorrere
ad un testo di poco successivo a quello della Summa azzoniana, vale a dire a
quella celebre Summa aurea Decretalium composta da un giurista, canonista
questa volta, di grande levatura e autorevolezza, quale fu Enrico da Susa,
di una generazione successivo al glossatore bolognese22, noto anche come il
Cardinale Ostiense, dove così troviamo sintetizzata la relazione che intercorre tra locator e conductor, con la necessaria differenziazione tra la locatio
rei e la locatio operarum23:
V. supra, il testo di cui alla nota 2.
Azzone compare in documenti tra il 1190 e il 1220, secondo quanto risulta dalla biografia
redatta da P. FIORELLI, «Azzone», nel Dizionario biografico degli italiani, 4 (Roma 1962) (ora anche in
http://www.treccani.it/enciclopedia/azzone_(Dizionario-Biografico)/). L’Ostiense, nato a Susa (Torino)
intorno alla prima decade del XIII secolo, muore a Lione nel 1271; vedine la biografia redatta da
K. PENNINGTON «Enrico da Susa» nel Dizionario biografico degli italiani, 42 (Roma 1993) (ora anche
in http://www.treccani.it/enciclopedia/enrico-da-susa-detto-l-ostiense_(Dizionario-Biografico)/).
23
HENRICI DE SEGVSIO CARDINALIS HOSTIENSIS Summa aurea X.3,18 (Basileae, apud Thomam
Guarinum 1573), lib. III, De locato et conducto, col. 753, nn. 3 s. Ecco l’intero passo: [3.] Quis dicatur
locator? Is qui pretium recipit. [4.] Quis conductor? Is qui precium donat. Vnde uersiculus: Qui
locat, ille capit; conducit, qui precium dat.Si ergo domum meam inhabitare patiar certa mercede mihi
data uel danda, tu conductor, ego locator dicar, ut D. eodem (l.) si tibi [D.19,2,5] et l. qui fundum
[D.19,2,32 rectius 33] et l. si quis fundum [D.19,2,5 rectius 9], C. eodem l. iii [C.4,65,3] et l.
nemo [C.4,65,6] et l. conductoris [!] [C.4,65,33 [?]]. Item si operareris in re mea certa mercede
21
22
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VICTOR CRESCENZI
Si ergo domum meam inhabitare patiar, certa mercede mihi data
uel danda, tu conductor, ego locator dicar […]. Item si operareris in
re mea, certa mercede tibi danda, tu locator operarum tuarum, ego
conductor eorundem dicor, D. eo(dem) (l.) qui operas [D.19,2,38 pr.].
La relazione di questo testo con quello azzoniano, che ebbe ampia
diffusione e che godette della più grande autorevolezza, è più che evidente.
Come altrettanto evidente è che l’utaris azzoniano deve aver posto al canonista
un problema di coerenza del genere di quello qui sopra sollevato, che questi
risolve con la sostituzione di quel verbo con operareris in un testo altrimenti
per certi versi quasi sovrapponibile all’esegesi del civilista bolognese. Ed è
notevole, rimanendo all’interno di questo ordine di idee, quell’allegazione
di D.19,2,38 pr., con la quale il passo dell’Ostiense, parallelamente a quello
azzoniano, si chiude24. In particolare mi sembra singolarmente significativo
il mantenimento da parte dell’Ostiense di una formulazione nella seconda
persona singolare che assume il locator come soggetto; questa soluzione gli
consente di conservare nella propria versione, parallelamente a quella del
civilista, l’andamento a chiasmo antimetabolico che connota l’impianto
azzoniano, che in parte sarebbe andato perduto dall’uso della parola «utar».
Il che permette di dire che dinnanzi ad un utaris che poteva apparire poco
persuasivo in termini concettuali (poiché chi utitur è pur sempre il conductor,
secondo quel che da Bulgaro in poi si trova detto, come ho notato sopra),
che con ragionevole sicurezza legge nell’esemplare della Summa azzoniana a
sua disposizione, l’Ostiense preferisce ricorrere a quell’operareris, nel quale
le operae vengono inglobate, senza pregiudizio per un’esigenza conservativa
che connota il procedere di questi giuristi nella composizione dei propri
testi rispetto alla tradizione; ma anche senza pregiudizio della coerenza
concettuale che indubbiamente sembra, ma, come si vedrà, non è messa
in discussione dall’imputazione dell’uti al locator invece che al conductor, in
tibi danda, tu locator operarum tuarum, ego conductor eorundem dicor, D. eo(dem) (l.) qui
operas [D.19,2,38]. Sed respectu <operis>, ego locator et tu conductor diceris, D. eodem (l.) item
queritur § i. [D.19,2,13,1] et § si gemma [D.19,2,13,5] et § si fullo [D.19,2,13,6] et l. si opus
[D.19,2,60,4]. Item quandoque diceris redemptor, ut D. eodem (l.) qui insulam § qui eden. et l.
ea lege § ult. C. eodem (l.) si hi. Et hec est emptio mirabilis in pecunia et opera communi sumptu
facta. Sed respectu opere econtra est, et sepe unum pro alio ponimus ut D. de actionibus empti et
uenditi l. ueteres [D.19,1,19]. Il uersiculus di cui sopra è riprodotto anche nel citato HOSTIENSIS In
tertium Decretalium, X.3,18, f. 59vb.
24
Peraltro l’Ostiense seguita i propri ragionamenti aprendo il tema della locatio operis e del
conseguente problema terminologico relativo alla identificazione delle due figure, com’è possibile
constatare dalla lettura dell’intero passo del canonista che troverai trascritto nella nota 23.
VARIANTI DELLA SUBORDINAZIONE, 2. I GLOSSATORI
87
divergenza con quanto sostenuto altrove dallo stesso Azzone e nell’esegesi
di Bulgaro e del Piacentino e, per certi versi, di Rogerio25.
Questa comparazione ci permette di farci un’idea adeguata di come
sia intesa, nella dottrina corrente, l’obbligazione cui è tenuto il locator e
ci permette di concludere che la linea che unisce Bulgaro, il Piacentino e
Azzone, sotto questo riguardo, non è messa in discussione dal fatto che nel
testo di quest’ultimo per identificarla compaia la parola «utaris», perché il
concetto che vi è sotteso, e cioè che il locator eroga le proprie operae nell’interesse–in re–del conduttore è mantenuto nell’«operareris» che compare
nella Summa dell’Ostiense; e ciò indipendentemente dal fatto che quella
parola sia originale, e dunque risalente al calamo stesso di Azzone, oppure
sia il residuo di un guasto nella parte alta della tradizione.
In realtà, aldilà degli aspetti rigorosamente filologici, pur degni di
nota, non sembra che l’una o l’altra lezione modifichi la sostanza giuridica
del discorso che qui Azzone sta svolgendo. Anzi, si può affermare, come
si vedrà tra poco, che Azzone, in questo specifico passo della Summa, con
l’imputare l’uti al locator compie un’operazione interpretativa di grande
finezza concettuale.
In altre parole, quel verbo, sia che si riferisca al locatore, sia che
concerna il conduttore, altro non vuol significare che le operae sono devolute
a vantaggio del conduttore. Anzi, in certo senso «utaris», col il riferire
l’azione al locatore mantiene l’esposizione logicamente all’interno di una
specie di una specularità costituita dai due segmenti testuali «si domum
inhabitare permitto-si operis tuis in re mea utaris»: colui che permittit o che
utitur–ovvero che operatur, secondo la fraseologia dell’Ostiense–è sempre
il locatore, mentre se si dovesse accogliere l’idea di emendare «utaris»
in «utar», l’azione passerebbe al conduttore; invero, è sempre il locatore
che devolve un bene, un corpus per la realizzazione di un interesse–per la
soddisfazione di un bisogno–del conduttore e, da altro punto di vista chi
eroga le operae è il locatore che però le indirizza, le utilizza in funzione del
conduttore: in re mea. In altre parole, quella specie di chiasmo, di gioco a
specchio tra la locazione di cose e quella di operae nella proposizione azzoniana dovrebbe deporre a favore della lezione tramandata e potrebbe essere
25
Riporto qui i segmenti testuali implicati: «cum personam conducis meam, ut operis meis
utaris, aliud cum rem meam tibi loco utendam» (Bulgaro); «Est autem locatio persone reiue ad
usum facta concessio» (Piacentino); «locatio quidem est cum usum rei mee, uel operas meas pro
mercede tibi do» (Rogerio); «Est autem locatio persone reiue ad usum facta concessio» (Azzone);
«Conductor uero econuerso, qui eo quod alienum est utitur, conuenta mercede» (Azzone).
88
VICTOR CRESCENZI
considerato un efficacissimo espediente retorico per ipostatizzare l’unità del
contratto, pur nella differenza del modo nel quale questo viene eseguito26.
Quel che più conta, comunque, è che accettando la lezione tràdita la
situazione del locator operarum rimane disegnata nei termini di una sostanziale
dipendenza, perché l’uti cui quello è tenuto–e la lezione «utaris» mantiene
la sua prestazione all’interno di un adempimento che grava sulla sua responsabilità–non si esplica in modo autonomo, conforme con le intenzioni del
locatore, ma deve dirigersi nell’interesse e si deve intendere secondo le
direttive del conduttore–in re mea.
5.– La conseguenza di immediata rilevanza di questo modo di esporre
e di spiegare in cosa consista una locatio operarum, ovvero, più precisamente,
una locatio personae–secondo la fraseologia che accomuna Bulgaro, Piacentino e lo stesso Azzone–è che se le operae della persona, della locazione della
quale si tratta, sono usate dal locatore stesso nell’interesse del conduttore–tu
quoque si operis tuis […] in re mea utaris diceris locator operarum tuarum–esse
non possono essere l’oggetto della locazione, poiché in tale configurazione
la loro considerazione rimane intrinsecamente connessa con la persona del
locatore che ne fa uso in funzione della soddisfazione della res, ossia dell’interesse del conduttore; in altre parole, se si accetta la lezione tràdita si deve
concludere che Azzone imprime alla questione una precisa configurazione,
secondo la quale non sono le operae ad essere trasferite al conduttore, perché
è pur sempre lo stesso locatore dal quale non sono separabili, a spenderle in
funzione della soddisfazione dell’interesse del conduttore che se ne avvantaggia; e in tal senso possono convivere la «concessio ad usum» e l’«utaris
[eseguito dal locatore] in re mea [del conduttore]» in un medesimo contesto,
concetti che trovano nell’«operareris [da parte del locatore] in re mea [del
conduttore]» dell’Ostiense una corretta sintesi del problema di identificare
26
Può essere interessante ristabilire una certa continuità testuale della Summa, ricollocando i
diversi segmenti di testo a partire dal momento in cui il glossatore dà avvio all’esegesi di C.4,65, in
modo tale da cogliere ed apprezzare in tutto il suo rigore la linea argomentativa che sorregge l’intero
ragionamento: «Est autem locatio persone reiue ad usum facta concessio, mercede in pecunia numeranda et conuenta. […]. Locator ergo dicitur, qui eo quod suum est, alium uti permitti, conuenta
mercede. Conductor uero econuerso, qui eo quod alienum est utitur, conuenta mercede. Ergo si
domum haberem et te conuenta mercede inhabitare permitto, tu conductor, ego locator dicor. Tu
quoque, si operis tuis, mercede conuenta in re mea utaris, diceris locator operarum tuarum et ego
eorundem conductor, ut D. eodem l. qui operas [D.19,2,38 pr.]»; cfr. AZONIS Summa Codicis C.4,65,
nn. 1 e 2, col. 454. Il segmento di testo qui omesso concerne le ipotesi di contratti innominati in
quanto relativi a cause contrattuali diverse da quella locativa–alioquin si de re alia danda faciendaue
conuenerit, non erit locatio, sed innominata forma negocii, ex quo agetur actione incerti, idest prescriptis uerbis–,
che esulano dal discorso che si sta qui svolgendo.
VARIANTI DELLA SUBORDINAZIONE, 2. I GLOSSATORI
89
l’atto dell’esecuzione delle operae, che è proprio del locator, e l’avvalersi delle
medesime, che è proprio del conductor.
Se questo è vero ne risulta implicitamente riaffermato il concetto,
secondo il quale oggetto del contratto è la persona: è questa che passa nella
disponibilità del conduttore, vale a dire alle dipendenze di quest’ultimo;
solo se si realizza questa condizione di dipendenza si può conseguire il
risultato che l’uso delle operae sia indirizzato alla soddisfazione dell’interesse
del conduttore, non potendosi dare una configurazione delle cose tale che
sia il conduttore a prelevare dal locatore le operae per utilizzarle nel proprio
interesse, come se queste siano un’entità avulsa dalla di lui persona, così
come il medesimo conduttore preleva dal locatore che gliela concede la res
oggetto della locazione; mentre è perfettamente ragionevole e coerente con
la struttura della locatio-conductio che il locatore, parafrasando le parole di
Azzone, sia obbligato in virtù e in conseguenza del contratto a uti operibus
suis in re conductoris, che vale come dire: a operari, ossia a prestare le proprie
opere per il vantaggio del conduttore.
D’altra parte, ad una medesima conclusione si perviene qualora ci
si convincesse della scorrettezza della lezione tràdita; anche se fosse necessario emendare quell’utaris in utar, attribuendo alla persona del conduttore
l’esercizio dell’uso delle operae del locatore che, dietro un compenso, glielo
conceda, la persona del locatore ne risulterebbe inevitabilmente comunque
coinvolta. Infatti, dietro le operae c’è sempre la persona, e dire che col
contratto si acquisisce la disponibilità delle operae significa dire che con esso
contratto si acquisisce la disponibilità della persona che quelle operae deve
erogare, o, come è specificato dall’esegesi bolognese, che si attiene così alla
terminologia della compilazione, deve exhibere.
In realtà, la simmetria tra locatio rei e locatio operarum, che è conseguenza dell’unità del contratto nelle due figure, non si riflette sul suo
versante esecutivo, ossia quando si guardi al contratto sotto il profilo del
contenuto dell’obbligazione del locatore, perché mentre il corpus-res è avulso
dalla persona del locatore, gode di uno status reale autonomo rispetto alla
persona del locatore, è, come direbbero i giuristi classici, in rerum natura,
e come tale può essere di per sé oggetto del contratto, ma anche oggetto
della prestazione, le operae non sono il corpus oggetto del contratto ed infatti
esse in rerum natura non sunt27 prima di essere prestate, o, ancor più precisamente, prima che cada il dies della prestazione28, mentre in rerum natura
è la persona dalla quale provengono: esse sono l’oggetto della prestazione,
27
28
D. 38,1,9 pr.; cfr. CRESCENZI, «Varianti della subordinazione, 1. L’età tardo antica».
Cfr. CRESCENZI, «Varianti della subordinazione, 1. L’età tardo antica».
90
VICTOR CRESCENZI
il contenuto dell’obbligazione che il locatore si assume con il contratto29.
Nella locatio operarum, ancora una volta, questo corpus è la persona, che,
secondo le parole di Bulgaro, è conducta al fine di avvalersi delle di lei
operae: personam conducis meam ut operis meis utaris; e, occorre precisare, di
esse se ne può pensare l’uti soltanto allorché sono effettivamente erogate.
Il che implica che le operae prima di quel momento, e cioè nel tempo in
cui il contratto è concluso, tempo che precede sia cronologicamente sia
logicamente quello della prestazione, sono tutt’uno con il corpus locato che
dovrà erogarle; del resto si è ampiamente dimostrato sopra, esponendo la
dottrina di Bulgaro, che la locuzione locatio operarum sintetizza la funzione
del contratto in ordine a ciò che la persona deve prestare come oggetto della
locazione30. E dunque, sia che nella Summa azzoniana si debba leggere utar,
sia che si debba leggere utaris, nulla cambia circa la sostanza della relativa
conclusione, come dimostra proprio la glossa di Bulgaro qui appena ripresa,
che, per quanto riferisca l’uti al conduttore impernia l’argomentazione della
quale è portatrice sul fatto del personam meam conducere, ossia, sulla centralità
della persona. E’ su questa asimmetria del momento esecutivo tra locatio rei
e locatio operarum che, tra l’altro, si fonda la diversa conclusione, a seconda
che si tratti dell’una o dell’altra figura di locatio, cui Bulgaro, seguito dalla
successiva dottrina bolognese, perviene relativamente al problema dell’obbligo della corresponsione del corrispettivo quando il locatore non abbia
eseguito la prestazione per fatto a lui non imputabile, dentro la quale ipotesi
sta anche il caso fortuito che concerna la sua stessa persona. Ma su questo
specifico punto dovrò tornare.
Del resto, sia il passo azzoniano, sia quello dell’Ostiense si chiudono
con l’allegazione di D.19,2,38 pr.31 che non tratta né espressamente né ex
professo della struttura della locatio operarum, ma che contiene la disciplina
della impossibilità della prestazione del locatore per fatto a lui non imputabile e costituisce a sua volta la fonte elettiva di argomenti rilevanti per l’analisi del contenuto delle obbligazioni che alle parti derivano dal contratto.
Si ricorderà che l’esegesi di Bulgaro si dispiega con riferimento a un
frammento parallelo, D.19,2,19,9, che disciplina una medesima ipotesi: nel
suo contributo esegetico il glossatore sviluppa i suoi ragionamenti differen29
E, del resto, Azzone stesso distingue, per l’incidenza del caso fortuito, tra il caso del locator
corporis e il caso del locator operarum: «Et ita patet ex his casum fortuitum locatori corporis nocere in
mercede, ne habeat eam, nisi pro rata. Secus autem uideo in eo, qui locat operas suas tantum, uel
locat rem et operam, uel accipit speciem ex innominato contractu, ut aliquid faciat. […]»: AZONIS
Summa Codicis 4,65, col. 459, n. 36. Ma, ancora una volta, la distinzione non è rilevante ai fini della
determinazione dell’oggetto del contratto, ma del contenuto della prestazione.
30
V. supra p. 76.
31
D.19,2,38 pr.: «Qui operas suas locauit, totius temporis mercedem accipere debet, si per
eum non stetit, quo minus operas praestet».
VARIANTI DELLA SUBORDINAZIONE, 2. I GLOSSATORI
91
ziali tra locatio rei e locatio operarum e mette in evidenza le relative differenziate
responsabilità. Come ho sopra detto, Bulgaro, del tutto coerentemente con
D.19,2,38 pr., sostiene che la mancata erogazione delle opere da parte del
locatore per l’impossibilità sopravvenuta a causa di un evento che riguarda
il conduttore, il quale, per la sua decessio, non può avvalersene, non fa venir
meno il diritto a percepire la mercede pattuita, sempreché nell’anno in
corso non l’abbia percepita da altri. D.19,2,19,9 sembra dunque assolvere
alla funzione di topos dove vengono analizzate le rispettive obbligazioni in
un contratto di locatio operarum.
Il frammento32, come sappiamo, tratta dell’ipotesi di un exceptor,
ossia di uno scrivano, il quale, avendo locato le proprie operae, non può
eseguire la prestazione perché è intervenuto il decessus di Antonio Aquila,
conduttore, e riferisce un rescritto imperiale nel quale si risolve il quesito
proposto, che costituisce la sostanza della controversia: deve o non deve il
locatore ricevere, in questo caso, la pattuita mercede? Il responso dei principes si rivolge all’exceptor con il dispositivo che per il momento possiamo
così parafrasare: «poiché non hai eseguito la prestazione per causa a te non
imputabile–per te non stetisse quominus locatas operas solueres–è conforme ad
equità che la mercede ti sia corrisposta».
L’apparato accursiano su questo frammento contiene alcune glosse
che rivestono un sicuro interesse per il discorso qui svolto.
Una prima glossa, appesa alle parole iniziali Cum quidam exceptor,
delinea a scopo esemplificativo alcune situazioni empiriche atte a identificare le fattispecie coinvolte dal precetto: «Quia excipiebat, idest redigebat
aliqua in scriptis, espensas forte, uel gesta, uel distinctiones quas colligebat
a magistro, alio dictante»: excipere qui vale per esplicare la professione di
scrivano alle dipendenze e sotto la direzione del committente–alio dictante;
venendo meno quest’ultimo il lavoro non può essere svolto.
La seconda glossa accursiana chiarisce i termini dell’impossibilità
della prestazione e cade sulle parole non stetisse: «Set per casum fortuitum
in persona conductoris contingentem». La mancata prestazione, dunque,
è fatta risalire ad un caso fortuito–il decessus– che colpisce la persona del
conduttore.
La terza, che grava sulla parola solueres ne spiega il significato: «idest
exhiberes».
32
Non è inopportuno riportarne di nuovo il testo; D.19,2,19,9: «Cum quidam exceptor operas
suas locasset, deinde is qui eas conduxerat decessisset, imperator Antoninus cum divo Seuero rescripsit
ad libellum exceptoris in haec uerba: “cum per te non stetisse proponas, quo minus locatas operas
Antonio Aquilae solueres, si eodem anno mercedes ab alio non accepisti, fidem contractus impleri
aequum est”».
92
VICTOR CRESCENZI
Una quarta, che esaminerò più oltre, è situata sulle parole aequum est
e contiene i fondamenti della decisione imperiale.
Qui è opportuno soffermarsi sulla terza, perché introduce una precisazione terminologica sulla quale è opportuno richiamare l’attenzione, in
quanto rilevante in ordine alla determinazione delle operae, ossia dell’oggetto
dell’obbligazione del locatore.
6.– La glossa accursiana in questione, per esigua che appaia, costituisce
l’indizio di un’esigenza di rigore terminologico che ha rilievo concettuale:
spiegare la parola soluere del testo di D.19,2,19,9, con la quale genericamente si designa la soddisfazione di un obbligo cui il debitore è tenuto,
con exhibere implica una specificazione di questo obbligo, avuto riguardo
al contratto dal quale scaturisce.
In effetti, se Rogerio, come si è visto sopra, usa la locuzione «dare
operas», un’altra locuzione si trova usata nella letteratura giuridica bolognese
per identificare la prestazione del locatore di opere: operas exhibere. Ci siamo
imbattuti in questa locuzione nel passo del Piacentino sopra citato: locator
debet recipere persone mercedem, siue operam exhibuerit, siue non33; la ritroviamo
in Azzone almeno due volte in un passo della Summa che tratta dell’actio ex
conducto, con riferimento al caso di una persona che loca le proprie operae a
due diversi soggetti34:
Item uenit in actionem istam ex conducto, ut, qui locauerit
operas suas mihi, exhibeat eas. Si autem mihi et alii locauerit simul,
priori conductori satisfaciendum est ante, ut D. eodem, l. in operis
[D.19,2,26]. [39.] Et hoc aduerbium simul denotat coniunctionem
uel identitatem et in persona operantis, et in operis, uel seruitio
exhibendo.
La locuzione è conforme alla terminologia della compilazione
giustinianea, anche se non sembra ricorrere nel titolo Locati conducti 19,2
del Digesto35, né nel corrispondente titolo De locato et conducto C.4,65 del
Codex36 e nemmeno nell’eponimo titolo De locatione et conductione 3,24 delle
Istituzioni. Tuttavia la troviamo proprio con riferimento alla locazione di
opere in D.14,1,1,18, in cui si esclude che l’exercitor nauis debba far ricorso
V. supra, p. 79.
AZONIS Summa Codicis 4,65, nn. 38 s., col. 460.
35
D.19,2,19,5 l’exhibere è riferito alla relativa actio; D.19,5,1,2 tratta della fides exhibita.
36
In C.4,65 l’exhibere è riferito ad altre entità, quali, per esempio, i custodes (C.4,65,4 pr.), la
fides (C. 4,65,4,2); ma exhibere fidem compare anche in C.4,64,7.
33
34
VARIANTI DELLA SUBORDINAZIONE, 2. I GLOSSATORI
93
all’actio exercitoria contro coloro che cum magistro contraxerunt in quanto i
rimedi processuali di cui l’exercitor dispone sono quelli derivanti appunto dal
contratto concluso col medesimo magister; sicché agirà ex locato cum magistro
si mercede operam ei exhibet37.
A questi, è opportuno aggiungere altri due reperti38.
Il primo, D.41,1,23, è singolarmente importante per la materia qui
trattata in quanto concerne un’ipotesi di seruitium sia di un servo altrui,
sia di un liber homo e disciplina l’effetto della prestazione delle operae: qui
compare la locuzione «quia iure operas ei exhibere debet, cui bona fide
seruit»39: e di exhibere seruitium discorre anche Azzone nel passo appena qui
sopra riferito. Il debere exhibere operas, dunque, è giuridicamente implicato
dal seruire alicui.
Nel secondo, D.50,1,17 pr., è presa in esame la posizione del liberto
con riferimento ai munera ciuilia, cui è tenuto, anche se sia gravato dagli
obblighi nei confronti del patronus che vengono identificati con la locuzione
«operas patrono vel ministerium […] exhibere», per quanto questi possano
essere assorbenti40.
All’interno di questo ordine di considerazioni stanno le locuzioni
«angariorum exhibitio» di D.50,5,11 e «operam publicis utilitatibus
exhibere» di D.50,6,6,12.
Si può dire che tutte queste locuzioni indicano come la esecuzione
di un’obbligazione che implica le operae, siano dovute, queste, in virtù del
contratto o in conseguenza di uno status, ovvero per altra causa, presenta
alcune specificità che occorre illustrare, perché rilevanti in ordine alla
più rigorosa comprensione di ciò di cui consistono le operae dedotte nel
contratto di locazione, ma anche nella stipulatio operarum. Non è casuale che
37
D.14,1,1,18: «Sed ex contrario exercenti nauem aduersus eos, qui cum magistro contraxerunt,
actio non pollicetur, quia non eodem auxilio indigebat, sed aut ex locato cum magistro, si mercede
operam ei exhibet, aut si gratuitam, mandati agere potest. Solent plane praefecti propter ministerium annonae, item in prouinciis praesides prouinciarum extra ordinem eos iuuare ex contractu
magistrorum».
38
Cfr. H. HEUMANN-E. SECKEL, Handlexikon zu den Quellen des römischen Rechts (Jena 1907, anast.
Graz 1971) col. 190b, che, con riferimento a questi due passi del Digesto sopra citati, attribuiscono
a exhibere il significato di gewähren (garantire), leisten (prestare, assicurare).
39
D.41,1,23: «Qui bona fide alicui seruit, siue seruus alienus est siue homo liber est, quidquid
ex re eius cui seruit adquirit, ei adquirit, cui bona fide seruit. Sed et si quid ex operis suis adquisierit,
simili modo ei adquirit: nam et operae quodammodo ex re eius cui seruit habentur, quia iure operas
ei exhibere debet, cui bona fide seruit».
40
D.50,1,17: «Libertus propter patronum a ciuilibus muneribus non excusatur, nec ad rem
pertinet, an operas patrono uel ministerium capto luminibus exhibeat».
94
VICTOR CRESCENZI
la medesima locuzione compare in D.12,6,26,12 che concerne le relazioni
intercorrenti tra liberto e patrono con riguardo appunto alle operae41.
A questo scopo è opportuno tener conto di un’enunciazione generale
che troviamo nel titolo de uerborum significatione del Digesto, e, in particolare,
in D.50,16,246 pr.: exhibet, qui praestat eius de quo agitur praesentiam; in questo
passo, la locuzione «de quo agitur» si può intendere sia in senso stretto,
con riferimento ad un’azione processuale, sia in senso lato, con riferimento
a ciò di cui si tratta, ossia all’oggetto dell’azione giuridica generalmente
intesa; in questo senso, infatti, lo si contrappone al restituere, così come è
spiegato nel successivo § 1. Alla luce di questa considerazione, possiamo
fare riferimento anche al precedente frammento di D.50,16,22 dove al
verbo exhibere è attribuito il significato di praesentiam corporis praebere42. In
cosa consistano il praestare di D.50,16,246 e il praebere di D.50,16,22 si
comprende seguendo il percorso sul quale insiste questo titolo del Digesto,
che, nei due reperti nei quali dà la significatio del uerbum «exhibere» fa leva
sull’analisi differenziale dell’exhibere con il restituere. Restituere, invero, per
D.50,16,22 consiste nel facere possessorem fructusque reddere; per D.50,16,246
consiste nel praestare non solo un corpus, ma anche omnem rem condicionemque
reddita causa. Vale a dire consiste nel porre in essere un’attività finalizzata ad
un risultato materiale, effettivo, e non per caso il riferimento è alla possessio,
vale a dire ad uno stato di fatto, che implica la materiale apprensione di un
bene; quindi restituere è praestare corpus, nel senso di dare materialmente il
corpus di cui si tratta, consegnarlo, tenuto conto della condicio nella quale si
trova, ossia nel suo stato di fatto e di diritto.
Questo elemento della materialità sembra qualificare anche l’exhibere, che concerne la praesentiam corporis, anche se qui non si tratta di una
41
Cfr. J. THÉLOHAN, «De la stipulatio operarum», in AA. VV., Études d’histoire juridique offertes à
P. Fr. Girard (Paris 1913), 355-377; qui, 356, dove è messa in relazione di sinonimia o almeno di
equivalenza con l’altra, che lascia pochi dubbi sulla natura materialistica delle operae (peraltro da
intendersi in modo specifico con riguardo alla persona di colui che deve prestarle, come si vedrà meglio
infra), di suscipere operas, per es. del Gaio di D.19,5,22: «Si tibi polienda sarciendaue uestimenta
dederim, si quidem gratis hanc operam te suscipiente, mandati est obligatio, si vero mercede data
aut constituta, locationis conductionisque negotium geritur. Quod, si neque gratis hanc operam
susceperis neque protinus aut data aut constituta sit merces, sed eo animo negotium gestum fuerit,
ut postea tantum mercedis nomine daretur, quantum inter nos statutum sit, placet quasi de nouo
negotio in factum dandum esse iudicium, id est praescriptis uerbis».
42
D.50,16,22: «Plus est in restitutione, quam in exhibitione: nam “exhibere” est praesentiam
corporis praebere, “restituere” est etiam possessorem facere fructusque reddere: pleraque praeterea
restitutionis uerbo continentur». Questo è il testo di D.50,16,246: «Pr. Apud Labeonem pithanon
ita scriptum est: exhibet, qui praestat eius de quo agitur praesentiam. Nam etiam qui sistit, praestat
eius de quo agitur praesentiam, nec tamen eum exhibet: et qui mutum aut furiosum aut infantem
exhibet, non potest uideri eius praestare praesentiam: nemo enim ex eo genere praesens satis apte
appellari potest. 1. Restituit non tantum, qui solum corpus, sed etiam qui omnem rem condicionemque reddita causa praestet: et tota restitutio iuris est interpretatio».
VARIANTI DELLA SUBORDINAZIONE, 2. I GLOSSATORI
95
consegna, quanto di costituire una disponibilità; per questo exhibere è praebere
praesentiam corporis, o, come ho appena mostrato, praestare praesentiam eius
de quo agitur cioè garantire al destinatario dell’exhibitio la praesentia, vale a
dire l’esistenza effettiva di ciò di cui si tratta, ovvero garantire che ciò che
costituisce l’oggetto dell’azione giuridica sia reso disponibile, ponendolo
dinnanzi a chi abbia un interesse giuridicamente tutelato: per esempio
l’interesse ad avvalersene, a acquisirne la disponibilità effettiva.
Il fine dell’exhibere sembra dunque essere quello di garantire al destinatario di disporre del corpus se ne ha diritto, consentirgli di acquisirne
la disponibilità, renderlo disponibile; fine del restituere è di attribuire la
disponibilità immediata, diretta, effettiva e materiale del corpus poiché ne ha
diritto. Entrambi i termini, comunque, hanno come riferimento un corpus,
cioè un’entità materialmente identificata: mediata dalla praesentia, l’exhibere,
immediata e attuale, il restituere. E, infatti, Azzone precisa: «Nomine autem
exhibitionis non continet rei restitutio»43.
Ora, naturalmente, qui ci troviamo in un ambito empirico totalmente
diverso da quello delineato dall’exhibere in senso stretto, quale risulta dalla
funzione esplicata da questo termine con riferimento specifico alla materia
delineata dall’actio ad exhibendum, all’interno della quale l’exhibere assume
una dimensione processuale, nella quale rileva l’aspetto propriamente
pubblico che in quell’ambito vi è sotteso, vale a dire l’aspetto funzionale
alla tutela giurisdizionale dei diritti, come scolpisce Azzone, facendo proprie
le parole di D.10,4,2: «Est autem exhibere facere in publico potestatem,
ut ei qui agit experiundi fiat copia»44; per aggiungere poco più sotto: «In
publicum intellige, idest apud magistratum, ut D. de seruis fugitiuis l. in
publicum»45.
Ma, pur tenendo conto di questa avvertenza, rimane fermo, poiché ne
costituisce la base, il significato specifico e generale di exhibere di in publicum
rem deducere et uidende, tangendeque et adprehendende rei facultatem prebere46, del
qual significato è opportuno sottolineare la conformità con D.50,16,2247.
AZONIS Summa Codicis 3,42, col. 259, n. 1.
AZONIS Summa Codicis 3,42, col. 259, n. 1.
45
AZONIS Summa Codicis 3,42, col. 259, n. 2.
46
AZONIS Summa Codicis 3,42, col. 259, n. 1.
47
Cfr. un vocabolario giuridico di un autore vissuto tra il XV e il XVI secolo: A. NEBRISSENSIS
Vocabolarium utriusque iuris (Venetiis 1597), f. 129vb: «Exhibere est in publicum deducere, seu
ostendere, ut copiam habeat aduersarius rem suam tangendi, et eam sic uisam si sibi sua uidetur
uendicandi, de hoc, D. ad exhibendum, l. 3, § ait pretor. Req. supra actio ad exhibendum; quandoque etiam exhibere apud Iurisconsulti accipitur pro alere, ut l. si quis, de agnoscendis liberis».
f. 260rb: «Restituere est retro statuere hoc est rem in eum statum ducere, in quem fuisset, si nihil,
aduersus, quod facienda esset restitutio, euenisset, l. i § restituas, ne quid in loco publico, et uerb.
restituere, de uerb. sig. Proprie tamen restituere dicimus quod accepimus, secundum Alc. in d. l.
restituere».
43
44
96
VICTOR CRESCENZI
Sicché, se l’exhibere si riferisce sempre ad un corpus che ne costituisce l’oggetto, ci troviamo dinnanzi alla stessa problematica terminologica che
concerne la locuzione locare operas: come quest’ultima locuzione implica la
persona del locatore in funzione della prestazione delle operae, così l’uso del
termine exhibere riferito alle operae implica il praebere di una facultas, secondo
le parole di Azzone appena qui sopra riferite, che coinvolge, ancora una volta
la persona del locatore, ovvero di colui che le operae, il seruitium, le angariae
devono prestare; questa persona in tanto exhibet operas suas in quanto mette
in condizione il destinatario della prestazione di esercitare la facultas di
avvalersi delle di lei operae. Di conseguenza dispositivo del rescritto imperiale riportato da D.19,2,19,9 può essere parafrasato così: «E’ conforme
ad equità che sia data piena esecuzione al contratto e ti sia corrisposta la
mercede pattuita se, secondo quanto affermi, il fatto che non hai messo in
condizione Antonio Aquila di avvalersi della facoltà di trarre vantaggio
dalle operae da te a lui locate non è avvenuto per causa tua, purché durante
questo medesimo anno tu non abbia percepito una mercede da altri». Ma
poiché locare operas, da tutto quel che si è detto fin qui, è locuzione ellittica
che implica il locare se, che dell’exhibere operas è il fondamento giuridico, in
quanto è dal locare se che nasce l’obbligazione alla prestazione delle proprie
operae, si può dire che quella glossetta accursiana–idest exhiberes–specifica
che ciò che non si è realizzato senza responsabilità del locatore–la solutio di
D.19,2,19,9–è il fatto che il locatore non ha potuto, senza sua responsabilità
rendere effettiva la facoltà del conduttore di realizzare il diritto che gli deriva
dal contratto di avvalersi della persona del locatore al fine di disporre delle
di lui operae cui il locatore è tenuto, cioè non ha potuto uti operibus suis. La
glossa dunque sottolinea che il generico «solueres» del testo del Digesto
identifica un’obbligazione specifica, che consiste nel rendere disponibile al
conduttore la persona del locatore nella misura delle operae alle quali questi
è tenuto, per le quali questi si è locato.
Tutto questo discorso ci riporta al problema fondamentale per questa
indagine, che concerne la relazione che intercorre tra persona e operae, in una
parola ci riporta al problema delle operae.
7.– Cosa sono le operae? E’, questa, la domanda che, arrivati a questo
punto dell’indagine, non si può più eludere.
Diciamo subito che tradurre operae con lavoro, se per certi versi, e in
via del tutto generica, può aiutare a capire di cosa parliamo, può aiutarci,
cioè, a capire a quale fenomeno ci riferiamo, per altri versi non permette di
ricostruire in modo sufficientemente rigoroso e corretto e scientificamente
soddisfacente la fenomenologia del lavoro come oggetto di considerazione
VARIANTI DELLA SUBORDINAZIONE, 2. I GLOSSATORI
97
giuridica (vale a dire, nel momento in cui diviene entità giuridicamente
rilevante), e nemmeno il problema specifico che qui si sta tentando di
risolvere, vale a dire quello della subordinazione.
Prendiamo l’avvio da una considerazione fondamentale che il SantoroPassarelli svolge analizzando il contratto di lavoro nella struttura data dal
codice civile vigente, che si è già richiamata sopra48, dalla quale risulta
che, in quanto entità implicata dal contratto di cui all’art. 2094 c. c.49, il
lavoro deve essere «inteso come attività, come fare, e non, come da altri è
sostenuto, le energie del lavoratore, inseparabili dalla sua persona, perché
si esauriscono nell’atto stesso in cui vengono impiegate»50.
Per quanto sia strettamente connessa con la fattispecie tipica disciplinata dall’art. 2094 c. c., si tratta di un’affermazione che ha le sue origini
nella dottrina dei primi decenni del Novecento, e segnatamente nel Barassi
uno dei più strenui difensori–e dunque elaborata essendo vigente il codice
civile del 1865, che non conosce la fattispecie tipica del contratto di lavoro
subordinato. In particolare, quest’ultimo autore, nella prima edizione
del suo trattato, considera le «energie» come ciò che egli sussume nella
nomenclatura che adotta, come il requisito o elemento tipico o caratteristico del contratto di lavoro, ovvero come il suo «contenuto»; esso consiste
nella «prestazione di determinate energie di lavoro a favore di una delle
parti»51. Tuttavia, con più avvertito contegno analitico, lo stesso Barassi,
nella seconda edizione del trattato su Il contratto di lavoro nel diritto positivo italiano, perviene ad una più precisa conclusione, secondo la quale, il
«lavoro è attività»; e spiega: «Attività è un dispiegamento di energia, uno
sforzo anche inibitorio, una distensione di muscoli guidata dalla volontà
per un fine esteriore, che per noi, dal punto di vista del contratto di lavoro,
è l’utilità di terzi»52. Più oltre, con specifico riguardo a quello che egli
stesso designa come «lavoro tecnicamente subordinato», il Barassi scrive
che «qui solamente chi dà il lavoro mette a disposizione di un’altra persona
una quantità di energie di lavoro»53, e perviene a negare che le energie
siano cose, ma anzi, in polemica con il Carnelutti, confuta recisamente la
tesi di quest’ultimo, fondata sull’equiparazione delle energie di lavoro alle
cose, che implicherebbe la loro autonomia materiale rispetto all’uomo dal
V. supra, nota 13.
Art. 2094 c. c.: «(Prestatore di lavoro subordinato) E’ prestatore di lavoro subordinato chi si
obbliga mediante retribuzione a collaborare nell’impresa, prestando il proprio lavoro intellettuale
o manuale alle dipendenze e sotto la direzione dell’imprenditore».
50
SANTORO-PASSARELLI, Nozioni di diritto del lavoro, 130.
51
L. BARASSI, Il contratto di lavoro nel diritto positivo italiano, I ed. (Milano 1901, anast.
Milano 2003) 288.
52
L. BARASSI, Il contratto di lavoro nel diritto positivo italiano, II ed. (Milano 1915) I 30.
53
BARASSI, Il contratto di lavoro2 I 441.
48
49
98
VICTOR CRESCENZI
quale provengono54, per giungere alla seguente affermazione: «Insomma
le forze umane non si conservano una volta esplicate, e con ciò utilizzate:
il che è quanto dire che non sono separabili da chi le produce»; di qui la
conclusione, secondo la quale, «non le energie dell’uomo, e neppure (tanto
meno!) l’uomo sono oggetto di rapporti giuridici»55.
L’impegno esegetico che porta il Barassi a porre l’attività al centro
della prestazione di lavoro e a farne l’oggetto è diretta conseguenza della
insanabile contraddizione che deriva a tutta questa materia dalla centralità
che la locazione di opere, intesa come continuazione della locatio operarum
di diritto romano, ha continuato ad avere in quanto forma dello scambio
di lavoro contro mercede, nell’esperienza giuridica italiana sotto l’impero
del codice civile del 1865.
L’aporia che ne deriva è denunciata proprio dalla difficoltà di identificare l’oggetto del contratto nella quale si dibatte una parte della dottrina
dell’Ottocento e del Novecento mantenendo ferma quella centralità. Difficoltà di cui è sintomo il problema del rapporto tra la persona del lavoratore,
le energie lavorative e la necessità di ricorrere alla figura della attività: una
figura, questa, che non è implicata esclusivamente dalla locazione di opere
(ma nemmeno dal contratto di lavoro subordinato) e dunque non la caratterizza in forma tipica. Anche il mandato, per esempio, implica un’attività
a favore e nell’interesse di una persona diversa dall’agente. Ed invero, il
medesimo Barassi non si sottrae ad un’analisi differenziale tra mandato e
locazione di opere, identificandone il tratto appunto differenziale nella
gratuità dell’uno contro la onerosità dell’altra56. Tanto che lo stesso Barassi,
distinguendo il mandato gratuito da quello oneroso, riconduce quest’ultimo
all’interno della fattispecie del contratto di lavoro, inteso come locazione
di opera e non di opere57. Non è dunque la «prestazione di lavoro» ciò che
connota il rapporto in misura tale da accomunare mandato (gratuito) e
contratto di lavoro, ma proprio l’esistenza o meno della gratuità, che agisce
in questi due rapporti in modo tale da differenziarli profondamente, tanto
da impedire di «poterli porre uno accanto all’altro» per quanto in entrambi
concorra appunto questo che costituisce un «elemento fondamentale:
BARASSI, Il contratto di lavoro2 I 454 ss.
BARASSI, Il contratto di lavoro2 I 456, con ampia bibliografia.
56
BARASSI, Il contratto di lavoro2 I 264 ss.; qui, v. in part., 280-306. Il discorso svolto dal Barassi
è più complesso di quel che potrebbe apparire a prima vista dalle considerazioni che svolgo qui
sopra nel testo, ma per quel che qui si sta dicendo può forse bastare il rinvio alla conclusione sopra
stilizzata.
57
BARASSI, Il contratto di lavoro2 I 289-90; v. 295, dove è qualificato anche come sottospecie
del contratto di lavoro (v. ibidem nota 2, con rinvio alla giurisprudenza).
54
55
VARIANTI DELLA SUBORDINAZIONE, 2. I GLOSSATORI
99
prestazione di lavoro»58. Se si può avanzare una notazione critica a questo
proposito, tuttavia, è che in questa analisi differenziale sembra rimanere
latente ogni considerazione per la subordinazione–latenza che risale, per la
verità, alla formulazione stessa dell’art. 1570 c. c. 1865 e dunque alla configurazione che questa norma dà della fattispecie della locazione di opere59–,
del resto in linea con il generale riferimento di questo elemento ad una
rilevanza meramente sociologica, o di fatto, ovvero «tecnica», in linea con
quanto appena qui sopra già rilevato. Ma la latenza della subordinazione
sembra accomunare il Barassi agli autori con i quali si confronta nella sua
analisi differenziale della locazione di opere con il mandato60.
Mettendo, per il momento, da parte questa considerazione, seguiamo
l’ordine di ragionamenti cui, comunque, il Barassi si attiene, che lo
conduce a configurare il contratto che ha per oggetto questa attività come
la forma dello scambio di due promesse obbligatorie: quella del datore di
lavoro è la promessa della mercede; quella del lavoratore è la promessa del
lavoro e il fatto che si tratti di promessa obbligatoria non sposta i termini
della questione61. Ma dovendo individuare in cosa si risolva il contenuto
dell’obbligazione di lavoro derivante dalla promessa, il Barassi conclude
che esso non può essere identificato con il lavoro in quanto tale, poiché
questo «essendo inseparabile dall’uomo, non ne è che una qualità, un
atteggiamento, un modo di essere, per sé non autonomo, né suscettibile di
autonomo trattamento giuridico»62; il lavoro, invero, «non è cosa, ma una
forma di prestazione»63; sicché, in conclusione, ne risulta così «già delineato
quella che è […] la vera rete giuridica che assicura il lavoro alla persona
a cui il lavoratore l’ha promesso, non già in forma di una signoria sulle
energie di lavoro, ma di una pretesa che l’un contraente ha a che l’altro, il
lavoratore, assuma quel dato atteggiamento che si chiama “prestazione del
58
BARASSI, Il contratto di lavoro2 I 307: «Ritengo che da un punto di vista economico e giuridico
dobbiamo tenere accuratamente separato il lavoro retribuito da quello gratuito, pur ammettendo
che per l’identità della prestazione fondamentale alcune norme saranno comuni; per esse occorrerà
quindi il rinvio al contratto di lavoro. I due contratti appartengono a due grandi gruppi distinti: i
contratti a base almeno apparententemente altruistica e quelli fondati sullo scambio».
59
Art. 1570 c. c. 1865: «La locazione delle opere è un contratto, per cui una delle parti si
obbliga a fare per l’altra una cosa mediante la pattuita mercede».
60
BARASSI, Il contratto di lavoro2 I 278 s. con riferimento alle dottrine dello Sraffa, del Vivante,
del La Lumia e del Barberis.
61
BARASSI, Il contratto di lavoro2 I 465 e 467: «Poi il contratto è stipulato; con esso si è scambiata
una promessa di lavoro contro una promessa di retribuzione. […]. Ed ecco dunque due rapporti
obbligatori. […] Qui vi è rapporto di scambio, e giuridicamente nesso di onerosità». Non può
non destare qualche perplessità il fatto che il Barassi parli di due rapporti obbligatori, laddove si
dovrebbe ritenere che le due promesse generino un solo rapporto obbligatorio di tipo sinallagmatico,
connotato da due obbligazioni corrispettive.
62
BARASSI, Il contratto di lavoro2 I 467-468.
63
BARASSI, Il contratto di lavoro2 I 468.
100
VICTOR CRESCENZI
lavoro”, così come gli è stato promesso; insomma, un diritto di credito, il
diritto a una prestazione»64. Insomma, oggetto dell’obbligazione altro non
finisce per essere che l’obbligazione stessa, ossia, correlativamente appunto
il diritto ad una prestazione: «il diritto del creditore di lavoro non è che
un semplice diritto di credito» che si specifica nella «pretesa ad una data
attività di lavoro […] senza peraltro che questa signoria si traduca in una
signoria sulla persona»65; e ciò nemmeno nel contratto di lavoro che il
Barassi qualifica come «tecnicamente subordinato»66. Riconoscendo che la
subordinazione costituisce «l’elemento più delicato del nostro rapporto»,
il Barassi così conclude67:
Ma teoricamente anche qui non vi è dal punto di vista giuridico
una signoria sulla persona: il rapporto di subordinazione non è che
una maggiore intensificazione della pretesa ad un dato comportamento, quindi non esce dalla categoria dei rapporti obbligatori a cui
appartiene, ad es., quella medesima signoria che ha l’operaio vero il
padrone per il pagamento della mercede.
Questa conclusione porta ad una conseguenza che, per quel che
riguarda il tema qui trattato, ha un rilievo singolare: la subordinazione,
infatti, rischia di «degenerare a qualche cosa che assomigli a una manifestazione esteriore di signoria sulla persona. E a impedir ciò deve provvedere, più che non le leggi sociali del lavoro, la coscienza nelle due parti del
limite preciso dei propri doveri e dei propri diritti»68. Vale a dire ha come
effetto quello di espungere la subordinazione dal novero delle conseguenze
giuridiche del contratto, relegandola ad un mero strumento tecnico, il cui
rilievo non supera la sfera dei fatti: come tale, essa può pervenire a giuridica
rilevanza solo per effetto di leggi speciali, quelle che il Barassi designa come
leggi sociali del lavoro, al di fuori dell’ambito delle quali essa subordinazione
è affidata all’invero molto incerto dominio della «coscienza» che le due parti
devono avere «del limite preciso dei propri doveri e dei propri diritti», come
abbiamo appena visto69: come possa, questo limite, essere «preciso», una
BARASSI, Il contratto di lavoro2 I 468.
BARASSI, Il contratto di lavoro2 I 473.
66
BARASSI, Il contratto di lavoro2 I 473.
67
BARASSI, Il contratto di lavoro2 I 474.
68
BARASSI, Il contratto di lavoro2 I 474.
69
Il che ci permette di escludere che la subordinazione costituisca, nella costruzione del Barassi,
un «requisito causale» del contratto. Contra P. PASSANITI, Storia del diritto del lavoro. I. La questione
del contratto di lavoro nell’Italia liberale (1865-1920) (Milano 2006) 190: proprio dalle affermazioni
del Barassi sopra riportate nel testo risulta come appunto essa subordinazione è del tutto estranea
alla causa contrattuale.
64
65
VARIANTI DELLA SUBORDINAZIONE, 2. I GLOSSATORI
101
volta affidato alla coscienza di parti in posizione di diseguaglianza sociale
ognuno può immaginare; e, del resto, la storia si è incaricata variamente
di mostrarlo in modo impietoso. E’ questa l’aporia più vistosa e più grave
che vizia questo ordine concettuale.
In realtà, il soggetto che subisce i maggiori danni da questa impostazione è proprio il lavoratore “tecnicamente” subordinato, il quale, restando
ferma la struttura contrattuale della locatio operarum, ed essendo escluso
che la sua persona sia oggetto di obbligazione, non essendo sopportabile
alla coscienza della borghesia liberale una simile impostazione, finisce per
non godere più nemmeno di quella tutela che, sempre all’interno della
locatio operarum, ne costituisce elemento strutturale, ossia l’obbligazione del
conduttore di fare uso del corpus locato senza deteriorarlo e di restituirlo,
alla fine del periodo contrattuale, indenne70. Quanto questo abbia pesato
nella lunga penosa vicenda relativa alla responsabilità per gli infortuni sul
lavoro e quanto tutto ciò si sia riflesso nella incredibile configurazione di tale
responsabilità come extracontrattuale, ossia tale da postulare l’irrilevanza
del rapporto di lavoro per la costruzione della sua struttura è facile vedere71.
L’aporia consiste nell’aver espunto, in nome della sua dignità, la
persona del lavoratore dalla struttura del contratto pur mantenendo ferma
una figura contrattuale, quale la locatio operarum, della quale la persona
costituisce proprio strutturalmente il centro, in quanto corpus del contratto,
eliminare il quale non è possibile senza snaturarne appunto la struttura e,
dunque, la stessa identità72.
In realtà, il diritto romano, come risulta da quel che fin qui si è
dimostrato, consegna all’esperienza di ius commune, nell’ambito della quale è
ricevuta nella sua struttura tipica, una costruzione contrattuale, nella quale
CRESCENZI, «Varianti della subordinazione, 1».
Basterà rinviare al saggio magistrale di L. GAETA, Infortuni sul lavoro e responsabilità civile.
Alle origini del diritto del lavoro (Napoli 1986), autentica pietra miliare in materia, per rendersene
conto.
72
E dunque, non è sufficiente affermare, senza un’adeguata analisi che tenga conto della
struttura della locazione, che con la locazione, appunto, «l’uomo rimane estraneo all’oggetto del
contratto», laddove nella configurazione dello scambio di lavoro contro mercede nell’ambito concettuale della vendita ne sarebbe stato implicato, secondo quanto afferma PASSANITI, Storia del diritto del
lavoro. I, 190. In effetti, proprio con il rimanere ancorati alla locazione, intesa come continuazione
della locatio operarum, si produce l’effetto di mantenere inesorabilmente all’uomo la posizione di verace
oggetto del contratto; e non bastano volontaristiche affermazioni in contrario da parte della dottrina a
espungervelo senza conseguenze non perfettamente calcolate. Mantenere la locazione come strumento
contrattuale per l’acquisizione del lavoro contro una retribuzione costituisce, quindi, come qualcuno
direbbe, un clamoroso esempio di ignoratio elenchi. In altre parole, la logica giuridica, intesa come
logica di strutture che hanno una storia precisa, rivela in questo caso tutta la sua potenza. E non si
tratta di mera equivalenza nominalistica: la locazione degli artt. 1568 e 1627 c. c. 1865 è, infatti,
proprio un calco non meramente linguistico della locatio operarum che trascina il fraintendimento di
ciò che sono le opere.
70
71
102
VICTOR CRESCENZI
la persona del locatore è il vero e ineludibile oggetto, come dimostra la linea
dottrinale che risulta dalla linea esegetica che unisce Bulgaro ad Azzone e
alla glossa accursiana, fino almeno a Raniero Arsendi da Forlì. Ricordo che
sia Bulgaro, sia il Piacentino, sia Azzone pongono la persona al centro della
locatio-conductio operarum e, precisamente, identificano nella persona l’oggetto
del contratto73. E la persona viene in considerazione nel rapporto che dal
contratto scaturisce, specificandosi nelle operae, vale a dire in quelle entità
che con essa costituisce un’unità inscindibile: sicché possiamo rispondere
all’interrogativo, col quale si è aperto questo paragrafo, affermando che le
operae altro non sono che la persona, la persona stessa del locatore, un suo
modo di essere che assume determinazione nell’ambito nel quale questa si
pone a disposizione del conduttore per un tempo predefinito, vale a dire la
giornata di lavoro. Esse non sono né l’attività del locatore (ma, semmai, ne
sono una potenzialità), né le sue energie idealmente o materialisticamente
considerate, ma la persona non nella sua indeterminatezza, ma in quanto
gravata da quel diurnum officium (D.38,1,1) nella misura quantitativa
contrattualmente stabilita: sono, le operae, il quanto di officium che essa
persona è tenuta a dare, exhibere, praestare, in senso proprio, vale a dire a
consegnare nella disponibilità del conduttore corrispondente ad una giornata
convenzionalmente stabilita, che, secondo calcoli che si possono ritenere
piuttosto precisi e attendibili, almeno con riferimento per esempio alle
lavorazioni dell’arte della lana a Firenze, è composta da nove ore di lavoro
effettivo74; naturalmente, per le lavorazioni agricole il discorso non può non
tener conto della durata del giorno; ma quel che conta, in questo discorso,
è la funzione di unità di misura che si deve attribuire al termine “opera”.
Che questa impostazione sia sostanzialmente condivisa nell’intera
esperienza di ius commune e non si esaurisca in un rigoroso contegno dottrinale
che rimane estraneo alla effettività della vita socioeconomica e giuridica
dell’età di mezzo risulta dal fatto che gli statuti, in genere, anche della tarda
età di diritto comune, parlano di locare se75. E’, questa, una locuzione, che
73
BULGARO: «aliud est cum personam conducis meam, ut operis meis utaris, aliud cum rem
meam tibi loco utendam […]. Priore uero, idest ubi personam meam conducis»; PIACENTINO: «locatur
alias persona, ut fossoris et exceptoris; alias res, ut ager, domus, equus. Et certe ubi locatur persona,
siue persone opera […]»; AZZONE: «Est autem locatio persone reiue ad usum facta concessio, mercede
in pecunia numeranda et conuenta[…]» (corsivi ovviamente miei).
74
Cfr. la ricostruzione delle modalità di lavoro nella produzione laniera in B. DINI, «I lavoratori dell’arte della lana a Firenze nel XIV e XV secolo», in AA. VV, Artigiani e salariati. Il mondo
del lavoro nell’Italia dei secoli XII-XV, atti del decimo convegno internazionale del Centro di studi
di storia e d’arte di Pistoia, Pistoia, 9-13 ottobre 1981 (Pistoia 1984) 27-68; qui, 52 s.
75
Traggo gli esempi dalle cospicue allegazioni di G. ROSSI, Sul profilo della «locatio operarum»
nel mondo del lavoro dei comuni italiani secondo la legislazione statutaria, ed. provvisoria (Milano 1958),
ora in ROSSI, Studi e testi di storia giuridica medievale, a cura di G. Gualandi e N. Sarti (Milano 1997)
457-602 (tra parentesi quadre indico la nota e la pagina di questo saggio da cui traggo gli esempi che
VARIANTI DELLA SUBORDINAZIONE, 2. I GLOSSATORI
103
il Rossi qualifica come «imprecisa»76, quantunque la si trovi attestata, per
esempio, in D.19,2,60,7, sia pure con riferimento ad un seruus mulio del
quale si dice letteralmente che «se locasse»; ma non ritengo che il fatto che
colui che locat se sia un seruus costituisca argomento decisivo per escluderne
la correttezza e nemmeno l’applicabilità alla persona del libero, soprattutto
se si tiene conto del contesto in cui compare, nel quale vengono dibattute
differenziali figure di responsabilità. Del resto, che, per esempio, alienus
servus seruire nobis potest, sicuti liber, et multo magis operas dare, è sancito da
D.40,7,4,4; e la glossa accursiana sulle parole sicuti liber chiarisce: «Accepto
uerbo seruire non pro domino»77. Al contrario, la locuzione locare se si può
fondatamente ritenere di natura tecnica e in tal funzione la si trova usata
nelle carte di locatio operarum, per esempio del secondo secolo (a. 169 d. C.),
nelle quali il locator non è qualificato come seruus: «[…] dixit se locasse et
locauit operas suas […]»78, ovvero «[…] fatetur se locasse et locauit operas
suas […]»79. In realtà, se la locatio operarum, come ho dimostrato altrove80,
costituisce la forma della subordinazione, ciò non implica, secondo quanto
ha dimostrato il Martini per l’età romana81, che «il lavoratore si riducesse
in una condizione di semilibertà»82, in quanto se l’oggetto del contratto
rimane la persona, questa ne risulta bensì assoggettata, ma solo quanto e
limitatamente al contenuto dell’obbligazione che dal contratto scaturisce,
che determina il contenuto della prestazione che grava su colui che locat
se: questo contenuto sono le operae e ciò, come abbiamo visto, giustifica la
locuzione locatio operarum, che si è sopra qualificata come una locuzione
sintetica. Ma questo ci riconduce al problema appena qui sopra enunciato:
seguono): locare se incontriamo, per esempio, negli statuti di Bene Vagienna (1293) [nota 14, 477] e
Feltre (1340) [nota 57, 517]; da notare la seguente fraseologia adottata dagli statuti di Sant’Anatolia
(1324) [nota 83, 525]: «Statuimus quod quicumque promiserit stare cum aliquo et iuuare ipsum
cum persona uel rebus per diem uel dies […]» (corsivo mio): il riferimento alle res riguarda evidentemente gli arnesi di lavoro; Belluno (1456) [nota 155, 545], la rubrica del cap. CC del lib. II è: De
locationibus personarum; nel testo del capitolo: «[…] quod talis persona sic locata ut supra, discedat
a domino suo, siue domina, uel magistro, cum quo se locauerit, uel locata fuerit […]» [nota 167,
549]; Feltre (1350) [nota 161, 546], la rubr. CV del lib: II è: De se locantibus cum aliquo ad standum,
habitandum uel ad laborandum; Catania (1345) [nota 171, 550]: «Et si forte persona conducta […]»
(v. anche nota 191, 554); passim.
76
ROSSI, Sul profilo, 508.
77
Questo è l’intero testo della glossa in questione relativa a D.40,7,4,4: «sicuti liber Accepto
uerbo seruire non pro domino, alias secus, ut supra l. proxima § ult. [D.40,7,3,16 s.]».
78
FONTES IURIS ROMANI ANTEIUSTINIANI [FIURA], III, Negotia, ed. V. ARANGIO-RUIZ, ed. altera
(Florentiae 1969) n. 150, 467.
79
FIURA, 468.
80
CRESCENZI, «Varianti della subordinazione, 1. L’età tardo antica».
81
R. MARTINI, «Mercennarius». Contributo allo studio dei rapporti di lavoro in diritto romano
(Milano 1958) 38, 47, passim.
82
ROSSI, Sul profilo, 508.
104
VICTOR CRESCENZI
cosa sono le operae nella terminologia e nell’esperienza giuridica, ma anche
economica del diritto comune? Né possiamo accontentarci, se non in via
di primissima approssimazione, di quel che si è appena sopra enunciato:
essere, cioè, le operae l’unità di misura giornaliera alla quale deve essere
riferito l’impegno del locator, ossia in base alla quale si definisce la durata
del tempo in cui questi rimane a disposizione del conduttore.
Per affrontare questo interrogativo si deve tener conto di una considerazione preliminare: la teoria delle operae, nelle fonti giustinianee non si
trova sviluppata con immediato e specifico riferimento alla trattazione della
locatio-conductio: né in Inst. 3,24 (De locatione et conductione), né in D.19,2
(Locati conducti), né in C.4,65 (De locato et conducto). Questi titoli, che costituiscono le sedes materiae della locatio operarum come specificazione dell’unitaria
figura contrattuale della locatio-conductio, usano il termine operae mostrando
di implicarne il significato che evidentemente deve essere cercato altrove,
e in particolare dove le operae costituiscono un’entità dotata di relativa
identità, in quanto oggetto di obbligazione. In altre parole, il fatto che le
operae non trovino definita alcuna fisionomia nei titoli dedicati alla locatio
è l’ulteriore dimostrazione del fatto che non sono esse a costituire l’oggetto
del contratto. Al contrario, sono oggetto di obbligazione con riferimento
alla relazione che intercorre tra liberto e patrono, nella quale la relativa
disciplina assume la forma della stipulatio operarum.
Qual è la funzione di questo contratto con specifico riferimento al
rapporto tra liberto e patrono? In via di prima approssimazione, per quel
che può interessare qui, si può rispondere che questa funzione consiste nel
rendere giuridicamente determinato l’obbligo delle operae cui è soggetto il
liberto in seguito alla manomissione, che fa parte del complesso di doveri
cui il manomesso è assoggettato a causa dell’affrancamento; doveri che,
insieme con alcune pretese, si collocano prevalentemente sul piano sociale,
ovvero sul piano delle obbligazioni naturali, come dimostra D.12,6,26,12.
All’atto della manomissione, dunque, lo schiavo da manomettere presta la
promissio iurata liberti, con la quale si impegna a prestare a favore del patrono
una certa quantità di operae, vale a dire giornate di lavoro–secondo quanto
specifica espressamente l’Arangio-Ruiz83–; questa promissio ancora non
costituisce, né potrebbe costituire, dato lo stato di servitù in cui fino alla
manomissione versa il promittente, fonte di obbligazione civile (lo schiavo
non può obbligarsi, in linea di principio)84; avvenuta la manomissione, il
liberto ripete la promessa probabilmente con la forma della stipulatio e in
tal modo si obbliga civilmente.
83
84
ARANGIO-RUIZ, Istituzioni di diritto romano (Napoli 1934), 471.
ARANGIO-RUIZ, Istituzioni, 310-311.
VARIANTI DELLA SUBORDINAZIONE, 2. I GLOSSATORI
105
Checché sia di ciò, quel che interessa qui è la assoluta univocità della
stipulatio operarum come un contratto dal quale scaturisce un’obbligazione
di dare85: precisamente di dare una determinata quantità di operae, ossia di
giornate di lavoro.
Allineiamo qualche dato testuale in questo senso assolutamente
univoco86: D.37,14,6,1: «Stipulatus est centum operas aut in singulas aureos
quinos dari: non uidetur contra legem stipulatus, quia in potestate liberti
est operas dare»; D.38,1, De operis libertorum, 15,1: «[…] denique Celsus
libro duodecimo scribit, si communis libertus patronis duobus operas mille
daturum se iurauerit […]»; D.38,1,24: «[…] operas tuas pictorias centum
hodie dare spondes? […]»; D.38,1,39: «[…] si decem dierum operas non
dederis, uiginti nummos dare spondes? […]»; D.40,7,4,4: «[…] Stichus si
Titio per triennium seruierit uel si illi centum operas dederit, liber esto […]
nam et alienus seruus seruire nobis potest, sicuti liber, et multo magis operas
dare […]»; D.40,7,20,5: «[…] quia operae per singulos dies dantur […]».
Questa rapida esemplificazione dimostra che le operae non possono
identificarsi sic et simpliciter con l’attività, intendendo con ciò un quid di
immateriale che fluisce dalle energie di colui che la esplica, com’è proprio
di un ordine di idee oggi corrente; esse vanno viste in un’ottica materialistica e in quest’ottica non possono essere identificate altrimenti che in un
corpus che costituisce l’oggetto del contratto; questo corpus altro non può
essere che la persona stessa dell’obbligato, sia esso libero, liberto o schiavo;
questi, ancora una volta, si consegna nella disponibilità del destinatario
della promessa per una durata stabilita, che appunto è determinata dalla
quantità di operae promesse. Le operae, dunque, non sono ancora l’attività,
ma la potenzialità di un’attività; in tanto esse si risolvono in un’attività
in quanto siano datae, editae, exhibitae; o, detto altrimenti, è l’operas dare
a costituire l’attività, il facere, non le operae di per sé. Il coinvolgimento
della persona, peraltro, è necessario per dare concretezza giuridica al modo
dell’esecuzione dell’obbligazione, che non solo deve ridondare in utilità del
creditore, ma deve svolgersi in modo conforme alle sue indicazioni, direttive e organizzazione: in una parola è un modo subordinato. Ancora una
volta, dare operas presuppone il dare personam nella disponibilità di colui al
quale la promessa è resa nella misura di una o più giornate quante sono le
operae promesse e che dovranno essere datae. Locare se, dunque, è mettere se
stessi nella disponibilità del conduttore; operas dare è portare a compimento
l’esecuzione del contratto: la prima è l’obbligazione principale, geneticamente preordinata alla conseguente ulteriore, ma necessaria obbligazione
85
86
Cfr. in questo senso, J. THÉLOHAN, «De la stipulatio», v. in part., 356.
Traggo gli esempi da THÉLOHAN, «De la stipulatio», 359, nota 5 (corsivi miei).
106
VICTOR CRESCENZI
di dare operas che determina la misura della disponibilità concessa e la rende
concreta nel relativo facere. Locare se, con il suo connotato di subordinazione che gli è intrinseco, è il presupposto del dare operas, e ne costituisce
l’elemento tipico tale da distinguere il dare operas che si esegue all’interno
e in conseguenza di una locatio operarum da tutte le altre forme all’interno
delle quali qualcuno compie un’attività nell’interesse di un altro, come il
mandato e probabilmente anche la negotiorum gestio. E’ soltanto in questo
senso che appunto il facere entra in un contratto la cui struttura consiste in
un’obligatio dandi, secondo la terminologia e la nomenclatura romanistica.
Infatti, con il dare operas il contratto completa la sua funzione, in quanto
preordinato alla realizzazione di un’utilitas da parte del conduttore: in questo
senso, il dare operas è propriamente complementare all’atto con il quale il
locatore locat se. Per convincersene basta fare riferimento alla esposizione di
Azzone, che, come si è sopra visto, distingue tra concedere personam ad usum87
e uti operis suis [del locatore] in re conductoris88; la concessio personae è appunto
l’obbligazione primaria, il presupposto, che realizza la causa contrattuale
instaurando il rapporto tra locatore e conduttore, all’interno del quale assume
funzione specifica e tipica l’esecuzione dell’obbligazione di uti operibus, che
è appunto un altro modo di identificare l’operam dare: la seconda presuppone
la prima e la qualifica89. E’ dunque in questo senso che deve essere intesa
quella faciendi necessitas che troviamo in D.19,2,22,2. Da questo frammento
risulta come l’effetto obbligatorio specifico e ineliminabile del locare se è
la necessitas, vale a dire l’obbligo, di facere, ossia di operas dare, ovvero, per
assumere il punto di vista di Azzone, di uti operibus, dell’erogare un’attività
nell’interesse del conduttore.
8.– Si può così evitare di rimanere relegati all’interno di una visione
formalistica dell’intera fenomenologia, e si può così liberare lo sguardo verso
ciò che accade effettivamente tra locatore di opere e loro conduttore facendo
interagire la forma con il complesso delle relazioni reciproche tra le parti.
Se, infatti, si supera il punto di vista formale e puramente concettuale
fin qui assunto per identificare la struttura del contratto, e si accede ad un
punto di vista che guardi alla concretezza della vita giuridica e socioeconomica dello scambio si vede che per quanto il locatore abbia posto la propria
persona nella disponibilità del conduttore e di conseguenza si trovi gravato
AZONIS Summa, col. 454, n. 1; cfr. supra, p. 83.
AZONIS Summa Codicis, col. 454, n. 2; cfr. supra, p. 83 s.
89
V., in questo senso, FORCELLINI, Lexikon totius latinitatis (Patauii, 1864-1926, anast.
Bologna 1965), III, ad uoc. opera, 493: «I, 3 Item speciatim dare, reddere, edere operas et similia, est
facere, praestare, praebere alicuius commodo, alicui inseruire […]».
87
88
VARIANTI DELLA SUBORDINAZIONE, 2. I GLOSSATORI
107
dell’obbligazione a exhibere le proprie operae per il conduttore, ad un facere
nell’interesse di quest’ultimo, non è detto che la prestazione di tali operae
si realizzi sempre; lo dimostra il caso, dall’esame del quale ha preso l’avvio
questo discorso, dell’exceptor, ossia dello scrivano che non può eseguire la
sua prestazione a causa del decesso del conductor. Nel caso dell’exceptor, per
quanto questi fosse pronto ad exhibere operas suas, venendo meno il destinatario di questo exhibere viene meno per il locator la possibilità materiale
di portare alle sue conseguenze pratiche e concrete l’obbligazione assunta.
In altre parole, viene meno il fatto dell’uti operibus locatoris da parte del
conductor, ovvero il fatto dell’uti operibus suis in re conductoris da parte del
locator, secondo la configurazione di Azzone nella Summa, sulla quale mi
sono soffermato in modo diffuso sopra90. Del resto, che l’exhibere, si risolva
in concreto nel facere da parte del locator ciò che il conductor ritiene utile per
la realizzazione dei propri interessi è reso in modo rigoroso dall’Ostiense
che, come ho mostrato sopra, descrive il contenuto obbligatorio che grava
sul locator come un operari in re conductoris91.
Non c’è dubbio che sia la formulazione azzoniana–operis tuis, mercede
conuenta in re mea utaris–, sia quella dell’Ostiense–si operareris in re mea, certa
mercede tibi danda–con l’introdurre la considerazione dell’azione esecutiva
del locator, vista nella sua dimensione concreta e pratica–che Azzone identifica nell’uti e l’Ostiense nell’operari in re conductoris–, dimostrano che la
dottrina dei glossatori è consapevole del fatto che, la conseguenza necessaria
della struttura del contratto che ha per oggetto la persona del locatore, è
che questi dovrà esplicare un’attività, un facere nell’interesse del conductor,
senza di che il dato strutturale che vede implicata la persona del locator si
risolverebbe in un mero asservimento.
In altre parole, sia Azzone, sia l’Ostiense concentrano il fuoco della
loro costruzione sul locatore, mettendo in certo senso in un relativo secondo
piano il conduttore. E con ragione.
Infatti, differentemente da quel che accade per la locatio rei, nella
quale è il conduttore ad agire, una volta conseguita la disponibilità della
cosa locata, facendone uso ai fini del godimento delle utilità che da questa
intende ricavare, nella locatio operarum, affinché il conduttore possa conseguire la relativa utilitas, ossia affinché possa realizzare l’interesse per il quale
ha condotto le operae–ovvero ha condotto la persona, le operae della quale sono
strumentali alla realizzazione di un proprio determinato interesse–ha generalmente bisogno della cooperazione del locatore: questi, non può limitarsi
a mettersi nella disponibilità del conduttore (parallelamente a quel che
90
91
V. supra pp. 83-84.
V. supra pp. 85-86.
108
VICTOR CRESCENZI
accade nella locatio rei, nella quale il locator deve dare al conduttore la piena
disponibilità del corpus locato e lasciare che questi ne goda nel modo che
più ritiene conforme ai propri interessi, salva la destinazione economica del
bene e i limiti conseguenti), facendosene mero strumento inerte e passivo,
ma, appunto, deve tradurre questa disponibilità in azione, deve eseguire,
facere quel che il conduttore gli richiede in esecuzione del contratto: operari.
Ciò, se si può dire che rimanga implicito nel passo dell’Ostiense sopra
richiamato, è da Azzone testualmente reso esplicito dal fatto che questi
definisce la locatio come concessio persone ad usum92, ma subito dopo, nel passo
che ho assoggettato a analisi critica, specifica che questo usum, questo uti
sono imputati al locator93:
Tu quoque, si operis tuis, mercede conuenta in re mea utaris,
diceris locator operarum tuarum et ego eorundem conductor;
e rinvia a D.19,2,38 pr. che ha il suo fulcro appunto in un locator che, senza
sua colpa, quominus operas praestet.
Questo complesso di considerazioni costituisce un argomento molto
forte a favore della lezione tramandata dalle edizioni della Summa e può
permetterci di concludere che Azzone guarda alla fenomenologia dell’esecuzione del contratto nella sua interezza, e per questo colloca il locator
come il soggetto dell’azione dell’uti delle proprie operae in re conductoris. In
tal modo ne risulta mirabilmente sottolineata la profonda differenza che
passa da un punto di vista fenomenologico tra la locatio operarum e la locatio
rei, come appena sopra ho rilevato, differenza che non mette in discussione
l’unitarietà concettuale e strutturale esistente tra le due figure.
Del resto, che questo aspetto del contratto–visto non nella sua
dimensione meramente formale, ma come mezzo di composizione di un
conflitto d’interessi, com’è per ogni contratto, ossia come strumento sociale
di scambio di utilità tra soggetti che mettono in gioco qualcosa per ricavarne un corrispettivo, insomma e in poche parole, come forma della vita
associata e del relativo dinamismo–, che questo aspetto del contratto sia
presente all’attenzione del glossatore, risulta da un passo della sua Summa
Codicis, già sopra segnalato a mero scopo esemplificativo a proposito del
termine «exhibere». Si tratta dell’esegesi a D.19,2,26, che, con riferimento
al caso di una persona che loca le proprie operae, simul, a due diversi soggetti
sancisce: «In operis duobus simul locatis conuenit priori conductori ante
satisfieri». Il problema si pone proprio a causa dell’identificazione postulata
92
93
Cfr. supra, p. 83.
Cfr. supra, p. 84.
VARIANTI DELLA SUBORDINAZIONE, 2. I GLOSSATORI
109
e enfatizzata dallo stesso glossatore delle operae con la persona, nonché per
l’indivisibilità della giornata di lavoro, ossia dell’opera94:
Si autem mihi et alii locauerit simul, priori conductori satisfaciendum est ante, ut D. eodem, l. in operis [D.19,2,26]. [39.] Et hoc
aduerbium simul denotat coniunctionem uel identitatem et in persona
operantis, et in operis, uel seruitio exhibendo; non notat identitatem
temporis, alioquin nullus esset ordo temporis, quod in litera negatur,
cum dicit «priori conductori».
Quid iuris se qualcuno ha locato le proprie opere nello stesso tempo–
simul–a due conduttori? Qui Azzone mette subito a fuoco il problema: simul
non può riferirsi al momento della conclusione del contratto, tanto è vero che
la litera di D.19,2,26 parla di un conductor prior, ovvero di un conduttore al
quale deve essere riconosciuta la precedenza: «In operis duobus simul locatis
conuenit priori conductori ante satisfieri»; del resto una simile simultaneità
sarebbe in contraddizione con l’ordo temporis, ovvero sarebbe impossibile.
Secondo Azzone, in realtà, l’avverbio simul identifica una contemporaneità
che riguarda due entità che qui si presentano nella reciproca inscindibilità:
i. la persona di colui che deve operari, e (di conseguenza) ii. le operae (ovvero
il seruitium) che devono essere exhibitae. Ancora una volta, l’una e le altre
sono configurate come due facce d’una medesima realtà: l’uomo nella sua
potenzialità di lavoro, o, più sinteticamente, l’uomo che lavora. E in effetti,
la persona in tanto entra nel contratto in quanto dovrà necessariamente operari;
di conseguenza la simultaneità coinvolge le operae. Dunque, qualcuno ha
locato le proprie opere con due distinti contratti a due diversi conduttori,
promettendone l’esecuzione in un medesimo tempo; la domanda è: si può
simultaneamente dare operas a due diversi conduttori? Il senso di questa
problematica è che l’identità nell’oggetto non inficia il contratto; ma poiché
questo si risolve in un operari, in un facere, è non solo valido, ma anche
efficace: il locatore eseguirà il proprio adempimento dando la precedenza
al conduttore con il quale per primo ha concluso il contratto. Vale a dire,
l’identità dell’oggetto non implica l’identità nelle esecuzioni che, sebbene
promesse per uno stesso tempo, possono essere distribuite ed erogate in
due momenti diversi, dando la precedenza a quello, tra i conduttori, che
per primo ha concluso il contratto. L’identità dell’oggetto–lo stesso locator
e dunque le stesse operae per uno stesso tempo–non rende impossibile l’esecuzione, la quale può essere eseguita dando la precedenza al prior conductor.
94
AZONIS Summa Codicis 4,65, nn. 38 s., col. 460.
110
VICTOR CRESCENZI
La glossa accursiana95 riprende le argomentazioni dell’esegesi azzoniana appena illustrate facendone propri i presupposti e sottopone l’intero
problema ad un’analisi approfondita.
In primo luogo qui Accursio rileva una apparente–uidetur–contraddizione logica interna al passo del Digesto commentato: «Hec lex uidetur
sibi contraria; nam dicit simul esse locatas, et dicit postea aliquem esse
priorem». La contraddizione si risolve, conformemente con quanto già rilevato da Azzone, riconoscendo all’avverbio simul la funzione di determinare
l’identità nelle operae eiusdem hominis che concorre con l’identità nel tempo
dell’esecuzione: hec dictio “simul” denotat identitatem operarum eiusdem hominis
et in id tempus faciendarum; il rinvio a D.20,4,7,1 e a D.20,1,16,8 serve per
introdurre il tema del concorso dei creditori ad una medesima prestazione
relativa ad un medesimo oggetto, su cui ruota tutta questa glossa. Il che
costituisce argomento per sostenere che qui, ossia al livello dello strato
esegetico accursiano, immediatamente successivo a quello azzoniano96,
l’homo e le sue operae continuano ad essere configurati come l’oggetto del
contratto di locazione, da tenere ben distinto dal suo contenuto obbligatorio,
identificato dalla locuzione tempus operarum faciendae.
95
Gl. a D.19,2,26: «in operis duobus simul Hec lex uidetur sibi contraria; nam dicit simul esse
locatas, et dicit postea aliquem esse priorem. Solutio: dico quod hec dictio «simul» denotat identitatem operarum eiusdem hominis et in id tempus faciendarum, non temporis contractus, idest non
eadem hora, alioquin nullus esset ordo temporis, quod hic negatur, et probatur infra qui potiores in
pignore habeantur l. idemque § fi. [D.20,4,7,1]; uel dic simul, idest eodem die, ut infra qui potiores
in pignore habeantur l. si fundus § si duo [D.20,1,16,8]. Item intellige secundum quosdam hanc
l(egem) quando coram eodem iudice ambo conductores agunt. Nam tenetur ex officio suo: quia simul
utrique non potest liberari, priori debet satisfieri. Secus in chirografariis creditoribus, nam omnes
concurrunt in pecunia prout omnibus de rebus satisfieri potest, nec ob(stat) supra de iudiciis l. qui
prior [D.5,1,29], quia licet in uentilationem cause sit prior qui ante prouocauit, licet post conduxerit, non tamen in executione sententie, uel dicas apud diuersos agi si tamen unus iudex exequatur
utramque sententiam debet iuberi priori satisfieri ante omnia. Item quero quomodo hic extimatur
priuilegium in personali actione ex tempore; hoc enim esse non debet, ut infra de priuil(egiis)
cre(ditorum) l. priuilegia [D.42,5,32]. Respondeo: hic secundus conductor sciebat alii prelocasse
operas et non posse eum satisfacere duobus, ibi ignorabat; uel hic in faciendo ubi impossibile est
utrumque simul fieri, uel ibi in dando, nam in dando non extimatur ex tempore, ut, si unus duorum
tutelam fecit, primo uni postea alii, certe actione tutele ambo admittuntur equaliter, ut d(icta) l.
priuilegia [D.42,5,32], set hypothecaria secus. Fallit autem hoc in dote, in qua siue personali siue
hypothecaria agatur, consulitur prius filiis primi matrimonii, ut C. qui potiores in pignore habeantur
l. asiduis § pe. [C.8,17(18),12, 7 s.]. Ex his contingit quod si quis obligauerit alicui priuato qui
habet habiturusue est et postea fisco prefertur priuatus in his que habebat tempore obligationis;
nam in his que postea quesiuit prefertur fiscus, ut infra de iure fisci l. si is qui mihi [D.49,14,28].
Item intellige hanc l(egem) cum ipsum factum faciendum est, alias si interest prestandum est, tunc
satisfit utrique simul, ut dixi in personali.».
96
Sul concetto di “strato” cfr. S. CAPRIOLI, «Satura lanx:17. Convenzione su strato e apparato» in
Studi Senesi 31 (1981), 417-20; P. MARI, «Fenomenologia dell’esegesi giuridica bolognese e problemi
di critica testuale» in Rivista di storia del diritto italiano 55 (1982), 17 nota 42; P. MARI, «Esperienze
filologiche su glosse e apparati» in Initium, 8 (2003), 415-487.
VARIANTI DELLA SUBORDINAZIONE, 2. I GLOSSATORI
111
L’ipotesi ventilata dalla glossa è quella, secondo la quale entrambi
i conduttori si rivolgono ad un medesimo giudice, il quale, visto che il
locatore è debitore delle operae ex officio suo, ma non può adempiere simultaneamente nei confronti dei suoi conduttori, è tenuto a dare la precedenza al
conduttore che per primo ha concluso il contratto97. Diverso è il trattamento
per i debiti chirografari, ossia privi di privilegi, come quelli di cui tratta
D.20,4,7,1, per i quali il concorso è possibile, come è possibile che tutti
siano soddisfatti nei limiti delle sostanze del debitore. Né è rilevante chi per
primo tra i conduttori abbia proposto la domanda giudiziale; in ogni caso,
quindi anche se per primo ha agito in giudizio il conduttore che ha stipulato per secondo, il giudice deve ordinare, nell’esecuzione della sentenza,
che sia soddisfatto il conduttore che ha per primo concluso il contratto98.
Per l’Ostiense, poi, quando non sia determinabile questa priorità si dovrà
ricorrere alla sorte99.
Nemmeno è rilevante, secondo l’ordine di ragionamenti seguito dalla
glossa, quanto si desume da D.42,5,32 che concerne le obbligazioni che
hanno un privilegio; questo passo del Digesto, infatti, per tali obbligazioni
sancisce l’irrilevanza del tempus nello stabilire le precedenze tra di esse, in
quanto priuilegia non ex tempore aestimantur, sed ex causa, tanto che quelli che
vantano titoli equivalenti sono in concorso tra di loro, indipendentemente
dal tempo della loro costituzione100; questa norma, invero, potrebbe apparire in contraddizione con il precetto di D.19,2,26 qui commentato, che
per parte sua stabilisce la priorità del primo conduttore proprio tenendo
conto del tempo di conclusione del contratto. A parte la considerazione
della scienza da parte del secondo conduttore dell’esistenza di un precedente contratto101, considerazione che mi sembra di poca consistenza e di
dubbia efficacia, poiché di questa scienza non è menzione nel caso ventilato
da D.19,2,26 qui esaminato, la soluzione che la glossa dà del contrasto
tra le due disposizioni fa pernio sull’esplicitazione di ciò che nell’esegesi
azzoniana rimaneva implicito in quell’aggettivo «operantis» che qualifica
la persona obbligata e la proietta nel momento esecutivo, nell’attività, nel
97
Si tratta del segmento di testo da «Item intellige» a «debet iuberi priori satisfieri ante
omnia».
98
Si tratta del segmento di testo da «Secus in chirografariis» a « priori satisfieri ante omnia».
99
HOSTIENSIS Summa aurea X.3,18, lib. III, De locato et conducto, n. 7, col. 758: «Si quis autem
operas locauerit duobus, primo satisfaciendum est primo conductori, ut D. eodem (l.) in operis
[D.19,2,26]. Quid si non apparet quis primus? forte dirimendum est argu(mento) D. de iudiciis
(l.) in his tribus [D.5,1,13] et l. seq. [D.5,1,14], C. communia de legatis l. ult. [C.6,43,3]».
100
D.42,5,32: «Priuilegia non ex tempore aestimantur, sed ex causa, et si eiusdem tituli fuerunt,
concurrunt, licet diuersitates temporis in his fuerint».
101
«Respondeo: hic secundus conductor sciebat alii prelocasse operas et non posse eum satisfacere
duobus, ibi ignorabat».
112
VICTOR CRESCENZI
facere che costituisce ciò in cui si concreta il seruitium exhibendum e che,
dunque, racchiude il senso di quel che qui si sta dicendo: ossia, che l’identità dell’oggetto dell’obbligazione insieme con quella del tempo in cui
questo oggetto è impegnato si risolve, per il fatto che il contenuto esecutivo
dell’obbligazione stessa consiste in un’attività, in un facere, distribuendone
l’esecuzione nel tempo, dando la precedenza al prior conductor:
uel hic in faciendo, ubi impossibile est utrumque simul fieri, uel ibi
in dando, nam in dando non extimatur ex tempore.
Il criterio risolutivo del contrasto tra i due passi del Digesto in
questione è dunque identificato nel fatto che in D.19,2,26–hic–, si parla di
un obbligazione il cui contenuto si risolve in un facere, in D.42,5,32–ibi–si
parla di obbligazioni di dare, per le quali il tempo in cui l’obbligazione e
nata non è rilevante.
Che peso si deve dare a questa conclusione? Forse che essa è testimonianza di quella revisione dogmatica pretesa dal De Robertis e dal Rossi che
avrebbe sottratto il contratto di locatio operarum dal novero delle obligationes
in dando per ricondurla all’interno di quello delle obligationes in faciendo?
La risposta continua ad essere negativa, perché i testi esegetici qui
commentati sono irrilevanti ai fini di questo problema. Invero, qui il
glossatore non si propone di configurare una teoria generale della locatio
operarum modificandone la struttura concettuale. Da tutto quel che si è
venuto dicendo dovrebbe risultare evidente che il problema qui affrontato
e risolto non ha una dimensione teorica, né è indirizzato alla costruzione
di fattispecie, ma è un problema squisitamente pratico e consiste nel dare
senso alla coesistenza di due casi che sembrano avere in comune un medesimo presupposto di fatto: la contemporaneità della prestazione dovuta; la
soluzione non si sposta dal terreno pratico sul quale il problema è collocato
e fa leva su una distinzione di tipo fenomenologico, ossia sul fatto della
possibilità di un adempimento dovuto nello stesso tempo che è conseguenza
delle modalità con le quali tale adempimento si dovrà svolgere. Ne consegue
che mentre è possibile che due creditori si trovino in concorso tra di loro
per esempio per un’obbligazione pecuniaria, e il loro conflitto si risolve
con le norme che disciplinano il concorso dei creditori, non è possibile che
una medesima attività sia svolta dalla stessa persona nello stesso tempo nei
confronti di due diversi soggetti che di quella attività sono creditori: un
simile concorso di conductores operarum è impossibile e dunque la norma che
scaturisce da D.42,5,32 non è loro applicabile, in quanto nessuno di questi
due conductores gode di un preuilegium personale che ne potrebbe costituire
VARIANTI DELLA SUBORDINAZIONE, 2. I GLOSSATORI
113
il presupposto102. In poche parole, qui il glossatore opera una distinctio, in
base alla quale si determina l’ambito applicativo dei due precetti, quello di
D.19,2,26 e quello appunto di D.42,5,32. Ma questa distinctio, come è facile
constatare, si fonda su un mero dato di fatto, vale a dire sull’impossibilità
materiale di risolvere il concorso dei creditori per un credito che si adempie
con l’esplicazione di un’attività, di un facere altrimenti che sulla base del
criterio temporale che tenga conto di quel dei due contratti di locazione è
stato stipulato prima.
Che sia quello fenomenologico ovvero fattuale il criterio che, nella
glossa in questione, sovrintende alla soluzione della contraddizione rilevata
risulta dai successivi esempi addotti a sostegno della tesi accolta. Esempi, per
i quali con molta difficoltà si potrebbe identificare un intento concettuale
relativo alla distinzione tra obbligazioni di fare o di dare. Così, l’esempio
del tutore di due pupilli non sembra concernere effettivamente, sempre da
un punto di vista concettuale, questa distinzione e, del resto, con una certa
difficoltà la tutela può essere ricondotta all’una o all’altra categoria. Né,
per essere rigorosi, l’officium cui è tenuto il tutore può essere ricondotto nel
novero delle obbligazioni che hanno come fonte un contratto. In realtà, se
gli adempimenti cui è tenuto simultaneamente uno dei contraenti consiste
in un’attività, in quanto tale deve essere distribuito nel tempo nei confronti
dei due diversi destinatari, sicché ricade sotto l’impero di D.19,2,26. Del
resto, questo criterio sopporta delle eccezioni–fallit–nella dote e, per certi
riguardi quando il fisco concorra con un privato, esempi che non è il caso
di illustrare qui.
La glossa si chiude con un’ultima considerazione che ne definisce
meglio l’ambito applicativo:
Item intellige hanc l(egem) cum ipsum factum faciendum est,
alias si interesse prestandum est, tunc satisfit utrique simul, ut dixi
in personali.
Essa, dunque, si riferisce a tutti i casi nei quali il factum cui è tenuto
il locatore deve essere realizzato in quanto tale; altrimenti, sarà prestato l’id
quod interest, cioè il risarcimento del danno, e in questo caso la prestazione
sarà adempiuta ad entrambi simultaneamente come avviene per la generalità
delle obbligazioni personali, vale a dire, in questo caso, pecuniarie. Il che
costituisce ulteriore definitivo argomento a dimostrazione della dimensione
102
Che si tratti, appunto, di priuilegia personalia risulta espressamente dalla gl. personalia secus
in sulla parola priuilegia di D.42,5,32, con sigla «Azo»: «priuilegia Personalia, secus in realibus, ut
C. de priuilegio fisci l. ii [C.7,73,2]. Azo».
114
VICTOR CRESCENZI
materiale e pratica del piano sul quale si svolge il ragionamento della glossa.
Non c’è dubbio, infatti, che, aldilà delle considerazioni che si potrebbero
svolgere a proposito della classificazioni delle actiones secondo la rigorosa
nomenclatura propria del diritto classico, che qui non è il caso di svolgere,
in quanto sarebbero, per lo meno, anacronistiche, il riferimento che la glossa
fa alle actiones personales come criterio distintivo in ordine all’applicazione del
criterio temporale, relativo al momento in cui il contratto è stato concluso,
non è finalizzato ad una concettualizzazione differenziale tra tali actiones
e l’actio ex conducto. Questa, nei termini della nomenclatura romanistica è
propriamente un’actio ex fide bona che scaturisce da un contratto; in quanto
tale è certamente molto prossima alle actiones in personam; se non vi rientra,
tenendo conto di quella nomenclatura, è solo per motivi storici relativi
all’evoluzione dello ius ciuile e alla relazione che questo intrattiene con lo
ius gentium e lo ius honorarium, piuttosto che per motivi sistematici. Ancora
una volta, qui si guarda al dato fenomenologico relativo alle caratteristiche
di fatto dell’adempimento delle obbligazioni ex locato, al loro contenuto
obbligatorio e non alla struttura del contratto in quanto tale.
9.– Si può dunque tornare a indagare il rapporto tra persona e operae,
così come risulta dal punto di vista dal quale ha preso l’avvio questo discorso
relativo all’analisi differenziale dell’effetto che ha un caso fortuito che
impedisca la prestazione secondo che ci troviamo dinnanzi ad una locatio
rei o ad una locatio operarum. E’, del resto, il problema sul quale è incardinato il ragionamento svolto nella glossa di Bulgaro dall’esame della quale
è iniziato questo discorso.
Si è già visto sopra che nella locatio rei il perimento per caso fortuito
della cosa locata (la nave, nell’ipotesi di D.19,2,15,6) fa venir meno il credito
per la mercede; al contrario, l’impossibilità della prestazione per un caso
fortuito (la morte) che colpisce il conduttore di un exceptor (uno scrivano),
secondo il disposto di D.19,2,19,9 e D.19,2,38, non determina l’estinzione
del credito al corrispettivo in quanto locator operarum.
Si tratta di una conclusione generalmente condivisa nella scuola dei
glossatori, che come si è osservato, risale a Bulgaro.
In particolare la Summa Codicis di Azzone svolge questo ordine di
ragionamenti: se la res locata è colpita da sterilità, da terremoto, da invasione da parte di nemici oppure da incendio, la mercede non è dovuta in
tutto o in parte, nella misura nella quale il conductor frui non potuit corpore
conducto a causa di tali eventi, secondo quel che sancisce D.19,2,15,3 e
D.19,2,30,1; stessa sorte colpisce il diritto al corrispettivo quando la cosa
locata non possa essere goduta perché deve essere necessariamente restaurata:
VARIANTI DELLA SUBORDINAZIONE, 2. I GLOSSATORI
115
propter necessariam refectionem103. L’impedimento, tuttavia, deve essere tale da
produrre un magnum incommodum, secondo quanto stabilisce D.19,2,25,2;
se invece il conductor può godere della cosa locata in modo poco meno che
agevole–paulo minus commode–non per ciò stesso la mercede deve essere
rimessa (D.19,2,27)104.
La ragione di questa conseguenza non può che risiedere nel fatto che a
cagione di quelle ipotesi, quantunque non riconducibili alla responsabilità
del locatore in quanto effetto di un caso fortuito, non si realizza la causa della
locatio, poiché il conduttore non consegue il godimento della cosa locata,
o perché, quantunque ne abbia conseguito la disponibilità, la res si rivela
inidonea all’uso per il quale è stata presa in locazione (ipotesi della sterilità,
ma anche, per certi versi, ipotesi della necessaria refectio), o perché un evento
ha impedito o gravemente intralciato l’acquisto stesso della disponibilità e
dunque, di conseguenza, la fruizione (ipotesi del terremoto, dell’incendio,
dell’invasione e, per altri versi, della necessaria refectio); in altre parole, non
si realizza quella concessio rei in funzione dell’usum (letteralmente concessio
rei ad usum facta, secondo la definizione azzoniana sopra vista)105, nella
quale il contratto consiste. Per questo, se il conductor comunque consegue
una parziale fruizione della cosa, la mercede è dovuta pro rata. La concessio,
infatti, non è genericamente intesa, ma è finalizzata e deve essere funzionale
all’usum: non realizzandosi questo, e non realizzandosi il relativo frui, non
si realizza una delle ragioni dello scambio, sicché non si genera la conseguente obbligazione al pagamento del corrispettivo. Il fatto che tutto ciò
sia riconducibile al caso fortuito esclude la responsabilità del locatore e
dunque il risarcimento del danno, ma anche il diritto alla mercede, poiché
la causa contrattuale non si è realizzata.
Diverso, tuttavia, posegue Azzone, è il caso della locatio operarum, o
della locatio che riguardi una res e le operae, ovvero quando qualcuno si obbliga
a fare qualcosa per un altra persona dietro un compenso non pecuniario
sulla base di un contratto atipico106. In queste ipotesi, rileva Azzone, se si
103
AZONIS Summa Codicis 4,65, n. 36, col. 459: «Sicut autem dixi, remissionem fieri mercedis pro
rata propter sterilitatem, uel terremotum, uel incursum hostium, ita et fiet propter causam incendii,
uel propter quemlibet alium casum fortuitum, quo conductor frui non potuit corpore conducto, ut
D. eodem l. ex conducto § cum quidam [D.19,2,15,3] et l. qui insulam § edilis [D.19,2,30,1], uel
propter necessariam refectionem rei, ut diximus».
104
«Si tamen conductor rustici predii uel urbani paulo minus commode aliqua parte predii
uteretur, non statim deductio fiet de mercede, sed tunc demum fiet, quando magno incommodo
afficitur conductor, ut D. eodem l. habitatores et l. si merces § si uicino. Et ita patet ex his, casum
fortuitum locatori corporis nocere in mercede, ne habeat eam, nisi pro rata.»: AZONIS Summa col. 459,
di seguito al passo riportato alla nota 103.
105
AZONIS Summa Codicis 4,65, col. 454. V. supra nota 15.
106
«Secus autem uideo in eo qui locat operas suas tantum, uel locat rem et operam, uel accipit
speciem ex innominato contractu, ut aliquid faciat. Nam si casu fortuito impediatur, uel in sua, uel
116
VICTOR CRESCENZI
verifica un caso fortuito che colpisca in qualsiasi modo la persona del locator
o di altri–si casu fortuito [locator] impediatur, uel in sua, uel in alterius persona,
uel quomodocumque contingente–, tale da impedire l’esecuzione dell’obbligazione, il corrispettivo è tuttavia dovuto, a meno che la prestazione non sia
stata eseguita per colpa del locatore o perché questi non abbia rispettato
il termine; oppure, a meno che si possa opporre al locatore, debitore della
prestazione, che nel tempo nel quale non ha potuto eseguire la prestazione per caso fortuito, egli abbia comunque operato a favore di un altro
conduttore dietro corrispettivo. Aggiunge Azzone che su questa materia
leges uidentur consonare, sia con riferimento agli onorari degli avvocati, sia
con riferimento ai compensi dovuti agli operai, agli exceptores, agli scrivani,
ai comites praesidis, ai marinai, che abbiano dato in locazione la nave e la
propria opera per il trasporto delle merci; e anche con riferimento al caso
in cui la liberazione di un seruus, disposta per testamento, è subordinata
alla condizione che questi presti il proprio servizio per un tempo stabilito
all’erede onerato quando, per un caso fortuito–la sua malattia–il medesimo
schiavo sia impedito nel soddisfare tale condizione (è il caso ventilato in
D.40,7,4,5 citato da Azzone).
Come si vede, qui il glossatore mette insieme fattispecie diverse–
alcune profondamente diverse–non tutte riconducibili ad una locatio
operarum. Così, se vi rientrano senza alcun dubbio gli operarii, gli exceptores,
i comites presidis e i nauclerii, non ricadono nell’ambito di questo contratto i
rapporti che s’instaurano con alcune figure professionali, come quella degli
aduocati. E’ lo stesso Azzone, in un passo precedente della Summa, a precisare,
che esistono quasdam res que locari dedignantur: tra queste, rientra l’opera del
mensor107, sicché il compenso che gli è corrisposto prende il nome di honorarium, in quanto non è una merces108; lo stesso deve dirsi per l’aduocatus, il cui
compenso è denominato salarium, o honorarium, o anche, talvolta, suffragium
in alterius persona, uel quomodocumque contingente, nihilominus mercedem totam, uel conuentam
rem potest persequi, nisi culpa, uel mora possit sibi imputari; uel nisi obiciatur ei, quod eo tempore,
quo non potuit operari uni, alteri est operatus a quo debet habere mercedem. Leges enim in hoc
uidentur consonare et circa salaria adocatorum et circa mercedes operariorum et circa mercedes
exceptorum, uel scriptorum et circa salaria comitum presidis et circa mercedes nautarum, qui nauem
suam et operam locauerunt pro mercibus uehendis, et circa liberatem prestandam seruo, si seruierit
tempore certo, ut D. de uariis et extraordinariis cognitionibus l. i § penult. [D.50,13,1,13], et de
statuliberis l. cum heres § antepenult. [D.40,7,4,5], et supra de condictione ob causam datorum l.
penult. [C.4,6,10], et D. eodem l. sed addes § ult. [D19,2,19,10] et l. diem functo [D.19,2,19,10
in c.], et de officio assessoris l. diem [D.1,22,4]»: AZONIS Summa, col. 459, n. 36, di seguito al passo
riportato alla nota 104; da notare la sostanziale identità di ipotesi di D.1,22,4 con D.19,2,19,10.
107
AZONIS Summa col. 454, n. 8: «Item sciendum est quasdam res esse que locari dedignantur,
sicut est mensoris opera».
108
AZONIS Summa col. 454, n. 8: «id quod datur ei est in quantitate, non merces sed honorarium
appellatur».
VARIANTI DELLA SUBORDINAZIONE, 2. I GLOSSATORI
117
(nel senso di manifestazione di extimatio); la conseguenza è che il mensor o
l’aduocatus possono rivendicare il proprio compenso con un actio in factum,
e non con l’actio locati109.
Il testo azzoniano mostra che il glossatore è sorretto da una chiara
consapevolezza del fatto che egli sta enumerando ipotesi giuridicamente,
e quindi formalmente, o, meglio, strutturalmente diversificate. Eppure,
a dispetto di tali differenziazioni formali, che fanno capo a strutture
contrattuali distinte, alle quali sono riconnesse conseguenze differenziate,
per esempio quanto al mezzo processuale per la tutela dei propri interessi,
il glossatore qui guarda a ciò che materialmente unifica i fenomeni osservati; il comune denominatore di questi risiede nel contenuto obbligatorio
dei rispettivi contratti, che consiste in ciò, che una persona si obbliga a
compiere nell’interesse di un’altra un determinata attività, e per questo
le è promesso un compenso. Sotto questo riguardo, il caso fortuito che
impedisce l’esecuzione dell’attività non fa venir meno l’obbligo di pagare
il compenso pattuito.
Accursio riprenderà l’ordine dei ragionamenti azzoniani in una
notevolissima glossa che si può dire contenga un trattatello sul tema della
mancata prestazione per caso fortuito, ovvero per responsabilità di una delle
parti110. Si deve notare che Accursio dichiara espressamente di seguire l’insegnamento di Azzone e, sulle sue orme inizia con il distinguere tre ipotesi:
109
AZONIS Summa col. 454, n. 8: «Idemque et in aduocato: quod ergo datur aduocato dicet
salarium, uel honorarium, forte et dicetur suffragium, ut diximus supra de suffragio [C.4,3 un.],
et probatur D. si mensor falsum modum dixerit l. i. § ideo autem [D.11,6,1 pr. in c.]». Analoghe
considerazioni valgono per il caso in cui dedero tibi pecuniam ut seruum manumittas, di cui a D.19,5,52.
110
ACCURSII gl. ad D.19,2,15,6: «personis Non solum in procuratorem Cesaris repetitur ergo
uectura a nauta, ex quo non nauigauit casu fortuito impeditus; sed contra infra eodem l. penult. §
nauem [D.19,2,61,1]. Solutio: ibi culpa conducentis nauem, retenta fuit nauis, ut quia illicitas merces
intulit et eius facto etiam dominus nauis naue caruit, hic autem nulla fuit culpa conductoris. Merito
ergo mercedem hic repetit secundum Ir(nerium). Vt autem plene circa hoc habeas, dic, secundum
Azonem, quod locat quis quandoque res, quandoque operas, quandoque rem et operam. Cum rem
suam locat, siue stetit per eum, siue per casum fortuitum ex ipsius parte contigentem quominus
conductor re utatur, tenetur actione ex conducto. Sed in primo casu, scilicet cum per locatorem
stetit, agitur ad interesse, in quo etiam lucrum continetur, uel ad penam quam prestari rupta fide
conuentionis placuit, si conductor pensionibus paruerit et ut oportet coluerit nec in re locata male
uersatus fuerit, ut C. eodem l. ede[m] [C.4,65,3], et l. si de fundo [C.4,65,15], et supra eodem l. ex
conducto [D.19,2,15], et infra eodem l. quero § inter [D.19,2,54,1], et infra hac lege § ubicumque
[D.19,2,15,7], ibi “plane” et c. [D.19,2,15,8], et infra eodem l. si fundus [D.19,2,33], ibi “nam
<et> si colonus” etc. l. si in lege § colonus [D.19,2,24,4]. In secundo autem casu, scilicet quando
per casum fortuitum, ut pensio pro rata remittatur uel reddatur, ueluti si edes locate exuste fuerunt
uel ager terremotu corruerit, ut supra eodem l. si quis domum in fine [D.19,2,9] et l. ex conducto
§ primo [D.19,2,15,1], et infra eodem l. sed addes § si quis [D.19,2,19,1], et hac l. § ubicumque
[D.19,2,15,7] et l. qui insulam § edilis [D.19,2,30,1]. Idem est si locator rem ex necessitate demolitus est, scilicet locatam, uel propriis usibus probauerit necessariam, uel conductor iusti timoris
gratia migrauerit uel frui ab eo prohibeatur, quem locator propter uim maiorem aut potentiam eius
prohibere non potest, ut infra eodem l. qui insulam [D.19,2,30], et l. si fundus [D.19,2,33] et l.
118
VICTOR CRESCENZI
Vt autem plene circa hoc habeas, dic, secundum Azonem,
quod locat quis quandoque res, quandoque operas, quandoque rem
et operam.
Si può, almeno per il momento, tralasciare di esaminare il contenuto
della trattazione concernente la prima ipotesi di locatio che ha per oggetto
una res: locat quis quandoque res. Puntiamo, al contrario, l’attenzione sulla
seconda parte, relativa alle altre due ipotesi, che peraltro sono trattate
congiuntamente: locat quis […] quandoque operas, quandoque rem et operam.
perinde [D.19,2,34] et l. et hec distinctio [D.19,2,35], et l. habitatores [D.19,2,27] et C. eodem l.
edem [C.4,65,3]. Si uero stetit per conductorem uel per casum fortuitum ex eius parte contingentem
quominus re locata utatur, solidam pensionem prestare cogitur, ut infra eodem l. colonus § nauem
[D.19,2,61,1]. Cum autem quis operas suas locat uel rem et operam, nec per eum stat quominus eas
soluat, sed per conductorem, licet casu fortuito impeditum, mercedem totius temporis consequatur,
ut de scriptore dicitur, et de eo qui mancipia vehenda conduxit et de herede aduocati a quo non
repetitur salarium, quia per eum non stetit quominus causam ageret, ut infra de uariis cognitionibus
l. i § diuus Seuerus [D.50,13,1,13] et infra eodem l. sed addes § cum quidam [D.19,2,19,9] et l.
qui operas [D.19,2,38] et l. si fundus [D.19,2,33], et supra ad l. Rhodiam de iactu l. si vehenda
[D.14,2,10]. Si uero stetit per locatorem quominus operas prestet, uel per casum fortuitum in sua
persona contingentem, tenetur in primo casu ad interesse, in secundo ut pensionem remittat uel reddat
pro rata temporis, quo eas non prestitit, ut dicitur de eo qui munere vehendi functus non est, ut C.
de locato l. si hi [C.4,65,14] et in hac l. § item cum quidam [D.19,2,15,3] et C. de condictione ob
causam l. aduocationis [C.4,6,11]. Ir(nerius). Si opponatur quod casus fortuitus non debet in bone
fidei iudicio uenire, potest dici non uenire, scilicet ut teneatur locator operarum ad interesse, nec
petere potest solidam pensionem, quia casu fortuitus non debet conductori nocere et prodesse locatori.
Dicet quis: et nonne uenditor etiam si res uendita casu fuit amissa pretium consequitur? ergo et iste
mercedem, licet casu fuerit impeditus prestare operas? Respondeo: aliud est in uenditore qui certat
de damno uitando, nam si non haberet pretium, damnum rei sue pateretur; locator autem certat de
lucro, cum nihil de suo amiserit, arg. infra de condicionibus et demonstrationibus l. Titio fundus §
i. [D.35,1,73]. Item uidetur contra, quod est infra, de uariis et extraordinariis cognitionibus l. i §
penult. [D.50,13,1,13] et de statuliberis l. cum heres § antepen. [D.40,7,4,5]. Respondeo: speciale
est in libertate, et in aduocatis. Nec obstat huic § quod dicitur C. de condictione ob causam l. pe.
[C.4,6,10], quia ut supra dictum est, loquitur cum contingit casus in conductore, secus in locatore,
arg. supra de condictione ob causam datorum l. si milites [C.4,6,5]. Item contra uidetur, supra de
condictione causa data l. si pecuniam, i. responso, ibi «et cum per te non stet<er>it» [D.12,4,5 pr.]
etc. Respondeo: illud dicit disputando; est enim alia ratio repetendi, quia non est secutum id
propter quod dedi, unde etsi non sit contractus in quo liceat penitere, dabitur tamen repetitio, ut
infra eodem l. fi. [D.12,4,16] et l. si pecuniam § fina. [D.12,4,5,4]. Item uidetur contra supra de
condictione causa data l. iii. § quod si Stichus [D.12,4,3,3]. Sed ibi contingit casus non in manumittente, sed in manumittendo, unde distinguitur <an> fuerit in mora, uel non. Item pro hoc est
supra ad l. Rhodiam de iactu l. leuande § si uehenda [D.14,2,10 pr.], et in eadem l. arg. contra § si
ea [Dd.14,2,10,1]. Vel dic, quod est uerius, ubicumque tantum operas uel rem et operas loco, uel
ex innominato contractu aliquid pro specie facere conueni, si casu fortuito impedior, uel in mea uel
in alterius persona uel quocumque modo contingente, nihilominus mercedem uel conuentam rem
persequi possum, nisi culpa uel mora mihi possit imputari, nam leges in hoc consonare uidentur.
Vna tamen uidetur aduersari cum diuisione modica ut supra de condictione causa data (l.) si pecuniam § set ubi [D.12,4,5,4]. Hoc si tale sit impedimentum ut nullo modo possit de cetero operari
quod conuenit; si uero ad tempus est impeditus suppleat in sequenti, quod in tempore precedenti
non potuit, quia saltem hodie faciendum est, nisi peniteat eum cui erat faciendum, quod autem de
penitentia dico ad contractum innominatum tantum referendum est».
VARIANTI DELLA SUBORDINAZIONE, 2. I GLOSSATORI
119
Qui la glossa procede ad un’ulteriore distinzione, secondo il metodo
analitico proprio di questa scuola di giuristi: la prima ipotesi coinvolge
il caso in cui la prestazione è impedita da un fatto del conduttore, sia
questo o meno un evento fortuito che lo riguarda o comunque sia o meno
riferibile alla sua persona (per es. la sua morte, come nel caso dell’exceptor
di cui D.19,2,19,9); la conclusione è che il locatore mantiene il diritto al
corrispettivo:
Cum autem quis operas suas locat uel rem et operam, nec per
eum stat quominus eas soluat, sed per conductorem, licet casu fortuito
impeditum, mercedem totius temporis consequatur, ut de scriptore
dicitur, et de eo qui mancipia vehenda conduxit et de herede aduocati a quo non repetitur salarium, quia per eum non stetit quominus
causam ageret.
A questo punto la glossa inizia una ampia ellissi, che sembra pervenire
alla duplice conclusione secondo la quale, quando la prestazione sia mancata
per responsabilità del locatore ovviamente questi è tenuto al risarcimento
del danno; quando sia mancata per caso fortuito che concerna la persona
del locatore, questi perde il diritto al corrispettivo:
Si uero stetit per locatorem quominus operas prestet, uel per
casum fortuitum in sua persona contingentem, tenetur in primo casu
ad interesse, in secundo ut pensionem remittat uel reddat pro rata
temporis, quo eas non prestitit, ut dicitur de eo qui munere vehendi
functus non est ut C. de locato l. si hi [C.4,65,14] et in hac l. § item
cum quidam [D.19,2,15,3] et C. de condictione ob causam l. aduocationis [C.4,6,11]. Ir(nerius).
Il discorso svolto da Accursio, che sembra far risalire questa conclusione a Irnerio, passa per una analisi di varie fattispecie normative, che
dovrebbero costituirne il fondamento; tuttavia il caso disciplinato da
C.4,65,14 costituisce un’ipotesi schietta di inadempimento del locatore;
quello trattato in D.19,2,15,3 riguarda un caso fortuito relativo ad un’ipotesi di locatio rei, già trattata nella prima parte della glossa; infine C.4,6,11
tratta di nuovo di un caso generico di inadempimento; sicché, mentre risulta
persuasiva la parte di conclusione relativa all’inadempimento del locatore–
si stetit per locatorem quominus operas prestet–, non altrettanto testualmente
fondata è la seconda conclusione relativa al caso fortuito che concerne la
persona del locatore, impedendogli di eseguire la prestazione.
120
VICTOR CRESCENZI
In realtà tutto il seguito del discorso della glossa costituisce una
giustapposizione di punti di vista in relazione a questo argomento, svolta
in modo problematico, ma che, nella sua conclusione, non smentisce la
consolidata dottrina azzoniana. Ed invero, così la glossa conclude questa
sequela di argomentazioni:
Vel dic, quod est uerius, ubicumque tantum operas uel rem
et operas loco, uel ex innominato contractu aliquid pro specie facere
conueni, si casu fortuito impedior, uel in mea uel in alterius persona
uel quocumque modo contingente, nihilominus mercedem uel
conuentam rem persequi possum, nisi culpa uel mora mihi possit
imputari, nam leges in hoc consonare uidentur. Vna tamen uidetur
aduersari cum diuisione modica ut supra de condictione causa data
(l.) si pecuniam § set ubi [D.12,4,5,4].
Anche qui, così come per Azzone, dunque, nei contratti di locatio
operarum, di locatio che abbia per oggetto una res e l’opera e quelli innominati
in cui qualcuno si obbliga a fare qualcosa per un altro dietro compenso,
se non è possibile eseguire la prestazione per caso fortuito, nondimeno il
corrispettivo pattuito deve essere pagato. Né si distingue se il caso fortuito
riguarda la persona del locatore o quella del conduttore. Naturalmente la
mercede non è dovuta qualora il mancato adempimento sia dovuto alla
colpa o alla mora del locatore. Come per Azzone, questa regola si basa su
una universale consonantia delle leges, non attenuata dal fatto che una tamen
lex uidetur aliquantulum aduersari, secondo quel che anche Azzone rileva111,
ossia D.12,4,5,4 (anche se si deve notare che nel passo qui in esame Azzone
cita non una, bensì tre leges): si tratta del caso in cui sia stato dato un corrispettivo per la manomissione di uno schiavo, che però muore nelle more
dell’atto di manomissione, caso che qui non è il caso di approfondire.
L’esegesi accursiana, su tale argomento, si chiude, così come quella
azzoniana112, con una considerazione che concerne la qualità dell’impedi111
AZONIS Summa col. 459, n. 36: «Vna tamen lex uidetur aliquantulum aduersari cum modica
diuisione, scilicet ubi accepit quis pecuniam ut seruum manumitteret et seruus decessit antequam
ipse esset in mora. Nam si seruus erat distracturus, uel eo usurus, pecuniam acceptam non refundit.
Si uero nihil eorum erat facturus, pecuniam refundit, nisi forte profectio manumissionis gratia
mortis causam prebuit, uel a latronibus sit interfectus, uel ruina in stabulo oppressus uel vehiculo
obtritus, uel alio quoquo modo perierit, quo non perisset, nisi manumissionis causa proficisceretur,
ut D. de condictione causa data l. dedi § i. [D.12,4,3,1] et l. si pecuniam § ult. [D.12,4,5,4] et l.
ulti. [D.12,4,16]».
112
AZONIS Summa col. 459, n. 36 (di seguito al passo riportato supra alla nota precedente): «Et
hoc si casus fortuitus sit talis, ut nullo modo possit de cetero fieri, quod conuenit. Si uero ad tempus
impeditus, suppleat in sequenti tempore quod non potuit facere in casu precedenti quia saltem hodie
VARIANTI DELLA SUBORDINAZIONE, 2. I GLOSSATORI
121
mento per caso fortuito; infatti, il discorso sulla sua irrilevanza ai fini del
corrispettivo vale se l’impedimento che esso produce è tale che l’attività
che costituisce il contenuto obbligatorio della locatio operarum non possa
più essere eseguita–nullo modo possit de cetero operari–; se l’impedimento è
temporaneo, al cessare di questo l’esecuzione della prestazione deve essere
posta in essere, a meno che il conduttore cessi di avere per essa interesse–nisi
peniteat–e ciò sia con riferimento alla locatio sia con riferimento ai contratti
innominati qui presi in considerazione.
L’allegazione di D.12,4,5 pr., che compare in Azzone, ma non in
Accursio, chiarisce che in caso di poenitentia del committente, la ripetizione del corrispettivo è subordinata al fatto che colui che è tenuto allo
svolgimento di una certa attività resasi temporaneamente impossibile per
caso fortuito, non abbia sostenuto spese necessarie per l’esecuzione della
prestazione.
10.– Il caso fortuito, dunque, sembra dispiegare un diverso effetto,
a seconda che interagisca con una locatio che abbia per oggetto una res o
una persona. Questa considerazione metterebbe in dubbio l’unitarietà della
figura della locatio-conductio, che risulta dal modo in cui essa è configurata,
per esempio, dal medesimo Azzone113, e prima di lui dal Piacentino114, così
come si è messo in evidenza più sopra.
Quanto è coerente con questa configurazione rigorosamente unitaria
un diverso modo di operare del caso fortuito a seconda che la locatio abbia
per oggetto una persona o una res? E, guardando le cose da un ulteriore punto
di vista, dove si colloca la ratio di questa diversa disciplina, a seconda che
oggetto della locazione sia una res o una persona? Ma, considerando le cose più
in generale, è sicuro che si tratti di un diverso trattamento dell’effetto del
caso fortuito a seconda che la locatio abbia per oggetto una res o una persona?
Una domanda analoga troviamo nella Summa Decretalium dell’Ostiense,
coevo di Accursio, che esibisce, come ho rilevato più volte sopra, indubbi
rapporti di dipendenza dalla Summa azzoniana. L’Ostiense riassume così
i termini della questione in un modo che riecheggia appunto il testo del
glossatore civilista115:
sciendum est nisi peniteat eum cui erat faciendum. Quod autem de penitentia dico, solummodo ad
contractum innominatum referendum est, tu D. de condictione causa data l. si pecuniam [D.12,4,5]».
113
AZONIS Summa Codicis 4,65, n. 1, col. 454; v. supra pp. 83-84.
114
PLACENTINI Summa Codicis 4,65, p. 189; v. supra pp. 79-81.
115
HOSTIENSIS Summa aurea X. 3,18, lib. III, De locato et conducto, n. 7, col. 757 s.: «Item fit
remissio propter casum fortuitum, quo conductor impeditus, frui non potuit corpore conducto, D.
eodem (l.) (ex) conducto § item cum quidam [D.19,2,15,6] et l. qui insulam § edilis [D.19,2,30,1],
122
VICTOR CRESCENZI
Et sic casus fortuitus nocet locatori corporis in mercedem, ut
non habeat nisi pro rata, secus in eo qui locat operas suas tantum,
uel locat rem et operam, uel accipit species ex innominato contractu,
ut aliquid faciat: nam totum recipit, nisi mora uel culpa imputari
possit, puta si operatus fuit alii eo tempore quo mihi commode poterat
operari; in hoc concordant leges circa honoraria aduocatorum, et
mercedes operariorum et exceptorum, idest alio dictante, qui mortuus
est scribentium, uel scriptorum et notariorum et comitum presidis,
con allegazione dei medesimi testi giustinianei che corredano le analoghe
conclusioni di Azzone e di Accursio. Il canonista, tuttavia, aggiunge un
contributo all’intera questione che, allo stato delle testimonianze, si può
definire come del tutto originale. Egli infatti, dopo aver prospettato, immediatamente dopo il passo sopra riportato, il caso di colui che locat simul a
due conduttori le proprie operae, che si è qui sopra esaminato, si propone
di indagare i fondamenti di questa diversa disciplina e formula il seguente
interrogativo116:
uel propter necessariam refectionem domus, ut dictum est supra § que actiones [HOSTIENSIS Summa,
n. 7, col. 754]. Si tamen conductor rustici predii, uel urbani, paulominus commode aliqua parte
predii uteretur, non fit remissio, sed tunc tantum quando magno incommodo afficitur, ut D. eodem
(l.) habitatores [D.19,2,27] et l. si merces § sed uicino [D.19,2,25,2]. Et sic casus fortuitus nocet
locatori corporis in mercedem, ut non habeat nisi pro rata, secus in eo qui locat operas suas tantum,
uel locat rem et operam, uel accipit species ex innominato contractu, ut aliquid faciat: nam totum
recipit, nisi mora uel culpa imputari possit, puta si operatus fuit alii eo tempore quo mihi commode
poterat operari; in hoc concordant leges circa honoraria aduocatorum, et mercedes operariorum
et exceptorum, idest alio dictante, qui mortuus est scribentium, uel scriptorum et notariorum
et comitum presidis, D. de uariis et extraordinariis cognitionibus l. i. § pe. [D.50,13,1,13] et de
statuliberis (l.) cum heres § pen. [D.40,7,4,5] et antepe. [D.40,7,4,4], C. de condictione ob causam
l. pe. [C.4,6,10], D. eodem (l.) qui operas [D.19,2,38] et l. sed addes § pe. [D.19,2,19,9] et ultim.
[D.19,2,19,10] alias est l. et incipit diem functo, alias defuncto [D.19,2,19,10 in c.] et de assessori
l. diem [D.1,22,4] et tamen argu. contra D. de condictione causa data (l.) si pecuniam [D.12.4.5].
Si quis autem operas locauerit duobus, primo satisfaciendum est primo conductori, ut D. eodem (l.)
in operis [D.19,2,26]. Quid si non apparet quis primus? forte dirimendum est argu(mento) D. de
iudiciis (l.) in his tribus [D.5,1,13] et l. seq. [D.5,1,14], C. communia de legatis l. ult. [C.6,43,3].
Sed quero quare in locatione operarum, non obstante casu fortuito, agitur ad totam mercedem et in
locatione corporis remittitur? Respondeo: natura res omnes gratia hominis comparauit, D. de usuris
(l.) <in pecudum> [scrive: ideoque tunica] [D.22.1.28.1] et res accedit corpori, idest homini locanti
operas, non econtra, ut D. de euic(tionibus) [rectius: de edilicio edicto] (l.) iustissime [D.21,1,44].
Item si ego loco rem corporalem, et ipsa res deficit, nullo modo intelligitur seruire res que non
est, et que sensu caret. Secus est in homine cuius animus inspicitur, ut D. de statuliberis (l.) cum
heres § Stichus [D.40,7,4,4]. Nec obest si moriatur, quia adhuc uiuit anima, que idem compositum
intelligitur habere; sed hoc intelligo quando sine culpa incidit in casu fortuitum, alias ex delicto suo
hoc priuilegium habebit, ut argum(ento) D. de negotiis gestis (l.) siue hereditaria [D.3,5,21(22)]
et de locato (l.) si merces § culpe [D.19,2,25,4] et de interdictis et relegatis (l.) relegatorum in fine
[D.48,22,7] et supra de etate et qualitate c. i. [X.1,14,1]».
116
HOSTIENSIS Summa aurea X.3,18, lib. III, De locato et conducto, n. 7, col. 758.
VARIANTI DELLA SUBORDINAZIONE, 2. I GLOSSATORI
123
Sed quero quare in locatione operarum, non obstante casu
fortuito, agitur ad totam mercedem et in locatione corporis remittitur?
La risposta è sicuramente degna della più grande attenzione, anche
dal punto di vista lessicale. In primo luogo il glossatore canonista pone il
problema su un terreno di carattere generale, in questi termini:
Respondeo: natura res omnes gratia hominis comparauit, D. de
usuris (l.) <in pecudum>117 [D.22,1,28,1] et res accedit corpori, idest
homini locanti operas, non econtra, ut D. de euic(tionibus) [rectius:
de edilicio edicto] (l.) iustissime [D.21,1,44].
In altre parole, l’Ostiense affronta il problema, sottolineando la
destinazione che la natura ha impresso alle omnes res in funzione dell’homo,
e lo affronta facendo leva sull’interpretzione di un enunciato che si trova
in D.22,1,28,1, e anche nelle Istituzioni giustinianee (Inst. 2,1,38) (ma
che risale al Gaio delle Res cottidianae), in base al quale il partus dell’ancilla
è escluso dal novero dei fructus, in quanto, appunto, absurdum enim uidebatur hominem in fructu esse, cum omnes fructus rerum natura hominum gratia
comparauerit118. Di conseguenza, come i fructus, così anche tutte le res–res
omnes–sono funzionali all’homo; posto ciò, l’Ostiense richiama un altro passo
del Digesto, in base al quale ricava il principio, secondo il quale è la res
ad accedere al corpus, inteso come homo, qui come locator operarum, e non
il contrario, ovvero, detto in linea più generale, ancora una volta è la res
funzionale all’uomo e non il contrario. In realtà, sia nel caso di D.22,1,28,1,
sia in quello di D.21.1.44 l’homo di cui parla il testo giustinianeo è uno
schiavo e per questo si pone il problema della funzionalità della res, posto
che lo schiavo, per quanto abbia una fisionomia personale che inizia, nell’età
postclassica e tardoantica, a farsi faticosamente strada, rimane pur sempre
nel novero giuridico appunto delle res. E’ tuttavia opportuno sottolineare
117
D.22.1.28.1: «Partus vero ancillae in fructu non est itaque ad dominum proprietatis pertinet:
absurdum enim uidebatur hominem in fructu esse, cum omnes fructus rerum natura hominum gratia
comparauerit.». Cfr. Antonii FABRI Rationalium in tertia partem Pandectarum, t. V (Aurelianae 1626),
p. 263b, § i.; cfr. anche da ultimo il recente contributo di R. QUADRATO, «Hominum gratia», negli
Studi in onore di Remo Martini, III (Milano 2009), 273-288 (relazione svolta nel XVIII Convegno
internazionale dell’Accademia romanistica costantiniana sul tema Persona e persone nella società e nel
diritto della tarda antichità Spello-Perugia, 18-20 giugno 2007), incentrato sull’apporto di Gaio,
confluito in D.22,1,28,1, ai fini della valorizzazione della persona nell’esperienza giuridica della
tarda antichità, con particolare riferimento alla persona dello schiavo.
118
In Inst.2,1,38 il passo è identico, salvo il comparauit finale che compare al posto del comparauerit della lezione tràdita nel Digesto.
124
VICTOR CRESCENZI
ancora una volta che il canonista compie un’operazione di schietta interpretazione, in quanto estende il senso di queste enunciazioni di rango
normativo ai problemi relativi alla locatio-conductio. Ma non c’è dubbio che
proprio per questo, la posizione interpretativa assunta da Enrico da Susa
implica l’unitarietà del corpus locato che è res pura e semplice nella locatio
rei ed è un homo nella locatio personae, che come tale è anche il corpus locato,
ma è pur sempre un’entità che tra le altre è in posizione di maggiore
dignità. Ed è opportuno anche notare che alla dignitas hominum si riferisce
D.21,1,44 pr.: «Iustissime aediles noluerunt hominem ei rei quae minoris
esset accedere, ne qua fraus aut edicto aut iure ciuili fieret: ut ait Pedius,
propter dignitatem hominum». Non è dunque assumendo alla lettera le
enunciazioni sulle quali si basa l’Ostiense che potremo comprenderne la
portata, ma guardando al loro senso complessivo, in base al quale si vuole
rinvenire la ratio della diversificazione delle conseguenze del caso fortuito
a seconda che si tratti di locatio rei o di locatio personae.
Tenuto conto di ciò, ecco come argomenta Enrico da Susa: se si dà in
locazione una res corporalis e questa viene a mancare, in nessun modo questa
res, che non c’è più, può essere di utilità; invero, in quanto venuta a mancare
è deprivata di ogni senso in funzione della sua attitudine a servire: nullo
modo intelligitur seruire res que non est, et que sensu caret.
Diverso è il caso dell’homo, del quale il giurista prende in considerazione l’animus, vale a dire l’elemento psicologico: Secus est in homine cuius
animus inspicitur; qui l’Ostiense allega un passo del Digesto (D.40,7,4,4)
dove, appunto, è necessario inspicere l’animus del testatore al fine di determinare la portata di una disposizione testamentaria in cui si statuisce, tra
l’altro, che un proprio schiavo–Stichus– potrà acquistare la libertà alla condizione che abbia prestato il proprio servizio–seruierit–per un triennio sotto le
dipendenze di Titius; il problema consiste nello stabilire se quel «seruierit»
designi una locazione di opere da parte dello stesso schiavo, il quale, sicuti
liber, può appunto prestare le proprie opere a persona diversa dal proprio
dominus–nam et alienus seruus seruire nobis potest, sicuti liber, et multo magis operas
dare–, oppure implichi un trasferimento del dominium–nisi testator seruitutis
appellatione dominium magis quam operam intellexit. Che implica questa considerazione appunto psicologica? Lo precisa, dopo un’osservazione d’indole
generalissima relativa all’immortalità dell’anima–nec obest si moriatur, quia
adhuc uiuit anima, que idem compositum intelligitur habere–lo stesso Ostiense,
perché dall’indagine sull’elemento psicologico del locatore può scaturire una
sua responsabilità nell’essere incorso nel caso fortuito che gli ha impedito
di eseguire la prestazione119:
119
HOSTIENSIS Summa aurea, col. 758.
VARIANTI DELLA SUBORDINAZIONE, 2. I GLOSSATORI
125
sed hoc intelligo quando sine culpa incidit in casu fortuitum, alias ex
delicto suo hoc priuilegium habebit, ut argum(ento) D. de negotiis
gestis (l.) siue hereditaria [D.3,5,21(22)] et de locato (l.) si merces §
culpe [D.19,2,25,4] et de interdictis et relegatis (l.) relegatorum in
fine [D.48,22,7] et supra de etate et qualitate c. i. [X.1,14,1].
Sicché, se il caso fortuito colpisce il locator per sua colpa, il diritto
alla mercede ne rimarrà escluso, altrimenti il medesimo locator godrebbe
di un privilegio per effetto di un atto illecito–ex delicto–come si ricava per
argumentum dalle ipotesi trattate nei tre luoghi del Digesto e delle Decretali
allegati, negli ultimi due dei quali si sancisce la perdita di un honor in tutti
i casi in cui colui che ne sia titolare abbia commesso un illecito che lo rende
indegno dell’honor. Per altro verso, D.3,5,21(22) sancisce che il gestore di
affari altrui non può essere risarcito per quanto ha speso per gli acquisti
necessari di cose poi andate perdute, se il loro perimento sia riconducibile
a causa a lui imputabile.
Il ragionamento del cardinale, tuttavia, se serve a precisare meglio
i termini della responsabilità del locatore, e dunque il contenuto del suo
diritto alla mercede anche per il caso fortuito in eius personam contingentem,
che, in tanto sussiste, in quanto egli non sia responsabile del verificarsi del
fatto che gli impedisce di eseguire la prestazione, non risolve l’interrogativo
che egli stesso ha formulato, se non con riferimento ad un principio che
non concerne la struttura del contratto, ma la relazione che passa tra l’homo
e la res. Se capisco bene il ragionamento del canonista, egli fonda il diverso
trattamento del caso fortuito a seconda che ci si trovi all’interno di una locatio
rei o di una locatio personae sulla considerazione della maggiore dignità della
persona rispetto alla res; maggiore dignità che però non perviene a proteggere il diritto alla mercede del locatore che non può eseguire la prestazione
per caso fortuito anche quando l’inspectio animi, l’indagine psicologica non
riveli una sua culpa in ordine al verificarsi del caso fortuito o in ordine ai
suoi effetti, culpa che altrimenti ridonderebbe a suo esclusivo vantaggio.
Dunque, anche l’Ostiense, che pure si pone il problema, non lo risolve se
non con un argomento allotrio rispetto alla struttura del contratto, la quale,
sotto questo riguardo, non è indagata a sufficienza.
11.– In realtà, si può dire che la dottrina dei glossatori, con la sola
eccezione dell’Ostiense, sembra non andar oltre il dato normativo della
consonantia totalitaria delle leges in ordine a questo punto: leges enim in hoc
uidentur consonare, afferma Azzone, affastellando fattispecie di locatio con
fattispecie di obbligazioni di facere qualcosa per qualcuno dietro un corri-
126
VICTOR CRESCENZI
spettivo; lo stesso deve dirsi per Accursio, come abbiamo visto–nam leges
in hoc consonare uidentur–e anche per l’Ostiense–in hoc concordant leges–che ne
seguono le orme, anche se quest’ultimo, come ho appena ricordato, tenta
di dare spiegazioni non meramente formali.
Questa è una possibile risposta, sia pure di immediata approssimazione, alla seconda delle tre domande con le quali ho aperto il paragrafo
precedente: dove si colloca la ratio di questa disciplina, che differenzia a
seconda che oggetto della locazione sia una res o una persona?
Si tratta, però, di una risposta anch’essa d’indole formale, se non
proprio formalistica, poiché tale è una ratio che si esaurisca nel dato normativo, senza individuarne un’organicità, se non addirittura una sistematicità.
Si tratta, cioè, di una risposta che non può pienamente soddisfare l’indagine
storiografica, perché relegata all’interno del modo di porre la questione da
parte della dottrina dei glossatori, civilisti e canonisti, che, soprattutto
dall’Ostiense è imperniata sul rilievo di una diversità di trattamento tra
locatio rei e locatio personae quanto agli effetti del caso fortuito; in funzione
dell’indagine storiografica, quindi, è necessario riformulare l’intera questione
e riproporre la terza delle tre domande: è sicuro che si tratti di un diverso
trattamento dell’effetto del caso fortuito a seconda che la locatio abbia per
oggetto una res o una persona? Questo interrogativo trascina con sé, poiché
lo implica, ancora una volta, proprio da un punto di vista storiografico, il
primo di quelli che ho posto all’inizio del paragrafo precedente: quanto è
coerente con questa configurazione rigorosamente unitaria un diverso modo
di operare del caso fortuito a seconda che la locatio abbia per oggetto una
persona o una res?
Dico subito che l’incoerenza di questa disciplina con l’unitarietà della
figura della locatio è il datum demonstrandum, soprattutto se ci collochiamo
all’interno della disciplina squisitamente romanistica. Altro discorso è, o
può essere quello che guardi alla dottrina dei glossatori, per i quali non
sembra che la diversa disciplina costituisca un problema dal punto di vista
della coerenza concettuale, visto che essi lo risolvono in termini normativi,
facendo leva sulla consonantia delle omnes leges. Né, per le considerazioni già
sopra delineate, l’Ostiense sembra superare i dubbi che pure la sua posizione
dottrinale implica.
Peraltro, già nella gl. non solum a D.19,2,15,6 dell’apparato accursiano,
come abbiamo visto sopra, era ventilata una posizione, fatta risalire, come
sembra, ad Irnerio, in cui
Si uero stetit per locatorem quominus operas prestet, uel per
casum fortuitum in sua persona contingentem, tenetur in primo casu
VARIANTI DELLA SUBORDINAZIONE, 2. I GLOSSATORI
127
ad interesse, in secundo ut pensionem remittat uel reddat pro rata
temporis, quo eas non prestitit.
Delle tre allegazioni poste a fondamento di questa tesi, come ho
già rilevato, una sola concerne un caso che si può considerare analogo ad
una locatio operarum; quello di C.4,6,11, relativo a certi aduocati che hanno
percepito l’onorario per svolgere un’attività professionale che poi non hanno
svolto; Diocleziano e Massimiano, nel luogo citato del Codex, sanciscono,
che si per eos qui acceperant, quominus susceptam fidem impleant, stetisse probetur,
restituendam esse convenit; però non si può fare a meno dal sottolineare che
qui non ci troviamo dinnanzi ad un caso fortuito, ma ad un caso di inadempimento, poiché la disposizione imperiale è fondata sulla circostanza che
si sia data la prova che esiste una responsabilità dei committenti–si per eos
stetisse probetur–in ordine al fatto che il contratto non è stato adempiuto–
quominus susceptam fidem impleant–, ed è per questa ragione che la pecunia
percepita deve essere restituita. Questa ipotesi, dunque esula dal tema del
caso fortuito e, del resto, la stessa glossa accursiana a C.4,6,11 contiene un
reperto esegetico sulle parole per eos, che specifica:
secus si per casum uel per clientulum steterit, ut D. de uariis cognitionibus l. i § pe. [D.50,13,1,13] et D. locati (l.) qui operas [D.19,2,38]
et supra de iudiciis (l.) properandum § honorariis [C.3,1,13,9 in c.],
ut supra l. proxima [C.4,6,10].
Insomma, se gli aduocati non eseguono per inadempimento la loro
prestazione nulla è loro dovuto, a meno che l’adempimento si sia reso impossibile per casum o per colpa del clientulus. Né la glossa distingue per il caso
fortuito, che colpisca la persona del clientulus o degli aduocati.
Il problema, in realtà, è quello di tener ben distinta l’ipotesi di impossibilità sopravvenuta della prestazione per caso fortuito dall’inadempimento,
che è tale se riconducibile alla culpa o al dolus del contraente.
In questo quadro, il caso del conduttore che muore quando il locatore
è pronto ad eseguire, qual è quello dell’exceptor, è significativo proprio in
ordine al tema qui esaminato che concerne la struttura della subordinazione.
Non per caso esso è regolarmente trattato dalla dottrina come caso emblematico, tanto da potersi ritenere che abbia valore topico.
Per comprendere bene l’intera questione, invero, si deve richiamare
all’attenzione quanto ho detto sopra in ordine al contegno analitico che
occorre tenere quando si va ad indagare la locatio personae. In questa species
in cui si articola l’unitaria figura della locatio-conductio, lo si è mostrato
sopra, occorre distinguere il momento strutturale del contratto da quello
128
VICTOR CRESCENZI
esecutivo; il primo consiste nell’attribuzione che il locatore fa della disponibilità della propria persona al conduttore, e costituisce l’adempimento
dell’obbligazione strutturale della locatio personae in funzione delle sue operae,
ma anche il presupposto del secondo–il momento esecutivo–, vale a dire
della necessaria conseguente obbligazione di dare operas, ossia della faciendi
necessitas, ovvero dell’obbligazione di facere alcunché nell’interesse–in re–del
conduttore. Una volta acquisita la disponibilità della persona del locatore
come effetto causale e quindi primario della locazione, il conduttore può
impartirgli le necessarie direttive in ordine al facere da cui trarrà la propria
utilitas. Ma la disponibilità si acquisisce, data la natura consensuale del
contratto, appunto una volta concluso l’accordo, vale a dire nel momento
in cui il reciproco consenso sia stato raggiunto. Solo dopo, nell’ambito del
rapporto che per effetto del consenso si costituisce, e come conseguenza
di tale costituzione, sorge a carico del locatore la faciendi necessitas, di
cui D.19,2,22,2. Ne consegue che, come si è già rilevato sopra, la causa
contrattuale si realizza con la prestazione del reciproco consenso per effetto
del quale il locatore si pone nella disponibilità del conduttore, come si è
detto ampiamente e ripetutamente. Ma dire questo, vuol dire anche che
ancora una volta l’elemento della subordinazione sta proprio dentro questo
momento genetico del contratto, perché il locatore in tanto vi entra in
quanto presta il suo consenso a che il conduttore disponga della propria
persona in funzione delle operae che dovranno essere date. E, del resto, lo
stesso Azzone, alla domanda an quis possit cogi precise operari? risponde: potest,
et in hoc omnes doctores Bononiae consenserunt120.
Invero, l’exceptor, il quale non può esplicare l’attività cui è obbligato
a causa di un impedimento che non può essere ricondotto alla sua responsabilità, in realtà, ha già adempiuto alla obbligazione causale e primaria di
porre e mantenere se stesso nella disponibilità del conduttore, tanto è vero
che, al contrario, nulla gli è dovuto si eodem anno mercedes ab alio accepit121: in
questo caso, infatti, egli evidentemente non ha mantenuto per il conduttore
deceduto quella disponibilità a causa della quale avrebbe diritto al corrispettivo, e dunque nulla può pretendere, essendo venuta meno la causa di quel
contratto che non poté essere eseguito. Ma, a meno che si realizzi quest’ultima ipotesi, l’evento impeditivo consistente nel decesso del committente
conduttore non tocca il segmento originario della vita del contratto, genetico
della successiva conseguente obbligazione di operari, ma quello esecutivo
del dare operas; il locatore è pronto appunto a dare operas al conduttore, e in
120
AZONIS Summa Codicis 4,65, n. 7, col. 454: «Si queras: an quis possit cogi operari? responde:
potest, et in hoc omnes doctores Bononie consenserunt».
121
si può dire parafrasando D.19,2,19,9.
VARIANTI DELLA SUBORDINAZIONE, 2. I GLOSSATORI
129
ciò risulta indubbiamente rilevante il suo animus, cui si riferisce l’Ostiense;
ma se il conduttore non gliele richiede perché non vuole o, come nel caso
in specie, non può, non di meno al locatore è dovuta la mercede; questa,
peraltro, costituisce il corrispettivo per il fatto di aver posto e mantenuto
la propria persona a disposizione del committente conduttore, non per le
operae datae. Ed infatti, l’obbligazione di pagare a mercede al locatore nasce
fin dal momento del consenso, non da quello dell’esecuzione del facere
conseguente, tanto è vero che il suo pagamento avviene in conformità con
quanto pattuito, e dunque anche prima della esecuzione della prestazione,
e non necessariamente a prestazione avvenuta122.
Se tutte queste considerazioni sono corrette ne risulta che non c’è
differenza di trattamento del caso fortuito tra locatio personae e locatio rei.
In quest’ultima, infatti, il caso fortuito che determina, per esempio, il
perimento della cosa locata impedisce il realizzarsi della causa che consiste
nell’acquisto, da parte del conduttore, del godimento della cosa e sul suo
mantenimento. Qui la distinzione tra il momento genetico e quello esecutivo del contratto non trova cittadinanza, sicché il perimento della cosa fa
vacillare la struttura del contratto fino al suo sgretolamento se il locatore non
sostituisce la cosa con un’altra di pari utilità permettendo al conduttore di
conseguire lo scopo. Non realizzandosi la causa, non viene in essere neanche
l’obbligo sinallagmatico al corrispettivo, se non nella misura nella quale la
cosa è stata effettivamente goduta, salvo il risarcimento dei danni qualora
esista una responsabilità del dominus della cosa che l’ha concessa in locazione.
12.– Dovrebbe essere dunque chiaro che non solo non si rompe, sotto
questo riguardo, l’unità strutturale della locatio-conductio, ma che né il diverso
modo di operare del caso fortuito è incoerente con tale unità, né si può dire
che esista, su questo tema, una diversa disciplina; la diversificazione degli
effetti del caso fortuito deriva non da una diversificazione nella struttura
del contratto, ma dal fatto che consistendo l’oggetto di esso nella persona
del locatore la sua esecuzione non può risultare da atti di utilizzazione del
conduttore di tale oggetto, ma dal trarre vantaggio da un operari, ossia da
operae che possono essere exhibitae solo dal locatore, in quanto sono intrinsecamente connesse alla sua persona ed effettivamente richieste dal conduttore;
ancora una volta, le operae si rivelano come un modo di essere della persona:
insomma, sono la persona stessa nel suo atteggiarsi a soggetto operante. E’
forse questo il reale senso delle notazioni del cardinal Ostiense a proposito
122
AZONIS Summa Codicis 4,65, n. 22, col. 455.
130
VICTOR CRESCENZI
della preminenza dell’homo sulle res in funzione della valorizzazione della
sua dignitas.
Del resto, sarà Raniero da Forlì a chiarire una volta per tutte che opera
coheret persone illius qui tenetur123: è difficile sottovalutare l’importanza di
queste icastiche parole, che non lasciano spazio a dubbi di alcun genere su
ciò che costituisce l’oggetto del contratto anche nella successiva dottrina
di ius commune che sarà oggetto di ulteriore indagine, la quale dovrà tener
conto anche delle testimonianze che scaturiscono dallo ius proprium.
123
RAYNERII DE FORLIVIO Lectura super prima et secunda Digesti noui, s. l., s. d. (anast. Bologna 1968
Opera iuridica rariora), f. 88vb, n. 2.
ÍNDEX
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política en la edad moderna (Navarra, 1512-1808). Rec. de Francisco
Luis Pacheco Caballero ..............................................................................................................................................
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III: BIBLIOGRAFÍA
IV: ÍNDICE DE AUTORES
Normas y siglas para envíos de originales .....................................................................................................
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