INTERNATIONAL CENTRE FOR ECONOMIC RESEARCH
WORKING PAPER SERIES
Enrico Colombatto
SULLE DINAMICHE DEL CICLO MISESIANO
Working Paper No. 4 / 2004
Sulle dinamiche del ciclo misesiano
Enrico Colombatto
Università di Torino e ICER
Marzo 2004
Abstract.
Di recente l’analisi austriaca del ciclo economico è stata oggetto di rinnovato interesse:
contrariamente alla maggior parte delle analisi tradizionali, infatti, la visione originaria di
Mises non spiega il ciclo richiamandosi a shock esogeni o a illusioni di cui sarebbero vittime
gruppi di agenti economici. Per contro, l’accento viene posto sul fenomeno dell’inflazione
sequenziale generato dal sistema bancario e dalla variazione nei fondamentali a essa legata.
Questo contributo si inserisce nel solco austriaco, ma intende approfondire non tanto la fase di
espansione – oggetto principale dell’analisi misesiana – quanto i periodi di crisi e depressione,
caratterizzati dalla dinamica dalla dinamica dei prezzi relativi e dai suoi effetti in termini di
consumo, di produzione, di comportamenti sul mercato dei fattori. In particolare, si sostiene
che, a seguito della crisi, l’andamento della domanda di fattori provoca l’acquisizione di
rendite di posizione; queste spiegano il persistere di periodi di crescita modesta, se non di
stagnazione.
Sulle dinamiche del ciclo misesiano
Enrico Colombatto
Università di Torino e ICER
Introduzione
Le teorie del ciclo economico si fondano sue due ipotesi preliminari. La prima afferma che
all’inizio del ciclo il sistema si trova in una situazione di sostanziale equilibrio statico (la
cosiddetta evenly rotating economy, secondo la terminologia misesiana); ciò assicura che,
quando rilevante, un evento esterno provoca necessariamente alterazioni indesiderabili, le
quali possono essere sostenute solo a prezzo di ulteriori distorsioni. La seconda ipotesi ha
invece per oggetto il comportamento degli operatori. In particolare, si ritiene che in
determinate circostanze alcuni di essi siano indotti a valutare erroneamente le condizioni reali
dell’economia e di conseguenza a modificare il proprio comportamento per un periodo più o
meno prolungato, ma in ogni caso finito1. Le azioni intraprese durante questo periodo possono
così dare origine a una fase di espansione (il boom), la quale si esaurisce quando i
comportamenti diventano palesi e l’aggiustamento inevitabile. Tale periodo di aggiustamento
costituisce la cosiddetta crisi, alla quale può anche seguire un periodo di depressione. Sempre
secondo la visione tradizionalmente accettata, una volta ristabilitesi le condizioni di equilibrio
iniziali gli operatori possono essere nuovamente ingannati; e un nuovo ciclo può così essere
avviato.
1
Fanno eccezione le cosiddette teorie del ciclo tecnologico, secondo cui il ciclo economico
sarebbe avviato dall’applicazione di innovazioni tecnologiche dirompenti, le quali darebbero
avvio a un periodo di espansione che rallenta o si esaurisce quando gli effetti di crescita
dovuti all’attività di innovazione si attenuano. Tale impostazione sarà qui ignorata. In primo
luogo perché questi autori non propongono tanto una teoria del ciclo, quanto una teoria della
crescita ‘per salti’. Inoltre perché la realtà pone per contro in evidenza come il momento
dell’innovazione pura sia molto meno importante del periodo (continuo) di diffusione
dell’innovazione stessa.
1
Per la verità, da un punto di vista metodologico le ipotesi che precedono sono
discutibili. Come la Scuola Austriaca rilevò oltre un secolo addietro, il sistema di interazioni
fra individui che tentano di soddisfare le proprie aspirazioni e allentare il vincolo di scarsità è
caratterizzato da situazioni di continuo squilibrio, più che di equilibrio. Considerare
necessariamente il ciclo economico come una deviazione dall’equilibrio è quindi un errore
che rischia di viziare l’intera analisi. Inoltre, la lettura del ciclo come conseguenza di
comportamenti irrazionali (o erronei) da parte di agenti ingannati circa i fondamentali del
sistema in cui operano lascia perplessi. È forse compatibile con una visione di cicli molto
distanziati fra loro, in virtù della quale le generazioni non hanno memoria del passato o
comunque ritengono che il passato non sia più una guida affidabile per il futuro. Ma di certo
non con una di breve-medio periodo in cui gli operatori difficilmente possono essere ingannati
più volte nello stesso modo2.
La struttura teorica proposta da Mises in parte si sottrae alla prima critica perché,
come ricordato da Garrison (1991:95), la evenly rotating economy si riferisce in realtà solo
all’equilibrio intertemporale, che prevede la tendenziale uguaglianza fra il tasso di preferenza
intertemporale e il tasso di interesse3. Quanto al secondo aspetto, si vedrà in seguito come
l’analisi di Mises si riveli decisamente superiore alle teorie concorrenti, poiché gli agenti che
interagiscono nel contesto misesiano non sono affatto ingannati sui fondamentali, né sono
illusi da fenomeni monetari4. In altri termini, la teoria misesiana del ciclo non richiede la
formulazione di ipotesi sulla sistematica dabbenaggine - per esempio - degli investitori, dei
2
Si veda Garrison (1989) per una sintetica rassegna delle varie tipologie di teoria del ciclo e
della loro rilevanza empirica. Stranamente, la letteratura sul ciclo presenta sì teorie fra loro in
alternativa, ma non prevede una sorta di teoria generale del ciclo, secondo la quale cicli
economici successivi possono essere scatenati da variabili esogene diverse. Ciò è forse dovuto
al fatto che la letteratura - anche quella Austriaca - tende a considerare come dato il contesto
istituzionale in senso lato, e quindi il tipo di incentivi e di vincoli proprio dei vari operatori.
3
Come è noto, in assenza di condizioni particolari, i due tassi tendono a essere uguali fra loro
e uguali al tasso di rendimento del capitale fisso. Essi eguagliano infatti il sacrificio che i
consumatori devono sostenere per ritardare il consumo (attività di risparmio) alla
remunerazione con cui tale sacrificio sarà ricompensato (il tasso di rendimento degli
investimenti). Si osservi altresì che, per semplicità, la teoria austriaca del ciclo prende in
esame un’economia chiusa, escludendo quindi, in prima approssimazione, che la differenza
fra risparmi e investimenti possa essere spiegata da afflussi/deflussi di capitale finanziario
da/verso l’estero.
4
Come spiegato in Kurz (2003), le incertezze di Hayek al riguardo gli varranno serie critiche
da parte della scuola keynesiana.
2
consumatori o dei lavoratori. Non si tratta di una teoria su come l’economia si modifica per
colpa di agenti miopi o sprovveduti; bensì di una spiegazione che prende in esame il
cambiamento temporaneo dei fondamentali.
L’impianto misesiano obbliga quindi lo studioso ad analizzare come e perché alcuni
operatori possono essere indotti a cambiare il proprio comportamento, a quali condizioni tale
cambiamento viene successivamente riconsiderato, la natura e l’ammontare dei costi di
transazione e di aggiustamento, in quale modo le variazioni possono avere effetti permanenti.
È evidentemente un programma di ricerca che va ben oltre la proposta misesiana originaria
(1912), ma che appare certamente più realistico e stimolante di quanto propongono coloro che
di fatto riducono il ciclo alle modalità con cui alcune categorie di operatori sono
ripetutamente illuse in un contesto ove l’informazione è soggetta a un regime di monopolio e i
costi di aggiustamento sono quasi completamente ignorati.
Moneta e ciclo monetario
Per gli economisti Austriaci il ciclo economico non è inevitabile, non nasce da fenomeni
legati all’innovazione tecnologica, né da mutamenti nelle preferenze degli agenti. Se fosse
una questione di progresso tecnologico o di preferenze si sarebbe infatti in presenza di
alterazioni permanenti nei fondamentali; il ciclo presuppone invece, per essere tale,
modificazioni solo temporanee. Nel caso austriaco, queste provengono dall’azione di politica
monetaria.
Mises fa riferimento esplicito ai due canali attraverso i quali tale azione si esplica:
l’emissione di moneta (oggetto di questi paragrafi) e la creazione di credito fiduciario
(discussa nella sezione successiva). L’emissione di moneta avviene solitamente per opera di
un’autorità governativa - la banca centrale - alla quale è riconosciuto sia il potere di
monopolio nel ‘battere moneta’, sia il potere di conferire all’unità monetaria corso legale,
obbligando così gli operatori del Paese ad accettarla come mezzo di pagamento.
Il punto centrale della teoria Austriaca sull’emissione di moneta è la natura temporale
degli squilibri a cui una politica monetaria attiva (per esempio l’aumento nell’offerta di
moneta) dà luogo. In particolare, l’eccesso di offerta di moneta non conduce immediatamente
a un aumento generalizzato nel livello dei prezzi. Questo perché l’eccesso di moneta non si
materializza contemporaneamente e in modo omogeneo presso tutti gli operatori. Dopo essere
3
state messe in circolazione, le nuove quantità di moneta saranno infatti impiegate per
trasferimenti o per l’acquisto di beni e servizi. Nel primo caso5 si verificherà un aumento nel
potere d’acquisto dei beneficiari del trasferimento; questi prima o poi faranno uso del denaro
percepito per acquistare beni o servizi, provocando un aumento dei prezzi di ciò che viene
acquistato e un aumento nel potere d’acquisto di coloro che vendono quei beni o servizi. A
loro volta, costoro impiegheranno le nuove risorse monetarie acquistando altri beni e servizi,
trasferendo potere d’acquisto e propagando il fenomeno inflazionistico. E così via. Ne
consegue un aumento graduale dei prezzi, a seconda dei canali attraverso cui la nuova
quantità di moneta si propaga. Risulta anche evidente che i beneficiari della politica monetaria
espansiva sono i primi percettori delle nuove quantità di moneta, per i quali sale il potere
d’acquisto, ma non il livello generale dei prezzi. Mentre i perdenti sono gli ultimi anelli della
catena, i quali subiscono l’aumento generalizzato dei prezzi e una riduzione del proprio potere
d’acquisto fino a quando la quantità di moneta in eccesso non arriverà anche a loro.
In sintesi, l’emissione di moneta provoca quello che si potrebbe definire un fenomeno
inflazionistico sequenziale: l’aumento nei prezzi non è infatti né immediato, né generalizzato.
E non è neppure neutrale. Anche se si può teoricamente ammettere che dopo mesi o
addirittura
anni,
una
volta
esauritasi
la
sequenza,
i
prezzi
aumentino
tutti
equiproporzionalmente, non si può negare che durante la sequenza si verifichino effetti
redistributivi permanenti significativi6.
Gli Austriaci riconoscono un ruolo importante anche alle aspettative. Tuttavia, si
esclude che gli individui abbiano la capacità di anticipare e scontare perfettamente gli effetti
redistributivi e inflazionistici della politica monetaria. Più realisticamente, gli agenti
cercheranno di adottare semplici regole di comportamento fondate sull’esperienza passata,
estrapolando le dinamiche dei prezzi dei beni e servizi di loro maggiore interesse e, quando
5
Il secondo caso è del tutto uguale al primo, se non per il fatto che si verifica un passaggio in
meno: i primi percettori della nuova moneta non sono infatti gli operatori, bensì le agenzie
governative. Giova anche segnalare che il fenomeno di propagazione può essere ulteriormente
ritardato da un eventuale aumento nella domanda di moneta, che si può verificare qualora i
percettori della moneta recentemente emessa decidano di attendere prima di spendere le
nuove risorse.
6
In realtà, anche la tesi di aumento equiproporzionale è discutibile. Non è affatto scontato che
l’eccesso di domanda di beni provocato dall’eccesso di offerta di moneta segua la struttura
della domanda passata; né è scontato che gli effetti di redistribuzione segnalati nel testo siano
neutrali ai fini della struttura della domanda aggregata.
4
possibile, cercando di prevedere le intenzioni dell’autorità monetaria. Nulla più: gli effetti
reali della politica monetaria (e dell’inflazione) rimangono pertanto in larga parte ineludibili,
a meno che l’unità monetaria in questione sia respinta come strumento di pagamento e si
proceda alla cosiddetta ‘dollarizzazione’ del sistema7.
I risvolti reali di un’espansione monetaria risultano così limitati agli effetti
redistributivi propri dell’inflazione sequenziale, alle possibili conseguenze permanenti di
temporanee alterazioni nella struttura dei prezzi relativi, alle conseguenze sulle statistiche, tali
per cui si possono registrare variazioni del prodotto interno lordo nominale sia a seguito
dell’accresciuta offerta di moneta (un fenomeno una tantum), sia a seguito dell’andamento
della domanda di moneta (che invece è legata ai tempi della sequenza inflazionistica). In
particolare, secondo la visione misesiana, l’aumento nell’offerta di moneta non provoca
comportamenti sistematicamente irrazionali da parte di alcune categorie di agenti8; né provoca
variazioni del tasso di interesse reale9, che rimane prossimo al tasso di preferenza
intertemporale. Proprio per questo motivo, l’emissione di moneta non innesca un boom reale
o, più in generale, un ciclo economico.
Il ruolo della moneta fiduciaria
Il ciclo austriaco è per contro avviato da una politica attiva, e per certi versi razionale, posta in
essere dal sistema delle banche commerciali in quanto creatrici di moneta fiduciaria. La
moneta fiduciaria - definita come ‘credito circolante’ nella terminologia originale - consiste in
7
Si noti che, contrariamente a quanto si sostiene con una certa frequenza, il cambiamento
dell’unità di misura non è sufficiente a eliminare gli effetti redistributivi dell’inflazione. Fino
a quando la moneta inflazionata viene comunque accettata come strumento di pagamento si
verificano effetti di redistribuzione del reddito e variazioni più o meno temporanee nel prezzo
relativo dei beni. Questo è naturalmente dovuto alla caratteristica di sequenzialità illustrata in
precedenza.
8
È questo un importante elemento di distinzione fra la visione austriaca del ciclo e quella
monetarista, secondo la quale l’aumento di moneta trae in inganno i lavoratori, che scambiano
l’aumento nominale dei salari per un aumento reale. Si veda per esempio Friedman (1976).
9
In sintesi, il tasso di interesse rimane invariato poiché si suppone che la nuova quantità di
moneta venga impiegata dall’autorità emittente per l’acquisto di beni o servizi, il che è quanto
avviene quando si usa moneta per finanziare un disavanzo di finanza pubblica; si esclude
quindi che la quantità di moneta venga utilizzata per concedere credito. Come si vedrà fra
breve, tale funzione è considerata esclusiva del settore bancario commerciale.
5
mezzi di pagamento emessi dalle banche con garanzia di convertibilità/rimborso futuro in
moneta effettiva o in beni, su richiesta del portatore.
È facilmente comprensibile come le banche commerciali siano più che favorevoli
all’emissione di moneta fiduciaria, anche a tassi di interesse inferiori rispetto a quelli di
mercato e vincolate solo dalla propria credibilità e dalla propria eventuale capacità di
applicare discriminazione di prezzo10. Grazie a tale operazione gli istituti di credito si trovano
infatti in una situazione di signoraggio almeno temporaneo e possono lucrare una
remunerazione netta positiva pressoché pari al tasso di interesse11. Se poi si realizza un
aumento della domanda nominale di moneta e il pubblico percepisce il credito circolante
come sostituto perfetto della moneta effettiva12, i mezzi fiduciari saranno presentati per la
conversione in beni o moneta effettiva in misura limitata o addirittura nulla. E ciò si traduce in
facili profitti per l’istituto emittente.
Mises ritiene che, quanto meno all’inizio, il pubblico accetterà con relativa facilità i
nuovi mezzi di pagamento (fiduciari): la credibilità iniziale degli emittenti induce a non
dubitare della convertibilità del credito circolante, mentre i tassi di interesse ribassati
incontreranno certamente investitori pronti a contrarre debiti e a farsi finanziare con moneta
10
La credibilità può essere accresciuta artificiosamente dall’autorità centrale per via indiretta
o per via diretta. Nel primo caso la banca centrale può impegnarsi a salvare dall’insolvenza
quegli istituti che non fossero in grado di trasformare mezzi fiduciari in moneta reale nel
momento in cui il pubblico lo richiedesse. Si offrirebbe pertanto una garanzia di sostituzione
di moneta fiduciaria con moneta effettiva a corso forzoso. Nel secondo caso la banca centrale
potrebbe imporre la moneta fiduciaria come mezzo di pagamento a corso forzoso, cancellando
quindi di fatto l’obbligo di conversione da parte delle banche emittenti.
11
Occorre infatti dedurre i costi di emissione e di gestione (clearing) propri di un sistema
fiduciario con più emittenti attivi sul mercato. Si noti che, contrariamente a quanto avviene
per il credito emesso a fronte di depositi bancari, gli erogatori di credito fiduciario non
devono raccogliere risparmio e quindi non devono sostenere i costi relativi alla remunerazione
del consumo differito.
12
Vale infine la pena di osservare come l’aumento della domanda reale di moneta non sia
condizione necessaria per beneficiare della situazione di signoraggio: qualora ciò non
avvenga, l’aumento dell’offerta complessiva di moneta a parità di domanda reale si tradurrà in
inflazione (sequenziale), mediante la quale la quantità reale di moneta sarà ricondotta alla
grandezza richiesta per soddisfare la domanda. Dunque, inflazione e signoraggio inverso non
possono verificarsi simultaneamente. Perché ci sia inflazione occorre infatti che l’offerta
complessiva di moneta - che comprende moneta effettiva e moneta fiduciaria - si espanda. Il
che è possibile solo se la moneta fiduciaria è considerata equivalente alla moneta effettiva e
pertanto non viene respinta dagli operatori.
6
fiduciaria. Si verifica quindi una situazione di signoraggio accompagnata da un principio di
inflazione, come conseguenza dell’aumento dell’offerta aggregata di moneta13.
Tuttavia, secondo la teoria misesiana, l’azione delle banche commerciali come
creatrici di moneta produce un divario fra il tasso di interesse di mercato (che tende a
scendere) e il tasso di preferenza intertemporale (che rimane costante); divario che genera a
sua volta reazioni da parte degli investitori e dei consumatori. Uno squilibrio monetario si
trasforma così in uno squilibrio reale, sostenibile fino a quando non verranno alla luce i costi
relativi ai comportamenti distorti mantenuti durante l’espansione; a quel punto il boom si
esaurirà e subentrerà la crisi.
A mano a mano che il fenomeno inflazionistico sviluppa i propri esiti, infatti, gli
operatori perdono fiducia negli strumenti di pagamento in circolazione e cercano di disfarsi
della moneta cattiva (i mezzi fiduciari)14, presentandola agli istituti di credito per la
conversione. La quantità di moneta nominale subisce quindi una contrazione - o comunque
cessa di espandersi: tutti gli investimenti che erano stati intrapresi solo per le prevalenti
condizioni creditizie di favore (bassi tassi di interesse) si rivelano un errore alla luce delle
nuove condizioni e sono abbandonati. Inoltre, nel tentativo di onorare l’impegno di
convertibilità le banche chiederanno agli investitori il rimborso dei crediti ottenuti, creando
diffuse situazioni di insolvenza. Infine, l’abbandono dei progetti non più remunerativi e il
probabile fallimento di numerose imprese (anche bancarie) innesca la crisi e poi la
depressione. Secondo questo punto di vista, maggiore sarà la quantità di mezzi fiduciari
immessi nel sistema, maggiore sarà il ribasso nei tassi di interesse di mercato e maggiore sarà
13
Come si vedrà in seguito, l’inflazione avrà poi un ruolo essenziale per spiegare la fine del
boom e l’insorgere della crisi. Si veda Mises (1928 [2002]).
14
Mises fa riferimento a situazioni di vero e proprio panico. Ciò può sorprendere il lettore
europeo o nordamericano di oggi, abituato a tassi di inflazione che negli ultimi decenni
raramente hanno oltrepassato il 15% annuo. Ben altra era però l’esperienza di Mises negli
anni successivi alla Prima Guerra Mondiale, durante i quali l’aumento percentuale giornaliero
dei prezzi in Austria, Ungheria e Germania era a due cifre.
Quanto alla connotazione di moneta ‘cattiva’, Mises negli anni Venti non aveva perso le
speranze di tornare a un sistema di gold standard autentico e di conseguenza immaginava
ancora una moneta effettiva garantita dall’oro (o da altri beni reali). In chiave moderna si può
pensare alla moneta effettiva come a uno strumento di pagamento garantito dal potere
coercitivo dello Stato, che di solito si accompagna allo status di corso legale. La moneta
fiduciaria, per contro è garantita solo dal patrimonio conferito dagli azionisti delle banche
commerciali, le quali possono ovviamente fallire e trasformare i mezzi di pagamento
fiduciario in carta straccia.
7
durata del boom. Ma così sarà anche più rilevante la quantità di investimenti sbagliati - il
cosiddetto malinvestment, nella terminologia austriaca - e quindi la gravità della crisi quando
il panico genererà il signoraggio inverso, le banche saranno costrette revocare i crediti
concessi e ad attrarre depositi di moneta effettiva per far fronte alle richieste di conversione di
moneta fiduciaria.
Si può dunque affermare che la versione misesiana del ciclo, così come concepita
inizialmente da Mises (1912) sulla scorta delle intuizioni di Wicksell e di Böhm-Bawerk,
ruota intorno a quattro passaggi-chiave:
(1) Le banche emettono moneta fiduciaria poiché ritengono di poter beneficiare di una
posizione di signoraggio e/o sono convinte che, in caso di bisogno, possono contare sul
sostegno delle autorità governative (banca centrale);
(2) Durante il boom innescato dall’emissione di moneta fiduciaria il tasso di interesse scende
e gli investitori sono indotti a intraprendere progetti di investimento di lungo periodo che
altrimenti non sarebbero stati avviati perché non remunerativi (il malinvestment,
appunto)15. Essi accettano quindi i mezzi fiduciari e si indebitano nel convincimento di
poter completare i nuovi progetti di investimento a redditività differita e servire il debito.
(3) La fase di espansione si esaurisce e si trasforma in crisi quando l’inflazione genera panico
e signoraggio inverso.
(4) A meno che non subentrino interventi di salvataggio dall’esterno, il sistema bancario non
è in grado di far fronte alle richieste di conversione e provoca il crollo delle imprese
impegnate in investimenti estesi su un orizzonte temporale eccessivo.
15
Si noti che, se si ipotizza con Mises che la produzione aggregata rimanga costante, lo
spostamento di risorse dai progetti con rendimenti a breve termine ai progetti con rendimenti
dilazionati nel tempo provocherà nel breve periodo una minore disponibilità di beni di
consumo. Come si vedrà più avanti, i risultati sarebbero diversi se si ammettessero variazioni
nella produzione aggregata durante la fase di espansione. È questa un’ipotesi formulata, per
esempio, da Haberler (1932).
8
Banche e investitori
Non c’è dubbio che la tesi misesiana è convincente e ancora oggi attuale in almeno due
elementi, che sono peraltro quelli fondamentali e propri della teoria austriaca del ciclo
economico. Il primo è la sequenzialità e gradualità del processo inflazionistico. Il secondo è la
natura monetaria dello stimolo che scatena il boom, il quale ha origine nel divario fra il tasso
di preferenza intertemporale e il tasso d’interesse di mercato, ridottosi a seguito
dell’immissione di nuova moneta (fiduciaria) da parte del sistema creditizio. Queste
caratteristiche spiegano perché l’immissione di moneta fiduciaria è inizialmente accettata, ma
in seguito respinta.
Ancorché persuasiva, a ben vedere la visione misesiana in realtà si preoccupa di
spiegare soprattutto la nascita del boom; rimangono invece in ombra alcuni aspetti della crisi
e, ancor più, della depressione. I paragrafi che seguono intendono ricorrere agli strumenti
concettuali dell’autore austriaco per chiarire alcuni passaggi del suo impianto teorico e
verificarne in seguito l’attinenza alla realtà odierna. In questa prospettiva, si ritiene di
particolare importanza riconsiderare brevemente due questioni: la relazione fra il settore
bancario e gli investitori nel momento in cui la moneta fiduciaria perde credibilità e la crisi si
apre; e, in secondo tempo, il ruolo della banca centrale di fronte alla crisi incombente.
Per quanto riguarda il primo aspetto, come si è accennato, l’impostazione tradizionale
austriaca prevede che quando gli operatori chiedono di convertire titoli di credito circolante in
moneta effettiva le banche commerciali revochino il credito concesso agli investitori. Poiché
gli investitori non sono pronti a restituire il debito a tempi brevi (il malinvestment prevede
rientri a tempi lunghi), molti di essi sarebbero costretti al fallimento, mentre i progetti già
avviati sarebbero abbandonati perché non più remunerativi ai tassi di mercato ora in vigore.
La realtà presenta però spesso un quadro diverso. Quando le banche si trovano a corto di
mezzi monetari per far fronte alle richieste di conversione non potranno, infatti, rivolgersi agli
investitori, perché questi si saranno sì indebitati a tassi artificiosamente bassi, ma
difficilmente avranno accettato forme contrattuali che prevedono il rimborso a semplice
domanda del creditore. Più verosimilmente, i contratti di finanziamento dei progetti a lungo
termine contempleranno tassi fissi e piani di rientro opportunamente dilazionati. Di
conseguenza, allo scoppio della crisi i nuovi investimenti terranno di certo conto delle nuove
condizioni creditizie vigenti, ma lasceranno sostanzialmente indifferenti gli autori del
malinvestment, i quali saranno tutelati da quanto stipulato all’inizio del ciclo.
9
In tale contesto la crisi sarebbe allora di fatto limitata al settore bancario. Potrà anche
avere importanti ripercussioni redistributive, a seconda di chi si trova in possesso di monetaria
fiduciaria nel momento in cui questa diventa una sorta di carta straccia inconvertibile. Né si
possono escludere ripercussioni sul settore produttivo reale. Nondimeno, tali ripercussioni
non saranno tanto dovute al fatto che le banche trascineranno alla rovina le imprese da loro
finanziate, quanto al fatto che la crisi bancaria renderà più difficile trasformare il risparmio in
investimento, riducendo così l’accumulazione di capitale fisso ed eliminando opportunità di
crescita. Va da sè che questa sequenza di eventi sfocia in ciò che comunemente s'intende con
il termine di ‘depressione’ a condizione che si formuli una spiegazione sul come una crisi del
settore finanziario si trasforma in una crisi del settore reale in assenza di clausole vessatorie
presenti nei contratti con gli investitori/debitori; e a quali condizioni la crisi del settore
bancario/finanziario può prolungarsi.
In sintesi, si può quindi affermare che nella sua formulazione originaria la teoria
austriaca del ciclo in realtà non conduce alla depressione, ma ‘solo’ a una crisi del settore
creditizio. La soluzione in chiave austriaca della crisi potrebbe quindi essere la
liberalizzazione del sistema bancario, in modo tale che gli istituti che hanno emesso moneta
fiduciaria falliscano (creando un precedente per i futuri azionisti di aziende bancarie) e che le
loro quote di mercato possano essere appropriate da banche esistenti più prudenti o da nuovi
soggetti concorrenti. In altri termini, e coerentemente con l’impostazione normativa propria
della Scuola Austriaca, la miglior politica contro la depressione post-boom rimane la
concorrenza.
Quanto al ruolo della banca centrale, si è già osservato come per Mises la fine del
boom sia provocata dal signoraggio inverso, a sua volta scatenato dall’inflazione16: durante
tale fase di crisi la quantità di moneta aggregata si riduce rapidamente, poiché i titoli fiduciari
non sono più accettati come mezzo di pagamento e tendono a scomparire dalla circolazione.
Qui, con l’innesco della crisi accompagnata da rapida deflazione, finisce lo sviluppo del ciclo
austriaco tradizionale. La trattazione non prevede altre possibilità, se non nel breve periodo.
Nell’economia di Mises la banca centrale può sì tentare di salvare le banche commerciali
dalla crisi stampando nuova moneta effettiva ed evitando che falliscano a fronte delle richieste
16
Proprio per le sue caratteristiche di sequenzialità, l’aumento nei prezzi non viene avvertito
immediatamente e quindi impedisce che gli operatori reagiscano, rifiutando sin dall’inizio la
moneta fiduciaria, soffocando sul nascere la fase espansiva del ciclo.
10
di conversione da parte del pubblico. Tuttavia, sempre nella visione misesiana, tale intervento
risolve al più il problema della moneta fiduciaria. Non risolve invece quello dell’inflazione e
dell’inefficiente struttura temporale dell’investimento: anche se la deflazione può essere
scongiurata, le imprese sono comunque destinate a fallire.17
Vale invece la pena di osservare che se la banca centrale si limita a emettere nuova
moneta effettiva in sostituzione di quella fiduciaria, non vi è motivo per cui l’inflazione
prosegua (se non per gli effetti di trascinamento sequenziale). Le imprese bancarie non
falliscono e l’ondata di crisi che investe il settore produttivo è limitata a un problema di
eccesso di offerta di capitale fisso nel lungo periodo e a una carenza nel breve. Se così
stessero le cose - e si tratterebbe di uno scenario accettabile perfino per Mises, che dal punto
di vista reale considera la crisi come un problema di sotto-investimento - la crisi si
identificherebbe nelle difficoltà che gli investitori avrebbero nell’accelerare la realizzazione
dei progetti di investimento avviati in una prospettiva di lungo periodo.
La realtà però presenta un quadro ancora diverso, in cui la crisi è caratterizzata da un
eccesso di offerta, non già di domanda. Nella sezione che segue si cercherà appunto di
modificare il quadro concettuale misesiano al fine di sviluppare una teoria coerente con la
Weltanschauung austriaca e nel contempo in grado di meglio spiegare le fasi finali del ciclo
economico.
Dalla dinamica del boom alla crisi
A questo fine è necessario tornare nuovamente alla dinamica della variabile-chiave del
periodo di espansione, lo scostamento fra il tasso di interesse di mercato, che scende al di
sotto del suo valore iniziale a seguito dell’aumento di offerta di moneta, e il tasso di
17
In effetti l’esperienza inflazionistica centro-europea degli anni Venti era sì nata dalla
politica monetaria attiva delle banche centrali. Queste tuttavia non intervenivano tanto a
sostegno delle banche commerciali (con operazioni di salvataggio limitate nel tempo), quanto
a finanziamento di disavanzi pubblici anno dopo anno, disavanzi che richiedevano quindi
un’espansione continua dell’offerta di moneta.
11
preferenza intertemporale, che rimane sostanzialmente costante poiché funzione della
disponibilità degli individui a differire il consumo nel tempo18.
Ora, quando il tasso di interesse di mercato scende, gli individui osservano che il tasso
al quale chiedono che la propria rinuncia al consumo immediato sia remunerata (il tasso di
preferenza intertemporale) è superiore al tasso effettivamente loro corrisposto (il tasso di
interesse). Posto un saggio marginale di preferenza intertemporale decrescente19, gli agenti
tenderanno quindi a ridurre i risparmi e ad aumentare i consumi immediati. In considerazione
del tasso di interesse prevalente non vale infatti la pena rinunciare al consumo come nei
periodi precedenti20.
Tale comportamento avrà due effetti. In primo luogo si verificherà una riduzione dei
depositi bancari e dunque anche del credito ordinario21; riduzione che spingerà gli investitori
ad accettare quantità crescenti di moneta fiduciaria. In secondo luogo gli investitori, osservato
l’aumento della domanda di beni di consumo, saranno indotti a estrapolare la tendenza recente
e quindi a espandere l’offerta di beni di consumo nel lungo periodo. In altre parole, non solo
la domanda di credito circolante cresce perché si riducono i depositi (effetto sostituzione), ma
18
In astratto non si può certo escludere che le preferenze individuali si modifichino in
presenza di fenomeni inflazionistici, che è quanto accade durante la fase espansiva del ciclo.
Poiché tuttavia gli autori austriaci non vi fanno cenno, si rinvia ad altra sede
l’approfondimento delle caratteristiche e implicazioni di tali eventuali cambiamenti.
19
Questo significa che i consumatori chiedono una remunerazione crescente al crescere del
consumo immediato a cui si è rinunciato.
20
Stranamente, Mises insiste nel negare che la domanda di beni di consumo immediato possa
crescere, ritenendo costante sia la produzione aggregata, sia la quantità di risorse destinate
all’attività di investimento. Per Mises l’effetto del boom si manifesterebbe infatti
esclusivamente sulle caratteristiche temporali dell’attività degli investitori, che
abbandonerebbero i progetti che creano beni e servizi nel breve termine (beni di ordine
inferiore, secondo la terminologia austriaca) a favore di progetti con redditività a lungo
termine (i beni di ordine superiore).
Si noti peraltro che, anche qualora si accettasse l’ipotesi classica di ‘reddito di piena
occupazione’ fatta propria da Mises, la natura del malinvestment rimarrebbe dubbia. È infatti
presumibile che al crescere della domanda di beni di consumo immediato, il cui prezzo
relativo tenderà dunque ad aumentare, gli investitori trovino vantaggioso approfittare delle
condizioni di credito agevolato per concentrare gli investimenti in progetti che consentano di
accrescere la produzione di beni di consumo a tempi brevi, non a tempi lunghi. Naturalmente,
ciò non esclude che quegli stessi investitori, constatata la crescita della domanda, si
impegnino – aiutati in ciò dalla complicità del sistema bancario – per espandere la produzione
nel lungo periodo.
21
Si tratta del cosiddetto commodity credit, che corrisponde ai risparmi del pubblico.
12
anche perché si anticipa una maggiore domanda futura di beni e quindi si ritiene opportuno
aumentare l’attività di investimento (effetto boom).
Dal punto di vista empirico questa ipotesi di comportamento sembra ampiamente
confermata. In tal caso però il problema del malinvestment merita di essere ridefinito. Non si
tratterebbe più di un rimescolamento dei progetti di investimento a favore di quelli con un
orizzonte temporale più esteso; bensì di un aumento dell’investimento aggregato, per
soddisfare la maggiore domanda a breve termine e in anticipazione della maggiore domanda
futura. In sostanza, gli investitori scambierebbero un movimento dei consumatori lungo le
proprie curve di indifferenza intertemporali per uno spostamento permanente della domanda
aggregata22. La condotta dei consumatori in effetti alimenta tale convincimento, perché
quando i consumatori vedono scendere il tasso di interesse di mercato, essi razionalmente
ritengono che tale diminuzione segnali che l’anticipazione del consumo e la corrispondente
riduzione del risparmio comportino minori sacrifici futuri rispetto a quanto essi ritenevano
fino a quel momento. Naturalmente, l’errore che contraddistingue la fase di boom viene alla
luce quando, dopo un periodo più o meno esteso, i consumatori si rendono conto che
l’accumulazione di capitale è scesa sotto il livello da loro atteso: poiché la tecnologia non è
cambiata, non è cambiata neppure la frontiera delle possibilità produttive. E quindi il
sacrificio in termini di consumi futuri alla fine si rivela essere maggiore di quanto supposto.
Si può quindi concludere che il ciclo è sì innescato dalla creazione di credito
fiduciario; ma si deve aggiungere che la fase di espansione è alimentata dalla condotta dei
consumatori, i quali aumentano il consumo immediato e sottostimano il costo della loro
decisione. Gli investitori reagiscono di conseguenza. Contrariamente alla concezione
misesiana originaria, dunque, i protagonisti dell’illusione che scatena l’espansione non sono
tanto gli investitori, quanto i consumatori, che si illudono di potersi collocare su una curva di
indifferenza intertemporale più elevata a parità di possibilità produttive. Quando si accorgono
che il ’pasto gratis’ non esiste riconducono i propri comportamenti agli schemi originari e
l’economia si trova sbilanciata (eccesso di capacità produttiva).
22
Si noti che in circostanze normali - tipiche della evenly rotating economy misesiana - questo
non avverrebbe perché l’aumento nei consumi e la riduzione del risparmio avrebbero dato
luogo a un aumento del tasso di interesse; ciò avrebbe dissuaso gli investitori dall’impegnarsi
in progetti a rendimento differito. Nel corso del boom, invece, la presenza di moneta
fiduciaria con effetto inflazionistico sequenziale produce segnali di segno opposto.
13
Conclusioni preliminari
Nelle sezioni precedenti si è cercato di chiarire come le premesse misesiane alla teoria del
ciclo offrano forse spunti per sviluppi più ampi e attuali rispetto a quanto originariamente
percepito da Mises stesso, la cui discussione circa le conseguenze dell’emissione di moneta
fiduciaria verte solo su una parte del ciclo, trascurando l’economia della crisi e, soprattutto,
della depressione - ammesso che di ciclo vero e proprio si possa parlare, poiché la fase che
Mises definisce ‘espansione’ in realtà riguarda solo fenomeni monetari (la produzione è per
ipotesi costante23, se non addirittura decrescente a causa delle inefficienze legate alla nuova
struttura temporale dell’accumulazione).
Come accennato, sembra allora opportuno riformulare la teoria misesiana del ciclo
mantenendo sì l’intuizione wickselliana secondo cui le banche commerciali approfittano del
loro potere di signoraggio (almeno temporaneo) e provocano, attraverso l’abbassamento del
tasso di interesse reale, un periodo di espansione delle attività di consumo e di investimento;
ma chiarendo che il boom si esaurisce quando gli operatori constatano che i loro piani di
consumo sono sbagliati perché incompatibili con la frontiera delle possibilità produttive.
Naturalmente, ciò non esclude che la crisi monetaria descritta da Mises - la revisione dei piani
di consumo, il generalizzarsi del fenomeno inflazionistico e lo stato di sovra-capacità
produttiva - possa provocare sfiducia nei confronti della moneta fiduciaria come mezzo di
pagamento; di qui il signoraggio inverso e la crisi di almeno parte del sistema bancario.
Nondimeno, quest’ultimo passaggio non va dato per scontato. Non è detto che la crisi
di fiducia generata dall’inflazione investa la moneta fiduciaria, ma non quella effettiva24. Se la
crisi fosse generalizzata si perverrebbe, infatti, alla dollarizzazione dell’economia o
addirittura all’adozione fisica di un’altra unità monetaria, nel qual caso le caratteristiche della
crisi dipenderebbero dal tasso di cambio fra moneta cattiva e moneta buona, con effetti
redistributivi circoscritti alla capacità o meno di prevedere la crisi di fiducia e vendere la
23
Si veda anche Mises (1931 [2002:188], 1936 [1997:20]), ove non si nega che durante il
boom i prezzi relativi dei fattori produttivi possano variare; ma si esclude che tali variazioni
influiscano sulla quantità di fattori produttivi impiegate.
24
A sostegno della tesi Misesiana si può tuttavia ragionevolmente argomentare che la crisi di
fiducia è selettiva se la moneta effettiva è sostenuta da garanzie reali (oro) o se è imposta da
un regime di corso forzoso/legale.
14
moneta cattiva prima della dollarizzazione. Inoltre, non va ignorato che un intervento della
banca centrale a sostegno delle banche in crisi di liquidità può evitare sia la deflazione, sia la
crisi del sistema.
Piuttosto, l’argomentazione contro l’intervento della banca centrale non è tanto quella
secondo cui tale intervento corre il rischio di prolungare il boom, ampliare gli squilibri e
dunque la portata della ‘inevitabile’ crisi. L’intervento delle autorità statali va invece
scongiurato poiché questo deresponsabilizza le banche commerciali, le quali saranno indotte a
emettere quantità illimitate di moneta fiduciaria e di conseguenza a provocare gli squilibri
reali che sono il cuore della teoria austriaca del ciclo. Questo spiega perché debba essere per
contro incoraggiata la liberalizzazione del sistema finanziario, al fine di consentire alle banche
mal gestite di uscire dal mercato e di essere sostituite da attori più solidi e affidabili. È questa
del resto l’essenza di un regime di free banking, regime a più riprese auspicato da Mises
stesso.
Dinamica del ciclo e mercato dei fattori
La visione della fase di espansione trainata da consumi e investimenti, secondo quanto
proposto in queste pagine, ha due risvolti importanti – uno sotto il profilo positivo, l’altro
sotto quello normativo. Si riconsideri a questo fine l’elemento chiave della teoria misesiana
dell’inflazione e della parte monetaria del ciclo – la sequenzialità dell’aumento dei prezzi, in
virtù della quale gli investitori, indebitandosi25, entrano in possesso di moneta fiduciaria
considerata dal pubblico sostituto perfetto della moneta effettiva e aumentano il proprio
potere d’acquisto. Tale potere d’acquisto viene utilizzato per adeguare la capacità produttiva
all’aumento percepito e/o previsto della domanda di beni di consumo; cresce così la domanda
di fattori produttivi.
Se l’offerta di fattori non è perfettamente rigida, i loro proprietari reagiranno
all’aumento della domanda offrendo una quantità maggiore di input. Ciò potrà avvenire
perché il prezzo dei fattori è cresciuto: in considerazione dell’aumento del valore della
produttività marginale dei fattori gli investitori saranno infatti disposti a corrispondere ai loro
possessori una remunerazione più elevata – in ciò consiste per l’appunto l’aumento della
25
La versione misesiana non prevede l’erogazione di credito al consumo.
15
domanda di fattori. Si osservi in particolare che l’aumento del costo dei fattori che si osserva è
in termini reali, e non solo nominali. Anche se i possessori di fattori avessero capacità di
previsione perfette e sapessero che prima o poi il fenomeno inflazionistico sarà generalizzato,
la loro reazione alle richieste degli investitori non cambierebbe. Per tutto il periodo durante il
quale la sequenza inflazionistica dispiega i propri effetti, i fattori produttivi continueranno
infatti a percepire una remunerazione realmente più elevata rispetto a quella iniziale26.
Anche in questa prospettiva la fine del boom è definita dai tempi del fenomeno
inflazionistico27. A mano a mano che il livello generale dei prezzi sale, l’offerta di lavoro si
riduce, la domanda di beni di consumo si contrae e i progetti di investimento avviati si
rivelano più onerosi del previsto. Gli investitori si trovano dunque sia con un eccesso di
capacità produttiva progettata, sia con piani di investimento più onerosi rispetto a quanto
previsto, a causa della minore disponibilità di input28.
Per quanto riguarda la depressione, secondo la terminologia austriaca essa consiste nel
periodo necessario per completare l’aggiustamento. Durante questo intervallo l’output è
26
È facile a questo punto ipotizzare due scenari diversi. Se l’iniezione di moneta fiduciaria è
limitata un breve periodo, allora, dopo il momento iniziale, il prezzo reale dei fattori inizia a
declinare. Si avrà quindi un livello di produzione che subito sale molto al di sopra di quanto
riscontrato nella evenly rotating economy e poi declina gradualmente con il diffondersi
dell’inflazione, pur rimanendo ancora a lungo superiore a quello della evenly rotating
economy. Sarebbe questo uno scenario di rientro morbido dal boom.
In alternativa si può immaginare una immissione duratura di credito circolante, tale per cui
l’erosione dei prezzi dei fattori a opera dell’inflazione viene compensata dal nuovo potere
d’acquisto che viene trasferito loro dagli investitori. In questo caso l’espansione sarebbe più
intensa e prolungata – e la gravità dei problemi di sovra-capacità produttiva maggiore. Questo
secondo scenario sarebbe stato certamente più vicino alla prospettiva misesiana, secondo cui
maggiore è l’intensità e la durata dell’espansione, maggiori saranno i danni provocati dal
crash.
27
E dipende anche da quanto occorre ai consumatori per rendersi conto che le loro scelte
erano state guidate dalla percezione di una nuova frontiera produttiva, frontiera che in realtà
non è cambiata.
Garrison (1978b [1996]) propone una versione simile. Nel suo caso però la crisi non viene
innescata dai consumatori che rivedono i propri piani di consumo; bensì dai produttori, che
non riescono a ultimare i propri piani di investimento a causa della carenza di risparmi. Si dà
quindi per scontato che l’emissione di moneta fiduciaria sia limitata a un breve intervallo
temporale. Si veda più in generale Bellofiore (1999:XXI-XXIII) per il dibattito sulle cause
della crisi nel ciclo austriaco.
28
Si noti che, contrariamente a quanto avviene nel mercato finanziario, il rispetto di contratti
a lungo termine per quanto riguarda i fattori produttivi (per esempio il lavoro) sono di fatto
meno vincolanti.
16
inferiore al livello di equilibrio (tipico della evenly rotating economy) poiché gli investimenti
vanno in parte perduti e la crisi del sistema finanziario riduce le possibilità di investimento. In
altri termini, la depressione austriaca si caratterizza per una carenza di investimenti ed è tanto
più breve, quanto minori sono i tentativi di alleviare o ritardare l’aggiustamento.
Questa teoria della depressione non è però compatibile con l’impostazione proposta in
queste pagine. Se è plausibile sostenere che durante l’espansione gli investitori intensificano il
proprio impegno di accumulazione, è invece difficile comprendere come tali operatori siano
colti dalla crisi con problemi di sotto-capacità produttiva. Non a caso molti operatori durante
la depressione si astengono dall’investire per timore di trovarsi sovra-dimensionati rispetto
alle effettive richieste del mercato. Si può solo sostenere che durante la depressione si registra
una mancanza di capacità produttiva, nel senso che gli input sono diventati scarsi (rispetto al
periodo di boom). E che la ristrutturazione dei progetti d’investimento diventa necessaria: sia
perché si è investito troppo in una prospettiva di lungo periodo, sia perché si è investito con
tecniche (intensità fattoriali) che erano appropriate nella fase di espansione, ma che non lo
sono più quando subentra la crisi. Per esempio, se all’inizio del ciclo possono essere attraenti
progetti ad alta densità di lavoro poco qualificato, successivamente potrebbero risultare
preferibili investimenti a bassa intensità di lavoro poco qualificato. E non c’è dubbio che i
costi di conversione sotto questo profilo possono risultare molto elevati; probabilmente più di
quelli legati a una revisione della tempistica di realizzazione dei progetti stessi.
In sintesi, i costi di aggiustamento propri della depressione devono comprendere
anche gli effetti sulla produzione dovuti all’impiego forzosamente inefficiente dei fattori29.
Questa rappresentazione della depressione austriaca può spiegare perché l’economia, dopo il
boom, fatica a ritornare alle condizioni di funzionamento ‘normali’ e rimane a livelli di
attività insoddisfacenti. Al tempo stesso, tuttavia, essa suggerisce comunque il configurarsi di
una fase di depressione limitata al periodo in cui gli agenti ristrutturano i propri consumi, gli
investitori rivedono le proprie previsioni, la concorrenza nel settore bancario restituisce
funzionalità al sistema. Più precisamente, la fine dell’espansione si materializza in uno shock
a cui fa seguito un periodo di recupero - quindi con tassi di crescita positivi - più o meno
29
Ciò può peraltro contribuire a spiegare perché durante la depressione si assiste a una
diminuzione rallentata nell’occupazione: lasciare capacità produttiva inutilizzata può essere
più costoso che non produrre in condizioni sub-ottimali.
17
prolungato. La realtà invece presenta di frequente un andamento diverso, ove la fine del boom
è seguita da un crash relativamente morbido, a cui fa seguito un periodo di crescita prossima
allo zero (stagnazione).
Dalla depressione alla stagnazione
Mises non ha esitazioni nel considerare il ciclo deleterio per l’economia nel suo insieme. È
del resto una posizione perfettamente comprensibile, dal momento che per lui il boom non
comporta un aumento della produzione, mentre la crisi/depressione si traduce in una riduzione
di output. Egli ritiene altresì che il ciclo resti una caratteristica ineluttabile della vita
economica, poiché prima o poi le banche cedono alla tentazione di approfittare delle
opportunità di lucro offerte dal signoraggio e finiscono per emettere credito circolante.
Mises non nutre eccessiva fiducia nella memoria degli operatori, che dovrebbero
mantenere un atteggiamento di assoluta diffidenza nei confronti del sistema bancario e dei
titoli di credito da loro offerti in sostituzione della moneta. Invece, poiché la moneta fiduciaria
viene introdotta a prezzi scontati (il tasso di interesse ribassato) anche la memoria storica può
rivelarsi una barriera vulnerabile. Un altro antidoto preso in considerazione è il free banking,
le cui virtù – sempre secondo Mises – possono tuttavia essere vanificate da accordi di
cooperazione/clearing all’interno del settore bancario stesso30.
Sebbene Mises abbia senz’altro ragione nell’affermare che il ciclo è definito dalle
diverse velocità con cui i prezzi relativi reagiscono a uno shock (in questo caso l’aumento
nella quantità di moneta aggregata), banche, investitori e consumatori non esauriscono
l’elenco dei protagonisti di un ciclo economico. Se si rivolge l’attenzione alla dinamica del
mercato dei fattori produttivi, la storia dell’ultimo secolo indica che, quando i proprietari dei
fattori produttivi assistono al declino più o meno graduale delle remunerazioni reali percepite,
non sempre si rassegnano alla disciplina del mercato. Tentano invece di contrastare il
30
Dopo aver sostenuto l’idea del free banking (in realtà a base aurea), Mises alla fine degli
anni Venti contemplò la possibilità di introdurre provvedimenti di regolamentazione da parte
di una qualche autorità statale (1928 [2002:151, 175]). In anni successivi opterà invece
decisamente per un sistema monetario basato sul gold standard puro.
18
fenomeno e difendere così le proprie rendite31. Questo vale naturalmente sia per i gruppi di
interesse concentrati, sia per quelli diffusi, ma capaci - per esempio - di influire sul risultato di
una tornata elettorale; e spiega la facilità con cui alla fine della crisi (in corrispondenza della
quale si ha depressione) si riscontra attività legislativa indirizzata a conferire protezione
normativa alle rendite acquisite nei periodi precedenti: regolamentazione del mercato dei
fattori, rafforzamento delle barriere all’uscita, privilegi protezionistici a coloro già presenti e
attivi sul mercato.
Si può così concludere che durante una crisi tradizionale gli operatori si devono
confrontare con problemi di eccessiva accumulazione, ai quali reagiscono liberando fattori
produttivi non più richiesti. Tuttavia, se il governo interviene con provvedimenti atti a
rallentare o fermare il declino nei prezzi dei fattori, i produttori - soprattutto se non
privilegiati - saranno stimolati a lasciare il capitale fisso inutilizzato o addirittura a cessare
l’attività per evitare di subire perdite. È effettivamente quanto si riscontra di frequente nella
realtà. Questo non significa che gli investimenti si riducano a zero, poiché la crisi di per sè
non implica scomparsa di capacità imprenditoriale. Significa però che coloro disposti a
riprendere a investire – ponendo così fine alla depressione – non lo faranno necessariamente
nel Paese ove è stata introdotta la regolamentazione più stringente. Anzi, è probabile che la
concorrenza istituzionale faccia sentire il proprio peso e che spieghi come due diverse realtà si
evolvono a seguito della fine di un periodo di crisi, che in alcuni casi sfocia in un rilancio, in
altri in una depressione (stagnante). In questi ultimi la stagnazione potrebbe in effetti
aggravarsi a causa di ulteriori pressioni regolamentatrici.
Questo scenario ben si presta peraltro a spiegare anche fenomeni ciclici innescati da
shock illusori di origine non monetaria. Si pensi per esempio a un grappolo di innovazioni che
danno luogo a un’ondata di ingiustificato ottimismo sulla dinamica della domanda futura. E si
supponga che dopo un certo periodo l’euforia svanisca, la propensione a investire si attenui e
con essa la domanda di fattori produttivi. Anche qui, se il governo cede alle pressioni dei rent
seekers la crisi si acuisce e il recupero ciclico si trasforma in depressione. Si ha quindi che, in
31
Vale la pena di ricordare che i possessori dei fattori produttivi solo al margine sono
indifferenti fra l’entrare nel processo produttivo alla remunerazione data e il rimanerne fuori. I
proprietari infra-marginali, invece, sono beneficiari di una quasi-rendita, l’ammontare della
quale varia al variare della remunerazione. In altri termini, a fronte di una riduzione nel
salario reale per il lavoratore marginale uscire dal mercato del lavoro non comporta sacrificio,
poiché il vecchio salario era uguale suo costo opportunità. Lo stesso ragionamento non vale
invece per coloro che sarebbero stati disposti a lavorare anche un salario inferiore.
19
conseguenza di un intervento governativo, una normale variazione del clima congiunturale si
trasforma in depressione32. Più in generale, qualunque evento - illusorio o no - che viene
percepito dagli agenti in modo sequenziale può innescare un ciclo, le conseguenze permanenti
del quale dipendono da come le autorità reagiscono quando le varie categorie di agenti
cercheranno di mantenere le posizioni di privilegio acquisite nelle varie fasi del ciclo stesso o
di evitare i costi dell’aggiustamento (che possono naturalmente comprendere anche quelli del
malinvestment misesiano).
Risulta dunque in parte confermato il pessimismo misesiano: né il free banking, né il
gold standard sono in realtà sufficienti a soffocare il ciclo sul nascere. Per un verso vi sono
infatti altri percorsi - oltre a quello monetario - attraverso i quali il ciclo economico può
materializzarsi. Inoltre, non è detto che, alla fine del ciclo, una politica monetaria
accomodante non sia preferibile ai danni provocati dal signoraggio inverso. Piuttosto, la storia
dimostra che la libertà di scegliere, se necessario anche con i piedi, è la migliore garanzia
contro la depressione e la stagnazione. Se dunque si deve trarre da tutto ciò un insegnamento
normativo, non resta che auspicare che si approfitti dei periodi di espansione per liberalizzare
l’economia e per aumentare il costo di ritornare sulle proprie decisioni.
32
Questa tipologia di fenomeni è probabilmente estranea a quella a cui gli Austriaci si
riferivano nel primo quarto del secolo scorso. Nondimeno, quanto esemplificato nel testo è del
tutto compatibile e coerente con i fondamenti dell’economia austriaca, secondo cui la crescita
è spiegata dalle decisioni imprenditoriali dei singoli individui e può essere vanificata
dall’intervento governativo.
20
In conclusione
Nonostante la perdurante attualità dei due meccanismi conduttori - sequenzialità degli shock
(monetari) e scostamento illusorio fra fondamentali percepiti e fondamentali effettivi - la
visione austriaca del ciclo ha occupato un ruolo tutto sommato secondario nel dibattito
economico (Oppers 2003 e, più in generale, Garrison 1978a [1996]). Forse, qualche
responsabilità è attribuibile alla insufficienza degli sforzi, da parte di numerosi esponenti della
Scuola austriaca degli ultimi decenni, nell’adattare le intuizioni misesiane degli anni Venti
alla realtà istituzionale odierna. A ciò si aggiungono alcune ambiguità dello stesso Mises, che
trascurò di approfondire alcuni aspetti istituzionali, fra cui le implicazioni del corso legale
all’interno di un ciclo economico.
In queste pagine si è voluto analizzare con maggiore attenzione la coerenza
dell’impianto austriaco originario. Si è così rilevato come la sua portata esplicativa sia stata
probabilmente penalizzata dal fatto che Mises avesse formulato ipotesi talmente stringenti (e
non necessarie) da trasformare il problema del ciclo economico in una questione di squilibrio
inflazionistico e investimento distorto. Poiché i boom odierni sfociano spesso in una sorta di
stagflazione, è comprensibile che l’attenzione verso questa tipologia di dinamica economica
non sia mai stata particolarmente vivace. Si tratta tuttavia di lacune - se di vere lacune si può
parlare - che possono essere analizzate senza difficoltà nell’alveo stesso del soggettivismo
austriaco. L’enfasi austriaca sull’inflazione sequenziale e sul ruolo delle istituzioni hanno
posto i pilastri essenziali di un programma di ricerca che, a distanza di quasi un secolo,
rimane promettente e non esclude certo né un mercato dei fattori con offerta elastica, né la
possibilità di intraprendere attività di rent seeking, soprattutto in fasi congiunturali negative.
21
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23