1 anno XXVI - gennaio/marzo 2021
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Giorgio De Nova
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Sommario
1/2021
SOMMARIO 1/2021
Saggi e pareri
Sull’efficacia della ratifica in caso di matrimonio canonico stipulato da
rappresentante senza potere
(parere pro veritate)
di Salvatore Patti
7
Luoghi comuni in tema di ritiro dalle trattative e responsabilità
precontrattuale
di Fiorenzo Festi
15
In claris non fit interpretatio: chiarezza espositiva ed ermeneutica giuridica
di Roberto Calvo
41
L’arbitro-robot: un futuro prossimo?
(Profili sostanziali)
di Francesca Benatti
47
L’acqua iemale e il Tribunale superiore delle acque
di Loredana Nazzicone
65
Alea e scambio: il caso dei contratti derivati
di Riccardo Fornasari
72
L’obbligo di fedeltà tra norme e costume
di Daniele Corvi
103
Clausole di rinegoziazione e stabilità dei rapporti contrattuali
di Silvia de Marco
119
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Saggi e pareri
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Saggi e pareri
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Alea e scambio: il caso dei contratti derivati
di Riccardo Fornasari*
Abstract. This paper assesses the issue of alea in the Italian juridical system through the lens of
case law on derivative contracts. After having shed light on the role of derivatives in the current
economic system and on the fundamental legal issues that they raise, case law concerning their
validity is critically assessed. Considerations on the regulation of the market order are drawn from
the analysis of the relationship between the notions of causa and alea. Finally, the legal consequences
affecting the settlement of a contract declared immeritevole are analyzed.
SOMMARIO: 1. Introduzione. – 2. Il primo orientamento giurisprudenziale: l’espressione del mark to market e meritevolezza del derivato, sua critica. – 3. Il secondo orientamento: la meritevolezza del derivato in ragione dell’idoneità a realizzare la
funzione cui è preordinato, sua critica. – 4. Il terzo orientamento: la nullità per
inesistenza o unilateralità dell’alea, sua critica. – 5. Una questione più generale: sul
rapporto fra causa e alea. – 6. Le decisioni sui derivati nel contesto delle trasformazioni del diritto contrattuale contemporaneo. – 7. Un’ulteriore complessità: la transazione su titolo nullo ed il contratto immeritevole.
1. Nonostante gli interventi della Corte di Cassazione e l’adozione di norme
volte a rendere più trasparente il settore, continuano ad essere numerose le sentenze
che si occupano della validità dei contratti derivati attraverso la lente della causa in
concreto e della meritevolezza. Sul tema la giurisprudenza ha espresso e continua ad
esprimere orientamenti contrastanti; le sentenze di merito pronunciate negli ultimi
due anni ne sono un esempio: pur prendendo in considerazione l’orientamento
espresso dalla Suprema corte, la giurisprudenza ritiene sovente opportuno discostarsene. Analizzare i differenti orientamenti permette quindi di approfondire le questioni giuridiche sottese, anche rispetto agli interessanti profili sistematici che queste
implicano, oggi estremamente attuali in ragione del rinnovato protagonismo del
giudizio causale e di meritevolezza1.
Infatti, i derivati costituiscono non solo un tema di estrema centralità ed attualità nell’analisi del capitalismo contemporaneo e delle sue crisi, ma anche un banco di
prova per le nuove frontiere di tali giudizi. In relazione a tali prodotti finanziari è
possibile esaminare con attenzione le intersezioni e sovrapposizioni di alcuni aspetti
centrali della teoria del diritto contrattuale contemporaneo, come, ad esempio, le
modalità di valutazione dei comportamenti dei contraenti, del contesto nel quale
*
1
Dottore di ricerca presso l’Università di Bologna e l’Université Paris Nanterre.
Roppo, Causa concreta: una storia di successo? Dialogo (non reticente, né compiacente) con la giurisprudenza di
legittimità e di merito, in Riv. dir. civ., 2013, p. 957 ss. parla di «success story».
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Saggi e pareri
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l’accordo è concluso e dei criteri di giudizio sulla natura dello scambio realizzato. La
questione concernente la validità dei derivati riguarda inoltre un tema fondamentale dell’analisi causale, ossia quello dell’alea2. Nelle analisi della dottrina e della giurisprudenza la presenza dell’alea e la sua razionalità rivestono un ruolo di primaria
importanza al fine di determinare l’esistenza e la liceità della causa, in particolare
con riferimento alla distinzione tra alea unilaterale e bilaterale ed alla cosiddetta
«alea illimitata» o «alea incalcolabile». I derivati presentano anche interessanti profili di riflessione circa quello che, con formula efficace, è stato definito uno degli
«argini»3 del giudizio causale, ossia il gioco e la scommessa4. Tali contratti rappresentano quindi un campo di studio privilegiato non solo per l’importanza dei mercati
finanziari e per la diffusione di detti prodotti (oltre che per il loro enorme valore in
termini monetari5), ma anche perché impongono all’interprete di confrontarsi con
le questioni fondamentali del diritto contrattuale e di approfondirle con una prospettiva sistematica6.
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3
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6
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Oggetto da sempre di ampio dibattito, tanto da essere definito un «rompicapo» del diritto contemporaneo.
Il tema verrà affrontato diffusamente nei paragrafi che seguono; la bibliografia sul tema è vastissima, per un
inquadramento generale v. Nicolò, Alea, in Enc. Dir., I, Milano, 1958, p. 1024 ss.; E. Gabrielli, Alea, in
Enc. Giur., I, Roma, 2000, p. 1 ss.; Id., L’eccessiva onerosità sopravvenuta, in Tratt. Bessone, Il contratto in
generale. La risoluzione, v. XIII, t. VIII, Torino, 2011, p. 345 ss.; Balestra, Il contratto aleatorio e l’alea
normale, Padova, 2000, passim; Boselli, Alea, in Noviss. Dig. it., Torino, 1957, p. 473 ss.; Scalfi, Alea, in
Digesto civ., I, Torino, 1987, p. 256 ss.; Id., Corrispettività e alea nei contratti, Milano-Varese, 1960, passim;
A. Gambino, Eccessiva onerosità della prestazione e superamento dell’alea normale del contratto, in Riv. dir.
comm. e obbligazioni, 1960, p. 416 ss.; T. Ascarelli, Aleatorietà e contratti di borsa, in Banca borsa, 1958, I,
p. 435 ss.; Capaldo, Contratto aleatorio e alea, Milano, 2004, p. 147 ss.; Paradiso, I contratti di gioco e
scommessa, Milano, 2003, p. 79 ss.; Corrias, I contratti derivati finanziari nel sistema dei contratti aleatori,
in Swap tra banche e clienti, a cura di Maffeis, Milano, 2014, p. 176-179, p. 184; Roppo, Il contratto, in
Tratt. Iudica-Zatti, Milano, 2011, p. 421 ss.; Sacco e De Nova, Il contratto, cit., p. 1441 ss.; Di
Giandomenico, Il contratto e l’alea, Padova, 1987, p. 302 ss.; Ang. Riccio, Dell’eccessiva onerosità, Comm.
Scialoja-Branca, diretto da Galgano, Bologna-Roma, 2010, p. 164 ss.
L’espressione è di M. Barcellona, Della causa, Padova, 2015, p. 352.
Evidenzia la generale tendenza ad escludere l’applicabilità della disciplina del gioco e della scommessa ai
contratti conclusi sui mercati finanziari Golecki, Evolutionary Theories of Derivative Regulation, in The IEB
Intarnational Journal of Finance, 2012, p. 159.
Si calcola che il valore nominale dei prodotti finanziari in circolo nei mercati finanziari corrisponda a
trentatré volte il Pil mondiale, cfr. Olivieri, Banche, allarme derivati: valgono 33 volte il Pil mondiale, in Il
Sole 24 Ore, 6.12.2018. Inoltre, il rischio che gli stessi pongono per la stabilità del sistema finanziario e
bancario globale è notevolmente aumentato anche in ragione del numero sempre più elevato di transazioni
che vengono svolte in maniera automatizzata, tramite algoritmi che amplificano le tendenze dei movimenti
sul mercato, cfr. Zuckerman, Levy, Timiraos e Banerji, Behind the Market Swoon: The Herdlike Behavior
of Computerized Trading, in The Wall Street Journal, 25.12.2018.
«For Marx moreover, the moneylending transaction is inherently an act of exchange, a trade, occurring in
the sphere of circulation. Since it is an act of exchange, it must satisfy the characteristic qui pro quo of value
transfer among the counterparties.» Cfr. Lapavitsas, Profiting Without Producing, London-NewYork, 2013,
p. 112.
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Saggi e pareri
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Occorre preliminarmente sottolineare che, se vi sono molteplici categorie di derivati7, che presentano problemi giuridici differenti in ragione della diversità di
struttura8, la giurisprudenza di merito e di legittimità, così come il dibattito dottrinale, si sono concentrati prevalentemente sugli swap9 e, in particolare, sugli swap
negoziati in mercati non regolamentati, ossia over the counter (OTC): infatti, per le
ragioni che si evidenzieranno la possibile assenza di causa o immeritevolezza ha
molte più probabilità di presentarsi nei derivati negoziati OTC piuttosto che in
quelli standardizzati10.
Di conseguenza, la maggior parte delle decisioni che si sono concentrate sul problema dell’alea, inevitabilmente collegato a quello della causa concreta, aveva ad
oggetto swap negoziati OTC: questo mercato ha costituito e costituisce un settore
estremamente opaco11, nel cui contesto lo squilibrio dei rapporti tra banca e cliente
è tale da poter indurre una parte a stipulare contratti privi in realtà di alcuna contropartita o «incomprensibili» per il cliente. Pertanto, se le riflessioni che seguono concernono i contratti derivati ed i contratti aleatori più in generale, esse saranno svolte
a partire dalla giurisprudenza che ha riguardato gli swap.
Nel presente articolo si esamineranno e sottoporranno ad analisi critica gli orientamenti seguiti dalla giurisprudenza di merito e dalla Corte di Cassazione. Alla luce
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Lo sottolinea Cass., 31.7.2017, n. 19013, in Banca borsa, 2018, II, p. 1, con nota di Maffeis; M. Barcellona,
I derivati e la causa negoziale: L’“azzardo” oltre la scommessa: i derivati speculativi, l’eccezione di gioco e il vaglio
del giudizio di meritevolezza (parte I), in Contratto e impresa, 2014, p. 576; Maffeis, Contratti derivati, in
Digesto civ., agg. V, Torino, 2010, p. 354; Caputo Nassetti, Strumenti finanziari derivati, in Enc. Dir., ann.
VI, Milano, 2013, p. 911, 917-918.
Una categorizzazione molto diffusa è quella che distingue fra option, future e swap. Seguono tale
categorizzazione, pur con le dovute specificazioni, M. Barcellona, I derivati e la causa negoziale: L’“azzardo”
oltre la scommessa: i derivati speculativi, l’eccezione di gioco e il vaglio del giudizio di meritevolezza (parte I), cit.,
p. 576 ss.; E. Barcellona, Contratti derivati meramente speculativi: fra tramonto della causa e tramonto del
mercato, in Swaps tra banche e clienti: le condotte e i contratti, a cura di Maffeis, Milano, 2013, p. 91 ss.;
Messina, Le operazioni finanziarie nel diritto dell’economia, in Tratt. Picozza – Gabrielli, Padova, 2011, p.
209 ss.; Ang. Riccio, Eccessiva onerosità, in Comm. Scialoja-Branca, 2010, Bologna-Roma, 2010, p. 596 ss.
Critica, invece, tale categorizzazione, e distingue i derivati in cinque categorie Caputo Nassetti, I contratti
derivati finanziari, cit., p. 631; Id., Strumenti finanziari derivati, cit., p. 936 ss.
Occorre inoltre sottolineare che la categoria degli swap è estremamente frammentata e sotto tale dicitura
vengono annoverati contratti che presentano strutture anche molto differenti, cfr. Caputo Nassetti, I
contratti derivati finanziari, Milano, 2011, p. 30.
Angelici, Alla ricerca del «derivato», Milano, 2016, p. 161.
Ciò è probabilmente destinato a mutare, almeno parzialmente, in seguito all’emanazione della normativa
europea in materia ed in particolare del regolamento 2019/834/UE del Parlamento Europeo e del Consiglio
del 20 maggio 2019 che modifica il regolamento (UE) n. 648/2012 per quanto riguarda l’obbligo di
compensazione, la sospensione dell’obbligo di compensazione, gli obblighi di segnalazione, le tecniche di
attenuazione del rischio per i contratti derivati OTC non compensati mediante controparte centrale, la
registrazione e la vigilanza dei repertori di dati sulle negoziazioni e i requisiti dei repertori di dati sulle
negoziazioni; nonché della direttiva 2014/65/UE del Parlamento Europeo e del Consiglio del 15 maggio
2014 relativa ai mercati degli strumenti finanziari e che modifica la direttiva 2002/92/CE e la direttiva
2011/61/UE. Sull’introduzione delle camere di compensazione al fine di rendere tali derivati più trasparenti
cfr. Cornut St-Pierre, La fabrique juridique des swaps, Paris, 2019, p. 238 ss.
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Saggi e pareri
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di tale disamina, si valuterà il ruolo dell’alea nel contratto ed il controllo effettuato
tramite il giudizio causale e di meritevolezza. Infine, si metterà in evidenza un’ulteriore complessità giuridica che è emersa in relazione ad alcuni casi decisi, affrontata
solo en passant dalla giurisprudenza, ossia la sanzione della transazione stipulata in
relazione ad un contratto immeritevole.
2. Un primo orientamento giurisprudenziale pone al centro del giudizio causale
e di meritevolezza l’espressione del cosiddetto mark to market: ciò perché questo
consentirebbe la misurabilità e l’intellegibilità dello scambio di alee12, considerata
requisito essenziale ed imprescindibile affinché l’impegno di ciascun contraente sia
considerato razionale13 e giustificato.
Il mark to market (detto anche fair value) indica il valore del derivato in un dato
momento14 e, di conseguenza, permette di comprendere la posizione, creditoria o
debitoria, dei contraenti. Esso individua quale sia l’effettiva posizione delle parti in
relazione all’andamento degli indici sui quali è parametrato il derivato.
Di conseguenza tale valore cambia costantemente15, rappresentando una situazione per sua natura sempre mutevole; al tempo stesso, tuttavia, esso non costituisce
di per sé un credito o un debito dei contraenti16. Un mark to market negativo, a
meno che la posizione non sia liquidata in quel dato momento, non comporta alcun
debito per la parte svantaggiata, dato che costituisce una simulazione del valore del
contratto sul mercato17.
Non modifica tale constatazione il fatto che il mark to market, al momento della
conclusione dell’accordo, sia usualmente favorevole per la banca e negativo per il
cliente. Infatti, si è rilevato che, così come accade in numerose altre operazioni bancarie e finanziarie, i costi impliciti, come la rimunerazione della banca ed i costi di
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Non sussistono generalmente dubbi circa l’aleatorietà dello swap, che è riconosciuta dalla giurisprudenza
pressoché unanime, cfr. Cass., 19.5.2005, n. 10598, in Contratti, 2005, p. 1004; Corte cost., 18.2.2010, n.
52, in Foro it., 2010, 12, I, c. 3263; in Contratti, 2010, p. 1109 ss.; Trib. Bologna, 29.11.2018, in Banca
dati DeJure; Trib. Milano, 16.5.2015, in Banca borsa, 2016, II, p. 177; Cass., 8.5.2014, n. 9996, in Nuova
giur. comm., 2014, p. 1099; Cass., 28.7.2017 n. 18781, in Banca dati Pluris; App. Bologna, 11.3.2014, in
www.ilcaso.it; Trib. Milano, 28.11.2014, in www.ilcaso.it; Trib. Milano, 16.6.2015, in www.ilcaso.it; Trib.
Genova 30.11.2015, in Banca dati DeJure. Anche la dottrina francese qualifica i contratti derivati come
aleatori: cfr. Morin, Contribution à l’étude des contrats aléatoires, Paris, 1998, p. 87 ss.
Definisce lo swap come «scommessa razionale» Maffeis, I costi impliciti nell’interest rate swap, in Giur.
comm., 2013, I, p. 661.
A. Carleo, C.D. Mottura e L. Mottura, Sul «valore» di un derivato. Argomentazioni in margine alla
disputa tra amministrazioni pubbliche e banche, in Contratti, 2011, p. 385 ss.; Cass., sez. un., 12.5.2020, n.
8770, in www.ilcaso.it.
Cass. pen., 21.12.2011, n. 47421, in Banca dati Pluris.
Caputo Nassetti, Causa, alea, mark-to-market e upfront nei contratti di swap di pagamenti e opzioni sui
tassi di interesse, in Giur. comm., 2016, II, p. 321 ss. Cfr. anche la recentissima Trib. Milano, 20.1.2020,
inedita.
Caputo Nassetti, op. ult. cit., p. 321 ss. Così anche la recentissima Cass., sez. un., 12.5.2020, n. 8770, cit.
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Saggi e pareri
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intermediazione, non sono l’oggetto di un separato accordo, ma vengono inclusi nel
contratto stesso18.
Secondo l’orientamento qui analizzato, l’intelligibilità del rischio assunto deriverebbe dall’espressione del mark to market19, concepito quale elemento necessario
affinché il cliente sia in grado di comprendere il contenuto del contratto e, dunque,
di esprimere una scelta cosciente. Tale concezione del mark to market si discosta da
quella adottata dalla dottrina dominante, che lo considera quale semplice espressione del valore dell’accordo in un determinato momento20; essa, infatti, lo eleva a requisito essenziale del contratto.
Questa argomentazione, che da alcune Corti è sviluppata nel senso di ritenere
che il mark to market integri direttamente l’oggetto del contratto21, in altri casi viene
invece sviluppata in relazione al requisito causale: l’espressione del mark to market
sarebbe requisito necessario per l’esistenza e la liceità della causa e della meritevolezza dell’accordo22. Il contratto aleatorio per essere valido deve essere razionale: garanzia di tale razionalità è la necessaria indicazione del mark to market o, quantomeno,
dei criteri per calcolarlo.
Tale orientamento non è univoco: infatti, numerose sentenze negano che la comunicazione del mark to market sia uno specifico dovere dell’intermediario23, ed
affermano che, in ogni caso, esso non integri né l’oggetto, né la causa del derivato24.
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Caputo Nassetti, op. ult. cit., p. 321 ss. Considera che un mark to market negativo per il cliente incorpori
costi occulti e quindi renda il derivato speculativo e non di copertura Trib. Milano, 19 aprile 2011, in Resp.
civ. e prev., 2011, p. 735, nonché Vettori, Il contratto senza numeri e aggettivi. Oltre il consumatore e
l’impresa debole, in Persona e mercato, 2012, p. 13.
Il mark to market (detto anche fair value) indica il valore del derivato in un dato momento e, di conseguenza,
permette di comprendere la posizione, creditoria o debitoria, dei contraenti. Il mark to market indica quale
sia l’effettiva posizione dei contraenti in relazione all’andamento degli indici sui quali è parametrato il
derivato. Di conseguenza, tale valore cambia costantemente, rappresentando una situazione per sua natura
sempre mutevole in un determinato momento.
Per tutti, cfr. Caputo Nassetti, op. ult. cit., p. 321 ss.; in giurisprudenza cfr. Trib. Parma, 21.4.2017, in
Banca dati Pluris; Trib. Genova, 30.11.2015, cit.; Trib. Milano, 19.4.2011, in Banca borsa, 2011, II, p. 748,
con nota di Girino; Lodo Arbitrale Bologna, 10 febbraio 2017, in www.ilcaso.it.
Trib. Milano, 8.1.2019, in Banca dati Dejure; App. Milano, 25.9.2018, n. 4242, in Contratti, 2019, con
nota di Orefice; in Banca borsa, 2019, II, p. 546, con note di A. Lupoi; Indolfi; Foresta; Trib. Milano,
9.3.2018, in Nuova giur. comm., 2018, p. 1381, con nota di Calabrese; Trib. Milano, 7.7. 2016, in Banca
dati DeJure; Trib. Milano, 9.3.2016, in Banca dati DeJure. Tale conclusione sarebbe ulteriormente
confermata dall’art. 2427-bis c.c., il quale prevede che le società debbano indicare nella nota integrativa di
bilancio il fair value del derivato, ossia il mark to market.
D’altronde, la relazione e l’interdipendenza di causa ed oggetto, tale per cui dall’assenza di uno scaturisce
l’assenza dell’altro è un tema classico del diritto contrattuale, cfr. Pagliantini, I costi impliciti nei derivati
fra trasparenza e causa (ovvero quando nomina non sunt consequentia rerum), in Swap tra banche e clienti, a
cura di Maffeis, Milano, 2014, p. 235; Roppo, Il contratto, cit., p. 363.
Trib. Milano, 25.9.2013 (ord.), in Giur. comm., 2017, II, p. 438 ss., con nota di Caputo Nassetti; Trib.
Milano, 19.4.2011, cit.; Trib. Genova, 30.11.2015, cit.; Trib. Terni, 8.2.2012, in www.dirittobancario.it.
Trib. Milano, 20.1.2020, cit.; Trib. Milano, 15.11.2019, in Banca dati Pluris; Trib. Mantova, 18.6.2019, in
Banca dati DeJure; Trib. Milano, ord., 25.9.2013, cit., p. 438; Trib. Milano, 19.4.2011, cit., p. 748; Trib.
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Una parte della dottrina afferma che la comunicazione del mark to market al cliente
non sia necessaria, in quanto esso costituisce il valore del contratto e non il prezzo25.
Non è quindi elemento necessario, perché non attiene all’oggetto dell’accordo; di
conseguenza, la sua mancanza non comporta l’assenza di un elemento essenziale,
ma, semmai, la violazione dei doveri di informazione dell’intermediario.
Secondo l’argomentazione della sentenza che ha inaugurato tale orientamento,
dall’accertamento della mancata conoscenza da parte del cliente del mark to market
deriva: «la radicale nullità dei contratti di interest rate swap, perché esclude, in radice,
che, nel caso di specie, gli appellati abbiano potuto concludere la scommessa conoscendo il grado di rischio assunto, laddove, per contro, la Banca, del proprio rischio,
nutriva perfetta conoscenza – addirittura nella sua precisa misurazione scientifica
avendo predisposto lo strumento»26.
Detta argomentazione è stata seguita da una parte della giurisprudenza successiva27, che ha giustificato le proprie decisioni anche sulla base di quanto affermato
dalla Corte Costituzionale in una sentenza in materia, secondo cui la causa degli
swap sarebbe da rinvenire nella creazione e nello scambio del differenziale28. In tale
prospettiva il mark to market è necessario al fine di determinare l’alea effettivamente
assunta dal cliente, così da permettergli di comprendere l’obbligazione assunta in
concreto, nonché di valutare se il derivato sia effettivamente di copertura o speculativo29: dato che il mark to market costituisce un elemento della causa del contratto,
l’impossibilità della sua determinazione da parte di un contraente renderebbe il
contratto immeritevole e privo di causa30.
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Genova, 30.11.2015, cit.; Trib. Terni, 8.2.2012, cit.
Caputo Nassetti, Causa, alea, mark-to-market e upfront nei contratti di swap di pagamenti e opzioni sui
tassi di interesse, cit., p. 321 ss.; Id., Funzione di copertura parziale di uno swap di pagamenti e mancanza della
formula di calcolo del mark-to-market: la babele continua, in Giur. comm., 2017, II, p. 447 ss.; contra
Angelici, Alla ricerca del «derivato», cit. p. 186-187.
App. Milano, 18.9.2013, in Banca borsa, 2014, II, p. 278, con nota di A. Tucci.
Trib. Bologna, 29.11.2018, in Banca dati Dejure; Trib. Bologna 3.7.2018, in Banca dati Dejure; App.
Bologna, 11.3.2014, cit.; contra invece Trib. Parma, 21.4.2017, cit.; Trib. Genova, 30.11.2015, cit.
Corte Cost., 18.2.2010, n. 52, in Contratti, 2010, p. 1109, con nota di A.M. Benedetti.
Non è chiaro perché dal mark to market, ossia dall’indicazione del valore del contratto, debba potersi
desumere la sua funzione; premesso che esso indica la situazione di partenza dei contraenti, pare che la
funzione del contratto possa essere in concreto apprezzata solamente conoscendo, da un lato, la posizione
di rischio che il cliente intende coprire e, dall’altro, analizzando come lo scambio dei flussi previsto dal
derivato funzioni secondo la struttura dell’accordo e, quindi, se sia adeguato a svolgere tale funzione.
Trib. Bologna, 29.11.2018, cit. Tale sentenza cita a sostegno della propria tesi anche Cass., 18.6.2018, n.
16049, in quanto la stessa non avrebbe esaminato la censura effettuata dal ricorrente in relazione ad
un’analoga affermazione del giudice a quo. Tuttavia, tale profilo non viene esaminato per ragioni processuali
e, quindi, non sembra si possa ritenere che la sentenza della Suprema Corte avalli l’orientamento sostenuto
nella sentenza di merito.
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La ragione socio-economica dello swap, infatti, sarebbe da ravvisarsi, così come
nelle scommesse, nell’assunzione di un’alea31: pertanto, affinché la scommessa possa
dirsi lecita, l’alea con essa assunta deve essere razionale e quindi calcolabile32.
Si è inoltre precisato che questa decisione non si pone in contrasto con la nota
distinzione tra regole di validità e regole di comportamento, in quanto la mancata
comunicazione del mark to market farebbe sì che, nel contratto, non sia stato integrato un elemento necessario alla qualificazione della sua causa33.
L’orientamento qui esposto non convince per vari ordini di ragioni. Innanzitutto, perché si ritiene corretta l’impostazione della dottrina e della giurisprudenza che
hanno evidenziato come il mark to market non integri la causa del contratto o il suo
oggetto, ma sia invece un parametro destinato ad individuare il valore del contratto
in un dato momento34. Ciò non significa che il valore del contratto sia indifferente
per il giudizio causale, ma che non si ritiene corretto far derivare dalla sua mancata
esplicitazione la nullità per assenza di causa. Infatti, se il contratto è senza valore per
una parte, esso sarà privo di causa e quindi nullo: ciò, tuttavia, non perché il valore
(ossia il mark to market) non è stato espresso, ma perché una delle parti non riceve
alcunché dal contratto.
Inoltre, non pare condivisibile la tesi secondo cui sarebbe immeritevole l’accordo
con il quale un contraente assume un rischio del quale non è adeguatamente a conoscenza. Tale argomentazione presenta due problematiche. Da un lato, si muove
sul crinale fra causa ed accordo: le questioni attinenti alla piena comprensione
dell’impegno assunto ed alle condizioni affinché esso sia vincolante attengono infatti al consenso ed alla sua vincolatività, più che al giudizio causale35. In secondo
luogo, è discutibile che la causa dello swap consista semplicemente nell’assunzione
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Tale tesi è, ad avviso delle Corti che hanno seguito questo orientamento, corroborata dal combinato disposto
dell’art. 23, 5° co., t.u.f. e dell’art. 1933 c.c.
Sembra seguire questa impostazione anche Cass., sez. un., 12.5.2020, n. 8770, cit., pur affermando che il
mark to market esprime il valore del derivato in un dato momento e non il suo prezzo.
In relazione a tale aspetto l’orientamento giurisprudenziale sembra richiamare la dottrina che ha
correttamente distinto tra violazione degli obblighi di comportamento tout court e violazione degli obblighi
di comportamento che implicano la mancanza di un elemento essenziale del contratto, che ne comportano
invece la nullità, cfr. Rolli, Norme imperative tra nullità e responsabilità, in Danno e resp., 2017, p. 346.
Contra tale distinzione v. G. Perlingieri, L’inesistenza della distinzione tra regole di comportamento e di
validità nel diritto italo-europeo, Napoli, 2013.
Si concorda infatti con la giurisprudenza secondo cui «lo scambio di flussi attesi, bensì quello di flussi reali
futuri. Conseguentemente, il differenziale dei contrapposti flussi finanziari, determinato attraverso il Mark
to Market non è l’oggetto del contratto ma l’espressione del suo valore in un determinato momento; il fatto
poi che tale valore, proprio perché mutevole nel tempo, debba essere esplicitato nella nota integrativa in base
alla previsione di cui all’art. 2427-bis c.c. non vale a costituirlo come oggetto del contratto». Cfr. Trib.
Genova, 30.11.2015, cit.
Ma v. sul punto le interessanti osservazioni di Maffeis, Alea giuridica e calcolo del rischio nella scommessa
legalmente autorizzata di swap, in Riv. dir. civ., 2016, p. 1103 ss., il quale argomenta che la trasparenza sia
un requisito genetico dei contratti di swap e pertanto, ne integri la causa. In tale prospettiva l’esplicitazione
del mark to market e dei criteri per calcolarlo integra la causa del contratto.
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di un’alea e che la razionalità possa riferirsi all’alea in quanto tale. Si ritiene infatti
che la causa dello swap consista nello scambio di due flussi di denaro, di modo che
a seconda del loro andamento si determinerà chi sia creditore e chi debitore. La
creazione di un’alea è necessaria al contratto di swap, ma non ne costituisce la funzione: essa è indispensabile per realizzare quella determinata operazione, ma non ne
è l’obiettivo.
La mancata espressione del mark to market e, quindi, la non comprensione da
parte del cliente del rischio assunto – che, nel caso di specie, equivale a dire che il
cliente non comprende né l’impegno cui si vincola, né ciò che riceve come controprestazione da parte della banca – non implica di per sé la non determinabilità
dell’impegno o la sua irrazionalità in senso oggettivo, ma che una delle due parti
non comprenda le obbligazioni assunte, né l’adeguatezza delle stesse rispetto allo
scopo perseguito36. Ne è una riprova il fatto che, seguendo tale interpretazione, qualora il mark to market fosse stato espresso, tali problematiche non avrebbero potuto
essere valutate e, eventualmente, sanzionate secondo le medesime disposizioni.
Ciò tuttavia, non appare coerente con una concezione oggettiva della causa, che
connette la validità del contratto alla sua conformità al paradigma di circolazione
della ricchezza imposto dall’ordinamento37: risulta infatti contraddittorio asserire
che la causa è assente se il mark to market non è espresso, mentre essa è presente
qualora quel medesimo valore sia dichiarato. Infatti, la causa del contratto non può
dipendere dalla comunicazione di un valore che, tuttavia, rimane sempre lo stesso.
Inoltre, contrariamente a quanto sembra suggerire tale approccio, il derivato può
essere privo di causa ed immeritevole di tutela anche qualora il mark to market sia
espresso. Tale orientamento, infatti, esaurisce il giudizio causale nel controllo circa
l’espressione del mark to market e non fornisce criteri al fine di espletare tale valutazione in relazione ad ulteriori parametri.
L’asserzione secondo cui l’alea assunta deve essere razionale nasconde il fulcro
della questione, ossia che lo scambio di flussi38 realizzato con il contratto deve essere
effettivo: ne consegue che, benché il mark to market costituisca uno strumento utile
per valutare la portata del contratto e la sua razionalità rispetto alle obbligazioni
delle parti, la sua espressione o meno non è automaticamente segno della razionalità/irrazionalità dell’impegno, ma semmai della scelta del cliente di obbligarsi39. Ciò,
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Pagliantini, I derivati tra meritevolezza dell’interesse ed effettività della tutela: quid noctis?, in Eur. dir. priv.,
2015, p. 393-394.
M. Barcellona, Della causa, cit., p. 186 ss.
Autorevole dottrina, con un’efficace formula, ha definito lo swap come: «il contratto in forza del quale le
parti si obbligano ad eseguire reciprocamente dei pagamenti il cui ammontare è determinato sulla base di
parametri di riferimento diversi», cfr. Caputo Nassetti, Strumenti finanziari derivati, cit., p. 921; Id.,
Profili legali degli interest rate swaps e degli interest rate and currency swaps, in Dir. commercio internaz.,
1992, p. 80.
M. Barcellona, Della causa, cit., p. 511-513.
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tuttavia, sposta nuovamente il problema sull’adempimento degli obblighi informativi dell’intermediario e, eventualmente, sul dolo40.
Occorre rilevare a margine che la questione relativa alla comunicazione del mark
to market diviene con il trascorrere del tempo meno pregnante, in ragione della
emanazione della raccomandazione di comunicare il valore dei contratti derivati c.d.
illiquidi41, ossia quelli negoziati su mercati non regolamentati e che sono, quindi,
non trasparenti42, applicabile quando il contraente dell’intermediario è un cliente
retail43.
3. Un diverso orientamento ha esaminato i derivati tramite la lente della funzione che avrebbero dovuto svolgere: ciò è avvenuto in quei casi in cui il derivato avrebbe dovuto essere di copertura, ma, in realtà, è stato strutturato come speculativo44.
Occorre preliminarmente precisare che è derivato di copertura quello volto a
proteggere il cliente da un rischio che lo stesso sopporta – generalmente, ma non
esclusivamente, nel corso della propria attività imprenditoriale45 – addossandolo
all’altro contraente46. Questo schema operativo richiama quello dell’assicurazione47
ed è generalmente adottato al fine di giustificare la tutela accordata ai derivati, nonché la loro utilità per il sistema economico.
Il contraente, in ragione di un rischio effettivo che deve sopportare, si obbliga nei
confronti della banca al fine di addossare a questa, in tutto o in parte, detto rischio.
In questi casi, se il contratto è in concreto strutturato al fine di raggiungere l’obiettivo «dichiarato» ed il suo esito non è già predeterminato, non si pongono rilevanti
problemi relativi alla causa ed alla meritevolezza. Da un lato, il contratto persegue
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Pagliantini, I derivati tra meritevolezza dell’interesse ed effettività della tutela: quid noctis?, cit., p. 394.
Comunicazione Consob 2 marzo 2009, n. 9019104, in www.consob.it. Alcune sentenze (cfr., ad esempio,
Trib. Modena 28.5.2018, in Banca dati Pluris e Trib. Parma, 21.4.2017, cit.) hanno sottolineato che, in
seguito a tale Comunicazione si deve presumere che se il mark to market non viene comunicato esso sia pari
a zero.
Tarolli, I derivati O.T.C. tra funzione di copertura e problemi di asimmetria, in Finanza derivata, mercati e
investitori, a cura di Cortese e Sartori, Pisa, 2010, p. 113 ss.
Occorre precisare che il Reg. Consob n. 16190/2007, ha eliminato la categoria degli «operatori qualificati»,
introducendo invece quella dei «clienti professionali» (art. 26). L’Allegato 3 di tale Regolamento definisce il
«cliente professionale» ed introduce altresì la distinzione fra «clienti professionali di diritto» e «clienti
professionali su richiesta». Tale Regolamento è stato abrogato con la Delibera Consob 15 febbraio 2018, n.
20307, emanata in esecuzione di quanto previsto dalla Mifid II. Anche nel nuovo Regolamento è rimasta la
categoria di «cliente professionale».
La giurisprudenza suole fare riferimento ai criteri fissati dalla Comunicazione n. DI/98065074 del 6 agosto
1998 della Consob per stabilire se sia stata posta in essere un’operazione di copertura o meno. Tali parametri
sono stati poi ripresi dalla Comunicazione Consob n. DI/99013791 del 26.2.1999, relativa ai servizi di
negoziazione e di raccolta di ordini.
Come il rischio di inadempimento di un altro contraente (dal quale ci si può proteggere tramite la
conclusione di un credit default swap) o il rischio di una variazione negativa dei tassi di interesse (dal quale
ci si può proteggere con un interest rate swap).
Valle, Il contratto future, cit., p. 11 ss.
G. Gabrielli, Operazioni su derivati: contratti o scommesse?, in Contratto e impresa, 2009, p. 1134.
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sostanzialmente il medesimo scopo dell’assicurazione48, dall’altro ciascuna prestazione si giustifica in ragione dell’obbligazione assunta dall’altra parte.
È invece derivato speculativo quel contratto che non copre nessuno dei due contraenti da un potenziale rischio, ma che viene concluso al solo fine di trarre un
guadagno dall’oscillazione futura del valore del sottostante, che le parti valutano in
maniera divergente.
L’orientamento qui analizzato considera la funzione di copertura quale funzione
del contratto tout court e, rifacendosi alla nota definizione della causa concreta avallata dalla Suprema Corte49, considera che tale funzione costituisce la causa del derivato. Una volta effettuata tale equazione, l’assenza della copertura comporta inevitabilmente l’assenza di causa50.
La prova della funzione di copertura deve essere fornita dalla banca51 e occorre
dimostrare che il derivato sia idoneo a svolgerla ex ante, cioè a prescindere dall’effettivo andamento dei mercati di riferimento e dei risultati che in concreto si sono
verificati. Se tale funzione non poteva essere svolta, il derivato viene sanzionato con
la nullità per assenza di causa ed immeritevolezza52. Inoltre, a tale censura viene a
volte affiancata quella di porre a carico del cliente tutto il rischio derivante dal contratto, così da unire due profili di invalidità: quello del mancato svolgimento della
funzione cui il contratto è deputato e quello dell’alea unilaterale53, di cui si dirà nel
prossimo paragrafo.
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Distinguendosi da essa in quanto utilizza «l’andamento del mercato per valutare e apprezzare un rischio»,
Angelici, Alla ricerca del «derivato», cit. p. 173.
Cass., 8 maggio 2006, n. 10490, in Corr. giur., 2006, p. 1718, con nota di Rolfi.
Trib. Siena, 26.2.2019, in Banca dati DeJure; Trib. Monza, 17.7. 2012, in www.ilcaso.it ha affermato che:
«la non rispondenza delle condizioni economiche contrattuali del contratto derivato Interest Rate Swap alla
funzione di copertura del rischio nello stesso enunciata ne comporta la nullità per difetto di causa (art.
1418, 2° co., c.c.), da intendersi quale sintesi degli interessi concretamente perseguiti dalla negoziazione.»
In maniera sostanzialmente analoga si sono espresse Trib. Prato, 13.1.2017, in Banca dati DeJure, 2017;
Trib. Treviso, 26.8.2015, in www.ilcaso.it; Trib. Verbania, 23.7.2015, in www.ilcaso.it; App. Milano,
25.5.2015, in Banca borsa, 2017, II, p. 443, con nota di Berti de Marinis; Trib. Cosenza, 18.6.2014, in
www.ilcaso.it; App. Milano, 18.9.2013, cit.; App. Trento 3.6.2013, in Giur. comm., 2014, II, p. 62 con nota
di Robustella; in dottrina approvano tale soluzione Dolmetta, Trasparenza dei prodotti bancari. Regole,
Bologna, 2013, p. 319 ss.; A. Tucci, La negoziazione degli strumenti finanziari derivati e il problema della
causa del contratto, in Banca borsa, 2013, I, p. 80 ss.
Trib. Milano 13.9.2016, in Giur. comm., 2017, II, p. 431, con nota di Caputo Nassetti. A volte le Corti, al
fine di porre tale onere a carico della banca, fanno anche riferimento al principio della vicinanza della prova,
su cui cfr. Franzoni, La «vicinanza della prova», quindi…, in Contratto e impresa, 2016, p. 360 ss.
Cass. 31.7.2017, n. 19013, cit.; Trib. Bologna, 8.3.2017, in Banca dati Pluris; Trib. Bologna, 14.2.2017, in
Banca dati Pluris; Trib. Bologna, 8.6.2016, in Banca dati Pluris; Trib. Treviso, 26.8.2015, cit.; contra Trib.
Milano 13.9.2016, cit., che ritiene che tale inidoneità del contratto a svolgere la funzione deputata sia causa
di responsabilità della banca e non di nullità del contratto.
Così, ad esempio, Trib. Ravenna, 8.7.2013, in www.ilcaso.it.
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Questo orientamento è stato altresì seguito in Cass., 31 luglio 2017, n. 1901354.
La Suprema Corte afferma innanzitutto il carattere imperativo dell’art. 21 t.u.f.55, a
prescindere dalla qualificazione del cliente come «operatore qualificato». Inoltre,
rileva che l’art. 26 del Regolamento Consob n. 11522/199856 non è previsto tra
quelli che l’art. 31 del medesimo regolamento include tra le norme non applicabili
ai cosiddetti «operatori qualificati»57.
Dall’imperatività di tali disposizioni deriva che esse debbano essere prese in considerazione nello svolgimento del giudizio ex art. 1322, 2° co., c.c.58. In particolare,
si afferma che la «clausola generale del necessario operare nell’interesse del cliente
investitore» rileva per la valutazione della meritevolezza dei derivati, che sono contratti atipici59. Di conseguenza, dato che i derivati non rispettavano tutte queste
condizioni60 e quindi non potevano essere considerati di copertura, si afferma che
essi devono essere considerati immeritevoli.
La Suprema Corte conclude statuendo il seguente principio di diritto: «nel valutare, ai sensi della norma dell’art. 1322 c.c., la meritevolezza degli interessi perseguiti con un contratto derivato IRS, il giudice non può comunque prescindere dalle
prescrizioni normative di cui all’art. 21 TUF e all’art. 26 Regolamento Consob n.
11522, nonché, per i contratti IRS con funzione di copertura, dalla verifica dell’ef-
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Cit.; Cass., sez. un., 12.5.2020, n. 8770, cit., contiene invece statuizioni contraddittorie sul punto, dato che
prima afferma l’irrilevanza della funzione al fine di individuare la causa tipica, ma in seguito sembra invece
attribuirvi importanza. In ogni caso in tale pronuncia le considerazioni in merito alla causa concreta dei
derivati, che risultano piuttosto nebulose, costituiscono un obiter dictum, non determinante per il principio
di diritto enunciato.
Sul punto viene altresì richiamata Cass., 23 maggio 2016, n. 10640, in Banca dati Pluris, che si era
chiaramente pronunciata nello stesso senso, così come la giurisprudenza precedente. Cfr. Cass., sez. un.,
19.12.2007, nn. 26724 e 26725, la prima in Danno e resp., 2008, p. 525, con note di Roppo; Bonaccorsi;
in Corriere giur., 2008, p. 223, con nota di Mariconda; in Soc., 2008, p. 449, con nota di Scognamiglio. La
seconda in Giur. it., 2008, p. 347, con nota di Cottino; in Resp. civ., 2008, p. 525, con nota di Toschi
Vespasiani. Entrambe in Contratti, 2008, p. 221, con nota di Sangiovanni.
Applicabile nel caso di specie ratione temporis.
Sul punto si richiama anche Cass., 28.10.2015, n. 21887, in Nuova giur. comm., 2016, p. 519, con nota di
Bontempi.
La sentenza afferma: «da quanto precede deriva che, nei confronti della fattispecie concreta qui in esame,
trovano sicura applicazione – e quindi si manifestano rilevanti prima di tutto per lo svolgimento della
valutazione di meritevolezza di cui alla norma dell’art. 1322 c.c., – tanto la norma guida dell’art. 21 TUF,
quanto la norma regolamentare dell’art. 26, che di tale regola viene a manifestarsi come applicazione
primaria e di base.»
Tale tesi era stata avanzata in dottrina da A. Tucci, La negoziazione degli strumenti finanziari derivati e il
problema della causa del contratto, in Banca borsa, 2013, I, p. 87.
La Corte di Cassazione afferma che: «le stesse infatti non risultano confrontarsi con singole e specifiche
operazioni sottostanti, con copertura commisurata in modo puntuale sul rischio inerente a singoli debiti.
Appaiono confrontarsi, bensì, con un “indebitamento complessivo”, come composto quindi da una serie
articolata di debiti distinti, con decorrenza, scadenza e remunerazione diverse, che sarebbero stati contratti
con una società appartenente allo stesso gruppo societario di Intesa San Paolo.»
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fettivo rispetto della condizioni stabilite dalla Consob con la Determinazione del 26
febbraio 1999».
Anche tale orientamento ci sembra criticabile. La discutibile equazione concettuale su cui si basa deriva da un’equazione linguistica avente ad oggetto il termine
«funzione»61. Tuttavia, come emerge dalle analisi più approfondite ed attente62, la
funzione che costituisce la causa concreta del contratto è quella che emerge dall’assetto delle reciproche prestazioni e che si dà, quindi, in relazione alle obbligazioni di
ciascun contraente. La sintesi di tali obbligazioni permette di determinare lo scopo
del contratto. Funzione, dunque, del contratto e non funzione perseguita dai contraenti; ciò implica una profonda diversità concettuale, utile a sottolineare l’alterità
tra obiettivi che le parti perseguono attraverso il contratto e lo scopo perseguito
tramite il contratto.
L’identificazione della causa con lo scopo perseguito – declinato al singolare –
rivela che lo stesso, per darsi come unitario, deve necessariamente prescindere dall’obiettivo di ogni contraente63. Ne consegue che è errato identificare la funzione del
derivato con la funzione di copertura e, dall’eventuale assenza di quest’ultima, dedurre l’assenza di causa64. Questo per più ragioni: in primis, perché la funzione di
copertura è quella perseguita dal cliente, non dal contratto; secundis perché anche
seguendo l’identità tra funzione del derivato e causa, come emerge chiaramente
anche dalle decisioni giurisprudenziali, l’assenza della copertura implica comunque
che il derivato abbia una diversa funzione, quella speculativa: «uno iato siffatto scopertamente sottende un’irrazionalità nel contrarre dell’investitore»65.
Circa il primo aspetto, la funzione di copertura è la funzione perseguita dal cliente e, in ogni caso, funzione solo mediatamente perseguita con l’accordo. La funzione
immediata del contratto derivato, infatti, è lo scambio dei flussi tra i contraenti. Il
fatto che un contraente persegua finalità di copertura rileva sul piano dei motivi66 e,
inoltre, in relazione a come il contratto deve essere strutturato per realizzare tale
obiettivo. Infatti, per risultare di copertura il contratto deve essere progettato in
modo tale da coprire il cliente rispetto ad un rischio al quale lo stesso è esposto e,
inoltre, da proteggerlo in misura adeguata rispetto ad esso.
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Pagliantini, I costi impliciti nei derivati fra trasparenza e causa (ovvero quando nomina non sunt consequentia
rerum), cit., p. 231 rileva che la «la distinzione tra scopo di copertura e di speculazione, più che tralatizia, è
fuorviante.» Approva invece l’equiparazione fra funzione del derivato e sua causa concreta, così da valutarne
la meritevolezza ex art. 1322, 2° co., c.c. Gilotta, In tema di interest rate swap, in Giur. comm., 2007, II, p.
151-153.
Roppo, Il contratto, cit., p. 359; Rolli, Causa in astratto e causa in concreto, Padova, 2008, p. 66 ss.
Rolli, Causa in astratto e causa in concreto, cit., p. 72.
Pagliantini, I derivati tra meritevolezza dell’interesse ed effettività della tutela: quid noctis?, cit., p. 388, il
quale rileva che: «qui lo scarto è tra la causa enunciata e quella che l’insieme delle clausole contrattuali,
incorporanti un valore del contratto unilateralmente confezionato, davvero formalizzano.»
Pagliantini, I derivati tra meritevolezza dell’interesse ed effettività della tutela: quid noctis?, cit., p. 388.
Maffeis, L’ufficio di diritto privato dell’intermediario e il contratto derivato over the counter come scommessa
razionale, in Swap tra banche e clienti, a cura di Maffeis, 2014, p. 28-29.
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Il fatto che il derivato non svolga la dichiarata funzione di copertura non implica
di per sé che lo stesso sia privo di alcuna funzione e, quindi, privo di causa, né che
lo stesso sia illecito67.
Tale eventualità conduce invece ad un diverso ordine di considerazioni. In primo
luogo, che probabilmente l’intermediario non ha adempiuto adeguatamente gli obblighi informativi e di comportamento gravanti sullo stesso; in secondo luogo, che
il cliente è in errore sull’oggetto del contratto68, oppure che la conclusione di quel
determinato contratto sia il risultato del dolo dell’intermediario69. Ciò non significa
affermare che il contratto sia automaticamente dotato di causa e meritevole di tutela, ma che la differenza tra la funzione dichiarata e quella realizzata non è di per sé
sufficiente a risolvere in senso negativo il giudizio causale.
Allo stesso modo non pare soddisfacente la soluzione fornita dalla Corte di Cassazione, che integra nel giudizio ex art. 1322, 2° co., c.c. il rispetto delle norme di
comportamento degli intermediari. Con un discutibile processo logico equipara la
realizzazione dell’interesse della parte debole alla meritevolezza del contratto, profili
che sembrano invece attenere maggiormente ai vizi del consenso70. Si sposta quindi
l’analisi del comportamento delle parti dal terreno della responsabilità a quello della
meritevolezza e, dunque, della validità dell’accordo71. Tale processo, tuttavia, non è
né condivisibile, né coerente con l’ordine sistematico delle norme in questione.
Inoltre, modificare il focus del giudizio ex art. 1322, 2° co., c.c. dallo scambio al
comportamento delle parti pone numerosi problemi sia in relazione alla valutazione
del rispetto dell’interesse del cliente, sia in relazione alla soluzione rimediale, dato
che ad essa consegue la nullità, che può essere rilevata anche d’ufficio dal giudice72.
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72
Peraltro, come sottolineato dalla dottrina, può accadere che la finalità di copertura sia perseguita da uno solo
dei contraenti, cfr. M. Barcellona, Della causa, cit., p. 463 ss.; Angelici, Alla ricerca del «derivato», cit.,
p. 117. Diversamente Cioffi, L’informazione la trasparenza e la causa dei contratti derivati, Napoli, 2018, p.
138 sottolinea che, anche qualora la finalità di copertura sia propria di una sola parte, l’altra comunque
fornisce tale servizio, così come nel contratto di assicurazione.
Se l’oggetto è il flusso strutturato su un determinato sottostante, che il cliente ritiene sia strutturato in modo
tale da coprire eventuali perdite dipendenti da determinati avvenimenti e, invece, così non è, il cliente è in
errore (e se lo scopo dichiarato dal contratto è di copertura non si può certo affermare che tale errore non
fosse riconoscibile)
Pagliantini, I derivati tra meritevolezza dell’interesse ed effettività della tutela: quid noctis?, cit., p. 388-389.
Roppo, Causa concreta: una storia di successo? Dialogo (non reticente né compiacente) con la giurisprudenza di
legittimità e di merito, cit., p. 985-986.
Occorre precisare che la dottrina più attenta ha rilevato come la distinzione circa le conseguenze della
violazione di norme di comportamento e di validità non sia in realtà così netta come sovente viene tracciata
nella giurisprudenza, cfr. Roppo, La nullità virtuale del contratto dopo la sentenza Rordorf, in Danno e resp.,
2008, p. 539; infatti, qualora la violazione della norma di comportamento comporti il venir meno di un
elemento essenziale del contratto, e quindi incida su uno dei requisiti della fattispecie, la sanzione sarà la
nullità Rolli, Norme imperative tra nullità e responsabilità, cit., p. 346.
Cass. 18.6.2018, n. 16049, in Banca dati Pluris; Cass. 12.12.2014, n. 26242 e 26243, entrambe in Danno
e resp., con note di Laghezza; R. Fornasari.
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È inoltre opportuno precisare che in alcuni casi, specie afferenti alle prime pronunce sul tema, la giurisprudenza ha messo in dubbio la validità di contratti derivati meramente speculativi: ad alcune pronunce che la consideravano pacificamente
ammessa73, quantomeno in astratto, se ne sono contrapposte altre che la hanno invece negata74. Attualmente il problema risulta superato, dato che oramai non si
mette più in dubbio la validità, almeno in astratto, dei derivati puramente speculativi. Inoltre, ai derivati negoziati da una banca o un’impresa di investimento75 si
applica l’esenzione di cui all’art. 23, 5° co., t.u.f., e quindi agli stessi non è applicabile la disciplina del gioco e della scommessa76: nonostante alcune opinioni della
dottrina, che ha evidenziato, de iure condendo, la non giustificazione di un’esenzione
tout court per tutti tali derivati77, l’esenzione è stata applicata in maniera generalizzata, cosicché le tutele per il cliente non possono essere basate sulla disciplina codicistica del gioco e della scommessa. Peraltro, la dottrina ha altresì rilevato come la
questione non sia dirimente, dato che a prescindere dall’esenzione di cui all’art. 23,
5° co., t.u.f., occorre in ogni caso valutare la causa concreta e la meritevolezza78 del
derivato, a prescindere dalla tipicità o meno.
In ogni caso, il problema relativo alla causa può porsi in relazione ad ogni tipologia di derivato: quando il derivato è speculativo, quando il derivato è presentato
come di copertura ma, in realtà, è speculativo, oppure quando il derivato di copertura non può realizzare alcuna copertura effettiva, perché la sua struttura, sostanzialmente, non gli permette di realizzare tale funzione.
4. Un ulteriore orientamento ha esaminato la questione tramite la prospettiva
dell’alea, sanzionando quella che è definita alea unilaterale79, a volte declinata anche
come esistenza/assenza dell’alea in capo ad uno dei contraenti80. Tale problema è
inoltre sovente affiancato a quella dell’attribuzione del rischio, che risulta sbilancia73
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Trib. Milano, 8.2.2012, in www.ilcaso.it.
Trib. Lucera, 26.4.2012, in www.ilcaso.it.
Che rappresentano praticamente la totalità dei prodotti derivati.
Pagliantini e Vigoriti, I contratti di “swap”, in I contratti per l’impresa, vol. 2, Banca, mercati società, a cura
di Gitti, M. Maugeri e Notari, Bologna, 2012, p. 200; E. Barcellona, Strumenti finanziari derivati:
significato normativo di una «definizione», cit., p. 545-547. Esamina la differenza tra lo swap e la scommessa
Cass., sez. un., 12.5.2020, n. 8770, cit.
G. Gabrielli, Operazioni su derivati: contratti o scommesse?, cit., p. 1135-1136; M. Barcellona, I derivati
e la circolazione della ricchezza: tra ragione sistemica e realismo interpretativo, in Eur. dir. priv., 2018, p. 1125
ritiene non giustificabile tale esenzione per i derivati speculativi OTC, poiché l’esenzione si giustifica solo
nella misura in cui i derivati abbiano superato il controllo di ammissibilità al mercato regolamentato.
Cioffi, L’informazione la trasparenza e la causa dei contratti derivati, cit., p. 146.
Trib. Modena, 23.12.2011 in Contratti, 2012, p. 130, con nota di Sangiovanni; analogamente Trib. Salerno,
2.5.2013, in www.ilcaso.it.
Considerazioni analoghe sono state svolte dalla giurisprudenza in relazione ai contratti my way; per una più
ampia trattazione e per i riferimenti giurisprudenziali e dottrinali si rinvia a R. Fornasari, Il giudizio di
meritevolezza dei prodotti finanziari my way, ovvero la valutazione della razionalità dello scambio, in Contratto
e impresa, 2017, p. 1281 ss.
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to rispetto alla sua «naturale» bipartizione fra i contraenti. In questo senso è stato
affermato che: «il difetto di causa concreta del negozio può essere individuato infatti solo allorquando il contratto non sia in alcun modo in grado di rispondere agli
interessi che le parti possono perseguire stipulandolo, cioè – in un contratto aleatorio come lo swap – quando l’alea sia radicalmente assente e una delle parti, in qualsiasi possibile scenario, abbia un sicuro vantaggio»81.
Alcune pronunce hanno approfondito il concetto di alea unilaterale e hanno rilevato che esso si connette alla possibilità di andamento dei flussi, tale per cui l’alea
deve ritenersi assente quando, ex ante, sia: «del tutto irrealistica la previsione di un
andamento dei tassi favorevole all’investitore, tali da eliminare del tutto l’alea, non
essendo, per contro, rilevante per la validità del contratto l’andamento svantaggioso
per il cliente verificatosi ex post»82.
Ciò non significa che l’alea debba essere simmetrica, ossia che le possibilità di
«vittoria» e «sconfitta» debbano essere analoghe, ma che tali possibilità debbano essere effettivamente esistenti83. In altri termini, quella che viene censurata non è una
ripartizione del rischio apparentemente squilibrata, ma una struttura del contratto
tale per cui una parte sia già sicura di ricevere benefici, mentre l’altra non abbia,
corrispondentemente, alcuna possibilità di guadagno84. Ciò non significa che la natura aleatoria non sia rilevante dal punto di vista causale, ma che il nucleo centrale
dell’analisi è costituito dalla valutazione circa il fatto che le obbligazioni dei contraenti siano suscettibili di portare ad un arricchimento di ciascuna delle due parti.
L’aleatorietà, infatti, concerne il fatto che le parti non sappiano, a priori, quale delle
due risulterà creditrice e quale debitrice. Il che significa che l’alea deve essere effettivamente presente ed in misura tale per cui il contratto non si risolva in un trasferimento di ricchezza a senso unico.
L’alea unilaterale coincide quindi sostanzialmente con l’assenza di alea85: ciò già
rivela un aspetto importante del giudizio causale nei contratti aleatori, ossia che la
causa non è costituita dall’alea in sé, ma dal reciproco scambio tra le prestazioni
delle parti, sulle quali incide l’alea.
Una parte della giurisprudenza ha legato la problematica dell’alea a quella del
sinallagma: l’unilateralità dell’alea altera il sinallagma contrattuale o, meglio, all’u81
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Trib. Parma, 21.4.2017, cit. Analoga riflessione si trova in Trib. Modena 28.5.2018, in Banca dati Pluris;
Trib. Milano, 16.6.2015, cit.
Trib. Genova, 30.11.2015, cit.; in senso analogo Trib. Torino, 10.5.2019, in Banca dati Dejure.
Trib. Milano, 16.6.2015, cit.
Trib. Parma, 22.5.2017, in Banca dati Pluris; Lodo arbitrale Bologna, 10.2.2017, cit. ha invece escluso che
la causa sia assente quando il contratto non possa svolgere la funzione designata dalle parti, asserendo che
tale profilo potrebbe invece rilevare in relazione ai vizi del consenso.
Sulla necessarietà che la possibilità di perdita gravi su entrambi i contraenti affinché il contratto possa dirsi
aleatorio cfr., circa un contratto di vendita Cass., 4.1.1993, n. 10, in Banca dati Pluris, circa un contratto di
rendita vitalizia Cass., 25.3.2013, n. 7479, in Contratti, 2013, p. 248; contra Cass., 7.6.1991, n. 6452, in
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nilateralità dell’alea corrisponde l’assenza del sinallagma86. L’alea, invece, deve essere
presente già nella struttura del contratto, e deve essere presente in maniera tale da
poter essere «apprezzabile»87 in relazione alle posizioni di entrambi i contraenti. Il
fatto che il rischio gravi su ambedue le parti è considerato elemento essenziale della
causa e, dunque, requisito necessario per la validità del contratto. Qualora tale bilateralità manchi il contratto è privo di causa ed immeritevole di tutela88.
La sentenza Cass. 28 luglio 2017, n. 1878189 sembra avallare questo approccio
(così come una successiva pronuncia della Suprema Corte90): nella pronuncia si afferma che l’interest risk swap oggetto della controversia non può essere considerato
nullo solamente in ragione di un up-front negativo. Infatti, la sola presenza di
up-front negativo non è sufficiente a ritenere inesistente o immeritevole la causa
dello swap; occorre invece che il cliente dimostri che l’up-front incida sull’equilibrio
del contratto a tal punto da privarlo di causa.
Inoltre, nella parte della motivazione con la quale si respingono i motivi di ricorso volti a contestare la validità del contratto per assenza di causa e immeritevolezza,
in quanto inammissibili per mancanza di specificità, si possono rinvenire indicazioni importanti circa le modalità di svolgimento del giudizio causale. In particolare, la
Suprema Corte afferma che l’assenza di causa e l’immeritevolezza devono essere
specificamente argomentate in relazione al contratto concluso nel caso concreto,
così come deve essere provato che la presenza di up-front negativo incida sul contratto in maniera tale per cui la sua causa venga snaturata ed eliminata91.
Tale orientamento coglie un aspetto a nostro avviso centrale, ossia che il problema attinente alla causa ed alla meritevolezza dei derivati si pone in relazione allo
scambio delle obbligazioni delle parti ed al sinallagma. La lente dell’alea è, quindi,
strumento per analizzare come si rapportino le possibilità di «vittoria» e «sconfitta»
delle parti al momento della conclusione del contratto.
Affermare che il contratto abbia alea unilaterale, o inesistente, altro non significa
che quella che viene presentata come una scommessa è, in realtà, già determinata a
priori nei suoi risultati, a tutto vantaggio della parte che ha predisposto il contratto92. Il derivato non è allora uno scambio di flussi, ma un flusso unidirezionale dal
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Trib. Parma, 15.10.2019, in Banca dati Giuraemilia; Trib. Roma, 5.6.2017, in Banca dati DeJure.
L’espressione, frequentemente utilizzata dalla giurisprudenza, si trova ad esempio in Trib. Roma, 5.6.2017,
cit.; App. Torino, 27.7.2016, in Banca dati Pluris.
App. Torino, 27.7.2016, cit.; Trib. Roma, 5.6.2017, cit.
Cit.
Cass. 13.7.2018, n. 18724, in Soc., 2018, p. 1163, con nota di Giudici.
La Corte di Cassazione afferma: «manca del tutto, nelle censure in esame, una chiara indicazione dei motivi,
del modo, della misura e dei termini in cui, in concreto, la causa degli specifici contratti stipulati dalle parti
sarebbe stata effettivamente alterata per via del cd. up front.»
Pagliantini, I derivati tra meritevolezza dell’interesse ed effettività della tutela: quid noctis?, cit., p. 391. In
una materia differente da quella dei derivati sembrano sottendere questa tesi Cass., 15 febbraio 2016, n.
2900, in Nuova giur. comm., 2016, p. 852, con nota di Versaci; in Soc., 2016, p. 721, con nota di Costanza;
Cass., 25.3.2013, n. 7479, cit.; Cass., 4.1.1993, n. 10, cit.
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cliente alla banca, senza che tale spostamento di ricchezza si giustifichi in alcun
modo, ossia senza che questo abbia alcuna causa93. Tale aspetto del contratto deve
essere valutato sulla base della sua struttura e, quindi, in relazione a quanto pattuito,
prescindendo dai successivi sviluppi dettati dall’andamento del sottostante.
Tema strettamente connesso è quello del grado di squilibrio94 delle probabilità di
«vittoria» e di «sconfitta» delle parti necessario affinché il contratto sia considerato
immeritevole. Dalle sentenze emerge infatti che il derivato debba essere ritenuto
privo di causa non solo quando lo stesso sia configurato in modo tale da rendere
impossibile che il cliente ottenga un guadagno, ma anche quando questo risulti
estremamente improbabile. Sotto tale profilo la sentenza si ricollega alla tendenza,
sempre più marcata nel diritto contrattuale contemporaneo, a sanzionare con la
nullità per assenza di causa ed immeritevolezza contratti o clausole contrattuali che
incidano notevolmente sull’equilibrio delle prestazioni, alterando il rapporto di corrispettività fra le prestazioni95, senza tuttavia eliminarlo completamente96. Rimane
però non chiaro quali siano i criteri al fine di determinare il limite tra un contratto
squilibrato, ma pur sempre dotato di causa, ed uno invece immeritevole di tutela97.
5. La dottrina ha sottolineato che, se la presenza della cosiddetta causa lucrandi
non è di per sé sufficiente a giustificare la meritevolezza di qualsivoglia contratto
aleatorio98, al tempo stesso è necessario che tale funzione «coinvolga realmente entrambe le parti del rapporto contrattuale, di guisa che ognuna di esse sia effettivamente e concretamente esposta tanto a perdite che a guadagni; più precisamente,
occorre accertare che, in ragione di come viene concretamente congegnato il regolamento contrattuale – mediante l’apposizione di clausole che incidono sensibilmente
sulle prestazioni delle parti –, uno dei contraenti non venga posto al riparo dal rischio di perdite»99.
L’alea giuridica si distingue dall’alea solamente economica in quanto la prima
entra nella struttura del contratto e rende incerta l’esistenza o la misura della presta93
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99
Giudici, Interest rate swap e nullità del contratto: sui pericoli sistemici dei derivati, in Banca borsa, 2016, II,
p. 504-505.
Ad esempio, in App. Trieste, 28.5.2018, in Nuova giur. comm., 2019, p. 232, con nota di Cusumano, si
esamina la diversa modalità di funzionamento del derivato a seconda del fatto che la medesima variazione
avvenga a favore del cliente o della banca, nonché i profili di svantaggio per il cliente in relazione al
sinallagma dell’accordo.
Rolli, Il diritto privato nella società 4.0, Padova, 2018, p. 157 ss.; Libertini, Il ruolo della causa negoziale
nei contratti d’impresa, in Jus, 2009, p. 278; R. Fornasari, La meritevolezza della clausola claims made, in
Resp. civ. e prev., 2017, p. 1387-1388.
R. Fornasari, La meritevolezza della clausola claims made, cit., p. 1387-1388.
Evidenzia tale aspetto, nonché la difficoltà di determinare tale limite, Corrias, I contratti derivati finanziari
nel sistema dei contratti aleatori, cit., p. 208, spec. nt. 120.
Breccia, Causa, in Tratt. Bessone, vol. XIII, Il contratto in generale, t. III, a cura di Alpa, Breccia e Liserre,
Torino, 1999, p. 103-104; Capaldo, Contratto aleatorio e alea, cit., p. 147 ss.; Paradiso, I contratti di gioco
e scommessa, cit., p. 79; Corrias, op. ult. cit., p. 184.
Corrias, op. ult. cit., p. 185.
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zione100, mentre la seconda concerne semplicemente il valore dell’obbligazione101.
Se, infatti, il valore di ogni bene o prestazione è destinato a mutare nel corso del
tempo, di modo che il rapporto tra le obbligazioni delle parti, in qualsivoglia contratto ad esecuzione non istantanea, è destinato a variare rispetto al momento della
conclusione dell’accordo, una variazione di questo tipo è destinata ad incidere
sull’efficacia del contratto, secondo le norme concernenti i contratti commutativi,
solamente quando vada oltre la soglia di «normalità»102. Ne consegue che, mentre
nella prassi può a volte risultare difficile distinguere tra alea giuridica ed alea economica, dal punto di vista sistematico-normativo tale distinzione è invece netta103.
L’aleatorietà del contratto è rilevante perché incide sul principio fondamentale
che sta alla base del contratto commutativo, ossia che le prestazioni siano considerate dalle parti come equivalenti.
Si suole affermare che nel contratto aleatorio le prestazioni sono necessariamente
squilibrate, in quanto dipendono dall’evento futuro e incerto. Tuttavia, esaminando
più approfonditamente la struttura dell’accordo, si osserva che anche il contratto
aleatorio prevede uno scambio di prestazioni non solamente nel momento in cui le
stesse giungono a scadenza, ma, a monte, uno scambio di possibilità. Tale incidenza
della possibilità può gravare solamente su una parte, come nell’assicurazione o
nell’option – dove una parte deve certamente pagare il premio, a fronte della possibilità di ricevere l’indennizzo o che l’opzione sia esercitata – oppure su entrambe,
come nel contratto di swap, dove si ha uno scambio di flussi di denaro e la possibilità di essere tenuta a pagare coinvolge entrambe le parti, cosicché nessuna delle due
è certa ex ante dell’an e del quantum della prestazione.
Se, infatti, il venire ad esistenza della prestazione, o la sua effettiva entità, si saprà
solamente in ragione dell’evento futuro e incerto, ciò che le parti valutano sin da
subito è la possibilità di ottenere effettivamente la prestazione. In altri termini, anche in questo caso si dà uno scambio di equivalenti, inteso come scambio tra beni o
prestazioni che le parti si prefigurano come possibili nel loro venire ad esistenza o di
essere vantaggiose nel quantum rispetto a quanto da loro stesse dovuto. Se è quindi
corretto affermare che, nei contratti aleatori, le prestazioni saranno necessariamente
squilibrate al momento in cui saranno dovute, è al tempo stesso necessario osservare
che, invece, le parti si impegnano considerando la possibilità di ottenere un guadagno come l’equivalente della possibilità di subire una perdita.
100
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103
92
Corrias, op. ult. cit., p. 176-179. Già la dottrina francese classica metteva in evidenza che, nei contratti
aleatori, che la prestazione a cui ci si obbliga costituisce il prezzo del trasferimento di un rischio all’altro
contraente, cfr. Pothier, Traités des contrats aléatoires, Paris-Orléans, 1775, p. 1 ss.; per un’analisi storica
Balestra, Il contratto aleatorio e l’alea normale, cit., p. 61 ss.
Sulla distinzione tra alea giuridica ed alea economica cfr. nt. 2.
Su tale concetto cfr. l’ampia analisi ed i riferimenti in E. Gabrielli, Alea, cit., p. 4; Id., Contratti di borsa,
contratti aleatori e alea convenzionale implicita, in Banca borsa, 1986, p. 571 ss.; Id., Il rischio contrattuale, in
I contratti in generale, a cura di Alpa e Bessone, Torino, 1991, p. 628 ss.
Corrias, I contratti derivati finanziari nel sistema dei contratti aleatori, cit., p. 176 ss. Sembra invece
confondere i piani Cass., 21.4.2011, n. 9263, in Contratti, 2011, p. 705.
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A ben vedere, quindi, i contratti aleatori non si sottraggono allo schema di circolazione della ricchezza che postula lo scambio di equivalenti; tuttavia, la valutazione
dell’equivalenza concerne non l’effettiva misura della prestazione, ma la stima della
possibilità di ottenere un guadagno o una perdita. Adottare tale approccio porta a
considerare in maniera differente il problema della cosiddetta alea unilaterale, nonché quello dell’alea irrazionale.
In particolare, tale analisi permette di comprendere perché numerose sentenze e
contributi dottrinali considerino assente la causa quando l’alea sia unilaterale, cioè
coinvolga le posizioni di uno solo dei contraenti: è questo il caso in cui una parte è
sicura, ex ante, di ottenere un guadagno, mentre sull’altra incombono tutti i rischi
derivanti dall’incertezza. Questa affermazione, sovente ripetuta dalla giurisprudenza
e reiterata in numerose massime, merita di essere ulteriormente problematizzata.
Essa non può essere infatti interpretata come necessità che l’incertezza dell’evento concerna ugualmente le prestazioni di tutte le parti. Ciò è infatti evidentemente
contraddetto da alcuni dei contratti aleatori più diffusi, come l’assicurazione o la
rendita vitalizia. In tali contratti, infatti, l’incertezza, da un punto di vista fattuale,
riguarda evidentemente la prestazione dovuta solo da uno dei due contraenti (nel
nostro esempio, il sinistro o la morte del beneficiario). Tuttavia, se si guarda al valore delle rispettive obbligazioni, l’incertezza le coinvolge entrambe; l’assicuratore è
certo di ricevere il premio, ma non sa se il contratto comporterà un guadagno. Infatti, l’ammontare dei premi relativi ad un determinato contratto è normalmente
più basso dell’indennizzo che lo stesso è tenuto a corrispondere qualora il sinistro si
verifichi.
Svolgendo la medesima analisi in relazione agli swap si nota che l’affermazione
secondo cui una parte assumerebbe tutti i rischi, mentre l’altra ottiene un guadagno
certo dal contratto, può risultare fuorviante. Infatti, la concezione stessa di alea unilaterale maschera un diverso problema. La questione dell’unilateralità dell’alea concerne il profilo dello scambio che si realizza con il contratto, ossia lo scambio della
possibilità di guadagno. In particolare, quando la giurisprudenza afferma che l’alea
del contratto è unilaterale, lo fa in relazione al fatto che la possibilità di perdita è
sostanzialmente unilaterale, poiché uno dei due contraenti si avvantaggia della struttura del contratto tale per cui, sostanzialmente, esso non può «perdere».
Ciò significa che la problematicità di tali contratti in relazione ai profili della
meritevolezza e della causa concerne il rapporto che tra le parti si dà sulla base della
struttura dell’accordo104, ossia del rapporto tra la possibilità di guadagno e di perdita dipendenti dal contratto.
In tema di assicurazioni si è asserito che andrebbe affermata l’invalidità di un
contratto di assicurazione che preveda che l’indennizzo versato dall’assicuratore sia
di importo al massimo equivalente ai premi pagati dall’assicurato105. Tale asserzione
104
105
La dottrina ha d’altronde sottolineato che l’alea non è di per sé idonea a qualificare la funzione economica
del contratto, cfr. Paradiso, Giuoco, scommessa, rendite, in Tratt. Sacco, Torino, 2006, p. 57.
Corrias, I contratti derivati finanziari nel sistema dei contratti aleatori, cit., p. 190.
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si fonda sul fatto che la ragione per cui l’assicurato accetta di corrispondere i premi,
pur nell’incertezza che il sinistro si verifichi o meno, è da rinvenirsi nel fatto che egli
voglia liberarsi del rischio di quel sinistro. In altri termini, la possibilità che il sinistro non si verifichi (e, quindi, che i premi pagati rimangano sostanzialmente privi
di corrispettivo) è controbilanciata dall’indennizzo – eventualmente maggiore dei
premi pagati – che l’assicurazione può dover corrispondere qualora il sinistro si verifichi.
Il medesimo ragionamento può essere applicato ai contratti derivati e, più in
generale, ai contratti aleatori. Infatti, nei contratti derivati l’accettazione della possibilità di perdere in relazione all’andamento del sottostante dovrebbe essere controbilanciata dalla possibilità di vincere, di modo che quanto più è alta la probabilità di
perdere, tanto più dovrebbe essere alta la somma che ci si aspetta di ricevere in caso
di vittoria106. Tale affermazione porta direttamente al rapporto di scambio che vi è
alla base del contratto aleatorio ed alla concezione del rapporto di equivalenza che,
anche in tale categoria di contratti, l’accordo esprime.
Si comprende allora quale sia il problema della causa di un contratto derivato
con alea unilaterale: che l’equilibrio stabilito nel derivato, evidentemente, non risponde al principio dello scambio, cosicché esso risulta irrazionale rispetto alla razionalità del sistema. In questi termini entra in gioco il giudizio relativo all’esistenza
della causa ed alla meritevolezza del contratto. Ciò perché lo squilibrio concernente
le obbligazioni assunte dalle parti deriva evidentemente, in molti casi, non da un
diverso apprezzamento del rischio – il che sarebbe del tutto normale ed è, anzi, uno
dei principi fondanti dell’economica liberale classica e neoclassica – ma dal fatto che
una delle due parti non è in grado di apprezzarlo, o non ha sufficiente forza contrattuale per integrare nel contratto la propria valutazione.
Di conseguenza, l’accordo così concluso si risolve o in uno spostamento unilaterale di ricchezza o, comunque, presenta probabilità di vittoria della parte forte talmente elevate da risultare sostanzialmente irrazionale. E tale irrazionalità è dovuta
alle condizioni della contrattazione ed alle asimmetrie tra i soggetti coinvolti, che
non permettono alla logica operativa del mercato di funzionare correttamente. In tal
senso, si pone il problema della coercibilità giuridica di siffatti contratti.
Tramite questa chiave di lettura si può affrontare un ulteriore problema, ossia
quello relativo al fatto che la maggioranza delle decisioni che hanno giudicato la
causa e la meritevolezza di tali prodotti concerneva derivati negoziati OTC107 tra una
banca e un cliente. Tali derivati, che a volte vengono definiti personalizzati – mentre
106
107
94
La teoria economica ed i modelli di decision making dimostrano come, da un punto di vista razionale
(trascurando quindi i bias esaminati dalla behavioural economics), una minor possibilità di ottenere una
somma maggiore equivale ad una maggiore probabilità di ottenere una somma minore. Per un’introduzione
sul tema cfr. Jackson, Kaplow, Shavell, Viscusi e Cope, Analytical Methods for Lawyers, New York, 2003
p. 1 ss.
Sottolineano che le maggiori problematiche relative alla causa si sono poste in relazione a tali tipologie di
derivati Angelici, Alla ricerca del «derivato», cit., p. 150-151; Maffeis, Contratti derivati, in Banca borsa,
2011, I, p. 604 ss.
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quelli negoziati su mercati regolamentati sono considerati standardizzati108 e, in genere, sono strutturati sulla falsariga dei modelli proposti dall’International Swaps
and Derivatives Association (ISDA)109 – sono generalmente predisposti unilateralmente dall’intermediario e sono illiquidi110; ad essi non si applicano le norme concernenti gli strumenti finanziari negoziati su mercati regolamentati.
Gli strumenti negoziati su mercati regolamentati devono rispettare numerose
regole e sono generalmente considerati come trasparenti, mentre quelli negoziati
OTC sono opachi111. Il problema dell’esistenza della causa non si pone solamente in
relazione a questi ultimi, ma si pone per tutti i contratti, anche quelli negoziati sui
mercati regolamentati. Tuttavia, se si considera quanto sopra detto circa il problema
della causa e della meritevolezza, risulta chiaro che, in concreto, la possibile assenza
di causa o immeritevolezza ha molte più probabilità di presentarsi nei derivati negoziati OTC piuttosto che in quelli standardizzati112.
Pertanto, non si ritiene condivisibile l’opinione di autorevole dottrina secondo
cui i derivati negoziati in mercati regolamentati sarebbero sostanzialmente astratti,
poiché il giudizio causale retrocede di fronte alla logica collettiva del mercato e della
razionalità che la stessa implementa113. In particolare, riteniamo non condivisibile
l’affermazione secondo cui: «ugualmente rilevante è la constatazione che tali operazioni, in quanto soltanto finanziarie e volte essenzialmente a flussi monetari, per un
verso non sono in grado di denunciare la propria “causa”, in definitiva le utilità individuali che con esse in concreto si perseguono; e per un altro verso, in conseguenza del modo in cui si svolgono, impediscono che la si ricerchi aliunde. Ed è da
questo punto di vista che, come più volte osservato, penso si possa francamente
parlare di “astrattezza”: prevalendo in definitiva la logica collettiva del mercato, e le
sue esigenze, rispetto a quella individuale che ha indotto le parti all’operazione. Tale
logica collettiva rappresenta la ragione, se si vuol dire la “causa”, di quell’“astrattezza”»114.
E ancora: «l’ipotesi è che sia tale logica collettiva, quale risulta anche e soprattutto dalle modalità impersonali e anonime delle negoziazioni, a “giustificare” l’operazione e, se si vuol dire, a rappresentarne la “causa”»115.
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Poiché tutti gli elementi principali del contratto sono determinati dalle autorità competenti, cfr. Imbruglia,
La creazione razionale dell’alea nei derivati OTC e la nullità dello swap per vizio di causa, in Persona e Mercato,
2013, p. 334.
Gitti, La «tenuta» del tipo contrattuale e il giudizio di compatibilità, in Riv. dir. civ., 2008, p. 501.
Corrias, I contratti derivati finanziari nel sistema dei contratti aleatori, cit., p. 194; Girino, I contratti
derivati, Milano, 2001, p. 146-148; così anche Trib. Modena, ord., 23.12.2011, cit. Sottolinea l’importanza
di tale aspetto Cass., sez. un., 12.5.2020, n. 8770, cit.
Tarolli, I derivati O.T.C. tra funzione di copertura e problemi di asimmetria, cit., p. 113 ss.
Angelici, Alla ricerca del «derivato», cit., p. 161.
Critico della presunta astrattezza dei derivati è anche Cioffi, L’informazione la trasparenza e la causa dei
contratti derivati, cit., p. 147 ss.
Angelici, op. ult. cit., p. 157.
Angelici, op. ult. cit., p. 161.
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Tali caratteristiche dei derivati standardizzati li differenziano rispetto ai derivati
OTC: in relazione a questi ultimi l’essere tailor-made giustificherebbe l’espletamento
di un giudizio sulla causa. Per i derivati negoziati su mercati regolamentati opererebbe invece una presunzione di razionalità, perché sottoposti alla logica collettiva del
mercato, i derivati OTC non sembrano rispondere automaticamente a tale razionalità.
Tuttavia, si potrebbe rilevare che l’art. 23 t.u.f., equiparando le due categorie di
derivati, sembra sottrarle al giudizio causale, ritenendo operante per entrambe quella razionalità che ne giustificherebbe l’astrattezza.
Inoltre, sempre secondo tale autorevole dottrina, i derivati OTC potrebbero essere sottratti al giudizio causale solo «quando tale coerenza è in concreto verificabile»116.
Affermando ciò, tuttavia, non si comprende né quali siano i parametri di tale razionalità, né, soprattutto, in cosa consista il giudizio concernente la sua verificazione in
concreto.
Una soluzione alternativa per analizzare le ragioni per cui il giudizio causale si è
posto e si pone con modalità differenti in relazione ai derivati negoziati su mercati
regolamentati e derivati OTC consiste nell’adottare un approccio che consideri le
modalità con cui tali contratti sono predisposti e le ragioni per cui solamente in alcuni si pone il problema della possibile assenza di causa e della meritevolezza. In tali
termini, il problema della causa e della meritevolezza si pone, astrattamente, in maniera del tutto analoga rispetto ad ognuna delle due tipologie di derivati; tuttavia, in
concreto, esso si pone sostanzialmente solo per i derivati OTC117.
Questo perché, se si considera nella prospettiva già evidenziata il giudizio causale, allora risulta chiaro che nei derivati negoziati in mercati regolamentati, che devono rispettare le norme del settore e che sono «trasparenti», oltre che liquidi, un derivato privo di causa – ossia che realizza un trasferimento di ricchezza a senso unico
– nella pratica non si presenta. Al contrario, i contratti OTC sono sottoposti ad una
regolamentazione molto meno stringente e sono, normalmente, predisposti dall’intermediario, con la conseguenza che essi possono risultare in concreto tanto squilibrati nella loro struttura da risolversi, sostanzialmente, in un trasferimento di denaro dal cliente all’intermediario.
Ne consegue che la «razionalità collettiva del mercato» non si sostituisce alla necessità (e ineliminabilità) del giudizio sulla causa e sulla meritevolezza, ma implica
che – in ragione del fatto che il prodotto «trasparente» non realizza usualmente
trasferimenti di ricchezza a senso unico – il giudizio causale abbia normalmente
116
117
96
Angelici, op. ult. cit., p. 172.
La problematicità dei derivati OTC, dipendente anche dal fatto che in essi la banca assume sia la qualifica
di offerente sia di consulente, è stata sottolineata dalla dottrina e dalla giurisprudenza: cfr. Corrias, I
contratti derivati finanziari nel sistema dei contratti aleatori, cit., p. 195-196; Trib. Bologna 29.11.2018, cit.;
Trib. Milano 19.4.2011, cit.; Trib. Udine 13.4.2010, in www.ilcaso.it. Inoltre, si è messo in evidenza che nei
derivati OTC l’intermediario svolge la funzione di vero e proprio market maker, v. Gilotta, In tema di
interest rate swap, cit., p. 137.
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esito positivo. Questo perché tramite detto giudizio si verifica che il contratto risponda alla razionalità del mercato e che le particolari condizioni della negoziazione
non abbiano portato alla conclusione di un accordo che fuoriesce da tali schemi.
6. La riflessione sui rilevanti aspetti concernenti il giudizio causale e di meritevolezza e l’alea deve essere connessa e valutata anche in relazione a ciò che le decisioni
giurisprudenziali sui derivati esprimono circa la concezione del contratto, dell’autonomia privata e del controllo da esercitare su di essi.
Sotto un primo profilo le decisioni appaiono accomunate, da un punto di vista
teleologico, dalla volontà di tutelare sia la parte «debole»118 del contratto, sia l’integrità del mercato, anche tramite considerazioni non strettamente giuridiche, ma più
generalmente di governance dei mercati finanziari. Senza indagare in questa sede il
rapporto fra convincimento socio-politico del giudice ed applicazione della norma
e quanto il primo elemento sia preponderante rispetto al secondo, dalla giurisprudenza esaminata emerge nitidamente che il diverso rapporto di forza tra le parti, il
fatto che il contratto sia predisposto solamente da una di esse e che l’altra, sovente,
non abbia precisa conoscenza delle obbligazioni assunte ha esercitato una notevole
influenza nelle decisioni119.
Tali considerazioni assumono diversa importanza sulla base della concezione che
il giudice ha della tipologia e della finalità della tutela – ossia se si pone come scopo
primario quello di proteggere il cliente oppure l’ordine del mercato – e della funzione svolta dai prodotti derivati in relazione alla finanza ed al sistema economico120.
Inoltre, dalle decisioni analizzate emerge con chiarezza, a prescindere dalla soluzione
adottata, l’intenzione di limitare la diffusione di derivati estremamente squilibrati
per il cliente121, che si risolvono nella grande maggioranza di casi in perdite per lo
stesso rovinose.
L’analisi delle finalità perseguite porta a relativizzare il percorso seguito dal giudice laddove la decisione sia stata chiaramente influenzata da considerazioni metagiuridiche. Se, infatti, tutte le norme esprimono una funzione politica, che può essere
modificata ed integrata dall’interprete, specie quando il testo della disposizione è
redatto in maniera più generica – dato che ogni disposizione assume significato solo
nel momento lato sensu interpretativo ed applicativo – nelle decisioni sui derivati e
118
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121
Sia essa qualificabile come «operatore qualificato» o meno.
Cosicché l’utilizzo della causa concreta sarebbe uno «stratagemma verbale» (Pagliantini, I costi impliciti nei
derivati fra trasparenza e causa (ovvero quando nomina non sunt consequentia rerum), cit., p. 234 nt. 84), ed
il rimedio scelto sarebbe funzionale al risultato che le corti si prefiggono di ottenere, cfr. Roppo, La tutela
del risparmiatore fra nullità, risoluzione e risarcimento (ovvero l’ambaradan dei rimedi contrattuali), in
Contratto e impresa, 2005, p. 896 ss. Come sottolineato da Femia, Nomenclatura del contratto o istituzione
del contrarre? Per una teoria giuridica della contrattazione, in Il terzo contratto. L’abuso di potere contrattuale
nei rapporti tra imprese, a cura di Gitti e Villa, Bologna, 2008, p. 287, i rimedi, nel diritto contemporaneo,
si legittimano in base alla loro adeguatezza regolativa rispetto all’obiettivo prefissato.
Sull’importanza di queste due prospettive cfr. Angelici, Alla ricerca del «derivato», cit., p. 49-50.
Pagliantini, op. ult. cit., p. 220.
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nella considerazione della razionalità dei soggetti coinvolti, oltre all’evidente squilibrio informativo e di potere negoziale, è chiaro che il giudice sceglie i rimedi da
adottare in relazione all’effettività della tutela che gli stessi apprestano.
Ma vi è di più. Dalle sentenze emerge un approccio al contratto che non ha nulla a che vedere con l’impostazione classica. Non si ragiona in termini di autonomia
privata e suoi limiti, secondo l’approccio dicotomico tra queste due componenti,
ma si argomenta circa la razionalità dello scambio, la sua funzione, l’attribuzione di
ricchezza che lo stesso realizza e la sua utilità in relazione all’ordinamento. È quindi
ridimensionata la prospettiva del consenso e dell’accordo, che si poneva, oltre alle
norme imperative ed all’ordine pubblico, quale limite alla vincolatività delle pattuizioni122.
Così è anche nel caso di specie, dato che la problematica del consenso non viene
richiamata nemmeno da quell’orientamento giurisprudenziale che, argomentando
sull’irrazionalità dell’alea e la non conoscibilità dell’obbligazione assunta, avrebbe
forse potuto spingersi a sostenere che l’accordo fosse assente tout court. La giurisprudenza si muove invece su un’altra linea: quella del controllo delle prestazioni e della
loro valutazione in relazione al paradigma di contratto che la stessa considera razionale e, quindi, meritevole di tutela.
L’universo del contratto, specie in un settore come quello del mercato finanziario, dove le asimmetrie informative e di potere negoziale sono del tutto evidenti,
non ruota più attorno al paradigma del consenso. Ciò significa che, in ragione degli
sviluppi del mercato globalizzato e del carattere del tutto irrealistico del modello
negoziale ottocentesco, il contratto vincola anche quando esso sia stato determinato
unilateralmente e la parte debole abbia avuto una comprensione superficiale delle
obbligazioni assunte. D’altro canto, tuttavia, il controllo sull’accordo e sul contesto
della sua formazione diventa molto più profondo: il consenso non costituisce più un
limite e lo scrutinio giudiziale si sposta dalla volontà al contenuto, al sinallagma ed
alla sua razionalità rispetto al sistema economico.
Tale aspetto da un lato apre la via ad una indagine interdisciplinare circa la determinazione dei criteri di razionalità adottati nel controllo sul contratto, dall’altro
permette a visioni tra loro differenti, se non addirittura conflittuali, di manifestarsi.
Circa la prima considerazione, anche in ragione del fatto che la causa deve essere
valutata ex ante ed a prescindere dall’effettivo andamento dei mercati, sottolineiamo
che tali criteri devono essere determinati in relazione a paradigmi economici (ed
anche alla concezione del livello che si considera ottimale di intervento del terzo nel
contratto). In altri termini, vista la sanzione conseguente all’immeritevolezza, occorre valutare quale sia il limite per stabilire la coercibilità giuridica dei derivati e, quindi, del rapporto tra i flussi convenuti.
122
98
Tale percorso evolutivo dell’ordinamento è peraltro già in atto da tempo, cfr. Rolli, Le attuali prospettive di
« oggettivazione dello scambio »: verso la rilevanza della « congruità dello scambio contrattuale »?, in Contratto
e impresa, 2001, p. 611 ss.
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Circa la seconda, occorre sottolineare che tale analisi non può essere svolta se non
in relazione alle sensibilità proprie di ciascun giudicante e che essa dipende dalla
visione economica adottata – il che coinvolge anche la concezione dell’homo oeconomicus ed il grado di razionalità dello stesso, nonché gli strumenti idonei a promuovere l’esercizio razionale dell’autonomia – e dai principi seguiti. Vi è una differenza
nel perseguire obiettivi di giustizia e tutela delle libertà individuali sulla base degli
artt. 2 e 3 della Costituzione, o realizzare gli obiettivi poste dalle direttive comunitarie123, volte invece alla realizzazione ed implementazione della concorrenzialità del
mercato interno.
Alla diversità di obiettivi corrispondono diversi parametri valutativi e, altresì,
differenti rimedi. Vi è infatti una notevole differenza tra il porre la questione in termini di giustizia sostanziale ed equità dello scambio o in termini di efficienza124 del
mercato ed implementazione della razionalità concorrenziale125. Nulla toglie poi che
questa seconda finalità possa essere affiancata alla prima, anche in ragione del fatto
che il richiamo ai principi costituzionali ha una notevole forza retorica e di legittimazione della decisione, specie in ambiti in cui la soluzione adottata è originale rispetto all’orientamento consolidato.
Occorre trarne le opportune conseguenze non solo nell’analisi della giurisprudenza, così da comprendere le rationes delle decisioni, ma anche da un punto di vista
sistematico. Il controllo sul contratto viene realizzato in relazione alla concezione
economica che si adotta: la causa e la meritevolezza sono sussistenti solamente qualora il contratto risponda alle condizioni che si prefigurano come razionali. Questo
significa che l’accordo deve realizzare un’attribuzione di ricchezza – salvo lo spirito
di liberalità – biunivoca e che l’impegno dei contraenti deve essere razionale e, quindi, giustificato, secondo i paradigmi di mercato. Ciò implica una valutazione del
contesto e del contenuto dell’accordo, al fine di verificare la rispondenza dello stesso
al paradigma ordoliberale della circolazione della ricchezza.
7. La natura del giudizio relativo alla meritevolezza dei contratti derivati si riflette altresì su un ulteriore aspetto, ossia quello della eventuale illiceità del contratto
immeritevole. Ciò ha potenziali conseguenze nei casi in cui l’ordinamento connette
una particolare (e diversa) rilevanza alla illiceità dell’accordo126; per quanto concerne
la giurisprudenza in materia, ciò è venuto in rilievo per determinare quale sia l’eventuale sanzione che possa affliggere la transazione su un derivato immeritevole: ne è
un esempio la vicenda recentemente esaminata da una pronuncia del Tribunale di
123
124
125
126
Di Raimo, Fisiologia e patologie della finanza derivata. Qualificazione giuridica e profili di sistema, in Finanza
derivata, mercati e investitori, a cura di Cortese e Sartori, Pisa, 2010, p. 48-50.
Sul fatto che le norme del mercato finanziario siano volte a migliorare l’efficienza degli atti di autonomia dei
singoli cfr. Costi, Tutela degli interessi e mercato finanziario, in Riv. trim. dir. e proc. civ., 1999, p. 777.
Sull’influenza di tale prospettiva sull’interprete Gilson e Kraakman, Market Efficiency after the Financial
Crisis: It’s Still a Matter of Information Costs, in Virginia Law Rev., 2014, p. 313 ss.; Angelici, Alla ricerca
del «derivato», cit., p. 124-126.
Per una casistica cfr. Franzoni La transazione, Padova, 2001, P. 422-423.
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Bologna127. Tale problematica ha una notevole rilevanza pratica, dato che sovente
accade che le parti concludano una transazione relativa ad un primo derivato (il cui
andamento è generalmente stato svantaggioso per il cliente) e ne concludano un
secondo, nel quale – tramite il mark to market e l’up-front – è integrato quanto sarebbe dovuto in ragione del primo contratto.
In base a quanto previsto dall’art. 1972, 1° co., c.c.128, al fine di valutare se la
transazione conclusa sia valida occorre esaminare se il derivato ritenuto non meritevole di tutela ex art. 1322, 2° co., c.c. sia da equiparare ad un contratto illecito129 (e,
quindi, la transazione sullo stesso sia nulla130), oppure ad un contratto semplicemente nullo (e, quindi, la transazione sullo stesso sia al limite annullabile ex art.
1972, 2° co., c.c., ma solamente nei limitati casi in cui tale regola può operare131).
La rilevanza della questione è evidente, anche in ragione della differenza circa la rilevabilità d’ufficio o meno della nullità e dell’annullabilità del contratto, oltre che
della diversa disciplina delle due azioni.
Nella summenzionata sentenza la questione non è approfondita e ci si limita ad
affermare che la transazione, essendo intervenuta su un contratto immeritevole, è
127
128
129
130
131
Trib. Bologna, 29.11.2018, cit.
Il quale prevede che: «è nulla la transazione relativa a un contratto illecito, ancorché le parti abbiano trattato
della nullità di questo.
Negli altri casi in cui la transazione è stata fatta relativamente a un titolo nullo, l’annullamento di essa può
chiedersi solo dalla parte che ignorava la causa di nullità del titolo.»
Nonostante una dottrina minoritaria abbia ritenuto di limitare l’illiceità cui fa riferimento la disposizione
in questione alla contrarietà all’ordine pubblico o al buon costume (cfr. Stolfi, Teoria del negozio giuridico,
Padova, 1961, p. 86 ss.), la dottrina maggioritaria ritiene invece che essa coincida invece con la nozione di
illiceità di cui all’art. 1343 c.c. (Del Prato, La transazione, Milano, 1992, p. 82; ora anche in Id., Fuori dal
processo, Torino, 2016, p. 84; Franzoni, op. ult. cit., p. 421; Valsecchi, Il gioco e la scommessa. La
Transazione, in Tratt. Cicu-Messineo, XXXVII, t. 2, Milano, 1986, p. 392).
La dottrina afferma infatti che: «l’art. 1972 comma 1 c.c., nel disporre che “è nulla la transazione relativa a
un contratto illecito, ancorché le parti abbiano trattato della nullità di questo”, pone un chiaro limite
all’autonomia innovativa della transazione. […] Nel risvolto della norma contenuta nell’art. 1972 c.c. nel
suo complesso risiede la sanzione della piena autonomia innovativa della transazione: segnatamente dal
secondo comma si desume, infatti, la generale ammissibilità e l’autonomia dell’accordo volto a superare la
controversia sulla nullità del titolo. L’art. 1972 comma 1 limita la portata di questo principio, riservando
alla decisione giudiziale ogni questione in materia di illiceità.» Del Prato, op. ult. cit., p. 81 ss. Sul tema cfr.
altresì Riva, La transazione invalida, Padova, 2012, p. 82 ss.; contra G. Perlingieri, Negozio illecito e negozio
illegale, Napoli, 2003, p. 55.
La dottrina ha sottolineato che l’art. 1972, 2° co., c.c. è disposizione eccezionale, non passibile di
interpretazione estensiva o analogica (cfr. Del Prato, op. ult. cit., p. 107; Franzoni, op. ult. cit., p. 348349; Laudisa, La contestazione della transazione, in Riv. trim. dir. e proc. civ., 1990, p. 438). Tale disposizione
può trovare applicazione solamente nei casi in cui, premesso il carattere novativo della transazione, la nullità
riguardi il caput non controversum; contrariamente, la transazione rimarrà valida, cfr. Franzoni, op. ult. cit.,
p. 344 ss. Infatti, nel caso di transazione novativa ciò che è caput controversum rientra fra i motivi e quindi
non è rilevante, cfr. Del Prato, op. ult. cit., p. 102-103; Indraccolo, Sub art. 1972, in Comm. Gabrielli,
Torino, 2011, p. 767 ss. Sul tema cfr. altresì, in una prospettiva parzialmente differente, D’Andrea,
Transazione su titolo nullo, in Riv. dir. civ., 1998, p. 56 ss. Circa l’impugnabilità della transazione per lesione
cfr. invece l’ampio studio di Bottoni, La transazione lesiva, Napoli, 2018, passim.
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nulla132. Ci sembra che tale statuizione, in ragione dell’attuale utilizzo del giudizio
di meritevolezza da parte della giurisprudenza di merito e di legittimità, debba essere analizzata più approfonditamente e che, anche in ragione della recente giurisprudenza in materia di meritevolezza del contratto, si possa sostenere che la sanzione
del contratto immeritevole non sia l’illiceità, ma la nullità o la agiuridicità.
In Cass. 15 febbraio 2016, n. 2900133, dopo aver affermato che il giudizio ex art.
1322, 2° co., c.c. è un giudizio di diritto, quindi sindacabile in sede di legittimità, la
Suprema Corte si concentra sulla natura e sugli effetti di tale scrutinio. Si chiarisce
che esso non deve essere effettuato secondo il parametro del proibito, ma secondo
quello dell’agiuridico: un contratto che sia immeritevole risulta quindi improduttivo di effetti ab initio. Il giudizio di meritevolezza è inoltre assimilato a quello di
nullità in relazione agli obiettivi perseguiti, in quanto anche il giudizio ex art. 1322,
2° co., c.c. costituisce un controllo a tutela dell’interesse generale dell’ordinamento.
Il giudizio di meritevolezza ha acquisito una rilevanza ed un’ampiezza che vanno
oltre quello di liceità della causa del contratto134. Nella ratio decidendi della summenzionata sentenza135 la Corte non verifica la contrarietà del my way a norme imperative, all’ordine pubblico o al buon costume; nel ragionamento, invece, analizza
lo scambio delle prestazioni, il loro rapporto sinallagmatico, il contesto economico
e le posizioni dei contraenti, che risultano estremamente squilibrate sia per l’asimmetria informativa, sia per la differenza di potere contrattuale. Se tale prospettiva
sembra quindi conferire un’autonoma rilevanza alla disposizione di cui all’art. 1322,
2° co., c.c., occorre al tempo stesso notare che essa avvicina, se non addirittura sovrappone, il giudizio di meritevolezza a quello concernente l’esistenza della causa
concreta136.
Per ciò che in questa sede interessa occorre sottolineare che il giudizio sull’esistenza della causa concreta attiene al profilo della nullità per assenza di uno dei requisiti di cui all’art. 1325 c.c., e non a quello dell’illiceità del contratto. D’altronde,
che il giudizio di meritevolezza abbia ad oggetto la causa del contratto e non sia
sovrapponibile a quello relativo alla liceità dell’accordo è stato sottolineato anche da
autorevole dottrina137, nonché dai codificatori138, secondo cui il giudizio ex art.
1322, 2° co., c.c. deve essere separato e distinto rispetto a quello relativo alla liceità
della causa, poiché esso ha una portata più ampia. La valutazione di meritevolezza si
pone quindi non solo come limite negativo all’autonomia contrattuale, destinato a
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138
Così facendo applicazione dell’art. 1972, 1° co., c.c.
Cit.
Sicchiero, La distinzione tra meritevolezza e liceità del contratto atipico, in Contratto e impresa, 2004, p. 545
ss.
Cass., 15.2.2016, n. 2900, cit.
Sicchiero, op. ult. cit., p. 551-552; Rolli, Il diritto privato nella società 4.0, cit., p. 153 ss.; R. Fornasari,
Il giudizio di meritevolezza dei prodotti finanziari my way, ovvero la valutazione della razionalità dello scambio,
cit., p. 1304 ss.
Galgano, Trattato di diritto civile, vol. II, Padova, 2015, p. 185, 242-243.
Betti, Teoria generale del negozio giuridico, in Tratt. Vassalli, Torino, 1943, p. 247 ss.
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segnare i confini del lecito, ma anche come limite positivo, volto a sindacare gli interessi perseguiti tramite il contratto in rapporto alla funzione sociale che questo
deve necessariamente espletare, dalla quale dipende la giuridicità del vincolo.
Tale conclusione è fra l’altro condivisa anche da una recente sentenza concernente la meritevolezza di un patto parasociale139, nonché dalla giurisprudenza in materia
di clausole claims made140. Inoltre, è la stessa sentenza del Tribunale di Bologna ad
affermare a più riprese che la mancata indicazione del mark to market inficia la sussistenza della causa, e non la sua liceità, nonostante a volte la Corte sembri sovrapporre i due piani del discorso.
Ne consegue che, a prescindere dalla meritevolezza o meno dei derivati oggetto
di causa, riteniamo che possa concludersi che la transazione su un contratto immeritevole non possa in ogni caso considerarsi automaticamente come una transazione
su titolo illecito, con le conseguenze che questo comporta in relazione alla disciplina
prevista dall’art. 1972, 1° co., c.c.
139
140
Cass., 4.7.2018, n. 17498, in Soc., 2019, p. 13 ss., con nota di Busani.
Circa la giurisprudenza in materia ed il relativo dibattito dottrinale si rinvia a R. Fornasari, La clausola
claims made nuovamente al vaglio delle Sezioni Unite: dalla meritevolezza alla causa concreta, in Danno e resp.,
2018, p. 685 ss.
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