Atti dell’Accademia Romanistica Costantiniana XIX
ISBN 978-88-548-5299-0
DOI 10.4399/97888548529905
pp. 125–174 (settembre 2013)
VICTOR CRESCENZI
Università di Urbino
ASSOGGETTARE PER ORGANIZZARE:
VARIANTI DELLA SUBORDINAZIONE
1. Per cogliere i termini storiografici della fisionomia giuridica della
subordinazione nel contratto di lavoro è opportuno tornare a considerare la struttura della locatio-conductio nell’esperienza del diritto romano,
quale risulta, tra l’altro, da indagini ormai consolidate che si devono ad
una storiografia criticamente orientata.
L’unitarietà di questo contratto, rilevata, com’è noto dall’Arangio-Ruiz, in
opposizione alla tradizione della Pandettistica, che distingue le tre figure (locatio rei, operarum e operis)1 e successivamente studiata analiticamente e dimostrata dal Brasiello2, ha come pernio e trova conferma3 nella considerazione
del suo oggetto: la cosa locata. Il realismo che connota molte delle figure contrattuali che risalgono al più antico diritto romano, un realismo che m’induce
a parlare della “cosalità” come di un quid connotativo di queste figure, che
ruotano intorno alla problematica del loro oggetto, consistente per lo più in
una ben individuata res, la disciplina della cui collocazione è preminente sopra
ogni altra considerazione giuridica, concerne tutte le fattispecie della locatio.
Astrarre dalla cosa locata, trasformarla in un’entità smaterializzata, o
addirittura configurare il godimento della cosa come elemento strutturale
del contratto – dunque, quale suo elemento giuridicamente rilevante –
1
V. ARANGIO-RUIZ, già nella prima edizione (Napoli 1921, 235 ss.) delle sue Istituzioni di diritto
romano, rileva l’unitarietà di questa figura contrattuale, quale risulta dalle fonti: v. ora le medesime
Istituzioni, nella terza edizione riveduta e aggiornata, Napoli 1934, 333 s.
2
U. BRASIELLO, L’unitarietà del concetto di locazione in diritto romano in Rivista italiana per le
scienze giuridiche, 2, 1927, 529-580 e 3, 1928, 3-38: qui, p. 535 e nota 2.
3
Cfr. L. AMIRANTE, Ricerche in tema di locazione in BIDR, 62, 1959, 9-119: qui, p. 19 e note 1 e 2.
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nella disciplina romanistica preclude la comprensione della stessa impostazione che a questa figura è impressa dalle fonti, prima di tutte da quelle
Institutiones di Giustiniano che testimoniano del modo con il quale essa
continua ad essere concettualizzata e disciplinata ancora nel VI secolo,
vale a dire in età tardoantica. Né si potrebbe capire perché, ancora appunto in età giustinianea, la locatio-conductio continui ad essere messa
in relazione con la vendita, con l’emptio-uenditio; e nemmeno perché si
continui ad affermare che ut emptio et uenditio ita contrahitur si de pretio
conuenerit, sic etiam locatio et conductio ita contrahi intellegitur si merces
constituta sit (I. 3,24 pr.). Il fatto, infine, che la problematica differenziale
tra vendita e locazione risalga alle Institutiones gaiane (cfr. GAII, 3,142)
dimostra quanto questo sia tutt’altro che un topos tralaticio, e quanto
appunto l’identità di genere nell’oggetto di questa obligatio consensu contracta costituisce un problema in quanto tale.
Quest’oggetto è, dunque, una res, e uno degli effetti del contratto
è quello di attribuire invariabilmente al conduttore l’obbligazione alla
restituzione della cosa. Sottolineo invariabilmente, perché la genesi di
questa obbligazione in capo al conduttore si ha sia nella locatio operarum, in cui conduttore è colui che si avvale delle operae di colui che gliele loca, sia nella locatio operis, in cui conduttore è colui che deve eseguire un opus con riferimento ad una cosa consegnatagli dal locatore, ossia
deve compiere un’operazione che oggidì diremo di lavoro autonomo,
sicché chi si avvale di questo opus è, questa volta, il locatore. Invero,
la funzione di questo contratto è specificamente quella di disciplinare
il fatto della collocazione della cosa in una sfera giuridico-economica
diversa da quella per così dire consueta, che è, in definitiva, la sfera del
suo proprietario, o, per meglio dire, del suo dominus. Non ripercorrerò
qui nella sua interezza la ricostruzione che della locatio-conductio è stata
fatta magistralmente dagli autori che l’hanno studiata ex professo, e mi
limiterò a ripetere un quesito che si ripresenta ogni volta che si affronta
questo argomento: posto il realismo, ovvero il materialismo, come altri preferisce denominarlo, della locatio-conductio, qual è la cosa, qual
è la res che costituisce l’oggetto della locatio operarum, la quale altro
non è che uno dei modi in cui l’unitaria figura della locatio-conductio è
esperita nel diritto romano? La risposta, come è noto, non è scontata,
perché a dispetto della denominazione – locatio operarum – non sono, le
operae, oggetto del contratto. Considerare questa denominazione nella
sua letteralità, in effetti, è fallace.
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Del resto, altrettanto ingannevole è spiegare letteralmente la locatio
operis: anche qui sarebbe arduo considerare l’opus che costituisce la specificazione della locatio come oggetto di un contratto in cui il locator non
è colui che a tale opus è tenuto, ma colui che consegna una res al conductor perché su di essa si esegua a suo vantaggio un opus, consistente nella
realizzazione di una res diversa da quella locata tramite la manipolazione
e trasformazione di questa, la sua pulitura o la sua tintura, il suo trasporto, per nominare alcuni dei casi per così dire di scuola4.
Ma non perdiamo di vista il punto focale della nostra osservazione
e torniamo alla locatio operarum. Diciamo subito che alla considerazione delle operae come oggetto della locatio osta una perentoria constatazione di Ulpiano, inserita in D. 38,1,9 pr.: operae in rerum natura non
sunt. Ciò implica che esse, in quanto non appartenenti al mondo reale,
non sono suscettibili di essere oggetto del contratto, come è stato osservato autorevolmente a suo tempo da chi oggi qui presiede5: si tratta di
una constatazione perfettamente coerente con il realismo che connota
la locatio-conductio. Né vale, per la loro deducibilità in una stipulazione,
la loro considerazione come cosa futura, secondo quanto sembrerebbe
consentire lo stesso Ulpiano nel successivo §1 del medesimo frammento:
invero, ciò che ammette il giureconsulto è la considerazione delle operae
futurae come oggetto possibile di contratto limitatamente alle operae officiales, in quanto queste sono dovute e promesse esclusivamente all’interno di un rapporto specifico e determinato nella sua fisionomia giuridica, qual è quello che intercorre tra patronus e libertus nell’ambito del
quale si esauriscono: Sed officiales quidem futurae nec cuiquam alii deberi
possunt quam patrono, cum proprietas earum et in edentis persona et in
eius cui eduntur constitit, scolpisce il giureconsulto in D. 38,1,9,1. Questo
rapporto è il presupposto della relativa stipulatio, che ha la funzione di
trasformare l’officium in obbligazione certa e determinata, in obbligazione civile, posto che essa stipulatio è «diretta – per riprendere le parole
del Martini – non a soddisfare gli interessi reciproci delle parti, l’uno
ad ottenere una remunerazione, l’altro a vedersi prestare una attività di
BRASIELLO, L’unitarietà, 547 ss.; AMIRANTE, Ricerche, 65 ss. Ma v. le definitive osservazioni di
R. MARTINI, «Mercennarius». Contributo allo studio dei rapporti di lavoro in diritto romano, Milano
1958, 19-21.
5
MARTINI, «Mercennarius», 17-18.
4
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lavoro, ma quello esclusivo del patrono delle opere»6. In altre parole, la
loro possibilità di essere oggetto di stipulazione (nel caso della stipulatio
operarum), quantunque non (ancora) esistenti, risiede in una certa determinatezza che deriva loro dall’essere operae officiales, vale a dire operae
dovute all’interno di un rapporto preesistente e determinato che prevede
di per sé la prestazione di queste operae; un rapporto, nel quale è possibile identificare un soggetto cui sono dovute e un soggetto che le deve
prestare, e che tramite la stipulatio si assume la relativa obbligazione civile: nec cuiquam alii deberi possunt quam patrono. Del resto, esse si definiscono come officiales, consistono, appunto, in servizi dovuti dal liberto
al patrono, in quanto liberto e in quanto, rispettivamente, patrono, e non
escono da questa rigorosa relazione bipolare all’interno della quale sono
e rimangono nella disponibilità esclusiva della persona che le esegue e di
quella di colui che ne è destinatario: cum proprietas earum et in edentis
persona et in eius cui eduntur consistit7.
Né mi sembra contraddire la perentorietà che connota il frammento
di Ulpiano la discorsività di Paolo di D. 7,7,1: Opera in actu consistit nec
ante in rerum natura est, quam si dies uenit, quo praestanda est, quemadmodum cum stipulamur “quod ex Arethusa natum erit”. Perché, posto che in
rerum natura non sunt, ci sarà ben un momento in cui, o a decorrere dal
quale le operae si possono considerare un dato della realtà. Sicché, senza
voler semplificare o banalmente obliterare possibili contraddizioni tra due
frammenti di quell’oceano che è la compilazione giustinianea8, non è improbabile che i due frammenti assolvano a funzioni differenziate, sicché
si possa riconoscere al passo di Paolo la finalità di indicare il momento, a
partire dal quale un’opera si possa considerare esistente; e questo momento
è identificato nell’actus che le dà consistenza di realtà, ossia concretezza;
ma questo actus non è indifferenziato; per poter dare all’opera concretezza
deve essere un actus determinato: quello che si esegue a partire dal dies
nel quale l’opera deve essere eseguita come adempimento – praestanda erit
– ; prima di quel dies ogni attività non è rilevante come opera, e quindi
rimane fuori della natura rerum; a partire da quel dies nel quale l’opera è
MARTINI, «Mercennarius», 45.
J. THÉLOHAN, De la stipulatio operarum in Études d’histoire juridique offertes à P. Fr. Girard,
Paris 1913, 355-377, qui p. 362. Cfr. D. 38,1,1: operae sunt diurnum officium.
8
MARTINI, «Mercennarius», 19.
6
7
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dovuta l’actus che la pone in essere è idoneo a collocarla in rerum natura e
a farla diventare giuridicamente rilevante. È un’affermazione, questa, che
naturalmente implica che prima di questo momento essa non appartiene al
mondo reale; sicché l’actus cui allude Paolo come quello, a decorrere dal
quale l’opera si può dire esistente, è determinato dal momento in cui deve
essere prestata. Insomma, senza negare la possibilità che Paolo ed Ulpiano
veicolino pensieri parzialmente divergenti, è però pensabile che entrambi
vogliano mettere l’accento su configurazioni diverse nelle quali le operae
possono presentarsi, a seconda del punto di vista dal quale le si osservano,
anche tenuto conto dei diversi rapporti nei quali sono dedotte.
Ma anche la analitica specificazione di Paolo ci dice che nemmeno le
operae seruorum sono possibile oggetto di contratto; anzi sembrerebbe
che proprio quelle degli schiavi non possano pervenire mai a costituire, in
quanto tali, oggetto di un contratto, posto che esse acquistano consistenza
e rilevanza solo a partire dal giorno della loro prestazione: si dies uenit,
dove l’ipoteticità introdotta dal “si” concerne il dies, nella misura nella quale questo non è un dies naturalisticamente considerato, ma il dies dell’actus,
nel quale l’opera consistit, ovvero il dies della prestazione, e di conseguenza
la prestazione stessa, che come si sa per le operae ha per base la giornata di
lavoro, essendo il dies la misura indivisibile di un’opera; sicché, dire si dies
uenit, vale dire, si praestata opera erit. Questa rilevanza, quindi, si colloca
sul piano dell’esecuzione del contratto e dei relativi effetti, non su quello del
suo oggetto: se la prestazione è adempiuta – se le operae sono prestate – si
percepisce la merces (D. 7,7,3); se la prestazione non è adempiuta – se le
operae non sono prestate – esse mantengono pur sempre la loro rilevanza
giuridica in quanto misura dell’inadempimento. In realtà, qui Paolo non sta
ragionando sulla suscettibilità delle operae seruorum di essere oggetto di
contratto, né quel che dice ne può costituire il presupposto, ma sta osservando il momento dell’actus da cui scaturiscono e sottolinea la loro natura
eventuale, essendo la loro esistenza condizionata dall’essere prestate a partire dal giorno in cui sono dovute. In altre parole esse vengono in essere per
effetto dell’actus che le pone in essere, e sono giuridicamente rilevanti se
poste in essere non prima del giorno in cui devono essere prestate, ovvero,
meglio, non prima di quando e se questo giorno viene e in questo giorno
sono prestate: ante [...] quam si dies uenit, quo praestanda est, analogamente
a quanto accade per quod ex Arethusa natum erit, che allo stesso modo ha
rilevanza giuridica non prima di quando e se natum erit, ossia ante quam si
dies uenit, quo natum erit, si potrebbe dire parafrasando Paolo.
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2. Checché sia di ciò, rimane aperto l’interrogativo sopra proposto:
qual è la res che costituisce l’oggetto della locatio operarum?
Com’è noto, una parte della storiografia giuridica, segnatamente quella che
ha studiato specificamente la locatio operarum come la forma contrattuale per
mezzo della quale, fino alla coniazione di una fattispecie tipica tramite il contratto di lavoro subordinato (art. 2094 C. C., per quel che concerne la storia
del diritto in Italia) si è scambiato lavoro contro un corrispettivo, ritiene che
mentre nel diritto classico oggetto del contratto sia la persona dello schiavo
o del libero9, nel diritto post-classico si assisterebbe ad un processo evolutivo
che si esplicherebbe su due versanti: sul versante del genere dell’obbligazione
che scaturisce dalla locatio si realizzerebbe una metamorfosi da obbligazione
di dare in obbligazione di fare10; sul versante della struttura del contratto, e
in conseguenza della prima metamorfosi appena vista, l’oggetto non sarebbe
più la persona di colui che è tenuto a praestare le operae, ma proprio queste
stesse operae11. D’altra parte, la persistenza della configurazione dei rapporti
obbligatori relativi alle operae come obbligazioni in dando avrebbe determinato, rispetto alla generale figura della locatio-conductio, l’insorgere di alcune
insanabili anomalie da cui la locatio operarum sarebbe affetta: questa sarebbe
l’unica forma di locatio nella quale verrebbe meno l’obbligazione di restituire
la cosa locata nella sua integrità alla fine del periodo contrattuale12. Di qui
un paradosso che sarebbe stato sanato nel diritto post-classico per effetto di
quella che è stata definita «una rettifica dommatica, che portò le obbligazioni
di operae nella categoria di quelle in faciendo»13.
Vedremo più oltre la fondatezza di questa «rettifica dommatica».
Quel che occorre osservare immediatamente è che le pretese anomalie di
cui sarebbe stata affetta la locatio operarum, persistendo la configurazione
delle obbligazioni che ne scaturiscono in età classica con riguardo alle
9
Cfr. F. M. DE ROBERTIS, I rapporti di lavoro nel mondo romano, Milano 1946, 56, ammette che
oggetto del contratto è la persona di colui che deve prestare le operae, ma soltanto nel segmento
temporale più antico e comunque nel diritto classico (p. 18 s.); per il periodo post-classico egli
parla di una tendenza a «svincolare la concezione delle operae da ogni legame di intima dipendenza
dal concetto di res» (p. 19 ss.).
10
DE ROBERTIS, I rapporti, 25 s.
11
DE ROBERTIS, I rapporti, 25 s.
12
DE ROBERTIS, I rapporti, 24.
13
DE ROBERTIS, I rapporti, 25.
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operae come obbligazioni in dando, sembrano l’esito di un ragionamento
che presenta alcune aporie: invero, se si ammette, come si ammette per il
diritto classico, che oggetto del contratto è la persona del seruus prima e
successivamente del libero locator sui, il dare cui è tenuto il locatore altro
non può essere che la sua propria persona, la quale, al termine del periodo contrattuale, viene restituita al locatore nella sua integrità14. Insomma,
la configurazione del rapporto obbligatorio non concerne le operae, ma la
persona in quanto tenuta alla prestazione delle operae e in ciò non si vede
dove siano anomalie o contraddizioni interne alla struttura della locazione delle opere rispetto all’intera figura della locatio-conductio, perché
questa persona, una volta concluso il rapporto, deve tornare nella piena
disponibilità di colui che ne è, per così dire, titolare. Se questa persona
è un seruus, essa torna nella disponibilità del dominus e deve tornarci integra15; se è un libero, questi riacquista la piena disponibilità di se stesso
uscendo dalla disponibilità del conductor. Il problema, semmai, è quello
di identificare la fine essenza di questa disponibilità, come subito vedremo, e il grado di incidenza sulla effettiva libertà del locator, uomo libero.
Dico subito che la trama di questa fine essenza si rivela, anche se in controluce, nella disciplina e nella possibilità stessa del recesso unilaterale
prima della scadenza dei termini contrattuali.
In realtà, come si può constatare, il problema storiografico, ma anche
concettuale intorno al quale ruotano diversi aspetti della locatio operarum, e il fatto stesso che questa sia pur sempre una locatio, sta proprio
nella questione dell’oggetto del contratto e nella necessità di distinguerlo
dagli effetti che esso produce, in particolare dai suoi effetti obbligatori:
se oggetto del contratto non sono le operae, questo oggetto può consistere solo nell’unica res che in quanto tale, in quanto res è dedotta in una
locatio-conductio (unica, naturalmente, se si fa astrazione dalla merces),
ossia nell’unica res che viene collocata da colui – il locator – che per così
dire ne ha la disponibilità giuridica ed economica, nella sfera giuridica ed
economica di un altro soggetto – il conductor. Questa res non può essere
altro che la persona stessa del locatore.
Ovvio che ad una tale configurazione di questa fattispecie abbia contribuito la sua origine, se non certa, alquanto probabile; ossia il fatto che essa
14
15
AMIRANTE, Ricerche, 58-64.
AMIRANTE, Ricerche, 58-64.
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disciplinasse la collocazione di schiavi dalla sfera giuridico-economica del
loro dominus nella disponibilità giuridico-economica di un terzo, che così
acquisiva la facoltà di sfruttarne le operae. Che gli schiavi siano denominati
in questa fattispecie non per il loro essere persone, ma per la loro potenzialità di esplicare un’attività a vantaggio del terzo conduttore non stupirà; non stupirà, quindi che locatio operarum valga per locazione di tante
unità lavorative moltiplicate per i giorni di durata del contratto, nei quali
gli schiavi dovevano esplicare a vantaggio del conduttore la loro attività, e
che quindi queste unità lavorative commisurate al giorno siano identificate
con il termine univoco di operae, posto che opera è appunto una giornata
di lavoro: operae sunt diurnum officium, sancisce D. 38,1,1 (Paulus)16. Ma
questo nulla toglie al fatto che oggetto primitivo della locazione è la persona del seruus e che il suo effetto obbligatorio, il contenuto del rapporto locativo che dal contratto scaturisce, per usare ancora una volta le parole del
Martini17, consiste in ciò, che il locator, dominus delle res che sono appunto
i serui, sia tenuto a mettere nella disponibilità del conductor – che non per
questo ne diviene dominus – tali res, affinché se ne avvalga conformemente
alla legge del contratto, con l’obbligo di restituirle integre alla fine del periodo pattuito18.
Nulla di contraddittorio, dunque, al di là delle apparenze, alberga nella locuzione «locare operas», quando il contratto ha per oggetto i serui19.
Infatti, se è vero che sul piano naturalistico questa locatio coinvolge tre
persone – il locator, il conductor e il seruus – sul piano giuridico, posto che
il seruus se è persona non è, appunto, soggetto di diritto, riguarda sempre
due soggetti, e cioè il dominus che locat operas, ossia dà in locazione uno
o più serui che rappresentano la quantità di operae che ciascun servo locato deve eseguire, secondo una equivalenza seruus-opera che si può dire
consolidata, e il conductor, che si avvarrà di questi serui-operae nel modo
più confacente ai propri interessi, ossia si avvarrà di questa forza lavoro,
assumendo contestualmente l’obbligazione di restituirli, e promette al locator una merces di corrispettivo.
16
Cfr. anche D. 38,1,3,1:
Nec pars operae per horas solui potest, quia id est officii diurni. Itaque nec ei liberto, qui
sex horis dumtaxat antemeridianis praesto fuisset, liberatio eius diei contingit.
17
R. MARTINI, «Mercennarius», 45.
18
AMIRANTE, Ricerche, 58-64.
19
Che si tratti di contraddizione apparente rileva anche il MARTINI, «Mercennarius», 38.
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Un discorso perfettamente analogo può e deve essere fatto se la locatio
concerne le operae di un uomo libero, che dà in locazione se stesso – locat
se – perché si ponga a disposizione del conductor per l’esecuzione, in misura conforme agli interessi di quest’ultimo, di tante operae quante sono
quelle che egli stesso rappresenta, sempre sulla base della equivalenza
homo-opera, dove l’opera è una giornata indivisibile di lavoro.
Ma il senso della locuzione locare operas non va nella identificazione
delle operae quale oggetto del contratto, ma nel senso dell’identificazione
del suo contenuto obbligatorio: per quanto oggetto del contratto siano le
persone – di serui o di liberi, poco importa – esse persone sono messe a
disposizione del conduttore al fine di prestare un’attività nel suo interesse. Il pagamento della mercede ne costituisce il corrispettivo, o meglio,
costituisce il corrispettivo dell’arricchimento che il conductor ricava dal
conducere operas, ossia dal conducere persone che, nel caso di uomini liberi, in quanto hanno locato se stesse, si sono obbligati a eseguire le operae
secondo la legge del contratto20.
Ciò vuol dire che la disponibilità che il conduttore acquista dell’oggetto a causa del contratto, vale a dire la disponibilità della persona,
non è assoluta, ma relativa e limitata alle operae, alla prestazione di
un’attività nel suo interesse e limitatamente al periodo pattuito – e ciò
sia per il caso della locazione dello schiavo, sia per il caso della locazione del libero. Qui passa la linea di demarcazione tra locatio-conductio e
emptio-uenditio. Con questa il venditore si spoglia definitivamente della disponibilità, propriamente del dominium dell’oggetto del contratto
venduto dietro il pagamento del prezzo; con la prima il locatore cede
per un periodo limitato la disponibilità dell’oggetto del contratto ad un
terzo, che può avvalersene conformemente alla natura di esso oggetto,
dietro il pagamento di una mercede, ma non ne perde il dominium, neanche per un periodo limitato, come avviene, per esempio, nel mutuo;
anzi, obbligazione essenziale della locazione è quella della restituzione
dell’oggetto locato alla fine del periodo pattuito nella sua integrità originaria. Nella locazione il contratto è propriamente lo strumento per
20
La specifica natura della merces nella locatio-conductio è messa limpidamente in luce
dall’AMIRANTE, Ricerche, 103 ss. L’analisi dell’Amirante è condotta con particolare riferimento alla
locatio operis, ma vale anche per la locatio operarum, com’è facile constatare; v. in part. p.108 e le
conclusioni di p. 111.
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mezzo del quale il locatore tutela il suo interesse preminente, che è
quello di vedersi restituita la cosa nella sua integrità. Qui la causa è
un dare al fine di vedersi restituire nella sua piena integrità ciò che si
è dato, secondo queste incisive parole di Ulpiano in D. 19,2,11,2: item
prospicere debet conductor, ne aliquo uel ius rei uel corpus deterius faciat
uel fieri patiatur21. Questo tratto è comune a ogni figura specifica di
locatio-conductio, indipendentemente dal suo essere operarum, operis
o semplicemente e seccamente rei, e dimostra, se ce ne fosse ancora
bisogno, anche da questo punto di vista funzionale l’unità concettuale
ed empirica di questa causa obligationum.
3. Come si qualifica il rapporto che, a seguito della locatio operarum
dell’ingenuus, si instaura con il conductor? Da tutto quel che si è venuto
dicendo fin qui, e in particolare dal dato, che si può dire ormai sicuro,
secondo il quale nella locazione dell’uomo libero l’oggetto del contratto è
la persona stessa del locatore contraente22, si può desumere che la relazione tra locator ingenuus e il relativo conduttore implica una situazione che
non saprei indicare meglio che con il termine “subordinazione”23: essa,
come ha notato a suo tempo anche il Martini studiando il mercennarius,
insistendo sull’analisi differenziale tra locatio operarum e stipulatio operarum, è, appunto, in diretta connessione causale con l’essere l’oggetto del
contratto la persona stessa del locatore24.
Cfr. per es. D. 19,2,9,5; D. 19,2,11,4; D. 19,2,12. Cfr. AMIRANTE, Ricerche, 62 ss.
È la conclusione cui perviene lo stesso MARTINI, «Mercennarius», 38. Cfr. anche AMIRANTE,
Ricerche, 63-64; CRESCENZI, Libertà, lavoro, diritto. Per una fenomenologia storica del lavoro come
oggetto di considerazione giuridica in Diritto romano attuale. Storia, metodo, cultura nella scienza
giuridica, 2006, 1, 54 s. (confesso che al tempo della stesura dell’articolo qui citato non avevo
potuto ancora leggere il lavoro del Martini, peraltro citato dall’Amirante).
23
In questo senso non si può che concordare con MARTINI, «Mercennarius», 47. Cfr. anche
CRESCENZI, Libertà, lavoro, diritto, 54 s.
24
MARTINI, «Mercennarius», 47: «Anche se con la locatio si tende a creare un rapporto obbligatorio avendo di mira la prestazione di attività lavorativa, non è però senza conseguenze che
questo scopo si raggiunga ponendo sé stessi alle dipendenze del conduttore e non assumendo
direttamente, come nella stipulatio, l’obbligazione a fornire le proprie opere»; e criticando il DE ROBERTIS, I rapporti, 224, aggiunge: «Il De Robertis invece è costretto a cercare altrove il fondamento
della subordinazione del lavoratore», vale a dire nel suo inserimento temporaneo nella familia, e
quindi sotto la potestas del paterfamilias, il che sarebbe incongruo per quei rapporti di locazione
non di tipo familiare, come quelli relativi alle imprese industriali ed edilizie che agiscono in età
imperiale. Cfr. CRESCENZI, Libertà, lavoro, diritto, 54 (v. anche supra la nota 23).
21
22
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Ma detto ciò, occorre procedere in una ulteriore approssimazione e
domandarsi: come si qualifica giuridicamente la situazione che a seguito
di una locatio operarum dell’ingenuus, si instaura tra locator e conductor,
e che qui ho identificato, sulla scorta della migliore dottrina, ricorrendo
alla “subordinazione”?
La domanda non è viziata da ovvietà25, e ciò risulterà chiaro se si considerano tutti gli aspetti problematici che sono implicati dal ricorso alla
figura della subordinazione.
Il primo aspetto consiste in un preliminare problema storiografico: per
qualificare giuridicamente la relazione che passa tra locator e conductor nella locatio operarum dell’ingenuus in età classica, postclassica e tardo-antica
– e probabilmente anche medievale26 – usiamo un termine squisitamente
moderno, che si è affacciato nella terminologia giuridica abbastanza di recente. Confesso di non aver compiuto un’indagine storiografica per identificare il terminus a quo dell’uso di questa parola per qualificare il lavoro
prestato alle dipendenze di un datore di lavoro, e non c’è dubbio che una
simile indagine sarebbe opportuna sotto ogni riguardo; ricordo soltanto
che quella parola è usata dal Barassi con connotazione dichiaratamente sociologica e non giuridica, come ho accennato sopra27, nella sua trattazione
su Il contratto di lavoro nel diritto positivo italiano, che, è del 1901. Il diritto
positivo italiano, appunto: il quale nel 1901 disciplina lo scambio di lavoro
in tutte le sue forme (autonomo o dipendente) contro una retribuzione
all’interno del contratto di locazione di opera. Per quel che posso dire,
nemmeno la legge sui probiviri del 1893, o la Carta del lavoro del 1927, o
la legislazione fascista dal 1926 al 1942 sembra usare questo termine: questi testi, ad una prima rapida ispezione, mostrano di identificare il lavoro
subordinato semplicemente come “lavoro” – al massimo usano l’aggettivo
“dipendente”, ma specificamente per qualificare il lavoratore – e su questa
base ne dettano la disciplina, sia nel suo versante individuale, sia in quello
collettivo (ma naturalmente questa è un’impressione che potrebbe essere
25
Ad una nozione sociologica di subordinazione, invece, si rifà il Barassi ancora agli inizi
del XX secolo, sebbene al centro della sua dottrina del diritto del lavoro sia sempre la locazione
d’opera; cfr. L. BARASSI, Il contratto di lavoro nel diritto positivo italiano, Milano 1901, rist. anast. a
cura di M. NAPOLI, Milano 2003, 31s.
26
Una prima indagine in CRESCENZI, Varianti della subordinazione, 2, I Glossatori in Initium.
Revista catalana d’história del dret, 16, 2011, 75-130.
27
Cfr. BARASSI, Il contratto di lavoro, 31 s. V. supra nota 25.
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smentita dalla desiderabile indagine lessicografica ad hoc cui facevo riferimento e tuttora, a quel che ne so, manchevole); sembrerebbe che solo con
il codice del 1942 troviamo nominato il lavoro subordinato, come quello
prestato «alle dipendenze e sotto la direzione dell’imprenditore», sia nella
rubrica, sia nel testo dell’art. 2094, che, come è noto, sostituisce la locazione con una fattispecie negoziale tipica, quella che disciplina lo scambio
di lavoro contro mercede. In quanto fattispecie tipica, quella del lavoro
subordinato è qui intrinsecamente connessa appunto con la subordinazione, che così è tipizzata e configurata proprio come un rapporto giuridico,
vale a dire intersoggettivo, in tutti i suoi aspetti, primo tra tutti quello disciplinare (art. 2106). Usare, quindi, la categoria della subordinazione per
qualificare il rapporto di locazione di opere del libero in età premoderna, o,
meglio, per tutto il segmento che ha come punto terminale proprio il 1942
obbliga ad una grande circospezione e soprattutto a stabilire di cosa si stia
parlando: qui, di cosa si stia parlando sotto l’impero del regolamento che
deriva dalla struttura della locatio-conductio operarum dell’ingenuus, così
come questo risulta dettato nella compilazione giustinianea o più generale
in età tardoantica.
Questa serie di considerazioni mette in luce un secondo aspetto problematico implicato dal ricorso alla subordinazione per identificare la relazione tra locator ingenuus e conductor; un aspetto problematico che si può
esprimere con queste domande: qual è la natura di questa relazione? Si
tratta di un rapporto giuridico? In tal caso, quali sono i diritti e gli obblighi,
i poteri e i doveri che ne derivano, se ne derivano? Oppure è una relazione
di fatto? E, in tal caso, cosa implica nella reciproca posizione delle parti?
A queste domande, tuttavia, non si può rispondere se non si scioglie
un nodo: come è nominata, se è nominata, vale a dire identificata la subordinazione nelle fonti? In breve, dove si annida l’elemento della subordinazione nella struttura della locatio-conductio?
Invero, perché ci sia un rapporto giuridico devono darsi almeno due
soggetti che del rapporto sono i termini; ma per effetto della locatio operarum concernente serui tra questi e il conductor non s’instaura alcun rapporto giuridico, com’è ovvio. Invero, i contraenti sono, in questa ipotesi,
il locator, dominus dei serui locati, e il conductor che se ne avvale, gli unici
due soggetti di pieno diritto tra i quali è possibile che s’instauri un rapporto giuridico: i serui locati, per parte loro, entrano nel contratto solo
come oggetto – la res locata – ; ma proprio perché mera res locata essi
vanno considerati alla stregua di qualsiasi altra res, quale potrebbe essere
ASSOGGETTARE PER ORGANIZZARE: VARIANTI DELLA SUBORDINAZIONE
137
un qualsiasi altro bene dato in locazione, o, nella specie qualsiasi bene
strumentale capace di produrre frutti, di arrecare vantaggi a chi se ne
serve, e che per servirsene lo prende in locazione, vale a dire lo conduce.
Per quanto ciò possa apparire poco gradevole alla nostra sensibilità, che questa sia la considerazione dei serui risulta proprio da un frammento del Digesto, nel quale Gaio, sulla base della lex Aquilia, equipara
espressamente gli schiavi agli animali in grado di operam praestare (D.
9,2,2,2): seruis nostris [lex Aquilia] exaequat quadrupedes, quae pecudum
numero sunt et gregatim habentur, ueluti oues caprae boves equi muli asini. Che l’ottica sia la capacità produttiva di queste entità – che qui altro
non sono, da un punto di vista giuridico, che delle res – è confermato
dalla parte finale del paragrafo, dove si conclude per l’inclusione anche
degli elefanti e dei cammelli tra gli animali protetti dalla legge Aquilia,
quantunque la loro natura di animali domestici presenti qualche grado di
incertezza, sulla base dell’argomento della loro idoneità a praestare operam, analogamente ai giumenti: elefanti autem et cameli quasi mixti sunt
(nam et iumentorum operam praestant et natura eorum fera est) et ideo
primo capite contineri eas oportet; viceversa i cani sembrerebbero esclusi
dalla protezione per i damna iniuria data, così come le altre bestiae, vale a
dire gli animali selvatici.
L’attitudine a praestare operam costituisce, dunque, il parametro d’indole schiettamente economica che permette di accomunare schiavi e
animali produttivi in quanto beni fruttiferi28; del resto, sempre secondo
Gaio, lege Aquilia capite primo cauetur: “ut qui seruum seruamue alienum
alienamue quadrupedem vel pecudem iniuria occiderit, quanti id in eo anno
plurimi fuit, tantum aes dare domino damnas esto”. Ne consegue che la locuzione praestare operam identifica in modo univoco la capacità produttiva delle entità alle quali si riferisce, ovvero la loro attitudine a produrre
frutti, senza riguardo alla loro natura e al loro essere o meno personae,
ovvero al loro appartenere o meno al genere umano: dall’opera praestata
si ricava un vantaggio, un fructus che ridonda al dominus, o, se locati, al
conduttore29.
28
Cfr. le considerazioni ia proposito del termine fructuarius, soprattutto in quanto qualificativo del seruus in MARTINI, Mercennarius, 5 ss.; v. in particolare 13.
29
Trova quindi conferma l’affermazione dell’AMIRANTE, Ricerche, 104 ss. sulla relazione che
passa tra la merces e l’uti frui della cosa locata.
138
VICTOR CRESCENZI
Il loro assoggettamento al conductor è dunque di mero fatto, e discende dal
loro essere res, in particolare dal loro essere serui, ma è anche la conseguenza del fatto di trovarsi in una relazione strumentale agli interessi del locator
che ne è il dominus; questi, dislocando dalla propria nella sfera giuridico-economica del conductor i serui di sua proprietà trasferisce entità materialmente
soggette, sulle quali, al pari degli altri beni che stanno nel suo dominium, egli
ha un diritto esclusivo di sfruttamento: essi sono beni sui quali egli gode delle
facoltà di uti e di frui nelle quali il dominium s’invera30.
Le obbligazioni relative, quelle che nascono dal contratto di locazione, d’altra parte, concernono i contraenti, e consistono nell’obbligo del
locator di dare i serui locati al conductor perché se ne avvalga sotto il profilo dell’attività convenuta, vale a dire le operae cui devono essere adibiti
nella misura pattuita; nell’obbligo del conductor di non usarli al di là della
legge del contratto; nell’obbligo di restituirli – tanto che la loro distrazione è doppiamente tutelata e dall’actio locati e dall’actio furti (D. 19,2,42)31
– e di restituirli integri (D. 19,2,43)32 alla fine dello svolgimento delle operae convenute, che significa anche alla fine del periodo contrattualmente
stabilito, essendo le operae anche l’unità di misura della relativa attività;
e, infine, nell’obbligo del conductor di corrispondere la pattuita mercede.
L’adempimento del locator, quindi, si realizza e si consuma con il dare
i serui-operae al conductor, con il metterli nella sua disponibilità materiale
affinché questi possa servirsene.
30
Né sono condivisibili, in via di primissima approssimazione, le conclusioni di M. MELLUSO,
La schiavitù nell’età giustinianea, Paris 2000, 137 ss. soprattutto per quel che riguarda il punto
relativo all’interpretazione della costituzione di CTh. 9,12,1 (Costantino); il seruus non è meno res
e non è meno soggetto al dominium del suo dominus per il fatto che a questo sia inibito sottoporlo a
sevizie o addirittura ucciderlo; la limitazione dello ius domini (nec uero immoderate suo iure utatur,
recita la costituzione costantiniana) non è da intendere come abrogazione di tale ius, che rimane
iscritto nella sfera concettuale ed empirica del dominium. E infatti se ne dispone la vendita forzata
con la relativa acquisizione al dominus del prezzo, secondo quanto risulta dai precetti richiamati
dal Melluso a p. 138, vale a dire I. 1,8,2, dove si conclude: et recte; expedit enim rei publicae, ne
quis re sua male utatur.
31
D. 19,2,42:
Si locatum tibi seruum subripias, utrumque iudicium aduersus te est exercendum, locati
actionis et furti.
32
D. 19,2,43:
Si vulneraveris servum tibi locatum, eiusdem vulneris nomine legis aquiliae et ex locato
actio est, sed alterutra contentus actor esse debet, idque officio iudicis continetur, apud
quem ex locato agetur.
ASSOGGETTARE PER ORGANIZZARE: VARIANTI DELLA SUBORDINAZIONE
139
I serui, d’altronde, non hanno obblighi civili e giuridici, ma semplicemente sono costretti a praestare operam al conductor così come la
presterebbero, essendone appunto costretti, al locator-dominus, analogamente a quel che farebbe qualsiasi altro bene produttivo animato
che fosse locato: tuttavia la loro costrizione non è, ancora una volta,
giuridica, ma si inscrive e si esaurisce nell’ambito della materialità del
dominium, di cui l’uti e il frui sono solo alcune delle manifestazioni,
neppure salienti, poiché la sua dimensione giuridica consiste in quella
«esclusione di qualunque ingerenza di terzi in ordine alla cosa», secondo quel che sottolinea l’Arangio-Ruiz, che insiste sul fatto che questa
prescinde per sé stessa «da qualsiasi riguardo al contenuto economico
del rapporto» che tra la cosa e il suo dominus esiste, che, in quanto tale
è dunque di mero fatto33. Ciò è efficacemente reso dalla formula della
legis actio sacramenti di rivendica, secondo la quale, come testimonia
GAI., 4,16: hunc ego hominem ex iure quiritium meum esse aio secundum
suam causam; sicut dixi, ecce tibi, uindictam inposui, dove la locuzione
meum esse sintetizza la potestà assoluta che il dominus esercita sulla res,
qui sull’homo rivendicato34. In una parola, gli schiavi sono strumenti nelle
mani di colui che ne ha il dominium e come strumenti vengono ricevuti
da colui cui vengono dati in locazione, sicché il loro operas praestare è
il lato passivo del potere materiale che su di essi si esercita. Questa
proposizione, però, deve essere sempre e comunque intesa nel senso
che non è l’uti e il frui l’oggetto del contratto, ma la res in quanto tale.
In questo senso la somiglianza della locatio-conductio con la emptiouenditio – sulla quale insistono le fonti (D. 19,2,2 pr.; I. 3,24 pr.) – è di
palmare evidenza: oggetto di una compravendita non è l’uti o il frui, ma
la cosa; l’avvalersi dell’uti o del frui, il far proprio ciò che ne costituisce
il prodotto è una conseguenza della disponibilità che si è acquisita in
virtù del contratto e che ha come corrispettivo il pagamento del prezzo;
solo che nella vendita questo acquisto è permanente e definitivo, nella
locatio è temporaneo, essendo il conductor tenuto alla restituzione della
cosa alla fine del periodo pattuito35.
Questa configurazione giuridica che qualifica il contenuto e gli effetti
ARANGIO-RUIZ, Istituzioni, 173.
ARANGIO-RUIZ, Istituzioni, 173.
35
Così anche AMIRANTE, Ricerche, 54-56.
33
34
140
VICTOR CRESCENZI
della locatio serui si riflette inevitabilmente sul contenuto e sugli effetti
della locatio operarum dell’uomo libero. Posto, come già rilevato, anche
sulla base della migliore storiografia, che oggetto di questa rimane la persona, in questo caso la persona del libero, effetto intrinseco di essa è,
come anticipato, quello che si è detto della subordinazione.
Il problema che si deve affrontare, a questo punto, riguarda la struttura di questo rapporto denominato come di subordinazione, ossia il suo
contenuto, giuridico o di fatto.
Dico subito che con riferimento allo status libertatis l’effetto è nullo:
il libero che dà se stesso in locazione tale è quando conclude il contratto
e tale rimane per tutta la sua durata, ossia per la durata del contratto e
del rapporto che questi, in quanto soggetto, intrattiene con il conductor,
quantunque questo rapporto sia qualificato dalla subordinazione.
Ma detto ciò, non c’è dubbio che l’essere, oltre che contraente, oggetto del contratto produce un effetto che ricade sulla sua persona. E qui
occorre una vigile attenzione critica e analitica.
Il Martini esclude che la subordinazione della quale qui si parla implichi un assoggettamento personale del locator operarum36, con ciò intendendo che il libero che contrae per sé una locatio operarum, con il dare,
dunque, la propria persona al conductor, ossia con il collocarla, ovvero il
dislocarla nella sfera giuridico-economica del conductor, sì che questi ne
abbia la disponibilità nel tempo pattuito e per l’esecuzione dell’attività
che al conductor è dovuta secondo la lex locationis, non muta né provvisoriamente, tanto meno permanentemente il suo stato giuridico da libero
a seruus e nemmeno assume uno stato di quasi-seruus37.
Su questa precisazione, ancora una volta, non si può che essere d’accordo. Tuttavia, proseguendo nell’ordine dei ragionamenti che il Martini
sviluppa, mi sembra tutt’ora necessario delineare in modo più preciso il
contenuto giuridico del rapporto, con le sue conseguenze sulla persona
del locatore, avvertendo che se qui si useranno locuzioni quali «assoggettamento» o «soggezione» con riferimento alla locazione del libero,
esse non implicheranno una mutazione dello status del locatore, la sua
capitis deminutio: questi, come ho rilevato, libero è prima del contratto
e libero rimane dentro il relativo rapporto, anche se in una situazione di
36
37
MARTINI, «Mercennarius», 47 e più diffusamente 69-73.
In partic. MARTINI, «Mercennarius», 71-73.
ASSOGGETTARE PER ORGANIZZARE: VARIANTI DELLA SUBORDINAZIONE
141
subordinazione. Solo che in questa situazione il locator si qualifica come
destinatario, e dunque come soggetto passivo di poteri che per effetto
del contratto il conduttore acquista sulla sua persona in relazione alla
prestazione delle operae, vale a dire proprio in relazione a quell’operam
praestare vista sopra, che è la causa del vantaggio economico in funzione
del quale la locazione è conclusa.
D’altra parte, non si saprebbe come meglio indicare, diversamente che
con i termini di «assoggettamento» e «soggezione» la situazione della parte
contrattuale che conferisce la propria persona in un contratto assumendo
l’obbligazione della prestazione di operae. Del resto, di assoggettamento, e
di stato di soggezione si parla anche oggidì con riferimento alle situazioni
potestative, a cominciare da quella parentale; che il minore sia assoggettato
alla potestà dei genitori e che questa potestà si rifletta sulla sua stessa persona, della quale egli non ha, perdurando questo stato di soggezione, la piena
disponibilità, non è certamente revocabile in dubbio; per esempio il minore, secondo quanto stabilisce l’art. 318 c.c., non può abbandonare la casa
dei genitori o la dimora da questi a lui assegnata, ossia è assoggettato alle
determinazioni parentali in ordine alla elezione della sua dimora e subisce
passivamente queste determinazioni. La indicazione di queste situazioni è
resa proprio tramite le locuzioni qui in discussione; in particolare, la relazione potestà-soggezione è definita in linea generale dal Santoro-Passarelli
come quella in cui il soggetto investito della potestà gode di una situazione di supremazia nei confronti del soggetto passivo, «grazie alla quale lo
stesso può da solo realizzare il suo interesse: a questa supremazia, che può
chiamarsi potestà, fa riscontro dall’altro lato del rapporto non un obbligo,
ma una mera soggezione, poiché il soggetto è veramente passivo, subisce le
conseguenze della potestà»38.
Ma, specificamente nel campo del moderno diritto del lavoro, anche sotto l’impero della disciplina che a questo imprime il codice civile vigente, che
ha abbandonato la figura della locazione d’opera, ci troviamo dinanzi a situazioni di soggezione, o di assoggettamento, di origine contrattuale del prestatore di lavoro nei confronti del suo assuntore, soprattutto quando questo
sia un imprenditore e quindi quando il debitore di lavoro presterà la sua
obbligazione all’interno di una struttura complessa qual è l’impresa (e non
è necessario, per questo, aderire alle teorie istituzionalistiche dell’impresa,
38
F. SANTORO-PASSARELLI, Dottrine generali del diritto civile, Napoli 1966, 71; v. anche 73 s.
142
VICTOR CRESCENZI
elaborate soprattutto dalla dottrina tedesca, o, per esempio, alla teoria della
Eingliederung in den Betrieb, ossia dell’incorporazione nell’azienda, di cui il
Nikisch costituisce uno dei più lucidi sostenitori)39. Ora, proprio la struttura
del contratto di lavoro, e del relativo rapporto – come si è rilevato all’inizio
di questa indagine – così come la si trova configurata nel codice del 1942,
prevede tre obblighi tipici a carico del lavoratore: la prestazione di lavoro
in quanto tale, da eseguirsi con la prescritta diligenza (artt. 2094 e 2104),
l’obbligo di fedeltà (art. 2105), e l’assoggettamento al potere direttivo e al
potere disciplinare dell’imprenditore (artt. 2104 e 2106); in particolare è
in questo assoggettamento che consiste la «subordinazione personale che
è poi la ragione di molte delle norme che governano il rapporto di lavoro
e [...] della stessa determinazione di un diritto del lavoro»40. Naturalmente,
dietro questo complesso di poteri campeggia, oggi come ieri, il problema
della libertà41, sicché si può dire, con le parole del Santoro-Passarelli, che
«alla subordinazione fa riscontro quell’esigenza di tutela della libertà e della
stessa personalità umana del lavoratore», nella quale egli individua «la funzione caratteristica del diritto del lavoro». Il che permette di riaffermare che
libertà e lavoro si trovano in continua interazione dialettica: una interazione
assai complessa, perché dove manca l’una, manca bensì anche l’altro, come
dimostra la complessa vicenda della schiavitù, istituto che nega il lavoro
come oggetto di considerazione giuridica e, correlativamente della locatio
operarum; ma questa interazione è appunto anche dialettica, e ciò in quanto
il relativo diritto costituisce la forma dentro la quale la libertà, che per effetto del contratto riceve una, ancorché volontaria, robusta limitazione, storicamente ha trovato una faticosa e vorrei dire dolorosa affermazione e tutela:
in una parola, senza libertà non c’è lavoro; e tuttavia il lavoro costituisce una
perpetua limitazione della libertà individuale.
In realtà, però, la constatazione del giurista d’oggidì va collocata nella
sua giusta dimensione storica; certamente, essa non è la conseguenza di
uno stato delle cose e dei diritti che incida sullo status personae del lavoratore e, segnatamente, sul suo status libertatis, che non è più formalmente
messo in discussione; ma riconoscere questo non può consentirci, in una
L. SPAGNUOLO VIGORITA, Subordinazione e diritto del lavoro. Problemi storico-critici, Napoli
1967, 28 ss.
40
F. SANTORO-PASSARELLI, Nozioni di diritto del lavoro, Napoli 1970, 72-73.
41
SANTORO-PASSARELLI, Nozioni, 73.
39
ASSOGGETTARE PER ORGANIZZARE: VARIANTI DELLA SUBORDINAZIONE
143
indagine storica sulla locatio operarum, con specifico riferimento all’esperienza giuridica dell’età classica e di quella tardo-antica, di obliterare, né
relegare su di uno sfondo indistinto il problema delle origini, che è pur
sempre quello di una figura contrattuale che aveva la funzione di disciplinare la locazione degli schiavi. In altre parole, se non vogliamo cedere ad
un rigido formalismo, non possiamo dimenticare che la locatio operarum,
in un regime ad economia schiavistica, è la forma per mezzo della quale si
disciplina la cessione temporanea di schiavi da parte di colui che ne ha in
misura superiore al suo fabbisogno, a colui che ne abbia necessità per proprie esigenze produttive, affinché siano impiegati come solitamente e direi
naturalmente sono impiegati gli schiavi, ossia facendo loro svolgere servizi,
ovvero mansioni lavorative sotto le direttive e nell’interesse del conduttore,
il quale, per il vantaggio che ne ricava, corrisponderà al locatore una merces
determinata. Né si può collocare tra le parentesi di una mera rilevanza lessicale il fatto che questi schiavi, nel momento in cui costituiscono oggetto di
un contratto di locatio-conductio, sono identificati con il termine che indica
l’unità di misura della loro dimensione energetica, vale a dire non il loro
essere pur sempre personae, ma il loro essere operae.
4. Un solo testo della compilazione e precisamente del Codice, a quel
che mi consta, dà un nome alla relazione tra conductor e locator operarum
libero. In una costituzione del 294 dettata da Diocleziano e Massimiano,
secondo quanto è tràdito da C. 7,14,11, nel rispondere ad alcuni ingenui,
si usa la parola possessio con riferimento alla situazione nella quale essi si
trovano a causa del contratto di locatio operarum che in quanto ingenui
hanno concluso, essendo stata determinata la relativa merces; questa possessio, tuttavia, conclude la determinazione imperiale, non essendo nel
caso in questione fondata su di un titulus previo, ossia su di una iusta
causa, non deroga allo status libertatis dei locatores, sicché essi, in quanto
ingenui sono pienamente legittimati ad agire affinché le relative obbligazioni ex locato trovino adeguata soddisfazione:
Si uestram possessionem nullus praecessit titulus, sed ingenui constituti operas
mercede placita locastis, nec statui quicquam uestro derogatum est nec ad conuentionis implendam fidem sollemniter agere prohibemini.
Del resto, più in generale, con il termine possessio è identificata la
relazione tra conductor e res locata: in tal modo la troviamo indicata in D.
144
VICTOR CRESCENZI
19,2,11,3 (Ulpiano), dove si tratta di un caso di locatio operis, avente per
oggetto una partita di uinum transportandum, in ordine al quale possa
sorgere una controversia: ex locato tenetur, ut locatori possessionem uini
sine controuersia reddat42; ma anche in D. 19,2,15,1 (Ulpiano) che tratta
della locazione del fondo:
Si re, quam conduxit, frui ei non liceat (forte quia possessio ei aut totius agri aut
partis non praestatur [...]), ex conducto agetur.
Di quale possessio si sta parlando nei reperti fin qui considerati? In
entrambi i casi evidentemente non si parla di possessio ciuilis, visto che lo
strumento processuale con il quale la possessio della quale ivi si tratta è
tutelata con l’actio ex locato, nel primo, e l’actio ex conducto nel secondo,
e non con lo strumento interdittale43. Se ne deve concludere che si tratta
bensì della più generale figura della possessio corporalis o naturalis che dà
forma a quella disponibilità materiale di mero fatto della cosa locata, implicata dal contratto di locazione, della quale il conductor è stato investito
per eseguire il trasporto o deve essere investito per poter godere dell’ager
condotto in locazione. In particolare, peraltro, del secondo passo citato è
degno di nota il complessivo tessuto terminologico: qui si parla propriamente di una possessio praestata, ossia dell’attribuzione della disponibilità
materiale della cosa – che noi oggi denominiamo detenzione44 – che costituisce l’adempimento dell’obbligazione di dare, essenziale alla locatioconductio; solo il locator può e deve praestare la possessio, della quale qui
si parla, e soltanto contro di lui si dirige la relativa actio; in altre parole,
il rapporto che il conductor ha con la cosa locata, che qui prende il nome
di possessio, si costituisce solo quando il locator la presta; esso, inoltre,
si risolve in una situazione fondata sulle rispettive obbligazioni che per
effetto del contratto – di un contratto consensuale ad effetti obbligatori –
42
D. 19,2,11,3:
Qui uinum de Campania transportandum conduxisset, deinde mota a quodam controuersia signatum suo et alterius sigillo in apothecam deposuisset, ex locato tenetur, ut locatori
possessionem uini sine controversia reddat, nisi culpa conductor careret.
43
Ma v. l’ipotesi di D. 43,32,2:
Hoc interdictum inquilino etiam de his rebus, quae non ipsius sint, sed forte commodatae
ei uel locatae uel apud eum depositae sunt, utile esse non dubitatur.
44
Cfr. anche ARANGIO-RUIZ, Istituzioni, 267.
ASSOGGETTARE PER ORGANIZZARE: VARIANTI DELLA SUBORDINAZIONE
145
sono assunte dalle due parti; in poche parole, il conductor è tutelato con
l’actio locati nei confronti del locator, il quale, se non presta la possessio
della quale qui si parla, non adempie a quell’obbligazione di dare che
costituisce uno degli elementi causali e per questo essenziali della locatio.
Ma è del tutto evidente che la possessio ciuilis, ossia la possessio in senso
stretto, che spetta al dominus, nelle ipotesi qui dedotte non è in alcun
modo coinvolta: il locator seguita ad esserne titolare e non la trasferisce al
conductor. Il che ci permette di interpretare correttamente la terminologia adottata nella costituzione di Diocleziano e Massimiano di C. 7,14,11
di cui sopra, che sembra coerente con i due passi di Ulpiano appena
citati, senza trarre conclusioni che esorbitino dalla considerazione della
struttura del contratto. Tuttavia, da una parte, proprio la considerazione
dell’unitarietà della locatio-conductio, e, d’altro canto, la constatazione
del fatto che se si eccettua la costituzione di C. 7,14,11, non si trovano
reperti testuali che testimonino di una diversa e altrettanto specifica denominazione della relazione che si instaura tra locator operarum libero
e conductor, portano a qualificare questa relazione come una relazione
potestativa non dissimile da quella che si instaura in qualsiasi altra ipotesi
di locatio-conductio.
Del resto, la situazione nella quale si trova il locator operarum è scolpita con queste parole in un noto passo delle Sententiae di Paolo, secondo il
quale l’homo liber che dà se stesso in locazione, statum suum in potestate
habet45.
In questo senso, la parola possessio, con tutto ciò che questa implica,
sembra essere particolarmente efficace. Anche perché si deve ricordare
che, come ho accennato sopra, accanto alla possessio ciuilis, fondata, secondo quanto avverte Diocleziano in C. 7,14,11, su di un titulus, vale a
dire su di una iusta causa possessionis e, aggiungo, sul relativo animus, e
che è rilevante ai fini dell’usucapio e della tutela interdittale, l’esperienza
del diritto romano contempla una possessio naturalis altrimenti detta anche corporalis, con le quali denominazioni vengono identificate le situazioni in cui un corpus si trova nella disponibilità materiale di un soggetto
45
PS. 2,18,1:
Homo liber, qui statum suum in potestate habet, et peiorem eum et meliorem facere potest: atque ideo operas suas diurnas nocturnasque locat.
146
VICTOR CRESCENZI
anche a fini specifici, e anche solo per un tempo limitato46: invero, per
ricorrere ad un esempio contiguo alla fenomenologia qui trattata, naturaliter uidetur possidere is qui usum fructum habet, secondo la sentenza di
Ulpiano di D. 41,2,12 pr. 47.
Del resto, possessio libertatis è la locuzione usata per identificare lo
status di una persona che si costituisce come libera nel giudizio de cuius
libertate quaeritur, secondo un’altra costituzione dioclezianea del 293
(C. 7,16,14).
Insomma, la parola possessio nel linguaggio precettivo romano sembra aver acquistato storicamente uno spettro semantico di una certa
ampiezza, che ha come referente la fenomenologia dei rapporti materiali che si hanno con le cose, o, meglio, con i corpora – e quindi anche con
le personae, quando queste entrino in un rapporto nella loro oggettualità – ; esso sembra declinarsi in modo differenziato a seconda della causa
in base alla quale il rapporto si costituisce, al fine della determinazione
dei relativi effetti giuridici48. All’interno di questo ampio spettro semantico è data forma sia a situazioni rigorosamente specifiche secondo le
categorie dello ius ciuile – è il caso della possessio ciuilis, rilevante sotto
il duplice profilo della ususcapio e della tutela interdittale –, sia a situazioni di fatto, ma giuridicamente rilevanti, nelle quali esiste uno stato
di soggezione ad un potere di tipo economico non in sé produttivo di
ulteriori effetti giuridici – è il caso della possessio naturalis ovvero corporalis –, senza che necessariamente sia coinvolto lo status giuridico nel
quale il corpus si trova: per le cose altrui, senza incidere, nemmeno in
prospettiva, sul suo dominium, ed evidentemente per le persone libere,
46
ARANGIO-RUIZ, Istituzioni, 263 s.; 267 e bibliografia ivi citata; A. BURDESE, Possesso (diritto
romano) in ED, 34, Milano 1985, 454.
47
Cfr. ARANGIO-RUIZ, Istituzioni, 263 s. Cfr. anche D. 41,2,49 pr.; D. 43,3,1,8; D. 43,16,6,2 e C.
7,32,12. V. RICCOBONO, Zur Terminologie der Besitzverhältnisse (naturalis possessio, civilis possessio, possessio ad interdicta) in ZSS, RA, 31 (44), 1910, 321-371; v., in part. 325 ss.
48
C. 7,32,12 (Iustinianus) [531-532]:
Ex libris sabinianis quaestionem in diuinas nostri numinis aures relatam tollentes definimus, ut siue seruus sive procurator uel colonus uel inquilinus uel quispiam alius, per
quem licentia est nobis possidere, corporaliter nactam possessionem cuiuscumque rei eam
derelinquerit uel alii prodiderit, desidia forte uel dolo, ut locus aperiatur alii eandem possessionem detinere, nihil penitus domino praeiudicium generetur, ne ex aliena malignitate
alienum damnum emergat, sed et ipse, si liberae condicionis est, competentibus actionibus subiugetur, omni iactura ab eo restituenda domino rei uel ei, circa quem neglegenter
uel dolose uersatus est.
ASSOGGETTARE PER ORGANIZZARE: VARIANTI DELLA SUBORDINAZIONE
147
senza incidere sullo status libertatis della persona oggetto del rapporto
materiale. In entrambe queste accezioni la parola possessio indica in
generale quella che con l’Arangio-Ruiz possiamo definire come «la signoria di fatto esercitata da taluno sopra una cosa, quando la si valuti
in sé stessa, indipendentemente dall’essere o no conforme al diritto»49.
La possessio corporalis, in particolare, è concettualmente essenziale alla
struttura della generale figura della possessio, in quanto sempre e comunque implica una relazione materiale di apprensione che costituisce la condizione necessaria per iniziare a possedere, e in prospettiva per acquisire
la proprietà di una cosa, secondo quel che scolpisce Paolo (D. 41,2,1,1):
Dominiumque rerum ex naturali possessione coepisse Nerua filius ait eiusque
rei uestigium remanere in his, quae terra mari caeloque capiuntur: nam haec
protinus eorum fiunt, qui primi possessionem eorum adprehenderint; e poco
più oltre, sullo stesso ordine di concetti, ma forse con maggiore incisività
(D. 41,2,3,3): Neratius et Proculus et solo animo non posse nos adquirere
possessionem, si non antecedat naturalis possessio [...].
Tuttavia le fonti tramandano e rappresentano una non indifferente
incertezza terminologica, quando non alcune contraddizioni che possono
essere sanate soltanto assumendo un punto di vista empirico. Invero, in
generale, D. 41,2,23,2 che tramanda un passo di Giavoleno, esclude la
possessio dell’uomo libero, anche se qui si fa esplicito riferimento alla
possessio ciuilis:
Item quaero, si uinxero liberum hominem ita, ut eum possideam, an omnia, quae
is possidebat, ego possideam per illum? Respondit: si uinxeris hominem liberum,
eum te possidere non puto: quod cum ita se habeat, multo minus per illum res eius
a te possidebuntur: neque enim rerum natura recipit, ut per eum aliquid possidere
possimus, quem ciuiliter in mea potestate non habeo.
Ma altrettanto radicalmente sembrerebbe esclusa la possessio naturalis di un homo tout court, secondo quel che troviamo affermato in D.
41,2,3,13, anche se qui il caso è complicato dal sussistere di una custodia
sulle res mobiles delle quali si tratta:
Nerua filius res mobiles excepto homine, quatenus sub custodia nostra sint, hacte-
49
ARANGIO-RUIZ, Istituzioni, 260.
148
VICTOR CRESCENZI
nus possideri, id est quatenus, si uelimus, naturalem possessionem nancisci possimus.[...].
Inoltre, non si può pensare che la terminologia qui usata per identificare la relazione tra locator operarum libero e il suo conductor, non sia
dominata o almeno fortemente condizionata storicamente e socialmente
dalla storia della locatio-conductio, in generale, e della locatio operarum
in particolare: essere cioè questa una figura contrattuale imperniata sulla
sua intrinseca realità, sulla sua intrinseca corporalità, sul suo essere essenzialmente funzionale alla disciplina della circolazione dei beni materiali
e a tutelare il locator in ordine al riacquisto della cosa locata, una volta
adempiute le obbligazioni dedotte convenzionalmente nella lex locationis; nonché dall’essere, in particolare la locatio operarum, originariamente funzionale alla circolazione di quelle specifiche res, di quegli specifici
corpora che sono gli schiavi. Del resto, non c’è dubbio che questi possano
essere oggetto di possessio, sia nella sua accezione rigorosa di possessio
ciuilis, beninteso nelle fattispecie in cui questa si costituisce e si trasferisce, nelle quali fattispecie non rientra comunque la loro locatio, sia in
quella più generica di possessio corporalis o naturalis50.
L’applicazione alla locatio operarum di una persona libera di questa
terminologia, che appare rigorosa sul piano dei concetti strutturali dell’esperienza giuridica romana anche in età tarda, non può non produrre un
certo scarto semantico, nel quale l’elemento della apprensione materiale
del corpus della persona locata, che rimane coerente e solido nei confronti
dello schiavo, anche nei casi in cui questi loca se stesso51, non può non
risolversi in un quid, che seguita ad essere denominato possessio, in grado di dar forma al potere che il conductor assume contrattualmente sul
locator libero, senza metterne in discussione lo status libertatis, che vale
50
Cfr. I. 3,28,1 s.:
1. Item per liberos homines, et alienos seruos quos bona fide possidetis, adquiritur uobis,
sed tantum ex duabus causis, id est si quid ex operis suis uel ex re uestra adquirant. 2.
Per eum quoque seruum in quo usumfructum uel usum habetis, similiter ex duabus istis
causis uobis adquiritur;
D. 41,2,1,6:
Sed et per eum, quem bona fide possidemus, quamuis alienus sit uel liber, possessionem
adquiremus. Si mala fide eum possideamus, non puto adquiri nobis possessionem per
eum: sed nec uero domino aut sibi adquiret, qui ab alio possidetur.
51
Cfr. per es. D. 19,2,60,7.
ASSOGGETTARE PER ORGANIZZARE: VARIANTI DELLA SUBORDINAZIONE
149
come dire, volendo ricorrere ad una metafora, senza mettere in discussione la proprietà che questi ha di se stesso. Anzi, si può dire che l’estrema
flessibilità delle figure giuridiche coinvolte permette di ricomprendere e
di disciplinare situazioni economico-sociali che ai nostri occhi appaiono
come fortemente differenziate, quanto lo sono quelle, l’oggetto delle quali è una res in senso stretto, da quelle in cui questo oggetto è una persona
nella pienezza della sua libertà e dei suoi diritti.
Entro questi limiti, la relazione potestativa nella quale il libero che loca
se stesso è il soggetto passivo, in quanto si dispiega sulla sua persona, da
quel che si è fin qui detto appare come essenziale alla locatio-conductio, in
quanto strettamente dipendente dalla sua causa, sicché si può concludere
che la funzione della locatio operarum del libero non è quella di dettare il
regolamento dello scambio di lavoro contro un corrispettivo, ma è proprio
la forma della subordinazione, essendo essenzialmente e direi tipicamente
indirizzata a far conseguire al conductor la disponibilità della persona del
locator come prestatore di operae che costituiscono la misura del frui che il
conductor intende realizzare, dietro il pagamento di una merces, ma anche
di garantire al locator di rientrare nella piena possessio della sua persona al
termine del rapporto contrattualmente definito, ossia conformemente alla
lex locationis.
5. In questo senso non appaiono differenze strutturali con la locatioconductio in generale: mentre in questa il locator, una volta che la merces
sia constituta, cede al conductor la possessio corporalis della cosa locata per
il tempo contrattualmente definito, senza che questa cessione produca
mai effetti sul dominium, così nella locatio operarum del libero il locator
sui et operarum suarum entra nel contratto come parte contraente, ma anche come oggetto del contratto: come parte contraente cede per il tempo
contrattualmente definito la possessio coporalis sulla sua persona, una volta
che la merces sia constituta; come oggetto del contratto pone nelle mani del
conductor la disponibilità – la possessio, la detenzione – della propria persona in quanto atta a operas praestare e nei limiti di questa attitudine gli si
sottomette; ma la cessione della possessio corporalis sulla sua persona, ossia
sull’essere egli stesso oggetto del contratto non produrrà mai effetti sul suo
status libertatis, che si può dire corrisponda logicamente alla titolarità del
dominium quando oggetto della locatio sia una res in senso stretto.
Lo sancisce, in un modo che direi privo di sfumature, anche perché si
applica ad un’ipotesi di servizio prestato per un lungo periodo di tempo,
150
VICTOR CRESCENZI
una costituzione del 293, anch’essa dettata da Diocleziano e Massimiano,
tràdita in C. 7,14,6 [a. 293], nella quale compare di nuovo il riferimento
del titulus praecedens in base al quale dominia quaeri solent:
Scientis condicionem liberum non posse fieri seruum euidentissimi iuris est. Cum
igitur proponas patrem pupillorum, quorum precibus fecisti mentionem, uelut
liberum te penes se habuisse, ministerium, licet in actu longi temporis, non praecedente uero titulo, quibus dominia quaeri solent, mutare tuam condicionem minime potuit.
Insomma, la possessio con la quale si identifica il rapporto tra locator
operarum libero e conductor non implica mai la possessio ciuilis, e dunque
in nessun caso è produttivo di effetti giuridici che esulino dalla struttura della locatio, così come la medesima possessio ciuilis non è implicata
dall’usufrutto, anche se, come si è visto sopra, il rapporto che intercorre
tra usufruttuario e bene del quale si ha l’usufrutto, secondo D. 41,2,12
pr. sopra citato, rientra nella fenomenologia del naturaliter possidere. Sicché si può concludere che il contenuto di D. 41,2,12 pr. può tranquillamente convivere nella stessa pagina, nella quale troviamo D. 41,2,1,8,
dove è enunciato un principio apparentemente contraddittorio, ma che
peraltro presenta analogie con la problematica della locatio operarum del
libero: Per eum, in quo usum fructum habemus, possidere possumus, sicut
ex operis suis adquirere nobis solet: nec ad rem pertinet, quod ipsum non
possidemus: nam nec filium. La contraddizione si supera evidentemente
distinguendo la possessio ciuilis, esclusa da questo § 8 dalla possessio naturalis ammessa e anzi predicata nel successivo frammento 12 dello stesso
titolo. Del resto, non si saprebbe a quale altro concetto o a quale altra
figura fare ricorso per qualificare questa relazione di disponibilità economica della cosa in usufrutto che comunque costituisce il presupposto
logico-materiale necessario dell’uti e del frui.
È in questo senso che va intesa l’affermazione sopra anticipata, secondo la quale la possessio di cui parla la costituzione dioclezianea di C.
7,11,14 mette in forma giuridicamente rilevante il rapporto di dipendenza che per effetto del contratto si pone in essere tra conductor e locator; a
quella considerazione aggiungo che si tratta di una forma necessaria alla
funzionalità di un contratto dal quale scaturiscono obbligazioni di dare.
In particolare, l’obligatio in dando che grava sul locator consiste ed è
eseguita con la consegna al conductor della disponibilità della di lui per-
ASSOGGETTARE PER ORGANIZZARE: VARIANTI DELLA SUBORDINAZIONE
151
sona, oggetto del contratto; però, pur così realizzata una parte della causa
contrattuale, non può dirsi che il medesimo contratto sia consumato, né
che sia esaurita l’intera sua funzione economica; dal contratto, infatti, si
genera un rapporto permanente all’interno del quale le operae alle quali
il locator è convenzionalmente tenuto dovranno essere prestate. Questo
rapporto è funzionale non tanto alla esecuzione in quanto tale delle operae, ma alle modalità che devono sovrintendere a questa esecuzione; le
operae, infatti, potrebbero non essere richieste, come si vedrà subito; se
tuttavia sono richieste, le operae non solo devono essere prestate, ma devono esserlo in funzione degli interessi del conductor, devono cioè esplicarsi conformemente al modo che il conductor ritiene liberamente idoneo
alla realizzazione di tali interessi. D’altra parte le operae non si possono
considerare disgiuntivamente dalla persona del locator, sicché la disponibilità della persona coincide con la disponibilità delle operae.
Il vantaggio cui mira il conductor, dunque, consiste nell’avere la disponibilità della persona che ha l’attitudine di praestare operas al fine di indirizzarne la prestazione nel modo insindacabilmente ritenuto conforme
alla realizzazione dei propri interessi, fino al limite di non servirsi di tali
operae, o meglio di non servirsi della persona locata nella sua attitudine
al praestare operas. Infatti, l’interesse del conduttore si realizza con il conseguimento della disponibilità della persona del locatore, e per ciò stesso
deve corrispondere la pattuita mercede, secondo quanto si inferisce da
D. 19,2,38 pr. dove è ripresa la sententia di Paolo, secondo la quale qui
operas suas locauit, totius temporis mercedem accipere debet, si per eum
non stetit, quo minus operas praestet52.
Qualificare questo rapporto all’interno della fenomenologia della possessio serve mirabilmente a qualificarne la natura potestativa e a determinare
chi ne ha il potere direttivo, chi sia il dominus del rapporto: non basta, infatti che le operae siano prestate, ma occorre che queste siano indirizzate
nell’interesse del conductor e occorre anche garantire che questi sia l’unico
titolato a indicare in qual modo tale interesse trovi soddisfazione per mezzo
di esse operae; tutto ciò può pienamente realizzarsi in quanto il locator (si) è
costituito nella possessio del conductor. In altre parole, la qualificazione del
rapporto all’interno della fenomenologia della possessio, quantunque della
52
Cui segue, nel successivo § 1 aduocati quoque, si per eos non steterit, quo minus causam agant,
honoraria reddere non debent.
152
VICTOR CRESCENZI
possessio naturalis o corporalis, non costituisce un fatto anodino né è meramente formale, ma costituisce il migliore e più efficace strumento di garanzia per il conductor ai fini della subordinazione, ossia del potere direttivo in
ordine alla prestazione delle operae: egli le acquisisce e le usa come meglio
crede, ovvero non le usa, come abbiamo appena visto, e così come avviene
per qualsiasi altra entità di cui acquisisca la possessio corporalis per mezzo di
un contratto di locazione: ancora una volta la locatio operarum si rivela come
la forma della subordinazione. D’altro canto la qualificazione del rapporto
dentro la fenomenologia della possessio ne esclude l’intersoggettività, quantunque il locator sia un soggetto di pieno diritto, perché dentro il rapporto
così qualificato, al quale si è obbligato concludendo il contratto e nel quale
si è costituito, una volta che vi si è costituito adempiendo all’obbligazione
di dare essenziale del contratto, questi si trova come oggetto dotato dell’attitudine a praestare operas, ossia come destinatario del potere del conductor.
Sicché si può dire che qualificare come possessio questo rapporto è
funzionale anche ad escluderne l’intersoggettività, anzi, proprio a non
dargli dimensione giuridica: esso è un rapporto di fatto e in questo senso
non si differenzia da qualsiasi rapporto locatizio. In ciò probabilmente
sta la ragione dell’esiguità dei testi della compilazione giustinianea specificamente relativi alla locatio operarum del libero: essa non è bisognosa di
particolare attenzione da parte del legislatore proprio perché non è caratterizzata in modo specifico rispetto alle altre forme di locatio-conductio.
6. La conclusione del contratto non è di per sé sufficiente a porre in
essere il rapporto: occorre, infatti, che il locator lo esegua adempiendo la
prima e principale obbligazione che su di lui grava, quella di porre la propria persona nella disponibilità della controparte, il dare se, attribuirgli la
possessio di cui in C. 7,14,11. La costituzione del rapporto è dunque il primo e principale adempimento del locator operarum libero, com’è, del resto,
di qualsiasi altro locator, che deve dare l’oggetto della locatio nella disponibilità del conductor, deve praestare possessionem, secondo la terminologia
di D. 19,2,15,1 già rilevata e da intendere nel senso sopra precisato.
È, questa, una precisazione necessaria, in quanto il rapporto di subordinazione si costituisce per atto del locatore, ma l’aver, il libero, concluso un
contratto di locatio operarum non ne determina la sottomissione automatica
e senza riserve; egli può sempre rifiutarsi di prestare se stesso, può sempre
rifiutarsi di mettersi alle dipendenze del conductor per le operae convenute; questo rifiuto, ovviamente, costituisce un inadempimento sanzionato in
ASSOGGETTARE PER ORGANIZZARE: VARIANTI DELLA SUBORDINAZIONE
153
modo del tutto conforme a qualsiasi altro inadempimento dell’obbligazione
di dare in relazione ad una locatio-conductio. L’ipotesi è esaminata specificamente per la praestatio possessionis dell’ager oggetto del contratto – forte quia possessio ei [...] agri [...] non praestatur –, così come appare in D.
19,2,15,1 già preso in considerazione e in tal caso il conductor è tutelato con
l’actio conducti: si hoc non praestatur, ex conducto agetur; dove quell’hoc può
indifferentemente riferirsi sia alla possessio sia all’ager oggetto materiale del
contratto, secondo quanto risulta da D. 19,2,15,2, anche se qui esso identifica essenzialmente il fatto del mancato adempimento. Ma naturalmente,
se questo principio vale per questo caso, vale sicuramente per il caso di una
locatio operarum del libero, e in tal modo si spiega perché l’ipotesi specifica
non si trovi espressamente contemplata dalle fonti.
In tutta coerenza, appunto con l’actio conducti, secondo D. 19,2,15,8,
il conductor potrà pretendere l’id quod interest:
Plane si forte dominus frui non patiatur, uel cum ipse locasset uel cum alius
alienum uel quasi procurator uel quasi suum, quod interest praestabitur: et ita
Proculus in procuratore respondit;
dove la genericità della fattispecie qui presa in esame, identificata semplicemente come rifiuto del dominus di sopportare il frui che altri eserciti
sopra un proprio bene, non soltanto è coerente con la sua più ampia interpretazione indirizzata a disciplinare ogni ipotesi di locatio-conductio, ma
anche, stante l’unità della figura contrattuale della locatio, di considerarla
come implicitamente comprensiva della locatio operarum del libero, tenendo presente, però, che questo precetto disciplina il momento iniziale del
rapporto: se questo non si costituisce, se la possessio non è praestata, se la
cosa locata non entra nella disponibilità del conductor, il rapporto non si
costituisce, con le conseguenze in ordine alle relative responsabilità.
Il che, se nulla ci dice in ordine a quel che accade una volta che il conductor
abbia acquisito la disponibilità della cosa, del corpus, che nel caso della locatio
operarum è complicato dal fatto che le operae costituiscono una misura di tempo indivisibile, vale a dire la giornata di lavoro, ci dà un’indicazione precisa in
ordine al modo di interpretare l’uso della parola possessio.
7. Del tutto simmetrico è il trattamento per così dire di base del recesso unilaterale sia nei confronti del locatore che del conduttore, nel senso
che entrambi sono responsabili con l’actio ex locato-conducto.
154
VICTOR CRESCENZI
Secondo i principi generali che governano la locatio-conductio, che
non presentano specificità per il fatto che il contratto sia una locatio
operarum e che locator sia una persona libera, il recesso unilaterale è
sanzionato con il risarcimento del danno sempre nella misura dell’id
quod interest, sicché il conductor che abbandoni la cosa prima della scadenza del contratto sine iusta ac probabili causa sarà tenuto al pagamento delle residue mercedi, ma sempre quatenus locatori in id quod eius
interest indemnitas seruetur (D. 19,2,55,2)53.
Il recesso unilaterale del locator, com’è ovvio, determina per quest’ultimo la perdita della merces, ma lo obbliga anche al risarcimento nella
misura dell’id quod interest (D. 19,2,15,8): Plane si forte dominus frui non
patiatur [...], quod interest praestabitur [...].
Coerente con questa, che fa costante riferimento alla misura dell’id
quod interest, è la disciplina del recesso unilaterale di una delle parti
nella locatio operarum del libero, ma anche, probabilmente, la disciplina
dell’impossibilità sopravvenuta a prestare le operae quando questa non
sia ascrivibile alla responsabilità del locator. È il caso di D. 19,2,19,9 che
tratta specificamente di un’ipotesi di locatio operarum di un exceptor con
merces evidentemente corrisposta ad annum: al locator, che non può, senza sua colpa, prestare le proprie operae al conductor deceduto durante il
periodo contrattuale, sono comunque dovute le mercedes per il periodo
residuo, purché durante il medesimo anno non abbia percepito retribuzioni da altri; anche qui, come si vede, vale il principio del risarcimento nell’id quod interest, poiché se il locator ha locato ad altri le proprie
opere non riceve pregiudizio dalla morte del conductor e dunque nulla
può pretendere per l’interruzione anticipata della locazione54. Principio,
questo55, ribadito dal successivo frammento relativo ad una locazione di
53
D. 19,2,55,2 (Paolo):
Qui contra legem conductionis fundum ante tempus sine iusta ac probabili causa deseruerit, ad soluendas totius temporis pensiones ex conducto conueniri potest, quatenus
locatori in id quod eius interest indemnitas seruetur.
54
D. 19,2,19,9 (Ulpiano):
Cum quidam exceptor operas suas locasset, deinde is qui eas conduxerat decessisset, imperator Antoninus cum diuo Seuero rescripsit ad libellum exceptoris in haec uerba: “cum
per te non stetisse proponas, quo minus locatas operas Antonio Aquilae solueres, si eodem anno mercedes ab alio non accepisti, fidem contractus impleri aequum est”.
55
È da notare che questi due paragrafi sono preceduti (§ 8) dalla enunciazione di questo principio: «Ex conducto actionem etiam ad heredem transire palam est».
ASSOGGETTARE PER ORGANIZZARE: VARIANTI DELLA SUBORDINAZIONE
155
opere di comites alle dipendenze di un legatus Caesaris defunto prima
del termine contrattualmente definito, sempreché i medesimi comites non
abbiano prestato servizio sotto altri: si non postea comites cum aliis eodem
tempore fuerunt56.
Da questi reperti si può ricavare la conclusione, secondo la quale la
posizione del locator operarum gode della stessa tutela di quella del conductor nei confronti del recesso unilaterale in un contratto a termine, e
in questo senso non si deteriora a causa della situazione potestativa nella
quale versa per effetto del contratto. Più in generale, si può affermare che
almeno nello strato che può ascriversi al diritto classico, così come questo si può dire rappresentato dal Digesto, il principio dominante sembra
essere quello che ciascuna delle parti può sempre recedere dal contratto
uscendo dal rapporto, salva la responsabilità patrimoniale relativa, valutata con riferimento all’id quod interest.
Tuttavia, questa prima conclusione deve essere corretta sulla base di
due considerazioni.
La prima riguarda ciò che si può ricavare da una costituzione di Antonino Pio del 214 collocata in C. 4,65,3, dalla quale si evince un principio
di natura diversa, indirizzato alla conservazione del contratto e del relativo rapporto; secondo questa disposizione imperiale, il locator non può
espellere dall’immobile dato in locazione il conductor che ha perfettamente adempiuto al pagamento della mercede, salvo il caso in cui il dominus
dia la prova di aver necessità di riacquisire la disponibilità dell’immobile
per uso proprio, o che debba eseguirvi lavori di miglioria, o che il conductor stesso ne usi in modo pregiudizievole:
Diaetae, quam te conductam habere dicis, si pensionem domino insulae soluis,
inuitum te expelli non oportet, nisi propriis usibus dominus esse necessariam eam
probauerit aut corrigere domum maluerit aut tu male in re locata uersatus es [214].
Del tutto coerente con questa disciplina è una costituzione di Diocleziano e Massimiano del 293 inserita in C. 4,65,22, con la quale si persegue
56
D. 19,2,19,10:
Papinianus quoque libro quarto responsorum scripsit diem functo legato Caesaris salarium comitibus residui temporis praestandum, modo si non postea comites cum aliis
eodem tempore fuerunt.
156
VICTOR CRESCENZI
la conservazione del contratto e dunque la continuazione del rapporto,
anche qui a favore del conductor; si tratta di un caso particolarmente rilevante per il discorso qui svolto, visto che riguarda una locatio operarum
certi temporis relativamente alla quale è sancito che il giudice iubebit conuentionem seruari nei confronti dei locatores operarum che pretendano
di recedere prima della scadenza del termine contrattuale, sia pure nei
limiti della buona fede:
Si hi, contra quos supplicas, facta locatione temporis certi, suas tibi locauerint
operas, quatenus bona fides patitur, causa cognita competens iudex conuentionem
seruari iubebit [293].
Si tratta, invero, di un testo che merita attenzione particolare, soprattutto tenendo conto della struttura rigidamente corporativa dell’organizzazione socio-politica propria dell’età dioclezianea e comunque tardoimperiale, ma anche, in prospettiva storica di più lungo periodo, tenendo
conto del fatto che in età comunale, ma anche in età di ius commune,
alcuni statuti stabiliranno regole piuttosto rigide contro il recesso unilaterale dei locatores operarum, che perverranno fino alla loro coercizione.
Tuttavia, anche senza lasciarsi suggestionare da quest’ultima osservazione, non mi sembra dubbio che se non si vuol far diventare la costituzione imperiale di C. 4,65,22 un testo anodino, perfettamente inutile, occorre tentare di interpretarlo in modo sensato, anche con riguardo ai suoi
aspetti pratici. In altre parole, questo testo appare perseguire un indirizzo
di politica del diritto analogo a quello del precetto contenuto in C. 4,65,3
appena visto: il fine cui si protende sembra quello di tutelare la parte che
ha in godimento l’oggetto della locazione con la conservazione del contratto. Il conductor, evidentemente, può ritenere maggiormente conforme
al proprio interesse il continuare a godere del bene locato – sia questo
un immobile o la persona del locator al fine di servirsi delle sue operae
– piuttosto che ricevere il risarcimento del danno derivante dal recesso.
Antonino Pio, prima, e Diocleziano e Massimiano, poi, sostanzialmente
compiono una ponderazione degli interessi del conductor al mantenimento della disponibilità dell’oggetto locato con quelli del locator a riacquisire prima del termine contrattualmente definito il bene o la pienezza della
disponibilità della propria persona, nel caso qui specificamente trattato
di locatio operarum. Di conseguenza, il locator non può liberarsi dell’obbligazione essenziale della locatio-conductio di dare e di mantenere il bene
ASSOGGETTARE PER ORGANIZZARE: VARIANTI DELLA SUBORDINAZIONE
157
locato recedendo unilateralmente dal contratto, convertendola in una obbligazione pecuniaria di risarcimento dell’id quod interest, se a ciò non
consenta il conductor il quale può chiedere e ottenere un provvedimento
del giudice che ordini al locator di adempiere perfettamente le obbligazioni derivanti dal contratto che ha concluso, o, meglio, di non violarlo.
Mi sembra opportuno considerare più analiticamente, in tutti i suoi
risvolti pratici la fattispecie trattata nella costituzione dioclezianea di C.
4,65,22, che evidentemente origina dalla provocazione di un conductor
che ha assunto alcuni locatores operarum a tempo determinato – facta
locatione temporis certi –; il plurale, invero, rinvia ad un caso, nel quale
un conductor si trova a dover fronteggiare un abbandono collettivo del
lavoro da parte dei locatores alle sue dipendenze. Già la deduzione del
certum tempus nel contratto e la sua menzione nel dispositivo imperiale
appare come una sottolineatura e nello stesso tempo una delimitazione
dell’ambito precettivo imperiale, anche se di illiceità di un recesso unilaterale prima della scadenza del termine contrattualmente convenuto si
può parlare solo con riguardo ad un’ipotesi di locatio temporis certi, essendo il recesso sempre lecito nei contratti a tempo indeterminato.
Ma si deve porre l’accento sul fatto che il precetto imperiale statuisce
che contro la pretesa dei locatores di recedere unilateralmente anzitempo
il competens iudex, sia pure nei limiti della bona fides, deve iubere conuentionem seruari. Lo iudex qui sembra investito di un potere coercitivo,
indirizzato appunto a far sì che conuentionem seruari, vale a dire a far sì
che il contratto sia esattamente adempiuto; il procedimento dunque non
sembra dispiegarsi più sul terreno risarcitorio, che peraltro implica un
inadempimento – l’abbandono del lavoro –, ormai avvenuto, cui porre il
giusto riparo, ma punta a salvaguardare nella sua integrità le obbligazioni
dei locatores, ai quali sembra inibito di abbandonare il lavoro garantendo
l’integrità del relativo credito del conductor. La scelta tra accettare il risarcimento o evitare che si realizzi l’inadempimento ricorrendo all’ordine
del giudice evidentemente rimane nella potestà del conduttore. Però, se
questi ottiene la iussio iudicis, l’abbandono del lavoro e il conseguente
inadempimento si configurerebbe non più e non soltanto come tale, ma
anche come un rifiuto ad ottemperare ad un ordine del giudice. Il senso
e la funzione di questa pronuncia imperiale elevata a precetto generale
è dunque quello di aggiungere alla generica tutela che protegge le parti contro l’inadempimento, una tutela specifica che qui sembra prestata
espressamente a favore del conductor; il giudice, invero, iubebit conuentio-
158
VICTOR CRESCENZI
nem seruari solo dopo aver avuto cognizione delle ragioni contrapposte –
causa cognita –, il che significa che egli è previamente tenuto ad esercitare
la sua iurisdictio, e che è abilitato ad aggiungere a questo tipico esercizio
del potere di cognizione un atto che si colloca all’interno dell’imperium,
secondo l’argomento che si può trarre da D. 2,1,457 e che si giustifica in
quanto indirizzato ad evitare un pregiudizio economico del conductor il
cui risarcimento, specificamente nel caso di una locatio operarum, per
ragioni di natura essenzialmente sociologiche, possiamo considerare di
difficile conseguimento.
In tal modo si affaccia un ulteriore elemento degno di considerazione
nell’analisi della figura della subordinazione, ed è questa la ragione per la
quale qui si dà tanto risalto a questa fattispecie. Se l’interpretazione qui
proposta della testimonianza di C. 4,65,22 è corretta, se ne deve trarre
una conseguenza che ci permette di guardare in modo più sostanziale alla
fenomenologia della quale parliamo. La tutela che scaturisce dal principio
che si deve far discendere da questo dettato imperiale, nonché dalla considerazione del suo inserimento nella compilazione giustinianea, come
già adombrato, sembra essere riservata al conductor operarum: è questi
che espressamente può pretendere il provvedimento del giudice adito
(si noti l’uso del futuro – iubebit – che implica un imperativo rivolto al
giudicante) e quindi è il conductor che si trova a godere di una posizione
che esalta la situazione potestativa che esercita nei confronti dei locatores;
né è prudente considerare in modo superficiale il fatto che il caso qui deciso dall’imperatore è quello di una astensione dal lavoro da parte di una
pluralità di soggetti: locatores, appunto. Dietro la inespressiva pagina del
testo legislativo non è forse troppo ardimentoso vedere un imprenditore
alle prese con un’astensione collettiva dei propri dipendenti in un contratto a tempo determinato, vale a dire dopo averli assunti evidentemente
per il compimento di un’attività rivolta al raggiungimento di un risultato
determinato, il mancato conseguimento del quale – supponiamo un raccolto agricolo – può costituire la causa di un danno di dimensioni tali da
non poter trovare adeguata soddisfazione da parte di operai non certo patrimonialmente ben dotati. Sicché, per il conductor non sarà indifferente,
57
D. 2,1,4:
Iubere caueri praetoria stipulatione et in possessionem mittere imperii magis est quam
iurisdictionis.
ASSOGGETTARE PER ORGANIZZARE: VARIANTI DELLA SUBORDINAZIONE
159
sul piano pratico, ottenere l’adempimento o il risarcimento nell’id quod
interest, secondo i principi comuni: preponderante per lui sarà l’interesse
all’adempimento, essendo il risarcimento di difficile realizzazione. E qui
forse riposa la ragione economico-sociale della determinazione imperiale,
che si giustifica come aggiuntiva rispetto ai rimedi classici, perché diversa
è la situazione economico-sociale nella quale il lavoro dei liberi impiega
un numero significativo di persone. Però stabilire il principio secondo il
quale il locator è sottoposto alla coercizione ad adempiere significa anche
incidere sul suo stato di subordinazione, rendendolo più gravoso.
Invero, benché la costituzione di Diocleziano e Massimiano di C.
4,65,22 possa essere considerata espressione di una politica del diritto
generalmente volta a tutelare la stabilità del rapporto di fatto che il conductor intrattiene con l’oggetto della locazione, giusta la linea che sembra essere fatta risalire alla costituzione di Antonino Pio di C. 4,65,3, nel
considerare in modo disincantato la fenomenologia qui indagata, non si
può obliterare la considerazione che deriva da ciò, che il precetto dioclezianeo incide sullo stato di libertà materiale dei locatores, per quanto
lo status libertatis in quanto tale rimanga intatto; essi infatti subiscono
passivamente la scelta nell’alternativa tra il risarcimento e la coercizione e, occorrendo quest’ultima, si troveranno disarmati nei confronti del
conductor dovendo rinunciare, dinanzi all’ordine del giudice, a far valere loro eventuali ragioni economiche nei di lui confronti. Se si colloca
questa disciplina all’interno della società tardo-imperiale, nella quale alle
frequenti numerose manumissioni corrisponde un incremento della popolazione di liberi proletari, che in quanto, appunto, liberi, non possono
nemmeno più contare sui per quanto esigui mezzi di sussistenza connessi
con il loro stato di servitù, ma devono procurarsi con il proprio lavoro le
fonti di sostentamento, si comprende in qual modo giochi la costituzione
dioclezianea in questione. Se poi, per completare lo schizzo di un quadro
che meriterebbe un ben più diligente approfondimento, si tiene conto
del precetto secondo il quale legem quidem conductionis seruari oportet
nec pensionum nomine amplius quam conuenit reposci, che, sancito in
C. 4,65,16 da Valeriano e Gallieno nel 26058 a proposito di una locatio
58
C. 6,65,16 [260]:
Legem quidem conductionis seruari oportet nec pensionum nomine amplius quam
conuenit reposci. sin autem tempus, in quo locatus fundus fuerat, sit exactum et
160
VICTOR CRESCENZI
fundi è certamente applicabile anche alla locatio operarum59, si vede in
qual modo giochi una disciplina che si presenta con notevoli chiaroscuri. Certo, la natura contrattuale e specificamente a tempo determinato
dello stato di subordinazione séguita a garantire la libertà dei locatores
operarum, e soprattutto la loro libertà formale: come la cosa alla fine del
tempus locationis deve tornare integra al locator, così la persona, come si
è più volte sottolineato, tornerà nella pienezza della disponibilità di se
stessa; ma aldilà di questo aspetto formale, sicuramente ben più gravosa
appare la sostanza delle relazioni socio-economiche anche alla luce della
disciplina qui illustrata.
Una seconda osservazione, che si alimenta anch’essa a considerazioni
economiche e sociali, ci induce a correggere quella simmetria tra locatore
e conduttore in ordine alla tutela dall’inadempimento e in particolare dal
recesso unilaterale sopra rilevata. Di essa do rapidamente conto, anche
perché non mi risulta che sia stata trattata in qualche modo con specifico
riferimento alla locatio operarum del libero.
Almeno due reperti testuali, a quel che mi consta, trattano di locationes alle quali sia stata aggiunta la pattuizione di una penale a carico della
parte inadempiente. I testi sono un frammento di Paolo in D. 19,2,54,160
e una costituzione di Valeriano e Gallieno del 259 in C. 4,65,15 [259];
quest’ultimo così detta:
Si fundo a locatore expulsa es, agere ex conducto potes poenamque, quam prae-
in eadem locatione conductor permanserit, tacito consensu eandem locationem una
cum uinculo pignoris renouare uidetur.
59
Un principio analogo e speculare contro le richieste di riduzione del canone locatizio in D.
19,2,23 (Ermogeniano):
Praetextu minoris pensionis, locatione facta, si nullus dolus aduersarii probari possit, rescindi locatio non potest.
60
D. 19,2,54,1:
Inter locatorem fundi et conductorem conuenit, ne intra tempora locationis Seius conductor de fundo inuitus repelleretur et, si pulsatus esset, poenam decem praestet Titius locator
Seio conductori: uel Seius conductor Titio, si intra tempora locationis discedere uellet,
aeque decem Titio locatori praestare uellet: quod inuicem de se stipulati sunt. Quaero,
cum Seius conductor biennii continui pensionem non solueret, an sine metu poenae expelli possit. Paulus respondit, quamuis nihil expressum sit in stipulatione poenali de solutione
pensionum, tamen uerisimile esse ita conuenisse de non expellendo colono intra tempora
praefinita, si pensionibus paruerit et ut oportet coleret: et ideo, si poenam petere coeperit
is qui pensionibus satis non fecit, profuturam locatori doli exceptionem.
ASSOGGETTARE PER ORGANIZZARE: VARIANTI DELLA SUBORDINAZIONE
161
stari rupta conuentionis fide placuit, exigere ac retinere potes.
A proposito di questi casi, mi limito ad osservare che la stipulatio poenalis gioca anche qui un ruolo differente a seconda che la si guardi dal punto di vista del locator o da quello del conductor in una locatio operarum;
ché certamente la possibilità di corrispondere la penalità stipulata sarà diversa, essendo presumibilmente diversa la consistenza patrimoniale delle
due parti. Anche qui, ad una eguaglianza giuridica non corrisponde una
parità di situazioni economiche tra le parti, che risulterà tanto saliente
quanto più si tenga conto delle cospicue manumissioni dei primi secoli
dell’impero, tali da creare, come ho già ricordato, una consistente massa
di uomini liberi e però anche bisognosi di trovare fonti di sostentamento;
e dunque a questa eguaglianza giuridica non corrisponde un equilibrio
sostanziale nella tutela degli interessi contrapposti ed eventualmente in
conflitto, sicché il locator operarum sarà sempre indotto ad adempiere, nell’ipotesi che la locatio da lui contratta sia assistita da una stipulatio poenalis e
a rimanere nel servizio del suo conductor, per quanto possa essere per lui
gravosa la situazione di dipendenza nella quale si trovi.
8. Non rimane che affrontare uno degli aspetti più incisivi nei quali,
anche oggidì, si manifesta la subordinazione: quello della soggezione al
potere disciplinare del conduttore di opere che costituisce lo strumento
per mezzo del quale il conductor operarum rende effettivo il suo potere
direttivo in ordine alla prestazione delle opere, nel quale la subordinazione ha il punto di forza funzionale. In quanto investito in via esclusiva del
potere di stabilire secondo quali modalità le operae devono essere prestate ci si può intuitivamente aspettare che al conductor sia riconosciuto un
correlato potere di tipo essenzialmente coercitivo sui propri dipendenti,
necessario per indirizzarne le prestazioni nel modo ritenuto opportuno,
ma anche per vincerne le eventuali resistenze a fare quanto dovuto e nel
modo più idoneo alla realizzazione dei di lui interessi.
Però, quella che oggi collochiamo sotto il lemma di potestà disciplinare rimanda ad una configurazione dei rapporti tra datore di lavoro e
lavoratore storicamente non priva dei caratteri dell’ambiguità: essa, in
modo analogo alla stipulatio poenalis, gioca un ruolo dissuasivo, deterrente nei confronti del prestatore di opere, inducendolo ad adempiere
in modo conforme alle aspettative del creditore della prestazione, al fine
di evitare l’irrogazione di sanzioni, che hanno per lo più natura afflittiva;
162
VICTOR CRESCENZI
ma naturalmente nel contempo, la relazione disciplinare, se la si guarda
con la lente della struttura della locatio-conductio, costituisce quasi una
conseguenza inevitabile e si configura come uno dei modi di esplicarsi
del più generale potere che il conductor operarum acquista per effetto
della locatio sulla persona locata, come meglio vedremo tra breve, e, vista
sotto questo angolo visuale, assolve ad una efficace funzione repressiva
di comportamenti ritenuti dal conductor difformi agli interessi che egli
intende realizzare con la locatio. In questo senso lo si può ritenere uno
strumento di autotutela.
Tanto più sembra organico il potere in questione alla locatio operarum
in quanto le operae, come ho più volte sottolineato, costituiscono una
unità di misura di tipo temporale – la giornata di lavoro61 – ed invero il
contratto non è indirizzato al raggiungimento di un risultato determinato,
né tra le obbligazioni contrattuali del locator è inclusa quella della realizzazione di un prodotto finito, a differenza della locatio operis, nell’ambito
della quale, peraltro, il conductor-imprenditore è liberato da ogni responsabilità nei confronti del locator-committente in ordine all’adempimento
tramite l’adprobatio dell’opus locatum auersione, ossia da consegnare in
Con il termine opera in COLUMELLAE De re rustica 11,17 ss. è indicata la quantità di lavoro
necessaria per il compimento di alcune lavorazioni:
[17] Pastinatio quoque, quae mense Decembri uel Ianuario coepta est, iam nunc includenda et uitibus conserenda est. Pastinatur autem terreni iugerum ita, ut solum in altitudinem trium pedum defodiatur operis octoginta uel in altitudinem dupondii semissis operis
quinquaginta uel ad bipedalium, quae est altitudo duorum pedum, operis quadraginta.
[18] Haec tamen in agro sicco surculis conserendis minima pastinationis mensura est.
Nam holeribus deponendis possit uel sesquipedalis altitudo satisfacere, quae plerumque
in singula iugera triginta operis conficitur [...]. [26] [...] Sartura quoque frumentorum
iteratur egregie; modios tres una opera recte sarit. [28] [...] Ceterum ad deponendas uites
uel non magni incrementi arbores sulcus, qui sit pedum centum et uiginti, latitudine bipedanea, in altitudinem deprimi debet dupondii semissis, eumque similiter una opera efficit. [40] [...] Arbores quoque tempus est ablaqueatas circumfodere et operire; una opera
nouellas circumfodiet arbores LXXX, mediocres LXV, magnas L. [46] [...] Item omnes
arbores frugiferae circumfossae aggerari debent, ut ante solstitium id opus peractum sit.
Quin etiam pro conditione regionis et caeli terra uel proscinditur uel iteratur, eaque, si est
difficilis, proscinditur operis tribus, iteratur duabus, tertiatur una, lirantur autem iugera
duo bis opera una. At si facilis est terra, proscinditur iugerum duabus operis, iteratur una,
lirantur una iugera quattuor, cum in subacta iam terra latiores porcae sulcantur. [54] [...]
Iugerum stramentorum opera una desecat [...]. [82] [...] Duo iugera tres operae commode
occabunt arboresque, quae intererunt, ablaqueabunt, quamvis antiqui singulis operis singula iugera sariri et occari uelint; quod an recte fieri possit, adfirmare non ausim. [...] [87]
[...] Iugerum uinearum in senos pedes positarum duae operae oblaqueant.
61
ASSOGGETTARE PER ORGANIZZARE: VARIANTI DELLA SUBORDINAZIONE
163
blocco, una volta terminato, ovvero tramite l’admetiri l’opus che in pedes
mensurasue praestetur, a mano a mano che esso procede, secondo un notevole passo di Fiorentino collocato in D. 19,2,3662.
A dispetto della sua notevole rilevanza, però, quel che ho identificato con la locuzione prettamente moderna di “potere disciplinare”, ma
che meglio va inquadrato nel potere riconosciuto al conductor di corrigere, castigare e cogere il locator operarum durante il rapporto al fine di
mantenerne la prestazione, anche contro la sua volontà, nell’ambito della
conformità agli interessi del conductor non sembra oggetto di specifica
compiuta trattazione nei testi della compilazione.
In effetti un solo testo sembra prendere in considerazione il tema dei
rapporti coercitivi tra conductor e una persona libera oggetto della locazione, come vedremo tra poco, ma esso sembra quasi marginale, trattandosi di un caso di lesioni di un puer locato dal paterfamilias ad un sutor
che, insoddisfatto delle sue prestazioni, gli procura con un calcio una
gravissima lesione permanente. Si tratta di D. 19,2,13,4 (Ulpiano):
Item Iulianus libro octagensimo sexto digestorum scripsit: si sutor puero parum
bene facienti forma calcei tam uehementer ceruicem percusserit, ut ei oculus effunderetur, ex locato esse actionem patri eius: quamuis enim magistris leuis castigatio concessa sit, tamen hunc modum non tenuisse: sed et de Aquilia supra
diximus. Iniuriarum autem actionem competere Iulianus negat, quia non iniuriae
faciendae causa hoc fecerit, sed praecipiendi.
Un unico connotato rende interessante questo caso per il discorso qui
svolto: esso consiste nello status libertatis del puer, che presumibilmente
è un libero. Però il puer, più che come dipendente del sutor sembra essere locatus dal di lui pater come apprendista, e inoltre non è lui stesso
locator, questi essendo appunto il pater, sicché probabilmente si tratta
di una locatio operis, finalizzata all’istruzione del fanciullo nell’arte della
62
AMIRANTE, Ricerche, 86 s. D. 19,2,36:
Opus quod auersione locatum est donec adprobetur, conductoris periculum est: quod
uero ita conductum sit, ut in pedes mensurasue praestetur, eatenus conductoris periculo est, quatenus admensum non sit: et in utraque causa nociturum locatori, si per
eum steterit, quo minus opus adprobetur uel admetiatur. Si tamen ui maiore opus prius
interciderit quam adprobaretur, locatoris periculo est, nisi si aliud actum sit: non enim
amplius praestari locatori oporteat, quam quod sua cura atque opera consecutus esset.
164
VICTOR CRESCENZI
calzoleria, quindi con una precisa funzione educativa, di apprendistato; e
in verità il testo si riferisce allo specifico potere riconosciuto al magister in
quanto tale di irrogare una leuis castigatio; il problema dibattuto, infatti,
riguarda la misura di questo potere: il magister ne ha evidentemente abusato; infine, e per tutte queste ragioni, è da dubitare che l’intero rapporto
possa essere fatto rientrare nella casistica della subordinazione in senso
proprio, per quanto qui sia in questione comunque un rapporto di soggezione, ancora una volta potestativo. Non c’è dubbio, tuttavia, che questo
sia un reperto da prendere in grande considerazione; ma non risolve il
problema che si sta tentando di delineare nei suoi corretti termini.
Esiste, o, almeno, si può prospettare, dunque, un problema storiografico in ordine al corretto inquadramento di ciò di cui stiamo parlando.
Invero, abituati, come siamo, a trovare questo potere nominato e regolato in una specifica norma del codice civile vigente, l’art. 2106, troviamo
difficoltà ad identificarlo all’interno di un’esperienza giuridica dalla struttura così diversa; del resto, nemmeno nel codice civile del 1865 il potere
disciplinare trovava espressa menzione, all’interno di una struttura dello
scambio di lavoro dipendente contro una retribuzione, qual era quella
della locazione di opere; eppure non possiamo nutrire alcun dubbio sul
fatto che, per quanto non nominato, un potere disciplinare del datore di
lavoro esistesse anche all’interno di quella struttura; anzi, si può e si deve
osservare che con il codice del 1942 lo si è fatto emergere dalla situazione di una sua, per così dire, sociologica metagiuridicità (all’interno della
quale ne era esasperata l’ambiguità alla quale facevo dianzi riferimento,
parallelamente, del resto, a quanto è accaduto a proposito della subordinazione). Insomma, l’averlo identificato e nominato lo ha sottratto all’indeterminazione sociologica che lo rendeva fonte di incertezze e di abusi,
con pregiudizio per la tutela del soggetto più debole, e lo ha elevato a
elemento portante del rapporto di lavoro, lo ha costituito e configurato
giuridicamente, più precisamente lo ha tipizzato, e infine lo ha assoggettato a regole molto precise, l’osservanza delle quali è sindacabile in via
giurisdizionale.
È quindi all’interno di una appropriata impostazione del problema
storiografico che devono essere ricercate le testimonianze delle forme di
autotutela del conductor operarum in ordine al modo secondo il quale devono essere prestate tali operae da parte del locator. In altre parole, il fatto
che i testi della compilazione giustinianea, principale nostra fonte per
l’esperienza giuridica romana, se si eccettua il caso del puer appena visto,
ASSOGGETTARE PER ORGANIZZARE: VARIANTI DELLA SUBORDINAZIONE
165
trattano di uno ius corrigendi, o castigandi o coercendi in capo al conductor
solo con riferimento allo schiavo oggetto di locazione, e non nei confronti
del locator operarum libero, non vuol dire che non esista; se si valuta nel
suo complesso la società romana, in generale, e la struttura del rapporto
potestativo che si crea con la locatio operarum, in particolare, sarebbe ingenuità ritenerlo; sicché, il fatto che i testi della compilazione giustinianea
non lo nominino espressamente in relazione al libero che loca se stesso e
le sue opere vuol dire semplicemente che esso non ha assunto autonomia
giuridica e che quindi lo si deve cercare all’interno della struttura propria
del contratto di locazione di opere.
Il quale, occorre ricordarlo qui ancora una volta, è solo un modo di
realizzarsi dell’unitaria figura della locatio-conductio; questa ha come obbligazioni tipiche, che ne realizzano la causa, quella del trasferimento
della disponibilità della res locata da parte del suo dominus ad un terzo
e quella della restituzione della medesima cosa alla fine del periodo convenzionalmente stabilito. Il contenuto di questa seconda obbligazione,
più precisamente, consiste nella restituzione dell’oggetto della locatio o
nella sua integrità (locatio rei), o così come, tale oggetto, è stato trasformato in conformità alla convenzione (locatio operis).
Come si applica questo principio alla locatio operarum?
Posto che questa ha per oggetto la persona locata, che può essere uno
schiavo, ma, come si è ampiamente visto fin qui, può essere il locatore
stesso, alla locatio operarum questo principio si applica nel senso che la
persona locata deve essere restituita o al suo dominus o a se stessa nella
sua incolumità. Se si entra in questo ordine di idee, si vede quanto sia
ampio lo spazio concettuale, ma anche empirico che viene lasciato ad
ogni forma di coercizione o più generalmente di disciplina anche fisica
che non incida sull’integrità corporale della persona sì da realizzare l’inadempimento dell’obbligazione di restituzione della persona, oggetto
della locatio, nella sua incolumità: la coercizione, la correctio, la castigatio
è dunque lecita purché l’incolumità dello schiavo, ma anche del libero
non subiscano diminuzione.
D’altra parte, il fatto che il conductor acquisti la disponibilità della
persona locata – la sua possessio – in funzione delle operae implica senza remissione un potere non solo di dirigere la prestazione, ma anche
di esercitare la necessaria coercizione affinché questa sia conforme alle
direttive del conductor per tutta la durata del rapporto e nei limiti in cui
essa è finalizzata alla corretta prestazione delle operae. Questo potere non
166
VICTOR CRESCENZI
ha bisogno di essere nominato poiché è implicato dal contratto e dal relativo rapporto che consiste nella disponibilità materiale della persona. In
altre parole, non è, il potere disciplinare anche nelle sue forme coercitive,
il quid da legittimare, o altrimenti da nominare per renderlo possibile,
poiché esso è parte integrante del rapporto; sono i suoi limiti che devono
essere sanciti, in quanto un esercizio esorbitante del potere di disporre
della persona può portare alla violazione dell’obbligazione di restituzione
che pone fine al rapporto, la quale implica la integrità della cosa locata,
nella specie l’incolumità della persona locata.
Non è dunque strano che non lo si trovi nominato, questo potere, né
che i pochissimi reperti testuali che si incontrano nella compilazione giustinianea si riferiscano essenzialmente agli schiavi e trattino di casi nei quali
non è tanto in discussione uno ius corrigendi, ovvero un potere coercitivo in
quanto tale, ma piuttosto i suoi limiti e dunque i suoi abusi. In particolare,
che i casi riguardino personale servile si spiega con il fatto che questo costituisce un paradigma, essendo il seruus una res, ma, bensì anche una persona
ed è quindi bisognoso di specifica protezione dinanzi alla eventualità di
abusi che dovevano essere molto frequenti, mentre ancorché all’interno di
un potere coercitivo, la persona del libero gode comunque nella coscienza
sociale della più ampia tutela che può trovare soddisfazione sia all’interno
della generale disciplina dell’iniuria, sia all’interno dell’ordinamento penale. A ciò si aggiunga il generale indirizzo di politica del diritto volta ad
alleggerire la condizione servile e che ha i suoi punti di forza in nuove norme che vietano le sevizie e l’omicidio dello schiavo ben riassunte in I. 1,8,1;
anche se è necessario sottolineare che la più recente disciplina che limita
drasticamente i poteri del dominus nei confronti dei propri schiavi, e che ha
in una fondamentale costituzione di Antonino Pio ivi evocata, e richiamata
anche da D. 1,6,2, un suo punto di forza, si giustifica pur sempre sulla base
della considerazione, espressa appunto in I. 1,8,1, dello schiavo come res
sua ossia res di un dominus – expedit [...] rei publicae, ne quis re sua male
utatur –, tanto che il prezzo della vendita forzata del seruus qui ad statuas
principum confugit per sottrarsi ai maltrattamenti, dei quali si è constatata
l’intollerabilità, è comunque corrisposto al dominus. In nessuna di queste
situazioni può giuridicamente trovarsi un libero locator e quindi locatus insieme con le sue operae, ancorché soggetto al proprio conductor, in quanto
protetto pur sempre dalle norme penali.
L’organicità della relazione disciplinare al rapporto potestativo che si
crea per effetto della locatio, però, risulta, sia pure indirettamente, dalla
ASSOGGETTARE PER ORGANIZZARE: VARIANTI DELLA SUBORDINAZIONE
167
regolamentazione della repressione dei furti domestici del mercennarius:
secondo le conclusioni del Martini questi «sono perseguibili extra ordinem come quelli del liberto e del servo [...] salvo il caso che essi siano di
tenue entità, poiché allora può provvedervi direttamente, in forza del suo
potere disciplinare, il capo della domus»63.
9. Sono per lo più le fonti di natura letteraria che confermano della
organicità alla locatio operarum del potere disciplinare del conductor sul
locator libero. In particolare, la lettura dei testi che trattano dell’azienda
agricola permettono di individuare un’organizzazione del personale addetto in due categorie: una familia servile stabile che costituisce il supporto
permanente dell’azienda, costituita dalle diverse figure professionali necessarie alla sua conduzione, e un complesso di mercennarii o comunque di
lavoratori che si locano per lo più a giornata, dapprima evidentemente per
far fronte a necessità relativamente contingenti, ma che in età più avanzata
sembrano elemento stabile del complesso del personale addetto. È Marco
Porcio Catone il Censore (234-149 a.C. ) che ce ne dà indirettamente conto
quando raccomanda al dominus di intrattenere buoni rapporti con i propri
vicini, tra l’altro anche al fine di potersi procurare facilmente la manodopera di cui possa avere bisogno64: Si te libenter uicinitas uidebit, facilius tua
uendes, opera facilius locabis, operarios facilius conduces; anche se questi
operarios potrebbero pur sempre costituire personale servile. Più specificamente riguardo all’organizzazione del fondo Catone (C. 5) raccomanda
che il uilicus assuma a giornata il personale che non appartiene alla familia:
Duas aut tres familias habeat, unde utenda roget et quibus det, praeterea nemini.
Rationem cum domino crebro putet. Operarium, mercennarium, politorem diutius eundem ne habeat die65.
Del resto, Marco Terenzio Varrone (116-27 a.C.) così descrive, più di
un secolo dopo, la struttura degli addetti all’azienda rustica, nella quale
la presenza di personale salariato sembra meno legata alla contingenza66:
MARTINI, «Mercennarius», 68.
CATONIS CENSORIS De agri cultura 4. Il passo è preso in considerazione anche dall’AMIRANTE,
Ricerche, 37.
65
Ulteriori passi relativi a operarii locati, ovvero a mercennarii nei capp. 10,11,144 e 145.
66
VARRONIS Rerum rusticarum 1,17,2.
63
64
168
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Omnes agri coluntur hominibus seruis aut liberis aut utrisque: liberis, aut cum ipsi
colunt, ut plerique pauperculi cum sua progenie, aut mercennariis, cum conducticiis liberorum operis res maiores, ut uindemias ac faenisicia, administrant, iique
quos obaerarios nostri uocitarunt et etiam nunc sunt in Asia atque Aegypto et in
Illyrico complures.
In particolare il uilicus è un personaggio di fondamentale importanza
per il discorso che qui si sta svolgendo; esso è il cardine intorno al quale
ruota l’organizzazione del fondo; così Catone ne scolpisce, nella sua mirabile asciuttissima prosa, la figura67:
Haec erunt uilici officia. Disciplina bona utatur. Feriae seruentur. Alieno manum
abstineat, sua seruet diligenter. Litibus familia supersedeat; siquis quid deliquerit,
pro noxa bono modo uindicet. Familiae male ne sit, ne algeat, ne esuriat; opere
bene exerceat, facilius malo et alieno prohibebit. Vilicus si nolet male facere, non
faciet. Si passus erit, dominus inpune ne sinat esse.
Al uilicus, dunque è attribuito un potere generale di disciplina su tutto il
personale addetto, benché sia sicuramente uno schiavo. In particolare Lucio
Giunio Moderato Columella (4-70 d.C. ) ne valorizza la figura di preposto
al fondo e alla familia – uilicum fundo familiaeque praeponi conuenit68 – e
ne descrive analiticamente le funzioni, diffondendosi su quelle, tra le altre,
relative alla direzione dei lavori e alla disciplina dei dipendenti agricoli69.
Ebbene, dalla lettura di questo testo e degli altri considerati, risulta che le
funzioni del uilicus si esercitano indistintamente sugli schiavi così come sui
lavoranti liberi; lo si trova ben riassunto in questo passo70, in cui si raccomanda di esercitare il potere disciplinare con moderazione e saggezza:
Iam illa, quae etiam in maioribus imperiis difficulter custodiuntur, considerare debebit, ne aut crudelius aut remissius agat cum subiectis; semperque foueat bonos
et sedulos, parcat etiam minus probis, et ita temperet, ut magis eius uereantur
CATONIS De agri cultura 5.
COLUMELLAE De re rustica 11,3.
69
COLUMELLAE De re rustica 11 passim.
70
COLUMELLAE De re rustica 11,25.
67
68
ASSOGGETTARE PER ORGANIZZARE: VARIANTI DELLA SUBORDINAZIONE
169
seueritatem, quam ut saeuitiam detestentur, poteritque id custodire, si maluerit
cauere, ne peccet operarius, quam, cum peccauerit, sero punire. Nulla est autem
uel nequissimi hominis amplior custodia quam cotidiana operis exactio.
Se questo è il quadro di riferimento, ne consegue che i testi della compilazione che trattano dello ius corrigendi e castigandi dello schiavo, generalmente indirizzati a tutelarlo dagli eccessi e da quelli che, stante il
potere disciplinare anche di tipo corporale, si devono considerare abusi,
descrivono bene, mutatis mutandis, un analogo potere disciplinare che il
conductor o chi ne fa le veci – per es. il uilicus – esercita nei confronti del
locator operarum libero; per il quale non solo valgono tutti i divieti di un
esercizio abusivo di tale potere, e tanto più in quanto il destinatario è appunto un libero, ma valgono anche e comunque i rimedi che discendono
dalle norme penali poste a tutela dell’integrità della persona. Tra questi
testi, uno mi sembra degno di singolare attenzione, vale a dire il passo di
Ulpiano di D. 7,1,23,1, che, sebbene inserito nel titolo De usu fructu et
quemadmodum quis utatur fruatur, mi sembra singolarmente rappresentativo di una situazione connotata da tratti di significativa analogia con
quella che scaturisce per effetto di una locatio operarum di un libero:
Quoniam autem diximus quod ex operis adquiritur ad fructuarium pertinere,
sciendum est etiam cogendum eum operari: etenim modicam quoque castigationem fructuario competere Sabinus respondit et Cassius libro octauo iuris ciuilis
scripsit, ut neque torqueat, neque flagellis caedat.
Che il destinatario della modica castigatio di cui tratta il giureconsulto
sia uno schiavo non c’è dubbio, non potendosi configurare un’ipotesi in
cui oggetto di usufrutto sia un libero, ma non credo che possa sussistere
dubbio anche che questo precetto debba estendersi a tutti i casi in cui esista un diritto di acquisto del frutto delle operae da parte di colui in favore
del quale queste operae devono essere prestate, nel caso della locatio in
virtù del contratto. E ciò anche tenendo conto del principio di I. 3,28,1
e 271. In altre parole, il potere di irrogare la modica castigatio della quale
71
I. 3,28,1 e 2:
1. Item per liberos homines, et alienos seruos quos bona fide possidetis, adquiritur uobis,
sed tantum ex duabus causis, id est si quid ex operis suis uel ex re uestra adquirant. 2.
170
VICTOR CRESCENZI
qui si parla assume una specifica configurazione funzionale: quella di tutelare l’interesse del destinatario ad un frui che dipende da una operosità
altrui; tanto più questo interesse ha da essere protetto da un potere che
costringa colui che le operae deve prestare, anche se questi è un libero,
in quanto il conductor corrisponde una mercede al locator che di esse
operae costituisce il corrispettivo, secondo un icastico frammento tratto
dal commentario all’editto provinciale di Gaio che troviamo in D. 7,7,3,
ossia con riguardo alle operae libertorum, che sembra riassumere in poche
parole l’insieme dei concetti qui trattati: In hominis usu fructu operae sunt
et ob operas mercedes72.
10. Mi siano consentite alcune rapide considerazioni conclusive. Non
può essere reputato un mero accidente il fatto che la forma contrattuale
della locatio-conductio, all’interno della quale trova regolamento lo scambio di schiavi-operae con merces, persista a disciplinare il modo con il
quale un libero loca se stesso come opera, ossia come prestatore di lavoro
contro la merces che gli viene promessa. Soprattutto se si colloca questa
fenomenologia in un periodo storico qual è quello dell’età tardo-antica,
connotato da affrancazioni massicce, e correlativamente da un aumento
del numero dei liberi, che avranno il bisogno primario della stessa sopravvivenza. E anche in questo nuovo ordine di fenomeni, non si dovrà
guardare distrattamente alla persistenza della terminologia: opera è l’unità di misura giornaliera dell’attività dello schiavo, e opera rimarrà il termine che identifica l’unità di misura giornaliera dell’attività del libero, la cui
persona è oggetto della locatio; operas praestare è l’attitudine produttiva
dello schiavo e perfino degli animali fruttiferi e operas praestare indicherà
l’attività del libero che ha locato se stesso; infine, merces è il corrispettivo
che un dominus conductor corrisponderà ad un altro dominus locator per
gli schiavi-operae ricevuti in locazione, e merces seguiterà a denominarsi
il corrispettivo che un dominus conductor pagherà al locator, uomo libero,
che probabilmente è dominus soltanto di se stesso.
La conclusione di questo ordine di considerazioni è che un’indagi-
Per eum quoque seruum in quo usumfructum uel usum habetis, similiter ex duabus istis
causis uobis adquiritur.
72
Cfr. anche il successivo frammento anch’esso gaiano:
Fructus hominis in operis constitit et retro in fructu hominis operae sunt. Et ut in ceteris
rebus fructus deductis necessariis impensis intellegitur, ita et in operis seruorum.
ASSOGGETTARE PER ORGANIZZARE: VARIANTI DELLA SUBORDINAZIONE
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ne che abbia per oggetto la locatio-conductio operarum dell’uomo libero
non può prescindere dalla disciplina della locatio-conductio nella sua interezza, e quindi anche dalle fonti normative che concernono la locatio
serui, stante l’unità della figura contrattuale della stessa locatio-conductio:
affermata a suo tempo dall’Arangio-Ruiz e ormai patrimonio della storiografia; ulteriore conseguenza operativa è che non è possibile, né corretto distinguere, sul piano strutturale, una locatio operarum del libero
da quella del seruus, anche se, come sempre, questa indistinzione deve
essere assunta, nella lettura delle fonti, con la massima cautela e la più
accorta acribia.
Ma si può guardare questa fenomenologia da un altro punto di vista
e cioè quello che deriva dalla considerazione della schiavitù come di un
istituzione che ha marchiato indelebilmente il lavoro, sicché questo, dopo
il lungo periodo plurisecolare nel quale è stato obliterato dalla schiavitù,
ne è riemerso come deformato recando i segni del suo essere stato lavoro
schiavistico nella struttura della subordinazione.
SOMMARIO
La figura contrattuale della locatio operarum dell’uomo libero, che va collocata nell’ambito dell’unitaria figura della locatio-conductio, in quanto generativa sempre e comunque
di una obbligazione di dare, si rivela all’analisi come la forma di ciò che nell’esperienza
giuridica di oggi denominiamo “subordinazione”. Con la locatio operarum, infatti, viene
attribuita la disponibilità materiale della persona locata, oggetto del contratto, al fine della
prestazione delle operae, senza differenze tra il caso in cui questa persona sia quella dello
schiavo o quella del libero.
Il contributo qui presentato intende indagare sul modo nel quale, nell’esperienza romanistica, segnatamente dell’età tardo-antica, la subordinazione riceve configurazione strutturale e
intende dimostrare che questa configurazione è collocata concettualmente nell’ambito della
generale fenomenologia della possessio (C. 7,14,11), e in particolare nella specifica figura
della possessio naturalis, o corporalis. Da questa configurazione discende non solo l’attribuzione al conductor di una situazione potestativa in ordine alla prestazione delle operae, ma
la conseguente attribuzione del potere insindacabile, che si esercita ovviamente anche nei
confronti del locator libero, di indirizzarne la prestazione ai fini esclusivi della realizzazione
dell’interesse del conductor che ne rimane l’unico interprete.
La configurazione del rapporto tra conductor e locator all’interno della possessio naturalis non
incide in alcun modo e quindi nemmeno nella prospettiva di una locatio di lungo periodo con lo
status libertatis di quest’ultimo, che riacquista la piena disponibilità di se stesso alla fine del periodo contrattualmente convenuto – o anche prima per effetto del recesso unilaterale, che tuttavia, soprattutto in età tardo-antica sembra presentare caratteri di problematicità (C. 4,65,22).
Il rapporto che si costituisce con la locatio operarum nei confronti del libero, in quanto
configurato dentro la fenomenologia della possessio, si rivela come un rapporto di mero
172
VICTOR CRESCENZI
fatto, sicché il locator si trova assoggettato alle direttive del conductor senza potersene
sottrarre e senza poterle eludere. Ciò implica una relazione di tipo disciplinare che tuttavia non sembra essere oggetto di espresso regolamento. È quindi indispensabile fare
ricorso alla situazione disciplinare che concerne il rapporto tra conductor e seruus locatus,
in quanto solo a proposito di questo si parla di ius corrigendi, ovvero ius castigandi o coercendi, ma sempre per segnare il confine che passa tra un uso legittimo di questo potere
coercitivo e i suoi abusi e non già per legittimarlo in quanto tale. È infatti impensabile
che il silenzio delle fonti possa significare che il conductor si trovi disarmato nei confronti
del locator libero, che, dunque, ha locato se stesso, quando questi si riveli riottoso o non
produttivo. Del resto, è dagli autori letterari, segnatamente da Columella, che si hanno testimonianze relative al fatto che tutto il personale addetto all’azienda agricola, sia questo
personale servile, sia personale salariato, è assoggettato al potere direttivo e disciplinare
del uilicus, che, per quanto sia generalmente un seruus, è l’agente del dominus sia in ordine alle lavorazioni agricole in quanto tali, sia in ordine alla direzione della complessiva
manodopera che lavora, quale che sia il suo status libertatis, nell’impresa agricola, che si
può ritenere l’attività produttiva dominante e paradigmatica dell’età antica.
Tutto questo discorso ha sullo sfondo, per l’età tardo-antica, la formazione di una massa di
persone che, a causa delle manomissioni che caratterizzano questo periodo storico, hanno
ricevuto la libertà e che però sono bisognose di trovare, nella forma del lavoro salariato e dunque dentro la struttura contrattuale della locatio operarum, le fonti del proprio sostentamento.
Uno dei risultati di questa indagine è quello di indurci a guardare all’intera fenomenologia
dello scambio di lavoro contro una mercede dal punto di vista che deriva dalla considerazione della schiavitù come di un istituzione che ha marchiato indelebilmente il lavoro, sicché
questo, dopo il lungo periodo plurisecolare nel quale è stato obliterato dalla schiavitù, ne è
riemerso come deformato recando nella struttura della subordinazione i segni del suo essere
stato lavoro schiavistico.
PAROLE CHIAVE
Lavoro; subordinazione; contratto; locatio-conductio; locatio operarum; opere; libertà; schiavitù; disciplina.
ABSTRACT
This paper intends to show that the contract of locatio-conductio is the essential form of the
subordination in the phenomenology of work in late Roman law.
In particular, the contribution presented here aims to investigate how the subordination
of the workers, that are formally free men, is configured in the experience of Roman
law – especially in the age of late antiquity –; will be demonstrated that this configuration is conceptually placed within the general phenomenology of possessio (C. 7,14,11),
and in particular in the specific figure of possessio naturalis, or corporalis. This setting
determines not only the allocation to the conductor of a situation potestative regarding
the performance of operae, but also the final allocation of power, which is exercised obviously against the free locator, be addressed by the provision for the sole purpose of the
realization of interest of the conductor. In some sense, this is the configuration of what
we now call disciplinary relationship, within the locatio-conductio operarum.
This configuration of things and their relationships is the consequence of the structure of the
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locatio-conductio operarum, which is one of the ways of being of the locatio-conductio as such.
The structure of this contract is that of an obligatio dandi, which persists in whole Roman
law and in subsequent experiences: never this obligation becomes an obligatio faciendi. The
consequence is that the object of contract is always, and remains, the person of the locator.
All of the above has, in the Late Antiquity, as a background, the formation of a mass of people who, because of the manumissiones that characterize this period of history, received the
freedom, but which are in need of finding, in the form of labour wage, and therefore within
the contractual structure of the locatio operarum, the sources of their livelihood.
KEYWORDS
Work; subordination; contract; locatio-conductio; locatio operarum; labours; freedom; slavery; discipline.