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Bologna e la magia Accademia

2016, BOLOGNA… e la Magia

Come in un labirinto si dipanano sette passeggiate nei misteri magici di Bologna e svelano tutto ciò che di nascosto cela questa incantata città. In un angolo appare l’'enormissima' strega Gentile a raccontare di roghi e inquisitori, mentre ammicca al più inquietante dei Templari che a Bologna lasciò quella traccia segreta tanto cara a Dante. Poi ancora magie e filtri contenuti in un codice che rappresentò il sapere di un’Università che lambì l’eresia e ispirò molte geometrie sacre della città. Dall’ermetico linguaggio dei numeri e delle forme, l’analisi delle principali opere artistiche e architettoniche di Bologna.

1 BOLOGNA E LA MAGIA Passeggiate nei misteri più magici della città Morena Poltronieri Ernesto Fazioli 2 3 Indice LE VIE DEI MISTERI p. 6 Astrologhi, alchimisti e indovini a Bologna Archiginnasio, chiesa di San Procolo, Collegio di Spagna, chiesa di San Paolo, Piazza Galilei, via de’ Gombruti, via Galliera. LE VIE DELLA MAGIA p. 16 Malie di streghe… incanti d’erbe Archiginnasio, palazzo della Mercanzia, Sala Borsa, palazzo Podestà, palazzo dei Notai, Torresotto di Portanova. LE VIE DEI ROGHI p. 26 Storie di ordinaria eresia… Archiginnasio, chiesa Santa Maria della Vita, Piazza Maggiore, chiesa di San Domenico, via Arienti, chiesa di Santa Lucia, torre Asinelli, chiesa di San Bartolomeo. LE VIE INFERE p. 40 L’innominabile sapere di Bologna… Archiginnasio, palazzo Re Enzo, palazzo Comunale, torre Garisenda, Ex-Ghetto, palazzo Bocchi. LE VIE DELL’AMORE Medioevo a luci rosse p. 51 Archiginnasio, Corte Galluzzi, vicolo Spirito Santo, via Santa Margherita, piazza Galilei, via di Porta Castello, via Galliera, via dell’Orso. LE VIE DELL’ORRORE p. 63 Cronaca nera nella Bologna che fu… Archiginnasio, Palazzo Salina, torre Lambertini, chiesa di San Martino, Piazza VIII Agosto, Montagnola. IL MEGLIO DI BOLOGNA MAGICA p. 77 Tour classico Archiginnasio, chiesa di San Petronio, Fontana del Nettuno, complesso di Santo Stefano, chiesa Santa Maria dei Servi, chiesa di San Vitale e Agricola, San Francesco. 4 Per chi vuole approfondire gli argomenti trattati in questo testo ecco 5 imperdibili libri dedicati a Bologna! Disponibili in libreria o 5sul sito www.mutusliber.it LE VIE DEI MISTERI Astrologhi, maghi e indovini a Bologna Archiginnasio, chiesa di San Procolo, Collegio di Spagna, chiesa di San Paolo, Piazza Galilei, via de’ Gombruti, via Galliera. Archiginnasio Come pensare che un edificio come l’Archiginnasio possa contenere i simboli più segreti di Bologna? Eppure la sua storia racconta molto di più di ciò che la tradizione ufficiale tramanda. L'edificio fu voluto nel 1561 da Pio IV Medici, come sede unificata e controllata dello Studio cittadino, e sorse nel 1562-63 con progetto di Antonio Morandi, il celebre Terribilia. Forse al primo sguardo non apparirà chiaro, ma la sua costruzione ebbe precisi riferimenti astrologici e fu legata ai valori di una cultura che fece dell'astrologia cattedra universitaria all'interno della Facoltà di Medicina. Infatti, nel prospetto dell'Archiginnasio, il portico si suddivide in 30 arcate che si aprivano su 28 locali, creando una contrapposizione numerica che mette a confronto il ciclo solare (30 giorni) con quello lunare (28 giorni). Al primo piano, si trovano dodici sale allineate (10 aule più 2 aule magne), che si connettono numerologicamente alla completezza della natura nei suoi dodici mesi e all'universo stesso. Questi numeri si collegano ai dodici segni dello Zodiaco, di cui furono maestri a Bologna 6 tra gli altri: Michele Scoto, Girolamo Manfredi, Luca Gaurico e Giovanni Antonio Magini. Michele Scoto fu il più particolare di questi personaggi, vissuto tra il 1175 e il 1235, studiò a Oxford, a Parigi, a Toledo e a Bologna per poi stabilirsi presso la corte di Federico II. Si occupò di astrologia, alchimia e magia. Dante lo collocò insieme con Guido Bonatti (altro lettore di astrologia a Bologna), condannandolo al fuoco perpetuo… l’innominabile Inferno! Girolamo Manfredi fu il massimo esponente dell'astrologia medica del 1400. A Bologna tra il 1475 e il 1476 redasse il primo Tacuinus stampato. Questa pubblicazione, tra l'ufficiale e il popolare, veniva redatta per anticipare i principali accadimenti che avrebbero coinvolto la città durante l'anno esaminato. L’astrologo Luca Gaurico predisse, invece, la caduta dei Bentivoglio, ma nel momento in cui la profezia si avverrò, ebbe cinque frustate, la prigione e l'esilio come ricompensa! Dovette riparare a Ferrara ove venne accolto con il massimo onore, divenendo…vescovo! E che dire poi del triangolo dell’alchimia tra Bologna, Praga e Santiago di Compostela, ove Giovanni Antonio Magini, vertice bolognese di questo incantato triangolo, fu a sua volta lettore di matematica e astronomia a Bologna dal 1589 al 1617. Sulla base del lavoro di Niccolò Copernico, di cui fu uno dei principali estimatori, Magini lavorò alla stesura delle sue effemeridi, particolari calendari che contengono il movimento dei pianeti. Fu molto stimato da Joannes Keplero, al punto che quest'ultimo venne chiamato a trasferirsi a Bologna, così come Magini venne richiesto a Praga per ultimare la compilazione delle sue ultime effemeridi. Ma non solo, egli costruì per l’imperatore-alchimista Rodolfo II di Praga, un particolare specchio concavo dalle mirabolanti virtù magiche, che mai l’imperatore saldò al celebre studioso di astrologia a Bologna, che lasciò la sua arte, oltre che questo debito, alla figlia Barbara. Chiesa di San Procolo L’ombra della chiesa di San Procolo, in via D'Azeglio, nasconde ancora la misteriosa storia della Massoneria. I simboli che partirono da questo luogo, sintesi della cultura universitaria e probabilmente delle 7 prime logge di Liberi Muratori, sono la rappresentazione di parole e culture morte insieme ai personaggi, ma vive come espressione della consapevolezza che diviene l'unica fonte attraverso la quale comprendere che la morte è presente solo nelle menti che hanno dimenticato le proprie radici. La chiesa ebbe grande importanza come centro di cultura e di studi ed assurse al ruolo di abbazia, richiamando studiosi di grande fama. Ospitò nell'attiguo monastero l'insigne Graziano, famoso canonista che lavorò al Decretum, come ricorda la lapide posta nel chiostro del Terribilia, all'interno del convento di San Procolo. Inoltre qui si riunivano gli studenti universitari Ultramontani e i loro docenti (i Citramontani si riunivano a San Domenico), come attesta un'altra lapide posta all'esterno della chiesa. Nello stesso periodo la chiesa era in ricostruzione, per cui trasformata in un grande cantiere dove l'opera Muratoria di Bologna aveva modo di esprimere la propria arte. Questa associazione di artigiani, dopo la separazione del 1257 fra mastri muratori e falegnami, si sparse in tutta la città. Ebbe la propria sede sociale nei primi anni del XIV secolo nella casa in via Pescherie Vecchie n. 12, ovvero nel Palazzo Arcivescovile della chiesa di San Pietro. L'approvazione dell'acquisto di questo stabile è sancita nella Charta del 1248, documento molto importante, in quanto è la prima testimonianza al mondo che decreta i diritti e i doveri del massone. Da ciò sorgono alcune riflessioni che potrebbero portare a collegare in questo stesso sito, le riunioni universitarie con le adunanze della Loggia Muratoria, fatto che potrebbe avere favorito uno scambio culturale fra i maestri muratori e gli universitari legisti, forse anche medici e artisti. Ipotesi affascinante soprattutto se si pensa che fra le materie di studio degli artisti vi erano grammatica, geometria, filosofia, poesia, musica, aritmetica e astronomia, che rivestivano un grande interesse anche per i Muratori. Occorre inoltre considerare che l'università di Bologna non era legata ad uno studio della Teologia, per cui non era toccata dalle inibizioni del Concilio di Parigi che interdicevano gli studi intrisi di nozioni attinte dal bacino esoterico di derivazione orientale. Il nuovo pensiero arricchito di miti, leggende, allegorie, simboli precristiani potrebbe essersi infiltrato nell'ambiente 8 muratorio e con esso nozioni relative a un diverso modo di concepire i rapporti umani, che garantissero l'apprezzamento della vita in tutte le sue manifestazioni. Collegio di Spagna Segni zodiacali, astri, virtù stellari hanno sempre ispirato le antiche costruzioni di ogni città. A Bologna, il segno astrologico dell’Ariete, per esempio, è legato a via Saragozza che, dal centro cittadino, connette al Monte della Guardia, dove si eleva il santuario della Beata Vergine di San Luca, polo di pellegrinaggio di grande intensità. All’inizio della via si trova la chiesa di San Clemente, compresa nel Reale Collegio di Spagna, che s’identifica con la prima emanazione dello Zodiaco. Nel periodo del Concilio di Trento, furono fatti molti processi contro le eresie, tra questi va ricordato, all'interno del Collegio di Spagna, un processo speciale a carico di nove studenti in odore di eresia riformista. Sette di loro furono assolti, mentre uno abiurò, l'altro, Jacopo Gil riuscì a fuggire. Il Reale Collegio Maggiore di Spagna fu voluto e realizzato dal cardinale Egidio Albornoz, che subentrò nel governo di Bologna a Giovanni Oleggio dei Visconti nel 1360. Tra i nomi illustri che popolarono questo studio vale la pena di ricordare nel 1400 Ferdinando de Villalobos, professore di astrologia e astronomia, ed Egidio Ispano astrologo. Il Collegio di Spagna annovera altri ospiti illustri, legati alla storia dell’Inquisizione, tra cui Pedro Arbùes de Epila, che studiò al Collegio di Spagna di Bologna dal 1469 al 1473, quando ottenne il dottorato in teologia e diritto, dopo avere ottenuto quello di filosofia. Al ritorno in patria, divenuto ecclesiastico, fu nominato Grande Inquisitore del regno d’Aragona. La tensione, che aveva prodotto la creazione del nuovo tribunale inquisitoriale spagnolo, generò la sua uccisione all’interno della cattedrale di Saragozza, che si tradusse nel compatronato della città di Bologna, assieme a san Petronio, come unico excolleggiale a subire il martirio. Il religiosissimo Collegio di Spagna creò l’ispirazione ad una delle personalità più importanti della storia dell’esoterismo, ovvero Corne9 lio Agrippa di Nettesheim (1486-1535). Ciò avvenne per via dell’ospitalità offerta dal Collegio, per ben due volte, a Carlo V, nel 1530, alla vigilia della sua incoronazione in San Petronio e successivamente nel 1533. Questo evento recò con sé l’eco di uno degli archivisti e storiografi ufficiali di Carlo V, e proprio da Bologna risulta uno scambio epistolare tra Don Bernardo ed Agrippa, relativamente alla pubblicazione del De Occulta Philosophia, un’opera di ermeneutica cabalistica, che diede lo spunto per la creazione della leggenda, che fece di Cornelio Agrippa il più grande evocatore di spiriti. Chiesa di San Paolo La prima cerchia di Bologna può ispirare delle supposizioni interessanti da un punto di vista astrologico e collegarsi ad una metodologia di costruzione di tipo cosmico in virtù della quale le successive mura che hanno cinto la città possono avere tratto riferimento. Intanto consideriamo che, nel luogo in cui era collocata una delle quattro croci che segnavano la Bologna antica, la Croce dei Santi, a mezza via tra la chiesa di San Clemente del Collegio di Spagna e l'oratorio dello Spirito Santo, fu eretta all'inizio del XVII secolo la basilica di San Paolo Maggiore. Questa Croce dei Santi faceva parte della prima cerchia muraria che ha avvolto come uno scudo protettivo Bologna: la cerchia di Selenite o delle quattro croci appunto. La pianta della città, essenzialmente quadrata, metteva in evidenza una tecnica in base alla quale si stilavano gli oroscopi medievali, creando il quadrato astrologico, nell'ambito del quale la suddivisione in settori zodiacali veniva disegnata con linee rette. Avvalendosi della descrizione astrologica relativa al cielo di nascita di Bologna, ritrovata sull'Afriditologia dell’astrologo Ovidio Montalbani, si può considerare l'ipotesi che il punto più fulgido della città, ovvero il Medio Cielo, sia attribuibile a Porta San Mamolo, legata al segno natale della città, il Toro. Astrologicamente l'asse opposto al Toro è lo Scorpione, la zona di Porta Mascarella, molto vicina al nord cardinale. Ad ovest ed est si trova l'altro asse zodiacale Aquario-Leone, Porta San Felice e Porta Maggiore. Da qui avremo le attribuzioni di tutte le altre porte, come 10 segue: Porta San Mamolo-Toro; Porta Castiglione-Gemelli; Porta Santo Stefano-Cancro; Porta Maggiore-Leone; Porta San Vitale-Vergine; Porta San Donato-Bilancia; Porta Mascarella-Scorpione; Porta Galliera-Sagittario; Porta Lame-Capricorno; Porta San Felice-Aquario; Porta Sant’Isaia-Pesci; Porta Saragozza-Ariete. Piazza Galilei Cecco D'Ascoli fu uno dei più incredibili e controversi personaggi della storia bolognese, al punto che nessuna lapide ricorda la sua permanenza nella nostra città e la porta d'ingresso alla sua antica abitazione e studio è stata murata per favorire la costruzione della Galleria Falcone Borsellino. Appare allora quasi impossibile ricordare la sua storia: da importante professore di astrologia presso la cattedra di Bologna, ad adepto appassionato della setta dei Fedeli d’Amore. Da ‘innamorato’ trasgressivo di una suora bolognese, a conturbante menestrello canzonatorio dei difetti bolognesi, ma anche di personaggi illustri come Dante Alighieri. Egli visse e insegnò in via Gargiolari. Sembra un segno che segue il corso della storia, che vide il proliferare di questi studi fino al declino e la scomparsa di una ricerca tra le ceneri dello stesso rogo che pose fine alla vita del professore. Col rogo bruciò anche la sua immagine facendo scomparire le sue tracce nel tempo, fino ad oggi, nella quasi totale dimenticanza. Via de’ Gombruti Ecco apparire un altro elemento conturbante nella città, non solo studioso di astrologia, ma pure mago e negromante: Gerolamo Cardano, professore allo Studio di Bologna nel quale resse la cattedra di medicina dal 1562 al 1570. Nel 1562 giunse a Bologna. L'11 giugno 1562, cominciò il suo insegnamento, assunto in prova per un anno, fatto che avrebbe potuto destare sorpresa, considerando la sua celebrità in tutta Europa per merito dei suoi libri e il suo lungo e brillante iter accademico. In realtà Bologna temeva le sue doti di mago e astrologo. D’altronde Cardano non fece mai mistero del fatto che ogni passo della sua vita era influenzato dalle stelle. Nel suo oroscopo il Sole, Marte e Saturno, non meno Mercurio erano nei segni umani, e poiché Giove era nell'A11 scendente e Venere dominava tutte le figure... gli portarono l’impotenza dal ventunesimo al trentunesimo anno di età! Pure la sua morte fu dettata dagli influssi astrali e secondo i maligni egli si lasciò morire di fame, piuttosto che contraddire la data di morte che emergeva dall'oroscopo natale, compilato da lui stesso. Abitò in via de’ Gombruti, poi in via Galliera - a casa Ranucci - e infine nei pressi di San Giovanni in Monte. Riuscì a farsi molti amici nella nostra città e nell'anno seguente fu confermato alla Cattedra e ricevette la cittadinanza bolognese, oltre al fatto di essere esentato da alcune gabelle urbane. Il 6 ottobre 1570 fu arrestato per ordine del Sant’Offizio. L'imbarazzo per la città di Bologna fu grave, tanto da sciogliere immediatamente l'impegno, licenziando il docente. I suoi amici, i potenti cardinali Morone a Bologna e Alciati con Borromeo a Roma, lo aiutarono e dopo tre mesi di carcere ottenne gli arresti domiciliari. Per salvarsi la vita fu costretto ad abiurare e dovette trasferirsi al più presto, dirigendosi a Roma ove morì all'età di 75 anni. Anche la sua morte è avvolta ancora nel mistero e le sue spoglie non furono mai trovate! Via Galliera Questo primo itinerario tra i misteri di Bologna si conclude in via Galliera, presso Palazzo Felicini, dove abitò la famiglia Fibbia Castracani, nientemeno legata all’origine dei Tarocchi! L'occultista Oswald Wirth, nella sua opera magna sul mondo delle carte da gioco, collocò la loro nascita e soprattutto quella del Tarocchino a Bologna, per mano di Francesco Fibbia Castracani, che in città abitò proprio nel suddetto palazzo, che la leggenda colloca come il luogo in cui Leonardo da Vinci dipinse la Gioconda! In questo palazzo un dipinto reca un'iscrizione dove si legge: Francesco Antelmitelli Castracani Fibbia, principe di Pisa, Monte Giori, e Pietrasanta, e signore di Fusecchio, filio di Giovanni, nato di Castruccio duca di Lucca, Pistoia, Pisa, fugito in Bologna datosi a Bentivoglij, fu fatto Generalissimo delle arme bolognese, et il primo di questa famiglia che fu detto in Bologna Dalle Fibbie, ebbe per moglie Francesca, figlia di Giovanni Bentivoglij. Inventore del gioco del Tarocchino in Bologna dalli XVI Riforma12 tori della città ebbe per privilegio di riporre l'arma Fibbia nella Regina di Bastoni e quella della di lui moglie nella Regina di Denari. Nato l'anno 1360 morto l'anno 1419. Probabilmente si cercò, attraverso questo personaggio, di esaltarne una provenienza legata al mondo dei Crociati e più occultamente alla conoscenza dei Templari, di cui Francesco Fibbia Castracani sembra fosse venuto in possesso segretamente. Attualmente, però, gli studi sulla storia dei Tarocchi danno maggiore credito a questo dipinto, misteriosamente scomparso dalla sua sede, che attesterebbe un precoce sviluppo di queste carte a Bologna. Se la storia dei Tarocchi molto spesso è legata alla leggenda, molti però affermano che a Bologna essi Dipinto, Francesco Fibbia Castracani videro la loro origine, dal momento che già nella seconda metà del Quattrocento i Trionfi erano molto in voga, probabilmente grazie alla presenza dell’Università alla quale accedevano studenti da tutta Europa. Oggi a Riola di Vergato (Bologna) è sorto il primo Museo Internazionale dei Tarocchi, che raccoglie opere d’arte contemporanea provenienti da tutto il mondo (www.museodeitarocchi.net). In questa strada visse anche Domenico Maria Novara (Ferrara, 1454 – Bologna, 1504) astronomo e professore all'Università di Bologna che esercitò anche l’arte astrologica, probabilmente per arrotondare lo 13 stipendio. Divenne famoso per essere stato l'insegnante di Niccolò Copernico, che si trovò spesso in città. Non dimentichiamo,poi, che via Galliera fu una delle vie d’acqua di Bologna antica. Attraverso la forza delle acque si azionavano i mulini (nel 1300 ve n’erano alcune decine, che nel XVII secolo divennero centinaia). I canali erano un mezzo di collegamento e trasporto per il commercio grazie al collegamento con il Po, la Valle Padusa e l'Adriatico. Inoltre erano utili per canalizzare e regolare le acque dei torrenti appenninici, le cui correnti potevano arrecare danni all'economia cittadina. Bologna ebbe pure una potente flotta fluviale, che vinse contro quella della Serenissima. Infatti nel 1271, fu combattuta la battaglia navale alla Polesella, nelle acque del Po di Primaro, nella quale l'esercito bolognese, sconfisse quello veneziano, ottenendo una miglioria nei dazi relativi al commercio. Poco lontano da questa via, troviamo un’altra leggenda… precisamente nella chiesa di San Benedetto, ove la tradizione popolare affermava che ogni tipo di febbre potesse essere curata. Capitello di Via Galliera, Palazzo Torfanini 14 Museo Internazionale dei Tarocchi a Riola di Vergato (Bologna) 15 LE VIE DELLA MAGIA Malie di streghe… incanti d’erbe Archiginnasio, palazzo della Mercanzia, Sala Borsa, palazzo Podestà, palazzo dei Notai, Torresotto di Portanova. Archiginnasio Nel XVIII secolo, nello Studio cittadino, presso l'Archiginnasio si preparava ancora un rimedio portentoso, la panacea per tutti i mali: la teriaca! La sua preparazione sottostava ad un preciso rituale, che prevedeva l'esposizione al pubblico degli ingredienti - per tre giorni - che dovevano essere usati. Poi, si procedeva alla lavorazione, al cospetto del Collegio di Medicina e della Compagnia degli Speziali, con gran presenza di pubblico. Una volta finita e raffreddata, la miscela portentosa era distribuita agli speziali che ne avevano fatto richiesta. Un campione del medicamento era tenuto presso lo Studio, probabilmente per controllo. Ma cos’è la teriaca? Si diffuse nel II secolo, inventata da Galeno, che attinse all’insieme delle conoscenze antiche, senza rinunciare a formule esoteriche: la sua teriaca non comprendeva meno di 70 ingredienti, e divenne un famoso rimedio (nato su base alchemica), considerato la panacea universale. 16 Esso deriva il proprio nome dal greco therion, ‘animale selvatico’, perché fu usato dapprima come rimedio contro il morso di animali velenosi. Tra i suoi ingredienti infatti figurava anche la carne della vipera! La teriaca fu identificata, al pari dell’elisir di lunga vita, alla pietra filosofale degli alchimisti, divenendo una sorta di rimedio universale, in grado di curare tutti i mali. Non mancarono i detrattori, come si legge nel testo di Edoardo Rosa sulla medicina e salute pubblica a Bologna, nonostante ciò, ancora nel XVI secolo, questo rimedio rivestiva un’importanza speciale nell’ambito della farmacopea e Ulisse Aldrovandi la produsse a Bologna nel 1574 nella spezieria del convento di San Salvatore. La chiesa era una delle spezierie cittadine - insieme a quella dell'Archiginnasio, del Meloncello e poche altre - in cui si preparava questa miscela, per meglio controllarne la vendita. La teriaca era allora composta da ben 61 elementi! Continuò a catalizzare l’interesse dei ricercatori ancora nel XVII secolo, come attesta il libro di Ovidio Montalbani L’Honore de i Collegi dell’Arti della Città di Bologna del 1670, in cui si legge la ricetta originale di tale medicamento. Nel 1783, essa era ancora iscritta tra i medicamenti galenici e ancora oggi, in qualche erboristeria legata alle vecchie tradizioni, è possibile reperirla. Palazzo della Mercanzia Il viaggio delle vie di Bologna prende il volo di fronte al palazzo della Mercanzia. La sua origine è databile attorno alla fine del XIII secolo. Poi, si aggiunsero altri immobili acquistati nel 1337 e nel 1380, che portarono, nei successivi anni, alla costruzione della loggia del Carrobbio. L'opera fu completata nel 1391. Altri interventi di ampliamento si resero necessari nel 1439 e nel 1484. Le erbe magiche diventano in questo palazzo pietre meravigliose. I pilastri della loggia culminano in capitelli fogliati, in cui si esprime il valore simbolico della vegetazione, intesa come elemento vivente e sacro, che ebbe largo utilizzo nella pratica architettonica, affermando il risveglio dell'ornato ad intreccio. Dagli intrecci di vegetali, derivò 17 l’aspetto dell’essere animato, simbolo dei fenomeni della terra alle prese con le forze celesti. L'albero divenne così il simbolo della creazione e le rappresentazioni di vegetali sulle sculture che decoravano gli edifici ebbero il compito di ricordare all'uomo il valore della sua origine e la guarigione ottenibile attraverso il ricongiungimento con essa. Ciò produsse una flora irreale, dove mezze foglie tratteggiate, producevano altre foglie vive, creando rami incrociati, appartenenti a due domini contrastanti tra loro: il bene ed il male, le due eterne forze in conflitto tra loro, ma mai in contrapposizione. La forma essenziale di questo decoro era già delineata dalla foglia d'acanto greca, mutuata dal mondo egizio, che troviamo scolpita sui capitelli delle tre colonne. La leggenda greca narra di una fanciulla corinzia morta precocemente; per questo la nutrice depose sulla tomba una cesta con i suoi oggetti più amati, ricoprendola con una tegola quadrata per proteggerla dai furti. In primavera, l’architetto Callimaco passò da quelle parti e notò che la tegola era sollevata da un cespuglio di foglie d’acanto, cresciute sul sepolcro, ad indicare l’immortalità della fanciulla. Le foglie d’acanto furono anche adottate dall’architettura cristiana per simboleggiare la resurrezione. Talvolta dalle foglie fuoriuscivano teste umane o animali, quasi a rappresentare la rinascita alla vita eterna ed è proprio questo particolare a legarle alla leggenda greca. Nei capitelli del palazzo della Mercanzia, questo particolare è visibile, è sufficiente concentrarsi sulla prima colonna di destra (con le spalle rivolte alle Due Torri) e cercare tra i vegetali, per trovarla, corrosa dal tempo, tra le foglie del decoro. L'acanto condivide con la vite il significato di rinascita, l'unico elemento che lo contraddistingue da questa pianta è il fatto di non essere connesso al peccato originale, di cui si macchiarono i progenitori dell'umanità nel biblico giardino di Eden. Esso diviene così il simbolo adottato dai saggi per indicare una resurrezione diversa. L'ornato ad acanto ricorda anche il concetto di natura, che contiene in sé il seme del divino. Essa informa e guida l'uomo nel processo di rigenerazione costante, che vince contro ogni morte e produce l'immortalità sacra dell'anima. 18 Sala Borsa Ammirando oggi la bellezza e la particolarità della sala Borsa, si potrebbe mai pensare che in questo luogo nacque il primo Orto Botanico della città? La storia racconta, infatti, che Bologna fu uno dei centri più importanti, per quanto concerne la botanica, fin da questo periodo. Nel 1539, fu istituita la Cattedra dei Semplici - all'interno della Facoltà di Medicina - tenuta da Luca Ghini (1490-1556), che studiava i principi semplici delle piante, da cui erano ricavati i farmaci e s’interessava di alchimia. Il Senato bolognese accolse con freddezza la richiesta di costruire un Orto Botanico in città, anche per via della diffidenza con la quale ancora si stimava lo studio diretto delle piante, associato a pratiche legate alla stregoneria. Luca Ghini decise così di lasciare Bologna per recarsi a Pisa, dove gli era stato offerto un posto di lavoro più remunerativo. Così, egli poté fondare l'Orto Botanico di Pisa, attorno al 1544 e successivamente quello di Firenze. Nel frattempo, era sorto anche a Padova un altro Orto Botanico. Ulisse Aldrovandi (1522-1605), allievo di Ghini, gli succedette nella carica. A lui si deve la nascita della Philosphiae Naturalis de Fossilibus Plantis et Animalibus (1561), a Bologna. Egli fu influenzato dalle indagini di Pietro Pomponazzi, che alcuni considerano il precursore del moderno positivismo, e dalle ricerche del singolare medico a cavaliere tra arte e magia, Paracelso. Aldrovandi fu considerato il precursore di Linneo, il celebre naturalista e medico svedese che, nel XVIII secolo, ebbe il merito di classificare molte specie vegetali e animali. Nel 1568, egli riuscì a strappare l’autorizzazione per creare il primo Orto di Bologna, all'interno del Palazzo Pubblico, in un cortile che oggi è inglobato appunto nella Sala Borsa. Non lontano, vi era l'aula delle sue lezioni. La sua vita lo condusse anche di fronte al tribunale dell’Inquisizione per via di contatti con un frate sospetto d'eresia - dove però fu assolto. Ricordiamo che, all'epoca di Ulisse Aldrovandi, l'atmosfera culturale era molto effervescente, tra i docenti allo Studio bolognese vi era anche il celebre astrologo Gerolamo Cardano, poco amato dai Bolognesi - Aldrovandi appoggiò la successione del docente, adoperandosi in favore di Antonio Fracanzano - e l'erudito Achille Bocchi, mae19 stro di Aldrovandi, in odore d'eresia. Inoltre, il periodo era segnato dai contrasti della Riforma protestante, che provocò disagi anche all'interno dello Studio, con la dipartita di molti studenti di origine germanica che, in seguito, ripararono a Padova, dove probabilmente l'Inquisizione fu più tollerante nei loro confronti. Tra i libri posti all'indice, vi fu tutta l'opera di Paracelso e di Tommaso Campanella, che cercò a Bologna temporaneo esilio. La storia di Ulisse Aldrovandi si colloca nel solco di un’epoca in cui il risveglio delle arti ermetiche produsse un fiorire di studi, che fecero di lui un precursore dell'osservazione naturalistica, riconosciuto per questo in tutta Europa. Una traccia dei suoi interessi legati alle pratiche alchemiche, è riscontrabile nella descrizione che ha lasciato della pianta celidonia. Con questa pianta si otteneva un amuleto, che sconfiggeva le inimicizie e faceva prosperare gli affari. Ulisse Aldrovandi sosteneva che il suo nome derivasse da coeli donum e significasse, perciò, ‘dono del cielo’, credenza diffusa dagli alchimisti che la usavano nelle loro operazioni. In realtà, il nome deriva dal greco chelidon, ‘rondine’ perché il suo ciclo vegetativo coincide con la partenza e l’arrivo delle rondini. Un'altra pianta fu in odore di eresia, l'alchemilla vulgaris, il cui nome sembra derivare, attraverso il portoghese, dall’arabo iklil al-malik, ovvero ‘la corona del re’, ma secondo l’etimologia più comune deriva dalla parola ‘alchimia’, in arabo al-kimiya, cioè ‘l’arte della pietra filosofale’, infatti, gli alchimisti attribuivano alla rugiada raccolta dalle foglie il potere di trasformare i metalli vili in oro. Occorre ricordare che nel mondo occidentale, nel Medioevo, molti uomini dotti si dedicarono allo studio delle erbe, spesso connesso con la magia naturale. Le erbe entrarono a fare parte di un processo di purificazione interiore, che seguiva la vibrazione energetica delle loro essenze attraverso distillazioni e fumigazioni. Gli alchimisti si appropriarono di questo mondo, e la botanica ebbe un posto di privilegio in molti processi di trasmutazione dei metalli. La natura si trasformò in uno strumento potente in grado di equilibrare, in senso occulto, la magia e l’alchimia. Nel XVI secolo, periodo di grandi esplorazioni geografiche, l’interesse scientifico per la natura aumentò, anche per via dell’introduzione in Europa di numerose piante esotiche, provo20 cando una serie di interessanti osservazioni, di cui abbiamo traccia in personaggi legati all’alchimia, come Cornelio Agrippa e Paracelso. Palazzo Podestà Nello scenario della piazza si celebra un inno alla natura, alla magia ed ai simboli ad esse connesse. Basta uno sguardo alla decorazione del Palazzo del Podestà, sulla cui facciata vengono esaltati oltre 3000 fiori, ognuno diverso dall'altro. L'aspetto più affascinante e misterioso di questa decorazione sta nell'assioma flores, ‘fiori’ come stelle di Abu-Masar, antico astrologo arabo che influenzò l'astrologia medievale. Il frontale di questo palazzo diventerebbe così un immenso cielo stellato che illumina la piazza intera. Le rosette si differenziano nel decoro e per il numero dei petali, che evocano il simbolismo dei numeri. Laddove sono presenti quattro petali, l'allegoria si rifà alla croce ed al suo simbolismo assiale; quando sono cinque, invece, il riferimento è al microcosmo, il mondo manifesto che si nutre della rugiada divina, rappresentata da fiori a sei petali. Nel Medioevo, il fiore era l'allegoria del cielo e delle sue costellazioni, che governano la Piazza principale dei Bolognesi, proteggendola con le loro benefiche influenze. Il Palazzo fu eretto all'inizio del XIII secolo per contenere il Comune di Bologna e presto denominato Palatium Vetus, per poterlo differenziare da quello sorto qualche decennio più tardi chiamato Novum (Palazzo Re Enzo), o della Giustizia, in quanto in esso vi veniva resa giustizia. Il punto d'incontro tra questi due palazzi è il crocicchio, il cui voltone risulta subito magico nell'atmosfera che lo governa. Per significato simbolico, l'incrocio assume l'aspetto di confronto tra forze opposte, ma non contrastanti, divenuto l'unione di forze occulte e acquisendo sempre più la connotazione di luogo magico. Ancor più sorprendente nel fenomeno acustico del telefono a eco, dove la parola rivolta sottovoce ad un angolo, viene percepita con chiarezza dalla persona che pone l'orecchio nel polo opposto. Il crocicchio si trasforma allora in un campo energetico dove vibrazioni sottili creano invisibili canali di comunicazione. 21 Sulla destra del Palazzo, all’ingresso del Voltone, sta la cappella di Santa Maria dei Carcerati, costruita nel 1371 e misteriosamente scomparsa nelle varie edificazioni che seguirono la sorte del Palazzo, fu rinvenuta da Alfonso Rubbiani (1848-1913) e Guido Zucchini (18821957) nel corso dei restauri del 1905. Essa era contenuta dal Palazzo della Rota, edificio inserito fra i palazzi citati della Piazza. Se nel Palazzo del Capitano del Popolo stavano le carceri, in quello della Rota si trovavano gli appartamenti e gli uffici giudiziari, oltre che - al piano terreno - la dimora del famigerato boia, il cui compito era quello di recuperare i condannati e condurli all’esecuzione, che poteva avvenire per impiccagione alla già citata ringhiera del Podestà o con i famosi tratti di corda dal voltone della Corda. La cappella dedicata alla Madonna doveva offrire conforto spirituale ai rei da parte dei monaci Celestini. Oggi l'artista contemporaneo David Tremlett ha realizzato un wall drawing all’interno dell’edificio religioso. Nel passato, da queste parti veniva applicata anche la pena dei tratti di corda, punizione corporale comminata pubblicamente presso il Voltone di via della Corda (strada eliminata nel 1905), che si apriva vicino al Palazzo di Re Enzo, sul lato di via Rizzoli. In cima al Voltone una fune con una vecchia carrucola serviva per legare l’imputato, che veniva tirato in alto e lasciato cadere per terra al suolo, tante volte quanti i tratti da applicare. Tornando alla natura, un altro richiamo si riscontra all'inizio della nuova via dell'Indipendenza, dove sorgeva il Canton dei Fiori: la casa Stagni, anticamente Scappi. L'antico nome del palazzo ricorda la famiglia Scappi ed un tentativo di fuga di re Enzo, imprigionato nel palazzo di fronte alla casa, nel 1265, dentro un canestro o brenta (tino per trasportare il vino) portato da un uomo robusto. Si dice che una donna, affacciata ad una finestra, si accorse della fuga a causa dei riccioli biondi del re che fuoriuscivano dal cesto; il suo grido «Scappa, scappa» le portò la riconoscenza del Comune ed un cognome nuovo: Scappi, appunto. Il portico del palazzo risale al XV secolo, mentre la ricostruzione è della fine del XIX secolo. Interessante notare sulle volte del portico, una decorazione floreale, dedicata alle tre piante che hanno dato lu22 stro alla storia di Bologna: la canapa, la vite ed il grano … erbe magiche per eccellenza! Palazzo dei Notai Il Palazzo attuale fu edificato nel 1381 dalla società dei Notai, che ebbero qui la loro sede, come testimonia il loro stemma araldico sulla facciata, composto da tre calamai con penne d'oca. Uno dei più potenti notai fu Rolandino de’ Passeggeri (1215/7-1300), colui che osò difendere la città dalla furia di Federico II, dopo che Bologna ne aveva rapito il figlio, Re Enzo. La tradizione lo pone a capo di quell’innovativo provvedimento che fu l'affrancazione dei servi della gleba, il Liber Paradisus (1257), ciò fece di Bologna probabilmente il primo comune al mondo a liberare gli schiavi dall’oppressione e a renderli cittadini degni di pagare le tasse! La tomba del notaio si trova in piazza San Domenico, dove appare per la prima volta a Bologna l’immagine di un maestro che fa lezione agli scolari, Rolandino appunto. Il sepolcro è un’arca che è posta al centro della piazza, costruita agli inizi del XIV secolo forse da un «magistero Johanni marmorario» e un «Petro». Di fronte al palazzo Podestà, sorge il palazzo dei Notai che, nel XVI secolo, ospitava ben tre profumerie: la profumeria del Melone, del Basilico e dell'Elefante. Anche l’epopea del profumo si ricollega ai misteri della vita: esso è stato usato sotto forma di incenso da almeno 5000 anni, fin da quando si offrivano sacrifici combusti alle divinità. Furono bruciati rami di alberi con legno aromatico, cortecce, fiori e spezie che servivano per le fumigazioni e, nel frattempo, saturavano l'aria di effluvi esaltanti al fine di produrre un potere soverchiante sui sensi che corrisponde a quasi tutti i canoni di arte magica. Durante il I secolo d. C., gli alchimisti persiani distillarono essenze esotiche e raffinate, incluse quelle della rosa. Furono i Crociati a portare queste conoscenze in Europa. Negli ultimi secoli, si sviluppò la prima vera industria nel mondo delle essenze e dei profumi, che a Bologna trovò eco nelle tre profumerie sopra citate, che hanno lasciato in eredità una ricetta tipica dell'epoca, tratta dal ricettario di bellezza di Caterina Sforza, che doveva servire ad eliminare i peli super23 flui. Gli ingredienti magici di questa ricetta erano grasso di porca femmina, polvere di legno rosmarino e sterco di rondanina! Questo rimedio induce a muoversi dalla Piazza, incamminandosi verso il Torresotto di Portanova, per approfondire un tema molto affascinante, legato a chi utilizzò la natura e i suoi rimedi curativi: le streghe. Torresotto di Portanova In questo sito visse la strega enormissima di Bologna Gentile Budrioli, che discendeva da una famiglia nobile, i Budrioli, e fu sposa di Alessandro Cimieri, famoso notaio bolognese. Gentile si avvicinò a studi pericolosi, seguendo le lezioni di un astrologo mantovano. Dallo studio degli astri, si dice, ben presto Gentile passò a quello della negromanzia sotto la guida di un certo fra' Silvestro ed arrivò ad approfondire le sue pratiche fino al punto di stipulare un patto col diavolo, rituale ripetuto nel tempo per onorare il demone ed ottenere in cambio, ricchezza, potere e conoscenza. Dalla cronaca di questo periodo storico, si evince che gran parte dei suoi poteri furono usati contro membri della classe dirigente di Bologna, dei quali non risultano i nomi, se non quello dei Bentivoglio. La donna fu arrestata all’improvviso, per ordine del tribunale inquisitoriale e torturata, dopo di ciò confessò la sua attività di strega esercitata per oltre vent'anni. Nella sua abitazione - all’interno del Torresotto - furono rinvenuti molti oggetti legati alla magia e all’evocazione demoniaca e, anche in carcere diede prova dei suoi poteri soprannaturali. La sua storia fu molto strana, in quanto, fino a un certo momento, godette di fama positiva, come guaritrice, per poi venire giudicata come strega. Probabilmente la donna era entrata troppo in confidenza con la nobile famiglia bolognese e stava tramando un complotto politico, per cui, disfarsi della sua presenza, tacciandola di stregoneria, fu un modo sottile, ma efficace per eliminare un pericolo. Fu consegnata dall'Inquisizione al braccio secolare sabato quattordici luglio 1498, tra le 10 e le 12 e fu messa al rogo sulla piazza di San Domenico. Durante l’esecuzione il boia mise dei petardi nel fuoco, per cui avvenne il fi24 nimondo, che le persone interpretarono come i poteri straordinari della più grande strega che la storia bolognese ricordi! Gentile, però, non fu l’unica strega cittadina, l'elenco è molto lungo; ricordiamo, tra le altre, nel 1295, il rogo di due astrologhe, Morba e Medina. Nel 1373, invece, Giacoma aveva diagnosticato il malocchio ad una certa Agnese, da tempo ammalata. Dopo una cura a base di polvere di carbone, terra bianca, incenso, pelo d'asino e di gatto, vetro tritato, sterco di bue e cantasquiratto, ebbe come ricompensa un abito rosso e la condanna ad essere castigata pubblicamente prima di essere scacciata da Bologna. Ancora nel XVIII secolo, Margherita Sarti - di professione astrologa fu trascinata a forza in piazza, su di un piccolo carretto, per il pubblico dileggio. Fu flagellata dalla popolazione per più di tre ore, e le ferite conseguenti causarono la morte della donna, dopo quattro giorni di sofferenza. Torresotto di Porta Nova 25 LE VIE DEI ROGHI Storie di ordinaria eresia… Archiginnasio, chiesa Santa Maria della Vita, Piazza Maggiore, chiesa di San Domenico, via Arienti, chiesa di Santa Lucia, torre Asinelli, chiesa di San Bartolomeo. Archiginnasio Se consideriamo l'etimo da cui proviene la parola eresia, dal greco hairesis, ‘presa’ o ‘conquista’ e successivamente ‘scelta’, ‘fare la propria scelta’, comprendiamo meglio il significato del focolaio che si accese all'interno dell'Università, generando una nuova direzione, più laica rispetto alla tradizione di studio, ancora parte integrante del sistema di quel periodo storico. Ciò diede inizio a un periodo di rinnovamento culturale, tale da mettere in discussione gli schemi tradizionali, creando i presupposti di un controllo superiore da parte degli organi di potere e della Chiesa stessa. Ecco il motivo per cui l'Università divenne il luogo all'interno del quale si amplificò il disagio, e la voglia di nuovi lumi contrastò vivacemente il potere precostituito. La forza e l'ascendente della Chiesa si trovarono a subire pesanti colpi anche a causa dell'insorgere dei nuovi orientamenti religiosi, come quello dei catari e degli albigesi, partendo dall'inizio del XIII secolo. Il movimento dei catari raggiunse il massimo fulgore a Bologna tra il 1265 e il 1270. Dopo la nascita dell'Inquisizione, i catari si riunirono in 26 segreto nei ghetti e vicino alle botteghe, dal momento che erano nella maggior parte artigiani. Anche coloro che non seguivano le orme catare si sentivano comunque soggetti a continue vessazioni da parte dei potenti e, crescendo la coscienza della nuova identità comunale, cominciarono a comunicare il loro dissenso, rischiando spesso di essere giudicati eretici. Il 1300 segnò la morte del catarismo a Bologna e dopo di ciò ebbero spazio altre eresie che perseguirono in parte gli antichi propositi catari. Vari furono i motivi della fine dei catari, uno di questi apparve legato alla loro frammentarietà e alla mancanza di una loro sede aggregante. Inoltre in Bologna vi era un'eresia perseguita da persone anziane e probabilmente mancanti di idee innovative, senza appoggio da parte delle forze politiche. Infatti, il catarismo a Bologna non ebbe che un pensatore, Giovanni di Lugio, il quale non poté fruire di menti speculative in grado di tradurre nel reale il loro pensiero. Il credo dei catari si basava sul dualismo manicheo, secondo il quale da un albero buono non potevano nascere frutti avvelenati. Per questo motivo l’uomo, essendo corrotto, non poteva essere stato creato da un Dio buono. Per il catarismo, infatti, il creatore dell’uomo era un Dio malvagio, al quale non dover protendere, ma seguire invece una vita retta e pura - perfetti si facevano chiamare - al fine di raggiungere il vero Dio, quello buono, per nulla collegato a quello creatore. Indubbiamente, il loro comportamento retto, mise in risalto la corruzione della Chiesa di Roma e da ciò nacque la persecuzione ai loro danni. Non dimentichiamo che a Bologna essi venivano chiamati boni homines, in virtù del loro comportamento. Chiesa Santa Maria della Vita Santa Maria della Vita fu la sede di un prestigioso ospitale. Sorse, tra via Clavature e via Pescherie, nella seconda metà del XIII secolo, ed era dedicata a San Vito. Una lapide, ora scomparsa, designa la sua fondazione, nel 1260, alla Compagnia dei Devoti o Disciplinati o Battuti. A Mezzaratta, lo stesso Ordine curò e dette asilo ai pellegrini e viandanti, con l'ausilio di un piccolo oratorio. La Confraternita subì nella seconda metà del XIV secolo una riforma che la divise, vi furono al27 cuni seguaci più intransigenti e rispettosi dell'antica regola contrapposti ad altri sostenitori più aperti alle innovazioni. Da questa scissione, sorse nella stessa via, sul lato destro (sede dell'attuale Museo Civico) la Confraternita di Santa Maria della Morte. Partendo da un ordinamento e fine comune, questo secondo Ordine era specializzato nel conforto dei condannati a morte dal tribunale inquisitoriale. Se la condanna prevedeva il rogo, il condannato veniva consegnato al braccio secolare. Dopo qualche giorno veniva poi condotto presso la chiesa di San Petronio per assistere alla messa, ed essere trasportato con un carretto presso l'attuale Montagnola ove partecipava ad un'altra celebrazione religiosa. Nel tragitto poteva fruire del conforto dall'Arciconfraternita della Morte che lo seguiva insieme ai gendarmi fino al luogo dell'esecuzione. Questi erano vestiti con un saio e un cappuccio dal quale si intravedevano solo gli occhi e all’altezza della bocca appariva, come monito, un teschio. Pensate che conforto potessero portare queste figure! A seconda della gravità del reato, l'eretico veniva decapitato sul ceppo dal boia e successivamente bruciato, mentre nei casi peggiori veniva cosparso di olio e bruciato vivo. Alcune esecuzioni venivano effettuate proprio di fronte alla chiesa di San Petronio, mentre in altri casi nell'attuale piazza di San Domenico. La Confraternita interveniva anche nel soccorso di persone ferite per incidenti dovuti ad aggressioni o torture ed anche, successivamente, nell'organizzazione della processione della Beata Vergine di San Luca. Il loro emblema è all'angolo tra il Museo Civico e via Foscherari e ricalca in parte il disegno della Confraternita della Vita, con alcune sostanziali differenze: il colore dello stemma è nero, appare una croce semplice con due flagelli che pendono sopra un teschio. La vicinanza delle sedi di Santa Maria della Vita e della Morte portano in città un celebre motto: «A Bologna, tra la vita e morte, solo un passo». Piazza Maggiore Siamo alla fine del XVI secolo, periodo inquieto e denso di tensioni, invaso da irruente predicazioni profetiche ed apocalittiche. Ciò era lo 28 specchio della Chiesa di Roma, ove albergavano solamente corruzione e devianze di costumi. Ciò aveva generato nel popolo il bisogno di una salvazione, una redenzione che rendesse possibile credere ancora in qualcosa, che avrebbe potuto rendere giustizia ove agivano soprattutto malefatte. Questo è il momento ove le predicazioni di Savonarola (1452-1498), studente bolognese, si fecero più veementi, anche in città. Egli toccò l’estremo del fanatismo nel 1494, quando la calata di Carlo VIII parve confermare le sue profezie circa la venuta di un «nuovo Ciro» distruttore del male e purificatore della società impura. Questo suo atteggiamento, senza mezzi termini, esaltò le folle e più di 6000 giovanetti, con età inferiore a 18 anni, lo seguirono. Questi crearono delle vere e proprie squadre ed imperversarono nelle città, facendo opera di censura sui libri, sul malcostume, sui giochi d’azzardo, su oggetti giudicati frivoli, facendo roghi ovunque. Essi vennero chiamati Piagnoni, Arrabbiati o Compagnacci. Papa Alessandro VI lo scomunicò nel 1497 e Savonarola contestò la scomunica e fu sfidato alle prove del fuoco dal francescano Francesco Rondinelli. Alcuni mesi dopo, nel 1498, i suoi seguaci organizzarono un assalto al convento di San Marco e il Papa lo fece arrestare. Il processo a Savonarola fu crudele e straziante, per via delle torture che lo portarono alla condanna, inflitta dallo stesso Alessandro VI che ebbe a dire «Che si metta al rogo, anche fosse Giovanni Battista». A Firenze, il 23 maggio 1498, Girolamo Savonarola fu impiccato e arso sul rogo insieme a due dei suoi compagni più vicini, e le loro ceneri furono buttate in Arno. Alcuni storici lo videro come il continuatore della tradizione degli entusiasti rinnovatori della Chiesa, come san Francesco e Caterina da Siena, mentre per altri il suo pensiero non svanì con la sua morte, ma sin dall’inizio del 1500 riprese per opera di Erasmo da Rotterdam, precursore dei successivi movimenti luterani, che cambiarono il volto religioso all’Europa. Chiesa di San Domenico Nel 1233 nasce l'Inquisizione domenicana che ebbe la sua sede principale a Bologna il cui Tribunale era all'interno della chiesa di San 29 Domenico. La Chiesa è simbolo della Scuola universitaria dei Giuristi. All'interno della stessa, merita la nostra attenzione la celebre Arca di Niccolò, che da questo monumento trasse il suo cognome. Chiesa di San Domenico L'eretico veniva giudicato all'interno del Tribunale in San Domenico. L'Inquisitore era capo del Tribunale e dipendeva solo e direttamente dal Papa. Poteva disporre della collaborazione della sua Familia e di tutte le persone ecclesiastiche locali, compreso il Vescovo e le autorità civili. I notai avevano il compito di seguire l'Inquisitore nei suoi spostamenti, dovevano essere presenti agli interrogatori, prendere appunti e registrare le sentenze, mentre chi voleva difendere gli eretici rischiava di perdere il posto, per cui gli accusati non avevano mai nessuna protezione. I Nuntii avevano il ruolo di comunicare le decisioni dell'Inquisitore e un sospettato poteva essere condannato anche in contumacia. I coinquisitori collaboravano affinché venissero confi30 scati i beni dei condannati e ciò creò un grande giro di denaro. Un terzo del ricavato andava al Comune guelfo di Bologna, che dipendeva direttamente dal Papa e perciò il potere inquisitoriale venne incentivato al massimo. Per effettuare un arresto occorreva la testimonianza di due persone o la confessione dell'imputato e niente altro veniva ascoltato. La difficoltà nel reperire i testimoni mise in crisi l'ordinamento giuridico e perciò si cominciò a consentire l'uso della tortura. All'inizio furono adottate alcune norme per limitare la severità e la durata delle sevizie, mentre successivamente si cominciò a praticare la tortura, non solamente sulle persone realmente colpevoli, ma anche sui sospettati. Un altro abuso venne attuato nel consentire la ripetizione di questa pratica, senza alcuna disciplina. Nel 1376, il domenicano spagnolo Nicolas Eymerich eliminò il divieto di ripetere la tortura, permettendone l'uso a discrezione dell'Inquisitore. Ciò determinò un utilizzo indiscriminato di questa procedura, che giunse a livelli estremi. Inoltre gli interrogatori, che all'origine non avrebbero dovuto suggestionare l'imputato, divennero fortemente condizionanti, al punto da estorcere notizie e nomi di presunti eretici dando adito a reazioni a catena, che crearono delle vere e proprie cacce alle streghe. Non dimentichiamo però che San Domenico fu anche il centro di prestigiosi studi e per via della quantità di studenti, Bologna venne considerata dal centro domenicano un ottimo nucleo di reclutamento per le vocazioni. Qui trova eco l’immagine di Tommaso D'Aquino, tra l’altro studioso di materie alchemiche. La Summa Teologicae (12691272) è la sintesi del suo pensiero, tutto in ordine a un unico nucleo: Dio. La sua fu una dottrina realistica, intellettualistica e teocentrica, che affermava il primato dell'essere sulla conoscenza, dell'intelletto sulla volontà, di Dio sul creato. Non toglieva importanza all'astrologia, ma la collocava sotto la guida di Dio, così come la magia naturale non venne mai distaccata dalla potenza celeste. In questo testo vi sono alcuni passi nei quali appaiono considerazioni personali sull'alchimia, così come in un'altra opera vi sono riflessioni sull'astrologia giudiziaria (quella previsionale), dove è ben lontano dal condannarla, disapprovandone solo gli abusi (Opuscolum XXVI: De judiciis astrorum, 1857, Tomo 3). 31 In un suo scritto giovanile Il Commento alle sentenze di Pietro Lombardo (1252-1257 ca.), egli si mostrò piuttosto scettico verso questa materia e la possibilità di trasformare il vil metallo in oro attraverso il fuoco. Decisamente meno scettica e meno conosciuta al contempo è la posizione che assume nel suo testo Commentario alla Meteorologia di Aristotele. Dal 1264 al 1272 egli ebbe la possibilità di documentarsi sui più importanti testi dell'epoca riguardanti lo studio alchemico e certamente non gli dovettero sfuggire le ricerche del francescano Raimondo Lullo, anch'esso studioso di alchimia, che poneva all'origine della sua attività l'Ars Regia. Si afferma che il maestro di Tommaso sia stato il domenicano Alberto Magno, teologo e filosofo, ma pure uomo dai vasti interessi scientifici. Non dimentichiamo che nella maggioranza di libri alchemici antichi, se si vuole citare il più grande alchimista italiano, il nome è proprio quello di Tommaso d’Aquino! Via Arienti A Bologna, i frati Gaudenti ebbero una loro sede in questa via ed il loro nome è legato al mistero della lapide ora conservata nel Museo Civico Medievale di Bologna, che riporta: D.M. ÆLIA • LÆLIA •CRISPIS NEC•VIR•NEC•MVLIER•NEC•ANDROGYNA NEC•PVELLA•NEC•IVVENIS•NEC•ANVS NEC•CASTA•NEC•MŒRETRIX•NEC•PVDICA SVBLATA NEQVE•FAME•NEQVE•FERRO•NEQVE•VENENO NEC•CŒLO•NEC•AQVIS•NEC•TERRIS IACET LVCIVS•AGATHO•PRISCVS NEC•MARITVS•NEC•AMATOR•NEC•NECESSARIVUS NEQVE•MŒRENS•NEQVE•GAVDENS•NEQVE•FLENS HANC NEC•MOLEM•NEC•PYRAMIDEM•NEC•SEPVULCRVM ET•NESCIT•CVI•POSVERIT 32 ovvero AGLI DEI MANI ÆLIA LÆLIA CRISPIS NE' UOMO NE' DONNA NE' ANDROGINO NE' FANCIULLA NE' GIOVANE NE' VECCHIA NE' CASTA NE' MERETRICE NE' PUDICA MA TUTTO CIO'. ESTINTA NON DA FAME NON DA SPADA NON DA VELENO MA DA TUTTO CIO'; NE' IN CIELO NE' IN ACQUA NE' IN TERRA MA OVUNQUE GIACE. LUCIUS AGATHO PRISCIUS NE' MARITO NE' AMANTE NE' PARENTE NON TRISTE NE' LIETO NE' PIANGENTE, QUESTO NE' MONUMENTO NE' PIRAMIDE NE' SEPOLCRO MA TUTTO CIO' EGLI SA E NON SA PER CHI POSE La lapide fu ritrovata in un altro convento dei frati Gaudenti, a Casaralta, e le interpretazioni, per comprenderne il misterioso significato, si sono susseguite nel corso dei secoli, dando luogo a collegamenti vari e fantasiosi. Alcuni di questi, si rifecero alle presunte pratiche occulte dei Gaudenti, in altre analisi, si sviluppò il concetto di lassismo e decadenza che ebbe l'Ordine, per cui di volta in volta diventò la follia lussuriosa di cui si macchiarono gli aderenti, l'anagramma del nome del fondatore, la pretesa segretezza della loro dottrina, l'opera svolta dalla Milizia e la distruzione motivata dalla loro posizione, al limite del paganesimo. Considerata l'epoca cui risale la lapide, XVI secolo, si potrebbe pensare anche ad uno scherzo da giardino, un gioco enigmatico o enigmistico. Ad aumentare i dati esoterici, contribuì Gio. Pasquale Alidosi, che ricorda a Casaralta un bassorilievo di marmo nel quale si leggeva la parola ASOTUS (H), termine che potrebbe essere collegato alla cabala e di conseguenza all'alchimia. Il significato ermetico fu sottoline33 ato, nel 1597, da Nicolas Barnaud che presentò la lapide di Bologna come una summa alchemica da cui desumere le principali tappe da compiere per raggiungere l'Oro Filosofico; è da sottolineare, però, che egli non venne mai a Bologna. Il gesuita alchimista Athanasius Kircher si provò nell'impresa della traduzione, confondendo la parola Crispis con Rispis, e da qui ne fece un anagramma della parola Pyris, ‘fuoco’, credendo perciò di vedere nell'iscrizione l'opera di raffinamento della materia per opera del fuoco; sostenne anch'egli di scorgere nell'epigrafe il simbolo dell'idea in senso platonico, emblema del Tempo e l’analogia dei luminari astrologici, il Sole e la Luna, elementi base nella trattazione di un alchimista e ricorrenti nella letteratura simbolica della Bologna cinquecentesca. Alla luce di questi studi, acquistano particolare importanza tutte le attribuzioni che, dal 1548, sono state date per decrittare l'enigma, a tutt'oggi insoluto. Tra queste, riportiamo le più diffuse: l'acqua della pioggia; l'immagine della Niobe biblica, trasformata in una statua di pietra, quindi sia cadavere che sepolcro; l'anima; la materia prima; la canapa di Ovidio Montalbani; un indovinello facile da risolvere quanto trovare la pietra filosofale; la legge; il musicista e la sua musica; un eunuco; il corpo e l'anima; il Tempo e l'ombra; il Sole e la Luna; l'amore; il genere umano; la Chiesa di Cristo; tutte le cose esistenti; la distruzione operata dalla morte, riferimento al culto pagano di ArioBacco, mutuato dal toponimo di Casaralta (‘Cas-Ara-Alta’ tradotto come il ‘Tempio di Bacco principale’). Molti elementi delle interpretazioni succitate riportano a temi ermetici, all'astrologia ed ai suoi innegabili contatti con l'alchimia, anche se non sembra che l'argomento abbia esaurito i suoi misteri. Nel 1911, il quotidiano di Bologna, il “Resto del Carlino”, diede credito ad una notizia riportata dal “Giornale d'Italia”, in cui si affermava che una lapide simile a quella bolognese era stata ritrovata a Tarascona. Questa mitica terra evocava legami con l'Ordine dei Templari, di cui l'epigrafe sarebbe un emblema comune. Forse l'iscrizione a Tarascona non è mai esistita, ma il fascino della pietra di Bologna rimane con le sue incerte parole. 34 Chiesa di Santa Lucia A Bologna l'Ordine dei Gesuiti lasciò la propria impronta nella cultura della città, tanto è vero che, secondo le tesi di Costa, essi cercarono di fare concorrenza all'Università di Bologna e forse di sostituirsi alla stessa. All'inizio vi era una reciproca considerazione tra i Gesuiti e lo Studio bolognese e le relazioni si fecero più intense nel momento in cui la congregazione eresse il proprio tempio presso l'attuale chiesa di Santa Lucia in via Castiglione. Le prime ombre sorsero nel 1591, quando i padri Gesuiti aprirono per la prima volta uno studio di logica per i seminaristi che frequentavano le loro scuole letterarie. Un secondo screzio avvenne nel 1615, quando si dice «i Padri tentarono di portare a sé lo Studio». Nello stesso anno, vi fu il massimo fulgore del loro studio «che si aprì verso il cielo», alla scoperta delle stelle. A Bologna, questa ricerca aveva già avuto origine con Giuseppe Biancani, bolognese di nascita (1566-1624). Egli, entrato nell’Ordine, completò la sua formazione al collegio Romano con padre Clavio, che era stato insieme al domenicano Ignazio Danti, uno degli autori della riforma del calendario promulgata nel 1582 da Papa Gregorio XIII, anch'egli bolognese. Nel 1615 Biancani, pubblicò a Bologna gli Aristotelis Loca Mathematica etc, portando avanti la migliore visione aristotelica del secolo. Tuttavia l'opera più importante di Giuseppe Biancani, edita a Bologna nel 1620, fu la Sphera Mundi che, per la prima volta, si distaccò dalla cosmologia di Sacrobosco, per soffermarsi invece sulle considerazioni di Tycho Brahe e Johannes Keplero, riproponendo il collegamento di studi tra Bologna e Praga. Biancani reputò il sistema di Tycho Brahe come il più probabile e il più vicino alle sue idee. Intorno alla metà del Seicento, si trovarono a Bologna altri studiosi appartenenti all'Ordine dei Gesuiti, che furono i più grandi astronomi di quel periodo: Gian Domenico Cassini all'Università e Giovan Battista Riccioli al collegio di Santa Lucia. Come non ricordare, poi, padre Joachim Bouvert, gesuita, quando, verso la fine del 1600, mostrò a Leibniz, inventore della numerazione binaria, i 64 esagrammi dell'I Ching, glorioso testo orientale, antico di secoli e denso di cultura e saggezza esoterica. Leibniz si accorse subito che dalla disposizione de I Ching, secondo un certo ordine logico, 35 derivava la scrittura in numeri binari delle cifre da zero a sessantatré. Sia Leibniz, che il gesuita Bouvert, conclusero che i Cinesi avessero scoperto l'aritmetica binaria per ispirazione divina. Torre Asinelli Vicino alle Torri, in Strada Maggiore, vi era la precettoria di Santa Maria del Tempio, appartenente all'Ordine dei Templari, uno dei movimenti iniziatici più importanti esistente dall'inizio del 1100 fino al 1311. Dal 1128 i Templari avevano cominciato a crescere numericamente e grazie a fortunate speculazioni, diventarono ricchi, potenti e protetti dalle grandi famiglie. Per via di questa crescita economica, iniziarono a dare dei problemi ai potenti governanti. Sulla scia di queste tensioni, nel 1307, Filippo il Bello fece arrestaLe Due Torri re in un solo giorno 138 Templari, dando inizio ad una forma di persecuzione che fu tra le più cruente della storia. I Cavalieri vennero sottoposti al giudizio del Tribunale dell'Inquisizione e a torture inenarrabili. Furono ritenuti colpevoli di idolatria, eresia e sodomia; vennero accusati soprattutto di praticare arti magiche e di venerare una sorta di demone malvagio, ovvero Baphomet (Baphomet, Baffometto, Maometto). Vi erano tutte le condizioni per fare sì che queste accuse avessero credito, in quanto l'imputazione di magia includeva sempre il concetto di complotto e segretezza, elementi pre36 senti in questo ordine. Vennero anche tacciati di stregoneria, ma in reltà nei loro studi non vi era nulla che fosse in reale contatto con elementi legati a tale materia, come del resto non vi era nulla di negativo nelle loro pratiche astrologiche e alchemiche, nelle quali veniva messo in opera un antico sapere del quale si ritenevano i depositari. In realtà Filippo il Bello non era certo preoccupato per queste ricerche, ma era soprattutto interessato ai loro enormi capitali, per cui utilizzò questi pretesti per arrestarli e per confiscare i loro beni. Bologna visse parte di questo percorso templare all'interno della precettoria di Santa Maria del Tempio, il luogo ove avvennero i più importanti capitoli dell'Ordine. In questo sito si sarebbero svolti e ripetuti i sacrilegi, le oscenità e i riti magici di cui vennero accusati. Un documento conservato all'Archivio Arcivescovile di Ravenna, menziona il nome di sette Templari che all'epoca degli arresti abitavano nella precettoria di Santa Maria del Tempio. Tra il 17 e il 21 Giugno 1311, cinque di queste persone vennero interrogate sui loro misfatti e, terminato il processo a loro carico, l'unico favorevole ai Templari in Italia, furono ricondotti nelle loro sedi e sottoposti all'esame di purgazione. Il 22 Luglio 1312, frà Atto, dell'Ordine Ospitaliero di San Giovanni, prese possesso della casa del Tempio di Bologna e con ciò svanisce anche nella nostra città l'orma di questo Ordine, la sua ricerca iniziatica, culla di una delle più antiche tradizioni. Occorre sottolineare che nella nostra città l’Ordine rappresentò un importante collegamento con il resto d’Europa, attraverso la figura di Pietro da Bononia, ricordato dalle cronache dell’epoca come il più grande Templare, dopo i primi nove fondatori. Chiesa di San Bartolomeo La contigua chiesa di San Bartolomeo, di fianco alle Due Torri, diventa la sintesi suprema della Grande Opera: l'Oro filosofico. Il suo preziosismo artistico si trasforma in scultura sulle paraste della facciata decorate a grottesche - dove si leggono antichi segni ad eterno ricordo del valore del simbolo. L'interesse di questi decori è richiamato da un discorso del 1582, il cui autore fu il cardinale Gabriele Paleotti. L'argomento del trattato era 37 legato alle immagini sacre e profane, tra cui spiccava l'esigenza di classificare l'arte e di estirpare dall'iconografia le opere definite sospette. Il sospetto relegava alcune rappresentazioni nel limbo dell'arte, in cui non potevano essere dichiarate né volutamente, né certamente eretiche, ma senz’altro da evitare! Tra queste, furono dichiarate non gradite anche le grottesche, in quanto tacciate di eresia. La tortura della corda 38 I Traditori, Cappella Bolognini in San Petronio, particolare da cui l’iconografia dei Tarocchi ha attinto per la carta XII, l’Appeso 39 LE VIE INFERE L’innominabile sapere di Bologna… Archiginnasio, palazzo Re Enzo, palazzo Comunale, torre Garisenda, ExGhetto, palazzo Bocchi. Archiginnasio Già dal 1200, la cultura dell'Europa medioevale venne quasi interamente suggestionata dal mondo classico e da quello araboislamico. Questi ultimi avevano da tempo curato interessanti traduzioni sull'uso dell'abaco e dell'astrolabio da antichi testi caldei, persiani, indiani e greci. Avevano curato studi su Galeno, Socrate e Aristotele. Inoltre circolavano testi falsamente attribuiti a Pitagora, Empedocle, Tolomeo e Plutarco, che costituirono elementi di studio per l'alchimia, l'astrologia e la filosofia di concezione islamica. Alle idee di Platone e Aristotele, vennero aggiunte quelle legate alla concezione della scuola pitagorica, attraverso la comunità sabea di Harran, che riconosceva quale proprio capo il profeta Idris (il biblico Enoch, spesso identificato con Ermete Trismegisto) con la quale si ottennero molti progressi in matematica e astronomia. Venne trattato lo studio dei numeri, ritenendo che riducendo a formule numeriche l'intero cosmo si sarebbero potute trasformare le singole nature, in modo tale da ricavare nuove sostanze, enunciato che poi fu la base dell'alchimia. 40 L'insegnamento di queste materie rese più ricco il panorama universitario del 1200, con centri di studio di filosofia e scienza a Parigi e Oxford, mentre a Bologna lo studio della legge e della medicina si univa all'analisi dei pianeti, attraverso i testi di Sacrobosco, come l'Algorismo e il De Spherae. In quel secolo l'insegnamento di astrologia era affiancato e inserito a medicina e filosofia. Si affermava che un bravo medico dovesse essere anche un bravo astrologo. All'interno della facoltà di medicina si crearono delle pesanti spaccature, tra la medicina ispirata a Galeno e Ippocrate (teorie più tradizionali, legate ai quattro elementi: Fuoco, Terra, Aria e Acqua) e quella che aveva subito le infiltrazioni arabe innovative, che furono considerate negativamente soprattutto dalla Chiesa. Questa frattura tra Bologna religiosa e laica, determinò la nascita di due correnti che si tradusse in due differenti scuole, situate presso le basiliche di San Francesco e San Domenico, ove si organizzarono rispettivamente l'Università delle Arti e quella di Diritto e Teologia. Quest'ultima di Diritto canonico, di stampo guelfo, studiava l'insieme delle legislazioni ecclesiastiche formulate da Graziano, raccolte da fonti relative ai primi padri della Chiesa (Decretum) e si contrapponeva alla Facoltà di Giurisprudenza, di diritto laico ghibellino, che studiava invece il Corpus Juris di Irnerio, cioè la raccolta di tutte le più antiche leggi emanate dai codici Giustinianei, giunti da Ravenna a Bologna (codice di leggi imperiali). In questo modo, fu confermata una tendenza rivoluzionaria e anticlericale all'interno di una Bologna influenzata fortemente dal papato, ciò creò controversie e anche precisi divieti da parte della Chiesa stessa di adottare testi considerati blasfemi, che nel tempo divennero uno dei pretesti per la repressione degli eretici. Per questo motivo, molti studi e ricerche relative alle cure magiche attraverso talismani, pentacoli e preparati alchemici, dovettero proseguire in maniera sotterranea, al di là dei vigili occhi della Santa Inquisizione. 41 Palazzo Re Enzo Con la fondazione dell'Università di Napoli, Federico II volle rivaleggiare direttamente contro la guelfa Bologna, preparando nello Studium funzionari governativi, abili tecnicamente e professionalmente. Collaborarono al suo Studium insigni uomini di legge, giuristi, tecnici di Diritto influenzati dal celebre Irnerio, tra cui ricordiamo il glossatore Benedetto d'Isernia che studiò e si laureò in Giurisprudenza a Bologna, nel 1221 e accettò successivamente nel 1224 l'incarico presso la corte di Federico II. Ma Bologna riveste una particolare importanza nella vita di Federico II! Qui fu tenuto prigioniero e trovò la morte suo figlio Enzo. Questo avvenimento è quanto mai importante da un punto di vista storicoiniziatico, in quanto rappresenta la fine dell'ideale svevo di riunire in un'unica persona i due poteri, temporale e spirituale, umano e sovraumano, in una sorta di governo universale divino. Enzo fu sepolto nella chiesa di San Domenico. La figura dell'Imperatore si lega ancora alla nostra città per via dell'importante movimento legato alla poesia d'Amore. Infatti alla sua corte fervente di arditi pensieri e talora di odio verso Roma, si incontrarono le influenze dei canti provenzali e probabilmente quelle legate ad una nuova onda di tradizione mistica venuta direttamente dall'oriente per mezzo dei filosofi arabi che circondavano l'imperatore. Fu così che la poesia trovadorica, pur contenendo una vena di spirito iniziatico, si confuse con una corrente di poesia popolare che crebbe e si alimentò anche a Bologna. Lo stesso Pier delle Vigne, che compì i suoi studi giuridici nella nostra città, venne presentato dal vescovo Berardo a Federico II e trovò spazio nel suo regno, incontrando la sua apoteosi e la massima caduta. Questo personaggio, insieme al suo sovrano, seppe scegliere sempre il meglio della cultura, proprio per costruire una grande opera legislativa, per la quale si avvalse della saggezza e della preparazione di personaggi in gran parte laureati nella nostra città. Un altro legame tra Federico II e Bologna, fu nel momento in cui il sovrano, divenuto strumento in mano alla Curia Papale, proclamò alcuni editti, affinché venissero studiati, insegnati e inseriti nei Codici di Diritto Romano, tra cui il Constitutio in Basilica Sancti Petri: un pro42 clama diviso in nove decreti o sanzioni di Diritto Imperiale sulla repressione degli eretici, considerati sobillatori pericolosi, che venne emendato proprio nella nostra città. All'ingresso di palazzo Re Enzo, sugli antichi muri dell'edificio, sono state collocate, nel secolo scorso, le insegne dei Podestà di Bologna. Queste insegne ricordano la cultura orientale tanto cara a Federico II, in quanto affondano le loro radici nel substrato magico e nei culti dedicati a divinità multicefale o stetocefale: i cimieri zoomorfi. In Oriente, le divinità stetocefale erano anticamente rappresentate con un volto umano all’altezza dello stomaco, a individuare la forza interiore che permette di governare con la testa, simbolo della mente e contenitore supremo dell’essenza vitale, i bassi istinti, visualizzati nella parte anatomica del ventre. Nello stesso momento, è la forza della ragione che scende a infondere vigore alla divinità. Da questo concetto, la scienza del blasone - araldica - sempre attenta al linguaggio misterioso del simbolo, ha tratto questa sua tipica rappresentazione. Questa figura un elmo sormontato da un animale. L’elmo celebra la protezione suprema del capo, mentre l’animale che lo sovrasta è solitamente un simbolo che richiama la forza percepita come evocazione di un potere superiore. Indossando idealmente questo cimiero, la testa del guerriero si trova così in corrispondenza del ventre dell’animale, acquisendone la virtù ed il valore. L’uomo si fonde con la bestia, canalizzando il suo istinto poderoso verso la vittoria, intesa simbolicamente come trionfo sul male. Inoltre, egli acquisiva un aspetto sovrannaturale, divenendo, a sua volta, una specie di gigante ferino, che incuteva terrore a chi gli stava di fronte. L'incontro tra il vizio - collegato alla bestia - e la virtù - incarnata dalla mente dell'uomo - si collegò, poi, al concetto di metamorfosi, in cui i guerrieri divennero geni dalle molte facce e di conseguenza, moltiplicarono la loro virtù. In questo caso, le virtù sono connesse al simbolismo del leone e dell'aquila. Palazzo Comunale La grande statua di papa Gregorio XIII, bolognese, posta sulla porta principale d'ingresso del Palazzo D'Accursio, sede del Comune, do43 mina la Piazza. Architettata da Galeazzo Alessi, compiuta da Domenico Tibaldi, modellata da Alessandro Menganti e fusa da Anchise Censori nel XVI secolo, troneggia imponente ad eterna memoria del riformatore del calendario. Il calendario giuliano, in vigore dal 46 a.C. era calcolato in base ad un anno solare di 365 giorni e 6 ore, mentre l'effettivo è di 365 giorni, 5 ore, 48 minuti e 49 secondi. Questa minima differenza comportava un disavanzo di 3 giorni ogni 400 anni, il che significa, riportato al XVI secolo, un disavanzo di circa 10 giorni. Al papa bolognese il compito di restaurare questo inconveniente aiutato dalla meridiana contenuta nella chiesa di San Petronio. Essa era già stata tracciata nel 1576 dal domenicano Ignazio Danti, e la sua caratteristica era quella di segnalare il mezzogiorno solare di Bologna oltre che le date più importanti dell'anno, tra cui gli equinozi ed i solstizi. Attraverso questo strumento si poté verificare ed avere prova visibile della differenza tra il calendario civile giuliano e il decorso del sole. Il 3 marzo 1582, dopo alcuni progetti bloccati, Gregorio XIII emanò la Bolla definitiva che prevedeva le modifiche necessarie al calendario: nell'ottobre di quello stesso anno furono sottratti 10 giorni, per cui dal giorno 5 si passò immediatamente al 15, e i 10 giorni che vanno dal 5 al 15 ottobre 1582 non sono mai esistiti nella storia! La cosa suscitò grande clamore e sospetto, basti pensare che i protestanti tedeschi ravvisarono in quest'opera lo zampino del demonio! Gregorio XIII, il signore del tempo, è circondato da una decorazione a greca, che riproduce l'immagine del labirinto, un itinerario verso la conquista del proprio tempo e della piena accettazione del proprio ritmo. Nei decori del Palazzo, spicca il bucranio, una testa di bovide, che è stata connessa al Baphomet dei Templari. Le interpretazioni di questo idolo venerato dall’Ordine sono numerose: alcuni parlano di un'associazione o deformazione della parola araba Mohamet in lingua provenzale, che ribadirebbe i contatti con la fede islamica, o ancora una derivazione della parola araba abufihamet, nella Spagna moresca bufihimat, in altre parole ‘Padre della Conoscenza’ o ‘della Sapienza’, indicando forse un principio divino. Un'altra ipotesi connette questo emblema col mondo dell'alchimia, in cui vi è un'operazione chiamata 44 Caput Mortum, ovvero ‘testa di morto’. Essa è la Nigredo o putrefatio, dove – simbolicamente - l'estrema bruttezza della testa richiamerebbe il momento del distacco della parte materiale da quella spirituale, ravvisata in un’immagine di deformità volgare e nauseante. Anche per il celebre alchimista Fulcanelli, la figura rappresenta un simbolo dell'Arte Regia: la fusione mistica degli elementi dell’Opera, simboleggiati dalle corna che evocano la falce lunare poste sulla testa solare. Si può continuare con il lungo elenco di attribuzioni che vedono in esso la venerazione per la testa di Hugues de Payen, fondatore dei Templari; oppure la connessione con Giovanni il Battista, affermando, in questa direzione, il legame tra i Templari e l'eresia giovannita o mandea. Torre Garisenda Dante Alighieri cita questa torre - oltre che nel passo dell’Inferno, XXXI, 136-141 - nel De Vulgari Elonquentia, I, IX, ove si legge: […]e ciò che fa più maraviglia, quelli che dimorano sotto uno stesso cittadino reggimento, come i Bolognesi del Borgo San Felice ed i Bolognesi di Strada Maggiore. Perché avvengano tutte queste differenze e mutamenti nelle parlate, sarà manifesto in un'unica e medesima ragione. Il Vate nomina due linguaggi, che avrebbero dovuto essere parlati a Bologna, anche se di due lingue in città non vi è traccia storica. In un contesto allegorico, Dante avrebbe potuto alludere non tanto a due lingue parlate dal popolo, ma a due diversi modi di espressione speculativa di concetti appartenenti al linguaggio nascosto delle associazioni segrete del tempo. Il sonetto si ispirerebbe a un dissidio interno al movimento dei Fedeli d'Amore, nel quale, probabilmente, si erano create due correnti in contrasto tra loro, di cui una capeggiata da tal Garisendi. Una di queste era situata nella parte patrizia della città, Strada Maggiore, e una nella parte plebea, via San Felice. Le due contrade citate, Strada Maggiore e via San Felice, sono collocate diametralmente opposte nel reticolo cittadino e la Garisenda ne rappresenta il perno centrale. 45 Probabilmente dal suo linguaggio si deduce che il dialetto giusto e corretto era quello parlato nella direzione di Strada Maggiore, ove peraltro vi si trovava la Magione, sede bolognese dei Templari. Per cui, pur da un punto di vista allegorico, Dante riteneva che il linguaggio corretto fosse proprio quello legato all’Ordine dei Fedeli di Dio. Forse per questo motivo, la torre bolognese della Garisenda appare ancora al centro dell’attenzione del Poeta, dal momento che, in un altro passo delle Rime, LI, Dante afferma: Non mi poriano già mai fare ammenda del lor gran fallo gli occhi miei sed elli non s’accecasser, poi la Garisenda torre miraro co’ risguardi belli, e non conobber quella (mal lor prenda!) ch’è la maggior de la qual si favelli […] La torre summenzionata segna, tra l’altro, la data del primo soggiorno a Bologna di Dante, tra il 1282 ed il 1286, confermato da Giovanni Boccaccio e Benvenuto da Imola. Qui Dante entrò in contatto con Cecco D’Ascoli, astrologo ascolano che insegnò astrologia a Bologna presso la facoltà di medicina dal 1324. Alcune epistole tra i due personaggi, documentano l’interesse e la conoscenza di Dante per tale materia. A parte ciò, Dante condivise con l’Ascolano anche la sua presenza all’interno della setta letteraria dei Fedeli d’Amore, dai quali fu ritenuto traditore. Questo conflitto condusse Cecco a commentare alcuni passi della Divina Commedia, nella sua opera L’Acerba. Così, nel IV libro di questa opera, si legge un’esposizione derisoria su alcuni personaggi dell’opera dantesca - come ad esempio il conte Ugolino - con l’intento di contestare il pensiero dantesco inerente la superiorità dell’Amore nell’opera letteraria e la sua natura. Cecco d’Ascoli pagò questa sua contestazione, con l’oblio delle sue opere per molto tempo e una denuncia che fu discussa presso il tribunale di Bologna. 46 Ex-Ghetto A Bologna, nel 1566, il ghetto divenne obbligatorio per tutti gli Ebrei, che erano all'epoca circa ottocento. Tre anni dopo vi fu la prima espulsione e migrarono ben 800 persone pagando 40.000 scudi di penale, che andarono nelle casse del Monte di Pietà e dei Catecumeni. Gli Ebrei tornarono in città nel 1586, ma poco dopo nel 1593, dovettero lasciare definitivamente Bologna. Partirono 900 persone portando con sé perfino i propri morti, che seppellirono nel cimitero di Pieve di Cento e a Cento stesso venne istituito un ghetto. Per circa due secoli non si parlò più di vita ebraica a Bologna, fino al 1796, quando Napoleone volle togliere definitivamente le porte del ghetto e creare un diverso spazio per una piccolissima comunità che era presente dalla metà del '700. L'avventura napoleonica durò poco e durante la Restaurazione riprese la repressione e soprattutto si riaffermarono i battesimi coatti. All'epoca era d'uso imporre questo sacramento ai bambini di cultura ebraica, per toglierli dall'educazione delle loro famiglie. A Bologna avvenne un caso che passò alla storia e che ancora oggi è ricordato in tutto il mondo. Nel 1858 i gendarmi pontifici prelevarono di notte il piccolo Edgardo Mortara e lo portarono a Roma chiudendolo in un istituto religioso. La famiglia cercò invano di riaverlo, ma l'autorità religiosa si oppose drasticamente, affermando che il piccolo era stato battezzato alcuni anni prima dalla domestica, che lo aveva ritenuto in punto di morte. Questo fu uno dei soprusi più pesanti e ignobili al quale la famiglia dovette sottostare, senza avere mai giustizia sulla malefatta. In Piazza Ravegnana, all'incrocio con via dei Giudei, vi era uno dei tre cancelli che chiudevano il ghetto. Girando in via Canonica e poi in via del Carro, in fondo a quest'ultima, all'incrocio con via Zamboni, vi era il secondo cancello. Tornando indietro, troviamo via dell'Inferno, che probabilmente rappresentava l'arteria più importante della zona. In questa zona, abitava Merchion Cerrono, lettore di logica presso l'Università di Bologna nel 1520-1530. I suoi studi fecero parte di una serie di ricerche alchemiche che determinarono una spinta propulsiva verso l'indagine chimico-fisica del cosmo e della natura, che portò ai 47 traguardi scientifici del XVII secolo. Anche la sua vita appare come un mistero, prima esaltato studioso all’interno dell’università bolognese, poi costretto a sfuggire da Bologna, perdendo quasi tutti i suoi beni. Palazzo Bocchi La famiglia Bocchi proveniva da Roncastaldo e dapprima furono arrotini e, in seguito, legarono il loro successo alla speculazione bancaria. Dei tre figli, Dorotea, Costanza e Achille (1488-1562), quest'ultimo pervenne ad un importante ruolo nella Bologna cinquecentesca come traduttore e commentatore di classici dell'antichità. Fu un docente molto apprezzato, che annoverò tra i suoi studenti anche Ulisse Aldrovandi. La sua carriera ebbe inizio all'incirca nel 1509, quando fu nominato lettore «ad litteras graecas dietibus festis», probabilmente grazie all'intercessione di Ludovico Ghisilardi. Ben presto, passò all'insegnamento della retorica e della poesia. La posizione della sua famiglia e le sue capacità didattiche gli portarono una speciale dispensa, che gli consentì di insegnare a casa propria, a causa di alcuni malanni che lo colpirono. Dedicò tutta la vita alla redazione della Historia di Bologna, opera che doveva sopperire alla mancanza di testi che rievocavano i fasti cittadini. Il primo fascicolo fu presentato al Senato nel 1517. In questo edificio Achille Bocchi - al pianterreno - organizzò la sua accademia, oggi via Goito numero 16. Questa accademia era posizionata all'interno del palazzo, ed era denominata Bocchiana o Hermatena, la cui impresa era scolpita in arenaria (oggi irrimediabilmente perduta) sullo spigolo della dimora. Achille Bocchi è ricordato anche per le Symbolicarum Quaestionum de Universo Genere Quas Serio Iudebat Libri V, editato a Bologna nel 1555 e, nel 1574, fu curata una seconda edizione dalla Società Tipografica Bolognese. Questo fu un testo che raccoglieva 151 incisioni commentate da componimenti in latino, in cui l'aspetto simbolico era coniugato col meraviglioso. Questa espressione artistica fece parte di una corrente tipica del Cinquecento, l’Ermetismo, che si proponeva di rivalutare i dettami inse48 gnati dal mitico Ermete Trismegisto, conosciuto come il fondatore dell’alchimia e degli studi sacri a livello simbolico ed ermetico. Venne così rivalutato lo studio degli egizi che, anche secondo Erodoto, comprendeva essenzialmente due scritture, una sacra e una popolare. Ciò rappresentava l’eredità proveniente dal mondo classico con la sua religione, che, attraverso la divinazione antica e i riti magici, si riproponeva come parte pregnante di una nuova epoca culturale. Un esempio di questa propensione per un doppio linguaggio, si riscontra sulla facciata del suo Palazzo, dove sono incise due scritte; la prima è in ebraico tratta dal salmo 119 della Bibbia (lo stesso salmo che fu utilizzato a Praga per evocare la magica creatura del Golem); mentre la seconda - a destra del portale - è in caratteri latini e cita i versi di Orazio. Entrambe le due citazioni - nell'enfatizzare la virtù della sincerità e della rettitudine - furono un monito per i frequentatori dell'accademia Hermatena, a non utilizzare il luogo per le menzogne, che erano probabilmente quelle espresse dalla Chiesa di Roma. Palazzo Bocchi, particolare 49 Sembra, infatti, che Achille Bocchi si avvicinò ad ambienti culturali anabattisti ed al nicodemismo; ma finché l’accademia fu protetta dall'amicizia di Achille Bocchi per Leone X, Clemente VIII, Paolo III e suo nipote Alessandro Farnese, essa godette di particolari protezioni. Quando, nel 1549, papa Paolo III morì, Achille Bocchi non ebbe più questa garanzia, e la comparsa a Bologna di un potente tribunale dell’Inquisizione, portò a rischi per gli accademici che lo frequentavano, spesso in odore di eresia. Una tradizione afferma, infatti, che le due croci apposte sui termini indicanti l'ineffabile nome di Dio in ebraico (‫ )י ה ו ה‬e Rex in latino, sulla facciata del palazzo, siano l'espressione di un monito inquisitoriale, che sigillava l'attenzione con la quale il tribunale sorvegliava gli studi che si tenevano all'interno dell'accademia, che fu chiusa nel 1560. Ex-Ghetto ebraico 50 Symbolicarum Quaestionum, Achille Bocchi 51 MUSEODEI by Hermatena Edizioni Il cammino di Museodei è quello di una piccola casa editrice, ma come tutte le piccole cose possiede una grande libertà, ovvero quella di non dover rispondere a schemi o aspettative di nessun tipo. Le parole che narra sono legate alla sola pulsione del cuore che attraverso l’analisi dei simboli vuole spingere a compiere il primo ed importante viaggio. Quello dentro se stessi. Che importa vedere il mondo se in ogni sua differenza non riusciamo a scorgere parti di noi e sensazioni personali? Sarebbe guardare, senza vedere. Così, conoscere un luogo attraverso il linguaggio dei simboli è vedere l’incanto della creazione nel momento stesso in cui si genera. L’invito è allora quello di partire, aiutati dal patrimonio simbolico del passato, attraverso le vie ardite del presente, verso i sentieri misteriosi del futuro. Poi, aprire gli occhi e… scoprire se stessi come parte integrante del viaggio. I luoghi magici di… Federico II - M. Poltronieri ed E. Fazioli I luoghi magici di… Parma - M. Poltronieri ed E. Fazioli I luoghi magici di… Santiago di Compostella - E. Fazioli I luoghi magici di… Ferrara – M. Poltronieri ed E. Fazioli I luoghi magici di… Praga - M. Poltronieri I luoghi magici di… Parigi - E. Fazioli I luoghi magici di… Pisa - E. Fazioli I luoghi magici di… India del Nord - M. Poltronieri ed E. Fazioli I luoghi magici di… Londra - M. Poltronieri I luoghi magici di… Bologna Vol. I La Piazza e i suoi segreti - M. Poltronieri ed E. Fazioli I luoghi magici di… Bologna Vol. II I Templari e il mistero del Graal - M. Poltronieri ed E. Fazioli I luoghi magici di… Bologna Vol. III Demoni, streghe e vampiri - M. Poltronieri ed E. Fazioli I luoghi magici di… Bologna Vol. IV Le vie dei condannati al rogo - M. Poltronieri ed E. Fazioli I luoghi magici di… Bologna Vol. V … a luci rosse - M. Poltronieri ed E. Fazioli I luoghi magici di… Modena - M. Poltronieri ed E. Fazioli I luoghi magici di… Torino - M. Poltronieri ed E. Fazioli Voci dall’Hoggar – M. Ag Amastan, C. de Foucauld, D. Oult Yemma - A cura di A. Chieregatti Sulla strada – A. Chieregatti Milano, Segreti e Meraviglie nell’Arte, Andrea Bianchi detto il Vespino - C. Dorsini Pinocchio in arte mago - M. Poltronieri, E. Fazioli Appendici di G. Pelosini Lungo i sentieri dei bisonti – F. Finardi (romanzo storico)Siena e altri misteri – M. Poltronieri Salento, Grotte e altri misteri – E. Fazioli Lecce… Il lato splendente della magia – M. Poltronieri Malta l’Isola della magia – E. Fazioli 52 Magico viaggio nella Libia romana - E. Fazioli In viaggio con la Dea - F. Coletti, M. Poltronieri, E. Fazioli I segni della Dea Madre, da Malta al deserto libico – M. Poltronieri L’eros della Dea, nelle misteriose Dākinī – M. Poltronieri Amedeo Modigliani, La magia al femminile tra Cabala e Alchimia - C. Dorsini e M. Poltronieri Il male non esiste – F. Coletti Evil does not exist – F. Coletti Satiro Demone Folletto, I mille volti dell'Incubo – S. Renda Revenant, Il ritorno dei vampiri – S. Renda Tarocchi Sola Busca, Storia Segreti Alchimia – C. Dorsini e M. Poltronieri Sola Busca Tarot, History, Mysteries, Alchemy – C. Dorsini e M. Poltronieri Le Voci degli Arcani – G. Pelosini con CD di Giovannimparato Emi nel paese delle Emi-raviglie – F. Coletti Emi in Wonderland – F. Coletti Un Dio qualunque, Sguardi e attraversamenti dal Niger – M. Armanino Odissea nel Gilgamesh, IO & L’Io – J. Casagrande Il Volo del Falco - Lorenzo F. L. Pelosini Tarocchi e Archetipi, La voce della Stella Vol. I – S. Secchi e A. Atti Tarocchi in conserva – P. Parenti Amor Sacro e Amor Profano I Tarocchi – F. Coletti Oltre la selva oscura – F. Coletti Emi dietro lo specchio Un esorcismo – F. Coletti In Viaggio con gli Astri – Itinerari zodiacali – F. Farini Carte di amore e di morte – F. Coletti Gli Arcani Volti dell’Amore - F. Coletti Ombre Bianche – F. Edosa Le Porte dei sogni – F. Coletti Nero, Una storia alchemica vista attraverso una città e due anime – F. Coletti Ripensare il mondo con Ivan Illich, a cura di G. Esteva Crisi, la rapina impunita Come evitare che il rimedio sia peggiore del male - J. Robert Emi e il reverendo – F. Coletti Tao Te Ching Lao Tzu - traduzione a cura di Angiolo Daddi La Grande Opera Grillot de Givry - traduzione a cura di Angiolo Daddi Dhammapada Il cammino del Dharma - traduzione a cura di Angiolo Daddi Tarocchi in Pentola – P. Parenti Tarocchi in Tavola – P. Parenti Magia e Scienza della Spirale – G. Pelosini River Runner, Il Filo d’oro – L. Pelosini Le Nuove vie del potere – P. Dàvalos Nuovi ambiti di comunità – G. Esteva Tarocchi e Archetipi, Il Maestro interiore Vol. II – S. Secchi e A. Atti Tarocchi Appropriati – A.A.V.V. Poesie di J. Casagrande Tarot Travel Guide of Italy – A. Ando, M. Poltronieri, E. Fazioli Arcana Maiora – D. Turco 53 L’invenzione della morte - S. Renda Sussistenza, autonomia, libertà - J. Robert Le sette tessere ‘ribelli’ del rompicapo globale – subcomandante Marcos Rosso – F. Coletti Bologna sotto il segno del Giallo – F. Finardi Alba di mondi altri – R. Zibechi Emi e la notte del Lupo – F. Coletti Lettere d’Occitania – A. Albertano Panico, amore e allegoria – K. Pietrobelli In attesa di un segno – F. Finardi Figli di un dio feroce – F. Finardi Bologna Magica Per bambini di tutte le età – M. Frazzoni Wolfy e Santina Una storia ad Auschwitz – F. Coletti Astrologia dei Tarocchi – G. Pelosini Blue – F. Coletti Emi e i mari scarlatti – F. Coletti Dalai Lama La Biografia La Storia Le Perle – Traduzione Mariateresa Bianchi Tarocchi, gli specchi dell’infinito – G. Pelosini Desideria Bramanti – F. Coletti Nomi di vento – M. Armanino Emi in Shakespeareland, Libro Primo: Macbet – F. Coletti Emi in Shakespeareland, Libro Secondo: Sogno di una notte di mezza estate – F. Coletti Emi in Shakespeareland, Libro Terzo: Amleto – F. Coletti Astrologia svelata – D. Donati Divino Divinare – G. Giorio 54 Museodei by Hermatena Edizioni è un marchio MUTUS LIBER Via Palmieri 5/1 - 40038 Riola (Bo) Tel. 051 916563 www.mutusliber.it [email protected] Finito di stampare nel mese di novembre 2016 Presso Universal Book - Rende (Cs) 55 56