ISBN 978-88-8243-484-7
9 788882 434847
Fabrizio SCRIVANO, Rino CAPUTO
Pasquale GUARAGNELLA, Ivan PUPO
Maria Rosaria VITTI-ALEXANDER
Domenica Elisa CICALA
L’esclusa e Il turno gli inizi della narrativa pirandelliana
Nel proseguire la sua opera di valorizzazione dei testi
pirandelliani, ingiustamente trascurati, da un’ottica di
nuove indagini speculative per come impone la sua
peculiarità di alta specializzazione, come per Suo marito,
di cui si occupa per le stesse finalità il Convegno 2019,
il Centro agrigentino ha posto sul tavolo della riflessione
del 57° Convegno internazionale di studi pirandelliani
appunto L’esclusa e Il turno, poiché i due romanzi meritano considerazione per le implicite tematiche di sorprendente modernità e per i momenti salienti del pensiero pirandelliano. I contributi di specialisti e critici,
contenuti nel presente volume, e relative alle tematiche
proposte dal 57° Convegno, prospettano novità interpretative dei due romanzi e sollecitano a letture non
acquiescenti a una critica pregiudizievole, sbrigativa e
sommaria che ha interessato finora L’esclusa e Il turno.
Michael RÖSSNER, Stefano CARRAI
Sarah ZAPPULLA Muscarà, Corrado PELIGRA
Moonjung PARK, Debora BELLINZANI
Marcello SABBATINO, Paolo PUPPA
Graziella CORSINOVI
Anton Giulio MANCINO, Alice FLEMROVÀ
L’esclusa e Il turno
gli inizi della narrativa pirandelliana
a cura di
Stefano Milioto
Edizioni Lussografica
€ 20,00
Centro Nazionale Studi Pirandelliani
Collana di Saggi e Documentazioni
del Centro Nazionale Studi Pirandelliani
diretta da Stefano Milioto
n. 77
In copertina: Pietro Gauli,L'esclusa,1977
Michael RÖSSNER, Stefano CARRAI
Sarah ZAPPULLA Muscarà, Corrado PELIGRA
Moonjung PARK, Debora BELLINZANI
Fabrizio SCRIVANO, Rino CAPUTO
Pasquale GUARAGNELLA, Ivan PUPO
Maria Rosaria VITTI-ALEXANDER
Domenica Elisa CICALA
Marcello SABBATINO, Paolo PUPPA
Graziella CORSINOVI
Anton Giulio MANCINO, Alice FLEMROVA
L’esclusa e Il turno
gli inizi della narrativa pirandelliana
Atti del 57° Convegno internazionale
di studi pirandelliani
a cura di
Stefano Milioto
Edizioni Lussografica
Centro Nazionale Studi Pirandelliani
Radici veriste nei romanzi pirandelliani:
L’esclusa e Il turno
di Debora BELLINZANI
L’esclusa e Il turno sono i romanzi pirandelliani che presentano maggiore contiguità con il Verismo qui inteso come l’insieme delle opere create da Giovanni Verga, Luigi Capuana e Federico De Roberto. La contiguità è da sempre riconosciuta dalla critica e individuata nel tempo della
scrittura, databile all’ultimo decennio dell’Ottocento, nell’ambientazione
in terra di Sicilia e nell’attenzione sia al mondo femminile sia alla rappresentazione della società siciliana. Sull’evidenza di questa contiguità la critica ha, tuttavia, anche fondato la separazione tra la poetica di Pirandello
e quella verista nel suo complesso sostenendo che proprio le affinità mettono in luce la distanza determinata dalla presenza, ne L’esclusa e Il turno,
di elementi tipicamente pirandelliani quali il ruolo determinante del caso
e l’utilizzo di materia umoristica nel tessuto della narrazione.
L’analisi che qui si presenta vuole rivalutare la rilevanza della contiguità su una base differente, ovvero prendendo in considerazione temi che
affondano le radici nella produzione verista, attecchiscono proprio ne
L’esclusa e Il turno per poi trovare sviluppo nella successiva produzione
pirandelliana. I temi che costituiscono l’oggetto dell’analisi sono l’istituzione matrimoniale in entrambi i romanzi e le modalità di accumulo
patrimoniale ne Il turno. Obiettivo dell’indagine è mostrare come elementi caratteristici delle opere veriste siano utilizzati da Pirandello nella
forma che il Verismo ha dato loro e come questi consentano all’autore,
proprio grazie alla loro riconoscibilità, di rappresentare l’inefficacia sia
dell’istituzione matrimoniale sia delle ottocentesche modalità di ricollocazione economica in una società che, alle soglie del Novecento, attraversa
una profonda trasformazione. Conclusione del lavoro d’analisi è il riconoscimento della sopravvivenza di tali elementi, riadattati ma coerenti
nella forma caratterizzante che le opere veriste hanno attribuito loro, sino
all’ultimo romanzo pubblicato da Pirandello.
Contiguità e dissonanza
L’esclusa e Il turno sono stati scritti rispettivamente nel 1893 e nel
1895, ovvero nel decennio in cui De Roberto pubblica L’illusione (1891)
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Debora Bellinzani
e I Viceré (1894) e in cui Capuana dà alle stampe il romanzo Profumo
(1892) e la raccolta di novelle Le appassionate (1893), mentre completa la
ventennale scrittura de Il marchese di Roccaverdina (1901).1 La scrittura
dei due romanzi, pubblicati nel decennio successivo, è dunque contemporanea a una parte della produzione verista di cui le opere citate costituiscono alcuni esempi.2
L’ambientazione siciliana e la rappresentazione della società isolana
sono caratteristiche che i due primi romanzi di Pirandello condividono
con gran parte delle opere veriste: a partire da I Malavoglia e Mastro-don
Gesualdo, che Verga pubblica negli anni Ottanta dell’Ottocento, attraverso la narrazione storica de I Viceré sino a giungere con le vicende de Il
marchese di Roccaverdina al romanzo che chiude la stagione ottocentesca,
gran parte della materia letteraria verista trova scenario e quadro sociale
da rappresentare nella terra d’origine dei quattro scrittori. Nel contesto di
questo quadro siciliano, ne L’esclusa e Il turno Pirandello ripropone
quell’attenzione alla tematica femminile che era stata propria, in particolare, di numerose opere di Capuana quali i romanzi Giacinta (1879) e
Profumo, raccolte di novelle come Profili di donne (1877) e Le appassionate, e de L’illusione, il romanzo di De Roberto interamente incentrato su
una figura femminile. L’insieme di queste consonanze, evidenti e chiaramente riconoscibili, consente al critico Luigi Russo di considerare L’esclusa
come un’espressione del “Verismo portato alle estreme conseguenze”.3
Se a partire dagli anni Quaranta del Novecento la critica ha associato
L’esclusa e Il turno alla produzione verista sulla base dell’evidente contiguità, all’inizio degli anni Sessanta lascia prevalere un approccio che, focalizzando l’attenzione sulle dissonanze tra la poetica del Verismo e quella
pirandelliana, esalta l’innegabile originalità del lavoro di Pirandello rispetto alle opere veriste. Carlo Salinari, pur riconoscendo le consonanze del
romanzo con le opere veriste affini, è perentorio nel tracciare la linea che
da esse lo separa sostenendo che ne L’esclusa Pirandello distrugge il fondamento delle narrazioni veriste: la concatenazione di cause ed effetti che
governa il reale. In Miti e coscienza del decadentismo italiano Salinari pone
1 La raccolta Le appassionate, come Profili di donne citata più oltre, si leggono oggi
in L. Capuana. Racconti. A cura di E. Ghidetti. 3 Voll., Salerno Editrice, Roma 1973.
2 L’esclusa, scritto nel 1893, è stato pubblicato a puntate dal quotidiano La
Tribuna nel 1901 e in volume dall’editore Treves nel 1908. Il turno è stato scritto nel
1895 e pubblicato nel 1902 dall’editore Giannotta.
3 L. Russo, Ritratti e disegni storici, 4 Voll., Laterza, Bari 1953, Vol. IV, p. 382.
Con l’espressione citata Russo rileva la contiguità tra le opere veriste e L’esclusa intendendo significare che la crudezza con cui Pirandello narra le vicende della protagonista porta all’estremo la rappresentazione della vita nella sua essenza, spogliata degli
orpelli ancora rintracciabili nelle narrazioni veriste.
Radici veriste nei romanzi pirandelliani: L’esclusa e Il Turno
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la linea di separazione nell’opposizione tra nessi causali ed eventi casuali.
Quello che il critico definisce “il pilastro del naturalismo”, ovvero la stringente necessità delle leggi che governano la vita sociale determinando il
destino dei singoli individui, è nella sua interpretazione scardinato già nel
primo romanzo pirandelliano i cui personaggi sono consapevoli che un
fatto assolutamente casuale può deviare il corso delle loro esistenze.4 Sulla
medesima linea pone la propria analisi Leone De Castris che, negli stessi
anni, individua ne L’esclusa e nella negazione della causalità la distanza di
Pirandello dal Verismo.5
Il critico che ha teorizzato questo approccio in maniera più ampia,
innalzando una “barriera” tra opere naturaliste e non, è Renato Barilli. Ne
La barriera del naturalismo (1964) Barilli teorizza che l’opera di Pirandello
possa essere compresa solo se collocata nel contesto della reazione al
Positivismo del secondo Ottocento che concepisce la natura e i suoi fenomeni come entità non più prevedibili.6 Il concetto di umorismo inoltre,
così come teorizzato da Pirandello nell’omonimo saggio del 1908, è posto
tra gli elementi che differenziano l’opera dalle narrazioni veriste, come è
anche nelle argomentazioni di Salinari e De Castris.7
Contro l’approccio che riconosce le somiglianze più evidenti ma pone
le poetiche in opposizione si schiera Sergio Campailla nella seconda metà
degli anni Ottanta. In Mal di luna e d’altro il critico contesta l’idea che
una barriera separi le opere veriste dal lavoro di Pirandello e propone, al
contrario, di recuperare la continuità storica nelle somiglianze come nelle
dissonanze, ovvero ciò che egli definisce “il fondamento fluido e contraddittorio” che lega le opere veriste a quelle pirandelliane, sostenendo la fertilità di un approccio che ponga l’interconnessione come proprio fondamento.8
4 C.
Salinari, Miti e coscienza del Decadentismo italiano, Feltrinelli, Milano 1984,
pp. 275-276.
5 L. De Castris, Storia di Pirandello, Laterza, Bari 1989, p. 49.
6 R. Barilli, La barriera del naturalismo. Studi sulla narrativa italiana contemporanea, Mursia Editore, Milano 1964, p.18. Il pensiero e l’opera di Pirandello sono qui
esplicitamente associati a quelli dei filosofi Henri Bergson, Émile Boutroux e William
James per mostrare che la concezione di un mondo governato dall’imprevedibilità del
caso è propria dei pensatori contemporanei allo scrittore agrigentino. Per un’analisi
delle consonanze del pensiero pirandelliano con le tensioni intellettuali del primo
Novecento si veda R. Salsano, Pirandello in chiave esistenzialista, Bulzoni Editore,
Roma 2015.
7 Come esempi di lavori più recenti che individuano la distanza tra opere veriste
e pirandelliane nella presenza di materia umoristica in queste ultime si vedano M.L.
Patruno, Verismo e umorismo poetiche in antitesi, Laterza, Bari 1996 e A.R. Pupino,
Pirandello o l’arte della dissonanza. Saggio sui romanzi, Salerno Editrice, Roma 2008.
8 S. Campailla, Mal di luna e d’altro. Bonacci Editore, Roma 1986, pp. 121-122.
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Debora Bellinzani
La contiguità, che Campailla definisce come la “base” verista a cui
“Pirandello ritorna continuamente, lungo l’intera sua opera”, può dunque
essere intesa in senso più ampio rispetto alle consonanze legate alla vicinanza storica, all’ambientazione siciliana e all’attenzione per le figure femminili.9 Vi è infatti una significativa contiguità tematica, espressa attraverso la ripresa di elementi tipicamente veristi, che per i due primi romanzi
pirandelliani è qui individuata nella rappresentazione dell’istituzione
matrimoniale e della gestione patrimoniale.
Matrimonio e patrimonio
L’istituzione matrimoniale e le modalità di accumulo e gestione del
patrimonio sono elementi caratterizzanti la poetica verista. Questi elementi infatti, seppur molto comuni nelle trame di romanzi e novelle ottocenteschi, assumono nel contesto delle opere veriste una caratterizzazione
così definita e stabile nel tempo da renderli riconoscibili e rappresentativamente efficaci.
L’istituzione matrimoniale è uno dei protagonisti del romanzo italiano, così come del teatro, tra Ottocento e Novecento. Nella maggior parte
delle opere essa è rappresentata come un matrimonio di convenienza dalla
cui descrizione emerge principalmente il conflitto tra la funzione economica dell’istituzione, che regola la trasmissione del patrimonio, e la
dimensione affettiva del rapporto coniugale, generalmente negata dalla
natura stessa del patto matrimoniale.10 La rappresentazione dell’istituzione matrimoniale nelle opere veriste si inserisce in questo quadro generale
fatto di ampie consonanze e tuttavia, attraverso la narrazione di numerose
unioni coniugali, nel suo insieme dà vita a un elemento che eccede il quadro: un paradigma letterario che attribuisce al matrimonio di convenienza
le caratteristiche di un inefficace contratto senza amore.
9 L’espressione citata si trova in S. Campailla. Mal di luna
10 In un esaustivo saggio sull’istituzione matrimoniale
e d’altro cit., p. 138.
nel romanzo italiano
Marina Beer scrive che “a partire dalla fine del Settecento, il tema del matrimonio
viene a occupare nel romanzo borghese italiano uno spazio analogo a quello che già
da alcuni decenni aveva occupato nel teatro e nel melodramma, senza che si possa
parlare di ‘romanzo matrimoniale’ in senso stretto” (“Miti e realtà coniugali nel
romanzo italiano tra Ottocento e Novecento”, in M. De Giorgio e C. Klapisch-Zuber
(a cura di), Storia del matrimonio. Laterza, Bari 1996, p. 439). L’autrice nota che il
matrimonio di convenienza domina le trame dei romanzi italiani ottocenteschi con
l’eccezione di due celebri unioni d’inclinazione: quella tra Renzo e Lucia ne I promessi
sposi di Alessandro Manzoni e quella tra Franco e Luisa in Piccolo mondo antico di
Antonio Fogazzaro (p. 446).
Radici veriste nei romanzi pirandelliani: L’esclusa e Il Turno
69
La prima caratteristica del modello è la natura contrattuale del matrimonio. Il paradigma verista prende forma riconoscibile a partire dall’accentuazione della sua natura contrattuale presente nei due romanzi veristi
verghiani nei quali esso, grazie a un’operazione sia linguistica sia concettuale, acquista le caratteristiche di un contratto di tipo commerciale. Ne
I Malavoglia il matrimonio acquista una totale equiparazione a un accordo commerciale nel momento in cui il vocabolo che lo indica diventa
sinonimo perfettamente equivalente di termini quali “negozio” e “affare”;
in Mastro-don Gesualdo invece l’accento è posto su un’equiparazione di
tipo concettuale, dal momento che il romanzo pone all’origine della narrazione un eloquente parallelo tra il matrimonio del protagonista e la vendita di una partita di farro.11
La trattativa che conduce al matrimonio, al pari di quella commerciale, non prevede le ragioni del sentimento tra i criteri decisionali. La sfera
emotiva, e la sua soddisfazione, sono totalmente escluse dalla concezione
del matrimonio verista; questa scissione, che disloca i sentimenti e la loro
soddisfazione in un mondo irreale ed esita in una carenza di significato
per il soggetto, è la seconda caratteristica del modello. Essa può essere
esemplificata da opere dedicate all’approfondimento psicologico come
Giacinta e L’illusione. Poiché il sentimento non può trovare spazio nel
matrimonio d’interesse che la società richiede e riconosce come desiderabile, in Giacinta di Capuana esso viene posto nel mondo immaginario
della protagonista dal momento che solo per lei la relazione illegittima ha
le caratteristiche di un vero matrimonio. La medesima separazione tra il
mondo reale e quello dell’immaginazione in relazione alla sfera sentimentale è analizzata ne L’illusione di De Roberto che mostra la discrepanza tra
un’educazione sentimentale che promette la soddisfazione amorosa e una
realtà che la nega in modo assoluto.
La terza caratteristica del modello, ossia l’inefficacia del matrimonio
come strumento di ricollocazione sociale, può essere ben esemplificata
dalla narrazione storica di De Roberto ne I Viceré. Qui il matrimonio di
convenienza, presentato in una prospettiva storica post-unitaria, non assicura quel che promette: l’ascesa sociale e il miglioramento dello status
economico non sono più garantiti da quello che, nel passato, era stato
uno dei principali strumenti capaci di fornire stabilità e prospettive di
progresso perlomeno al contraente con maggiore potere contrattuale.
Oltre alla perdita di significato per il soggetto alla ricerca della soddisfazione sentimentale, il matrimonio di convenienza dimostra in questo
11 Il parallelo occupa il secondo capitolo in G. Verga, Mastro-don Gesualdo, in I
grandi romanzi, prefazione di R. Bacchelli. Testo e note a cura di F. Cecco e C.
Riccardi, Mondadori, Milano 1997.
70
Debora Bellinzani
modo anche un impoverimento in relazione all’efficacia e, dunque, una
carenza di significato in senso sociale. È questo il modello di matrimonio
sul quale Pirandello radica le unioni matrimoniali rappresentate nei propri romanzi a partire da L’esclusa e Il turno.
L’inefficacia dell’istituzione matrimoniale, dal punto di vista sia individuale sia sociale, riverbera nella parallela perdita di adeguatezza delle
modalità di accumulo e gestione del patrimonio. Il tema patrimoniale
trova nelle opere veriste interesse specifico e un paradigma rappresentativo
così definito e coerente nel tempo da costituire uno degli elementi attraverso i quali il Verismo, considerato nel suo complesso, diviene poetica
riconoscibile. È il modello che rinomina “roba” i beni posseduti e che
prende corpo letterario attraverso una serie di personaggi avidi e dediti
all’accumulo della ricchezza.
Nella novella verghiana “La roba” (1880) i tratti che definiscono il
modello sono già delineati con decisione e collocati nella figura del possessore del patrimonio, il contadino Mazzarò: l’avidità e l’avarizia, l’operosità e la necessità di controllo, la paura del furto e la capacità intellettuale di elaborare un calcolo costantemente volto al tornaconto economico non solo definiscono il protagonista della narrazione, ma si proiettano
nel tempo a caratterizzare personaggi e opere a venire. Attraverso quella
che sembra la creazione di una colorita caricatura della figura classica
dell’avaro, la novella pone basi di contenuto e di struttura delle narrazioni
future: le opere veriste successive seguono infatti l’esempio sia nel poggiare il discorso patrimoniale principalmente su un personaggio dedito
all’accumulo della ricchezza, sia nell’attribuire a quella figura un ruolo di
primo piano nell’economia della narrazione.
La figura dell’avido accumulatore è portata nel discorso della lotta per
una migliore collocazione sociale dai due romanzi veristi di Verga. Ne I
Malavoglia il tema patrimoniale è affrontato attraverso l’avido zio Crocifisso, privo di scrupoli al punto da utilizzare costantemente l’inganno,
mentre in Mastro-don Gesualdo la figura dell’accumulatore torna protagonista e conquista la scena di un intero romanzo. Nella galleria verista non
manca la declinazione femminile del personaggio accumulatore rintracciabile nei due primi esempi della baronessa Rubiera, in Mastro-don Gesualdo,
e della madre di Giacinta nell’omonimo romanzo di Capuana.12 La brama
di ricchezza diviene desiderio di possesso ne Il marchese di Roccaverdina ma
trova la sua più ampia rappresentazione ne I Viceré, romanzo in cui De
12 Nel romanzo Giacinta l’esigenza di dare vita letteraria a una madre anaffettiva,
che costituisca il primo motore della catena di cause ed effetti in grado di determinare
il destino della protagonista, porta Capuana a delineare un personaggio interessato
esclusivamente all’arricchimento volto alla ricollocazione sociale.
Radici veriste nei romanzi pirandelliani: L’esclusa e Il Turno
71
Roberto apre il modello a tutte le potenzialità rappresentative. L’abilità nel
calcolo della principessa Teresa, l’avidità priva di scrupoli di Giacomo, l’ingordigia di don Blasco e la capacità di Ferdinanda di costruire la fortuna
con le proprie mani costituiscono l’approfondimento dei tratti dell’accumulatore e delle modalità di gestione del patrimonio.
Il modello dell’accumulo, espresso in tutte le sue potenzialità, dalla
brama di ricchezza al desiderio insaziabile di possesso e di potere, si offre
come strumento letterario all’abilità di Pirandello che, ne Il turno, inizia
a sfruttarne la riconoscibilità, la consistenza e la coerenza per rappresentare la perdita di efficacia delle modalità di arricchimento in termini di
capacità di ricollocazione sociale nel nuovo secolo.
L’esclusa
Il tema matrimoniale è centrale ne L’esclusa e costituisce il vincolo
sociale che condiziona le scelte e il destino della protagonista. La forza di
tale legame è radicata in un matrimonio di tipo contrattuale che si sostanzia della consistenza del modello matrimoniale verista. Marta Ajala infatti
è data in sposa sedicenne a quello che la madre e il padre hanno considerato il partito migliore. Nel concitato dialogo tra i genitori che segue la
notizia del ripudio del genero, la madre della donna cerca di attenuare le
accuse di adulterio ricostruendo la trattativa matrimoniale che ha intrappolato Marta in un’unione non desiderata:13
Ma se tu stesso l’hai detto! Non te n’eri pentito? Abbiamo avuto troppa fretta di maritarla, e confessa che abbiamo scelto male! E quel che
toccò soffrire sotto la tirannia di quella strega della zia e del padre infame,
prima che Rocco si risolvesse a far casa da sé? Questo non la scusa, sì, è
vero, lo so; ma può rendere, mi sembra, meno severi nella pena. È pure
una disgraziata...
Appena uscita dal collegio, senza avere avuto la possibilità di mettere
a frutto gli studi in cui si era distinta, Marta si ritrova dunque sposa di
Rocco Pentàgora, l’uomo in cui i genitori hanno visto “un partito conveniente, un buon giovine, ricco”.14 Il matrimonio di convenienza che
Marta contrae per obbedienza ai genitori è un elemento generalmente
trascurato dalla critica. L’analisi della figura della donna è tradizionalmen13 L. Pirandello, L’esclusa, in Tutti i romanzi, a cura di G. Macchia con la collaborazione di M. Costanzo, introduzione di G. Macchia. 2 Voll. Mondadori, Milano
1990, Vol. I, p. 27.
14 L. Pirandello, L’esclusa, in Tutti i romanzi cit.,Vol. I, p. 34.
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Debora Bellinzani
te impostata sul contrasto tra l’iniziale ingenuità che ella mostra nell’episodio che la condanna, ovvero la lettura delle lettere che il pretendente le
fa pervenire gettandole attraverso la finestra, e la forza che Marta esprime
nella successiva lotta per la vita che è costretta a ingaggiare contro il pregiudizio sociale e il proprio destino. Se da un lato è stata dunque attribuita
la dovuta importanza all’accidente di natura casuale che decide il destino
di Marta nel momento in cui il marito la sorprende nella lettura, non è
stato sufficientemente evidenziato il fatto che all’origine dell’intera vicenda Pirandello pone non solo la lettura delle lettere ma anche, prima di
ogni altro elemento e in modo esplicito, la natura del matrimonio della
ragazza: un’unione di convenienza almeno inizialmente priva di risvolti
sentimentali, contratta accettando per senso del dovere le considerazioni
di natura economica dei genitori.
Se l’episodio che scatena l’accusa consente a Pirandello di impostare il
proprio discorso sull’ineluttabilità del caso nei destini umani, la scelta di
porre all’origine dell’intera vicenda un matrimonio di convenienza, privo
di desiderio e sentimento, gli permette di costruire un personaggio capace
di riflettere lucidamente sulla propria collocazione nella società al di là
delle esigenze sentimentali che avevano imbrigliato i pensieri delle protagoniste di romanzi veristi quali Giacinta e L’illusione. Le parole di
Gregorio Alvignani, l’autore delle lettere che diventa effettivamente
l’amante di Marta dopo la rottura del matrimonio, sono rivelatrici in
questo senso. Quando si rivolge alla donna affermando: “Tu non mi hai
mai amato: non hai amato nessuno, mai! o per difetto tuo, o per colpa
d’altri; non so”, egli mette a nudo la natura di un personaggio che, nel
corso dell’intera vicenda, non ragiona mai in termini sentimentali.15
Marta affronta dunque una complessa introspezione attraverso la
quale riflette sul pregiudizio di cui è vittima, sul modo per sfuggire allo
stigma, sulle possibilità di ricollocazione sociale e professionale, e tuttavia
non può concedere spazio ai sentimenti amorosi quando rivolge il pensiero al marito o all’amante. Se ella può diventare il personaggio che mette
a nudo il meccanismo sociale di cui è vittima e che taglia le relazioni con
il proprio ambiente sociale, questo si deve anche al fatto che l’origine della
narrazione è posta in un matrimonio di convenienza, le cui caratteristiche
15 L. Pirandello, L’esclusa, in Tutti i romanzi cit.,Vol. I, p. 174. Nemmeno nel
finale del romanzo, che si risolve con la ricostituzione del legame matrimoniale,
Marta dice al marito di amarlo. L’unica affermazione della donna in relazione alla
sfera sentimentale è di segno negativo ed è riferita all’amante: “No, Rocco, no! Non
l’ho mai amato, ti giuro! mai! mai!” (p. 209). A tale affermazione non segue una
dichiarazione d’amore per Rocco; il personaggio di Marta, segnato da quella prima
unione priva di sentimenti, è costretto a continuare a parare i colpi del destino e a
cercare un posto nella società senza poter dare ascolto alla voce dei sentimenti.
Radici veriste nei romanzi pirandelliani: L’esclusa e Il Turno
73
non hanno bisogno di essere approfondite nel romanzo perché esso ricalca il consolidato modello verista che l’ha mantenuto rigidamente separato
dalla sfera dei sentimenti e dalle esigenze legate alla loro soddisfazione.
Il modello matrimoniale che l’autore sceglie di utilizzare merita dunque una considerazione di rilievo all’interno degli elementi di consonanza
con le opere veriste perché esso dona al vincolo sociale rappresentato una
forza particolare; quel legame infatti acquista la capacità non solo di imbrigliare Marta sino a rendere inefficace ogni tentativo di ridefinizione
personale e sociale, ma anche di escludere il sentimento amoroso dalle
relazioni della donna.
Il turno
Ne Il turno si intrecciano il tema matrimoniale e quello patrimoniale,
che è invece essenzialmente ignorato dalla narrazione de L’esclusa.16 Come
avviene ne L’esclusa, anche la rappresentazione del matrimonio nel romanzo Il turno prende le mosse da una situazione che richiama da vicino il
modello verista e che attribuisce all’istituzione matrimoniale un ruolo
centrale; la trama del romanzo, infatti, prende origine dagli accordi per un
matrimonio di pura convenienza che il borghese Marcantonio Ravì combina per la figlia Stellina. Il criterio di scelta dello sposo riporta direttamente al mondo narrato dal Verismo, e in particolare da Verga, in cui le
motivazioni economiche prevalgono su qualsiasi altro interesse: Ravì
infatti, per incrementare il patrimonio familiare, vuole dare la giovane
figlia in sposa al ricco anziano Diego Alcozèr, alla cui morte Stellina diverrebbe la ragazza più ricca del paese.
La logica che informa il ragionamento del padre ricalca il modello
verista del matrimonio d’interesse: egli ritiene che diventare moglie di un
uomo di settantadue anni sia un sopportabile sacrificio di breve durata
16
Benché tratti con profondità d’analisi il tema matrimoniale, la narrazione de
L’esclusa non è interessata al parallelo tema del patrimonio; essa si concentra infatti sul
legame coniugale e sul modo in cui esso condiziona la relazione tra l’individuo e il
tessuto sociale di cui è parte. Nessun personaggio mostra infatti particolare interesse
verso il patrimonio: non il marito di Marta né i due capofamiglia. Francesco Ayala,
padre della protagonista, possiede una conceria ma perde ogni interesse connesso al
patrimonio di fronte alla vergogna del tradimento che porta, infatti, l’intera famiglia
alla povertà; Antonio Pentàgora, padre del marito di Marta, è definito “ricco” ma
dimostra disinteresse verso gli affari sia perché non è in grado di far fruttare il bene
immobile che possiede, sia perché occupa la mente con il pensiero del tradimento al
punto da affermare più volte, con diretto e ironico riferimento al mondo economico
che non attrae il suo interesse: “Io, di corna negozio” (L. Pirandello. L’esclusa, in Tutti
i romanzi cit.,Vol. I, p. 72).
74
Debora Bellinzani
che sarà presto e ampiamente ripagato dalla vedovanza durante la quale la
ragazza, a quel punto libera e ricca, potrà scegliere il giovane compagno
che desidera. La logica, che esclude ancora una volta completamente la
sfera sentimentale, è presentata da Marcantonio Ravì come un ragionamento lapalissiano che non può non essere facilmente compreso da
chiunque.
Rispetto al modello verista, il ragionamento che sostiene il matrimonio d’interesse non solo è apertamente esplicitato allo scopo di ottenere
approvazione sociale, ma è anche svelato nella sua natura di calcolo di
probabilità; con entrambi questi scarti rispetto alle narrazioni veriste, che
determinano il fallimento del matrimonio di Stellina, Pirandello mette a
nudo la ridotta capacità dell’istituzione matrimoniale di raggiungere lo
scopo sociale a cui è preposta, ovvero assicurare il benessere economico. Il
primo scarto è rintracciabile nell’esplicitazione in forma di ragionamento:
per la prima volta infatti un personaggio rende esplicite le norme sociali
matrimoniali, narrate dal Verismo come fossero una legge di natura, con
il risultato di scontrarsi con l’implicitezza che la società richiede.
Marcantonio Ravì porta il proprio ragionamento per le vie della città in
cerca di approvazione, ma incontra solo l’ostilità dei compaesani che lo
accusano di fare un torto alla giovane figlia.
Il secondo scarto della narrazione pirandelliana rispetto alla tradizione
verista è costituito dal presentare il ragionamento che sostiene il matrimonio d’interesse non più come una concatenazione logica di pensiero, che
sola può portare al benessere socio-economico, ma come un calcolo di
probabilità. Il ragionamento del Ravì infatti, a dispetto della causalità con
cui è proposto, si rivela fallimentare in ogni sua parte: l’anziano sposo può
contare su uno stato di salute che lo rende più longevo del previsto, mentre il sacrificio chiesto alla figlia, che il padre considera piccolo e momentaneo, è insopportabile per la ragazza che fugge dalla casa coniugale e si
libera del matrimonio per vie legali. Gli elementi che nel ragionamento
del Ravì, e nella tradizione verista, comparivano come dati di fatto su cui
basare l’operazione logica che porta agli accordi matrimoniali, si rivelano
elementi ipotetici che vanificano la certezza del risultato. Lo svelamento
della crescente incertezza offerta dall’istituzione matrimoniale appare proprio nell’insistito riferimento al ragionamento del Ravì come fosse un calcolo matematico anziché il calcolo di probabilità, legate anche al capriccio
del caso, che esso si rivela.17
Nel ragionamento di Marcantonio Ravì trovano rappresentazione sia
17 Per un’analisi degli elementi che segnano la distanza de Il turno dalla tradizione
verista si veda C. D’Angeli. “«Il turno», prima indicazione del distacco di Pirandello
dal Verismo” in Paragone, Vol. 26(310), 1975, pp. 51-65.
Radici veriste nei romanzi pirandelliani: L’esclusa e Il Turno
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il modello matrimoniale verista, come si è visto, sia quello patrimoniale.
La caratterizzazione del padre di Stellina è infatti un esplicito richiamo
alla galleria dei personaggi dediti all’accumulo del patrimonio che si sono
succeduti nelle opere veriste. La brama di ricchezza, la capacità di predisporre piani al fine di incrementare il patrimonio, la mente costantemente
impegnata in ragionamenti volti alla gestione del patrimonio sono riferimenti a un modello solido e riconoscibile. Sfruttando proprio la riconoscibilità e l’efficacia rappresentativa, Pirandello utilizza il modello verista
per mostrare l’inefficacia delle modalità di arricchimento e di ricollocazione sociale proprie della società della prima metà dell’Ottocento.
Quella mente non istruita ma capace di concludere affari vantaggiosi
trova infatti ne Il turno una bruciante sconfitta proprio nell’abilità che
all’accumulatore non era mai mancata: quella di ragionare in modo da
ottenere il proprio tornaconto materiale. Marcantonio Ravì, che insiste
nel ripetere il proprio ragionamento e nel cercare di convincere ogni interlocutore della sua efficacia, si sovrappone alla figura dell’accumulatore
della tradizione verista esacerbandone comicamente i tratti e mostrando
la propria inadeguatezza in relazione alla capacità di accumulo di un patrimonio che garantisca una migliore posizione sociale.
Lo sviluppo che la figura dell’accumulatore del modello verista trova
in questo romanzo si svolge in termini di contrasto con il modello stesso;
esso infatti si basa da un lato sull’inefficacia del ragionamento, e dall’altro
sulla novità degli elementi che concorrono a determinarne l’esito fallimentare. Il primo elemento di contrasto è la semplicità di ciò che è reiteratamente chiamato “ragionamento”: se Stellina farà il sacrificio di sposare
un anziano facoltoso, in breve tempo sarà ricca e libera di sposare chi desidera. Lontano dagli inganni di Mazzarò ne “La roba” o dalle falsificazioni
testamentarie di Giacomo Uzeda ne I Viceré, Marcantonio Ravì ne appare
come l’inadeguata ombra proiettata in una società ormai mutata: egli
infatti concepisce un calcolo tutt’altro che brillante e, incapace dell’atteggiamento incurante dell’accumulatore, si prodiga per convincere chi gli
sta intorno che il ragionamento è corretto ed efficace. Ravì viene infatti
smentito dalla voce narrante che si assume il compito di esplicitare un
giudizio definitivo sull’efficacia del suo calcolo patrimoniale.18
Egli non voleva ammettere, neppur dopo l’esito sciagurato della festa
nuziale e le scene violente della figlia, che il suo primo ragionamento zoppicasse più d’un poco. Credeva piuttosto che il diavolo si fosse divertito
a cacciar la coda nella festa, suggerendo prima a don Diego di offrire quel
maledetto bicchierino alla sposa, aizzando poi l’Alletto e il Borrani l’uno
contro l’altro.
18 L.
Pirandello, Il turno, in Tutti i romanzi cit.,Vol. I, p. 242.
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Debora Bellinzani
Ravì non riconosce dunque la fallacia del proprio ragionamento ma
tenta di favorire la riuscita del piano ricomponendo quegli ostacoli che,
come si evince dal brano citato, valuta come semplici incidenti di percorso. Proprio gli ostacoli, estranei nella loro forza al modello dell’accumulo,
sono il secondo elemento su cui la sfasatura rispetto alla tradizione verista
si basa. Benché infatti diversi accumulatori abbiano dovuto piegare la
volontà delle figlie per mantenere l’integrità del patrimonio, in genere essi
hanno combattuto e vinto contro il desiderio di un matrimonio d’inclinazione come nei casi di Teresa Marulli (Giacinta), di Gesualdo Motta e
della principessa Teresa Uzeda di Francalanza (I Viceré). Marcantonio
Ravì si trova invece a fronteggiare una resistenza prima, e una ribellione
poi, a cui la trama conferisce una forza e un’efficacia che non trovano spazio nelle narrazioni veriste. Il bicchierino di rosolio rovesciato sul vestito
nuziale a cui accenna il passaggio citato, e al quale Marcantonio Ravì attribuisce la crisi nervosa della sposa, è una riduzione a causa accidentale della
resistenza di Stellina che, più di ogni altro elemento, sgretola il piano del
padre e contribuisce a ridurre il ragionamento dell’accumulatore a un
vago calcolo di probabilità.
Il primo accumulatore pirandelliano si scontra dunque con i limiti del
paradigma dell’accumulo così come plasmato dalla tradizione verista:
quelle strategie di ricollocazione sociale che egli ha esplicitato e che possedevano una loro logica nel modello sul quale la sua figura è creata dimostrano, nel contesto dell’ambiente sociale in cui Stellina è cresciuta, e nel
quadro sociale che Pirandello sceglie di rappresentare, un’irreparabile inefficacia.
Conclusioni
I temi matrimoniale e patrimoniale consentono a Pirandello di radicare le narrazioni dei suoi due primi romanzi nella consistente tradizione
verista. L’utilizzo di modelli fortemente caratterizzati dal Verismo permette allo scrittore agrigentino di sfruttarne la riconoscibilità e l’efficacia per
rappresentare la società del proprio tempo. L’abilità di Pirandello è in
grado infatti, attraverso lo sviluppo di tali modelli, di conservarne la capacità rappresentativa sino alla pubblicazione nel 1926 di Uno, nessuno e
centomila, l’ultimo dei suoi romanzi.
Il modello dell’accumulo, trasposto in Suo marito nell’ambiente borghese dell’editoria romana, diviene in Il fu Mattia Pascal e Uno, nessuno e
centomila l’avida figura del gestore patrimoniale a cui si oppongono personaggi che presentano assenza di interesse verso la ricchezza. Mentre il
disinteresse diviene protagonista con Vitangelo Moscarda, l’accumulatore
Radici veriste nei romanzi pirandelliani: L’esclusa e Il Turno
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trova ancora rappresentazione ma perde rilevanza, insieme al mondo che
rappresenta, diventando una figura minore. Lo sviluppo del modello
matrimoniale, che passa attraverso l’inefficacia sociale narrata ne I vecchi
e i giovani, si conclude con Il fu Mattia Pascal, Suo marito e Uno, nessuno
e centomila; in questi romanzi i matrimoni perdono significato al punto
da costituire un’insopportabile prigione per il soggetto. La rescissione dei
legami a partire da quello coniugale genera l’esclusione dalla vita sia reale
sia sentimentale per Mattia Pascal, il rifugio nella solitudine dell’arte per
Silvia Roncella e l’immersione nel flusso vitale della Natura per Vitangelo
Moscarda.
Gli strumenti letterari con cui il Verismo ha rappresentato e caratterizzato la ricerca di stabilità economica nel tessuto sociale della seconda
metà dell’Ottocento sono dunque ripresi e sviluppati da Pirandello che, a
partire dai due primi romanzi sino ad arrivare all’ultimo, li porta a rappresentare la diffusa inquietudine novecentesca.
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Debora Bellinzani
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